Riassunto di Storia Contemporanea (1848-giorni nostri)

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ITALIA
TRE GUERRE DI INDIPENDENZA - UNIFICAZIONE D’ITALIA
I moti europei del ‘48 interessarono da vicino anche l’Italia, così le rivolte in Francia, in Austria ed in
Germania, contribuirono alla concessione delle Carte costituzionali ed alle rivolte in Italia. Innanzitutto lo
Stato della Chiesa presentava un nuovo papa, Pio 9, che concesse libertà di stampa ed amnistia. Seguirono
tale esempio Leopoldo II e Carlo Alberto. Questi tre sovrani firmarono il 3 novembre del 1847 un’unione
doganale che impediva d’imporre tasse sulle importazioni coi Paesi alleati. Tale unione fu proposta anche
a Ferdinando II, che rifiutandola diede il via alla rivolta di Palermo, che chiedeva l’indipendenza da
Napoli. L’Austria non poté intervenire a causa del rifiuto da parte di Pio 9 di far passare le truppe
austriache nel suo territorio. Dopo Palermo scoppiarono rivolte in tutta Italia tranne che nel LombardoVeneto, ancora sotto lo stretto controllo dell’Austria. Ferdinando II, Pio IX e Carlo Alberto furono
costretti a concedere la costituzione.
Nel Marzo del 48 insorse anche Vienna, facendo crollare il governo di Metternich, così Milano e Venezia
insorsero contro gli oppressori. Gli Austriaci furono costretti al ritiro entro il quadrilatero tra Mantova,
Legnano, Verona e Peschiera. Milano passa sotto il governo di Carlo Cattaneo ( Federalista - Proponeva
di riformare le regioni in base all’economia ). Il 23 Marzo Carlo Alberto si decise ad unirsi a Milano,
ponendosi come unificatore d’Italia, anche se segretamente era accordato con le potenze europee di voler
impedire la nascita di governi repubblicani a Milano e a Venezia. A Carlo Alberto si aggiunsero molti
battaglioni di volontari dalla Toscana, da Roma, da Napoli, comandati dal generale Guglielmo Pepe. Ebbe
così inizio la prima guerra d’indipendenza. Ma poco dopo, Pio IX, Leopoldo II e Ferdinando II ritirarono
le loro truppe dal territorio lombardo, mentre Carlo Alberto ancora puntava sull’unificazione LombardoPiemontese. Intanto l’esercito austriaco aveva ricevuto rinforzi dalla patria sotto il generale Nugent, che
nel Maggio del ‘48 riconquistò l’intero Veneto eccetto Venezia, e in Agosto stipulò un armistizio col
Piemonte che riportava sotto l’Austria tutti i suoi territori. Intanto a Palermo, il giorno in cui si sarebbe
dovuto aprire il nuovo Parlamento, Ferdinando II attaccò la città ed imprigionò gli esponenti liberali,
riportando un governo di sua fiducia e la Sicilia sotto il suo Stato.
La decisione assunta dal re Vittorio Emanuele 2 di mantenere lo Statuto Albertino, si rivelò l’appoggio
più saldo, potendo anche contare sui liberalisti moderati, sfavorevole ad un’imminente attacco antiaustriaco, ma profondamente legato alla conservazione della monarchia. A tale scopo, Emanuele 2
proclamò Massimo D’Azeglio ( uno dei leader liberali moderati ) capo del governo, e dichiarò
l’inviolabilità dello Statuto. Per sventare una rottura con l’Austria ed evitare il movimento conservatore
ecclesiastico, Vittorio Emanuele, con l’appoggio di D’Azeglio, sciolse improvvisamente il Parlamento
senza però rinnegare la Costituzione, e con il proclama di Moncalieri, invitò ( 1849 ) gli elettori a
sostenere i liberali moderati. La vittoria di tale movimento consentì l’avvio di un regime costituzionale
parlamentare simile a quelli inglesi e francesi. Nel 1850, D’Azeglio fece approvare le leggi Siccardi, le
quali si proponevano di separare lo Stato dalla Chiesa allontanando ancora di più il pericolo della destra
conservatrice ecclesiastica. Tali emendamenti abolivano i privilegi del clero nel diritto d’asilo e
sottoponevano all’approvazione dello Stato gli acquisti di beni della Chiesa. Grande importanza per
l’approvazione delle leggi Siccardi ebbe l’appoggio di Camillo Benso di Cavour, che sostenne D’Azeglio,
diventando così, prima ministro dell’Agricoltura, quindi delle Finanze.
