∂ 2012 ¥ 3 Traduzioni in italiano ∂ – Rivista di Architettura Traduzione completa in italiano dei testi originali 2012 ¥ 3 · Gastronomia Traduzione: Rossella Mombelli E-Mail: [email protected] 1 Potete trovare un’anteprima con immagine di tutti progetti cliccando su: www.detail.de http://www.detail.de/rw_5_Archive_De_HoleHeft_254_ErgebnisHeft.htm http://www.detail.de/rw_5_Archive_En_HoleHeft_254_ErgebnisHeft.htm Pagina 136 Mangiare con gli occhi: trend attuali nel progetto della ­ristorazione Claudia Fuchs Stile Fusion e cucina regionale, Show Cooking e locali Pop-Up, Fast-Food e santuari gourmet, l’attuale proposta gastronomica è poliedrica ed offre una sfaccettata piattaforma di esperienze del gusto in luoghi dall’ambientazione contestuale. E’ noto, gli occhi mangiano unitamente al palato, e a contare non è solo la presentazione estetica del piatto, ma anche l’ambiente che lo circonda. Gli interni di un ristorante hanno la capacità di rendere più intenso oppure di offuscare il piacere dei piatti. Legare stile e atmosfera di un interno con un’idea convincente implica un’accurata composizione architettonica, di design e illuminotecnica, come un menù perfettamente equilibrato. Gli accostamenti sono vari e si va dal design per scelta minimal, al decoro più eccessivo, da ampi spazi al privée, dai ristoranti introversi che fugano la quotidianità del circostante, ai locali più estroversi che si aprono verso spazialità ­urbane giocando sull’alternanza di relazioni visive interno-esterno. Che sia sulla terrazza di un grattacielo piuttosto che combinato allo shopping, la visita al ristorante, per molti, è vissuta come un’esperienza. E per questo motivo, oltre al ristorante classico, spuntano nuovi concetti. Nel saggio a seguire, presentiamo taluni aspetti per tipologie e scelte estetiche. Luoghi particolari: Sky Bar, ristoranti ­panoramici, gastronomia alberghiera I locali per la ristorazione utilizzano da tempo, con successo, la collocazione in situazioni particolari, con terrazze panoramiche o viste sulla città. Nelle grandi città, le migliori collocazioni particolari sono sulla cima degli edifici elevati, il cui piano alto è particolarmente attraente ed economicamente vantaggioso per bar e ristoranti. Lo Sky Bar del Marina Bay Sands Resorts di Singapore è oggi una delle location più spettacolari. Si tratta di un gigantesco complesso immobiliare dove trovano sede un centro congressi, una Shopping Mall, un Casinò e l’hotel progettati dallo studio Moshe Safdie. A 200 metri d’altezza, un aggregato a forma di scafo sviluppato in lunghezza si colloca sopra i tre grattacieli a lama dell’hotel. La piattaforma del 57esimo piano, di un ettaro di superficie, con piscina, giardino pensile, ristorante e bar offre un’eccezionale vista sullo skyline di Singapore. Il massimo effetto panoramico si percepisce dal punto più elevato della terrazza dello Sky Bar: separati dal vuoto vertiginoso solo da una parete in vetro, sembra di fluttuare sulla città e sulla baia. Simbolo dell’espansione urbana, l’architettura colpisce per la dimensione pura e per l’ardita struttura ingegneristica, che rispecchiano al tempo stesso la dinamica delle metropoli asiatiche ed arabe. Nel contesto e nelle dimensioni di una città europea, Jean Nouvel inscena la vista dal Le Loft, sopra il paesaggio dei tetti viennesi sino a spingersi al Duomo di Santo Stefano. Il ristorante si colloca all’ultimo piano dell’hotel Sofitel di categoria lusso, lungo il canale del Danubio, davanti al centro storico di Vienna. Nouvel getta le basi di progetto ­immobiliare ibrido, con hotel e centro commerciale, sotto forma di volume complesso rivestito con una facciata di differenti trasparenze. Al 18esimo livello, nella terrazza ­vetrata, l’eterea sala di ristorazione, alta sei metri, gode di un’intensa luminosità: la ­disposizione interna offre a tutti gli ospiti una visuale senza barriere. I tavoli per i 220 ospiti di bar e ristorante sono disposti lungo tre lati della facciata in vetro intorno al bar sopraelevato in posizione centrale. Le poltroncine rivestite in cuoio e le lampade da tavolo a cubo conferiscono all’ambiente una sobria eleganza. La scala monocromatica degli interni in lineari forme geometriche contrasta morbidamente con il soffitto luminoso di ­Pipilotti Rist realizzato in tela colorata e ­retroilluminata. L’artista svizzera sulla superficie di oltre 1000 metri quadrati ha selezionato come motivo chiome arboree tinte di colori autunnali. La sera i riflessi si rispec- chiano sulla facciata in vetro e il soffitto ­sembra fluttuare nel buio della notte. A Barcellona, il Mandarin Oriental è un altro esempio di Grandhotel contemporaneo di categoria superiore allestito con estrema ­cura. Gli architetti Carlos Ferrater e Juan Trias de Bes hanno convertito con la collaborazione della designer Patricia Urquiola un’ex banca in un luminoso e aperto hotel urbano. Di particolare nota è l’involucro assegnato allo spazio precedentemente destinato agli sportelli. Distribuito su due livelli, l’ambiente illuminato dai lucernari, si staglia con chiare pennelate di colore arredato con gruppi di sedute informali, divani e sedie disegnati dalla Urquiola. Il motivo ornamentale del rivestimento parietale tessile trova continuità nello schermo sospeso che genera ­interessanti giochi di luce. Sulla terrazza si trova un altro ristorante, un’oasi verde che invita a sedersi all’aperto per gustare i piatti preparati in una cucina Open-Air. Ristoranti Pop-Up Mentre i ristoranti d’hotel si orientano ad un concetto di lunga durata che implica complessità di realizzazione e relativi costi d’investimento, i progetti Pop-Up implicano l’uso di superfici funzionali per periodi di tempo limitati. Numerosi sono i bar, i locali, i club di ogni genere che spesso nascono in maniera spontanea insediandosi in superfici non utilizzate o in edifici vuoti o, meglio ancora, in location inconsuete con tutta la complessità creativa che le accompagna. A Berlino Est, dopo la caduta del muro, sono sorti numerosi bar scenografici e club frutto di improv­ visazioni in luoghi inconsueti. Alcuni progetti assumono l’aspetto della messa in scena o della performance, ma a fronte di alcuni ­episodi di sperimentazione troviamo anche concetti architettonici completamente nuovi. Un concetto spaziale e costruttivo alquanto inconsueto è stato presentato con il ristorante temporaneo Studio East Dining realizzato nel 2010, a Londra, sul tetto del centro commerciale Westfield Stratford City. Al di sopra dell’allora in costruzione Shopping Mall e di fronte alle costruzioni per i Giochi Olimpici, 2 Traduzioni in italiano gli architetti Carmody Groarke hanno realizzato un ristorante temporaneo in copertura impiegando tubolari di ponteggi, tavole da cantiere e una pellicola in polietilene traslucido riciclabile. Il padiglione di 800 m² di estensione, nel quale trovano posto 2.000 clienti, è stato realizzato in tre settimane. Gli otto corpi del volume sono orientati in direzione degli scorci panoramici con grandi aperture rivolte verso il paesaggio. Gli ospiti siedono attorno ai lunghi tavoli, anch’essi ­realizzati in pianali, con lampade da cantiere per l’illuminazione e tavole da ponteggio che rivestono le pareti divisorie dei padiglioni “poveri”. Le dimensioni derivano dal modulo della lunga tavola intorno alla quale si siedono gli ospiti. Il trend globale asiatico I piatti asiatici, da anni considerati pre­ libatezze, trovano attualmente sempre più sostenitori. La cucina leggera e ricca di verdure è “in”, ed essendo di rapida preparazione, sembra favorire le abitudini di vita delle moltitudini che riservano poco tempo al consumo dei cibi sia nella breve pausa di mezzogiorno che per la cena. Di conseguenza molte tavole calde e ristorazioni ­rapide sono allestite con tavoli alti e sgabelli per risparmiare spazio e testimoniare la ­rapida permanenza dell’ospite nel locale. Nel contempo, diversi sono i ristoranti asiatici di classe, alcuni dei quali sono diventati marchi di successo a diffusione internazionale. Uno dei precursori è stato il gastronomo londinese, originario di Hong Kong, Alan Yau che nel 1992 ha aperto a Londra il ristorante Wagamama, inaugurando così un genere di gastronomia completamente nuovo sia per gli ingredienti – piatti giapponesi a base di pasta relativamente economici – sia per l’architettura d’interni e la disposizione dei posti a sedere: gli avventori siedono ad un lungo tavolo dove il consumo del cibo è considerato parte di un’esperienza comunitaria secondo il concetto sviluppato in collaborazione con John Pawson Architects. Yau ha anche lanciato il ristorante cinese Hakkasan, insignito di stellette Michelin, ­dove la ricca decorazione e la preziosità ­degli arredi rispecchia l’elevata qualità gastronomica proposta. Gli interni del primo Hakkasan di Londra (2001) sono stati allestiti da Christian Liaigre in toni cupi di nero e blu che hanno dato luogo ad atmosfere ­nobili quasi di mistero. Lo spazio è caratterizzato anche dall’essenza rovere scuro di tavoli, sedie ed elementi di separazione lavorati a mano che interpretano in chiave contemporanea gli elementi d’arredo tradizionali cinesi. Le lampade a sospensione sottolineano la presenza dei tavoli come isole di luminosità. Il bar che si estende in lunghezza con gli sgabelli di cuoio e il lounge adiacente con poltroncine offrono al cliente maggiore possibilità di soffermarsi nel locale (DETAIL 5/2003). Altri Ristoranti Hakkasan a Miami, Dubai, Abu Dhabi e, prossimamente, New York progettati da Gilles et Boissier con 2012 ¥ 3 ∂ atmosfere sature di particolari, hanno la prerogativa di trasportare gli ospiti nel proprio peculiare mondo. Anche Sake No Hana, a Londra, è stato concepito da Alan Yau: nel padiglione dell’Economist Building, icona dell’architettura londinese degli anni ’60 di Peter e Alison Smithson, sorprende il ristorante i cui interni sono connotati da una ­sorprendente atmosfera giapponese. Kengo Kuma ha interpretato lo spazio a sviluppo verticale permeato dalla luce diurna secondo elementi costruttivi giapponesi. Una struttura che ripropone la sagoma di una chioma arborea, realizzata in aste di bambù, riveste il soffitto del piano terra, mentre un elemento del tutto simile in listelli di cedro abbiglia il soffitto del piano superiore. Lamelle traslucide disposte lungo la facciata in vetro filtrano la luce. L’ospite può scegliere diverse aree di seduta, arredate con tatami, sedie, o direttamente al bancone del bar. E’ il tempio della cultura gastronomica giapponese dove il cibo diventa un rito. Anche il personale di servizio in abiti tradizionali contribuisce alla preziosità che pervade il locale. Gastronomia museale: nuovi concetti L’offerta gastronomica al museo si è ampiamente sviluppata negli anni passati: il ventaglio di possibili locali va dalla caffetteria a disposizione solo dei visitatori del museo, ­sino al ristorante di classe, integrato nell’edificio. Il nesso tra culturale