i sono molti modi per celebrare la gloria e le gesta di un

PER MOZART
Proposta di lavoro in occasione dei 250 anni dalla nascita
C
i sono molti modi per celebrare la gloria e le gesta di un personaggio
famoso. Scriverne semplicemente; eseguirne le opere nei Teatri, nelle sale
di Musica, o nelle Chiese se si tratta di un compositore; declamarne i versi
se è un letterato; recitarlo, quando si tratti di un drammaturgo; oppure affiggere,
là dove egli ha dimorato, una stele commemorativa a memoria della cittadinanza.
Nel caso di Wolfgang Amadeus Mozart e più in specifico in occasione del
Giubileo per i 250 anni dalla sua nascita viene in mente un solo modo per
festeggiarlo, cui centinaia di Istituzioni pronte a fare lo stesso a livello planetario
non si conformeranno, perdendo così un’occasione: allontanarsi da lui. Spiegandosi meglio. Fossi un esecutore, un interprete, un direttore d’Orchestra o il
responsabile di un ente musicale il mio interesse sarebbe rivolto a ribaltare l’approccio più scontato. Ciò che solleciterebbe la mia curiosità non sarebbe udire
cosa Mozart ha scritto, ma udire cosa Mozart ha ascoltato. Impiegare allora i
migliori virtuosi, le migliori orchestre, i migliori teatri e le più elaborate
SURGX]LRQL SHU OH VRQDWH GL .RåHOXK L Klaviertrios di Pleyel, i quartetti di Hoffmeister o per allestire La grotta di Trofonio di Salieri, L’Arbore di Diana di
Martin y Soler o il Re Teodoro a Venezia di Paisiello. Evitando inoltre l’uso della
più pedante filologia: via dunque le corde di budello, l’intonazione degli
strumenti a 415 anziché gli odierni 440 o il fortepiano che per data e loco di
produzione possa risultare il più fedele all’originale; tutti quei mezzi cioè impiegati con frequenza nelle occasioni in cui i “minori” settecenteschi vengono
riproposti. Come se rappresentarli fosse una sorta di rito o un ritorno impossibile
al tempo che fu dal quale bandire le ‘distrazioni’ del nostro quotidiano. Sono
convinto che, fintantoché resterà questa la Ratio e si frapporranno tali filtri, la
partita per la ri-scoperta dei ‘minori’ sarà tendenzialmente persa e la loro musica
condannata a non interagire con la nostra sensibilità. Riscoprire i contemporanei
di Mozart e relazionarli nuovamente a lui non avrebbe il significato di sminuirne
il ruolo e la figura. Tutt’altro; offrirebbe l’opportunità di tornare a Mozart più
consapevoli di prima. Ci aiuterebbe a comprenderne meglio la scrittura: la grande
capacità di sintesi come la simultaneità dell’uso di più piani espressivi.
Analogamente la proposta di lavoro sul terreno delle opere musicali va estesa alla
sempre aperta discussione sull’uomo e alle relazioni con il mondo che lo
circondava. Un terreno scivoloso su cui i Biografi continuano a divergere, con il
risultato paradossale che quanto la sua musica è immediatamente riconoscibile
anche ad un ascoltatore non espertissimo, altrettanto non si può dire della
1
personalità, sfuggente ad un modello unico, e delle sue vicissitudini biografiche,
ancora fonte di interpretazioni contrastanti.
Mozart sopravisse in ‘eroica povertà’ gli ultimi anni della sua vita, patendo in
prima persona le conseguenze del proprio desiderio di autonomia e
l’impreparazione di un contesto non ancora maturo per consentire ad un
musicista la libera professione oppure le risorse finanziarie non gli vennero mai
meno, e anzi sperperò enormi somme al gioco e visse al di sopra delle proprie
possibilità ? Dovette subire per la satira delle Nozze di Figaro la vendetta della
Nobiltà, che gli voltò le spalle disertandone le accademie e bandendolo come
Maestro di piano dalle proprie dimore, oppure la guerra contro la Turchia
imponeva restrizioni per tutti o forse aveva semplicemente ragione il Conte
d’Arco, che era buon conoscitore delle genti viennesi, pronosticando giustamente
l’epilogo ? Fu un eterno genio-bambino, burlone, ingenuo e insolente, quasi
imbarazzante al di fuori della creazione musicale od un conoscitore della socialità di corte, capace di intrighi, fine intellettuale, sensibile e partecipe agli epocali
cambiamenti di un’era di transizione ? Morì di febbre miliare acuta enfiando le
gote nel tentativo di simulare i tromboni del Requiem oppure fu vittima di un
complotto ordito dalla massoneria o della gelosia di un marito tradito ?
Sono alcune tematiche centrali nello studio della sua personalità e note a chiunque abbia una minima confidenza con le sue peripezie biografiche. E nonostante
le fonti andate in secca da ormai quasi un trentennio1 — e forse proprio in virtù
di questo — va dato atto che in questo arco di tempo non sono mancati contributi
capaci di rileggere con arguzia il materiale a disposizione così come tentativi di
superare cliché logori e rinnovare l’immagine stantia ereditata dalle biografie più
pigre. Ne risulta un corpo bibliografico arricchito e rigenerato nelle idee, ma
anche un accentuato disorientamento per le antinomiche immagini prodotte. Ciò
proprio in virtù del fatto che si tratta di interventi che coprono un vasto raggio di
interessi, dalla psicologia alla sociologia, dall’estetica alla letteratura sino alla
biografia. Della molteplicità dei volumi prodotti la scelta cade su tre ai quali
dedicarsi brevemente: Elias, Buscaroli e Bramani. Diversi nell’impostazione, per
non dire antitetici nelle conclusioni, sono per questo paradigmatici dei diversi
filoni presi in questi ultimi anni. L’analisi introspettiva e al tempo stesso
sociologica di Norbert Elias2, che fu sociologo e storico attento, di un Mozart
morto per mancanza di amore della moglie e della città sulla quale aveva riposto
le proprie aspettative si genera sulla base di una lunga tradizione di stereotipi
ereditati acriticamente o perlomeno è il segno della mancanza di ricerca diretta3.
Pur non rinnovandone l’immagine, con l’introduzione degli strumenti e delle
1
E. DEUTSCH, Mozart die Dokumente seines Lebens. Addenda und Corrigenda, Zusammengestellt von Joseph Eibl,
Kassel, 1978.
2
N. ELIAS, Mozart: sociologia di un genio. Il Mulino, Bologna, 1990.
3
Non convince la sua tesi di un contesto, quello viennese negli anni di Mozart, immerso nelle regole vincolanti e
gerarchiche della società d’Ancien Regime. È un tema che verrà affrontato distesamente nel corso dell’articolo.
Quanto all’idea che Mozart avvertisse negli ultimi anni di vita una sensazione di abbandono o di mancanza di
successo l’impressionante trionfo della Zauberflöte e l’effetto galvanizzante che ebbe su di lui, può bastare da solo a
respingerla recisamente.
2
problematiche proprie dell’analisi sociologica indica alcuni stimolanti percorsi di
ricerca.
Il Buscaroli, che è critico scorbutico a cui non manca certo la capacità di osare,
disegna con metodologia investigativa un ‘Curriculum Mortis’ alquanto insolito
rispetto a quanto siamo abituati a leggere. Il suo saggio4 rappresenta ad ogni
modo un punto di riferimento imprescindibile per chiunque sia interessato ad uno
studio biografico. La Bramani5 tenta di ribaltare il cliché del genio capriccioso e
infantile. Lo fa affrontando organicamente un tema delicato (perché suscettibile
ad una ridda di interpretazioni le più disparate), quale è quello della massoneria
relazionata alla produzione musicale, e aprendo uno squarcio sui fermenti
culturali e politici implicitamente o esplicitamente connessi al mondo musicale,
ma un uso parziale e arbitrario delle fonti rende il suo saggio più letterario che
veramente storico-biografico6.