Gli obbiettivi fondamentali per la restaurazione socio-economica erano due: l’abbondanza di capitali e la
libera circolazione delle merci.
Nel 1852 Camillo Benso salì al governo con una manovra nota come il connubio: per spaccare il governo
di D’Azeglio (liberale moderato), raggiunse un accordo con Urbano Rattazzi ( anch’esso uno dei leader
dei liberali moderati ), così da unire le forze di centro-destra a quelle di centro-sinistra. Il risultato fu che
Benso ottenne la maggioranza al governo, costringendo D’Azeglio alle dimissioni ed "obbligando "
Vittorio Emanuele II a dargli l’incarico di primo ministro. Il governo cavouriano durerà ben sette anni,
fino al Luglio del 1859, consentendo la realizzazione dell’unità d’Italia sotto la guida del Piemonte
liberale. Il momento più significativo di questa politica fu nel 1855 con la crisi Calabiana ; essa prende il
nome dal vescovo che quell’anno guidò nel senato un’accanita opposizione contro la legge che prevedeva
la soppressione di alcuni ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni da parte dello Stato. Vittorio
Emanuele preferì appoggiare allora la nuova legislazione anti-ecclesiastica. Da ciò si giunse al principio
della monarchia parlamentare, ovvero la volontà del sovrano era subordinata a quella della maggioranza
dell’ Assemblea elettiva. Nel campo economico lo Stato si fece carico di iniziative fondamentali per lo
sviluppo dell’imprenditoria privata. Fu creata la Banca Nazionale, alla quale fu affidata la Tesoreria
generale. Protagonisti di tale sviluppo furono i finanzieri, piccoli e grandi imprenditori, che potenziavano
così la forza della borghesia, che era il centro indiscusso della politica di Cavour.
Ma se in Piemonte il livello sociale era in forte ripresa, in tutto il resto della penisola la crisi era sempre
forte e ravvivata dai sovrani; nel Regno delle due Sicilie, Ferdinando II attuò una politica di forte
opposizione contro gli esponenti liberali. Pio IX a Roma lottava per sopprimere le idee nate tra il 1846 e il
48 che promuovevano una nuova Chiesa. In toscana Leopoldo II assunse come Ferdinando, una manovra
fortemente repressiva contro i liberali, anche se non con la stessa violenza della casata borbonica.
Nel 1857 Pisacane tentò di organizzare una spedizione al Sud, dopo il fallito tentativo di assassinare
Ferdinando II, e soprattutto dopo il solito insuccesso di moto (a Palermo). Questa volta non mancò
neanche l’appoggio di Mazzini, che puntava a far scoppiare la rivoluzione a Genova e a Livorno. Pisacane
sbarcò a Sapri con 300 prigionieri politici da lui liberati, ma i contadini, insieme ai poliziotti sterminarono
i rivoluzionari e lo steso Pisacane. Parallelamente a questa sconfitta, ci furono i contemporanei fallimenti
a Genova e Livorno.
Nel 1857 Cavour, dopo aver legato gran parte dell’opinione pubblica democratica conto l’Austria, diede il
via alla Società Nazionale con obbiettivo l’ unità dell’Italia dotto la monarchia dei Savoia. Tale società si
propagò rapidissimamente, soprattutto grazie a Giuseppe Garibaldi. Nel 1858 Orsini tentò di assassinare
Napoleone 3, il quale, a sorpresa, rimase molto impressionato dal suo coraggio e dalla sua richiesta
d’aiuto contro gli Austriaci.