e culinario unisce in maniera sempre crescente anche proposte alternative come visite guidate con cena al termine; molte istituzioni museali mettono poi in locazione, al di fuori degli orari di apertura, i propri spazi gastronomici per ­manifestazioni private. Nella Collezione Brandhorst, a Monaco di Baviera, il caffè del museo è elemento ­integrale del concetto architettonico di ­Sauerbruch Hutton. Collocati nell’immobile di testata, il caffè, l’ingresso, il foyer e il ­bookshop sono tra loro connessi in un ampio spazio accessibile anche senza biglietto d’ingresso. Spazi caratterizzati da essenze di legni chiari per il rivestimento di pareti, banconi della biglietteria e arredi progettati appositamente. Il banco bar e due tavoli ­lunghi 12 metri con comode sedute creano un’area di comunicazione informale. ­Attraverso le superfici vetrate simili a vetrine, ­l’interno del caffè si relaziona con la vita ­urbana, mentre alcune sere, i passanti si stupiscono del fatto che il bar accolga ­anche lunghe tavolate. La proposta ­supplementare delle aziende di catering che aprono la sera le caffetterie con menu gastronomici si chiama “Notte al Museo”. Un ristorante sull’onda del successo da ­anni, che sfrutta gli spazi del museo ma che è accessibile anche indipendentemente dalle mostre, è il Le Georges. All’ultimo piano del Centre Pompidou di Parigi, gli architetti Dominique Jakob e Brendan MacFarlane, nel 2000, hanno trasformato il ristorante già esistente nella sobria struttura in un locale scenografico. Elementi futuristici biomorfi contrastano con arredi di linee geometriche disposti seguendo un concetto di essenzialità e con la struttura portante a vista dell’edificio che, Renzo Piano e Richard Rogers hanno utilizzato per innestare nel centro di Parigi una “Raffineria della cultura” di gusto sorprendentemente futuristico. Nelle “Bubbles”, esternamente rivestite di lamiera di ­alluminio e internamente in caucciù, trovano posto la cucina, la dispensa, il guardaroba e un bar. Il ristorante include tra l’altro una terrazza con una delle migliori viste panoramiche su Parigi. L’intervento operato nell’autunno 2011 presso il Musée d’Orsay di Parigi, con l’allestimento del nuovo Café Campana, dimostra che i nuovi input gastronomici sono spesso ­funzionali ad un “rinfrescamento” dell’istituzione esistente. Al piano superiore del museo, i designer brasiliani Fernando e Humberto Campana hanno rimodernato il Caffè de l’Horloge: dietro l’orologio di grande presenza dell’ex stazione ferroviaria è stato allestito un ambiente ludico carico di elementi di fantasia. Una quinta blu cangiante a specchio scherma l’area cucine mentre una rete metallica a forma di corallo tinta di rosso abbraccia l’area delle sedute, corpi illuminanti oro fluttuano creando isole sopra leggeri gruppi di sedie e tavoli. La coreografia include anche gli abiti marroni del personale di servizio e le stoviglie. Il caffè porta nuova luminosità all’interno di un museo di carattere monumentale pur preservandone l’esclusività. Il progetto del 2001 di Lacaton & Vassal presso il Palais de Tokyo testimonia nuovamente l’apertura degli spazi: dietro la ­facciata monumentale dell’edificio risalente al 1937 gli architetti hanno mantenuto quasi al grezzo la struttura esistente, eseguendo solo interventi molto prudenti. Il carattere non finito e quasi industriale dello spazio contraddistingue anche l’area gastronomica ed espositiva tra loro in relazione visiva diretta. In linea con il concetto di museo come piattaforma per l’arte contemporanea, con caratteristiche di punto d’incontro e spazio aperto per dibattiti, i due settori deputati alla gastronomia trasmettono un’atmosfera ­informale: il ristorante allestito da Stéphane Maupin e la caffetteria senza servizio al ­tavolo. L’edificio invita il visitatore ad usare lo spazio come una piazza e con il pro­ gramma delle manifestazioni e gli orari di apertura fino a mezzanotte guarda esplicitamente ad un pubblico giovane. Ristoranti negli spazi commerciali – ­forme ­ibride Sinergie come nel settore della cultura si ­riscontrano anche nella combinazione di ­gastronomia e shopping. Fare una pausa durante gli acquisti per mangiare o bere qualcosa, è un’abitudine che esiste da ­lungo tempo anche nei mercati coperti, nei bazar o nei mercati di strada. I grandi magazzini corteggiano i propri clienti con offerte ­gastronomiche, soprattutto perché dopo la pausa si è nuovamente pronti per gironzola- ∂ 2012 ¥ 3 re tra gli scaffali. Con la realizzazione dei Shopping Mall, l’offerta è stata implementata quantitativamente ma non necessariamente sotto l’aspetto qualitativo. Numerosi operatori gastronomici, fra i più diversi, spesso ­raggruppati in una “Food Court”, offrono ai consumatori dall’asiatico al mediterraneo, dalla semplice tavola calda al locale tematico trendy, con un’offerta alimentare decisamente ampia ma spesso uniforme. Anche in questo settore infatti, le catene in franchising sono molto diffuse. Sotto l’aspetto dell’allestimento d’interni inoltre, le soluzioni standard lasciano poco spazio alla progettualità architettonica. Su piccola scala, tuttavia, nei negozi di moda e design non vincolati alle grandi catene si possono trovare numerose nuove idee che combinano l’offerta commerciale al bar o al locale per lo spuntino, che comunque rappresentano una fonte di incasso. Anche numerose librerie offrono ai propri clienti aree di lettura con bancone caffè, come nella stazione centrale di Lipsia dove la libreria utilizza l’ex lounge della Deutsche Bahn come caffetteria. Nel negozio di specialità gastronomiche francese Fauchon i clienti possono gustare le specialità della casa al banco caffè, al bancone del bar o nel ristorante. In sintonia con l’immagine del marchio internazionale, l’architetto e designer Christian Biecher ha sviluppato un concetto formale per lo shop e le aree gastronomiche con superfici lucide oro e argento, in modo del tutto simile ai pacchetti regalo. Le superfici di distribuzione in Pink conducono all’area di ristorazione i cui interni, eleganti e glamour, sono caratterizzati da divani e tendaggi in argento, da sedie con rivestimenti bianco-nero e tavoli rosa, sia nella sede parigina che nella filiale di Pechino. Molte case d’alta moda propongono Haute Couture e Haute Cuisine. Il Trendsetter più famoso, in questo caso, è Giorgio Armani che nel 2000 ha aperto il Nobu all’interno del Flagshipstore di Milano. Parti integranti del marchio, mescolati a moda, design, lifestyle e gastronomia, i caffè e i ristoranti Armani sono in tutto il mondo un elemento fondamentale dello shop. L’Armani Ginza T ­ ower di Tokio di Doriana e Massimiliano Fuksas raduna in 12 piani di edificio l’intera collezione, un ristorante italiano e un bar. Le scelte formali incentrate sui toni dell’oro continuano senza soluzione di continuità anche nel ­ristorante, dove paraventi traforati color oro schermano le isole di sedute sparse nello spazio libero. Le pareti e i soffitti cangianti di riflessi dorati, le poltroncine imbottite bianche e l’illuminazione soffusa concretizzano un’atmosfera di lusso dove il cliente si sente parte del mondo glamour della moda. Open Cuisine – Arte gastronomica e ­Entertainment I ristoranti delle case di moda mettono gli ospiti al centro della scena. E la stessa cosa si può fare anche con la preparazione dei piatti. Nel cuore di Milano, i due esercizi di Traduzioni in italiano Princi, panetterie con tavola calda, sottolineano l’importanza della qualità degli alimenti e del processo di lavorazione. I locali sono frutto della progettazione di Claudio ­Silvestrin. Dal 2006, il Princi aperto nelle vicinanze di Piazza Duomo mostra particolare riguardo per un alimento base come il pane, dandone prova già in facciata: un piccolo box di vetro sporge dalla vetrina e, al suo ­interno, come un gioiello, è esposto del ­pane. Gli interni dello spazio longitudinale a disposizione è caratterizzato da un progetto formale purista e dalle superfici materiche delle pietre color sabbia applicate a parete e pavimento. Un lungo banco di vendita accompagna il cliente nello spazio, dove pane e paste al forno vengono presentate sotto vetro. Nel negozio se ne può gustare una piccola selezione ai tavolini in piedi, mentre si osserva attraverso una parete di vetro in fondo al locale come un panettiere impasta il pane e lo infila nel forno. Tonalità color terra, forme lineari, concentrazione su pochi materiali e la serenità degli spazi sottolineano il concetto del rimando all’essenzialità. Si vede quello che si mangia: un “credo” che in altre forme viene celebrato nel ­ristorante Dos Palillos a Berlino: la “Open Cuisine” è al centro. Al piano terra dell’Hotel ­Casa Camper, i designer francesi Ronan e Erwan Bourollec hanno allestito lo spazio con un lungo banco di vendita lineare e tinto di bianco, ma l’attenzione si focalizza sulla preparazione dei piatti: lungo il banco siedono gli ospiti proprio di fronte al cuoco che, in una cucina aperta, prepara piatti asiatici nello stile Tapas spagnole. La cucina è al centro del volume e quattro cuochi vi lavorano per 30 ospiti. Dal punto di vista spaziale, il bar si dispone su due livelli, mentre un ­ulteriore livello è ricavato al piano inferiore. Imput regionali Spesso sono i ristoranti meno spettacolari e quelli più caratteristici ad investire in una cucina autentica, regionale e stagionale, con concetti di sostenibilità e con cibi di produzione biologica. Il movimento “Slow food” è attualmente attivo anche in Germania come lo sono i gastronomi e gli albergatori, le cooperative e altre forme alternative di somministrazione gastronomica. In alcune località si ripristinano le osterie regionali di campagna come, per esempio, nel Vorarlberg, il Freihof Sulz rimasto per molti anni vuoto, è stato convertito in un bioristorante con spazi ­seminario e bioshop. Nella località di Vnà, in ­Bassa Engadina, con la ristrutturazione del Piz Tschütta, un’antica casa è stata riportata in vita come centro di cultura e di ospitalità con piccolo hotel. Nella nuova sala di somministrazione e nelle due Stube gli ospiti possono degustare specialità regionali. Il concetto realizzato con il placet dei residenti rappresenta un valido esempio di ­turismo sostenibile. Non è solo la cultura del cibo a ricevere nuovi impulsi dall’aspetto locale e dalla 3 ­ emoria della qualità dei prodotti regionali. m Le idee che provengono dalle strutture di minime dimensioni e che nascono dalle reti locali potrebbero rappresentare una controtendenza rispetto ai trend globalizzanti che, attualmente, influenzano in maniera importante anche la gastronomia: in cui l’arte culinaria fonde le influenze di molti paesi e i gastronomi dilagano ovunque con concetti di successo. Quanto più è affascinante il Sampling culturale, tanto più i risultati sono diffusi, al punto che i menù e gli stili d’allestimento appaiono ormai quasi tutti simili. Sarebbe auspicabile che un’accurata preparazione e il