L’interesse multi-disciplinare che la figura di Mozart ha suscitato è diventato
paradossalmente spia di una certa stanchezza della ricerca e la tendenza editoriale
di privilegiare il moltiplicarsi di biografie romanzate ne è ulteriore conferma.
Resto invece convinto che le problematiche che la vita e l’opera di Mozart
suscitano diventerebbero più comprensibili con un cambiamento di prospettiva
che invece del singolo ponesse al centro dell’indagine il contesto in cui è vissuto.
Retrocedere Mozart in una posizione che cessi di essere privilegiata rispetto ai
suoi contemporanei, come in genere si fa secondo un approccio falsamente
retrospettivo che fa valere aprioristicamente principi estetici emersi marcatamente solo a posteriori, può assumere una molteplice valenza, a seconda del
campo di indagine che suscita la nostra attenzione. Cominciamo allora gettando
un rapido sguardo alla fisionomia della capitale dell’impero asburgico.
Vienna nel Settecento era una città cosmopolita, crocevia di esperienze e culture
diverse, che attirava, per un alto standard di vita garantito dalla presenza di una
Corte imperiale e di famiglie della grande aristocrazia, commercianti, artisti e
mercanti provenienti dai più disparati angoli dell’impero. Schiere di tedeschi,
ungheresi, boemi, italiani vi si trasferivano in cerca di fortuna.
Con la morte dell’Imperatrice-Madre Maria Teresa e la conduzione unica di
Giuseppe II la politica riformista si fece più radicale e introdusse cambiamenti
4
P. BUSCAROLI, La morte di Mozart, Rizzoli, Milano, 1996.
L. BRAMANI, Mozart massone e rivoluzionario, Mondatori, Milano, 2005.
6
C’è nella Bramani la tendenza a ridurre di valore od omettere quelle testimonianze che renderebbero meno granitico
l’apparato concettuale su cui poggia la tesi principale del suo volume. Per limitarsi ad un paio di esempi basti citare il
depotenziamento che fa dell’aspro commento di Mozart per la morte di Voltaire in una celebre epistola al padre
durante il soggiorno parigino. Ivi pp. 24-25, pp. 79-80 .O la fugace citazione della scrittrice Pichler ricordata come la
figlia di quel Franz Sales von Greiner, massone e consigliere di corte, il cui salotto era frequentato da « intellettuali e
artisti come i fratelli Schleghel, Grillparzer, Brentano, Beethoven e Schubert ». Ivi p. 57. In realtà la Pichler è nota
alle cronache mozartiane per aver lasciato un profilo psicologico e intellettuale non proprio lusinghiero del maestro
salisburghese: « Mozart e Haydn, io li conobbi bene. Erano uomini comuni, a frequentarli non rivelavano speciali
segni di potenza intellettuale: a stento si coglieva in loro qualche traccia di una educazione spirituale, o di un
qualsiasi superiore interesse culturale. Mentalità ordinarie, scherzi triviali e, nel primo, una condotta irresponsabile,
erano tutto ciò che si osservava in loro compagnia; …». E. DEUTSCH, Mozart. Die Dokumente seines Lebens, Kassel,
1961 pp. 472 e seg.
5
3
economici e sociali che andarono ad intaccare alcune tradizionali aree di
privilegio e portarono a cospicue ascese sociali specialmente nell’industria. Un
contesto così riformato non poteva non avere le sue positive ripercussioni anche
sulle attività musicali, e così fu. La musica a Vienna, benché in ambito operistico
attivissima e produttrice di fondamentali novità, ancora alla metà degli anni
settanta del Secolo si dimostrava languente sul versante delle attività concertistiche e dell’editoria, specialmente se creiamo una linea di confronto con alcune
delle principali città europee. Un operatore musicale che si fosse recato a Vienna
nel corso del Settecento avrebbe impiegato il suo talento e legato le sue fortune al
mondo dell’opera o ad un ingaggio presso la Corte o una famiglia della grande
aristocrazia. L’universo musicale era in questo senso ancora specchio della società d’Ancien Regime, il cui modello dominante era quello mecenatesco fondato
su schemi comportamentali paternalistici e auto-celebrativi, ed eccettuate le stelle
del canto o compositori particolarmente in voga non esisteva libera professione
musicale. È però durante il decennio Giuseppino che si viene concretizzando un
decisivo punto di svolta7: lo evidenziano la diffusione dell’editoria musicale,
della musica pianistica e dell’esecuzione di accademie strumentali a pagamento,
queste ultime realizzate in occasioni e spazi diversi. Tutti fattori fra loro
strettamente correlati che introducevano approcci nuovi all’ascolto così come alla
pratica strumentale. La socialità musicale veniva modificandosi e ad una
dimensione collettiva e celebrativa se ne affiancava, rafforzandosi sempre più,
una individuale, il cui fine era verosimilmente il mero piacere e la cui
discriminante sembra essere data dal potere d’acquisto dell’oggetto musicale.
Questo cambiamento poneva inoltre le basi per la configurazione di una nuova
tipologia di libero professionista musicale, per cui in un mercato musicale più
ricco e dinamico un musicista vedeva aumentare il ventaglio delle opportunità
per mettere a frutto il proprio talento: dalla didattica ad una variabile
partecipazione nell’editoria, dalla composizione di opere all’esecuzione di
accademie strumentali fino alle committenze più bizzarre. Una conferma di
questo viene dai numeri, ma anche dalle biografie.
Sul versante editoriale chi fece da precorritore fu la famiglia Artaria8. Originaria
di Como si era trasferita stabilmente in Vienna dal 1769 dove vendeva nel suo
‘Kunsthandlung’ sulla Kleinen Dorotheergasse incisioni di vedute artistiche e
carte geografiche, barometri, e altri apparecchi ottici. Dal 1776 introdusse fra gli
7
K. KOMLÓS, The viennese keyboard trio in the 1780s: sociological background and contemporary reception, in
‘Music & Letters’, july 1987, pp. 222-235. M. S. MORROW, Concert life in Haydn’s Vienna: aspects of a Developing
Musical and Social Institution, Pendragon Press, Stuyveisant, 1988. Quest’ultimo da leggere con le integrazioni e
correzioni del suo censore Dextor Edge. D. EDGE, Review Article: Mary Sue Morrow, Concert life in Haydn’s
Vienna: aspects of a Developing Musical and Social Institution, Pendragon Press, Stuyveisant, 1988, in ‘Haydn
Yearbook’, XVII, 1992, pp. 108-166.
8
R. HILMAR, Der Musikverlag Artaria & Comp., Geschichte und Probleme der Druckproduktion, Pubblikationen des
Instituts für österreichische Musikdokumentation, herausgegeben von Franz Grasberger. Verlegt bei Hans Schneider,
Tutzing, 1977.
4
scaffali del proprio negozio spartiti musicali sia manoscritti che a stampa, che
erano stati acquistati all’estero. Un commercio che dovette essere
particolarmente proficuo e incoraggiante se soltanto due anni dopo la famiglia
Artaria decise di dedicarsi, prima impresa in Vienna, alla stampa di note
musicali. Questa attività conobbe una vertiginosa crescita, tanto che nel giro di
pochi anni il suo catalogo poteva annoverare i più celebri compositori europei e
divenire un punto di riferimento per l’editoria musicale europea. Un tale successo
fece da detonatore ed incitò una lunga schiera di emuli, i quali si trovarono
ulteriormente facilitati nei loro propositi dalla Zensurpatent emanata dall’Imperatore l’11 giugno 1781, che introduceva una maggiore liberalità nella
concessione di licenze per la vendita libraria9. Eccettuando Torricella e il
parigino Huberty, che principiarono la propria attività quasi contemporaneamente
agli Artaria, iniziarono negli anni ottanta a dedicarsi all’editoria musicale Lausch
(1781), Traeg (1781), Löschenkohl (1782), Frister (1783), Stöckl (1783),
Hoffmeister (1784).RåHOXK6XNRZDW\3HQQDXHU5DNND
( 1789) e infine Eder (1789)10. Dallo studio in generaledi essi si delineano le
varie modalità in cui l’editoria musicale si sviluppò: con l’estensione del campo
di vendita, da parte di venditori di libri, al settore musicale, con la trasformazione
da vendita ad editoria e infine con la diretta partecipazione di musicisti sia
nell’editoria che nella vendita al dettaglio. Fra questi ultimi suscitano particolare
LQWHUHVVH +RIIPHLVWHU H .RåHOXK OH ORUR vicende biografiche sono
particolarmente indicative nel mostrare come una nuova fase si fosse aperta e un
compositore dotato di spirito imprenditoriale potesse gestirsi autonomamente e
affrancarsi dalla protezione di un singolo mecenate. Franz Anton Hoffmeister,
originario di Rothenburg dove era nato nel 1754 si recò a Vienna nel 1769 per
completare i suoi studi giuridici, terminati i quali dedicò sempre più tempo alla
musica. Di lui esiste una impressionante produzione che spazia dai concerti ai
Singspiel fino alla musica cameristica per organici ridotti (Gebrauchsmusik).
