Pagina 136 Mangiare con gli occhi: trend attuali nel progetto della

∂   2012 ¥ 3
Traduzioni in italiano
∂ – Rivista di Architettura
Traduzione completa in italiano dei testi originali
2012 ¥ 3 · Gastronomia
Traduzione: Rossella Mombelli
E-Mail: [email protected]
1
Potete trovare un’anteprima con immagine di tutti progetti cliccando su: www.detail.de
http://www.detail.de/rw_5_Archive_De_HoleHeft_254_ErgebnisHeft.htm
http://www.detail.de/rw_5_Archive_En_HoleHeft_254_ErgebnisHeft.htm
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Mangiare con gli occhi:
trend attuali nel progetto della
­ristorazione
Claudia Fuchs
Stile Fusion e cucina regionale, Show Cooking e locali Pop-Up, Fast-Food e santuari
gourmet, l’attuale proposta gastronomica è
poliedrica ed offre una sfaccettata piattaforma di esperienze del gusto in luoghi dall’ambientazione contestuale. E’ noto, gli occhi
mangiano unitamente al palato, e a contare
non è solo la presentazione estetica del piatto, ma anche l’ambiente che lo circonda.
Gli interni di un ristorante hanno la capacità
di rendere più intenso oppure di offuscare il
piacere dei piatti. Legare stile e atmosfera
di un interno con un’idea convincente implica un’accurata composizione architettonica,
di design e illuminotecnica, come un menù
perfettamente equilibrato. Gli accostamenti
sono vari e si va dal design per scelta minimal, al decoro più eccessivo, da ampi spazi
al privée, dai ristoranti introversi che fugano
la quotidianità del circostante, ai locali più
estroversi che si aprono verso spazialità
­urbane giocando sull’alternanza di relazioni
visive interno-esterno. Che sia sulla terrazza
di un grattacielo piuttosto che combinato allo shopping, la visita al ristorante, per molti,
è vissuta come un’esperienza. E per questo
motivo, oltre al ristorante classico, spuntano
nuovi concetti. Nel saggio a seguire, presentiamo taluni aspetti per tipologie e scelte
estetiche.
Luoghi particolari: Sky Bar, ristoranti
­panoramici, gastronomia alberghiera
I locali per la ristorazione utilizzano da tempo, con successo, la collocazione in situazioni particolari, con terrazze panoramiche o
viste sulla città. Nelle grandi città, le migliori
collocazioni particolari sono sulla cima degli
edifici elevati, il cui piano alto è particolarmente attraente ed economicamente vantaggioso per bar e ristoranti. Lo Sky Bar del
Marina Bay Sands Resorts di Singapore è
oggi una delle location più spettacolari. Si
tratta di un gigantesco complesso immobiliare dove trovano sede un centro congressi,
una Shopping Mall, un Casinò e l’hotel progettati dallo studio Moshe Safdie. A 200 metri d’altezza, un aggregato a forma di scafo
sviluppato in lunghezza si colloca sopra i tre
grattacieli a lama dell’hotel. La piattaforma
del 57esimo piano, di un ettaro di superficie,
con piscina, giardino pensile, ristorante e
bar offre un’eccezionale vista sullo skyline
di Singapore. Il massimo effetto panoramico
si percepisce dal punto più elevato della terrazza dello Sky Bar: separati dal vuoto vertiginoso solo da una parete in vetro, sembra
di fluttuare sulla città e sulla baia. Simbolo
dell’espansione urbana, l’architettura colpisce per la dimensione pura e per l’ardita
struttura ingegneristica, che rispecchiano
al tempo stesso la dinamica delle metropoli
asiatiche ed arabe.
Nel contesto e nelle dimensioni di una città
europea, Jean Nouvel inscena la vista dal
Le Loft, sopra il paesaggio dei tetti viennesi
sino a spingersi al Duomo di Santo Stefano.
Il ristorante si colloca all’ultimo piano dell’hotel Sofitel di categoria lusso, lungo il canale
del Danubio, davanti al centro storico di
Vienna. Nouvel getta le basi di progetto
­immobiliare ibrido, con hotel e centro commerciale, sotto forma di volume complesso
rivestito con una facciata di differenti trasparenze. Al 18esimo livello, nella terrazza
­vetrata, l’eterea sala di ristorazione, alta sei
metri, gode di un’intensa luminosità: la
­disposizione interna offre a tutti gli ospiti una
visuale senza barriere. I tavoli per i 220 ospiti di bar e ristorante sono disposti lungo tre
lati della facciata in vetro intorno al bar sopraelevato in posizione centrale. Le poltroncine rivestite in cuoio e le lampade da tavolo
a cubo conferiscono all’ambiente una sobria
eleganza. La scala monocromatica degli interni in lineari forme geometriche contrasta
morbidamente con il soffitto luminoso di
­Pipilotti Rist realizzato in tela colorata e
­retroilluminata. L’artista svizzera sulla superficie di oltre 1000 metri quadrati ha selezionato come motivo chiome arboree tinte di
colori autunnali. La sera i riflessi si rispec-
chiano sulla facciata in vetro e il soffitto
­sembra fluttuare nel buio della notte.
A Barcellona, il Mandarin Oriental è un altro
esempio di Grandhotel contemporaneo di
categoria superiore allestito con estrema
­cura. Gli architetti Carlos Ferrater e Juan
Trias de Bes hanno convertito con la collaborazione della designer Patricia Urquiola
un’ex banca in un luminoso e aperto hotel
urbano. Di particolare nota è l’involucro assegnato allo spazio precedentemente destinato agli sportelli. Distribuito su due livelli,
l’ambiente illuminato dai lucernari, si staglia
con chiare pennelate di colore arredato con
gruppi di sedute informali, divani e sedie disegnati dalla Urquiola. Il motivo ornamentale
del rivestimento parietale tessile trova continuità nello schermo sospeso che genera
­interessanti giochi di luce. Sulla terrazza si
trova un altro ristorante, un’oasi verde che
invita a sedersi all’aperto per gustare i piatti
preparati in una cucina Open-Air.
Ristoranti Pop-Up
Mentre i ristoranti d’hotel si orientano ad un
concetto di lunga durata che implica complessità di realizzazione e relativi costi d’investimento, i progetti Pop-Up implicano l’uso
di superfici funzionali per periodi di tempo limitati. Numerosi sono i bar, i locali, i club di
ogni genere che spesso nascono in maniera
spontanea insediandosi in superfici non utilizzate o in edifici vuoti o, meglio ancora, in
location inconsuete con tutta la complessità
creativa che le accompagna. A Berlino Est,
dopo la caduta del muro, sono sorti numerosi bar scenografici e club frutto di improv­
visazioni in luoghi inconsueti. Alcuni progetti
assumono l’aspetto della messa in scena o
della performance, ma a fronte di alcuni
­episodi di sperimentazione troviamo anche
concetti architettonici completamente nuovi.
Un concetto spaziale e costruttivo alquanto
inconsueto è stato presentato con il ristorante temporaneo Studio East Dining realizzato
nel 2010, a Londra, sul tetto del centro commerciale Westfield Stratford City. Al di sopra
dell’allora in costruzione Shopping Mall e di
fronte alle costruzioni per i Giochi Olimpici,
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Traduzioni in italiano
gli architetti Carmody Groarke hanno realizzato un ristorante temporaneo in copertura
impiegando tubolari di ponteggi, tavole da
cantiere e una pellicola in polietilene traslucido riciclabile. Il padiglione di 800 m² di
estensione, nel quale trovano posto 2.000
clienti, è stato realizzato in tre settimane.
Gli otto corpi del volume sono orientati in direzione degli scorci panoramici con grandi
aperture rivolte verso il paesaggio. Gli ospiti
siedono attorno ai lunghi tavoli, anch’essi
­realizzati in pianali, con lampade da cantiere
per l’illuminazione e tavole da ponteggio che
rivestono le pareti divisorie dei padiglioni
“poveri”. Le dimensioni derivano dal modulo
della lunga tavola intorno alla quale si siedono gli ospiti.
Il trend globale asiatico
I piatti asiatici, da anni considerati pre­
libatezze, trovano attualmente sempre più
sostenitori. La cucina leggera e ricca di verdure è “in”, ed essendo di rapida preparazione, sembra favorire le abitudini di vita
delle moltitudini che riservano poco tempo
al consumo dei cibi sia nella breve pausa
di mezzogiorno che per la cena. Di conseguenza molte tavole calde e ristorazioni
­rapide sono allestite con tavoli alti e sgabelli
per risparmiare spazio e testimoniare la
­rapida permanenza dell’ospite nel locale.
Nel contempo, diversi sono i ristoranti asiatici di classe, alcuni dei quali sono diventati
marchi di successo a diffusione internazionale. Uno dei precursori è stato il gastronomo londinese, originario di Hong Kong, Alan
Yau che nel 1992 ha aperto a Londra il ristorante Wagamama, inaugurando così un genere di gastronomia completamente nuovo
sia per gli ingredienti – piatti giapponesi a
base di pasta relativamente economici – sia
per l’architettura d’interni e la disposizione
dei posti a sedere: gli avventori siedono ad
un lungo tavolo dove il consumo del cibo è
considerato parte di un’esperienza comunitaria secondo il concetto sviluppato in collaborazione con John Pawson Architects.
Yau ha anche lanciato il ristorante cinese
Hakkasan, insignito di stellette Michelin,
­dove la ricca decorazione e la preziosità
­degli arredi rispecchia l’elevata qualità gastronomica proposta. Gli interni del primo
Hakkasan di Londra (2001) sono stati allestiti da Christian Liaigre in toni cupi di nero
e blu che hanno dato luogo ad atmosfere
­nobili quasi di mistero. Lo spazio è caratterizzato anche dall’essenza rovere scuro
di tavoli, sedie ed elementi di separazione
lavorati a mano che interpretano in chiave
contemporanea gli elementi d’arredo tradizionali cinesi. Le lampade a sospensione
sottolineano la presenza dei tavoli come isole di luminosità. Il bar che si estende in lunghezza con gli sgabelli di cuoio e il lounge
adiacente con poltroncine offrono al cliente
maggiore possibilità di soffermarsi nel locale
(DETAIL 5/2003). Altri Ristoranti Hakkasan a
Miami, Dubai, Abu Dhabi e, prossimamente,
New York progettati da Gilles et Boissier con
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atmosfere sature di particolari, hanno la prerogativa di trasportare gli ospiti nel proprio
peculiare mondo. Anche Sake No Hana, a
Londra, è stato concepito da Alan Yau: nel
padiglione dell’Economist Building, icona
dell’architettura londinese degli anni ’60 di
Peter e Alison Smithson, sorprende il ristorante i cui interni sono connotati da una
­sorprendente atmosfera giapponese. Kengo
Kuma ha interpretato lo spazio a sviluppo
verticale permeato dalla luce diurna secondo elementi costruttivi giapponesi. Una struttura che ripropone la sagoma di una chioma
arborea, realizzata in aste di bambù, riveste
il soffitto del piano terra, mentre un elemento
del tutto simile in listelli di cedro abbiglia il
soffitto del piano superiore. Lamelle traslucide disposte lungo la facciata in vetro filtrano
la luce. L’ospite può scegliere diverse aree
di seduta, arredate con tatami, sedie, o direttamente al bancone del bar. E’ il tempio
della cultura gastronomica giapponese dove
il cibo diventa un rito. Anche il personale di
servizio in abiti tradizionali contribuisce alla
preziosità che pervade il locale.
Gastronomia museale: nuovi concetti
L’offerta gastronomica al museo si è ampiamente sviluppata negli anni passati: il ventaglio di possibili locali va dalla caffetteria a
disposizione solo dei visitatori del museo,
­sino al ristorante di classe, integrato nell’edificio. Il nesso tra culturale e culinario unisce
in maniera sempre crescente anche proposte alternative come visite guidate con cena
al termine; molte istituzioni museali mettono
poi in locazione, al di fuori degli orari di
apertura, i propri spazi gastronomici per
­manifestazioni private.