piacere consapevole non contraddistinguessero solo una gastronomia d’alta ­classe, ma godessero di una diffusione maggiore. Una corrispondente progetta­ zione formale ne può enfatizzare i toni e più personali sono le preparazioni culinarie, più diventa personale anche la cornice ­creata da architetti e designer. Tipologie: Pagina 162 Chiosco di würstel a Bayreuth Bayreuth non è famosa solo per il Festival di Wagner ma anche per i suoi würstel. I nuovi chioschi sono stati una tematica animosamente discussa da amministrazione comunale e residenti. L’incarico affidato agli ­architetti includeva molto di più del semplice progetto dei chioschi: si trattava di ridisegnare l’intera area pedonale che si relaziona con la storica piazza mercato per recuperarne fascino. La pavimentazione è stata rinnovata, inserite aree verdi, un canale d’acqua sostituito da un parco giochi per bambini. Al termine del concorso per i nuovi chioschi, è stata scelta la proposta di un volume molto simile ad un chiosco di giocattoli con finestre, timpano e tetto a spioventi. La Casa ­arcaica diventa contemporanea usando determinati materiali: una struttura in montanti di legno rivestita da una lamiera d’acciaio con inserite lastre rosse fanale di vetro a ­fuga aperta. L’unica scritta che si legge da lontano è “Bratwurst”, con lettere in vetro acrilico colorato. Inizio lavori: 2010 Fine lavori: 2010 Superficie lorda: 11 m² Superficie utile: 8 m² Altezza interna: 3 m Costo lordo di costruzione: 70 000 € Operatori: 1 Cuochi: 1 Clienti/giorno: 200 Posti a sedere: nessuno Superficie cucina: 8 m² Area pasti: solo spazi pubblici Orario di apertura: 8.00 – 20.00 Tipologia gastronomica: da asporto Sezioni Pianta scala 1:100 Planimetria generale scala 1:5000 4 Traduzioni in italiano Pagina 164 Ristorante Cave, Sidney Non appena il cliente oltrepassa la soglia del ristorante, sito in una delle vie più amate del quartiere Maroubra, si immerge in ­un’atmosfera tranquilla e quasi sensuale. Completamente schermato dal rumore della strada, il locale gode di un’acustica simile a quella di uno studio di registrazione. Alla ­base del progetto c’è uno studio mirato a creare l’ambiente sonoro più confortevole per gli avventori. L’immagine di una caverna naturale sublimava infine sia l’aspetto acustico che ambientale. L’installazione è stata ­riprodotta con centine di legno la cui forma, spessore, e passo sono stati realizzati secondo un modello 3D che ne permettesse la verifica delle proprietà fonoassorbenti. Il taglio delle lastre in compensato multistrato è stata realizzata con una fresa CNC direttamente dal modello 3D, con il vantaggio di ­ridurre al minimo gli sfridi. Dall’ingresso, le nervature vengono percepite come una ­superficie e solo all’interno ci si accorge che si tratta di singoli elementi. Nascondono il canale di ventilazione preesistente sospeso al soffitto. In corrispondenza del punto più basso del soffitto, disposto leggermente in diagonale, trova posto il nastro scorrevole per il sushi. I colori vivaci delle vivande che scorrono sul nastro giallo attirano l’attenzione del cliente il quale, al riparo dal caos ­urbano, si gode la tranquillità del luogo. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ingresso Sala Nastro Sushi Preparazione Sushi Cassa Guardaroba Cucina (esistente) Cella frigorifera (esistente) Ufficio Planimetria generale scala 1:2500 Sezione Pianta scala 1:100 Inizio lavori: Settembre 2009 Fine lavori: Gennaio 2010 Superficie lorda: 116 m2 Superficie utile: 106 m2 Superficie connettivo: 22 m2 Altezza interna: 1,80 – 2,50 m Costo lordo di costruzione: 203 000 € Collaboratori: 6 – 8 Cuochi: 5 Sushi Bar, 2 cucina Clienti/giorno: 400 – 500 (incl. Takeaway) Posti a sedere: 19 Superficie cucina: 17 m2 Superficie sala: 50 m2 Area preparazione Sushi Bar: 15 m2 Orario di apertura: 11.30 – 21.30 Tipologia gastronomica: cibi freschi Pagina 166 Ristorante Fast Food Salad Station a Istambul In Europa e America, i ristoranti Fast Food che offrono preparazioni salutiste sono da anni diffusi, mentre sono piuttosto rari nella 2012 ¥ 3 ∂ Istambul dei bazar, delle case del caffè e dei venditori di Kebab. Nella primavera 2009 è stato inaugurato il primo locale Fast Food della catena Salad Station, collocato in Istiklal Caddesi, la zona pedonale e via commerciale centrale di Beyoğlu, nella ­parte europea di Istambul. Anche l’edificio d’epoca risalente alla fine del XIX secolo in cui si è insediato il ristorante ha un aspetto occidentale. I nuovi arredi lasciano l’esistente intatto: un soppalco ­sospeso al soffitto, in struttura d’acciaio, mantiene un distacco dai muri in bianco di calce. La zona di preparazione si trova sotto il soppalco, mentre la cucina vera è propria è esterna all’edificio. La selezione di materiali naturali e non trattati come legno, malta di calce, acciaio, dovrebbe suggerire un ­parallelismo con l’offerta gastronomica che in modo del tutto simile propone ingredienti naturali e non trattati. La varietà di piatti offerta, va dalle zuppe ai sandwich, ai Wraps che si possono riempire individualmente oppure ordinare secondo quanto scritto sulla lavagna. Lo stesso procedimento si segue per le insalate che vengono preparate alla turca con olive e feta oppure secondo ri­cette asiatiche e messicane. Per l’ampio successo ottenuto, di cui sicuramente è in parte ­responsabile la location, la catena si è ­sviluppata rapidamente e attualmente sono in funzione altri 5 locali. Concettualmente ­sono tutti simili al prototipo, con il frigo self service per bevande e insalate dietro l’area d’ingresso e il lungo bancone per le ordinazioni. Solo la Salad Station di un Shopping Mall è stata concepita come semplice chiosco di vendita. Comune a tutti è il simbolo verde affisso che imita quello della Metropolitana londinese creando una relazione con la città europea con la maggior concentrazione di “Healthy Fast Food Restaurant”. Il verde è anche il colore dominante degli ­interni, dal pavimento agli scaffali, uguale per tutti i locali e facilmente riconoscibile. Planimetria generale scala 1:2500 Sezioni Piante scala 1:200 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ingresso Frigorifero bevande Distribuzione Banco Self Service Sala Cucina Locale personale Deposito Soppalco Inizio lavori: Gennaio 2009 Fine lavori: Marzo 2009 Superficie coperta: 87 m2 Superficie lorda: 201 m2 Superficie utile: 127 m2 Superficie connettivo: 50 m2 Altezza interna: 4,27 m / 2,15 m (soppalco) Costo lordo di costruzione: ca.175 000 € Collaboratori: 7 Cuochi: 1 Clienti/giorno: 400 – 500 Posti a sedere: 44 Superficie cucina: 14 m2 Superficie sala: 45 m2 Superficie bancone: 25 m2 Orario di apertura: 9.00 – 23.00 Tipologia gastronomica: cucina mista Pagina 168 Ristorante Pizzeria Maximiliano a Los Angeles Gli interni del ristorante italiano sono ritagliati sulla cucina dello chef Andre Guerrero. ­Risaltano le pareti tinte nei colori nazionali, rosso, bianco e verde che cingono una pianta triangolare: mentre i setti di muro verso strada, in cui si inseriscono grandi vetrine, sono seriosamente intonacati di bianco, la parete verso sud è ornata con un motivo astratto che ricorda spaghetti sovradimensionati. La decorazione è fresata su un pannello di colore rosso e le linee parallele che iniziano dal soffitto calano verso il basso risolvendosi in una cascata di onde e lacci ad andamento casuale; il motivo conferisce alla parete una certa importanza ottenendo al tempo stesso una vivacità scenografica con un chiaro rimando alla pasta fatta in casa per la quale lo chef è diventato molto noto. Il terzo lato del triangolo è dominato da una fascia di lamelle verdi semitrasparenti e ­retroilluminate che separano visivamente la sala di somministrazione dalla cucina dove trova posto l’imponente forno per la pizza su due livelli, visibile anche dal bar. L’avventore ordina scegliendo da una vasta selezione di vini italiani o tra sette tipi di birra prodotti da un birrificio di Pasadena, che solo ­Maximiliano distribuisce a Los Angeles. Il menu è intitolato “Kinda Old School”, ­ricordando che i piatti sono basati sulle ­ricette italiane classiche comunque reinterpretate in vario modo. Pianta scala 1:200 Planimetria generale scala 1:2500 1 2 3 4 5 6 7 8 Ingresso Sala Bar Cucina a vista Forno per pizza Cucina Cella frigorifera Doccia Inizio lavori: Giugno 2011 Fine lavori: Ottobre 2011 Superficie coperta: 483 m2 Superficie lorda: 209 m2 Superficie utile: 195 m2 Superficie connettivo: 8 m2 Altezza interna: 4,00 m Costo lordo di costruzione: 154 400 € Collaboratori: 11 – 15 Cuochi: 3 Clienti/giorno: 175 – 250 Posti a sedere: 72 Superficie cucina: 74 m2 Superficie sala: 120 m2 Superficie Bar: 7 m2 Orario di apertura: 17.00 – 23.00, Ve/Sa fino 24.00 Tipologia gastronomica: cibo fresco ∂ 2012 ¥ 3 Pagina 170 Caffè-Galleria Espai ad Olot In una cittadina della Catalogna come Olot, il bar è il luogo d’incontro della terza età e dei lavoratori. Al mattino vi si ritrovano pensionati e madri di famiglia con bambini per bere un caffè, mentre a pranzo si servono piatti veloci per chi ha poco tempo; di sera il locale è frequentato da studenti e giovani mentre si servono i drink e la musica è a alto volume. La proprietaria gestiva da tempo un bar situato in un edificio d’epoca poi demo­ lito nell’ambito di un risanamento urbano che è stato sostituito da un immobile di nuova costruzione. Il locale si inserisce nello stesso luogo ma con un ambiente completamente nuovo. Gli avventori sono i medesimi, il linguaggio architettonico diventa più moderno e si adegua con le pareti in calcestruzzo all’immagine della città lapidea. Il locale è dominato dalla scultura-arredo in acciaio preossidato che, nella zona più appartata del locale a L, crea delle nicchie con sedute. Gli elementi si compongono di due parti prefabbricate la cui dimensione è risultante dalla larghezza della strada. Dietro le nicchie, in uno stretto passaggio, sono disponibili posti a sedere dotati di connessioni elettriche per portatili e cellulari. Alle pareti l’esposizione di quadri realizzati dagli studenti dal vicino Liceo artistico muta costantemente. Anche nell’arredamento, la committente si è adeguata alle ­richieste dei clienti: un telo mobile è stato predisposto per le videoproiezioni, anche se l’uso più frequente, in realtà, è per la ­visione di partite di calcio. I giochi automatici e tutte le attrezzature sono inserite in nicchie a parete in testata e lungo il bar. Per mitigare il rigore delle scelte minimaliste, gli architetti hanno optato per elementi scorrevoli in acciaio che filtrano la luce ­nello locale rendendola morbida. Pianta • Sezioni scala 1:200 1 Ingresso 2 Sala 3 Bar 4 Deposito 5 Cucina 6 Servizi igienici 7Postazioni Internet con superficie espositiva 8 Sala con scultura d’arredo Inizio lavori: Febbraio 2010 Fine lavori: Gennaio 2011 Superficie lorda: 100 m2 Superficie utile: 97 m2 Superficie connettivo: 57 m2 Altezza interna: 4,00 m Costo lordo di costruzione: 