L’attività editoriale nacque proprio in conseguenza della maturata
consapevolezza del musicista che per vivere del proprio mestiere era necessario
liberarsi dalla dipendenza delle case editrici e tentare una strada autonoma che gli
consentisse di promuovere, pubblicandoli, i propri lavori. Poco esperto nel
settore, Hoffmeister si affiancò inizialmente ad un venditore di libri, Rudolf
Gräffer, ma questo sodalizio durò solo pochi mesi: il tempo necessario per
comprendere le dinamiche del lavoro e proseguire da solo un’attività che
raggiunse il suo vertice con l’apertura di una filiale a Linz nel 1791 e che fra
9
Non esistendo una legislazione apposita per i ‘Kunsthandlungen’ i regolamenti presi per i ‘Buchhandlungen’ si
applicavano automaticamente ai venditori di spartiti musicali. R. HILMAR, op. cit., pp. 53-55.
10
A. WEINMANN, Wiener Musikverleger und Musikalenhändler von Mozarts Zeit bis gegen 1860, Veröffentlichungen
der Kommission für Musikforschung, herausgegeben von Erich Schenk. In Kommission bei Rudolf M. Rohrer, Wien,
1956, p. 37.
5
successivi alti e bassi terminò nel 1806 con la cessione dell’attività11. Non molto
GLVVLPLOHODYLFHQGDGL.RåHOXK$QFK¶HJOLSURYHniente dalla provincia, era nato
nel 1747 a Wellwarn in Boemia e, terminati gli studi giuridici in Praga, si trasferì
nel 1778 a Vienna per tentare la via musicale. Il suo destino si lega in modo
singolare a quello di Mozart. Nel 1781, quando quest’ultimo si licenziò dall’impiego a Salisburgo, l’eccentrico Arcivescovo Colloredo pensò bene di
rimpiazzare l’ingrato fanciullo prodigio con un noto virtuoso della tastiera,
.RåHOXK SHU O¶DSSXQWR LO TXDOH evidentemente informato della situazione
lasciata dal suo predecessore, declinò l’invito. Undici anni più tardi, pochi mesi
GRSR OD PRUWH GL 0R]DUW IX SURSULR .RåHOXK D VXbentrare al suo posto alla
+RIEXUJ ,Q TXHVWR GHFHQQLR TXLQGL .RåHOXK YLVVH GD Lndipendente, senza un
ingaggio permanente e vincolante, grazie all’ attività editoriale (che ebbe inizio
in seguito a divergenze con l’editore Torricella e con la pubblicazione di lavori
propri), a quella concertistica e didattica. Frutto anche del suo contributo,
nell’ultimo quarto del Secolo, era esplosa in Vienna la moda del fortepiano ed
aveva contagiato persone di varia estrazione sociale: le donne costituivano la
maggior parte degli allievi ed erano le destinatarie di molte pubblicazioni. Il
cerchio virtuoso sollecitato dalla musica cameristica ed in particolar modo
pianistica completava il suo giro con l’attività concertistica che permetteva al
compositore di turno, come d’altronde a quei musicisti che lo accompagnavano,
di esibirsi in pubblici e privati concerti presso teatri, sale da ballo o saloni affittati
per l’occasione, parchi come l’Augarten o abitazioni dell’ aristocrazia.
Mozart, in un contesto del genere e con il talento che possedeva, realizzò molto
ed investigò a fondo tutte le possibilità che questo mercato gli poteva dare,
eccettuando l’impresa editoriale cui si dedicò in prima persona solo raramente
con la vendita per sottoscrizione. È indubbiamente singolare il fatto che negli
ultimi anni di vita, allorché divenne stipendiato della corte e perse in senso
assoluto lo status di libero artista, andasse incontro ad alcune difficoltà
economiche.
Ma non fu mai povero e questo si chiarisce specialmente superando quella
semplicistica quanto assurda proprietà transitiva che pone sullo stesso piano
debiti e povertà. Per corroborare ipotesi pauperistiche si fa generalmente
riferimento alle dirette testimonianze di Mozart stesso, vale a dire le commoventi
lettere indirizzate al creditore frammassone Puchberg che sembrerebbero
giustificare il noto leit-motiv. Ma qui l’errore sta proprio nell’ignorare la
mentalità dell’epoca ed è liberandosi della prospettiva univoca, concentrata
asfitticamente sulle vicende di un singolo, che si possono evitare mistificazioni
fuorvianti. Voglio quindi riportare a titolo di esempio comparativo un caso affine
cronologicamente e nella sostanza. Il noto violinista livornese Pietro Nardini12
nel 1792, quando era ormai al crepuscolo della propria carriera, subì, durante una
stagione di riduzione delle spese di corte iniziata sotto il governo del Granduca
11
A. WEINMANN, Die Wiener Verlagswerke von F. A. Hoffmeister, Wien 1964.
Pietro Nardini (Livorno 1722 – Firenze 1793). Dopo aver completato la propria formazione in Padova sotto la
guida del Maestro Tartini, esercitò la propria professione in diverse città italiane ed europee, fino poi a stabilirsi
definitivamente in Firenze nel 1768 come stipendiato alla corte di Pietro Leopoldo.
12
6
Pietro Leopoldo, una decurtazione dello stipendio ad opera di Ferdinando, figlio
e successore al trono di Toscana di Pietro Leopoldo. A ciò seguì una supplica del
violinista livornese il quale lamentava che lo stipendio annuale (350 scudi, il più
alto fra i musicisti ed equiparabile a quello degli uomini posti al vertice della
corte) gli fosse stato « appena sufficiente fin qui per provvedere ai propri
giornalieri bisogni »13, e che il nuovo non bastasse al « sostentamento del proprio
individuo ». Si consideri inoltre che il Nardini aveva altre consistenti entrate
provenienti dall’attività didattica e concertistica, che non aveva famiglia a carico
e che soltanto pochi anni prima (1786) aveva redatto un testamento, confermato
da un successivo codicillo stilato nel 1789, da cui si evince come in realtà i
giornalieri bisogni avessero la fisionomia di « mobili, immobili, tanto liberi che
livellari, semoventi, ragioni, azioni, crediti presenti e futuri »14 a cui vanno
aggiunte altre consistenti ‘briciole’. Diviene di conseguenza più chiaro che, pur
prendendo le dovute distanze dalla pretesa di voler equiparare due situazioni e
due individui diversi, la drammatizzazione — che poi si trasformava in
deformazione — della propria situazione era prassi codificata nel richiedere
denaro, condizione necessaria affinché il creditore — borghese e massone o
Sovrano che fosse — aprisse la borsa.