Nella Collezione Brandhorst, a Monaco
di Baviera, il caffè del museo è elemento
­integrale del concetto architettonico di
­Sauerbruch Hutton. Collocati nell’immobile
di testata, il caffè, l’ingresso, il foyer e il
­bookshop sono tra loro connessi in un ampio spazio accessibile anche senza biglietto
d’ingresso. Spazi caratterizzati da essenze
di legni chiari per il rivestimento di pareti,
banconi della biglietteria e arredi progettati
appositamente. Il banco bar e due tavoli
­lunghi 12 metri con comode sedute creano
un’area di comunicazione informale.
­Attraverso le superfici vetrate simili a vetrine,
­l’interno del caffè si relaziona con la vita
­urbana, mentre alcune sere, i passanti si
stupiscono del fatto che il bar accolga
­anche lunghe tavolate. La proposta
­supplementare delle aziende di catering
che aprono la sera le caffetterie con menu
gastronomici si chiama “Notte al Museo”.
Un ristorante sull’onda del successo da
­anni, che sfrutta gli spazi del museo ma che
è accessibile anche indipendentemente dalle mostre, è il Le Georges. All’ultimo piano
del Centre Pompidou di Parigi, gli architetti
Dominique Jakob e Brendan MacFarlane,
nel 2000, hanno trasformato il ristorante già
esistente nella sobria struttura in un locale
scenografico. Elementi futuristici biomorfi
contrastano con arredi di linee geometriche
disposti seguendo un concetto di essenzialità e con la struttura portante a vista dell’edificio che, Renzo Piano e Richard Rogers
hanno utilizzato per innestare nel centro di
Parigi una “Raffineria della cultura” di gusto
sorprendentemente futuristico. Nelle “Bubbles”, esternamente rivestite di lamiera di
­alluminio e internamente in caucciù, trovano
posto la cucina, la dispensa, il guardaroba
e un bar. Il ristorante include tra l’altro una
terrazza con una delle migliori viste panoramiche su Parigi.
L’intervento operato nell’autunno 2011 presso
il Musée d’Orsay di Parigi, con l’allestimento
del nuovo Café Campana, dimostra che i
nuovi input gastronomici sono spesso
­funzionali ad un “rinfrescamento” dell’istituzione esistente. Al piano superiore del museo,
i designer brasiliani Fernando e Humberto
Campana hanno rimodernato il Caffè de
l’Horloge: dietro l’orologio di grande presenza
dell’ex stazione ferroviaria è stato allestito un
ambiente ludico carico di elementi di fantasia. Una quinta blu cangiante a specchio
scherma l’area cucine mentre una rete metallica a forma di corallo tinta di rosso abbraccia
l’area delle sedute, corpi illuminanti oro fluttuano creando isole sopra leggeri gruppi di
sedie e tavoli. La coreografia include anche
gli abiti marroni del personale di servizio e le
stoviglie. Il caffè porta nuova luminosità all’interno di un museo di carattere monumentale
pur preservandone l’esclusività.
Il progetto del 2001 di Lacaton & Vassal
presso il Palais de Tokyo testimonia nuovamente l’apertura degli spazi: dietro la
­facciata monumentale dell’edificio risalente
al 1937 gli architetti hanno mantenuto quasi
al grezzo la struttura esistente, eseguendo
solo interventi molto prudenti. Il carattere
non finito e quasi industriale dello spazio
contraddistingue anche l’area gastronomica
ed espositiva tra loro in relazione visiva diretta. In linea con il concetto di museo come
piattaforma per l’arte contemporanea, con
caratteristiche di punto d’incontro e spazio
aperto per dibattiti, i due settori deputati alla
gastronomia trasmettono un’atmosfera
­informale: il ristorante allestito da Stéphane
Maupin e la caffetteria senza servizio al
­tavolo. L’edificio invita il visitatore ad usare
lo spazio come una piazza e con il pro­
gramma delle manifestazioni e gli orari di
apertura fino a mezzanotte guarda esplicitamente ad un pubblico giovane.
Ristoranti negli spazi commerciali –
­forme ­ibride
Sinergie come nel settore della cultura si
­riscontrano anche nella combinazione di
­gastronomia e shopping. Fare una pausa
durante gli acquisti per mangiare o bere
qualcosa, è un’abitudine che esiste da ­lungo
tempo anche nei mercati coperti, nei bazar
o nei mercati di strada. I grandi magazzini
corteggiano i propri clienti con offerte
­gastronomiche, soprattutto perché dopo la
pausa si è nuovamente pronti per gironzola-
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re tra gli scaffali. Con la realizzazione dei
Shopping Mall, l’offerta è stata implementata
quantitativamente ma non necessariamente
sotto l’aspetto qualitativo. Numerosi operatori gastronomici, fra i più diversi, spesso
­raggruppati in una “Food Court”, offrono ai
consumatori dall’asiatico al mediterraneo,
dalla semplice tavola calda al locale tematico trendy, con un’offerta alimentare decisamente ampia ma spesso uniforme. Anche in
questo settore infatti, le catene in franchising
sono molto diffuse. Sotto l’aspetto dell’allestimento d’interni inoltre, le soluzioni standard lasciano poco spazio alla progettualità
architettonica. Su piccola scala, tuttavia, nei
negozi di moda e design non vincolati alle
grandi catene si possono trovare numerose
nuove idee che combinano l’offerta commerciale al bar o al locale per lo spuntino,
che comunque rappresentano una fonte
di incasso. Anche numerose librerie offrono
ai propri clienti aree di lettura con bancone
caffè, come nella stazione centrale di Lipsia
dove la libreria utilizza l’ex lounge della
Deutsche Bahn come caffetteria.
Nel negozio di specialità gastronomiche
francese Fauchon i clienti possono gustare
le specialità della casa al banco caffè, al
bancone del bar o nel ristorante. In sintonia
con l’immagine del marchio internazionale,
l’architetto e designer Christian Biecher ha
sviluppato un concetto formale per lo shop
e le aree gastronomiche con superfici lucide
oro e argento, in modo del tutto simile ai
pacchetti regalo. Le superfici di distribuzione in Pink conducono all’area di ristorazione
i cui interni, eleganti e glamour, sono caratterizzati da divani e tendaggi in argento, da
sedie con rivestimenti bianco-nero e tavoli
rosa, sia nella sede parigina che nella filiale
di Pechino.
Molte case d’alta moda propongono Haute
Couture e Haute Cuisine. Il Trendsetter più
famoso, in questo caso, è Giorgio Armani
che nel 2000 ha aperto il Nobu all’interno del
Flagshipstore di Milano. Parti integranti del
marchio, mescolati a moda, design, lifestyle
e gastronomia, i caffè e i ristoranti Armani
sono in tutto il mondo un elemento fondamentale dello shop. L’Armani Ginza T
­ ower
di Tokio di Doriana e Massimiliano Fuksas
raduna in 12 piani di edificio l’intera collezione, un ristorante italiano e un bar. Le scelte
formali incentrate sui toni dell’oro continuano
senza soluzione di continuità anche nel
­ristorante, dove paraventi traforati color oro
schermano le isole di sedute sparse nello
spazio libero. Le pareti e i soffitti cangianti
di riflessi dorati, le poltroncine imbottite bianche e l’illuminazione soffusa concretizzano
un’atmosfera di lusso dove il cliente si sente
parte del mondo glamour della moda.
Open Cuisine – Arte gastronomica e
­Entertainment
I ristoranti delle case di moda mettono gli
ospiti al centro della scena. E la stessa cosa
si può fare anche con la preparazione dei
piatti. Nel cuore di Milano, i due esercizi di
Traduzioni in italiano
Princi, panetterie con tavola calda, sottolineano l’importanza della qualità degli alimenti
e del processo di lavorazione. I locali sono frutto della progettazione di Claudio
­Silvestrin. Dal 2006, il Princi aperto nelle vicinanze di Piazza Duomo mostra particolare
riguardo per un alimento base come il pane,
dandone prova già in facciata: un piccolo
box di vetro sporge dalla vetrina e, al suo
­interno, come un gioiello, è esposto del
­pane. Gli interni dello spazio longitudinale a
disposizione è caratterizzato da un progetto
formale purista e dalle superfici materiche
delle pietre color sabbia applicate a parete
e pavimento. Un lungo banco di vendita accompagna il cliente nello spazio, dove pane
e paste al forno vengono presentate sotto
vetro. Nel negozio se ne può gustare una
piccola selezione ai tavolini in piedi, mentre
si osserva attraverso una parete di vetro in
fondo al locale come un panettiere impasta
il pane e lo infila nel forno. Tonalità color terra, forme lineari, concentrazione su pochi
materiali e la serenità degli spazi sottolineano il concetto del rimando all’essenzialità.
Si vede quello che si mangia: un “credo”
che in altre forme viene celebrato nel
­ristorante Dos Palillos a Berlino: la “Open
Cuisine” è al centro. Al piano terra dell’Hotel
­Casa Camper, i designer francesi Ronan
e Erwan Bourollec hanno allestito lo spazio
con un lungo banco di vendita lineare e tinto
di bianco, ma l’attenzione si focalizza sulla
preparazione dei piatti: lungo il banco siedono gli ospiti proprio di fronte al cuoco che,
in una cucina aperta, prepara piatti asiatici
nello stile Tapas spagnole. La cucina è al
centro del volume e quattro cuochi vi lavorano per 30 ospiti. Dal punto di vista spaziale,
il bar si dispone su due livelli, mentre un
­ulteriore livello è ricavato al piano inferiore.
Imput regionali
Spesso sono i ristoranti meno spettacolari
e quelli più caratteristici ad investire in una
cucina autentica, regionale e stagionale, con
concetti di sostenibilità e con cibi di produzione biologica. Il movimento “Slow food” è
attualmente attivo anche in Germania come
lo sono i gastronomi e gli albergatori, le cooperative e altre forme alternative di somministrazione gastronomica. In alcune località si
ripristinano le osterie regionali di campagna
come, per esempio, nel Vorarlberg, il Freihof
Sulz rimasto per molti anni vuoto, è stato
convertito in un bioristorante con spazi
­seminario e bioshop. Nella località di Vnà, in
­Bassa Engadina, con la ristrutturazione del
Piz Tschütta, un’antica casa è stata riportata
in vita come centro di cultura e di ospitalità
con piccolo hotel. Nella nuova sala di somministrazione e nelle due Stube gli ospiti
possono degustare specialità regionali.
Il concetto realizzato con il placet dei residenti rappresenta un valido esempio di
­turismo sostenibile.
Non è solo la cultura del cibo a ricevere
nuovi impulsi dall’aspetto locale e dalla
3
­ emoria della qualità dei prodotti regionali.
m
Le idee che provengono dalle strutture di
minime dimensioni e che nascono dalle reti
locali potrebbero rappresentare una controtendenza rispetto ai trend globalizzanti che,
attualmente, influenzano in maniera importante anche la gastronomia: in cui l’arte culinaria fonde le influenze di molti paesi e i gastronomi dilagano ovunque con concetti di
successo. Quanto più è affascinante il Sampling culturale, tanto più i risultati sono diffusi, al punto che i menù e gli stili d’allestimento appaiono ormai quasi tutti simili. Sarebbe
auspicabile che un’accurata preparazione
e il piacere consapevole non contraddistinguessero solo una gastronomia d’alta
­classe, ma godessero di una diffusione
maggiore. Una corrispondente progetta­
zione formale ne può enfatizzare i toni e
più personali sono le preparazioni culinarie,
più diventa personale anche la cornice
­creata da architetti e designer.
Tipologie:
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Chiosco di würstel a Bayreuth
Bayreuth non è famosa solo per il Festival di
Wagner ma anche per i suoi würstel. I nuovi
chioschi sono stati una tematica animosamente discussa da amministrazione comunale e residenti. L’incarico affidato agli
­architetti includeva molto di più del semplice
progetto dei chioschi: si trattava di ridisegnare l’intera area pedonale che si relaziona
con la storica piazza mercato per recuperarne fascino. La pavimentazione è stata rinnovata, inserite aree verdi, un canale d’acqua
sostituito da un parco giochi per bambini.