145 000 € Collaboratori: 4 Cuochi: 1 Clienti/giorno: 170 Posti a sedere: 45 Superficie cucina: 15 m2 Superficie bar/bancone: 45 m2 Orario di apertura: 7.00 – 16.00 / 19.00 – 24.00 Tipologia gastronomica: degustazione cibi freschi Traduzioni in italiano Pagina 172 Caffè e lounge bar Caffè di Mezzo a Castelfranco Veneto Castelfranco è un’affascinante località veneta il cui centro storico è cinto dalle possenti mura del fortilizio medievale. Sebbene il locale sia collocato al di fuori della cinta, in un immobile del XX secolo, dall’interno del caffè si vedono le mura. In seguito alla ridistribuzione degli spazi dell’intero edificio, il piano terra è stato convertito in caffetteria mentre il piano interrato è diventato lounge bar. Il caffè che prepara piatti veloci anche a pranzo, segue il tipico modello italiano con una pianta allungata, un bancone di vendita con vetrina per prodotti da forno e tavolini disposti parallelamente. Quello che è ordine derivante dalla necessità di spazio, si eleva a principio formale degli interni: implementando l’orientamento longitudinale tramite ­l’illuminazione, l’andamento delle fughe del pavimento e del rivestimento murale. Il ­bancone in Corian, lungo 20 metri, mono­ cromatico, illuminato dal basso, apparentemente sospeso nel vuoto, vede integrate ­alcune funzioni legate alla gastronomia, ­data la mancanza di una cucina separata. Un cubo di vetro che contiene la scala funge da terminale del banco instaurando una relazione con il livello inferiore dove l’ambiente è dominato da accoglienti poltrone scure che invitano l’ospite a trattenersi. ­Anche il Lounge bar del piano inferiore ­viene servito dall’area di somministrazione del piano superiore. Al piano è stato pre­ disposto solo un banco di ridotte dimensioni per le stoviglie. Inizio lavori: Febbraio 2009 Fine lavori: Luglio 2009 Superficie coperta: 100 m2 Superficie lorda: 250 m2 Superficie utile: 200 m2 Superficie connettivo: 40 m2 Altezza interna: 3,00 m Costo lordo di costruzione: 600 000 € Collaboratori: 3 Cuochi: 1 Clienti/giorno: 300 Posti a sedere: 90 Superficie cucina: 30 m2 Superficie sala: 120 m2 Superficie Bar: 20 m2 Orario di apertura: 7.00 – 1.00 Tipologia gastronomica: cucina rigenerativa Planimetria generale scala 1:2500 Sezioni Piante scala 1:250 1 Ingresso 2 Sala 3 Caffèbar 4 Lavaggio 5 Vetrina gelati 6 Lounge 7 Bar 8 Impianti 9 Cucina 10 Deposito 11 Ufficio 5 Pagina 174 Ristorante Fastvinic a Barcellona Circa due anni dopo l’apertura dell’elegante enoteca “Monvinic” è seguita l’inaugurazione nello stesso isolato di “Fastvinic”, due locali separati solo dall’androne del cortile interno. Per questo locale, il committente, un imprenditore amante del vino di origine catalana, desiderava un sandwich-bar altamente ecosostenibile. “Gli avventori di ­Monvinic visitano mediamente anche Fastvinic, solo che lo fanno in un momento diverso rispetto al primo”, commenta l’architetto d’interni. “A pranzo lo stesso cliente ordina in jeans e maglietta un sandwich con insalata, la sera, vestito elegante, centellina un vino di classe”. Il “Fast” di Fastvinic è solo un rimando ammiccante alla definizione “Fastfood”. In un’accezione positiva, il servizio non è complicato né pretenzioso, proprio come in una catena di fastfood. In questo locale, si può pensare di festeggiare persino un compleanno per bambini o consumare uno spuntino in piedi, piuttosto che trascorrere un pomeriggio a leggere un libro, naturalmente in compagnia di un bicchiere di vino. Il pane proposto ha acquisito un valore particolare per il pregio degli ingredienti, tutti di provenienza regionale nel raggio di 200 km e da produzione biologica. E’ stato predisposto anche un opuscolo dei fornitori, dove il cliente interessato può avere informazioni su chi c’è dietro il suo sandwich. “Abbiamo osservato che quasi ogni cliente che ordina un sandwich, all’inizio, scettico, lo scoperchia per vederne la farcitura. Vorremmo ottenere un livello di fiducia tale da evitare tale reazione”. Per questo motivo l’architetto d’interni ha insistito molto a collocare una cucina open all’ingresso, anche se inizialmente il personale si è opposto. La prima idea era che i clienti dovessero attraversare la cucina prima di arrivare nel locale vero e proprio: come fossero gli invitati ad un party che durante l’aperitivo gettano un’occhiata nella cucina dell’ospite, uno sguardo dietro le quinte. Sotto l’aspetto legislativo, l’apertura al pubblico della cucina non era possibile ma la trasparenza è ­rimasta: i clienti possono osservare la pre­ parazione dei piatti poiché solo un vetro li separa dalla cucina di forma allungata e stretta. Mentre nell’enoteca il cliente entra ­attraverso una bussola con discrezione, nel Fastvinic si trova subito al centro della scena. Silhouette rosse, “gli ingredienti-personaggi” conducono alla stregua di un sistema orientativo. Essi esprimono la successione delle azioni: “riflettere, scegliere, mescere, degustare, smaltire”. In quest’ordine si sviluppa anche la pianta ad U: dalla cucina l’ospite ha una prima percezione dell’offerta, dietro trova la cassa con prodotti e listino, ordina, paga e ricarica la sua carta con chip che viene letta da un sistema che riempie automaticamente il bicchiere con il vino prescelto. Nell’area posteriore, in un’atmosfera tranquilla, si sceglie un posto, i sandwich vengono portati ai tavoli là dove il cliente ha 6 Traduzioni in italiano collocato la propria targhetta numerata. Viene servito pane su carta riciclata, insalate in fondine di materiale compostabile e vino in bicchieri di vetro. Prima di lasciare il locale, l’avventore smaltisce carta, plastica e lattine negli appositi contenitori differenziati posti all’ingresso. Anche i contenitori per lo smaltimento dei rifiuti sono stati pensati appositamente per il locale con elementi grafici personalizzati. Quasi tutti gli elementi di arredo, come gli scaffali per le bottiglie di vino, le mensole per appoggiare borse e cappelli, le panche e i tavoli trovano posto in un ­sistema di scaffalature autoportanti lungo le pareti composte di tubolari avvitati in acciaio laccato, con elementi in legno certificato FSC: il sistema è flessibile e smontabile. Il controsoffitto in lamelle di alluminio è un prodotto standard adattabile con lamelle di varia altezza. L’illuminazione a LED è nascosta nel soffitto. Mentre nel Fastvinic, il colore ­verde alle pareti insieme alle piante e ai toni chiari del legno testimoniano il concetto ­ambientale, nel Monvinic prevalgono i colori del vino: tutte le sfumature dal giallo al verde dell’uva, dal rosso del fogliame al bruno delle botti di rovere collocate nell’ambiente. Sezione • Piante scala 1:250 1 Ingresso 2 Cucina open 3 Sala 4 Zona cassa 5 Pozzo di luce 6 Deposito 7 Cortile 8 Servizi igienici ospiti 9 Cella frigo 10 Spogliatoio personale 11 Deposito rifiuti 12 Deposito vini A Facciata sala B Facciata ingresso C Sitema orientativo “Ingredienti-Persone” D Ingresso con sala e sistema orientativo E Sala F Bar con scaffalatura vini G Decorazione contenitore rifiuti H Enoteca “Monvinic” J Cucina open Banco distribuzione Prospetto • Sezioni Mobili su misura cucina Prospettiva Pianta scala 1:50 Inizio lavori: Gennaio 2010 Fine lavori: Novembre 2010 Superficie coperta: 213 m2 Superficie lorda: 349 m2 Superficie utile: 289 m2 Superficie connettivo: 27 m2 Altezza interna: 3,10 m Collaboratori: 11 Cuochi: 6 Clienti/giorno: 100 Posti a sedere: 57 Superficie cucina: 31 m2 Superficie sala: 94 m2 Superficie Bar/bancone: 15 m2 Orario di apertura: 12.00 – 24.00 Tipologia gastronomica: cucina fresca 2012 ¥ 3 ∂ Pagina 178 Bar Metzgerstüble a Mellau Pagina 180 Bar Le chat a Lisbona Mellau, situata al centro della foresta di ­Bregenz, è rinomata meta turistica e durante la stagione i 1300 abitanti locali si moltipli­ cano a dismisura. Sin dal 1970, al posto del Metzgerstüble c’era un popolare locale con lo stesso nome. L’alluvione dell’estate 2005 danneggiò così gravemente l’immobile da obbligarne la demolizione fino alla cantina. In suo luogo, oggi sorge un edificio a parallelepipedo di forme allungate realizzato con massicce strutture di sostegno per ­contrastare le alluvioni. La forma dell’edificio si deduce dalle aree di rispetto circostanti e dall’inserzione di una stazione di trasformazione elettrica nel volume costruito. L’ingresso, prospiciente l’abitato, con pareti e soffitto in aggetto, ­offrono un ampio riparo e aprono la visuale all’interno del locale accessibile tramite una bussola di ridotta superficie. Il bar e la ­Stube sono riunite nel medesimo spazio. Nella ­parte p ­ osteriore del locale sono collocati i servizi, una piccola cucina e un deposito, ­oltre a d una ripida scala che conduce nella cantina preesistente. L’edificio è stato costruito completamente con legname ­autoctono. Le sottili tavole spazzolate e ­lievemente profilate conferiscono calore agli interni. Il pavimento è uniforme in pietra grigia. Un tendaggio in ­feltro chiude secondo necessità la facciata trasparente dell’ingresso, mentre una finestra orizzontale consente agli avventori la vista sul fiume. La nicchia in corrispondenza della finestra è stata concepita come seduta e preziosamente rivestita in cuoio. Nella ­selezione dei materiali e nella scelta degli artigiani e degli architetti, il committente è ­ricorso alle risorse regionali e dopo soli due mesi, i lavori per la nuova Metzgerstüble erano terminati. Lisbona, la città su sette colli, incanta per la sua famosa luce, per le architetture storiche e per quelle contemporanee che valgono una visita. Una di questi è il bar “Le chat”, il cui nome allude alla posizione sopra i tetti della città, dove normalmente solo i gatti si avventurano. Sul tetto di una abitazione degli anni ‘20 del secolo scorso, precedentemente utilizzata come terrazza, campeggia un cubo di vetro con angoli arrotondati. In contrasto con gli immobili vicini, al di sotto del volume vitreo si trova la Galleria Nazionale d’Arte del XVII secolo in un’atmosfera quasi surreale. Il ­profilo di gronda che di notte si illumina di diversi colori e i due nuclei rivestiti a tutta altezza con specchi ne enfatizzano l’immagine. I nuclei in calcestruzzo sostengono il solaio di copertura e contengono i servizi e una piccola cucina con deposito dove si preparano sandwich, insalate e tapas e si riscaldano le zuppe. L’area centrale è occupata dal bar illuminato con luce chiara dove i barman mixano tutti i cocktail immaginabili in modo coreografico e guadagnano la notorietà del locale. Celebre è anche il panorama che si propone già dall’ingresso attraverso l’involucro esterno in vetro verso il porto con le sue navi, Dock e gru. Le case lungo la strada del porto rimangono invisibili, solo dalla terrazza la vista riesce a penetrare in questa parte di città più bassa mettendo in vista il contrasto tra il costruito eterogeneo dell’area portuale e le case intonacate. Durante il giorno “Le chat” attira i visitatori della