diritto del lavoro

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Collana diretta da F. Izzo
(magistrato) e G. Abbate (avvocato)
L’ESAME
di
AVVOCATO
2012
SINTESI MIRATA
di
DIRITTO DEL LAVORO
®
Gruppo Editoriale Simone
Estratto della pubblicazione
20
12
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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NozJPOFFGPOUJt Lavoro subordinato e autonomo
t$POtratto di laWPSPt1restazione di lavoro
t Obbligazione retributivBt Sospensione e cessazione
del rapporto di laWPSPt Rapporti di lavoro speciali
t Tutela dei lavoratorJt Diritto sindacale (cenni)
t Vigilanza sul laWPSPt-egislazione sociale (cenni)
Copyright © 2012 Simone S.p.A.
Via F. Russo, 33/D
80123 Napoli
Tutti i diritti riservati.
È vietata la riproduzione anche parziale
e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione
scritta dell’editore.
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Ideazione, progettazione, direzione: Federico del Giudice
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Per conoscere le nostre novità editoriali consulta il sito internet: www.simone.it
PREMESSA
Questo volume — aggiornato al maggio 2012 — nato dalla quarantennale esperienza delle Edizioni Simone, consente al lettore informatizzato di avere sul
proprio tablet, i-phone, lettore e-book, pc e altri strumenti informatici una comoda sintesi della materia d’esame.
La scelta degli argomenti e il loro approfondimento sono stati calibrati sulle principali domande d’esame che abitualmente vengono proposte agli aspiranti avvocati e che sono oggetto di vivaci discussioni e confronti sui forum specialistici.
Un ricco elenco di tali domande è riportato in calce a questo volume.
La stesura di questa sintesi mirata tiene conto che il lettore è già in possesso di
pregresse conoscenze di base che è chiamato — per sostenere il coloquio — a
“rinfrescare”; pertanto vengono presentati alcuni argomenti ritenuti importanti sotto forma di trattazione organica, altri sotto forma di schede riassuntive
sulle quali è facile orientarsi.
Opportuni approfondimenti giurisprudenziali sono stati sapientemente inseriti per consentire all’ esaminando di dimostrare durante il colloquio padronanza e dimestichezza anche con l’applicazione pratica delle norme.
Si consiglia di affiancare ed integrare questo e-book con lo studio dei compendi e manuali Simone nonché con i volumi della collana “I quaderni per l’esame di avvocato”, di cui questo lavoro non rappresenta una duplicato, ma solo
una utile e ragionata sintesi panoramica del programma d’esame.
Estratto della pubblicazione
DIRITTO DEL LAVORO
CAPITOLO 1: Nozione e fonti del diritto del lavoro
Pag.
5
CAPITOLO 2: Il lavoro subordinato,
autonomo e parasubordinato
Pag.
12
CAPITOLO 3: Il contratto di lavoro subordinato
e la costituzione del rapporto
Pag.
27
CAPITOLO 4: Somministrazione di lavoro, appalto,
distacco e trasferimento d’azienda
Pag.
47
CAPITOLO 5: Divieto del lavoro minorile e tutela
della genitorialità nel rapporto di lavoro.
Parità di genere e divieto di ogni tipo
di discriminazione
Pag.
55
CAPITOLO 6: La prestazione di lavoro e gli altri elementi
caratterizzanti la posizione del lavoratore
Pag.
65
CAPITOLO 7: Il luogo e la durata della prestazione di lavoro
Pag.
75
CAPITOLO 8: L’obbligazione retributiva e gli altri elementi
caratterizzanti la posizione del datore
Pag.
83
CAPITOLO 9: La sospensione del rapporto di lavoro e tutela
dei lavoratori in determinate circostanze attinenti all’impresa
Pag.
101
CAPITOLO 10: La cessazione del rapporto di lavoro
Pag.
108
CAPITOLO 11: I rapporti di lavoro speciali
Pag.
128
CAPITOLO 12: La tutela dei diritti del lavoratore
Pag.
146
CAPITOLO 13: Cenni di diritto sindacale
Pag.
152
CAPITOLO 14: La vigilanza in materia di lavoro
e legislazione sociale
Pag.
162
Questionario
Pag.
168
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO 1
Nozione e fonti del diritto del lavoro
Sommario: 1. Il diritto del lavoro. - 2. L’evoluzione del diritto del lavoro. - 3. Le fonti del diritto del lavoro.
1. IL DIRITTO DEL LAVORO
A) Nozione
Il diritto del lavoro è il complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e che tutelano oltre che l’interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore (DE
LUCA TAMAJO).
Tradizionalmente si suole ripartire il diritto del lavoro in:
— diritto del lavoro in senso stretto (o diritto privato del lavoro), comprendente la materia oggetto del contratto e del rapporto di lavoro;
— diritto sindacale, concernente la disciplina dei rapporti sindacali, la contrattazione collettiva, l’autotutela sindacale (sciopero, serrata etc.);
— legislazione sociale (o diritto pubblico del lavoro), comprendente le norme che regolano i
rapporti tra lo Stato, i datori e prestatori di lavoro (cd. disciplina amministrativa del lavoro)
e le norme in materia di previdenza e assistenza sociale.
B) Oggetto e finalità
L’oggetto scientifico della materia è la disciplina dei rapporti di lavoro e della relazione giuridica tra il datore di lavoro ed il lavoratore.
Questa relazione è caratterizzata da una peculiarità rispetto alla generalità dei rapporti giuridici: se, infatti, dal punto di vista giuridico, le parti operano formalmente sullo stesso piano di
parità (entrambe, cioè, sono soggetti liberi ed eguali), dal punto di vista economico, il prestatore di lavoro viene a trovarsi in una posizione di inferiorità che fa di lui il contraente più debole.
La posizione di debolezza del lavoratore discende sia dalla condizione di strutturale disoccupazione che caratterizza il
mercato del lavoro (dipendenza economica), sia dal fatto di essere subordinato al potere direttivo e organizzativo del datore
di lavoro (subordinazione tecnica).
Le norme del diritto del lavoro hanno, pertanto, la finalità di tutelare il lavoratore, attenuando gli effetti più deleteri della subordinazione e assicurando, nei rapporti con il datore di lavoro, il
rispetto e la promozione delle condizioni economiche e della sua libertà e personalità.
Il diritto del lavoro è caratterizzato, dunque, da una funzione di garanzia nei confronti del lavoratore, che si realizza con
un apparato di norme imperative, cioè inderogabili dalle parti del rapporto e dai soggetti investiti di funzioni di rappresentanza delle categorie professionali (vale a dire le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori).
Nell’ultimo decennio del secolo XX il diritto del lavoro è diviso tra le sue due anime, quella che
si prefigge la tutela unilaterale economica e morale del lavoratore e quella che tende a mediare gli
opposti interessi della produzione e del lavoro in nome dell’occupazione.
Inoltre, anche rispetto alla funzione tradizionale di tutela dei lavoratori, il diritto del lavoro
manifesta apertamente la sua inadeguatezza.
Esso tutela infatti i lavoratori per il solo fatto di essere giuridicamente qualificati come «subordinati», comprendendo anche quelli che non si trovano né in posizione di debolezza economica né in condizione di eterodirezione sostanziale.
Estratto della pubblicazione
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Diritto del lavoro
Per contro, esso non tutela adeguatamente coloro che prestano la loro attività al di fuori di
un rapporto di lavoro subordinato, ma che sono in posizione di «inferiorità contrattuale» nonché
socio-economica (milioni di soggetti che lavorano «a fattura» o a progetto).
2. L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO
Nella disciplina del codice civile del 1865 non esisteva una regolamentazione specifica del
rapporto derivante dal contratto di lavoro, assimilata ad una locazione delle opere e dei servizi:
di conseguenza le parti, poste formalmente su un piano di parità, avevano la più ampia libertà
nel determinare il contenuto del contratto, secondo la tipica impostazione del periodo liberale.
Il rapporto di lavoro ha ricevuto regolamentazione giuridica solo a partire dalla fine del XIX
secolo, in concomitanza con l’emancipazione delle classi lavoratrici.
La rivoluzione industriale, avvenuta in Italia più tardi rispetto al resto dell’Europa, porta con
sé nuove problematiche (la cd. questione sociale) come quella di un eccessivo sfruttamento dei lavoratori. Inizialmente il legislatore ha inteso porre rimedio al rischio di esaurimento della forza
produttiva del Paese e soprattutto delle categorie più deboli e più sfruttate, donne e bambini, le
cd. mezze forze (L. 489/1907, L. 3657/1986, L. 242/1902), dando luogo ad «un insieme di norme
speciali ed eccezionali rispetto al diritto privato comune» (GHERA), aventi una chiara finalità
protettiva: è questa la fase che si suole qualificare come quella della prima legislazione sociale.
Il primo intervento legislativo incentrato propriamente sul rapporto di lavoro è, invece, la legge sull’impiego privato
(R.D.L. 1825/1924) con la quale viene predisposta la disciplina del rapporto di lavoro degli impiegati.
Con l’entrata in vigore del Codice civile del 1942, viene dedicata al lavoro una disciplina
ben distinta da quella concernente i contratti in genere. Le disposizioni sul lavoro, unitamente a
quelle sull’impresa e sulle società, sono contenute nel Libro V (primi quattro titoli, artt. da 2060
a 2246): è questa la fase della cd. incorporazione del diritto del lavoro nel diritto privato.