Al termine del concorso per i nuovi chioschi,
è stata scelta la proposta di un volume molto
simile ad un chiosco di giocattoli con finestre, timpano e tetto a spioventi. La Casa
­arcaica diventa contemporanea usando determinati materiali: una struttura in montanti
di legno rivestita da una lamiera d’acciaio
con inserite lastre rosse fanale di vetro a
­fuga aperta. L’unica scritta che si legge da
lontano è “Bratwurst”, con lettere in vetro
acrilico colorato.
Inizio lavori: 2010
Fine lavori: 2010
Superficie lorda: 11 m²
Superficie utile: 8 m²
Altezza interna: 3 m
Costo lordo di costruzione: 70 000 €
Operatori: 1
Cuochi: 1
Clienti/giorno: 200
Posti a sedere: nessuno
Superficie cucina: 8 m²
Area pasti: solo spazi pubblici
Orario di apertura: 8.00 – 20.00
Tipologia gastronomica: da asporto
Sezioni
Pianta
scala 1:100
Planimetria generale
scala 1:5000
4
Traduzioni in italiano
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Ristorante Cave, Sidney
Non appena il cliente oltrepassa la soglia
del ristorante, sito in una delle vie più amate
del quartiere Maroubra, si immerge in
­un’atmosfera tranquilla e quasi sensuale.
Completamente schermato dal rumore della
strada, il locale gode di un’acustica simile a
quella di uno studio di registrazione. Alla
­base del progetto c’è uno studio mirato a
creare l’ambiente sonoro più confortevole
per gli avventori. L’immagine di una caverna
naturale sublimava infine sia l’aspetto acustico che ambientale. L’installazione è stata
­riprodotta con centine di legno la cui forma,
spessore, e passo sono stati realizzati secondo un modello 3D che ne permettesse
la verifica delle proprietà fonoassorbenti. Il
taglio delle lastre in compensato multistrato
è stata realizzata con una fresa CNC direttamente dal modello 3D, con il vantaggio di
­ridurre al minimo gli sfridi. Dall’ingresso, le
nervature vengono percepite come una
­superficie e solo all’interno ci si accorge che
si tratta di singoli elementi. Nascondono il
canale di ventilazione preesistente sospeso
al soffitto. In corrispondenza del punto più
basso del soffitto, disposto leggermente in
diagonale, trova posto il nastro scorrevole
per il sushi. I colori vivaci delle vivande che
scorrono sul nastro giallo attirano l’attenzione del cliente il quale, al riparo dal caos
­urbano, si gode la tranquillità del luogo.
1
2
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4
5
6
7
8
9
Ingresso
Sala
Nastro Sushi
Preparazione Sushi
Cassa
Guardaroba
Cucina (esistente)
Cella frigorifera (esistente)
Ufficio
Planimetria generale
scala 1:2500
Sezione
Pianta
scala 1:100
Inizio lavori: Settembre 2009
Fine lavori: Gennaio 2010
Superficie lorda: 116 m2
Superficie utile: 106 m2
Superficie connettivo: 22 m2
Altezza interna: 1,80 – 2,50 m
Costo lordo di costruzione: 203 000 €
Collaboratori: 6 – 8
Cuochi: 5 Sushi Bar, 2 cucina
Clienti/giorno: 400 – 500 (incl. Takeaway)
Posti a sedere: 19
Superficie cucina: 17 m2
Superficie sala: 50 m2
Area preparazione Sushi Bar: 15 m2
Orario di apertura: 11.30 – 21.30
Tipologia gastronomica: cibi freschi
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Ristorante Fast Food
Salad Station a Istambul
In Europa e America, i ristoranti Fast Food
che offrono preparazioni salutiste sono da
anni diffusi, mentre sono piuttosto rari nella
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Istambul dei bazar, delle case del caffè e
dei venditori di Kebab. Nella primavera 2009
è stato inaugurato il primo locale Fast Food
della catena Salad Station, collocato in
Istiklal Caddesi, la zona pedonale e via
commerciale centrale di Beyoğlu, nella
­parte europea di Istambul.
Anche l’edificio d’epoca risalente alla fine
del XIX secolo in cui si è insediato il ristorante ha un aspetto occidentale. I nuovi arredi
lasciano l’esistente intatto: un soppalco
­sospeso al soffitto, in struttura d’acciaio,
mantiene un distacco dai muri in bianco di
calce. La zona di preparazione si trova sotto
il soppalco, mentre la cucina vera è propria
è esterna all’edificio. La selezione di materiali naturali e non trattati come legno, malta
di calce, acciaio, dovrebbe suggerire un
­parallelismo con l’offerta gastronomica che
in modo del tutto simile propone ingredienti
naturali e non trattati. La varietà di piatti offerta, va dalle zuppe ai sandwich, ai Wraps
che si possono riempire individualmente oppure ordinare secondo quanto scritto sulla
lavagna. Lo stesso procedimento si segue
per le insalate che vengono preparate alla
turca con olive e feta oppure secondo ri­cette
asiatiche e messicane. Per l’ampio successo ottenuto, di cui sicuramente è in parte
­responsabile la location, la catena si è
­sviluppata rapidamente e attualmente sono
in funzione altri 5 locali. Concettualmente
­sono tutti simili al prototipo, con il frigo self
service per bevande e insalate dietro l’area
d’ingresso e il lungo bancone per le ordinazioni. Solo la Salad Station di un Shopping
Mall è stata concepita come semplice chiosco di vendita. Comune a tutti è il simbolo
verde affisso che imita quello della Metropolitana londinese creando una relazione con
la città europea con la maggior concentrazione di “Healthy Fast Food Restaurant”.
Il verde è anche il colore dominante degli
­interni, dal pavimento agli scaffali, uguale
per tutti i locali e facilmente riconoscibile.
Planimetria generale
scala 1:2500
Sezioni
Piante
scala 1:200
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Ingresso
Frigorifero bevande
Distribuzione
Banco Self Service
Sala
Cucina
Locale personale
Deposito
Soppalco
Inizio lavori: Gennaio 2009
Fine lavori: Marzo 2009
Superficie coperta: 87 m2
Superficie lorda: 201 m2
Superficie utile: 127 m2
Superficie connettivo: 50 m2
Altezza interna: 4,27 m / 2,15 m (soppalco)
Costo lordo di costruzione: ca.175 000 €
Collaboratori: 7
Cuochi: 1
Clienti/giorno: 400 – 500
Posti a sedere: 44
Superficie cucina: 14 m2
Superficie sala: 45 m2
Superficie bancone: 25 m2
Orario di apertura: 9.00 – 23.00
Tipologia gastronomica: cucina mista
Pagina 168
Ristorante Pizzeria
Maximiliano a Los Angeles
Gli interni del ristorante italiano sono ritagliati
sulla cucina dello chef Andre Guerrero.
­Risaltano le pareti tinte nei colori nazionali,
rosso, bianco e verde che cingono una
pianta triangolare: mentre i setti di muro verso strada, in cui si inseriscono grandi vetrine, sono seriosamente intonacati di bianco,
la parete verso sud è ornata con un motivo
astratto che ricorda spaghetti sovradimensionati. La decorazione è fresata su un pannello di colore rosso e le linee parallele che
iniziano dal soffitto calano verso il basso risolvendosi in una cascata di onde e lacci ad
andamento casuale; il motivo conferisce alla
parete una certa importanza ottenendo al
tempo stesso una vivacità scenografica con
un chiaro rimando alla pasta fatta in casa
per la quale lo chef è diventato molto noto.
Il terzo lato del triangolo è dominato da una
fascia di lamelle verdi semitrasparenti e
­retroilluminate che separano visivamente la
sala di somministrazione dalla cucina dove
trova posto l’imponente forno per la pizza su
due livelli, visibile anche dal bar. L’avventore
ordina scegliendo da una vasta selezione
di vini italiani o tra sette tipi di birra prodotti
da un birrificio di Pasadena, che solo
­Maximiliano distribuisce a Los Angeles.
Il menu è intitolato “Kinda Old School”,
­ricordando che i piatti sono basati sulle
­ricette italiane classiche comunque reinterpretate in vario modo.
Pianta
scala 1:200
Planimetria generale
scala 1:2500
1
2
3
4
5
6
7
8
Ingresso
Sala
Bar
Cucina a vista
Forno per pizza
Cucina
Cella frigorifera
Doccia
Inizio lavori: Giugno 2011
Fine lavori: Ottobre 2011
Superficie coperta: 483 m2
Superficie lorda: 209 m2
Superficie utile: 195 m2
Superficie connettivo: 8 m2
Altezza interna: 4,00 m
Costo lordo di costruzione: 154 400 €
Collaboratori: 11 – 15
Cuochi: 3
Clienti/giorno: 175 – 250
Posti a sedere: 72
Superficie cucina: 74 m2
Superficie sala: 120 m2
Superficie Bar: 7 m2
Orario di apertura: 17.00 – 23.00, Ve/Sa fino 24.00
Tipologia gastronomica: cibo fresco
∂   2012 ¥ 3
Pagina 170
Caffè-Galleria Espai ad Olot
In una cittadina della Catalogna come Olot,
il bar è il luogo d’incontro della terza età e
dei lavoratori. Al mattino vi si ritrovano pensionati e madri di famiglia con bambini per
bere un caffè, mentre a pranzo si servono
piatti veloci per chi ha poco tempo; di sera il
locale è frequentato da studenti e giovani
mentre si servono i drink e la musica è a alto
volume. La proprietaria gestiva da tempo un
bar situato in un edificio d’epoca poi demo­
lito nell’ambito di un risanamento urbano che
è stato sostituito da un immobile di nuova
costruzione. Il locale si inserisce nello stesso
luogo ma con un ambiente completamente
nuovo. Gli avventori sono i medesimi, il linguaggio architettonico diventa più moderno
e si adegua con le pareti in calcestruzzo
all’immagine della città lapidea.
Il locale è dominato dalla scultura-arredo
in acciaio preossidato che, nella zona più
appartata del locale a L, crea delle nicchie
con sedute. Gli elementi si compongono
di due parti prefabbricate la cui dimensione
è risultante dalla larghezza della strada.
Dietro le nicchie, in uno stretto passaggio,
sono disponibili posti a sedere dotati di
connessioni elettriche per portatili e cellulari. Alle pareti l’esposizione di quadri realizzati dagli studenti dal vicino Liceo artistico
muta costantemente. Anche nell’arredamento, la committente si è adeguata alle
­richieste dei clienti: un telo mobile è stato
predisposto per le videoproiezioni, anche
se l’uso più frequente, in realtà, è per la
­visione di partite di calcio. I giochi automatici e tutte le attrezzature sono inserite in
nicchie a parete in testata e lungo il bar.
Per mitigare il rigore delle scelte minimaliste, gli architetti hanno optato per elementi
scorrevoli in acciaio che filtrano la luce
­nello locale rendendola morbida.
Pianta • Sezioni
scala 1:200
1 Ingresso
2 Sala
3 Bar
4 Deposito
5 Cucina
6 Servizi igienici
7Postazioni Internet con
superficie espositiva
8 Sala con scultura d’arredo
Inizio lavori: Febbraio 2010
Fine lavori: Gennaio 2011
Superficie lorda: 100 m2
Superficie utile: 97 m2
Superficie connettivo: 57 m2
Altezza interna: 4,00 m
Costo lordo di costruzione: 145 000 €
Collaboratori: 4
Cuochi: 1
Clienti/giorno: 170
Posti a sedere: 45
Superficie cucina: 15 m2
Superficie bar/bancone: 45 m2
Orario di apertura: 7.00 – 16.00 / 19.00 – 24.00
Tipologia gastronomica:
degustazione cibi freschi
Traduzioni in italiano
Pagina 172
Caffè e lounge bar
Caffè di Mezzo a Castelfranco Veneto
Castelfranco è un’affascinante località veneta il cui centro storico è cinto dalle possenti
mura del fortilizio medievale. Sebbene il locale sia collocato al di fuori della cinta, in un
immobile del XX secolo, dall’interno del caffè
si vedono le mura. In seguito alla ridistribuzione degli spazi dell’intero edificio, il piano
terra è stato convertito in caffetteria mentre
il piano interrato è diventato lounge bar.