Galleria d’Arte che possono godere dei mobili massicci e del bianco uniforme della caffetteria e della cucina. Durante le estati più calde, l’involucro esterno in vetro viene fatto scorrere di due terzi sul lato e il bar si trasforma in una terrazza all’aperto come lo era un tempo. Sezioni • Piante scala 1:250 Planimetria generale scala 1:2500 Sezioni Piante scala 1:250 1 2 3 4 5 6 7 8 Bussola d’ingresso Sala Credenza Deposito rifiuti Trasformatore Deposito nuovo Deposito esistente Impianti Inizio lavori: Giugno 2008 Fine lavori: Agosto 2008 Superficie coperta: 101 m2 Superficie lorda: 101 m2 Superficie utile: 95 m2 Superficie connettivo: 6,5 m2 Altezza interna: 2,90 m Costo lordo di costruzione: 110 000 € Collaboratori: 2 Cuochi: 1 Clienti/giorno: andamento sagionale, 100 doposci Posti a sedere: 28 + 10 (Bar) Superficie cucina: 6,5 m2 Superficie sala: 38,5 m2 Superficie Bar/bancone: 15 m2 Orario di apertura: 14.00 – 2.00 Sa / Do da 10.00 Tipologia gastronomica: cucina varia 1 2 3 4 5 6 7 8 Ingresso Sala Bar Cucina Deposito Cella frigo Impianti Terrazza Inizio lavori: Maggio 2010 Fine lavori: Ottobre 2010 Superficie lorda: 287 m2 Superficie utile: 113 m2 + terrazza 131 m2 Superficie connettivo: 43 m2 Altezza interna: 3,00 m Costo lordo di costruzione: 360 000 € Collaboratori: 10 Cuochi: 1 + 1 Barman Clienti/giorno: 150 Posti a sedere: 25 + 100 (terrazza) Superficie cucina: 11,5 m2 Superficie sala: 30,6 m2 + 131 m2 (terrazza) Superficie bar: 15 m2 Orario di apertura: 12.00 – 24.00, Gio, Ve, Sa fino 3.00 Tipologia gastronomica: cucina fresca ∂ 2012 ¥ 3 Approfondimento 1 Pagina 186 L’Opéra Restaurant a Parigi Architetti: Odille Decq Benoit Cornette Architectes Urbanistes “L’Opéra Garnier” è una delle architetture più conosciute di Parigi. Inaugurato nel 1875, il monumentale capolavoro di Charles Garnier dove l’architetto coniuga la successione di ambienti di grande ricchezza spaziale, una struttura in ferro moderna e una decorazione neobarocca, nel corso dei decenni, sotto l’aspetto costruttivo è di poco cambiata. Da quando è stata inaugurata la seconda sede dell’Opera, ”Opéra Bastille” (1989), il teatro è diventato un’importante costante nella vita urbana parigina, ma non si è mai pensato di realizzare un ristorante. Da alcuni mesi “L’Opéra Restaurant” fa furore con il dinamismo delle forme curve in contrasto con l’architettura storica. Nella rotonda orientale, là dove c’era l’ingresso delle carrozze degli abbonati, lo sguardo viene attirato dagli ­interni rosso-bianchi dietro un’evanescente pelle di vetro. Partendo dalle condizioni imposte dall’Istituto di tutela dei monumenti, l’architetta parigina Odile Decq, progetta la facciata curva in vetro che si sviluppa dietro i piloni delle arcate come un tendaggio. Anche il nuovo piano della galleria, supportato da snelli pilastri, si presenta in forme fluide nello spazio, articolando un sontuoso ristorante in diverse aree di funzioni: arioso e con vista sulla vita urbana lungo la facciata, introverso nel lounge, protetto dagli sguardi in galleria. I due livelli del ristorante a ingresso libero offrono 180 posti a sedere e un accesso diretto all’Opéra. Concetto architettonico e gastronomico ­parlano il medesimo linguaggio: la cucina classica-moderna è dal suo canto raffinata e ­fresca come l’architettura. Pagina 190 “In un ristorante, ogni cliente deve poter percepire lo spazio in modo diverso” Intervista con Odile Decq presso l’Opera Restaurant Detail: Quale è stata la sua prima idea per il ­ristorante? Odile Decq: Dato che dovevamo conservare muri, volte e pilastri, la prima idea è stata di sviluppare una facciata che fosse arretrata e curva per non disturbare i pilastri. La prima forma tratteggiata è cambiata in qualche modo per ottimizzare la curva e far sì che la facciata di vetro fosse autoportante. Doveva essere completamente trasparente e non sfiorare nessun elemento storico come si ­vede lungo il bordo superiore, dove c’è solo una fuga di silicone. Guardi quale dinamismo possiede la facciata in vetro, sembra si muova, sembra che danzi. Detail: Il piano della galleria è quasi una ­scultura a forma libera che vola. Traduzioni in italiano Odile Decq: Abbiamo realizzato la galleria proprio come la facciata curva intorno ai ­pilastri. Abbiamo progettato una forma che si sviluppa nello spazio e che, originariamente, avrebbe dovuto spingervisi ancora più addentro. I sovrintendenti ci imposero di lasciare a vista la chiave della cupola della Rotonda e di arretrare la galleria. La forma oggi visibile è un compromesso tra le idee della Commissione dei “Monumenti storici” e le nostre. Detail: Le forme rotonde della galleria corrispondono a quelle della facciata in vetro? Odile Decq: Certo. Se avessimo cinto i ­pilastri con forme rettangolari, ci saremmo formalmente avvicinati troppo all’esistente. Con le linee curve ci siamo staccati. Il ­risultato ottenuto è per me più intenso. Detail: Di Odile Decq si conoscono progetti di forme geometriche complesse con superfici molteplicemente interrotte e sfaccettate. Al contrario, in questo progetto le forme ­sono quasi organiche. Odile Decq: Ho già realizzato progetti con forme organiche. Non sono un architetto che fa sempre le stesse cose. Reagisco ­alle situazioni. Detail: Come ha realizzato le forme fluide ­della galleria? Odile Decq: Abbiamo cercato a lungo il ­materiale idoneo e infine abbiamo trovato due possibili soluzioni: legno o gesso. ­Quando negli anni ’60 abbiamo iniziato a progettare con forme curve, all’inizio si è sempre modellato con il gesso, magari ­riportandolo su una struttura non a vista in metallo. In questo caso, la situazione era del tutto simile: sulla struttura portante in acciaio sono state fissate reti modanate nella forma desiderata, su cui è stato riportato uno strato di stucco di gesso. Sono stati inseriti anche alcuni elementi a soffitto e intonaci acustici sulle superfici verticali dei parapetti della galleria. Il risultato è magico. Detail: Nell’ampia sala ristorante, le aree ­funzionali possiedono precise atmosfere: lungo la facciata ci si siede esposti mentre sotto la galleria lo spazio ha un carattere introverso. Odile Decq: Tutti i montanti che reggono la galleria sono collocati vicino ai pilastri esistenti, mentre il resto è stato creato in aggetto. I nuovi supporti sono concentrati in quel punto della sala dove si trova il lounge interfaccia con l’Opera, luogo di ritrovo di tutti gli spettatori che durante la pausa bevono o mangiano qualcosa. Negli altri spazi del ­locale si può consumare un pasto in tutta calma. Per me era fondamentale che nel ristorante gli ospiti non si sedessero tutti nella stessa situazione ma che ognuno potesse percepire lo spazio in maniera diversa. Detail: Prima dell’intervento, nell’Opéra ­esisteva un’offerta gastronomica? Odile Decq: No, nessuna. Charles Garnier 7 aveva progettato un ristorante che non è mai stato realizzato. L’idea era tornata anche nel 1970 ma poi non se ne fece nulla. La cosa è partita con il nuovo direttore dell’Opéra che desiderava riportare in vita l’asse trasversale dell’edificio. Gli spazi dell’attuale ristorante erano da tempo usati come deposito. Per ­rivalutare l’asse trasversale dell’immobile con le due rotonde, si è pensato di insediare il ristorante nella rotonda est. E’ stato indetto un concorso gastronomico vinto dal mio committente. E il Ministero della Cultura ­aveva dichiarato di preferire architetti votati all’architettura contemporanea. Detail: Avete verificato prima il concetto ­gastronomico con il committente? Odle Decq: Purtroppo no, dato che il primo gestore del ristorante ha revocato il suo ­incarico, il nuovo attuale chef Christophe Aribert, è stato incaricato piuttosto tardi, all’inizio del marzo 2011. A questo punto, naturalmente il concetto del ristorante era ampiamente definito ed eravamo già in fase realizzativa. Il cuoco ha cercato di capire il mio concetto progettuale che è contemporaneo e tradizionale al tempo stesso. Non ho fatto un progetto per uno specifico menu ma – ha commentato il cuoco – l’architettura è questa e noi ci orientiamo di conseguenza con la scelta gastronomica. Detail: Non è alquanto insolito che l’archi­ tettura influisca sulla carta del menu? ­Normalmente i gastronomi e gli chef hanno un proprio concetto in testa e gli architetti ne seguono le fila. Odile Decq: Solitamente avviene così. Il ­cuoco a due stelle Christophe Aribert è ­responsabile del menu. Lavora fuori Parigi, ma ci viene regolarmente. C’è poi un secondo chef, Yann Tanneau. Ci capiamo molto bene, ci sentiamo spesso, tra noi c’è una simbiosi completa. Detail: Avete sviluppato anche un concetto ­illuminotecnico? Per quale motivo l’illumina­ zione è indiretta? Odile Decq: L’idea era che le luci non si vedessero. A mio avviso, in un ristorante l’illuminazione troppo chiara risulta sgradevole. In questo progetto abbiamo realizzato due aree completamente diverse: sopra e sotto la galleria. Dato che l’esistente non poteva essere intaccato sotto l’aspetto costruttivo, abbiamo solo integrato tubi fluorescenti lungo il cornicione dei pilastri e previsto un’illuminazione dal basso delle volte. Nel lounge, l’illuminazione doveva essere simile: abbiamo integrato nei nuovi pilastri una sorta di tasca con il corpo illuminante e la sera si pone solo una candelina sul tavolo. Discreto e funziona molto bene. L’effetto diurno e notturno è completamente diverso. Mentre di giorno lo spazio è immerso in una luminosità chiara ed eterea, la sera l’atmosfera data da una luce dorata è molto più calda. Anche la facciata in vetro è ben più visibile in quanto alla base dei pilastri sono stati predisposti 8 Traduzioni in italiano proiettori che illuminano l’arcata dal basso: poiché in questa zona si è seduti praticamente all’esterno “lungo la via pedonale”, ho ritenuto necessaria l’illuminazione serale delle arcate fra interno ed esterno per ­trasmettere una sensazione di protezione. Detail: E’ evidente la caratterizzazione dello spazio con soli due colori, il rosso e il bianco. Quali motivazioni stanno dietro la scelta del rosso fanale per mobili e moquette? Odile Decq: E’ il mio rosso, il rosso che uso di solito. Anche all’interno dell’Opéra, le sedute sono rosse, ma in un rosso più scuro, più serio e tradizionale. Quando sono entrata in questo spazio per la prima volta, lo spazio era molto scuro, anche la pietra ­prima della ristrutturazione era molto grigia. Così mi sono detta: il ristorante deve diventare chiaro. Abbiamo utilizzato il rosso anche come riferimento all’Opera, ma prendendo una tonalità luminosa e piacevole. Detail: Nel centro del mezzanino un ampio vuoto nel solaio collega visivamente i due livelli. Odile Decq: L’idea era di aprire lo spazio e di avere una relazione visiva verso la ­cupola. A volte, la sera, gli ospiti si appoggiano al ­parapetto, guardano verso il basso e chiacchierano. Detail: Gli schienali delle panche di seduta a volte sono veramente alti … Odille Decq: Una scelta