Se poi per comprendere un individuo bisogna conoscerne le aspirazioni
dominanti15 e ci domandiamo come Mozart si vedesse collocato tout court nella
società viennese, dovremmo porci alcuni quesiti. Sottolineare ad esempio il fatto
che Mozart rinunci a metà del suo stipendio annuale di corte (800 fiorini) per
pagare la retta al collegio degli Scolopi – luogo ottimo per la salute, ma inutile
sul piano educativo16 — del primogenito Carl Thomas ha un significato più
profondo del rifiuto, fondato sulla constatazione di un mero dato matematico, di
ipotesi pauperistiche sugli ultimi anni della sua vita17. Sarebbe interessante
invece conoscere quale funzione avesse tale collegio nella Vienna dell’epoca, chi
fossero i compagni di scuola del piccolo Carl Thomas e da quali famiglie
provenissero, se fossero nobili, industriali, commercianti, artisti in ascesa o alti
funzionari di corte. Per chi, come Mozart, era ossessionato dal senso dell’onore18
e attento a curare la propria immagine sociale, vestendo alla moda e dando
sfoggio di lusso ogni volta che se ne prestasse occasione, la scelta di una certa
scuola per l’educazione del figlio non fu certamente un semplice dettaglio. Corrispondeva verosimilmente alla posizione sociale che egli si era assegnato
nell’articolata gerarchia economico-sociale della società viennese.
Parallelamente al Mozart visto da sé, va esplorato il Mozart visto dagli altri.
Intendendo con ciò non le note descrizioni dei contemporanei sulle sue
caratteristiche fisiche e psicologiche o i racconti relativi a più o meno bizzarri
fatti anedottici. Il riferimento in questo senso va al mondo politico e all’uso che
13
Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF) Imperiale e Reale Corte, F. 3552.
ASF, Notarile Moderno, Protocolli, N. 27618, Notaio Francesco Ragazzini, cc. 26-27.
15
N. ELIAS, Mozart sociologia di un genio, op. cit. p. 7 e sgg.
16
P. BUSCAROLI, La morte di Mozart, op. cit., p. 328
17
Ivi p. 340.
18
R. ANGERMÜLLER, Auf Ehre und Credit, die Finanzen des W.A. Mozart, Ausstellung der Internationalen Stiftung
Mozarteum Salzburg, der Staatlichen Münzsammlung München, und der Bayerischen Vereinsbank, München, 1983.
14
7
esso fece del teatro d’opera per veicolare i propri messaggi in una delicata fase di
rinnovamento della società e della socialità. L’Opera di Corte a Vienna era da
sempre, oltre che un laboratorio per sperimentazioni di vario genere e punto di
riferimento per tutte le altre capitali europee, un istituzione aderente alle politiche
degli Asburgo. Dal tempo delle sontuose messe in scena barocche allestite
dall’imperatore Leopoldo I sino a quello di suo nipote Carlo VI, l’Opera fu parte
integrante dell’etichetta di Corte e di eventi celebrativi, in cui soggetti di natura
mitologica e classica dominavano la scena e avevano il compito di dare prestigio
al Casato e esaltarne la potenza al mondo. La successiva Era apertasi con il
governo di Maria Teresa si caratterizzò sin dall’inizio per un andamento più
parsimonioso e, nell’ultimo periodo (1766-1776), per la gestione dei teatri di
Corte secondo un sistema impresariale. Era il segno dei tempi. Le continue
guerre avevano prosciugato le casse imperiali, ma anche le infiltrazioni di
matrice illuminista facevano sentire il proprio peso nell’ottica di una
organizzazione più razionale delle risorse. Politica e Opera avevano comunque
continuato il loro percorso durante la gestione del Conte Durazzo, il quale
introdusse nella riforma del melodramma da lui coordinata elementi filo-francesi,
specchio della alleanza militare maturata nel corso della guerra dei sette anni e
preludio di una politica di incroci matrimoniali fra le due Monarchie, e, sotto la
tutela dell’Imperatore Francesco I, aspetti illuministici e a sfondo massonico19.
Quando Giuseppe II decise nel 1776 di prendere su di sé la responsabilità di
riportare il teatro d’opera sotto la diretta gestione della Corte, fondando il
Nationaltheater e dando vita alla Schauspielfreiheit, vi erano ragioni di carattere
politico ed economico20. Era importante da un punto di vista politico dare dei
segnali anche attraverso il mondo teatrale, inserendovi quell’opera di
germanizzazione che stava abbracciando tutte le realtà istituzionali dei diversi
paesi dell’Impero. Perciò salì alla ribalta il Singspiel che dominò le scene del
Burgtheater e del Kärtnertortheater sino al 1782.
In che direzione poi conducesse la politica economica giuseppina lo si vede
soprattutto con gli effetti sortiti dalla liberalizzazione teatrale seguita alla
Schauspielfreiheit, che oltre a permettere l’uso dei teatri di Corte per concerti,
accademie e opere quando non erano impegnati dalle truppe tedesche, incentivò
nel decennio successivo l’apertura nei sobborghi di Vienna di numerosi teatri
popolari, fra i quali il Theater auf der Wieden e il Leopoldstädter Theater. Si
trattava di un provvedimento che faceva il paio con la liberalizzazione (1781)
sopra accennata in campo editoriale, che oltre a rendere più vivace la vita
musicale viennese produsse più opportunità per i musicisti e in generale per tutti
19
B. A. BROWN, Gluck and the French Theatre in Vienna, Oxford, 1991, J. E. CUMMING, Gluck’s Iphigenia Operas:
Sources and Strategies, in “Opera and the Enlightment”, ed. Thomas Bauman and Marita McClymonds, Cambridge,
1995, pp.217-240.
20
F. HADAMOWSKY, Die Wiener Hoftheater (Staatstheater) 1776-1966: Verzeichnis der aufgeführten Stücke mit
Bestandnachweis und täglichem Spielplan, Vol. 1: 1776-1810, Wien : George Prachner, 1966. O. MICHTNER, Das
alte Burgtheater als Opernbühne: Von der Einführung des deutschen Singspiel (1778) bis zum Tod Kaiser Leopolds
II. (1792). Wien: Österreichische Akademie der Wissenschaften, 1970.
8
coloro che di musica vivevano: dai cantanti agli attori, dai figuranti agli
impresari, dai copisti agli editori, dai garzoni ai macchinisti. L’elenco potrebbe
lungamente proseguire ma ciò che preme sottolineare è che in questa dinamica si
rende chiaramente visibile quella crescita della società auspicata da Giuseppe II
con le sue riforme e si rispecchia la ricerca del Bonheur dei propri sudditi, che
all’Imperatore stava a cuore.
Sono però le ragioni che spinsero al ritorno dell’opera buffa italiana nel 1783 e i
sette anni di attività che ne seguirono fino alla morte dell’imperatore, che
suscitano ancora le maggiori problematiche e sempre nuovi spunti di interesse,
ma che, nonostante l’enorme attenzione suscitata negli studiosi per la presenza
catalizzante di Mozart, attendono ancora spiegazioni convincenti. Le origini di
questo cambiamento non sono presenti, a scorno di tutti gli affezionati alla prova
documentaria, in nessun documento, ma si può tentare di individuarne le opportunità ripercorrendo quel settennato secondo un percorso analitico ed organico. I
contributi, come detto, non mancano, e non c’è dubbio che presentino vari meriti.
Ciò che manca è invece un diverso metodo di ricerca, la capacità di liberarsi da
un utilizzo piatto di una certa tipologia di fonti e sopra ogni cosa il superamento
di fratture disciplinari. Problemi in questo senso si riscontrano nel cercare le
risposte al funzionamento di cariche e competenze del teatro d’opera limitandosi
all’uso della fonte archivistica, non sempre incrociata felicemente con altre
tipologie di fonti, come lettere, gazzette o memoriali; nella tendenza a fare il
calco dapontiano, pur riconoscendone la frequente inattendibilità; nell’uso
maldestro, perché monotematico, dei diari del Conte Zinzendorf, il quale si trova
suo malgrado (ma in fondo con la sua grafomania se l’era cercata) a vedersi
cucito addosso il vestito di rappresentante degli umori e delle reazioni della
nobiltà viennese ogni qual volta si reca a teatro e lascia la sua annotazione
cronachistica. Ci si appunta appassionatamente sui suoi gettoni di presenza ad
eventi musicali21 rendendolo un esperto di teatro quale non fu mai, e si dimentica
l’uomo che si cela dietro i 76 volumi del suo diario giornaliero che abbraccia un
cinquantennio ed è ricco di riferimenti alla politica, alla cultura e alla società in
generale. Il suo è uno di quei casi paradigmatici di una condizione frequente
negli Studi, per cui succede che fra campi disciplinari diversi non si comunica o
più semplicemente ci si ignora.