Il caffè che prepara piatti veloci anche a
pranzo, segue il tipico modello italiano con
una pianta allungata, un bancone di vendita
con vetrina per prodotti da forno e tavolini
disposti parallelamente. Quello che è ordine
derivante dalla necessità di spazio, si eleva
a principio formale degli interni: implementando l’orientamento longitudinale tramite
­l’illuminazione, l’andamento delle fughe del
pavimento e del rivestimento murale. Il
­bancone in Corian, lungo 20 metri, mono­
cromatico, illuminato dal basso, apparentemente sospeso nel vuoto, vede integrate
­alcune funzioni legate alla gastronomia,
­data la mancanza di una cucina separata.
Un cubo di vetro che contiene la scala funge da terminale del banco instaurando una
relazione con il livello inferiore dove l’ambiente è dominato da accoglienti poltrone
scure che invitano l’ospite a trattenersi.
­Anche il Lounge bar del piano inferiore
­viene servito dall’area di somministrazione
del piano superiore. Al piano è stato pre­
disposto solo un banco di ridotte dimensioni
per le stoviglie.
Inizio lavori: Febbraio 2009
Fine lavori: Luglio 2009
Superficie coperta: 100 m2
Superficie lorda: 250 m2
Superficie utile: 200 m2
Superficie connettivo: 40 m2
Altezza interna: 3,00 m
Costo lordo di costruzione: 600 000 €
Collaboratori: 3
Cuochi: 1
Clienti/giorno: 300
Posti a sedere: 90
Superficie cucina: 30 m2
Superficie sala: 120 m2
Superficie Bar: 20 m2
Orario di apertura: 7.00 – 1.00
Tipologia gastronomica:
cucina rigenerativa
Planimetria generale
scala 1:2500
Sezioni
Piante
scala 1:250
1 Ingresso
2 Sala
3 Caffèbar
4 Lavaggio
5 Vetrina gelati
6 Lounge
7 Bar
8 Impianti
9 Cucina
10 Deposito
11 Ufficio
5
Pagina 174
Ristorante Fastvinic a Barcellona
Circa due anni dopo l’apertura dell’elegante
enoteca “Monvinic” è seguita l’inaugurazione
nello stesso isolato di “Fastvinic”, due locali
separati solo dall’androne del cortile interno.
Per questo locale, il committente, un imprenditore amante del vino di origine catalana,
desiderava un sandwich-bar altamente ecosostenibile. “Gli avventori di ­Monvinic visitano mediamente anche Fastvinic, solo che lo
fanno in un momento diverso rispetto al primo”, commenta l’architetto d’interni. “A pranzo lo stesso cliente ordina in jeans e maglietta un sandwich con insalata, la sera, vestito
elegante, centellina un vino di classe”. Il
“Fast” di Fastvinic è solo un rimando ammiccante alla definizione “Fastfood”. In un’accezione positiva, il servizio non è complicato
né pretenzioso, proprio come in una catena
di fastfood. In questo locale, si può pensare
di festeggiare persino un compleanno per
bambini o consumare uno spuntino in piedi,
piuttosto che trascorrere un pomeriggio a
leggere un libro, naturalmente in compagnia
di un bicchiere di vino. Il pane proposto ha
acquisito un valore particolare per il pregio
degli ingredienti, tutti di provenienza regionale nel raggio di 200 km e da produzione
biologica. E’ stato predisposto anche un
opuscolo dei fornitori, dove il cliente interessato può avere informazioni su chi c’è dietro
il suo sandwich. “Abbiamo osservato che
quasi ogni cliente che ordina un sandwich,
all’inizio, scettico, lo scoperchia per vederne
la farcitura. Vorremmo ottenere un livello di
fiducia tale da evitare tale reazione”. Per
questo motivo l’architetto d’interni ha insistito
molto a collocare una cucina open all’ingresso, anche se inizialmente il personale si è
opposto. La prima idea era che i clienti dovessero attraversare la cucina prima di arrivare nel locale vero e proprio: come fossero
gli invitati ad un party che durante l’aperitivo
gettano un’occhiata nella cucina dell’ospite,
uno sguardo dietro le quinte. Sotto l’aspetto
legislativo, l’apertura al pubblico della cucina non era possibile ma la trasparenza è
­rimasta: i clienti possono osservare la pre­
parazione dei piatti poiché solo un vetro li
separa dalla cucina di forma allungata e
stretta. Mentre nell’enoteca il cliente entra
­attraverso una bussola con discrezione, nel
Fastvinic si trova subito al centro della scena. Silhouette rosse, “gli ingredienti-personaggi” conducono alla stregua di un sistema
orientativo. Essi esprimono la successione
delle azioni: “riflettere, scegliere, mescere,
degustare, smaltire”. In quest’ordine si sviluppa anche la pianta ad U: dalla cucina
l’ospite ha una prima percezione dell’offerta,
dietro trova la cassa con prodotti e listino,
ordina, paga e ricarica la sua carta con chip
che viene letta da un sistema che riempie
automaticamente il bicchiere con il vino prescelto. Nell’area posteriore, in un’atmosfera
tranquilla, si sceglie un posto, i sandwich
vengono portati ai tavoli là dove il cliente ha
6
Traduzioni in italiano
collocato la propria targhetta numerata. Viene servito pane su carta riciclata, insalate in
fondine di materiale compostabile e vino in
bicchieri di vetro. Prima di lasciare il locale,
l’avventore smaltisce carta, plastica e lattine
negli appositi contenitori differenziati posti
all’ingresso. Anche i contenitori per lo smaltimento dei rifiuti sono stati pensati appositamente per il locale con elementi grafici personalizzati. Quasi tutti gli elementi di arredo,
come gli scaffali per le bottiglie di vino, le
mensole per appoggiare borse e cappelli,
le panche e i tavoli trovano posto in un
­sistema di scaffalature autoportanti lungo le
pareti composte di tubolari avvitati in acciaio
laccato, con elementi in legno certificato
FSC: il sistema è flessibile e smontabile. Il
controsoffitto in lamelle di alluminio è un prodotto standard adattabile con lamelle di varia altezza. L’illuminazione a LED è nascosta
nel soffitto. Mentre nel Fastvinic, il colore
­verde alle pareti insieme alle piante e ai toni
chiari del legno testimoniano il concetto
­ambientale, nel Monvinic prevalgono i colori
del vino: tutte le sfumature dal giallo al verde
dell’uva, dal rosso del fogliame al bruno delle botti di rovere collocate nell’ambiente.
Sezione • Piante
scala 1:250
1 Ingresso
2 Cucina open
3 Sala
4 Zona cassa
5 Pozzo di luce
6 Deposito
7 Cortile
8 Servizi igienici ospiti
9 Cella frigo
10 Spogliatoio personale
11 Deposito rifiuti
12 Deposito vini
A Facciata sala
B Facciata ingresso
C Sitema orientativo
“Ingredienti-Persone”
D Ingresso con
sala e sistema orientativo
E Sala
F Bar con scaffalatura vini
G Decorazione contenitore rifiuti
H Enoteca “Monvinic”
J Cucina open
Banco distribuzione
Prospetto • Sezioni
Mobili su misura cucina
Prospettiva
Pianta
scala 1:50
Inizio lavori: Gennaio 2010
Fine lavori: Novembre 2010
Superficie coperta: 213 m2
Superficie lorda: 349 m2
Superficie utile: 289 m2
Superficie connettivo: 27 m2
Altezza interna: 3,10 m
Collaboratori: 11
Cuochi: 6
Clienti/giorno: 100
Posti a sedere: 57
Superficie cucina: 31 m2
Superficie sala: 94 m2
Superficie Bar/bancone: 15 m2
Orario di apertura: 12.00 – 24.00
Tipologia gastronomica:
cucina fresca
2012 ¥ 3   ∂
Pagina 178
Bar Metzgerstüble a Mellau
Pagina 180
Bar Le chat a Lisbona
Mellau, situata al centro della foresta di
­Bregenz, è rinomata meta turistica e durante
la stagione i 1300 abitanti locali si moltipli­
cano a dismisura. Sin dal 1970, al posto del
Metzgerstüble c’era un popolare locale con
lo stesso nome. L’alluvione dell’estate 2005
danneggiò così gravemente l’immobile da
obbligarne la demolizione fino alla cantina.
In suo luogo, oggi sorge un edificio a parallelepipedo di forme allungate realizzato
con massicce strutture di sostegno per
­contrastare le alluvioni.
La forma dell’edificio si deduce dalle aree
di rispetto circostanti e dall’inserzione di
una stazione di trasformazione elettrica nel
volume costruito. L’ingresso, prospiciente
l’abitato, con pareti e soffitto in aggetto,
­offrono un ampio riparo e aprono la visuale
all’interno del locale accessibile tramite una
bussola di ridotta superficie. Il bar e la
­Stube sono riunite nel medesimo spazio.
Nella ­parte p
­ osteriore del locale sono collocati i servizi, una piccola cucina e un deposito, ­oltre a d una ripida scala che conduce
nella cantina preesistente. L’edificio è stato
costruito completamente con legname
­autoctono. Le sottili tavole spazzolate e
­lievemente profilate conferiscono calore agli
interni. Il pavimento è uniforme in pietra grigia. Un tendaggio in ­feltro chiude secondo
necessità la facciata trasparente dell’ingresso, mentre una finestra orizzontale consente
agli avventori la vista sul fiume. La nicchia
in corrispondenza della finestra è stata concepita come seduta e preziosamente rivestita in cuoio. Nella ­selezione dei materiali e
nella scelta degli artigiani e degli architetti,
il committente è ­ricorso alle risorse regionali
e dopo soli due mesi, i lavori per la nuova
Metzgerstüble erano terminati.
Lisbona, la città su sette colli, incanta per la
sua famosa luce, per le architetture storiche
e per quelle contemporanee che valgono
una visita. Una di questi è il bar “Le chat”,
il cui nome allude alla posizione sopra i tetti
della città, dove normalmente solo i gatti si
avventurano.
Sul tetto di una abitazione degli anni ‘20 del
secolo scorso, precedentemente utilizzata
come terrazza, campeggia un cubo di vetro
con angoli arrotondati. In contrasto con gli
immobili vicini, al di sotto del volume vitreo
si trova la Galleria Nazionale d’Arte del XVII
secolo in un’atmosfera quasi surreale.
Il ­profilo di gronda che di notte si illumina
di diversi colori e i due nuclei rivestiti a tutta
altezza con specchi ne enfatizzano l’immagine. I nuclei in calcestruzzo sostengono il solaio di copertura e contengono i servizi e una
piccola cucina con deposito dove si preparano sandwich, insalate e tapas e si riscaldano le zuppe. L’area centrale è occupata dal
bar illuminato con luce chiara dove i barman
mixano tutti i cocktail immaginabili in modo
coreografico e guadagnano la notorietà del
locale. Celebre è anche il panorama che si
propone già dall’ingresso attraverso l’involucro esterno in vetro verso il porto con le sue
navi, Dock e gru. Le case lungo la strada del
porto rimangono invisibili, solo dalla terrazza
la vista riesce a penetrare in questa parte di
città più bassa mettendo in vista il contrasto
tra il costruito eterogeneo dell’area portuale
e le case intonacate. Durante il giorno
“Le chat” attira i visitatori della Galleria d’Arte
che possono godere dei mobili massicci e
del bianco uniforme della caffetteria e della
cucina. Durante le estati più calde, l’involucro esterno in vetro viene fatto scorrere di
due terzi sul lato e il bar si trasforma in una
terrazza all’aperto come lo era un tempo.