dettata dal desiderio di creare aree protette e accoglienti. ­Volevo una differenziazione delle aree. Da seduti, si riesce comunque ad osservare tutto, ogni avventore si può sedere, consumare dove meglio si sente. C’è un tavolo per quattro ospiti, laggiù per sei e una lunga tavolata per un grande gruppo. Dato che la forma dei tavoli è trapezoidale, la si può disporre in modo tale che segua le linee curve. Detail: E’ stata una sfida lavorare in un ­edificio icona sottoposto a numerosi vincoli di tutela come l’Opera? Odile Decq: Quando mi hanno domandato se fossi interessata al progetto di un ristorante nell’Opéra Garnier, di primo acchito ho pensato: “Oh, interessante”. Ero un poco emozionata. Mentre studiavo negli anni ’70, l’architettura del XIX secolo era fuori moda, ma ora ha riconquistato un proprio valore. Garnier era un architetto molto discusso in quanto l’architettura che ha realizzato è più barocca che neoclassica e si presentava molto diversa dagli edifici coevi. Gli Architetti dell’Accademia hanno criticato duramente l’edificio dell’Opera, lo hanno odiato. Tuttavia, l’edificio ha mantenuto un grande significato artistico. All’oggi, la Soprintendenza ai Monumenti considera l’immobile come una sorta di feticcio, unico a non aver mai subito interventi di conversione e di inserzioni. Il ­ristorante è il primo intervento. Quando ho presentato il progetto, è stato molto ­criticato il fatto d’aver accluso una facciata ad uno spazio prima aperto e d’aver inserito 2012 ¥ 3 ∂ un solaio sotto la cupola della rotonda di Garnier. L’obbiettivo era di non modificare nulla sotto l’aspetto costruttivo per poter in ogni momento riportare lo spazio al suo ­stato originario. Si trattava del primo intervento contemporaneo nell’edificio. Tra l’altro sotto vincolo di tutela non erano solo gli ­interni ma anche le facciate e lo spazio ­urbano della strada. Detail: Il vocabolario formale neobarocco dell’Opeéra ha influito sul suo progetto? Avete inserito deliberatamente un linguaggio formale minimalista? Odile Decq: Charles Garnier in un certo qual senso era un iconoclasta e un “barocco”. E così ho pensato che l’idea che avevo ­avuto potesse anche adattarsi allo stile di Garnier. Non ho tentato di fare qualcosa di barocco, le forme del ristorante non sono così rigorose ma vitali. Mi sono detta, lo stile spumeggiante di Garnier si adatta molto ­bene al mio progetto. Molti che frequentano l’Istituzione dell’Opera come qualcosa di molto serio, non amano questo ristorante. Interessante è però che in generale la gente che non ama quello spazio e quelle scelte formali, non ama nemmeno quella cucina. A molti però piace l’architettura e le preparazioni gastronomiche. Per molti è troppo moderno, e pensano che il moderno sia in disaccordo con l’Opéra. Ci sono anche scenografi che realizzano scenografie molto contemporanee. E poi ­anche Garnier ha usato una struttura in ferro per l’Opéra che era rivoluzionaria per l’epoca, dunque anche moderna. Pagina 189 Inizio lavori: Luglio 2010 Fine lavori: Luglio 2011 Superficie lorda: 1100 m2 Costo lordo di costruzione: 6 milioni € Collaboratori: 35 Cuochi: 30 ca. Clienti/giorno: 200 ca. Posti a sedere: 160 Superficie cucina: 500 m2 ca. Superficie sala: 500 m2 ca. Superficie Bar: 100 m2 ca. Orario di apertura: 7.00 – 24.00 Tipologia gastronomica: cucina fresca Opéra Garnier Pianta piano terra scala 1:2000 1 Ingresso ristorante 2 Sala 3 Cucina Piante scala 1:500 Sezione scala 1:250 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ingresso Bar Sala Lounge Ingresso teatro lirico Terrazza Ufficio camerieri Cucina Galleria Sezioni galleria scala 1:20 La struttura della galleria 90 posti a sedere su un mezzanino a pianta meandrica articolata in diverse aree: punti panoramici a balconata, nicchie protette la cui forma si delinea con l’andamento verso l’alto e verso il basso degli schienali delle panche. La galleria è un elemento costruttivo caratteristico del ristorante che si colloca nello spazio come una grande scultura bianca sospesa liberamente. La forma organica avvolge i pilastri esistenti rivestiti in pietra arenaria senza intaccarli. La galleria posa su 15 sottili montanti collocati come dita e sembra fluttuare sotto la cupola. I montanti, calcolati staticamente in base alle prestazioni loro richieste, sono di sezione circolare o in profili IPE rivestiti da un guscio di gesso con vuoti interni che diventano ideali passaggi per gli impianti. La superficie bianca, nonostante l’aspetto di estrema coerenza è composta di diversi elementi: elementi modellati con processo seriale in lastre di gesso fibrorinforzate costituiscono l’intradosso concavo del solaio mentre i pilastri sono stati realizzati come nella renderizzazione degli architetti, con l’ausilio di una rete di supporto per l’intonaco, da maestranze specializzate che hanno modellato il gesso bagnato a mano. Il parapetto della galleria è composto di ­lastre fonoassorbenti. L’acustica del locale è migliorata dal contributo delle superfici ­assorbenti di moquette e panche imbottite. Pagina 193 1 Elementi acustici in pannello di fibra minerale con rivestimento in granulato di vetro cellulare, colorato in pasta 2 Superficie portante in rete di metallo e cartone 3 Profilo in acciaio T 40/40/5 mm 4 Imbottitura in PU espanso con rivestimento in tessuto di lana 5 Moquette 10 mm, massetto radiante e raffrescante 120 mm, strato anticalpestio, pannello OSB 2≈ 22 6 Elemento preformato in pannello di gesso fibrorinforzato, prefabbricato, tinteggiato bianco 10 – 15 mm 7 Intonaco di gesso a due strati 25 mm, verniciato bianco 8 Pilastro in acciaio dimensionato in base al calcolo strutturale 9 Struttura non a vista in pannello di compensato 12 mm 10 Illuminazione integrata 11 Pilastro (esistente) Sezioni galleria scala 1:5 Isometria facciata senza scala 1 Vetrazione di sicurezza in stratificato 2≈ 11 mm, vetro chiaro 2 Acciaio inossidabile ¡ 8/250 mm 3 Barra in acciaio inossidabile Ø 20 mm per il fissaggio della facciata vetrata 4 Pilastro (esistente) 5 Cupola (esistente) 6 Giunto di silicone incolore 7 Bicomponente silicone/elastomero 8 Acciaio inossidabile ¡ 150/65/3 mm 9 Acciaio inossidabile Ø 20 filettato 10 Acciaio inossidabile ¡ 8/385 mm 11 Profilo in acciaio Í 120/135/10 mm ∂ 2012 ¥ 3 La struttura della facciata vetrata La facciata vetrata curvata costituisce un nuovo elemento di estrema autonomia nell’ambiente storico dell’Opéra Garnier. ­L’elegante involucro chiude lo spazio della cupola in origine aperto lasciando l’esistente intatto: come un tendaggio, la pieghettatura è progettata per evitare i pilastri. La quinta in vetro lunga 33 metri e alta sino a 8 metri ­affascina per la trasparenza e per i parti­ colari minimalisti. E’ composta di 17 diversi segmenti curvi in vetro stratificato le cui curvature vengono ­ottimizzate per fare in modo che la facciata diventi elemento autoportante. Alla base, i vetri sono inseriti in un profilo di acciaio ­inossidabile mentre il bordo superiore è sigillato alla volta della cupola con un giunto in silicone. Anche in verticale, gli elementi in vetro sono sigillati da un giunto siliconico. All’inizio si prevedeva di realizzare le vetrazioni a tutt’altezza; per semplificare il montaggio sono state divise in due parti. In corrispondenza del taglio a 6 metri d’altezza corre una fascia orizzontale di 250 ≈ 8 mm in acciaio inossidabile, dove le lastre sono fissate. Il nastro portante è collegato alla cornice dei pilastri tramite aste in acciaio. Gli elementi vetrati sono in vetro stratificato di sicurezza bianco da 12 mm poiché la ­realizzazione di una vetrazione isolante si sarebbe rivelata troppo onerosa. Il canale a pavimento con convettori inte­ grati, che segue il percorso della facciata, impedisce la condensazione e il raffreddamento rapido dell’ambiente interno. Approfondimento 2 Pagina 196 Pollen Street Social a Londra Architetti: Neri & Hu Design Research ­Office, Shanghai Cuochi in vista è molto alla moda. Le trasmissioni televisive sono numerose quanto mai in passato. I cuochi diventano animali da palcoscenico e i loro nomi sono conosciuti quanto quelli di uomini di s­ pettacolo e attori. Anche Jason Atherton è una star e in Inghilterra lo si conosce tramite la BBC. Nell’aprile 2011 è stato inaugurato il suo ­ristorante personale nell’esclusivo quartiere di Mayfair: libero da limitazioni, Jason riesce ad ottenere il proprio luogo gastronomico ­ritagliato sulla sua arte culinaria. L’ospite può seguire in questo ristorante l’estetica dei piatti dalla loro concezione sino alla ­consumazione e tutto il procedimento in un ambiente ideale appositamente studiato. ­Relazioni visive, colpo d’occhio, il lavoro del cuoco all’unisono con materie di elevata qualità e in una sala allestita in diversi stili. Già dall’esterno le dimensioni di vetrine attirano lo sguardo su ciò che accade all’interno. Vedere ed essere visti sembra il motto di una clientela multiculturale che si rispecchia anche nella carta del menù. Ingredienti Traduzioni in italiano 9 e spezie da diversi paesi si conciliano con piatti insoliti che non vengono creati ­secondo ricette segrete in cucine blindate ma preparati in maniera spettacolare davanti agli occhi di tutti. Jason Atherton: No, il concetto negli altri due ristoranti è completamente diverso, in quanto quello che funziona a Londra, funziona in maniera completamente diversa che a ­Singapore o Shanghai. Ed è giusto così. Pagina 198 “Facciamo parte volentieri dello show” Intervista con lo chef Detail: Che cosa racchiude il nome Pollen Street Social? Perché la parola sociale? Jason Atherton: Sociale è una parola che sta per andare insieme o punto d’incontro. Volevo un luogo dove incontrarsi e godere. Jason Atherton, chef stellato dal 2011, ­realizza con il Pollen Street Social il suo ­ideale di ristorante. La breve intervista ci dà idea delle sue ­visioni che sono diventate realtà costruite. Detail: Quale concetto gastronomico si cela dietro un ristorante? Jason Atherton: Il concetto gastronomico è molto semplice: qui puoi fare quello che vuoi: puoi bere una birra come puoi degu­ stare un menù di diverse portate oppure ­arrivi tardi la sera per un dessert ma sempre con il servizio Michelin. Detail: Per quale motivo avete optato per una cucina che fosse a vista per gli ospiti del locale? Jason Atherton: Mostro volentieri al pubblico come lavoriamo, come nella nostra cucina tutto è pulito, ordinato e regolamentato. Non ci sentiamo osservati, siamo di buon grado parte dello show. Detail: Anche gli ospiti gradiscono? Jason Atherton: Gli ospiti amano vedere il cuoco che lavora e spesso chiedono una ­visita guidata in cucina. E la possono anche avere, per vedere da vicino quanta cura c’è nella preparazione dei piatti che hanno ordinato. Detail: Quale tipo di cliente viene nel suo ­ristorante? Jason Atherton: Chi da valore al buon cibo e al buon vino e gode del prendere parte di un’esperienza gastronomica. Detail: Come mai ha incaricato uno