L’Opera a Vienna non fu solo quella specie di “operetta” fatta di rivalità e cabale
che amano descrivere il Da Ponte22 su tutti o altri protagonisti di quella stagione,
come Mozart, a caldo nelle lettere al padre, o il tenore Kelly affidandosi
anch’egli ai ricordi23. Certo a Giuseppe II non doveva dispiacere quel teatrino di
libelli, suppliche e liti fra cantanti, compositori e librettisti. Lusingava la sua
21
D. LINK, The National Court theatre in Mozart’s Vienna, sources and Documents 1783-1792, Clarendon Press
Oxford, 1998.
22
L. DA PONTE, Memorie. Libretti mozartiani, Le Nozze di Figaro-Don Giovanni–Così fan tutte, introduzione di
Giuseppe Armani, Garzanti 1976.
23
M. KELLY, Reminescences, a cura di Roger Fiske, Londra, 1975.
9
necessità di essere adulato e forse era medicina per lenire la noia24. Ma il suo
progetto teatrale aveva un respiro più ampio di quello che appare e venne
realizzato in funzione delle sue esigenze politiche. Giuseppe II a questo fine
disegnò una squadra di lavoro affidabile non solo per la qualità degli allestimenti
prodotti, ma compatibile con il suo carattere, con la sua visione del mondo e con
il suo progetto di trasformazione della società. Il gruppo allestito a ben guardare
presentava molte affinità, che si caratterizzano per un marcato anti-clericalismo,
per la spregiudicatezza dei costumi sconfinante nel libertinismo e per le tangenze
—variabili di intensità a seconda del personaggio — con tematiche illuministiche
o la politica in generale. Il Conte Orsini Rosenberg, gli abatini Casti e Da Ponte e
lo stesso Mozart rappresentavano nel complesso una vera squadra d’assalto, le
cui biografie tutt’altro che conformiste, costituivano per l’Imperatore una
garanzia. Anche i ruoli furono distribuiti secondo le competenze e se il Conte
Orsini Rosenberg rappresentava un intelligente consigliere oltre che un fidato
coordinatore, al Casti venne affidata la cura di opere che dovevano fare da
contrappunto alla politica estera, mentre al Da Ponte, in buona parte con la
collaborazione di Mozart, fu assegnata una programmazione scandalistica ed
edificante che toccava la morale e i costumi ma anche i privilegi sociali.
Il conte Orsini Rosenberg rappresenta uno dei maggiori gap conoscitivi nella
storia di questo periodo e su di lui sembra essersi posata più che mai quella
‘maledizione’ cui ho accennato sopra in riferimento alle fratture disciplinari;
come non si trova uno storico che sia disposto ad indugiare sui suoi interessi
musicali, per semplice disinteresse oppure nel timore di vedere depotenziati gli
edificanti ritratti che di lui si fanno come protagonista di un virtuoso quinquennio
di assestamento e razionalizzazione a Firenze. Altrettanto succede all’opposto in
ambito musicologico, dove non c’è un solo studioso che si soffermi ad
evidenziare le sue competenze in ambito politico ed economico e il fatto che
fosse uno degli uomini di punta della famiglia Asburgo. Ce lo troviamo dal 1778
al supremo grado della scala gerarchica nella gestione del teatro più importante
d’Europa a prendere ordini dall’Imperatore (ordini provenienti anche dal campo
di battaglia), senza che alcuno si prenda la briga di abbozzarne un minimo profilo
biografico o professionale. Lo si fa entrare in scena casualmente nello stesso
modo — verrebbe da dire — in cui Da Ponte, favoleggiando sul suo ingaggio da
parte dell’Imperatore, fa il suo ingresso nell’empireo teatrale viennese con il
titolo di «Musa vergine»25. Così, casualmente anche lui. C’è da aggiungere che
queste lacune sono conseguenza dell’abitudine a ridurre l’interesse di Studio ad
una determinata area geografica e all’uso di, spesso necessarie, periodizzazioni.
Il risultato, per quante attenuanti si possano trovare, resta comunque inalterato,
ed è che a Firenze si ignora il Rosenberg viennese e viceversa a Vienna quello
fiorentino e che il suo ruolo di Sovrintendente teatrale attende conseguentemente
di essere ancora studiato. Eppure il materiale sul Rosenberg non manca: a
24
Così stando alla severa «Relazione del viaggio e del soggiorno fatto da S.A.R. in Vienna nel luglio 1984» stesa da
un «commesso della Segreteria » sotto dettatura del Granduca Pietro Leopoldo. Cfr. A. WANDRUSZKA, Pietro
Leopoldo, un grande riformatore, Vallecchi Editore, Firenze, 1968, pp. 472-482.
25
L. DA PONTE, Memorie, op.cit., p. 90.
10
Klagenfurt c’è un ricco carteggio che testimonia la corrispondenza con Pietro
Leopoldo, continuata assiduamente anche dopo l’esperienza fiorentina, e con altri
insigni personaggi dell’epoca; inoltre il carteggio metastasiano invita a stimolanti
letture.
Quanto sia necessario per approfondire questo tema muoversi sul lungo periodo e
allargare il campo di interesse al capoluogo toscano ce lo dimostra anche la
vicenda del Casti. Proprio a Firenze inizia nel 1765 il suo legame con gli
Asburgo. Qui, bene accolto dalla Corte, divenne in breve poeta di Corte e
protetto del Rosenberg, che lo condusse con sé a Vienna nel 1772. Questa
l’origine della «casti-rosembergica» famiglia26. La sua vena poetica a Firenze
ebbe occasione di mostrare il proprio ingegno con la pubblicazione delle
Anacreontiche27 e sempre qui ebbe inizio il suo avvicinamento al mondo
operistico28. Ma ciò che spinse il Rosenberg a puntare su di lui fu, oltre il talento
poetico, la consapevolezza di essere di fronte ad un uomo dotato di straordinaria
acutezza politica e di una capacità descrittiva fuori del comune. Sono certamente
queste le doti che mossero chi comandava a dargli fiducia e a investirlo
dell’insolito incarico di accompagnatore del figlio del Principe Kaunitz,
l’Eminenza grigia della Monarchia, nei suoi viaggi fra il diplomatico e
l’istruttivo nelle principali corti d’Europa, a Berlino, Stoccolma, Lisbona e San
Pietroburgo. Muresu sposa la causa dell’indipendenza e giura che il Casti
affrontasse tanti viaggi per piacere e irrequietudine di spirito29. Chi scrive è
invece convinto che per un ventennio buono l’abatino fosse al soldo della
Monarchia asburgica in qualità di ‘Spion’ e che le sue continue trasferte fossero
vere e proprie missioni diplomatiche, il cui compito era quello di scandagliare il
terreno e fornire acute descrizioni a tutto campo, dalla fisionomia della società
allo stato del governo, alla situazione militare. Sono aspetti che, accompagnati ad
uno spirito polemico e ad una satira mordace, emergono anche nel Poema
tartaro, canzonatura acuta dei popoli di Russia e della Semiramide del Nord,
nonchè dell’atteggiamento di quei Philosophes che esaltavano l’opera di Caterina
II per via di un conformismo, frutto di disinformazione30. La morte di Metastasio
nell’aprile 1782 si dice avesse acceso nel Casti la brama di essere fatto poeta
imperiale, ma egli, con tempismo perfetto, è di nuovo a Vienna non prima del
settembre 1783 in concomitanza con l’apertura di una nuova stagione teatrale
viennese, quella dell’opera-buffa. L’esordio un anno dopo con il Re Teodoro a
26
Ivi, p. 95.