Ma il momento più significativo di sviluppo è rappresentato dalla Costituzione repubblicana del 1947 che, alla visione corporativistica dello stato fascista (cui è ispirato il Codice civile del
1942), sostituisce quella democratica e sociale, fondando la Repubblica sul lavoro (art. 1 Cost.).
Inizia così, una nuova stagione del diritto del lavoro — la fase della costituzionalizzazione
— contrassegnata dalla novità di «affiancare al tradizionale obiettivo della tutela della posizione contrattualmente debole quello della tutela della libertà e della dignità sociale del lavoratore».
La lettura costituzionale della materia del diritto del lavoro, cioè alla luce dei principi costituzionali, porta ad individuare i limiti entro cui il conflitto tra gli opposti interessi della produzione e dell’eguaglianza, libertà e dignità dei lavoratori deve trovare composizione. Tale impostazione caratterizza tutto il successivo sviluppo legislativo, di cui si ricorda la legge sui licenziamenti individuali (L. 604/66 e L. 108/90), sulla parità uomo-donna (L. 903/77 e L. 125/91), lo Statuto
dei lavoratori (L. 300/70) e la riforma del processo del lavoro (L. 533/73).
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XXI secolo A la legislazione dei primi anni del nuovo secolo è espressione della volontà di transizione da un sistema giuridico del lavoro basato sulla inderogabilità e sulla imperatività delle regole dettate dal legislatore o dalla contrattazione collettiva ad un sistema di soft lows (norme leggere), mutuato dall’ambito europeo, che invece dà spazio alla libera pattuizione individuale e alla derogabilità
2001 A con la L. cost. 3/2001 viene modificato il Titolo V della Costituzione A la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni (art. 117) A alle Regioni compete disciplinare, in posizione concorrente con
lo Stato, nell’ambito della tutela e sicurezza del lavoro, allo Stato pertiene l’ampio ambito dell’ordinamento civile, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
2003-2008 A si susseguono le riforme — dalla L. 30/2003, e relativi decreti legislativi di attuazione,
alla L. 247/2007 — che apportano una radicale trasformazione di numerosi istituti della disciplina
sul rapporto di lavoro (orario di lavoro, assunzioni, contratti speciali, TFR e previdenza complementare etc.) Aviene approvato, dopo circa trenta anni di attesa, il D.Lgs. 81/2008 che coordina e razionalizza in un unico testo normativo le disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro A viene
predisposto un nuovo insieme di misure con il D.L. 112/2008 conv. in L. 133/2008 nell’intento di apportare significativi correttivi alle norme in materia di diritto del lavoro
Capitolo 1: Nozione e fonti del diritto del lavoro
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2008-2010 A la crisi economica mondiale richiede l’adozione di importanti provvedimenti per potenziare ed estendere i tradizionali strumenti a sostegno del reddito (cd. miniriforma degli ammortizzatori sociali). Nel 2009, mediante accordo Governo e parti sociali, ad esclusione della CGIL, è innovata la procedura della contrattazione collettiva. Nel 2010 è approvata, dopo un lungo iter legislativo, la
L. 183/2010, cd. collegato lavoro, che opera un’ulteriore riforma della materia concernente diversi istituti di cui rilevano per importanza quelli del licenziamento e del processo del lavoro
2010-2012 A nel 2011 viene approvata unitariamente (CGIL, CISL e UIL) una nuova riforma della contrattazione collettiva; il Governo, tuttavia, interviene nella materia, tradizionalmente lasciata all’autonomia collettiva, attribuendo ampia potestà regolatoria al contratto collettivo aziendale (art. 8 D.L.
138/2011 conv. in L. 148/2011) la crisi economica italiana ha imposto l’emanazione di varie misure
straordinarie; la manovra economica 2011 e la manovra economica bis 2011 al fine di risanare il debito pubblico e promuovere la crescita economica A la mancata ripresa dei mercati finanziari e la continua instabilità degli stessi hanno reso necessaria l’emanazione di ulteriori provvedimenti quali la legge di stabilità 2012 e il decreto Monti
L’attuale situazione economica-finanziaria impone al nostro Paese sempre più di tenere conto delle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee, le quali hanno posto l’accento anche
sulla necessità di riformare il mercato del lavoro. Pertanto, è stato predisposto un disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (attualmente il disegno di legge è all’esame del Parlamento). L’obiettivo è di adattare le regole esistenti alle esigenze
di competitività delle imprese, di accrescere l’occupazione e superare la situazione di dualismo del
mercato del lavoro, ove vi sono categorie di lavoratori che godono di una forte protezione e categorie di lavoratori cui non si applicano le tutele esistenti.
La riforma tocca in più punti la disciplina del lavoro secondo il modello europeo della flexicurity, basato sull’alleggerimento delle tutele all’interno rapporto e sulla garanzia di maggiori tutele
sul mercato. Il disegno di legge predisposto dal Governo, recante «disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», interviene sui seguenti tre ambiti specifici:
— sulla flessibilità in entrata, con l’obiettivo di rendere più dinamico il mercato del lavoro, soprattutto verso le fasce svantaggiate (a partire dai giovani), contrastando al contempo il fenomeno della precarizzazione della forza lavoro.
Tale intervento è attuato, tra l’altro, disincentivando il ricorso a determinate tipologie contrattuali, quali il contratto a
tempo determinato e la collaborazione a progetto, che divengono più onerose per il datore di lavoro;
— sul sistema degli ammortizzatori sociali, che viene riformato in modo da garantire un ampliamento della copertura e da rafforzare i legami tra strumenti di sostegno del reddito e politiche di attivazione, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori.
La riforma, da un lato, prevede un nuovo strumento di assicurazione dal rischio di disoccupazione (mediante la nuova assicurazione sociale per l’impiego, cd. ASPI), dall’altro, opera una revisione degli attuali strumenti a sostegno del reddito, differenziando tra i casi di che non mettono in dubbio la ripresa del rapporto di lavoro e le situazioni di esuberi strutturali;
— sulla flessibilità in uscita, per rendere più adeguata al mutato contesto economico la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, e in particolare di quelli per motivi economici. La
riforma si prefigge di intervenire, quindi, sul sistema di tutela in caso di licenziamento ingiustificato, imperniato sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
3. LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
Le fonti del diritto del lavoro si distinguono, come per la generalità delle discipline giuridiche, in:
— fonti di produzione che pongono le norme di comportamento costitutive del diritto oggettivo;
— fonti di cognizione che costituiscono gli strumenti attraverso i quali è possibile venire a conoscenza delle fonti di produzione (es. Gazzetta Ufficiale).
Rinviando per una esposizione sistematica delle fonti del diritto al Libro VI del volume, nel presente paragrafo ci limiteremo ad evidenziare gli aspetti peculiari della materia lavoristica.
Estratto della pubblicazione
8
Diritto del lavoro
A tal fine, si tenga presente che le fonti che concorrono alla formazione del diritto del lavoro possono essere suddivise in tre gruppi:
—
—
—
fonti internazionali o sovranazionali;
fonti legislative statuali e regionali;
fonti contrattuali collettive e individuali.
A) Fonti sovranazionali
Vi rientrano innanzitutto le norme di diritto internazionale che sono aggregabili in:
— trattati internazionali.
Tra i più importanti trattati si ricordi la Carta internazionale del lavoro (1919) aggiornata dalla Dichiarazione di Filadelfia (1944); la Carta sociale europea (1961), sottoscritta dai Paesi membri del Consiglio d’Europa i quali ne hanno
ribadito i principi nel Codice europeo di sicurezza sociale (1964);
— convenzioni dell’O.I.L. (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nota anche come I.L.O.,
ovvero International Labour Organization, è nata nel 1917) allo scopo di assicurare standard
di tutela dei lavoratori subordinati.
Tali convenzioni, tuttavia, sono importanti più per i «principi di civiltà giuridica» affermati, che per la effettiva incidenza sul diritto del lavoro nazionale il quale, nella maggior parte dei casi, «già prevedeva, e prevede, livelli di tutela normalmente più elevati di quelli, tempo per tempo, previsti dalla Comunità internazionale» (PERSIANI).
Sono fonti sovranazionali anche quelle che rientrano più propriamente nel diritto dell’Unione europea (per un’analisi degli aspetti generali si rinvia al Libro XII).
Per gli aspetti relativi al diritto del lavoro, è sufficiente evidenziare l’importanza delle direttive europee. Esse, infatti, incidono notevolmente sullo sviluppo del nostro ordinamento in
materia di lavoro, in quanto molti importanti provvedimenti costituiscono «attuazione» di direttive (es. leggi su part-time, orario di lavoro, licenziamenti collettivi, lavoro a termine etc.).
Il rapporto tra direttive e diritto interno è oramai chiarito grazie all’opera interpretativa delle rispettive Consulte (Corte
di Giustizia della UE e Corte Costituzionale) che hanno portato al consolidamento dei seguenti principi-chiave:
—
—
il principio della diretta efficacia del diritto comunitario (ora diritto dell’Unione europea), in base al quale le direttive, le cui disposizioni sono incondizionate e sufficientemente precise, sono immediatamente efficaci anche se lo Stato non ha provveduto, entro il tempo stabilito, a trasporre l’atto nell’ordinamento nazionale (sent. Corte UE 19-1-1982,
causa 8/81). Questa efficacia opera però in favore dei singoli cittadini verso lo Stato (efficacia verticale), non nei rapporti tra privati (inefficacia orizzontale);
il principio del primato del diritto comunitario (ora diritto dell’Unione europea), in base al quale in caso di conflitto,
di contraddizione o di incompatibilità tra questo e le norme nazionali, il primo prevale sulle seconde.