Sezioni • Piante
scala 1:250
Planimetria generale
scala 1:2500
Sezioni
Piante
scala 1:250
1
2
3
4
5
6
7
8
Bussola d’ingresso
Sala
Credenza
Deposito rifiuti
Trasformatore
Deposito nuovo
Deposito esistente
Impianti
Inizio lavori: Giugno 2008
Fine lavori: Agosto 2008
Superficie coperta: 101 m2
Superficie lorda: 101 m2
Superficie utile: 95 m2
Superficie connettivo: 6,5 m2
Altezza interna: 2,90 m
Costo lordo di costruzione: 110 000 €
Collaboratori: 2
Cuochi: 1
Clienti/giorno: andamento sagionale,
100 doposci
Posti a sedere: 28 + 10 (Bar)
Superficie cucina: 6,5 m2
Superficie sala: 38,5 m2
Superficie Bar/bancone: 15 m2
Orario di apertura: 14.00 – 2.00 Sa / Do da 10.00
Tipologia gastronomica: cucina varia
1
2
3
4
5
6
7
8
Ingresso
Sala
Bar
Cucina
Deposito
Cella frigo
Impianti
Terrazza
Inizio lavori: Maggio 2010
Fine lavori: Ottobre 2010
Superficie lorda: 287 m2
Superficie utile: 113 m2 + terrazza 131 m2
Superficie connettivo: 43 m2
Altezza interna: 3,00 m
Costo lordo di costruzione: 360 000 €
Collaboratori: 10
Cuochi: 1 + 1 Barman
Clienti/giorno: 150
Posti a sedere: 25 + 100 (terrazza)
Superficie cucina: 11,5 m2
Superficie sala: 30,6 m2 + 131 m2 (terrazza)
Superficie bar: 15 m2
Orario di apertura: 12.00 – 24.00, Gio, Ve, Sa fino 3.00
Tipologia gastronomica: cucina fresca
∂   2012 ¥ 3
Approfondimento 1
Pagina 186
L’Opéra Restaurant a Parigi
Architetti: Odille Decq Benoit Cornette
Architectes Urbanistes
“L’Opéra Garnier” è una delle architetture più
conosciute di Parigi. Inaugurato nel 1875, il
monumentale capolavoro di Charles Garnier
dove l’architetto coniuga la successione di
ambienti di grande ricchezza spaziale, una
struttura in ferro moderna e una decorazione
neobarocca, nel corso dei decenni, sotto
l’aspetto costruttivo è di poco cambiata. Da
quando è stata inaugurata la seconda sede
dell’Opera, ”Opéra Bastille” (1989), il teatro
è diventato un’importante costante nella vita
urbana parigina, ma non si è mai pensato di
realizzare un ristorante. Da alcuni mesi
“L’Opéra Restaurant” fa furore con il dinamismo delle forme curve in contrasto con l’architettura storica. Nella rotonda orientale,
là dove c’era l’ingresso delle carrozze degli
abbonati, lo sguardo viene attirato dagli
­interni rosso-bianchi dietro un’evanescente
pelle di vetro.
Partendo dalle condizioni imposte dall’Istituto
di tutela dei monumenti, l’architetta parigina
Odile Decq, progetta la facciata curva in vetro che si sviluppa dietro i piloni delle arcate
come un tendaggio. Anche il nuovo piano
della galleria, supportato da snelli pilastri, si
presenta in forme fluide nello spazio, articolando un sontuoso ristorante in diverse aree
di funzioni: arioso e con vista sulla vita urbana lungo la facciata, introverso nel lounge,
protetto dagli sguardi in galleria. I due livelli
del ristorante a ingresso libero offrono 180
posti a sedere e un accesso diretto all’Opéra.
Concetto architettonico e gastronomico
­parlano il medesimo linguaggio: la cucina
classica-moderna è dal suo canto raffinata
e ­fresca come l’architettura.
Pagina 190
“In un ristorante, ogni cliente deve poter
percepire lo spazio in modo diverso”
Intervista con Odile Decq
presso l’Opera Restaurant
Detail: Quale è stata la sua prima idea per
il ­ristorante?
Odile Decq: Dato che dovevamo conservare
muri, volte e pilastri, la prima idea è stata di
sviluppare una facciata che fosse arretrata
e curva per non disturbare i pilastri. La prima forma tratteggiata è cambiata in qualche
modo per ottimizzare la curva e far sì che la
facciata di vetro fosse autoportante. Doveva
essere completamente trasparente e non
sfiorare nessun elemento storico come si
­vede lungo il bordo superiore, dove c’è solo
una fuga di silicone. Guardi quale dinamismo possiede la facciata in vetro, sembra
si muova, sembra che danzi.
Detail: Il piano della galleria è quasi una
­scultura a forma libera che vola.
Traduzioni in italiano
Odile Decq: Abbiamo realizzato la galleria
proprio come la facciata curva intorno ai
­pilastri. Abbiamo progettato una forma che
si sviluppa nello spazio e che, originariamente, avrebbe dovuto spingervisi ancora
più addentro. I sovrintendenti ci imposero
di lasciare a vista la chiave della cupola della Rotonda e di arretrare la galleria. La forma
oggi visibile è un compromesso tra le idee
della Commissione dei “Monumenti storici”
e le nostre.
Detail: Le forme rotonde della galleria corrispondono a quelle della facciata in vetro?
Odile Decq: Certo. Se avessimo cinto i
­pilastri con forme rettangolari, ci saremmo
formalmente avvicinati troppo all’esistente.
Con le linee curve ci siamo staccati.
Il ­risultato ottenuto è per me più intenso.
Detail: Di Odile Decq si conoscono progetti
di forme geometriche complesse con superfici
molteplicemente interrotte e sfaccettate.
Al contrario, in questo progetto le forme
­sono quasi organiche.
Odile Decq: Ho già realizzato progetti con
forme organiche. Non sono un architetto
che fa sempre le stesse cose. Reagisco
­alle situazioni.
Detail: Come ha realizzato le forme fluide
­della galleria?
Odile Decq: Abbiamo cercato a lungo il
­materiale idoneo e infine abbiamo trovato
due possibili soluzioni: legno o gesso.
­Quando negli anni ’60 abbiamo iniziato a
progettare con forme curve, all’inizio si è
sempre modellato con il gesso, magari
­riportandolo su una struttura non a vista in
metallo. In questo caso, la situazione era del
tutto simile: sulla struttura portante in acciaio
sono state fissate reti modanate nella forma
desiderata, su cui è stato riportato uno strato
di stucco di gesso. Sono stati inseriti anche
alcuni elementi a soffitto e intonaci acustici
sulle superfici verticali dei parapetti della
galleria. Il risultato è magico.
Detail: Nell’ampia sala ristorante, le aree
­funzionali possiedono precise atmosfere: lungo
la facciata ci si siede esposti mentre sotto la
galleria lo spazio ha un carattere introverso.
Odile Decq: Tutti i montanti che reggono la
galleria sono collocati vicino ai pilastri esistenti, mentre il resto è stato creato in aggetto. I nuovi supporti sono concentrati in quel
punto della sala dove si trova il lounge interfaccia con l’Opera, luogo di ritrovo di tutti
gli spettatori che durante la pausa bevono
o mangiano qualcosa. Negli altri spazi del
­locale si può consumare un pasto in tutta
calma. Per me era fondamentale che nel ristorante gli ospiti non si sedessero tutti nella
stessa situazione ma che ognuno potesse
percepire lo spazio in maniera diversa.
Detail: Prima dell’intervento, nell’Opéra
­esisteva un’offerta gastronomica?
Odile Decq: No, nessuna. Charles Garnier
7
aveva progettato un ristorante che non è mai
stato realizzato. L’idea era tornata anche nel
1970 ma poi non se ne fece nulla. La cosa è
partita con il nuovo direttore dell’Opéra che
desiderava riportare in vita l’asse trasversale
dell’edificio. Gli spazi dell’attuale ristorante
erano da tempo usati come deposito. Per
­rivalutare l’asse trasversale dell’immobile
con le due rotonde, si è pensato di insediare
il ristorante nella rotonda est. E’ stato indetto
un concorso gastronomico vinto dal mio
committente. E il Ministero della Cultura
­aveva dichiarato di preferire architetti votati
all’architettura contemporanea.
Detail: Avete verificato prima il concetto
­gastronomico con il committente?
Odle Decq: Purtroppo no, dato che il primo
gestore del ristorante ha revocato il suo
­incarico, il nuovo attuale chef Christophe
Aribert, è stato incaricato piuttosto tardi,
all’inizio del marzo 2011. A questo punto,
naturalmente il concetto del ristorante era
ampiamente definito ed eravamo già in fase
realizzativa. Il cuoco ha cercato di capire il
mio concetto progettuale che è contemporaneo e tradizionale al tempo stesso. Non ho
fatto un progetto per uno specifico menu ma
– ha commentato il cuoco – l’architettura è
questa e noi ci orientiamo di conseguenza
con la scelta gastronomica.
Detail: Non è alquanto insolito che l’archi­
tettura influisca sulla carta del menu?
­Normalmente i gastronomi e gli chef hanno
un proprio concetto in testa e gli architetti ne
seguono le fila.
Odile Decq: Solitamente avviene così.
Il ­cuoco a due stelle Christophe Aribert è
­responsabile del menu. Lavora fuori Parigi,
ma ci viene regolarmente. C’è poi un secondo chef, Yann Tanneau. Ci capiamo molto
bene, ci sentiamo spesso, tra noi c’è una
simbiosi completa.
Detail: Avete sviluppato anche un concetto
­illuminotecnico? Per quale motivo l’illumina­
zione è indiretta?
Odile Decq: L’idea era che le luci non si vedessero. A mio avviso, in un ristorante l’illuminazione troppo chiara risulta sgradevole.
In questo progetto abbiamo realizzato due
aree completamente diverse: sopra e sotto
la galleria. Dato che l’esistente non poteva
essere intaccato sotto l’aspetto costruttivo,
abbiamo solo integrato tubi fluorescenti lungo il cornicione dei pilastri e previsto un’illuminazione dal basso delle volte. Nel lounge,
l’illuminazione doveva essere simile: abbiamo integrato nei nuovi pilastri una sorta di
tasca con il corpo illuminante e la sera si pone solo una candelina sul tavolo. Discreto e
funziona molto bene. L’effetto diurno e notturno è completamente diverso. Mentre di
giorno lo spazio è immerso in una luminosità
chiara ed eterea, la sera l’atmosfera data da
una luce dorata è molto più calda. Anche la
facciata in vetro è ben più visibile in quanto
alla base dei pilastri sono stati predisposti
8
Traduzioni in italiano
proiettori che illuminano l’arcata dal basso:
poiché in questa zona si è seduti praticamente all’esterno “lungo la via pedonale”,
ho ritenuto necessaria l’illuminazione serale
delle arcate fra interno ed esterno per
­trasmettere una sensazione di protezione.
Detail: E’ evidente la caratterizzazione dello
spazio con soli due colori, il rosso e il bianco.
Quali motivazioni stanno dietro la scelta del
rosso fanale per mobili e moquette?
Odile Decq: E’ il mio rosso, il rosso che uso
di solito. Anche all’interno dell’Opéra, le sedute sono rosse, ma in un rosso più scuro,
più serio e tradizionale. Quando sono entrata in questo spazio per la prima volta, lo
spazio era molto scuro, anche la pietra
­prima della ristrutturazione era molto grigia.
Così mi sono detta: il ristorante deve diventare chiaro. Abbiamo utilizzato il rosso anche
come riferimento all’Opera, ma prendendo
una tonalità luminosa e piacevole.
Detail: Nel centro del mezzanino un ampio
vuoto nel solaio collega visivamente i due livelli.
Odile Decq: L’idea era di aprire lo spazio
e di avere una relazione visiva verso la
­cupola. A volte, la sera, gli ospiti si appoggiano al ­parapetto, guardano verso il basso
e chiacchierano.
Detail: Gli schienali delle panche di seduta
a volte sono veramente alti …
Odille Decq: Una scelta dettata dal desiderio di creare aree protette e accoglienti.