A Luglio dello stesso anno, Napoleone e Cavour s’ incontrarono segretamente a Plombières, stendendo i
punti principali di una futura alleanza. La Francia si impegnava a soccorrere i Piemontesi in caso che
l’Austria avesse attaccato, quindi solo in caso di difesa. L’obbiettivo primario, quindi, di Cavour, era
provocare gli Austriaci alla guerra, per creare così un regno dell’ Alta Italia che comprendeva Piemonte,
Veneto, Lombardia, Piacenza,Parma e la Romagna. Il 1859 l’alleanza fu ufficializzata sempre a
Plombières con il matrimonio tra Girolamo Bonaparte e Clotilde di Savoia. Per bloccare questa alleanza
Inghilterra e Russia si posero da mediatori, portando l’imperatore austriaco a porre un ultimatum ai
Savoia, ultimatum che prevedeva il totale smantellamento delle truppe piemontesi che si stavano
preparando per la guerra. Questo ultimatum pose così a Cavour la possibilità di una guerra difensiva
contro l’ Austria. Il 26 Aprile del 1859 l’ Austria, dopo il rifiuto piemontese, dichiarò guerra al Piemonte,
e il suo esercito varcò il confine del Ticino, mentre le truppe napoleoniche, guidate dallo stesso
imperatore, valicavano le Alpi.
La seconda guerra d’indipendenza era così nettamente a favore dei franco-piemontesi, non solo per la
notevole forza dei loro eserciti, ma anche e soprattutto per gli errori austriaci e per gli aiuti dei volontari
guidati da Garibaldi.
Gli Austriaci si ritirarono così a Milano, rimanendo però sconfitti in giugno, quando in città entrarono
vittoriosi
Vittorio Emanuele 2 e Napoleone 3.
Tutta la Lombardia fu liberata e si apriva la liberazione del Veneto.
Con lo scoppio della guerra, i sovrani di Modena, Parma e il duca Leopoldo 2 lasciarono i loro territori.
La mobilitazione della Prussia per soccorrere l’ Austria, portò la Francia al rischio di una guerra sulla
frontiera del Reno.
Tale rischio portò Napoleone 3 a concludere, all’ insaputa di Cavour, un armistizio ( di Villafranca ) con
l’ Austria.
Tale accordo prevedeva il passaggio della Lombardia al Piemonte, il ritorno dei sovrani spodestati sui loro
troni e la
nascita di una Confederazione italiana che vedeva anche la partecipazione dell’ Austria.
Vittorio emanuele accettò l’ armistizio, mentre Cavour, irritato, rassegnò le dimissioni e venne sostituito
da un governo
Rattazzi-Larmarmora.
Come tre anni prima, il principale obbiettivo della democrazia italiana era il Mezzogiorno, dove dopo la
morte di
Ferdinando 2, regnava il figlio Francesco 2, che tuttavia non aveva mutato la politica del padre.
Nel 1860 scoppiò un ennesimo moto rivoluzionario a Palermo che fu soffocato ; in loro aiuto partì da
Quarto ( Genova )
un contingente di volontari, 1000, che partì la notte tra il 5 e il 6 maggio, un mese dopo lo scoppio della
rivolta palermitana.
La spedizione dei 1000 sostò a Telamone, in Toscana per rifornirsi, quindi l’ 11 maggio sbarcò a Marsala
proclamando
l’ isola sotto la monarchia di Vittorio Emanuele.
Al contrario di Pisacane, i 1000 furono accolti dalla popolazione con grande benevolenza.
Entro il 20 giugno l’ esercito borbonico fu sconfitto più volte, soprattutto grazie al contributo dei picciotti,
che portarono Garibaldi a liberare completamente l’ isola.
Garibaldi passò quindi in Calabria, e in Settembre entrò a Napoli, abbandonata da Francesco 2.
Infatti il progetto borbonico era la resistenza finale presso Gaeta.
In ottobre Garibaldi ottenne proprio a Gaeta la vittoria finale annientando definitivamente i Borboni.
Intanto Cavour ottenne da Napoleone 3 il consenso di invadere lo Stato Pontificio, così l’ esercito
piemontese guidato
dallo stesso Vittorio Emanuele occupò le Marche e l’ Umbria, e s’ incontrò a Teano con Garibaldi, che gli
consegnò
il regno appena conquistato.