«Il Sig. Canonico Casti Poeta celebre per altre opere stampate, nell’istessa mattina di Domenica ebbe l’onore di
presentare alla LL.AA.RR., una sua nuova raccolta di poesie intitolata “Poesie liriche di Gio Battista Casti Poeta di
S.A.R. il GranDuca di Toscana, dedicate alla Real Granduchessa Maria Luisa, Arciduchessa d’Austria ecc.”, e le
LL.AA.RR. l’accolsero con particolari segni di benignità. Il libro che è di Pagine 192 e che è diviso in due parti, la
prima di Anacreontiche, e la seconda di cantate, si troverà vendibile a prezzo discreto alle due Botteghe de’ Pagani, e
cosi resterà soddisfatto il pubblico, che pur troppo conosce, per averlo sentito spesse volte recitato, in diverse
Accademie, qual sia la leggiadra maniera di comporre del nominato soggetto». Gazzetta Toscana, 22 luglio 1769.
28
Con un «componimento boschereccio» su musica di Pazzaglia allestito a Villa la Petraia in occasione del passaggio
da Firenze in direzione Napoli di Maria Carolina, sorella del Granduca Pietro Leopoldo. Gazzetta Toscana, 13 marzo
1768.
29
G. MURESU, Le occasioni di un libertino (G.B.Casti), Casa Editrice G. D’Anna, Messina-Firenze, 1973, p. 81; p.
114.
30
Ivi, p. 92.
27
11
Venezia, su musica di Paisiello, valeva già come una dichiarazione di intenti
della direzione presa dal nuovo corso. Dietro al gioco della commedia, veniva
messo alla berlina il Re fisiocrate Gustavo III di Svezia31, preso nuovamente di
mira dal Casti, dopo il Poema Tartaro, per le sue manie di grandezza poco
corrispondenti a effettive possibilità. Seguì nel 1785 La grotta di Trofonio,
musica del Salieri, satira rivolta ai filosofi vani e maghi imbroglioni e poi nel
1786 Prima la musica e poi le parole, che pare si rivolgesse al Da Ponte, ma che
nell’insieme parodizzava tutto il sistema produttivo teatrale.
Un ritorno più reciso all’opera con richiami alla politica estera si doveva
materializzare con l’allestimento del Cublai, Gran Kan de’ Tartari, opera tratta
dall’undicesimo canto del Poema Tartaro che riprendeva nuovamente la sua
satira della corte russa e a cui Salieri lavorò per un paio d’anni32. Salieri non era
certo autore che componesse senza garanzia di essere rappresentato e l’inizio
dell’opera nel 1786 durante il soggiorno parigino, così come la sua carica al
Burgtheater, rendono difficile pensare a qualcosa di diverso da una precisa
ordinazione. L’opera era praticamente giunta a conclusione nel 1788, ma, a
ulteriore conferma del suo contenuto politico, non venne rappresentata per la sua
inadeguatezza rispetto all’attuale panorama della politica estera, che vedeva la
Monarchia Asburgica impegnata a fianco proprio della Zarina in una impopolare
guerra contro i Turchi. Casti non aveva perso la sua popolarità presso
l’Imperatore, ed anzi la fiducia che poneva in lui lo condusse ad un viaggiomissione in Turchia proprio nei mesi della guerra con Vienna, da cui scaturì una
relazione in cui non mancano, fra le altre cose, precisi riferimenti alla situazione
militare turca33. La nuova configurazione delle alleanze politico-militari ne
suggeriva opportunamente un allontanamento dalle scene teatrali e dalla città, ma
la sua buona stella a Vienna non era affatto venuta meno. La carica a poeta
teatrale la ricevette pochi anni dopo dal nipote del suo antico estimatore,
Francesco I. Ma questa è un’altra storia.
Da Ponte difettava certamente delle passioni politiche che animavano il Casti.
Faceva il tifo per sé e per chi lo sosteneva, al punto da mostrarsi eternamente
riconoscente verso il principale benefattore incontrato nella sua lunga vita,
Giuseppe II, del quale nelle Memorie realizzò il profilo più edificante che a
questo discusso personaggio sia mai stato attribuito. La Vienna di quegli anni
31
Insieme a quella di Pietro Leopoldo e del Margravio di Baden, la sua politica rappresentò a cavaliere fra gli anni
sessanta e settanta del Secolo fu un punto di riferimento per la fisiocrazia europea. Cfr. A. WANDRUSZKA, op. cit. p.
280.
32
V. BRAUENBEHRENS, Salieri, un musicista all’ombra di Mozart, traduzione di Silvia Tuja, La Nuova Italia,
Scandicci (Firenze) 1997. Edizione originale 1989, pp.183 e seg. Su Salieri in generale si veda anche il più recente e
documentato saggio di Rice. J. A. RICE, Antonio Salieri and viennese Opera, University of Chicago Press, 1998.
33
Nel passo sulla scarsa forza difensiva dei Dardanelli Casti relaziona che i quattro castelli sono « sì mal in ordine, sì
antiquati e sì mal custoditi, che sono persuaso, che poca truppa con improvvisa sorpresa sbarcando potrebbe
facilmente impadronirsene, né so comprendere come questo pensiero facile a venire in mente a chi d’appresso li
considera non sia mai stato posto in esecuzione». Muresu però continua ad assicurare che, in fondo, si trattava di
interessi secondari. G. MURESU, op. cit., p. 117.
12
pullulava di poetastri ambiziosi, avventurieri, libertini e raccomandati alla
maniera di Da Ponte, perciò il suo ingaggio al teatro di Corte con il titolo poco
rassicurante di « Musa vergine » resta avvolto nel mistero. Ad ogni modo la
scelta di Giuseppe II fu vincente davvero, non solo per le contingenze ma anche
per la Storia e questo dato da solo dovrebbe mettere in guardia coloro che
accusano l’Imperatore di scarse competenze teatrali. Egli dimostrò con quella
scelta di intendersi di teatro e musica in generale, ma anche di umanità
(perlomeno quella più funzionale ai suoi scopi). Con Da Ponte Giseppe II trovò
un librettista non solo capace di sfornare capolavori, ma anche dotato di quella
rapidità e versatilità necessarie a sostenere ritmi produttivi impressionanti.
Ce lo dimostra la stagione teatrale a cavaliere tra il 1787 e il 1788, in cui Da
Ponte si trovò impegnato contemporaneamente su tre libretti (L’Arbore di Diana,
Don Giovanni e Axur re d’Omus) e che rappresentò, per i contenuti delle opere
ma anche per le contingenze in cui maturarono, la fase più politicizzata
dell’intero settennato.