­Volevo una differenziazione delle aree. Da
seduti, si riesce comunque ad osservare tutto, ogni avventore si può sedere, consumare
dove meglio si sente. C’è un tavolo per quattro ospiti, laggiù per sei e una lunga tavolata
per un grande gruppo. Dato che la forma
dei tavoli è trapezoidale, la si può disporre
in modo tale che segua le linee curve.
Detail: E’ stata una sfida lavorare in un
­edificio icona sottoposto a numerosi vincoli
di tutela come l’Opera?
Odile Decq: Quando mi hanno domandato
se fossi interessata al progetto di un ristorante nell’Opéra Garnier, di primo acchito
ho pensato: “Oh, interessante”. Ero un poco
emozionata. Mentre studiavo negli anni ’70,
l’architettura del XIX secolo era fuori moda,
ma ora ha riconquistato un proprio valore.
Garnier era un architetto molto discusso in
quanto l’architettura che ha realizzato è più
barocca che neoclassica e si presentava
molto diversa dagli edifici coevi. Gli Architetti dell’Accademia hanno criticato duramente
l’edificio dell’Opera, lo hanno odiato. Tuttavia, l’edificio ha mantenuto un grande significato artistico. All’oggi, la Soprintendenza ai
Monumenti considera l’immobile come una
sorta di feticcio, unico a non aver mai subito
interventi di conversione e di inserzioni.
Il ­ristorante è il primo intervento. Quando
ho presentato il progetto, è stato molto
­criticato il fatto d’aver accluso una facciata
ad uno spazio prima aperto e d’aver inserito
2012 ¥ 3   ∂
un solaio sotto la cupola della rotonda di
Garnier. L’obbiettivo era di non modificare
nulla sotto l’aspetto costruttivo per poter in
ogni momento riportare lo spazio al suo
­stato originario. Si trattava del primo intervento contemporaneo nell’edificio. Tra l’altro
sotto vincolo di tutela non erano solo gli
­interni ma anche le facciate e lo spazio
­urbano della strada.
Detail: Il vocabolario formale neobarocco
dell’Opeéra ha influito sul suo progetto?
Avete inserito deliberatamente un linguaggio
formale minimalista?
Odile Decq: Charles Garnier in un certo qual
senso era un iconoclasta e un “barocco”.
E così ho pensato che l’idea che avevo
­avuto potesse anche adattarsi allo stile di
Garnier. Non ho tentato di fare qualcosa di
barocco, le forme del ristorante non sono
così rigorose ma vitali. Mi sono detta, lo stile
spumeggiante di Garnier si adatta molto
­bene al mio progetto.
Molti che frequentano l’Istituzione dell’Opera
come qualcosa di molto serio, non amano
questo ristorante. Interessante è però che in
generale la gente che non ama quello spazio e quelle scelte formali, non ama nemmeno quella cucina. A molti però piace l’architettura e le preparazioni gastronomiche.
Per molti è troppo moderno, e pensano che
il moderno sia in disaccordo con l’Opéra.
Ci sono anche scenografi che realizzano
scenografie molto contemporanee.
E poi ­anche Garnier ha usato una struttura
in ferro per l’Opéra che era rivoluzionaria
per l’epoca, dunque anche moderna.
Pagina 189
Inizio lavori: Luglio 2010
Fine lavori: Luglio 2011
Superficie lorda: 1100 m2
Costo lordo di costruzione: 6 milioni €
Collaboratori: 35
Cuochi: 30 ca.
Clienti/giorno: 200 ca.
Posti a sedere: 160
Superficie cucina: 500 m2 ca.
Superficie sala: 500 m2 ca.
Superficie Bar: 100 m2 ca.
Orario di apertura: 7.00 – 24.00
Tipologia gastronomica: cucina fresca
Opéra Garnier
Pianta piano terra
scala 1:2000
1 Ingresso ristorante
2 Sala
3 Cucina
Piante scala 1:500
Sezione scala 1:250
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Ingresso
Bar
Sala
Lounge
Ingresso teatro lirico
Terrazza
Ufficio camerieri
Cucina
Galleria
Sezioni galleria
scala 1:20
La struttura della galleria
90 posti a sedere su un mezzanino a pianta
meandrica articolata in diverse aree: punti
panoramici a balconata, nicchie protette la
cui forma si delinea con l’andamento verso
l’alto e verso il basso degli schienali delle
panche.
La galleria è un elemento costruttivo caratteristico del ristorante che si colloca nello spazio come una grande scultura bianca sospesa liberamente. La forma organica avvolge
i pilastri esistenti rivestiti in pietra arenaria
senza intaccarli. La galleria posa su 15 sottili
montanti collocati come dita e sembra fluttuare sotto la cupola. I montanti, calcolati
staticamente in base alle prestazioni loro richieste, sono di sezione circolare o in profili
IPE rivestiti da un guscio di gesso con vuoti
interni che diventano ideali passaggi per gli
impianti. La superficie bianca, nonostante
l’aspetto di estrema coerenza è composta
di diversi elementi: elementi modellati con
processo seriale in lastre di gesso fibrorinforzate costituiscono l’intradosso concavo
del solaio mentre i pilastri sono stati realizzati come nella renderizzazione degli architetti,
con l’ausilio di una rete di supporto per l’intonaco, da maestranze specializzate che
hanno modellato il gesso bagnato a mano.
Il parapetto della galleria è composto di
­lastre fonoassorbenti. L’acustica del locale
è migliorata dal contributo delle superfici
­assorbenti di moquette e panche imbottite.
Pagina 193
1 Elementi acustici in pannello di fibra minerale
con rivestimento in granulato di vetro cellulare,
colorato in pasta
2 Superficie portante in rete di metallo e cartone
3 Profilo in acciaio T 40/40/5 mm
4 Imbottitura in PU espanso con rivestimento in tessuto di lana
5 Moquette 10 mm, massetto radiante e
raffrescante 120 mm, strato anticalpestio,
pannello OSB 2≈ 22
6 Elemento preformato in pannello di gesso
fibrorinforzato, prefabbricato,
tinteggiato bianco 10 – 15 mm
7 Intonaco di gesso a due strati 25 mm,
verniciato bianco
8 Pilastro in acciaio dimensionato in base
al calcolo strutturale
9 Struttura non a vista in pannello
di compensato 12 mm
10 Illuminazione integrata
11 Pilastro (esistente)
Sezioni galleria
scala 1:5
Isometria facciata
senza scala
1 Vetrazione di sicurezza in stratificato
2≈ 11 mm,
vetro chiaro
2 Acciaio inossidabile ¡ 8/250 mm
3 Barra in acciaio inossidabile Ø 20 mm
per il fissaggio della facciata vetrata
4 Pilastro (esistente)
5 Cupola (esistente)
6 Giunto di silicone incolore
7 Bicomponente silicone/elastomero
8 Acciaio inossidabile ¡ 150/65/3 mm
9 Acciaio inossidabile Ø 20 filettato
10 Acciaio inossidabile ¡ 8/385 mm
11 Profilo in acciaio Í 120/135/10 mm
∂   2012 ¥ 3
La struttura della facciata vetrata
La facciata vetrata curvata costituisce un
nuovo elemento di estrema autonomia
nell’ambiente storico dell’Opéra Garnier.
­L’elegante involucro chiude lo spazio della
cupola in origine aperto lasciando l’esistente
intatto: come un tendaggio, la pieghettatura
è progettata per evitare i pilastri. La quinta
in vetro lunga 33 metri e alta sino a 8 metri
­affascina per la trasparenza e per i parti­
colari minimalisti.
E’ composta di 17 diversi segmenti curvi in
vetro stratificato le cui curvature vengono
­ottimizzate per fare in modo che la facciata
diventi elemento autoportante. Alla base, i
vetri sono inseriti in un profilo di acciaio
­inossidabile mentre il bordo superiore è sigillato alla volta della cupola con un giunto
in silicone. Anche in verticale, gli elementi in
vetro sono sigillati da un giunto siliconico.
All’inizio si prevedeva di realizzare le vetrazioni a tutt’altezza; per semplificare il montaggio sono state divise in due parti. In corrispondenza del taglio a 6 metri d’altezza
corre una fascia orizzontale di 250 ≈ 8 mm
in acciaio inossidabile, dove le lastre sono
fissate. Il nastro portante è collegato alla
cornice dei pilastri tramite aste in acciaio.
Gli elementi vetrati sono in vetro stratificato
di sicurezza bianco da 12 mm poiché la
­realizzazione di una vetrazione isolante si
sarebbe rivelata troppo onerosa.
Il canale a pavimento con convettori inte­
grati, che segue il percorso della facciata,
impedisce la condensazione e il raffreddamento rapido dell’ambiente interno.
Approfondimento 2
Pagina 196
Pollen Street Social a Londra
Architetti: Neri & Hu Design Research
­Office, Shanghai
Cuochi in vista è molto alla moda. Le trasmissioni televisive sono numerose quanto
mai in passato. I cuochi diventano animali
da palcoscenico e i loro nomi sono conosciuti quanto quelli di uomini di s­ pettacolo
e attori. Anche Jason Atherton è una star e
in Inghilterra lo si conosce tramite la BBC.
Nell’aprile 2011 è stato inaugurato il suo
­ristorante personale nell’esclusivo quartiere
di Mayfair: libero da limitazioni, Jason riesce
ad ottenere il proprio luogo gastronomico
­ritagliato sulla sua arte culinaria. L’ospite
può seguire in questo ristorante l’estetica
dei piatti dalla loro concezione sino alla
­consumazione e tutto il procedimento in
un ambiente ideale appositamente studiato.
­Relazioni visive, colpo d’occhio, il lavoro
del cuoco all’unisono con materie di elevata
qualità e in una sala allestita in diversi stili.
Già dall’esterno le dimensioni di vetrine attirano lo sguardo su ciò che accade all’interno. Vedere ed essere visti sembra il motto
di una clientela multiculturale che si rispecchia anche nella carta del menù. Ingredienti
Traduzioni in italiano
9
e spezie da diversi paesi si conciliano
con piatti insoliti che non vengono creati
­secondo ricette segrete in cucine blindate
ma preparati in maniera spettacolare davanti
agli occhi di tutti.
Jason Atherton: No, il concetto negli altri
due ristoranti è completamente diverso, in
quanto quello che funziona a Londra, funziona in maniera completamente diversa che a
­Singapore o Shanghai. Ed è giusto così.
Pagina 198
“Facciamo parte volentieri dello show”
Intervista con lo chef
Detail: Che cosa racchiude il nome Pollen
Street Social? Perché la parola sociale?
Jason Atherton: Sociale è una parola che
sta per andare insieme o punto d’incontro.
Volevo un luogo dove incontrarsi e godere.
Jason Atherton, chef stellato dal 2011,
­realizza con il Pollen Street Social il suo
­ideale di ristorante.
La breve intervista ci dà idea delle sue ­visioni
che sono diventate realtà costruite.
Detail: Quale concetto gastronomico si cela
dietro un ristorante?
Jason Atherton: Il concetto gastronomico
è molto semplice: qui puoi fare quello che
vuoi: puoi bere una birra come puoi degu­
stare un menù di diverse portate oppure
­arrivi tardi la sera per un dessert ma sempre
con il servizio Michelin.
Detail: Per quale motivo avete optato per
una cucina che fosse a vista per gli ospiti
del locale?
Jason Atherton: Mostro volentieri al pubblico
come lavoriamo, come nella nostra cucina
tutto è pulito, ordinato e regolamentato. Non
ci sentiamo osservati, siamo di buon grado
parte dello show.
Detail: Anche gli ospiti gradiscono?
Jason Atherton: Gli ospiti amano vedere il
cuoco che lavora e spesso chiedono una
­visita guidata in cucina. E la possono anche
avere, per vedere da vicino quanta cura
c’è nella preparazione dei piatti che hanno
ordinato.
Detail: Quale tipo di cliente viene nel suo
­ristorante?
Jason Atherton: Chi da valore al buon cibo
e al buon vino e gode del prendere parte
di un’esperienza gastronomica.
Detail: Come mai ha incaricato uno studio
di architettura d’interni di Shanghai?