L’integrazione del diritto dell’Unione nel diritto interno deve comunque avvenire nell’osservanza del principio del favor,
in base al quale il diritto dell’Unione non impedisce ad uno Stato membro di mantenere o stabilire misure che prevedano una maggiore protezione dei lavoratori. Una concretizzazione di questo principio è ravvisabile nelle clausole di non
regresso, sovente poste a chiusura delle stesse direttive ed in cui si dichiara esplicitamente che il recepimento della direttiva non può essere di per sé posto a giustificazione di un eventuale arretramento nel livello di tutela già esistente nel Paese,
nel campo disciplinato dalla direttiva.
B) Fonti statuali e regionali
Le fonti legislative sono oggi:
a) la Costituzione che, a fianco ai principi generali (artt. 1, 3, 4), dedica alla materia l’intero Titolo III della Parte I (rapporti economici).
Il diritto al lavoro è riconosciuto a tutti i cittadini (art. 4, co. 1 Cost.) ed, allo scopo di renderlo effettivo ed operante, la Repubblica promuove tutte le condizioni opportune, eliminando anche gli ostacoli all’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, co. 2 Cost.).
In particolare:
—
l’art. 35: riguarda la tutela del lavoro, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, con particolare riguardo alle condizioni del mercato del lavoro, interno ed internazionale;
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1: Nozione e fonti del diritto del lavoro
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9
l’art. 36: definisce i criteri di determinazione della retribuzione. Lo stesso articolo contiene una disposizione programmatica sulla durata della giornata lavorativa (riserva alla legge la fissazione della sua durata massima) e stabilisce l’inderogabilità del riposo settimanale e delle ferie annuali;
l’art. 37: garantisce alla donna lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Il principio della parità è stato poi riproposto, nell’ultimo comma, anche per il lavoro dei minori;
l’art. 38: sancendo il diritto del lavoratore ad adeguate forme di previdenza ed assistenza sociale ha inteso garantire il lavoratore (e, in una visione più ampia, l’individuo in genere) da quei rischi che possono incidere sulla sua capacità lavorativa e sui suoi bisogni;
gli artt. 39-40: tutelano l’attività sindacale e riconoscono il diritto di sciopero;
b) il codice civile, che contiene la nozione di lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.) e dedica il Libro V al lavoro, e soprattutto la legislazione ordinaria, comprendente le leggi formali e gli altri atti aventi forza di legge, nonché i regolamenti di attuazione e di esecuzione dei suddetti atti.
A seguito della modifica del titolo V della Parte II della Costituzione da parte della L. cost.
18-10-2001, n. 3, con cui è stato introdotto un nuovo criterio di ripartizione legislativa tra
Stato e Regioni, rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato — tra l’altro —
l’ordinamento civile, in cui si deve ritenere compresa la disciplina del rapporto interprivato di
lavoro e la previdenza sociale obbligatoria, nonché la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Costituisce un limite alla potestà legislativa dello Stato, come pure delle Regioni (v. successiva lett. d), l’osservanza della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea;
c) i regolamenti emanati dal Governo a mezzo decreto del Presidente della Repubblica o dai Ministri, con proprio decreto, ovvero da altre Autorità ove previsto (cd. norme secondarie), che
hanno efficacia propria degli atti amministrativi e sovente integrano o danno attuazione alle
disposizioni della legge;
d) le leggi regionali che sono espressione del processo di lenta ma costante erosione delle funzioni attribuite allo Stato, con speculare ampliamento di quelle conferite alle Regioni e agli
enti territoriali, inizialmente molto limitate in campo sociale e del lavoro.
Dopo una fase di mero decentramento amministrativo, frutto delle cd. leggi Bassanini (L. 59/1997 e L. 127/1997), con cui
sono state trasferite alle Regioni le competenze e la potestà regolamentare nella materia del collocamento e della politica attiva del lavoro (D.Lgs. 469/1997), si è avuto una radicale svolta con la citata riforma della Costituzione (titolo V, Parte II) ex L.
cost. 3/2001. Oggi le Regioni hanno potestà legislativa concorrente con quella dello Stato in una serie ampia di settori della
vita economica, politica e sociale, tra cui la «tutela e sicurezza del lavoro» (art. 117, co. 3, Cost.). Questa attribuzione, di discussa interpretazione, non comprende però tutta la disciplina del lavoro, ma deve intendersi limitata al governo del mercato
del lavoro e alla tutela del lavoratore (interventi per favorire l’occupazione e il reimpiego dei lavoratori e altre misure per soggetti socialmente deboli, nel rispetto delle misure essenziali previste dal D.Lgs. 181/2000) (Corte Cost. n. 50/2005 e 385/2005).
Le Regioni hanno competenza legislativa esclusiva su ogni altro aspetto della disciplina del lavoro non espressamente spettante allo Stato e non rientrante nell’ambito della potestà legislativa concorrente regionale (ad es. l’istruzione professionale) (art. 117, co. 4, Cost.).
C) Fonti contrattuali individuali e collettive
Concorrono a determinare la concreta regolamentazione della disciplina del rapporto di lavoro anche:
a) la contrattazione collettiva nella quale i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati
dalle rispettive associazioni di categoria (sindacati e associazioni datoriali).
È la maggiore espressione dell’autonomia collettiva, rientrante tra le fonti autonome (e quindi extralegislative) del diritto del lavoro;
b) il contratto individuale di lavoro nel quale l’accordo viene raggiunto direttamente tra il singolo datore di lavoro e il singolo prestatore di lavoro ed è espressione dell’autonomia delle parti del
contratto. Tuttavia, una volta che le parti abbiano scelto di dar vita ad un rapporto di lavoro subordinato, non possono autonomamente decidere di disapplicare la disciplina imperativa prevista dalla legge (diritto del lavoratore alle ferie, alla retribuzione proporzionata e sufficiente etc.).
Pertanto, la disciplina del rapporto di lavoro derivante dalle disposizioni della legge e del contratto collettivo è inderogabile, salvo che per condizioni di maggior favore verso il lavoratore.
Estratto della pubblicazione
10
Diritto del lavoro
D) Gli usi e la consuetudine
Tra le fonti del diritto è da annoverare anche la consuetudine (o uso), cioè la ripetizione costante e uniforme di una determinata condotta, con la convinzione dell’obbligatorietà della condotta stessa (cd. usi normativi).
Particolare connotazione assume la consuetudine nel diritto del lavoro in quanto l’art. 2078 c.c.
dispone: «in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo si applicano gli usi. Tuttavia, gli
usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro». La particolarità di tale norma va individuata nel fatto che
nell’ambito lavoristico si deroga alla regola generale sancita nell’art. 8 disp. prel. c.c. (secondo cui
«nelle materie regolate dalla legge o dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo se da essi richiamati»), in quanto gli usi prevalgono sulle disposizioni di legge se più favorevoli al prestatore di lavoro.
Differenze
Gli usi normativi vanno tenuti distinti dagli usi aziendali.
I primi presuppongono che il datore di lavoro reiteri nel tempo un determinato comportamento nei confronti dei dipendenti avendo la convinzione di esservi obbligato.
I secondi (anche detti usi negoziali o non normativi) sono invece prassi che trovano origine in un comportamento del datore di lavoro, il quale, spontaneamente e per liberalità (e non perché si ritenga a ciò
obbligato), attribuisce a tutti i suoi dipendenti (o a una più ristretta cerchia degli stessi), ed eventualmente in riferimento ad un’unica, specifica, vicenda dei rapporti di lavoro, ma ripetutamente per un cerr
to periodo di tempo, un trattamento non previsto né dal contratto individuale né dal contratto collettivo (Cass. 9690/1996).
E) Le regole interpretative
Costituisce il «criterio ordinatore delle fonti del diritto del lavoro» (GALANTINO) il principio
del «favor prestatoris» che si sostanzia nella particolare tutela che nel contratto individuale di
lavoro viene accordata al prestatore al fine di riequilibrare il diverso peso contrattuale delle parti.
L’equità, quale criterio interpretativo e metodo di giudizio della giustizia del caso concreto, è
presa in considerazione dagli artt. 36 Cost. (giusta retribuzione), 2109 c.c. (ferie annuali), 2110 c.c.
(retribuzione e indennità per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio), 2118 c.c. (preavviso).
F) L’individuazione della fonte applicabile al rapporto di lavoro
Le fonti su indicate concorrono alla produzione del diritto del lavoro nell’ambito dell’ordinamento nazionale.
Tenendo presente che è frequente l’ipotesi di lavoratori italiani che prestino la loro attività
all’estero o, viceversa, di cittadini stranieri che lavorino in Italia, è necessario comprendere il criterio di individuazione della normativa applicabile al rapporto di lavoro.
La Convenzione di Roma del 19-6-1980 — sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, entrata in vigore il 1°-4-1991 nella maggioranza degli Stati membri della UE — stabilisce i
seguenti criteri:
— la regola generale è quella della libera scelta della legislazione ad opera delle parti, purché ciò
non abbia come risultato quello di privare il lavoratore della protezione offertagli dalle norme
imperative della legge che regolerebbe il contratto in mancanza di scelta;
— in assenza di scelta, al rapporto di lavoro si applica la legislazione dello Stato membro in cui
il lavoratore subordinato lavora (cd. principio della lex loci laboris).
Per quanto riguarda invece i lavoratori italiani che svolgono prestazioni di lavoro in uno Stato non appartenente all’Unione europea, la legge si limita a fare in modo che a costoro sia applicato un regime assicurativo e previdenziale analogo a quello esistente in Italia.