Per la politicizzazione del suo lavoro si seguì il filone parigino e una primaria
fonte di ispirazione (ispirata naturalmente dai vertici della Hofburg) venne dai
più chiacchierati lavori del versatile Beaumarchais. L’esordio da questo punto di
vista avvenne con Le Nozze di Figaro, inscenato al Burgtheater nel maggio 1786
a distanza di due anni dalla prima parigina e l’anno successivo alla prima
viennese allestita da Schikaneder in versione teatrale, ma proibita all’ultimo
momento dall’Imperatore. Sull’impatto sociale dell’opera e sulla sua funzionalità
alla politica giuseppina di riduzione dei privilegi così come su una edulcorazione
del libretto rispetto all’originale si è scritto molto e c’e una sostanziale
convergenza fra gli studiosi. Si dibatte invece, e molto, sulla sua genesi, sulla
sentita partecipazione ideologica di Mozart alle tematiche del libretto o al
contrario su una sostanziale indifferenza o perlomeno inconsapevolezza delle
eventuali compromissioni che esso conteneva. Senza entrare nel merito di questa
questione mi limito ad osservare un dato e cioè che il Figaro fu un operazione
politica fortemente voluta dall’Imperatore. L’auditorio del Burgtheater era il
luogo ideale per proseguire sotto forma di divertimento e commedia quanto si
stava realizzando sul piano legislativo. La riduzione di aree di privilegio poco
funzionali ad un funzionamento dinamico dello Stato e della Società doveva
coprire tutti i territori raccolti sotto la corona Asburgica. Quindi, per
comprenderne al meglio il senso, non bisogna perdere d’occhio quanto succedeva
a Firenze, dove il fratello Granduca, benché infastidito dalle continue ingerenze
di Giuseppe II negli affari toscani34, conduceva una politica fotocopia in materia
ecclesiastica e su molti altri temi. A Firenze il Figaro era stato messo all’indice
dei libri proibiti dalla censura granducale nel 178435, ma nel maggio 1788 venne
riabilitato e allestito al teatro della Pergola, in prima assoluta italiana, in coppia
34
Si veda in particolare il piano d’unione di Giuseppe II del 1784, che prevedeva l’incorporamento della Toscana
nella Monarchia austriaca. Cfr. A. WANDRUSZKA, op. cit., pp. 460-470.
35
S. LANDI, Il governo delle opinioni, censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, il Mulino,
Bologna 2000, p. 202
13
con il Barbiere di Siviglia36. Firenze, o meglio la linea dinastica fiorentina, era
già stata frattanto protagonista, come fonte ispiratrice, di un ciclo di opere
paradigmatico delle intenzioni politiche dell’Imperatore. L’occasione era venuta
da un valzer di feste e occasioni mondane tenutesi a cavallo fra l’ottobre del 1787
e il gennaio 1788, per i matrimoni di due appartenenti alla prole di Pietro
Leopoldo: quello dell’Arciduchessa Maria Teresa sposa a Clemente di Sassonia e
quello del futuro Imperatore Francesco I con la Principessa Elisabeth Wihelmine
von Württemberg.
I libretti delle opere allestite in concomitanza con quelle festività portarono tutti
la firma di Da Ponte. Essi per via della trasversalità delle questioni trattate — da
quelle di ambito religioso a quelle sociali sino a quelle relative alla funzione
dell’istituto monarchico nella società — avevano, nell’ottica di Giuseppe II, uno
scopo istruttivo per il successore al trono in primis, ma anche per tutta la buona
società che assisté a quei festeggiamenti. Il primo ottobre 1787, in onore dello
sposalizio della primogenita di Pietro Leopoldo, andò in scena L’Arbore di
Diana. Sul contenuto politico dell’opera è lo stesso Da Ponte nelle Memorie ad
indicare, con la verve teatrale che sempre lo distingue, la strada. Da Ponte scrive
che l’opera, oltre ad avere qualche merito di novità, « aveva quello di dar
mirabilmente nel genio al mio augusto protettore e sovrano » per il riferimento al
«santo decreto» che aveva abolito « intieramente la barbara istituzione monacale
negli Stati ereditari»37. L’opera doveva fare da contrappunto alla risoluta politica
ecclesiastica che Giuseppe II conduceva già da diversi anni e, laddove nello
sviluppo della trama si fa riferimento ad Amore tentatore ma anche vincente e
positivo verso la casta Diana, si può notare non solo una posizione istituzionale
ma anche una convinzione etica proiettata all’eudemonismo.
L’appuntamento successivo si materializzò due settimane dopo a Praga, dove era
in programmazione per la coppia di sposi la prima assoluta del Don Giovanni;
che però, per ritardi nelle prove, venne rimandata. Bisognava trovare un’opera
che la sostituisse e si pensò al Figaro, che tanta fortuna, proprio a Praga, aveva
portato a Mozart ed era stato all’origine della richiesta dell’impresario Guardasoni di bissarne il successo con una nuova opera. Ma, come ci racconta Mozart
in una lettera scritta durante quel soggiorno all’amico musicofilo Jaquin38, i contenuti del Figaro vennero ritenuti indecorosi ed offensivi per l’evento celebrato
da una dama della alta aristocrazia praghese, la quale tramò, con successo, per
ottenere dal governo degli Stati boemi l’annullamento di quella esecuzione. A
risistemare il quadro secondo l’ordine stabilito ci pensò chi quella programmazione aveva concepito, cioè Giuseppe II, il quale ordinò che se non era pronto il
Don Giovanni si desse il Figaro. Don Giovanni, che andò in scena a Praga il 29
ottobre e a Vienna nel maggio 1788, è un’opera non meno audace per i suoi
contenuti del Figaro e certamente più complessa per le reazioni che suscitano
nello spettatore i suoi protagonisti. Opera cronologicamente a metà strada fra le
36
M. DE ANGELIS, Melodramma spettacolo e musica nella Firenze dei Lorena, Giunta regionale toscana/editrice
bibliografica, Firenze 1991, pp. 496-497.
37
L. DA PONTE, Memorie,op cit. p. 127.
38
H. ABERT, Mozart, la maturità 1783-1791, EST, 2000, p. 365.
14
Nozze di Figaro e il Così fan tutte, lo è anche per i soggetti trattati: dalla prima
riprende le problematiche legate alla suddivisione della società per ceti, ma per le
caratteristiche del suo protagonista imperniate su una libido sessuale che si
impone come forza trasversalmente disgregatrice rispetto all’ordine sociale
prefigura già aspetti salienti della seconda.
Con l’Axur re d’Omus, rappresentato l’8 gennaio 1788 a Vienna per celebrare il
matrimonio di Francesco I, termina con la massima solennità quel ciclo di opere
a carattere politico. Da Ponte si trovò a lavorare nuovamente su un soggetto di
Beaumarchais, Tarare, che però a differenza del Figaro era maturato in
condizioni completamente diverse. Tarare era nato come opera lirica ed era stato
musicato da Salieri. Il libretto dell’opera, andata in scena sei mesi prima a Parigi,
andava trasportato in italiano, ma compositore e librettista si accorsero presto che
una semplice traduzione non era sufficiente e decisero di ricostruirla secondo un
carattere più consono al pubblico viennese. La sua esecuzione sulle scene
viennesi fu un desiderio di Giuseppe II, il quale era rimasto entusiasta del piano
dell’opera ma anche del rumore che aveva suscitato nella capitale francese.
L’opera era dotata di un forte impianto simbolico e educativo che soddisfaceva
Giuseppe II perché riassumeva la sua concezione dell’istituto monarchico,
fondato sul merito e sulla ricerca del bene per il proprio popolo, perché metteva
in luce l’abuso della Chiesa, quando si dimentica dei suoi doveri e perché poneva
il problema della legittimazione del potere, che deve rifuggire da tirannia ed
arbitrio39. Axur re d’Omus fu in sintesi un’opera-manifesto delle migliori intenzioni del suo Assolutismo illuminato.
L’opera a mio giudizio più problematica di quel settennato fu proprio quella che
andò a chiuderlo, vale a dire il Così fan tutte. La sua prima rappresentazione (26
gennaio 1790) anticipò di pochi giorni la morte di un Imperatore stanco, malato
da tempo, depresso e deluso per i fallimenti della propria politica che lo vedevano sconfitto, con gli insuccessi nel conflitto con la Turchia, la rivolta dei Paesi
Bassi, l’insoddisfazione serpeggiante in Ungheria, la crisi economica e
finanziaria che toccava un po’ ovunque i domini della Monarchia.
Sulla genesi dell’opera non ci sono praticamente informazioni, ma i suoi contenuti scandalistici, il suo attacco alla moralità delle donne e all’istituto familiare
che ne consegue, danno l’impressione che dietro la commissione di quel lavoro si
nasconda il colpo di coda di un uomo che si sentiva abbandonato da tutti e
incompreso nella sua azione, il cui fine — così egli diceva — era sempre stato
quello di cercare il bene dei propri sudditi.