studio di architettura d’interni di Shanghai? Jason Atherton: Ho selezionato Neri e Hu perché sono proiettati verso il futuro e sono i più appassionati progettisti e designer di ­ristoranti che io conosca. Detail: Quali sono state le indicazioni date a Neri e a Hu? Jason Atherton: Le indicazioni erano piuttosto semplici: costruitemi il ristorante più attraente di Londra. Deve essere sobrio ma elegante, uno spazio in cui gli ospiti si sentano bene nel quartiere signorile di Myfair, si distendano pur sentendosi contemporaneamente styling. Detail: I suoi altri due ristoranti seguono il ­medesimo concetto? Shanghai ha inaugurato appena dopo il Pollen Street nel maggio 2010, mentre Singapore ha aperto i battenti alla fine del 2011. Planimetria generale scala 1:5000 Piante • sezioni scala 1:400 1 Cucina 2 Sala privata 3 Corridoio/cantina vini 4 Ufficio sommelier 5 Spogliatoio personale 6 Ufficio 7 Ingresso 8 Guardaroba 9 Impianti 10 Bar 11 Dining room con panche 12 Dessert-Show-Bar 13 Sala ristorante 14 Separée 15 Cucina Tapas 16 Cucina Show 17 Deposito 18 Ingresso principale 19 Ingresso personale 20 Deposito rifiuti Pagina 200 Inizio lavori: Novembre 2010 Fine lavori: Aprile 2011 Superficie coperta: 480 m2 Superficie lorda: 637 m2 Superficie utile: 490 m2 Superficie connettivo: 68 m2 Altezza interna: da 2,30 m a 2,70 m Costo lordo di costruzione: nessuna informazione Collaboratori: 55 + 9 part time Cuochi: 25 Clienti/giorno: 200 Posti a sedere: 120 Superficie cucina: 104 m2 Superficie sala: 123 m2 Superficie Bar: 20 m2 Orario di apertura: 12.00 – 14.30 / 18.00 – 22.30 Tipologia gastronomica: cucina fresca Neri & Hu, i designer di Pollen Street Social, hanno sede a Shanghai, anche se la formazione universitaria si è svolta negli Stati Uniti. Miscelare l’esperienza cinese e occidentale con le influenze di una nuova e moderna estetica è un loro palese obbiettivo. E in questo attribuiscono molta importanza ai materiali e alle lavorazioni a mano. La gestione di un ristorante viene vista al contrario come una successione di interazioni sociali ad esempio tra cibo e cuoco, cuoco ed ospite, ospite e personale di servizio. Per questo motivo, ci sono aree ­come il bar o quella che viene chiamata ­cucina-show allestite come fossero dei ­palcoscenici ma con un’organizzazione del tutto indipendente. La dispensa e il Lounge hanno un ­ruolo accessorio in 10 Traduzioni in italiano ­ uanto si formano intorno al palcoscenico. q Il palcoscenico principale è la cucina-show che si colloca dietro ad una quinta di vetro. Pareti e pavimenti sono rivestiti in piastrelle scure mentre le attrezzature e le superfici di lavoro sono in acciaio inox. Spotlight che ­illuminano con la luce di un proiettore ciò che accade sulle superfici di lavoro, trasformano il cuoco in un attore. I piatti presentati interpretano un’altra filosofia del ristorante quella del connubio di stili, materiali ed ingredienti. Aromi europei e del lontano oriente si uniscono in pietanze che sui menu sono enunciate così: Granchi in ­Vinaigrette, Pere Nashi, cavolfiore in agrodolce, polvere di arachidi ghiacciata. E ­questa è un antipasto. Lo stesso stile globalizzato si rintraccia negli interni: nicchie e una lunga panca con schienali a mezza altezza rivestiti di legno e panche di cuoio di ispirazione Chesterfield sono un chiaro riferimento all’arredo tradi­ zionale delle case inglesi. Le superfici del parquet oliato e gli elementi di arredo fissi ­ricordano le case da tè giapponese. Nei più diversi stili, materiali e colori sono invece le sedute: si va dai classici scandinavi, attraverso sconcertanti ed eccentriche ­poltrone vittoriane in telaio ligneo, rivestite in parte in cuoio e in parte in stoffa, per ­arrivare a sedie da pranzo d’avanguardia. Alcune escono dalla penna di Neri & Hu, ­altre sono state acquistate. Medesima sorte per le stoviglie la cui varietà – dalla porcellana giapponese ai piatti in vetro verde, fino a minimaliste porcellane bianche – si accorda magnificamente ad ogni piatto. Contrastano antiche posaterie in argento con coltelli e forchette in forme contemporanee. Anche l’illuminazione si diversifica: down light, lampade a stelo e a soffitto e apliques. Al piano interrato, dove l’atmosfera è generata da una parete in mattoni color cioccolato, si colloca anche una sala privata: oscurità e malinconia trasmettono la sensazione di essere in una sensuale cavità. Le pareti che ne definiscono il perimetro sono composte di scaffalature per vini in vetro. Attraverso le bottiglie di vetro, finestre appositamente ­collocate consentono di sbirciare nella “prep kitchen” (preparazione) e nella “experimental kitchen” (cucina sperimentale). L’eclettica continuità del Pollen Street Social si spinge in ogni settore: ogni singolo pezzo, mobili, stoviglie e posateria possiede la propria estetica. Tutto si combina come gli ingredienti di un menù, conducendo il cliente attraverso una nuova e inaspettata esperienza di gusto. Per una città globale come Londra è la direzione giusta, e la clientela internazionale volentieri paga per questa esperienza. Sezione verticale scala 1:20 1 2 3 4 5 Elemento di cornice (esistente) Intonaco esterno 20 mm muratura (esistente) Pannello in cartongesso 12,5 mm Profilo in acciaio U 150/75/8 mm Lamiera di rivestimento 2012 ¥ 3 ∂ alluminio piegato 2 mm 6 Vetrazione in stratificato 2≈ 6 mm in telaio di alluminio 7 Profilo in acciaio | 150/150/8 mm 8 Intonaco esterno 20 mm pannello per intonaco 18 mm legno squadrato 175/50 mm con strato solante intermedio 100 mm 9 Pannello in cartongesso 12 mm pannello di compensato 18 mm barriera al vapore listelli 24/48 mm 10 Laterizio 54/54/185 mm in letto di malta 11 Parquet in rovere 20 mm compensato 20 mm su struttura non a vista in legno 12 Basamento in c.a. (esistente) 1Vetrazione in stratificato di sicurezza 2≈ 6 mm incollata su telaio di alluminio 2 Profilo in acciaio (esistente) 3 Illuminazione a LED 4 Pannello in cartongesso 12 mm pannello di compensato 18 mm 5Scaffale in rovere massello avvitato su struttura non a vista in acciaio parete in c.a. (esistente) 6 Profilo in alluminio U 15/15/1 mm 7 Superficie di lavoro in acciaio inox 1,5 mm 8 Rovere massello 125/40 mm su piatto in acciaio 9Pannello in bronzo spazzolato 1 mm pannello di compensato 12 mm su struttura in acciaio con legname squadrato intermedio 60/25 mm e pannello di compensato 12 mm acciaio inox 1 mm 10 Base del pilastro in tubolare d’acciaio Ø 38/2 mm Pianta scala 1:100 1 2 3 4 Sala Dessert-Show-Bar Cucina Tapas Cucina Show Sezione verticale scala 1:20 Approfondimento 3 Pagina 204 Mensa aziendale della casa e ­ ditrice “Der Spiegel” ad Amburgo Architetti: Ippolito Fleitz Group, ­Stoccarda Dopo oltre quarant’anni nel ristorante aziendale arancione-flash di Verner Panton, i collaboratori di der Spiegel fanno colazione sotto le isole giallo-uovo immerse in un mare di oltre quattromila specchi iridescenti. Lo studio Ippolito Fleitz Group ha ricevuto il difficile incarico di assumere l’eredità del conosciuto designer danese, il cui progetto aveva riscontrato un’elevata partecipazione emozionale da parte degli impiegati. Gli architetti optano per un linguaggio autonomo “pantonfree” approdando ad un nuovo caratteristico volto per il ristorante. Il progetto ruota intorno al soffitto quale elemento identificativo. Sotto l’aspetto formale prendono il motivo dell’acqua come referenza al luogo portuale riuscendo a soddisfare tutte le esigenze tecniche richieste. Affinché i collaboratori della casa editrice durante la pausa pranzo potessero scambiarsi opinioni e contemporaneamente rilassarsi, erano indispensabile avere una buona acustica e un’illuminazione priva di abbagliamento. La cultura dello scambio e del dialogo possiede un elevato valore presso l’editore, i collaboratori possono frequentare la mensa in ogni momento del giorno e della notte per riunioni, manifestazioni o feste in piccolo o in grande. In futuro, dovrebbe attivarsi la possibilità di un sistema alla carta per ordinare già dall’ufficio il cibo trovandolo poi servito direttamente al tavolo. Pagina 206 Quattromila specchi scintillanti Intervista con Peter Ippolito Detail: Che influenza ha esercitato su di voi la mensa di der Spiegel di Verner Panton del 1969? Ippolito: Nei decenni il progetto di Panton si era trasformato in un tema ad altissima identificazione e il riammodernamento ha sollevato una forte partecipazione emotiva da parte dei collaboratori. Aveva assunto un ruolo di grande importanza nella storia dell’azienda costituendo un tema estremamente sensibile con il quale il progettista avrebbe potuto scottarsi le dita con grande facilità. Il committente, il gruppo editoriale der Spiegel, aveva indetto un bando che ­lasciava la libertà di scegliere se riallacciarsi agli elementi di Verner Panton oppure no. E questa era la decisione più importante da prendere. Io credo che allora, quasi ­tutti gli studi coinvolti nel concorso abbiano deciso di non tener conto del tema del ­progetto esistente. Detail: Perché avete deciso di non ­relazionarvi con la mensa di Panton? Ippolito: La decisione è stata presa sulla ­base di due motivazioni. La prima consisteva nella diversa combinazione degli spazi: la pianta della mensa esistente era articolata in tre spazi rettangolari compatti costruiti su un reticolo a maglie quadrate che, applicato al nuovo spazio poligonale spigoloso, avrebbe sempre creato spazi di risulta. Il progetto, inoltre, si incentrava su corpi illuminanti collocati sulle ampie superfici a parete non utilizzabili nel nuovo progetto. Da un lato, non volevamo comunque “violentarne” il progetto formale per integrarlo e dall’altro lato volevamo assumere l’eredità dell’audace progetto di Verner Panton con un approccio formale contemporaneo. Un adattamento moderno del linguaggio architettonico sarebbe stato incomprensibile, per questo abbiamo ­rinunciato a quell’architettura carica di segni pantoniani. La forma doveva essere tale da stimolare il confronto e produrre attrito per instaurare un’identità. L’eccellente collocazione sulla punta della banchina portuale e la visibilità ha trasformato il ristorante per i dipendenti in una finestra sull’azienda, ­nonostante si tratti di uno spazio a carattere introverso solo ad uso dei collaboratori e dei loro ospiti. ∂ 2012 ¥ 3 Detail: Come nasce il motivo di un soffitto ­come elemento di identificazione? Ippolito: Determinante è stata la posizione dell’immobile sull’acqua con affaccio diretto sulla punta più prospiciente di HafenCity e la forma dello spazio allungato e molto orizzontale. Volevamo catturare lo scintillio della luce sull’acqua e contemporaneamente riflettere all’interno la luce naturale. Abbiamo ribaltato l’elemento decorativo proiettandolo sul soffitto. La luce produce sulla superficie riflettente opaca dei dischi a soffitto una sfaccettatura in costante mutamento. In aggiunta, durante il giorno, la luce penetra in profondità nello spazio; di notte, invece, siamo