I cittadini italiani che lavorano in Paesi extracomunitari (non appartenenti all’Unione europea) alle dipendenze dei datori di lavoro italiani e stranieri sono obbligatoriamente iscritti a forme di previdenza ed assistenza sociale, con le modalità in
vigore nel territorio nazionale (art. 1 D.L. 317/1987, conv. in L. 398/1987).
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1: Nozione e fonti del diritto del lavoro
11
Il rapporto di lavoro dei lavoratori extracomunitari (e cioè cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea), regolarmente soggiornanti in Italia, è disciplinato dal D.Lgs. 286/1998
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). Agli stranieri sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti (in particolare, a tali lavoratori e alle loro famiglie
è riconosciuta parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani).
Ripartizione del diritto
del lavoro
³ diritto del lavoro in
senso stretto
• comprende la materia oggetto del contratto e del rapporto di lavoro
³ diritto sindacale
• comprende la disciplina dei rapporti sindacali, dello sciopero etc.
³ legislazione sociale
• comprende le norme riguardanti i rapporti tra Stato, datori di lavoro e lavoratori e quelle in materia di previdenza e assistenza sociale
Oggetto
³ è la disciplina dei rapporti di lavoro e della giuridica relazione tra il datore di lavoro ed il lavoratore
Finalità
³ è quella di tutelare il lavoratore attenuando gli effetti più deleteri della subordinazione
Principi fondamentali
³
³
³
³
³
³
³
³
favor prestatoris
inderogabilità delle norme
indisponibilità dei diritti
motivazione del licenziamento
nullità del licenziamento contra legem
autotutela collettiva
giusta retribuzione
parità retributiva e di trattamento normativo
• di diritto internazionale
— trattati internazionali
— convenzioni dell’OIL
• di diritto dell’Unione europea
— trattati istitutivi e gli atti che li hanno modificati o completti (es. Trattato dell’Unione europea, Trattato
di Lisbona)
— atti emanati dalle istituzioni
dell’Unione europea
³ fonti sovranazioni
Fonti di natura
pubblicistica
•
•
•
•
•
³ fonti legislative
Fonti di natura
privatistica
Altre fonti
e interpretazione
costituzione
codice civile
legge ordinaria e atti aventi forza di legge
regolamenti di attuazione
leggi regionali
³ contrattazione collettiva
³ contratto individuale
³ consuetudine (uso)
• art. 2078 c.c.
³ criteri interpretativi
• equità
• favor prestatoris
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO 2
Il lavoro subordinato,
autonomo e parasubordinato
Sommario: 1. Caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato. - 2. Il lavoro autonomo e le differenze con il lavoro subordinato. - 3. La parasubordinazione. - 4. Il lavoro a progetto. - 5. Rapporto di lavoro subordinato e vincolo associativo. - 6. Il lavoro accessorio. - 7. Il lavoro gratuito. - 8. Il lavoro familiare e il volontariato.
1. CARATTERISTICHE DEL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
A) Nozione di lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.)
Nel Libro V del codice civile, dedicato al «lavoro», non è contenuta una nozione di subordinazione, né di contratto di lavoro subordinato.
Esiste però una definizione di prestatore di lavoro subordinato individuato dall’art. 2094
c.c. in colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio
lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
Di conseguenza è da questa norma che la dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto evincere gli elementi qualificanti il rapporto di lavoro subordinato, con riferimento quindi alla collaborazione, onerosità e alla subordinazione.
B) La collaborazione, l’onerosità e la subordinazione
La collaborazione descrive il fenomeno della partecipazione di un soggetto all’attività lavorativa di un altro: tale elemento tuttavia non qualifica soltanto il lavoro subordinato, ma anche altre forme di lavoro (lavoro associativo, lavoro autonomo, lavoro parasubordinato, volontariato).
La collaborazione era menzionata nell’art. 2094 c.c. in quanto per l’ideologia corporativa, che è alla base del codice civile (1942), esisteva un legame fiduciario tra datore e prestatore che dovevano collaborare nell’interesse dell’impresa e dell’economia nazionale.
Tale disciplina è evidentemente ispirata ad un modello di lavoro subordinato che oggigiorno non è più così imperante e diffuso.
Il lavoro subordinato è caratterizzato dall’onerosità, come si può desumere dallo stesso art.
2094 c.c., per il quale l’obbligazione lavorativa è assunta dal prestatore mediante retribuzione. Pertanto, ove si sia in presenza di lavoro subordinato, vale una presunzione di onerosità.
Secondo la giurisprudenza, infatti, sussiste il principio per cui, in via generale, ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso istituito
affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, se viene dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa (Cass. 26-1-2009, n. 1833).
Infine, con riferimento alla subordinazione, è da dire che la relativa nozione non è reperibile nell’ordinamento né si può dire che sia concepita univocamente in dottrina.
In proposito, sono stati individuati i seguenti criteri definitori:
— subordinazione tecnico-funzionale: secondo tale orientamento gli elementi di definizione
contenuti nell’art. 2094 c.c. devono essere individuati nella parte conclusiva della norma, dalla quale trae origine la tradizionale identificazione della subordinazione con l’eterodirezione della prestazione lavorativa.
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
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L’art. 2094 c.c. infatti dispone che è lavoratore subordinato colui che presta il proprio lavoro «alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore».
L’eterodirezione o subordinazione tecnico-funzionale consiste, nella sottoposizione dei prestatori di lavoro alle direttive del datore di lavoro cui spetta di determinare le modalità di esplicazione dell’attività lavorativa, entro i limiti fissati dalla legge e dal contratto collettivo a tutela
della personalità e della dignità del lavoratore (artt. 35, 41 Cost.). Il lavoratore subordinato
esegue la prestazione dedotta in contratto secondo ordini, direttive ed impostazioni impartite
dal datore di lavoro, o dai suoi collaboratori gerarchici (art. 2086 c.c.);
— subordinazione «in senso stretto»: secondo parte della dottrina, la subordinazione pur continuando ad essere l’elemento distintivo del lavoro subordinato, deve essere intesa in modo
diverso rispetto al suo significato più tradizionale. È stato quindi proposto il criterio della
subordinazione in senso stretto che consiste nel fatto che il lavoratore subordinato è estraneo
sia all’organizzazione produttiva in cui è integrata la sua prestazione, sia al risultato della stessa «di cui il titolare dell’organizzazione (e dei mezzi di produzione) è immediatamente legittimato ad appropriarsi» (ROCCELLA).
Difatti, nell’ambito della subordinazione, non è mai riscontrabile l’autonomia economico-organizzativa del lavoratore
(i lavoratori subordinati non sono titolari di alcuna organizzazione di mezzi che invece, ancorché minima, si riscontra
sempre nel prestatore d’opera);
— dipendenza economica: l’inferiorità economica, che ha caratterizzato storicamente il lavoro
salariato ed ha giustificato la formazione di un apparato di tutele giuridiche ed economiche
in favore del lavoratore, non costituisce più un tratto essenziale ed esclusivo del lavoro subordinato ed è quindi sempre più in declino come criterio di qualificazione della subordinazione.
C) La disciplina garantista del lavoro subordinato
Il lavoro subordinato, come si è già detto, costituisce l’oggetto della disciplina garantista del
diritto del lavoro.
Tale sistema di garanzie si sostanzia in una disciplina caratterizzata da una marcata finalità protettiva costituita in gran parte da norme inderogabili che regolano tutti i principali eventi
ed aspetti del rapporto di lavoro (inquadramento del lavoratore, retribuzione, orario di lavoro,
diritti del lavoratore, sospensioni, estinzione del rapporto etc.).
Tra le principali norme di favore previste per il lavoro subordinato, rilevano le seguenti:
— il lavoratore deve essere inquadrato, vale a dire che all’atto dell’assunzione devono essere
determinate, in base all’accordo contrattuale, alle sue capacità professionali e alle mansioni
che dovrà svolgere, la qualifica e la categoria (art. 96 disp. att. c.c.). Egli deve essere, poi, adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (art. 2103 c.c.);
— il datore deve corrispondere al lavoratore una retribuzione non inferiore agli importi previsti dal contratto collettivo di categoria in base alla qualifica che gli è attribuita e alle mansioni da questi svolte e comunque proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato;
— l’obbligo del datore di lavoro di registrare i lavoratori nel libro unico del lavoro (che è stato introdotto dal D.L. 112/2008, conv. in L. 133/2008 e che ha sostituito gli storici libri aziendali: il libro matricola e il libro paga), e di comunicare agli uffici competenti l’assunzione, comunicazione che ha anche efficacia ai fini dell’assolvimento degli obblighi di comunicazione
nei confronti degli enti previdenziali (INPS, INAIL etc.);
— i limiti alla estinzione del rapporto di lavoro che, dal lato del datore di lavoro, è condizionata dalla necessità di una giusta causa e di un giustificato motivo (L. 604/1966, art. 18 L.
