Un caro saluto a tutti voi, carissimi, “ Grazia e benedizione da Dio ”. Muoviamo i primi passi in quest’anno della fede e il vangelo di questa liturgia domenicale sembra lanciare una sfida grande alla revisione che ciascuno di noi ne sta facendo. Una vedova e i suoi due spiccioli gettati nelle offerte oggi diventano per noi l’esperienza di fede più forte che bussa alle nostre vite troppo spesso povere di fede, così carenti di fiducia, così ancora dubbiose quando si tratta di affidarsi a Dio. Non è un gesto di generosità quello che la vedova nel tempio oggi ci propone, ma è molto di più. E’ l’immagine di una vita che si affida a Dio, che lascia la propria esistenza alle cure di Dio, fiduciosa che il Padre toccherà e guarirà le sue ferite, sazierà la sua fame. La donna getta le sue monete probabilmente nel tesoro che servirà per le offerte sacrificali in espiazione dei peccati; di qui l’elogio di Gesù: la donna dimentica la sua povertà materiale, non se ne cura, preferisce invece preoccuparsi di quella ricchezza spirituale gradita davanti a Dio, preferisce l’espiazione dei peccati. Al resto ci penserà Dio. Non è dunque un fatto di generosità o altruismo quello su cui meditare oggi; è piuttosto un invito a interrogare la nostra fede: quanto dimentichiamo noi le preoccupazioni materiali per affidarci alla totale cura del Signore? Quanto siamo poveri in spirito? Cioè quanto ci prostriamo dinanzi a Dio per riconoscere la nostra totale dipendenza da Lui? Molto spesso ci culliamo sulle nostre tasche piene e questo ci basta per dirci felici. Poi felici non lo siamo. Ci siamo mai chiesti perché? Forse c’è qualcosa di più grande che neanche riusciamo a vedere indaffarati come siamo a curare i nostri affari, a far bilanciare i conti, a pareggiare sempre a nostra vantaggio il dato con il ricevuto. Se ci preoccupassimo di guadagnare la vita eterna come ci preoccupiamo di guadagnare ricchezze e beni su questa terra, probabilmente un angolo di Paradiso si aprirebbe già ora davanti ai nostri occhi. Ma la nostra fede non è ancora abbastanza! La nostra fiducia in Dio Padre ancora non è matura, ancora ha paura, ancora combatte con la presunzione che abbiamo di doverci affannare per ritagliarci un pezzo di terra in cui vivere comodi e in agiatezza. Anche a noi è capitato di dare il superfluo: diamo il superfluo a Dio e agli altri. Ci diamo agli altri nell’amicizia, come educatori, come colleghi, come fratelli e sorelle ma senza mai sacrificare quel pizzico in più che reputiamo essere solo e soltanto nostro: è nostro il tempo, le nostre giornate, è nostro il denaro, sono nostre le convinzioni che ci teniamo ben strette. E ci comportiamo come se la condivisione dovesse togliere qualcosa a noi. Invece è lì che diventiamo ricchi! Perché un cuore che si apre verso Dio e verso l’altro è un cuore che si riempie di Dio per possedere la ricchezza più grande che è la vita eterna. Ponderiamo bene ogni nostro gesto, ma facciamolo al contrario di quanto ci suggerisce la triste logica umana: cosa sto per perdere? Cosa sto per guadagnare? La fiducia esige risposte di condivisione, risposte che non hanno paura; la fede non suggerisce mai al cuore di avere timore, anzi lo proietta verso le grandi sfide che ci fanno scegliere continuamente Dio, la sua misericordia e il suo amore di Padre premuroso. Fidarci quindi condividere è l’apertura di cuore che la liturgia odierna consegna come invito al cammino di fede di ciascun cristiano. Possa questo essere non solo un consiglio evangelico ma anche un messaggio che conforti e supporti le nostre vite alle prese con ansie e paure. Nell’abbandono a Dio è la chiave della felicità. Nel sangue di Cristo fraternamente vi abbraccio. Don Luigi e comunità cpps. XXXII domenica del Tempo Ordinario, 11 Novembre 2012