Jason Atherton: Ho selezionato Neri e Hu
perché sono proiettati verso il futuro e sono
i più appassionati progettisti e designer di
­ristoranti che io conosca.
Detail: Quali sono state le indicazioni date
a Neri e a Hu?
Jason Atherton: Le indicazioni erano piuttosto
semplici: costruitemi il ristorante più attraente
di Londra. Deve essere sobrio ma elegante,
uno spazio in cui gli ospiti si sentano bene
nel quartiere signorile di Myfair, si distendano
pur sentendosi contemporaneamente styling.
Detail: I suoi altri due ristoranti seguono il
­medesimo concetto? Shanghai ha inaugurato
appena dopo il Pollen Street nel maggio 2010,
mentre Singapore ha aperto i battenti alla fine
del 2011.
Planimetria generale
scala 1:5000
Piante • sezioni
scala 1:400
1 Cucina
2 Sala privata
3 Corridoio/cantina vini
4 Ufficio sommelier
5 Spogliatoio personale
6 Ufficio
7 Ingresso
8 Guardaroba
9 Impianti
10 Bar
11 Dining room con panche
12 Dessert-Show-Bar
13 Sala ristorante
14 Separée
15 Cucina Tapas
16 Cucina Show
17 Deposito
18 Ingresso principale
19 Ingresso personale
20 Deposito rifiuti
Pagina 200
Inizio lavori: Novembre 2010
Fine lavori: Aprile 2011
Superficie coperta: 480 m2
Superficie lorda: 637 m2
Superficie utile: 490 m2
Superficie connettivo: 68 m2
Altezza interna: da 2,30 m a 2,70 m
Costo lordo di costruzione: nessuna informazione
Collaboratori: 55 + 9 part time
Cuochi: 25
Clienti/giorno: 200
Posti a sedere: 120
Superficie cucina: 104 m2
Superficie sala: 123 m2
Superficie Bar: 20 m2
Orario di apertura: 12.00 – 14.30 / 18.00 – 22.30
Tipologia gastronomica: cucina fresca
Neri & Hu, i designer di Pollen Street Social,
hanno sede a Shanghai, anche se la formazione universitaria si è svolta negli Stati Uniti.
Miscelare l’esperienza cinese e occidentale
con le influenze di una nuova e moderna
estetica è un loro palese obbiettivo.
E in questo attribuiscono molta importanza
ai materiali e alle lavorazioni a mano.
La gestione di un ristorante viene vista al
contrario come una successione di interazioni sociali ad esempio tra cibo e cuoco,
cuoco ed ospite, ospite e personale di servizio. Per questo motivo, ci sono aree
­come il bar o quella che viene chiamata
­cucina-show allestite come fossero dei
­palcoscenici ma con un’organizzazione
del tutto indipendente. La dispensa e il
Lounge hanno un ­ruolo accessorio in
10
Traduzioni in italiano
­ uanto si formano intorno al palcoscenico.
q
Il palcoscenico principale è la cucina-show
che si colloca dietro ad una quinta di vetro.
Pareti e pavimenti sono rivestiti in piastrelle
scure mentre le attrezzature e le superfici
di lavoro sono in acciaio inox. Spotlight che
­illuminano con la luce di un proiettore ciò
che accade sulle superfici di lavoro, trasformano il cuoco in un attore.
I piatti presentati interpretano un’altra filosofia del ristorante quella del connubio di stili,
materiali ed ingredienti. Aromi europei e del
lontano oriente si uniscono in pietanze che
sui menu sono enunciate così: Granchi in
­Vinaigrette, Pere Nashi, cavolfiore in agrodolce, polvere di arachidi ghiacciata.
E ­questa è un antipasto.
Lo stesso stile globalizzato si rintraccia negli
interni: nicchie e una lunga panca con
schienali a mezza altezza rivestiti di legno e
panche di cuoio di ispirazione Chesterfield
sono un chiaro riferimento all’arredo tradi­
zionale delle case inglesi. Le superfici del
parquet oliato e gli elementi di arredo fissi
­ricordano le case da tè giapponese.
Nei più diversi stili, materiali e colori sono invece le sedute: si va dai classici scandinavi,
attraverso sconcertanti ed eccentriche
­poltrone vittoriane in telaio ligneo, rivestite
in parte in cuoio e in parte in stoffa, per
­arrivare a sedie da pranzo d’avanguardia.
Alcune escono dalla penna di Neri & Hu,
­altre sono state acquistate. Medesima sorte
per le stoviglie la cui varietà – dalla porcellana giapponese ai piatti in vetro verde, fino a
minimaliste porcellane bianche – si accorda
magnificamente ad ogni piatto. Contrastano
antiche posaterie in argento con coltelli e
forchette in forme contemporanee.
Anche l’illuminazione si diversifica: down
light, lampade a stelo e a soffitto e apliques.
Al piano interrato, dove l’atmosfera è generata da una parete in mattoni color cioccolato, si colloca anche una sala privata: oscurità e malinconia trasmettono la sensazione di
essere in una sensuale cavità. Le pareti che
ne definiscono il perimetro sono composte
di scaffalature per vini in vetro. Attraverso le
bottiglie di vetro, finestre appositamente
­collocate consentono di sbirciare nella “prep
kitchen” (preparazione) e nella “experimental
kitchen” (cucina sperimentale). L’eclettica
continuità del Pollen Street Social si spinge
in ogni settore: ogni singolo pezzo, mobili,
stoviglie e posateria possiede la propria
estetica. Tutto si combina come gli ingredienti di un menù, conducendo il cliente attraverso una nuova e inaspettata esperienza
di gusto. Per una città globale come Londra
è la direzione giusta, e la clientela internazionale volentieri paga per questa esperienza.
Sezione verticale
scala 1:20
1
2
3
4
5
Elemento di cornice (esistente)
Intonaco esterno 20 mm
muratura (esistente)
Pannello in cartongesso 12,5 mm
Profilo in acciaio U 150/75/8 mm
Lamiera di rivestimento
2012 ¥ 3   ∂
alluminio piegato 2 mm
6 Vetrazione in stratificato 2≈ 6 mm
in telaio di alluminio
7 Profilo in acciaio | 150/150/8 mm
8 Intonaco esterno 20 mm
pannello per intonaco 18 mm
legno squadrato 175/50 mm
con strato solante intermedio 100 mm
9 Pannello in cartongesso 12 mm
pannello di compensato 18 mm
barriera al vapore
listelli 24/48 mm
10 Laterizio 54/54/185 mm
in letto di malta
11 Parquet in rovere 20 mm
compensato 20 mm
su struttura non a vista in legno
12 Basamento in c.a. (esistente)
1Vetrazione in stratificato di sicurezza
2≈ 6 mm incollata su telaio di alluminio
2 Profilo in acciaio (esistente)
3 Illuminazione a LED
4 Pannello in cartongesso 12 mm
pannello di compensato 18 mm
5Scaffale in rovere massello avvitato
su struttura non a vista in acciaio
parete in c.a. (esistente)
6 Profilo in alluminio U 15/15/1 mm
7 Superficie di lavoro in acciaio inox 1,5 mm
8 Rovere massello 125/40 mm
su piatto in acciaio
9Pannello in bronzo spazzolato 1 mm
pannello di compensato 12 mm
su struttura in acciaio con legname
squadrato intermedio 60/25 mm e
pannello di compensato 12 mm
acciaio inox 1 mm
10 Base del pilastro in tubolare d’acciaio Ø 38/2 mm
Pianta
scala 1:100
1
2
3
4
Sala
Dessert-Show-Bar
Cucina Tapas
Cucina Show
Sezione verticale
scala 1:20
Approfondimento 3
Pagina 204
Mensa aziendale della casa e
­ ditrice “Der Spiegel” ad Amburgo
Architetti: Ippolito Fleitz Group,
­Stoccarda
Dopo oltre quarant’anni nel ristorante aziendale arancione-flash di Verner Panton, i collaboratori di der Spiegel fanno colazione
sotto le isole giallo-uovo immerse in un mare
di oltre quattromila specchi iridescenti.
Lo studio Ippolito Fleitz Group ha ricevuto
il difficile incarico di assumere l’eredità del
conosciuto designer danese, il cui progetto
aveva riscontrato un’elevata partecipazione
emozionale da parte degli impiegati. Gli architetti optano per un linguaggio autonomo
“pantonfree” approdando ad un nuovo caratteristico volto per il ristorante. Il progetto
ruota intorno al soffitto quale elemento identificativo. Sotto l’aspetto formale prendono
il motivo dell’acqua come referenza al luogo
portuale riuscendo a soddisfare tutte le esigenze tecniche richieste. Affinché i collaboratori della casa editrice durante la pausa
pranzo potessero scambiarsi opinioni e contemporaneamente rilassarsi, erano indispensabile avere una buona acustica e un’illuminazione priva di abbagliamento. La cultura
dello scambio e del dialogo possiede un
elevato valore presso l’editore, i collaboratori
possono frequentare la mensa in ogni momento del giorno e della notte per riunioni,
manifestazioni o feste in piccolo o in grande.
In futuro, dovrebbe attivarsi la possibilità di
un sistema alla carta per ordinare già dall’ufficio il cibo trovandolo poi servito direttamente al tavolo.
Pagina 206
Quattromila specchi scintillanti
Intervista con Peter Ippolito
Detail: Che influenza ha esercitato su di voi la
mensa di der Spiegel di Verner Panton del 1969?
Ippolito: Nei decenni il progetto di Panton
si era trasformato in un tema ad altissima
identificazione e il riammodernamento ha
sollevato una forte partecipazione emotiva
da parte dei collaboratori. Aveva assunto
un ruolo di grande importanza nella storia
dell’azienda costituendo un tema estremamente sensibile con il quale il progettista
avrebbe potuto scottarsi le dita con grande
facilità. Il committente, il gruppo editoriale
der Spiegel, aveva indetto un bando che
­lasciava la libertà di scegliere se riallacciarsi
agli elementi di Verner Panton oppure no.
E questa era la decisione più importante
da prendere. Io credo che allora, quasi
­tutti gli studi coinvolti nel concorso abbiano
deciso di non tener conto del tema del
­progetto esistente.
Detail: Perché avete deciso di non ­relazionarvi
con la mensa di Panton?
Ippolito: La decisione è stata presa sulla
­base di due motivazioni. La prima consisteva nella diversa combinazione degli spazi:
la pianta della mensa esistente era articolata
in tre spazi rettangolari compatti costruiti su
un reticolo a maglie quadrate che, applicato
al nuovo spazio poligonale spigoloso, avrebbe sempre creato spazi di risulta. Il progetto,
inoltre, si incentrava su corpi illuminanti collocati sulle ampie superfici a parete non utilizzabili nel nuovo progetto. Da un lato, non
volevamo comunque “violentarne” il progetto
formale per integrarlo e dall’altro lato volevamo assumere l’eredità dell’audace progetto
di Verner Panton con un approccio formale
contemporaneo. Un adattamento moderno
del linguaggio architettonico sarebbe stato
incomprensibile, per questo abbiamo
­rinunciato a quell’architettura carica di segni
pantoniani. La forma doveva essere tale
da stimolare il confronto e produrre attrito
per instaurare un’identità. L’eccellente collocazione sulla punta della banchina portuale
e la visibilità ha trasformato il ristorante per
i dipendenti in una finestra sull’azienda,
­nonostante si tratti di uno spazio a carattere
introverso solo ad uso dei collaboratori e
dei loro ospiti.
∂   2012 ¥ 3
Detail: Come nasce il motivo di un soffitto
­come elemento di identificazione?