300/1970) e dai divieti di licenziamenti per motivi discriminatori e in determinate circostanze (maternità e paternità dei lavoratori, matrimonio della lavoratrice, malattia etc.);
— una particolare disciplina delle controversie di lavoro (art. 409 c.p.c.), volta a garantire una
celere risoluzione delle stesse al fine di una immediata soddisfazione dei diritti e dei crediti dei
lavoratori;
14
Diritto del lavoro
— la tutela previdenziale che si realizza mediante le cd. assicurazioni sociali al fine di sollevare i lavoratori dipendenti dal rischio di eventi, connessi o meno con l’attività lavorativa, in
grado di incidere però sulla capacità di lavoro o di guadagno (malattia, infortunio sul lavoro,
disoccupazione, invalidità, vecchiaia etc.);
— il datore di lavoro è obbligato a provvedere al finanziamento delle assicurazioni sociali, mediante il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla
normativa vigente;
— in caso di controversia avente origine dal rapporto di lavoro, si applica un rito speciale (art. 409
ss. c.p.c.), diverso da quello ordinario, perché è finalizzato a garantire una celere risoluzione della vertenza per consentire al lavoratore l’immediata soddisfazione dei propri diritti e crediti.
Lavoro subordinato
art. 2094 c.c.
prestatore di lavoro
subordinato
collaborazione
continuità
della
prestazione
il datore di lavoro
si assume i rischi
dell’attività
inserimento
nell’organizzazione
del datore
rischio
economico
lavoro subordinato
(locatio operarum)
modelli di
organizzazione
dell’attività
lavorativa
chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro alle
dipendenze di un imprenditore
distinzioni
lavoro autonomo
(locatio operis)
responsabilità
verso terzi
subordinazione
posizione
del
prestatore
autonomia
subordinazione
sottoposizione alle
direttive del datore
rischio per infortuni e
malattie professionali
rischio di inabilità
al lavoro del prestatore
inesistente
inesistente
retribuzione
fissa
oggetto
della
prestazione
organizzazione
rischio
corrispettivo
risultato
finale
impresa
assunzione
correlato
al risultato
finale
lavoro
Estratto della pubblicazione
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
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2. IL LAVORO AUTONOMO E LE DIFFERENZE CON IL LAVORO SUBORDINATO
Il lavoro autonomo è definito dall’art. 2222 c.c. come compimento di un’opera o di un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, che il lavoratore svolge senza vincolo di subordinazione, verso un corrispettivo nei confronti del committente.
Il lavoro autonomo di regola non è oggetto del diritto del lavoro ma viene, invece, generalmente trattato dal diritto commerciale. Esso, peraltro, comprende diverse tipologie: oltre alle prestazioni d’opera di cui all’art. 2222 c.c., vi sono le prestazioni professionali e intellettuali (art. 2229 c.c.), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoro a progetto
(art. 409, n. 3, c.p.c.).
Il lavoro autonomo si pone in linea di principio agli antipodi del lavoro subordinato. Tuttavia, non sempre è facile differenziare le due fattispecie, quanto meno in ciò non è di aiuto la
normativa: si pensi infatti che l’art. 2222 c.c. cit. definisce il lavoro autonomo a contrariis, cioè
come quello che viene svolto «senza vincolo di subordinazione».
Tradizionalmente, guardando all’oggetto della prestazione, sulla scorta della distinzione
romanistica tra locatio operis e locatio operarum, si riteneva che nel lavoro autonomo fosse costituito dal risultato finale dell’attività del prestatore (un opus, un lavoro specifico), mentre nel
lavoro subordinato dalle stesse energie lavorative (fisiche o intellettuali) del prestatore. In base
a tale distinzione si parlava, nel primo caso, di obbligazione di risultato, nel secondo, di obbligazione di mezzi.
Questo criterio distintivo non ha ormai rilevanza: infatti, anche per talune categorie di lavoratori autonomi può essere esclusa la responsabilità per un certo risultato (come accade, ad esempio, per gli avvocati o i medici), in quanto oggetto del rapporto è soltanto la prestazione di un’attività, mentre, per converso, nello schema causale del contratto di lavoro subordinato ben può rientrare la «prestazione di un risultato utile per il creditore», cioè per il datore di lavoro (GHERA).
È altresì escluso che la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo possa basarsi sul tipo
di attività dedotta nel contratto, posto che qualsiasi attività può essere indifferentemente oggetto dell’uno o dell’altro tipo di rapporto (infatti, come detto, ciò che ha importanza è la modalità con cui viene svolta).
Da tempo si è piuttosto orientati a dare prevalenza, più che a differenze intrinseche dell’attività lavorativa, alle modalità attuative della prestazione, perché è in questo ambito che permangono le maggiori differenze tra lavoro autonomo e subordinato.
Da ultimo, la Cassazione ha confermato che requisito fondamentale del rapporto di lavoro
subordinato, ai fini della distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, è il vincolo di soggezione
del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza
e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative.
Giurisprudenza
La giurisprudenza ha però chiarito che il vincolo della subordinazione non ha, tra i suoi tratti caratteristici, la permanenza dell’obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione del datore di lavoro, con la conseguenza che la scarsità, saltuarietà e occasionalità delle prestazioni lavorative non sono sufficienti a qualificare un rapporto di lavoro come autonomo, a meno che non vengano provati i tratti caratteristici dello
stesso (Cass. 7-1-2009, n. 58). Inoltre, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, al fine della distinzione con il lavoro autonomo, il criterio rappresentato dal suddetto assoggettamento del lavoratore al potere direttivo,
organizzativo e disciplinare del datore di lavoro non risulta significativo. In questo caso, bisognerà far ricorso a criteri sussidiari, come ad esempio la durata del rapporto, la modalità di erogazione del compenso, la presenza di un oggettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore di lavoro etc. (Cass. 211-2009, n. 15364; Cass. 8-5-2009, n. 10629).
Distinguere tra le due tipologie di lavoro non è sempre agevole anche perchè, in concreto, il
rapporto può essersi svolto con caratteristiche proprie dell’una o dell’altra, o meglio non presentare tutti i caratteri propri della subordinazione, con la conseguenza che la natura reale del rapEstratto della pubblicazione
16
Diritto del lavoro
porto, deve essere valutata caso per caso, con riferimento cioè alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di
lavoro autonomo (Cass. 14-12-2009, n. 26160; Cass. 8-2-2010, n. 2728).
In tale analisi, possono tuttavia essere di aiuto taluni indici individuati nel corso degli anni
dalla giurisprudenza, ritenuti idonei, se esistenti in concreto, a configurare il rapporto di lavoro
come subordinato. Essi sono:
—
—
—
—
—
la collaborazione;
la continuità della prestazione;
l’osservanza di un orario predeterminato;
il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita;
il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore
di lavoro;
— l’assenza, in capo al lavoratore, di una sia pur minima struttura imprenditoriale.
Ciascuno indice è di per sé privo di valore decisivo, ma se tali criteri sono valutati globalmente costituiscono indizi di cui il giudice può servirsi per la corretta qualificazione di un rapporto
la cui natura sia controversa.
Un breve cenno va fatto anche al cd. nomen iuris o volontà cartolare, ed al valore che esso
ha per la giurisprudenza.
In linea di massima, si ritiene che, per stabilire la natura del rapporto di lavoro, sia di per
sé irrilevante la denominazione (autonomo o subordinato) attribuita dalle parti al contratto (appunto cd. nomen iuris o volontà cartolare). Ciò in ossequio al principio generale in base al quale si deve privilegiare il comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento del rapporto rispetto alla volontà che avevano manifestato al momento della stipulazione del contratto.
Giurisprudenza
Così la giurisprudenza ha affermato che anche un contratto individuale che sia stato qualificato come libero professionale «può essere riconosciuto come subordinato quando, nel suo concreto svolgimento, sono
individuabili i caratteri propri della subordinazione» (Cass. 4-5-2009, n. 10242). Ne consegue che l’esecuzione del rapporto rileva più della volontà delle parti e del nome utilizzato.
In proposito, tuttavia, si deve tener presente l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale, per distinguere tra lavoro autonomo e subordinato non deve prescindersi dalla volontà dei contraenti e, sotto
questo profilo, va tenuto presente il nomen iuris utilizzato dalle parti. Esso, tuttavia, non ha un rilievo assorbente, nel senso che deve tenersi conto altresì, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto (art.
1362, co. 2, c.c.), e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi. Tuttavia, quando sia proprio la configurazione che il rapporto ha avuto nei fatti ad apparire dubbia, l’indagine deve essere svolta in modo più
accurato proprio sulla volontà espressa dalle parti in sede di costituzione del rapporto (Cass. 13884/2004).
Nel caso però si tratti di un contratto di lavoro certificato, è previsto (ex L. 183/2010, cd. collegato lavoro) che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione
delle relative clausole, non può discostarsi dalle valutazioni che le parti hanno espresso in sede di
certificazione.
3. LA PARASUBORDINAZIONE
A) La nozione di parasubordinazione e i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
In alcuni casi, il lavoro autonomo può presentare caratteristiche — natura prevalentemente
personale della prestazione, continuatività e coordinazione della attività prestata — analoghe a
quelle del lavoro subordinato.
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
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Tale fenomeno ha dato luogo alla creazione, da parte della dottrina, di una apposita categoria, quella della parasubordinazione, che ha trovato un primo riscontro normativo nell’art. 409,
n. 3, c.p.c., il quale estende l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro, oltre che
ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, anche a tutti gli «altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale, anche se non a carattere subordinato».
La parasubordinazione, nella forma delle collaborazioni coordinate e continuative (cd.
co.co.co.), ha avuto ampia diffusione con applicazione di alcune tutele proprie del lavoro subordinato (v. par. 4) in virtù del fatto che anche le co.co.co. sono caratterizzate da sostanziale dipendenza economica del collaboratore nei confronti del committente (analoga a quella del lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro).