Quanto il Così fan tutte fosse un’opera dotata di potente carica disgregatrice lo si
misura con la reazione moralistica dei posteri: i primi biografi mozartiani, pur
rimarcando che si era trattato di una commissione imposta, lamentavano che
Mozart avesse sprecato il proprio talento su un soggetto tanto miserabile40. Ma
un’idea ancora più chiara di come il suo messaggio fosse percepito pericolo39
V. BRAUENBEHRENS, Salieri, op. cit., pp. 165 e seg, pp.177-179.
F. NIEMETSCHEK, Leben des k.k. Kappelmeisters Wolfgang Gottlieb Mozart nach Orignalquelle beschrieben, in
Niemetschek-Schlichtegroll/ Mozart, a cura di Giorgio Pagliaro, EDT, Torino, 1990, p. 42.
40
15
samente nell’Ottocento borghese viene dalle numerose interpolazioni cui l’opera
fu soggetta soprattutto in ambito tedesco.
Così, quello che fu senza dubbio il più bel libretto scritto da Da Ponte per Mozart
si trovò ad essere deformato nell’ambientazione, nei nomi dei personaggi, e nella
struttura drammaturgica, con l’intento evidente di riabilitare l’integrità morale
delle donne41.
Chi si voleva scandalizzare allora con quell’opera ? La nobiltà viennese doveva
avere familiarità con un certo tipo di abitudini sessuali e lo stesso valga anche per
alcune famiglie borghesi, come quella di Mozart per esempio. Oppure, ponendo
il quesito sotto altri termini, si potrebbe chiedere : chi si sentì scandalizzato da
quell’opera ? Seguendo il filo delle reazioni indignate dell’Ottocento moralista e
borghese, a posteriori si potrebbe dire che l’obiettivo di quella satira fu proprio
quella valorizzazione dei sentimenti e degli affetti familiari che ebbe le sue radici
in un grande successo editoriale del Settecento, la Nouvelle Héloïse di Rousseau,
che divenne il modello base della famiglia borghese trionfante nel Secolo a
venire.
Ciò che è sicuro è che da parte dei suoi realizzatori come da parte dei suoi
ispiratori non ci fu tempo di elaborare tali suggestioni e nemmeno di studiare le
immediate reazioni all’opera. La morte dell’Imperatore e il nuovo corso che si
apriva con la venuta di Pietro Leopoldo poneva nuovi scottanti quesiti. Il nuovo
Sovrano disapprovava radicalmente molte scelte del fratello defunto e provava
diffidenza per tutti coloro che avevano fatto parte del suo entourage. La squadra
teatrale allestita da Giuseppe II dovette intuire che il nuovo clima era
potenzialmente ostile e questo timore si riversò anche sulla loro forza creativa.
Successe così che il primo anno della nuova Era scorse in uno stato di calma
apparente per via dell’atteggiamento di totale disinteresse di Pietro Leopoldo
verso ogni attività teatrale e la conseguente assenza di nuovi allestimenti nei
teatri di Corte. Non appena furono sistemate le questioni più urgenti dello
sconquassato impero, il nuovo Sovrano decise che era venuto il momento di
dedicarsi anche al Teatro ed ebbe così inizio la diaspora del gruppo di lavoro che
aveva animato il precedente settennato teatrale. E se il 1790 fu, da un punto di
vista compositivo, un anno nero, non solo per Mozart, ma anche per i suoi
compagni d’avventura teatrale, Salieri e Da Ponte (un dato che la dice lunga sul
vuoto che l’Imperatore aveva lasciato e sull’influenza che egli aveva sulle loro
menti), con il 1791 iniziarono le epurazioni. Il primo a farne le spese fu Da
Ponte, la cui disgrazia in seno ai nuovi regnanti fu, oltre tutto, frutto di invidie
personali e vendette affidate a libelli e delazioni di ogni tipo, che stavano caratterizzando come non mai la Vienna del nuovo corso 42.
41
L. LOGI, “Si cangiò la sorte mia”. Appunti per la carriera di una libertina, in “Così fan tutte” libretto di sala del
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, stagione 2004-2005, pp. 185-189.
42
O. MICHTNER, Der Fall Abbé Da Ponte, „Mittelinungen des Österreichischen Staatsarchiv“, 19 band, Wien, 1996.
R. CAIRA LUMETTI, Da Ponte esiliato da Vienna. Con una appendice di documenti, Aracne, Roma, 1996.
16
Salieri, la cui vena creatrice andò in secca per un paio d’anni, mantenne il suo
incarico di Hofkappelmeister, ma venne anch’egli costretto ad allontanarsi dalle
vicende teatrali. Con lui venne adoperato il bon ton istituzionale e si disse che un
compositore di così alto livello avrebbe dovuto solo scrivere opere e non «sedere
la sera all’opera al clavicembalo»43. Pietro Leopoldo voleva portare su di sé tutte
le responsabilità di gestione delle attività teatrali44, perciò anche il Conte OrsiniRosenberg venne congedato dalle attività teatrali con la nomina compensativa a
Principe dell’Impero. Venne sostituito dal conte Ugarte, il nuovo Musikgraf, colui che, per bocca di Da Ponte, veniva considerato dal nuovo Sovrano semplicemente « un sacco di paglia»45.
Mozart, infine, a parte l’esecuzione praghese de La Clemenza di Tito maturata
per una serie di circostanze a lui favorevoli, non doveva essere amato, in quanto
esponente di punta della squadra teatrale di Giuseppe II, dalla nuova Corte. Egli
lo aveva probabilmente intuito e per questo cominciò a rivolgere il proprio
talento altrove. Ne nacque il più incredibile e popolare successo sulle scene viennesi, Die Zauberflöte. In un clima arroventato per gli eventi francesi, la nuova
Corte, usa com’era a delatori di ogni specie per avere tutto sotto controllo,
dovette osservare con preoccupazione e anche con un certo fastidio il successo
crescente di un’opera che costringeva il pubblico ad accalcarsi all’ingresso tre
ore prima della rappresentazione. Due mesi dopo la prima rappresentazione della
Zauberflöte, Mozart prendeva, in circostanze fitte di misteri, il suo congedo dalla
vita terrena. L’impressionante folla di coincidenze che si legano alla sua dipartita
finale rendono ancora oggi plausibile l’ipotesi che la sua morte fu tutt’altro che
naturale. Una morte in cui la Casa d’Austria dovette rivestire un ruolo non
proprio marginale. Oggi però siamo a festeggiare la nascita del più divino dei
compositori, non a indagare le circostanze della sua morte. Perciò mi riservo di
trattare questo tema in un’altra occasione.
Meine herzlichen Wünschen Herr Kappelmeister Wolfgang Amadeus Mozart
Firenze, 27/1/2006
Duccio Pieri
43
V. BRAUENBEHRENS, Salieri, op. cit., p. 199.
J. RICE, Emperor and Impresario: Leopold II and the transformation of viennese musical theater 1790-92, Ann
Arbor - Michigan, Diss. Ph D, University of California, Berkeley, 1987.
45
L. DA PONTE, Memorie, p. 149.
44
17
L’AUTORE. Nato e cresciuto a Firenze, si è laureato nell’anno accademico 2003-2004 presso
quella Università degli Studi in “Storia degli antichi stati italiani” con una tesi sulla musica a
corte negli anni del Granduca Pietro Leopoldo (Vita di corte: attività musicali a Pitti nel
periodo lorenese (1765-1790)”, relatore prof. Pasta). Ha scritto per l’Associazione “Tesori
musicali Toscani” un articolo La musica in Toscana al tempo di Pietro Leopoldo, pubblicato
sulla rivista musicale “Orfeo” (dicembre 2003-gennaio 2004, pp. 26-36). Sta attualmente
lavorando a un progetto comparativo che metta in relazione il contesto musicale viennese e
fiorentino alla fine del diciottesimo secolo e svolgendo ricerche sulle produzioni oratoriali
concernenti Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nell’ambito dei festeggiamenti in occasione dei
quattrocento anni dalla morte della Santa.
18