Ippolito: Determinante è stata la posizione
dell’immobile sull’acqua con affaccio diretto
sulla punta più prospiciente di HafenCity e
la forma dello spazio allungato e molto orizzontale. Volevamo catturare lo scintillio della
luce sull’acqua e contemporaneamente riflettere all’interno la luce naturale. Abbiamo
ribaltato l’elemento decorativo proiettandolo
sul soffitto. La luce produce sulla superficie
riflettente opaca dei dischi a soffitto una
sfaccettatura in costante mutamento. In aggiunta, durante il giorno, la luce penetra in
profondità nello spazio; di notte, invece, siamo riusciti a raggiungere un effetto del tutto
simile con la luce artificiale. L’inclinazione
dei dischi di quattro gradi produce un effetto
di scintillio in movimento. Contemporaneamente c’era l’esigenza di realizzare un
­soffitto ad elevato contenuto tecnologico:
sprinkler, impianti di diffusione musicale,
­impianti di aerazione che dovevano essere
celati dietro il rivestimento. Il soffitto a dischi
altro non è che un soffitto sospeso che nasconde gli impianti dipinti di nero. In maniera particolare, l’acustica costituiva un tema
di effettiva difficoltà per la presenza di ampie superfici ad elevata impedenza acustica
come la lunga facciata in vetro o il pavimento in Terrazzo. La condizione era stata creata dal committente che non voleva superfici
che richiedessero particolare cura, come le
moquettes, riducendo così al minimo le superfici fonoassorbenti. Proprio nel ristorante
aziendale l’acustica è tuttavia perfetta.
Per ottenere ciò abbiamo integrato nel
­soffitto due strati assorbenti: la lamiera di
­alluminio degli elementi tondi microperforata
con sul lato posteriore un materassino fonoassorbente e un secondo strato composto
da un soffitto acustico sospeso.
Detail: Sino a che punto avete reagito
­all’architettura di Henning Larsen che ha
­progettato l’immobile?
Ippolito: L’architettura che abbiamo trovato
possiede un linguaggio formale chiaro e
­iconografico con ridotta scala cromatica sia
esternamente che nell’atrio. Abbiamo cercato di trovare un’espressione nel colore e
­nella scelta dei materiali che avesse un significato proprio ma che vi si rapportasse.
Detail: In che misura l’editore ha
­condizionato il progetto?
Ippolito: Abbiamo preso in considerazione
l’editore come fosse un’azienda con un’elevata cultura dell’organico aziendale, cosa
molto rara al giorno d’oggi, ma che in der
Spiegel sicuramente trova motivazioni nel
fatto che i collaboratori sono anche coproprietari. Ovviamente è stata una nuova
esperienza lavorare per oltre 1000 clienti.
Era presente un management anche se
­abbiamo presentato il progetto all’intero
­organico di dipendenti che hanno colla­
borato al processo con uno scambio
­opinionale intenso fino alla chiusura dei
Traduzioni in italiano
l­avori. Un gremium di direzione, capiredattori, redazioni e consulenti era sempre presente nelle decisioni più importanti. Tra i collaboratori il dialogo e la cultura dello scambio
d’opinione hanno un valore elevato. Per dare
la possibilità di ricreare situazioni individuali
di incontro, abbiamo rinunciato a una disposizione seriale monotona come ad esempio
lunghe panche e le file di tavoli. Il tema che
proponevamo è il tavolo tondo, comunicativo
anche in diverse dimensioni, che tra l’altro
si abbina magnificamente con il motivo del
controsoffitto in quanto sottolinea il carattere
senza soluzione di continuità dello spazio.
Rispetto al progetto originario abbiamo
­aumentato la flessibilità.
Detail: Come siete riusciti a zonizzare lo
­spazio?
Ippolito: In un locale di forme così allungate
con circa 250 posti c’era l’esigenza di creare dei luoghi e di produrre complessità spaziale. In questo caso la via di fuga dell’atrio
attraversava la mensa e per questo è stato
necessario lasciare un via di passaggio relativamente ampia: oltre a ciò avevamo anche
un’elevata frequenza di visitatori soprattutto
durante il pranzo. I collaboratori arrivano e
cercano un posto mentre altri lasciano il
­locale. Era fondamentale per questo motivo
creare un’intimità per chi volge le spalle alle
aree di circolazione e per questo abbiamo
installato tre elementi: il primo è una sottile
­linea nera a pavimento, lungo la quale
­abbiamo disposto elementi tridimensionali a
filtro in aste verticali bianche. Sopra i tavoli
poi una grande luce contrassegna il luogo.
Un disco giallo a soffitto conferisce al locale
una certa complessità.
Detail: La mensa è simile ad un ristorante
con un servizio. Come si è arrivati a questa
soluzione?
Ippolito: Il concetto era già presente nella
mensa di Panton e il committente desiderava rimanesse. L’azienda gastronomica
­fornisce un eccellente personale di cuochi
e servizio. Anche questo è un valore
­aggiunto per i collaboratori.
Detail: Avete anche partecipato alla scelta
di stoviglie e menu?
Ippolito: Di solito fa parte dei nostri compiti,
ma in questo caso il committente ha agito
autonomamente e ha fatto la scelta giusta.
Detail: Anche le pareti a forma di onda in
­legno si riferiscono al motivo dell’acqua?
Ippolito: No, le onde derivano dalla volontà
di trasmettere alle pareti di fondo una sorta
di tessilità. Le pareti, nonostante la durezza
della superficie dovevano trasmettere l’effetto di un tendaggio. La facciata in vetro offre
agli avventori una meravigliosa vista sul
­porto. Dal lato opposto è lo sguardo dei
passanti che ricade verso l’interno sulla
­morbida superficie ondulata. Abbiamo visto
la possibilità di avere un antipolo rispetto al
pavimento rigido, alla facciata in vetro e alle
11
superfici lisce estremamente precise senza
incrementare la manutenzione o destabilizzare il progetto antincendio, e non dobbiamo trascurare che la forma dell’onda favorisce l’acustica interna.
Detail: Anche il tendaggio nero davanti alla
facciata è un antipolo?
Ippolito: La facciata lunga in vetro è protetta
dall’aggetto del piano superiore dal sole
­diretto. Non avevamo necessità di alcuna
protezione solare. Se gli ospiti di notte
nell’oscurità siedono davanti alla facciata
in vetro e guardano nell’oscurità in direzione
del porto dove poche sono le aree illuminate, il vetro ha l’effetto di un muro nero. In
questo caso un filtro fra interno ed esterno
diventa piacevole. Abbiamo optato per un
tendaggio a maglia larga.
Detail: Quali elementi avete progettato per
la mensa e quali avete acquistato?
Ippolito: Le sedie sono state acquistate
dall’azienda danese Erik Jørgensen, luci e
tavoli li abbiamo progettati in studio. I tavoli
sono stati proposti con piano in diversi materiali come lastre di vetro colorato. Nella
progettazione del tavolo l’illuminazione ha
avuto un ruolo piuttosto importante: sulla
­superficie inferiore della lampada si ritrova
la trama punteggiata delle lastre a soffitto.
I punti sono disposti in modo tale da diradarsi verso il centro fino a rendere la lampada trasparente. In questo modo si ottiene
uno spot estremamente chiaro al centro che
si trasforma in luce diffusa avvicinandosi al
bordo. Dato che il piano del tavolo potrebbe
riflettere la luce e creare un parziale abbagliamento, è stato creato un ­ulteriore reticolo
di punti sul piano in pietra che, in questo
­caso il motivo si intensifica verso il centro,
per impedire l’abbagliamento. Certe raffinatezze non sono ovviamente realizzabili nella
produzione in serie. Siamo stati fortunati che
il cliente era così entusiasta del progetto
presentato al concorso che ci ha supportati
durante l’intero processo.
Detail: In fondo al locale, una piccola area
è separata da un fronte a zig zag.
­Quale ­funzione possiede questo spazio?
Ippolito: Questa zona separata è da utilizzare
la sera quando ci sono pochi ospiti o per
piccole manifestazioni. I piccoli gruppi si
­disperderebbero in un ambiente così grande
e non si sentirebbero a loro agio. La parete
­divisoria in “specchio da interrogatorio” serve a schermare questa zona. Quando il locale è completamente buio e quello piccolo è
illuminato il vetro appare solo leggermente a
specchio e contemporaneamente trasparente, mentre durante il giorno svanisce. Di notte
si crea invece un’intima atmosfera agevolata
dalla nuvola di lastre di plexiglas a soffitto.
Detail: Come lavorate? Usate ancora
lo ­schizzo a mano?
Ippolito: Lavoriamo in digitale, solo con
­renderizzazioni, di schizzi ne facciamo
12
Traduzioni in italiano
2012 ¥ 3   ∂
v­ eramente pochi. I render sono talmente
­realistici. Poco tempo fa in un libro sul nuovo
edificio ho visto una foto della mensa che
ho preso per un render. Ma era realtà!
­Incredibile.
Rivista di architettura e particolari costruttivi
Pagina 207
AMensa der Spiegel di Verner Panton,
Amburgo 1969
B–ESede casa editrice der Spiegel, ­Amburgo 2011
Henning Larsen A
­ rchitects, ­Copenhagen
mensa der Spiegel: Ippolito Fleitz Group,
Stoccarda
Sezione • Pianta
scala 1:2000
1 Ingresso principale
2 Atrio
3 Mensa
4 Terrazza della mensa
Pagina 209
Pianta • Sezioni
scala 1:500
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Ingresso mensa/atrio
Guardaroba
Impianti
Sala/area privata
Sala
Ingresso cucina
Darsena
Spazio all’aperto/terrazza mensa
Specchio d’acqua
Pagina 210
Vista dal basso • sezione verticale
scala 1:20
1 Vetro acrilico imbutito serigrafato con
motivo a bolli 6 mm
downlight a LED
sospensione in tubo di alluminio Ø 25 mm
2 Catino a soffitto in acciaio 10 mm
3 Fibra minerale verniciata nera
4 Lamiera di alluminio traforata, smaltata
lana minerale 15 mm
5 Elemento in cartongesso, verniciato bianco
6 Tendaggio in tessuto
7 Terrazzo 10 mm, massetto 80 mm
strato anticalpestio 30 mm,
strato termoisolante 80 mm
A proposito di DETAIL
Ogni numero, con particolare attenzione
­riservata alla qualità architettonica delle
­soluzioni costruttive, è dedicato all’approfondimento tematico di un argomento
tecno­logico (p.es. costruzioni in calcestruzzo, strutture di copertura, risanamento
e restauro etc.). La presentazione dei più
recenti progetti, realizzati in ambito
­nazionale e internazionale, è accompagnata da una serie di accurate riproduzioni
grafiche in scala e di selezionate immagini.
Le due edizioni annuali di DETAIL Concept
sono dedicate allo studio analitico delle
­fasi del processo costruttivo, mentre le
­edizioni speciali annuali DETAIL Green,
anch’esse con due uscite all’anno,
­informano su tutti gli aspetti della progettazione e della costruzione sostenibile.
Temi delle riviste del 2012
‡1–2 Legno
‡3
“Concept” Gastronomia
‡4
Interni (finiture)
‡5
Edifici a basso costo
+ DETAIL Green
‡6
Prefabbricazione
‡7–8 Facciate
‡9“Concept”
Residenza per la terza età
‡10 Strutture portanti
‡11 Cemento
+ DETAIL Green
‡12 Tema speciale
(Sono possibili eventuali modifiche.)
∂ Abbonamento
‡Abbonamento classico € 148,–*
12 numeri all’anno
(compresi i due numeri DETAIL Green).
‡ Abbonamento studenti € 78,–*­
12 numeri all’anno. ①
(compresi i due numeri DETAIL Green).
‡ DETAIL Abbonamento test € 29,80
Due numeri attuali della rivista DETAIL al prezzo test
di soli € 29,80 incluse le spese di spedizione + imposta sull’entrata se non c’è una partita IVA.
*Costi di spedizione aggiuntivi (per 12 numeri) € 43,–
Per la consegna nei paesi dell’Unione E
­ uropea,
l’Imposta sul Valore Aggiunto per i non possessori
di partita IVA è del 7%.
① Sarà possibile usufruire del p
­ rezzo per studenti solo
a seguito della consegna di un documento valido
­attestante l’iscrizione.
Prezzi 2012.
Institut für internationale Architektur-Dokumentation GmbH & Co. KG
Hackerbrücke 6 · 80335 Monaco di Baviera · GERMANIA
Tel: +49 (0)89 381620-0 · Fax: +49 (0)89 398670 · [email protected]
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