In materia previdenziale, è stata istituita presso l’INPS un’apposita gestione separata che eroga le pensioni di invalidità,
vecchiaia e i superstiti, nonché l’assegno per il nucleo familiare, l’indennità di maternità, di paternità e di malattia in caso di
degenza ospedaliera nei confronti di tutti i titolari di rapporti co.co.co.
B) I requisiti della parasubordinazione
Dall’esame dell’art. 409, n. 3, c.p.c. si evincono i requisiti della parasubordinazione:
— una prestazione di lavoro prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato.
Giurisprudenza
Per la giurisprudenza non si rientra nella previsione dell’art. 409, n. 3, c.p.c. allorché l’attività lavorativa
di un soggetto in favore del committente sia svolta in forma imprenditoriale, con prevalenza del momento
organizzativo dell’opera dei propri dipendenti e collaboratori su quello della collaborazione prestata dal
soggetto medesimo. La giurisprudenza ritiene altresì che la collaborazione prevalentemente personale non
sia configurabile ove il soggetto/collaboratore non sia una persona fisica ma una società. Così, in tema di
controversie attinenti a rapporti di agenzia, l’esistenza di un’organizzazione in forma sociale dell’agenzia implica una (mera) presunzione di insussistenza del carattere prevalentemente personale dell’attività svolta e quindi di insussistenza della parasubordinazione, in ordine alla quale rimane possibile fornire la prova contraria. In altri termini, se l’agente non dimostra di aver agito in proprio, ma risulta che ha
agito in qualità di rappresentante legale della società, manca il carattere prevalentemente personale della prestazione (Cass. 28-7-2005, n. 15790);
— una prestazione continuativa.
La continuità va riferita alla reiterazione di prestazioni lavorative integranti diverse «opere» (SANTORO PASSARELLI). L’attività di collaborazione prevista dall’art. 409, n. 3, c.p.c. deve concretarsi in una prestazione d’opera non occasionale, cioè non limitata ad uno o più affari determinati, e continuativa, che si estenda cioè a tutti gli affari di una certa specie del preponente, in un determinato periodo di tempo, anche se non di lunga durata (Cass. 360/84);
— coordinata con l’attività del committente.
Il requisito del coordinamento fra la prestazione d’opera continuativa e personale, o prevalentemente personale, del
collaboratore e il preponente postula che la medesima attività si svolga in connessione o collegamento con il preponente stesso, per contribuire alle finalità cui esso mira (Cass. 26-5-2004, n. 8598).
Con l’introduzione, ad opera del D.Lgs. 276/2003, della tipologia contrattuale del lavoro a progetto in cui deve essere inquadrata oggi la maggior parte dei rapporti di parasubordinazione, non
è stato creato un nuovo genere di lavoro alternativo al lavoro autonomo e a quello subordinato,
posto che il suddetto provvedimento si è limitato ad individuare «le modalità di svolgimento della
prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso
della autonomia o della subordinazione» (circ. Min. Lav. 8-1-2004, n. 1), senza mutare o sostituire la nozione di parasubordinazione desumibile dall’art. 409, n. 3, c.p.c., che era e resta fattispecie di natura autonoma malgrado le vicinanze con il lavoro subordinato.
Estratto della pubblicazione
18
Diritto del lavoro
I requisiti della parasubordinazione
continuità
la prestazione non deve essere occasionale, ma perdurare nel tempo e comportare un impegno costante del prestatore a favore del
committente
coordinazione
connessione funzionale derivante da un protratto inserimento
nell’organizzazione aziendale o,
più in generale, nelle finalità perseguite dal committente
personalità
prevalenza del lavoro personale
del preposto sull’opera svolta dai
collaboratori e sull’utilizzazione di
una struttura di natura materiale
4. IL LAVORO A PROGETTO
A) Inquadramento delle collaborazioni continuative e coordinate nel contratto di lavoro a progetto
Il D.Lgs. 10-9-2003, n. 276 ha introdotto un nuovo contratto di lavoro entro cui ricondurre la
maggior parte dei rapporti di collaborazione: il lavoro a progetto (artt. 61-69).
Il D.Lgs. 276/2003 stabilisce infatti che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili
ad uno o più progetti specifici e programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, indipendentemente dal
tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione (art. 61).
La previsione, da parte del legislatore, dell’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa ad un contratto di lavoro a progetto si traduce nel divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici, comportando l’illegittimità di rapporti
di co.co.co. al di fuori di questo schema negoziale tipico.
L’obbligo di ricondurre i rapporti di co.co.co. al contratto di lavoro a progetto non è però totale, esso infatti, non si applica (art. 61, co. 3, D.Lgs. 276/2003):
—
—
—
—
—
—
ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale;
all’attività del professionista intellettuale per il cui svolgimento è necessaria l’iscrizione in appositi Albi professionali (es.
avvocati etc.);
ai rapporti di collaborazione con la Pubblica Amministrazione;
alle collaborazioni con associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali;
ai rapporti degli amministratori e sindaci di società e ai partecipanti a collegi e commissioni;
alle collaborazioni effettuate da pensionati.
Sono altresì escluse dalla disciplina del lavoro a progetto anche le collaborazioni occasionali, denominate mini co.co.
co., caratterizzate dai seguenti requisiti (art. 61, co. 2, D.Lgs. 276/2003):
—
—
la durata della collaborazione non deve superare i 30 giorni in un anno solare con lo stesso committente;
il compenso complessivo annuo, sempre con lo stesso committente, deve essere inferiore a 5.000 euro.
Per effetto della L. 183/2010, cd. collegato lavoro vi rientrano, fermo il predetto requisito reddituale, anche le prestazioni
svolte nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona di durata complessiva non superiore a 240 ore. L’elencazione delle
prestazioni, dei rapporti e delle attività di collaborazione escluse (commi 2 e 3) dalla obbligatoria riconducibilità ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso (comma 1) ha natura esaustiva (Min. Lav. risposta ad interpello del 13-2-2007).
B) Gli elementi qualificanti del lavoro a progetto
Il lavoro a progetto ha natura autonoma e i relativi elementi qualificanti, desunti dallo stesso art. 61 D.Lgs. 276/2003, sono:
— le modalità di svolgimento dell’attività dedotta in contratto, che sono quelle della collaborazione coordinata e continuativa.
Nel coordinamento con il ciclo produttivo e l’organizzazione del lavoro del committente devono ritenersi possibili anche forme di coordinamento temporale. Il coordinamento può essere riferito sia ai tempi di lavoro che alle modalità di
esecuzione del progetto o del programma di lavoro, fermo restando, ovviamente, che «l’autonomia del collaboratore a
progetto si esplicherà pienamente, quanto al tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione, all’interno delle pattuizioni intervenute tra le parti su dette forme di coordinamento» (circ. Min. Lav. 1/2004);
Estratto della pubblicazione
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
19
— il progetto, programma di lavoro o fase di esso, che deve essere individuato dal committente ed a cui deve essere ricondotta o riconducibile l’attività che viene svolta dal collaboratore.
Il progetto consiste in «un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato
finale», mentre il programma di lavoro consiste in un’attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale ma
che è destinata ad essere integrata con altre prestazioni o collaborazioni parziali (circ. Min. Lav. 1/2004);
— l’autonomia del collaboratore nello svolgimento della attività lavorativa e la gestione della
stessa in funzione del risultato.
C) La forma del contratto e la durata del rapporto di lavoro
Il contratto di lavoro a progetto deve avere la forma scritta e contenere le seguenti indicazioni:
—
—
—
—
—
la durata della prestazione da svolgere;
il progetto o programma da realizzare;
le forme di coordinamento del lavoratore con il committente;
il corrispettivo;
la previsione di eventuali specifiche misure di sicurezza e di tutela della salute del lavoratore.
La forma scritta è richiesta ad probationem e non ad substantiam, pertanto, la mancanza della scrittura non rende il contratto nullo, sicché il contratto di lavoro a progetto rimane comunque valido sul piano sostanziale, e non si verifica quindi alcuna nullità né, tanto meno, la conversione in altro tipo di contratto (Tribunale di Ravenna 25-10-2005). L’unica conseguenza si ha
in ambito processuale, nel caso in cui dovesse sorgere una controversia tra le parti del rapporto, poiché la legge prevede alcune
limitazioni in materia probatoria: infatti, ogniqualvolta è stabilito che un contratto deve essere provato per iscritto (forma scritta
ad probationem), per fornire la prova dell’esistenza e del contenuto dello stesso, non si può ricorrere a testimoni (salvo dimostrare di aver perso senza colpa il documento che forniva la prova ex artt. 2724, n. 3 e 2725 c.c.), né a presunzioni (art. 2729 c.c.).
In proposito, infatti, il Ministero del Lavoro (circ. 1/2004) ha precisato che «seppure la forma scritta sia richiesta solo
ai fini della prova, quest’ultima sembra assumere valore decisivo rispetto all’individuazione del progetto, del programma o
della fase di esso in quanto in assenza di forma scritta non sarà agevole per le parti contrattuali dimostrare la riconducibilità della prestazione lavorativa appunto ad un progetto, programma di lavoro o fase di esso».
Tra tutti gli elementi elencati assume particolare importanza l’indicazione della durata dell’attività dedotta in contratto, che deve essere determinata o determinabile: il lavoro a progetto, proprio perché connesso alla realizzazione di un progetto o un programma di lavoro o una fase dello stesso, non può avere durata indeterminata, ma deve essere necessariamente definito nel tempo, dovendosene prevedere la scadenza in relazione al compimento del progetto.