riusciti a raggiungere un effetto del tutto simile con la luce artificiale. L’inclinazione dei dischi di quattro gradi produce un effetto di scintillio in movimento. Contemporaneamente c’era l’esigenza di realizzare un ­soffitto ad elevato contenuto tecnologico: sprinkler, impianti di diffusione musicale, ­impianti di aerazione che dovevano essere celati dietro il rivestimento. Il soffitto a dischi altro non è che un soffitto sospeso che nasconde gli impianti dipinti di nero. In maniera particolare, l’acustica costituiva un tema di effettiva difficoltà per la presenza di ampie superfici ad elevata impedenza acustica come la lunga facciata in vetro o il pavimento in Terrazzo. La condizione era stata creata dal committente che non voleva superfici che richiedessero particolare cura, come le moquettes, riducendo così al minimo le superfici fonoassorbenti. Proprio nel ristorante aziendale l’acustica è tuttavia perfetta. Per ottenere ciò abbiamo integrato nel ­soffitto due strati assorbenti: la lamiera di ­alluminio degli elementi tondi microperforata con sul lato posteriore un materassino fonoassorbente e un secondo strato composto da un soffitto acustico sospeso. Detail: Sino a che punto avete reagito ­all’architettura di Henning Larsen che ha ­progettato l’immobile? Ippolito: L’architettura che abbiamo trovato possiede un linguaggio formale chiaro e ­iconografico con ridotta scala cromatica sia esternamente che nell’atrio. Abbiamo cercato di trovare un’espressione nel colore e ­nella scelta dei materiali che avesse un significato proprio ma che vi si rapportasse. Detail: In che misura l’editore ha ­condizionato il progetto? Ippolito: Abbiamo preso in considerazione l’editore come fosse un’azienda con un’elevata cultura dell’organico aziendale, cosa molto rara al giorno d’oggi, ma che in der Spiegel sicuramente trova motivazioni nel fatto che i collaboratori sono anche coproprietari. Ovviamente è stata una nuova esperienza lavorare per oltre 1000 clienti. Era presente un management anche se ­abbiamo presentato il progetto all’intero ­organico di dipendenti che hanno colla­ borato al processo con uno scambio ­opinionale intenso fino alla chiusura dei Traduzioni in italiano l­avori. Un gremium di direzione, capiredattori, redazioni e consulenti era sempre presente nelle decisioni più importanti. Tra i collaboratori il dialogo e la cultura dello scambio d’opinione hanno un valore elevato. Per dare la possibilità di ricreare situazioni individuali di incontro, abbiamo rinunciato a una disposizione seriale monotona come ad esempio lunghe panche e le file di tavoli. Il tema che proponevamo è il tavolo tondo, comunicativo anche in diverse dimensioni, che tra l’altro si abbina magnificamente con il motivo del controsoffitto in quanto sottolinea il carattere senza soluzione di continuità dello spazio. Rispetto al progetto originario abbiamo ­aumentato la flessibilità. Detail: Come siete riusciti a zonizzare lo ­spazio? Ippolito: In un locale di forme così allungate con circa 250 posti c’era l’esigenza di creare dei luoghi e di produrre complessità spaziale. In questo caso la via di fuga dell’atrio attraversava la mensa e per questo è stato necessario lasciare un via di passaggio relativamente ampia: oltre a ciò avevamo anche un’elevata frequenza di visitatori soprattutto durante il pranzo. I collaboratori arrivano e cercano un posto mentre altri lasciano il ­locale. Era fondamentale per questo motivo creare un’intimità per chi volge le spalle alle aree di circolazione e per questo abbiamo installato tre elementi: il primo è una sottile ­linea nera a pavimento, lungo la quale ­abbiamo disposto elementi tridimensionali a filtro in aste verticali bianche. Sopra i tavoli poi una grande luce contrassegna il luogo. Un disco giallo a soffitto conferisce al locale una certa complessità. Detail: La mensa è simile ad un ristorante con un servizio. Come si è arrivati a questa soluzione? Ippolito: Il concetto era già presente nella mensa di Panton e il committente desiderava rimanesse. L’azienda gastronomica ­fornisce un eccellente personale di cuochi e servizio. Anche questo è un valore ­aggiunto per i collaboratori. Detail: Avete anche partecipato alla scelta di stoviglie e menu? Ippolito: Di solito fa parte dei nostri compiti, ma in questo caso il committente ha agito autonomamente e ha fatto la scelta giusta. Detail: Anche le pareti a forma di onda in ­legno si riferiscono al motivo dell’acqua? Ippolito: No, le onde derivano dalla volontà di trasmettere alle pareti di fondo una sorta di tessilità. Le pareti, nonostante la durezza della superficie dovevano trasmettere l’effetto di un tendaggio. La facciata in vetro offre agli avventori una meravigliosa vista sul ­porto. Dal lato opposto è lo sguardo dei passanti che ricade verso l’interno sulla ­morbida superficie ondulata. Abbiamo visto la possibilità di avere un antipolo rispetto al pavimento rigido, alla facciata in vetro e alle 11 superfici lisce estremamente precise senza incrementare la manutenzione o destabilizzare il progetto antincendio, e non dobbiamo trascurare che la forma dell’onda favorisce l’acustica interna. Detail: Anche il tendaggio nero davanti alla facciata è un antipolo? Ippolito: La facciata lunga in vetro è protetta dall’aggetto del piano superiore dal sole ­diretto. Non avevamo necessità di alcuna protezione solare. Se gli ospiti di notte nell’oscurità siedono davanti alla facciata in vetro e guardano nell’oscurità in direzione del porto dove poche sono le aree illuminate, il vetro ha l’effetto di un muro nero. In questo caso un filtro fra interno ed esterno diventa piacevole. Abbiamo optato per un tendaggio a maglia larga. Detail: Quali elementi avete progettato per la mensa e quali avete acquistato? Ippolito: Le sedie sono state acquistate dall’azienda danese Erik Jørgensen, luci e tavoli li abbiamo progettati in studio. I tavoli sono stati proposti con piano in diversi materiali come lastre di vetro colorato. Nella progettazione del tavolo l’illuminazione ha avuto un ruolo piuttosto importante: sulla ­superficie inferiore della lampada si ritrova la trama punteggiata delle lastre a soffitto. I punti sono disposti in modo tale da diradarsi verso il centro fino a rendere la lampada trasparente. In questo modo si ottiene uno spot estremamente chiaro al centro che si trasforma in luce diffusa avvicinandosi al bordo. Dato che il piano del tavolo potrebbe riflettere la luce e creare un parziale abbagliamento, è stato creato un ­ulteriore reticolo di punti sul piano in pietra che, in questo ­caso il motivo si intensifica verso il centro, per impedire l’abbagliamento. Certe raffinatezze non sono ovviamente realizzabili nella produzione in serie. Siamo stati fortunati che il cliente era così entusiasta del progetto presentato al concorso che ci ha supportati durante l’intero processo. Detail: In fondo al locale, una piccola area è separata da un fronte a zig zag. ­Quale ­funzione possiede questo spazio? Ippolito: Questa zona separata è da utilizzare la sera quando ci sono pochi ospiti o per piccole manifestazioni. I piccoli gruppi si ­disperderebbero in un ambiente così grande e non si sentirebbero a loro agio. La parete ­divisoria in “specchio da interrogatorio” serve a schermare questa zona. Quando il locale è completamente buio e quello piccolo è illuminato il vetro appare solo leggermente a specchio e contemporaneamente trasparente, mentre durante il giorno svanisce. Di notte si crea invece un’intima atmosfera agevolata dalla nuvola di lastre di plexiglas a soffitto. Detail: Come lavorate? Usate ancora lo ­schizzo a mano? Ippolito: Lavoriamo in digitale, solo con ­renderizzazioni, di schizzi ne facciamo 12 Traduzioni in italiano 2012 ¥ 3 ∂ v­ eramente pochi. I render sono talmente ­realistici. Poco tempo fa in un libro sul nuovo edificio ho visto una foto della mensa che ho preso per un render. Ma era realtà! ­Incredibile. Rivista di architettura e particolari costruttivi Pagina 207 AMensa der Spiegel di Verner Panton, Amburgo 1969 B–ESede casa editrice der Spiegel, ­Amburgo 2011 Henning Larsen A ­ rchitects, ­Copenhagen mensa der Spiegel: Ippolito Fleitz Group, Stoccarda Sezione • Pianta scala 1:2000 1 Ingresso principale 2 Atrio 3 Mensa 4 Terrazza della mensa Pagina 209 Pianta • Sezioni scala 1:500 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Ingresso mensa/atrio Guardaroba Impianti Sala/area privata Sala Ingresso cucina Darsena Spazio all’aperto/terrazza mensa Specchio d’acqua Pagina 210 Vista dal basso • sezione verticale scala 1:20 1 Vetro acrilico imbutito serigrafato con motivo a bolli 6 mm downlight a LED sospensione in tubo di alluminio Ø 25 mm 2 Catino a soffitto in acciaio 10 mm 3 Fibra minerale verniciata nera 4 Lamiera di alluminio traforata, smaltata lana minerale 15 mm 5 Elemento in cartongesso, verniciato bianco 6 Tendaggio in tessuto 7 Terrazzo 10 mm, massetto 80 mm strato anticalpestio 30 mm, strato termoisolante 80 mm A proposito di DETAIL Ogni numero, con particolare attenzione ­riservata alla qualità architettonica delle ­soluzioni costruttive, è dedicato all’approfondimento tematico di un argomento tecno­logico (p.es. costruzioni in calcestruzzo, strutture di copertura, risanamento e restauro etc.). La presentazione dei più recenti progetti, realizzati in ambito ­nazionale e internazionale, è accompagnata da una serie di accurate riproduzioni grafiche in scala e di selezionate immagini. Le due edizioni annuali di DETAIL Concept sono dedicate allo studio analitico delle ­fasi del processo costruttivo, mentre le ­edizioni speciali annuali DETAIL Green, anch’esse con due uscite all’anno, ­informano su tutti gli aspetti della progettazione e della costruzione sostenibile. Temi delle riviste del 2012 ‡1–2 Legno ‡3 “Concept” Gastronomia ‡4 Interni (finiture) ‡5 Edifici a basso costo + DETAIL Green ‡6 Prefabbricazione ‡7–8 Facciate ‡9“Concept” Residenza per la terza età ‡10 Strutture portanti ‡11 Cemento + DETAIL Green ‡12 Tema speciale (Sono possibili eventuali modifiche.) ∂ Abbonamento ‡Abbonamento classico € 148,–* 12 numeri all’anno (compresi i due numeri DETAIL Green). ‡ Abbonamento studenti € 78,–*­ 12 numeri all’anno. ① (compresi i due numeri DETAIL Green). ‡ DETAIL Abbonamento test € 29,80 Due numeri attuali della rivista DETAIL al prezzo test di soli € 29,80 incluse le spese di spedizione + imposta sull’entrata se non c’è una partita IVA. *Costi di spedizione aggiuntivi (per 12 numeri) € 43,– Per la consegna nei paesi dell’Unione E ­ uropea, l’Imposta sul Valore Aggiunto per i non possessori di partita IVA è del 7%. ① Sarà possibile usufruire del p ­ rezzo per studenti solo a seguito della consegna di un documento valido ­attestante l’iscrizione. Prezzi 2012. Institut für internationale Architektur-Dokumentation GmbH & Co. KG Hackerbrücke 6 · 80335 Monaco di Baviera · GERMANIA Tel: +49 (0)89 381620-0 · Fax: +49 (0)89 398670 · [email protected] www.detail.de/shop-italiano