È legittimo il rinnovo di un contratto di lavoro a progetto tra le medesime parti, sia quando il nuovo contratto abbia ad oggetto lo svolgimento di progetti o programmi aventi contenuto del tutto diverso dal precedente, sia quando il progetto o programma di lavoro risulti analogo a quello precedente, salvo che i contratti rappresentino «strumenti elusivi dell’attuale disciplina».
D) Effetti della stipulazione del lavoro a progetto (disciplina del rapporto)
In base alle disposizioni vigenti prima del D.Lgs. 276/2003, ai rapporti di lavoro parasubordinato non si applicava l’intera disciplina del lavoro subordinato, ma soltanto:
— le norme in materia di processo del lavoro (artt. 409 ss. c.p.c.), compreso l’obbligo del tentativo di conciliazione (art. 410 c.p.c.);
— l’art. 2113 c.c., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni;
— l’art. 429 c.p.c. che per i crediti di lavoro prevede, in caso di condanna del datore di lavoro, il risarcimento del danno da svalutazione monetaria ed il pagamento degli interessi nella misura legale.
Il D.Lgs. 276/2003 ha confermato l’applicazione di tali istituti anche ai lavoratori a progetto,
stabilendo altresì ulteriori disposizioni per la disciplina di tali rapporti (salvo il principio che
le parti possono contrattualmente, o anche in base ad accordi collettivi, apportarvi deroghe di carattere più favorevole per il collaboratore ex art. 61, co. 3). In particolare:
— il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, in funzione del risultato concordato.
La sua determinazione deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (art. 63), con esclusione però di ogni riferimento alle retribuzioni stabilite nei contratti collettivi per i lavoratori subordinati;
20
Diritto del lavoro
— il collaboratore a progetto non ha un vincolo di esclusiva e quindi può svolgere la sua attività a favore di più committenti, salvo diverso accordo tra le parti. Ha però un obbligo di fedeltà e
riservatezza, pertanto non può svolgere la sua attività in concorrenza con i committenti, né può
diffondere notizie relative all’attività svolta dal committente o arrecarvi pregiudizio (art. 64).
Per eventuali invenzioni, il collaboratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello
svolgimento del rapporto;
— il rapporto di lavoro si sospende in caso di gravidanza, malattia e infortunio; tuttavia solo la
gravidanza può determinare una proroga del rapporto alla scadenza, per un periodo di 180
giorni (salva più favorevole disposizione del contratto individuale) (art. 66).
Il D.M. 12-7-2007 (emanato in attuazione della L. 296/2006) ha esteso l’astensione obbligatoria stabilita per le lavoratrici
subordinate anche alle lavoratrici a progetto (e categorie assimilate) ed ha previsto che il diritto alla proroga del rapporto
(art. 66 D.Lgs. 276/2003 cui la norma fa esplicito rinvio) spetta alle lavoratrici tenute ad astenersi dall’attività lavorativa
in caso di gravidanza, sia per il periodo obbligatorio di cinque mesi ex art. 16 D.Lgs. 151/2001, sia per quello ulteriore ai
sensi dell’art. 17 D.Lgs. 151/2001 (art. 1 e 3 D.M. cit.). Peraltro, va sottolineata l’importanza del predetto decreto ministeriale in quanto ha sancito che l’obbligo di astensione effettiva dal lavoro è «condizione per accedere all’indennità di maternità», cui le collaboratrici avevano già in precedenza diritto senza però l’obbligo di non lavorare (circ. INPS 137/2007);
— si applica la normativa vigente in materia di igiene e sicurezza dei lavoratori (subordinati)
quando la prestazione lavorativa del lavoratore a progetto si svolge nei luoghi di lavoro del
committente;
— il rapporto di lavoro si estingue nel momento in cui è realizzato il progetto o il programma o
la fase di esso che costituisce l’oggetto della prestazione. Il recesso prima della scadenza del
termine è ammesso per giusta causa e per altre causali eventualmente stabilite dalle parti nel
contratto di lavoro individuale, con preavviso. Un recesso ingiustificato determina l’obbligo
del risarcimento del danno (art. 67) (e non la tutela contro i licenziamenti illegittimi).
Per quanto riguarda le tutele dei lavoratori a progetto (e categorie assimilate) a decorrere dal 1°-1-2007, è stata stabilita l’erogazione dell’indennità giornaliera di malattia (a partire dal quarto giorno di malattia) a carico dell’ente previdenziale, prima limitata solo ai casi di degenza ospedaliera, in tutte le ipotesi di eventi morbosi (art. 1, co. 788). In conseguenza
del riconoscimento del diritto all’indennità di malattia, il collaboratore ha l’obbligo di certificare lo stato di malattia e di osservare le cd. fasce orarie di reperibilità, come accade per la generalità dei lavoratori subordinati. È stato altresì riconosciuto alle lavoratrici e ai lavoratori a progetto il diritto all’indennità economica per la fruizione dei congedi parentali, limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino e per gli eventi di parto verificatisi dal 1°-1-2007.
Con la L. 247/2007 (art. 1, co. 83) inoltre è stata estesa alle lavoratrici parasubordinate anche la disposizione dell’art. 7
D.Lgs. 151/2001 (lavori vietati), che vieta di adibirle al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri (es. lavori che comportano l’esposizione a radiazioni ionizzanti). Per il periodo per il quale è previsto il divieto, la lavoratrice deve essere spostata ad altre mansioni; qualora ciò non fosse possibile, il servizio ispettivo del Ministero del Lavoro può disporne l’interdizione dal lavoro fino al settimo mese di vita del bambino.
Il D.L. 185/2008 (cd. decreto anticrisi), conv. in L. 2/2009 (art. 19, co. 2) ha introdotto anche una forma di tutela del
reddito in caso di fine lavori per i collaboratori a progetto in regime di monocommittenza e con determinati requisiti, reddituali e contributivi, mediante l’erogazione di una somma attualmente pari al 30% del reddito percepito l’anno precedente. La misura, prevista originariamente in via sperimentale per il triennio 2009-2011, è stata prorogata per il 2012 ex D.L.
216/2011, cd. decreto milleproroghe, conv. in L. 14/2012.
Tutele
nel rapporto di lavoro
nel sistema previdenziale
gestione
separata INPS
applicazione del rito del
lavoro alle controversie
(art. 409, n. 3, c.p.c.)
invalidità rinunce
e transazioni
(art. 2113 c.c.)
risarcimento del danno da
svalutazione monetaria +
interessi nella misura legale
(art. 429 c.p.c.)
Estratto della pubblicazione
prestazioni
prestazioni malattia
pensionistiche di maternità,
di paternità
e di famiglia
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
21
E) Il divieto di co.co.co. atipiche e il sistema sanzionatorio nell’elaborazione giurisprudenziale
L’apparato di sanzioni predisposto dall’art. 69 D.Lgs. 276/2003 per reprimere sia la trasgressione del divieto di co.co.co. atipiche che l’abuso della forma giuridica del lavoro a progetto per
la dissimulazione di rapporti di lavoro subordinato, prevede che:
— in difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro si trasforma in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’origine, in quanto si presume tale.
Sulla natura della presunzione, se essa debba considerarsi assoluta o relativa, non vi è univocità di opinioni. La questione non è di poco conto, perché, nel primo caso (presunzione assoluta), il datore di lavoro/committente non potrà in alcun modo dimostrare che il rapporto di lavoro si è svolto con modalità diverse da quelle caratterizzanti il lavoro subordinato, mentre, nel secondo caso (presunzione relativa), la dimostrazione della natura autonoma del rapporto di lavoro
gli è invece consentita. In tale ultimo senso, si inserisce l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro (circ. 1/2004,
circ. 4/2008), secondo cui il committente può fornire in giudizio la prova che il rapporto di lavoro è comunque effettivamente autonomo e, in tal modo superare la presunzione stabilita dalla legge, mentre la giurisprudenza, soprattutto quella più recente, si è mossa in senso contrario (la presunzione in esame è assoluta) (v. anche schema in calce alla presente lettera);
— nel caso invece in cui venga accertato in giudizio che il rapporto si è effettivamente svolto
nelle modalità del lavoro subordinato, il rapporto di lavoro a progetto si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le
parti (art. 69).
Il controllo giudiziale, in tal caso, deve limitarsi esclusivamente all’accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche,
organizzative o produttive che spettano al committente (art. 69, co. 3, D.Lgs. 276/2003).
Sistema sanzionatorio
Predisposizione di un progetto
Esistenza o meno
del progetto
scopo
rilevanza processuale
ai fini della ripartizione
dell’onere della prova
evitare che vengano poste in essere generiche collaborazioni
in cui facilmente mascherare rapporti di subordinazione
in caso di contestazione sulla natura reale del lavoro dichiarato a progetto
se il progetto esiste ed è
indicato nel contratto
spetta al lavoratore dover
dimostrare in giudizio la natura
subordinata del rapporto
di lavoro (art. 2697 c.c.)
(Trib. di Milano
sent. 4049/2005)
se nel contratto
il progetto manca
spetta al committente
dover dimostrare
la natura autonoma
del rapporto
22
Mancanza
di indicazione
del progetto
nel contratto
Diritto del lavoro
scatta la
presunzione
(art. 69, co. 1,
D.Lgs. 276/2003)
il rapporto di lavoro si considera subordinato a tempo
indeterminato sin dalla data della sua costituzione
natura della presunzione
orientamenti della giurisprudenza
relativa
assoluta
il committente può provare in
giudizio che il rapporto di lavoro
ha comunque avuto
veramente natura autonoma
(Trib. di Milano sent. 822/2006)
il committente non può
provare la natura
autonoma del rapporto
la trasformazione del rapporto in lavoro
subordinato è automatica in quanto ha
il valore di una sanzione
(Trib. di Milano sent. 320/2007)
la conversione opera di diritto e la pronuncia
del giudice ha valore di accertamento
(Trib. di Milano sent. 337/2007)
Disciplina del lavoro a progetto
Caratteri essenziali
del contratto
³ prestazione
• riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso
• determinata dal committente
• gestita autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato
³ forma del contratto
• scritta, ai fini della prova e non della validità del contratto
³ durata
• determinata o determinabile
³ corrispettivo
• proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, in funzione del risultato concordato
³ sospensione
• in caso di malattia e infortunio
³ proroga
• in caso di gravidanza per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale
³ risoluzione
• al momento della realizzazione del progetto o programma o fase
di esso
• in caso di malattia o infortunio se la sospensione si protrae per un
periodo superiore a 1/6 della durata stabilita nel contratto ovvero
superiore a 30 giorni per i contratti di durata determinabile
³ come per il lavoro
³ subordinato
• tutele previdenziali per gli iscritti alla gestione separata INPS
• disciplina del processo del lavoro
• regime delle rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c.
³ mancanza di uno
³ specifico progetto
• il rapporto di lavoro è considerato rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto
³ accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto
• trasformazione del lavoro a progetto nello schema negoziale di fatto realizzatosi tra le parti
Modifiche
del rapporto
Tutela
del lavoratore
Sanzioni
Estratto della pubblicazione
Capitolo 2: Il lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato
23
5. RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO E VINCOLO ASSOCIATIVO
In alcuni rapporti associativi è rinvenibile la situazione in cui il socio o l’associato si trova
ad eseguire un’attività di lavoro: è il caso del socio d’opera nelle società di persone, dell’associato
nell’associazione in partecipazione e del socio lavoratore nelle cooperative di lavoro.
La peculiarità di tali ipotesi è che, mentre nel rapporto di lavoro subordinato l’attività lavorativa è eseguita in ragione di un contratto di scambio, articolato in due obbligazioni principali o
controprestazioni (la prestazione lavorativa del lavoratore e la retribuzione del datore), nei rapporti di tipo associativo lo svolgimento di un’attività lavorativa è di regola una conseguenza stessa del vincolo associativo.
Tali caratteristiche fanno venir meno la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato
(mancano infatti eterodirezione ed estraneità all’organizzazione e al profitto derivante dall’attività) e l’applicazione della relativa disciplina.
A) Il socio d’opera
Il socio d’opera è colui che nella società di persone conferisce, anziché beni, la propria attività lavorativa. In tal caso, la causa del rapporto di lavoro che si realizza tra il socio e la società
è nel contratto di società e non nello scambio tra lavoro e retribuzione.
Inoltre, non si rinvengono gli elementi qualificanti della subordinazione in quanto il socio,
anche se obbligato a prestare lavoro in favore della società, partecipa allo scopo societario ed è titolare dei poteri di amministrazione e decisione degli altri soci.
Pertanto, nelle società di persone il rapporto di lavoro subordinato risulta incompatibile con
quello associativo, salvo quando l’attività lavorativa del socio, svolta in forma subordinata, non
costituisce oggetto del conferimento per partecipare alla società.
B) Il lavoro dei membri di organi sociali
Il lavoro prestato in organi sociali (come nel caso degli amministratori delle S.p.A. e delle
S.r.L.), comportando una immedesimazione del soggetto nella persona giuridica, non può qualificarsi come lavoro subordinato perché non si rinvengono gli elementi qualificanti della subordinazione, ed in particolare quello della eterodirezione della prestazione lavorativa.
Ciò è vero, ad esempio, nel caso dell’amministratore unico (Cass. 29-1-1998, n. 894), il quale accentrando in sé il potere di esprimere la volontà sociale, nonché quello di direzione e controllo dei dipendenti e quello disciplinare e gerarchico, finirebbe col realizzare un inammissibile «controllo di se stesso» (Cass. 16-7-1980, n. 4628).
Può invece esistere un rapporto di lavoro subordinato con gli amministratori delegati, qualora essi operino sotto il diretto controllo del Consiglio di amministrazione o di altro amministratore delegato (Cass. 24-1-1981, n. 565 e 12-4-1980, n. 2361).
C) L’associazione in partecipazione
L’associazione in partecipazione (artt. 2549-2554 c.c.) è il contratto col quale l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di singoli affari, come corrispettivo di un certo apporto che può consistere (in una somma di denaro, nel godimento di un bene,
ma) anche nello svolgimento di una prestazione di lavoro.
È evidente che, in tale ipotesi, può sorgere il problema in ordine alle modalità in cui l’attività
lavorativa viene realmente prestata, se cioè con vincolo o meno di subordinazione.
Il rapporto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro è incompatibile con il
rapporto di subordinazione, in quanto non si rinvengono gli elementi qualificanti quest’ultimo.
Infatti, l’obbligo dell’associato di effettuare l’apporto promesso (la prestazione lavorativa) ha
come controprestazione la partecipazione agli utili d’impresa, per cui assume su di sé un rischio
economico e l’alea sulla non necessaria corrispondenza tra apporto lavorativo e corrispettivo pattuito, ed inoltre, esercita un controllo sull’andamento dell’impresa o dell’affare. Ne deriva che un elemento caratterizzante tale rapporto è dato proprio dal coinvolgimento diretto dell’associato alle for-
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Diritto del lavoro
tune dell’impresa, che invece è solo indiretto nel lavoratore subordinato: esiste cioè un cointeresse
tra associato e associante, che è assente nel rapporto di subordinazione (Cass. 18-2-2009, n. 3894).
È da aggiungere poi che le direttive che impartisce l’associante non possono essere assimilate a quelle del datore di lavoro nei confronti del prestatore, sottoposto ad un ben più pregnante potere gerarchico e disciplinare.
È possibile però che, dietro un formale rapporto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro si nasconda in realtà un rapporto di lavoro subordinato. Al fine di evitare il verificarsi di fenomeni elusivi, il D.Lgs. 276/2003 ha quindi stabilito che la mancanza di una effettiva partecipazione e di adeguate erogazioni all’associato che presti la propria attività comporta il
diritto, in favore di quest’ultimo, «ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato» (art. 86, co. 2).
In pratica, tutte le volte in cui l’associazione in partecipazione risulti essere fittizia, ai rapporti di lavoro tra associante e
associato si applica la disciplina del lavoro subordinato, salvo che l’associante riesca a provare, con «attestazioni o documentazioni», che la prestazione di lavoro dell’associato rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel D.Lgs. 276/2003
ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo o in altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento (art. 86, co. 2, D.Lgs. 276/2003).
D) Il socio lavoratore nelle cooperative
Le società cooperative sono caratterizzate dallo svolgimento di un’attività economica organizzata con l’utilizzazione del lavoro dei soci, i quali sono istituzionalmente titolari del diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa.
Tale fattispecie, in relazione alla quale dovrebbe decisamente affermarsi l’incompatibilità
di un rapporto di lavoro subordinato stante la sussistenza del vincolo mutualistico, è oggi disciplinata dalla L. 3-4-2001, n. 142 con cui si è provveduto alla «revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore», poi modificata ed integrata dalla L. 30/2003.
La L. 142/2001, nella sua formulazione originaria, perseguiva la finalità di distinguere il rapporto associativo da quello
di lavoro ed applicare a quest’ultimo la disciplina propria della specie che le parti, cooperativa e socio lavoratore, intendessero realizzare, con l’estensione di gran parte degli istituti protettivi del lavoro subordinato ove vi fossero i presupposti della subordinazione.
Senonché, la L. 30/2003, nel modificare tale provvedimento, ha ridimensionato tale finalità, riconducendo l’attività prestata
dal socio lavoratore nell’ambito del rapporto mutualistico e affermando la netta prevalenza di quest’ultimo sul rapporto di lavoro.
Tra socio lavoratore e cooperativa si instaura un rapporto di tipo associativo dal quale deriva, tuttavia, un ulteriore rapporto, connesso all’attività prestata dal socio e con cui egli contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali.
Il rapporto di lavoro tra socio lavoratore e cooperativa deve essere concordato e formalizzato
all’atto dell’adesione, o successivamente, e può assumere la forma della subordinazione o del lavoro autonomo, compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale.
Dal rapporto associativo derivano, in capo al socio lavoratore, i tipici poteri e doveri dello
status di socio di cooperativa: potere gestionale, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell’impresa, partecipazione al rischio di impresa e obbligo di contribuire alla formazione del capitale sociale etc.
Il rapporto di lavoro è regolato dalle disposizioni della L. 142/2001. Se il rapporto di lavoro del socio lavoratore e cooperativa ha natura subordinata si applica, anche se non totalmente, la disciplina propria del lavoro subordinato di cui al codice civile e alla legislazione sociale.
La preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro risulta evidente se si considera che in materia di estinzione
del rapporto di lavoro, è previsto che:
—
—
se si ha recesso o esclusione del socio dalla cooperativa, si estingue anche il rapporto di lavoro, sia esso di natura subordinata, autonoma o di collaborazione;
mentre se si estingue il rapporto di lavoro con il socio, il rapporto associativo non decade automaticamente.
L’art. 5 co. 2 D.Lgs. 142/2001 (così come sostituito dalla L. 30/2003), stabilisce che le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del TriEstratto della pubblicazione
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