Il 17 marzo del 1861 la terza guerra per l’ indipendenza era vinto ed il Primo Parlamento Nazionale, a
Torino,
salutava Vittorio Emanuele Re D’ Italia.
DAL 1861 AL 1876 - LA DESTRA ITALIANA
Il giovane Regno d’ italia appena nato, si trovò davanti a questioni risorgimentali molto importanti, tra le
quali primeggiva sicuramente il compimento dell ‘ unità territoriale totale ; Il Regno italiano, infatti, non
poteva ancora contare su Venezia, repubblica indipendente, e su Roma, sotto il papato.
Scomparso Cavour, il posto di capo del Governo passò a Ricasoli, che però non seppe portare avanti la
questione romana come il predecessore, così da arenarla ; lo stesso re Vittorio Emanuele 2, che già
tentennava su questa questione, abbandonò Ricasoi, che nel 1862 fu costretto alle dimissioni, lasciando
via libera al Governo al leader della Sinistra piemontese Rattazzi.
Questi già pensava a conquistare i due territori mancanti, e già aveva preparato eserciti volontari di
garibaldini, eserciti che comunque fu costretto a ritirare, poiche nè l’ Austria, nè l’ Inghilterra, nè
soprattutto la Francia avrebbero assistito alla fine del potere pontificio senza intervenire.
Garibaldi era già pronto per invadere Roma ed aveva portato il suo esercito in Sicilia, ma ciò provocò l’
ira di Napoleone 3, il quale minacciò guerra ; Rattazzi fu costretto allora a dichiarare in stato d’ assedio l’
isola e ad inviare l’ esercito contro Garibaldi stesso, che fu ferito ed imprigionato nella battaglia d’
Aspromonte.
Caduto il governo di Rattazzi, a capo del governo passò il moderato Minghetti ( 1864 ), che giunse alla
Convenzione di settembre con Napoleone.
Quest’ ultimo ritirava le truppe in difesa del papato, sostituite da quelle italiane, mentre la capitale italiana
passava da Torino a Firenze.
Questa convenzione, però, scatenò gravi tumulti, così il governo di minghetti cadde ; il suo posto fu preso
dal generale piemontese Lamarmora, che nell’ estate del 1866 diede il via alla Terza Guerra d’
Indipendenza con l’ annessione di Venezia e del Veneto al Regno d’ Italia.
Infatti allo scoppio della guerra fra Prussia ed Austria, l’ Italia si trovò al fianco della Prussia.
L’ annessione di Veneto e Trentino fu comunque possibile solo grazie alle vittorie dei nostri alleati, in
quanto il nostro esercito subì gravi sconfitte a Custoza e Lissa, mentre i nostri alleati prevalsero a Sadowa.
Con la pace di Vienna il Veneto passò all’ Italia, mentre il Trentino rimase ( per ora ) sotto il controllo
austriaco.
Tornato nel 1867 al potere Rattazzi, Garibaldi provò una nuova spedizione contro Roma, ma questa volta
Napoleone inviò le sue truppe che portarono così ad un nuovo fallimento dei garibaldini.
L’ occasione di rivincita arrivò il 2 settembre del 1870, quando a Sedan l’ esercito prussiano rifilò a
quello francese una durissima sconfitta nella quale lo stesso Napoleone fu catturato : l’ esercito italiano,
sotto il governo di Lanza partì il 20 settembre verso Roma ed entrato attraverso la breccia di Porta Pia,
costrinse il Papa Pio 9 alla fuga e portò l’ annessione di Roma al Regno il 2 ottobre.
Il governo italiano cercò adesso di strappare parte del potere della Chiesa con due manovre ; la prima è
datata 1871, legge delle garanzie, legge che riorganizzava la vita della Chiesa dopo la fine del suo potere,
la seconda, del 1874, il non expedit, impedì ai cattolici italiani di partecipare alla vita politica.
Economicamente parlando, l’ Italia era ancora un Paese fortemente agricolo ; la classe dirigente capì
quindi che era necessaria la soppressione delle differenze tra i territori in primo luogo attraverso l’
unificazione dell’ ordinamento legislativo.
L’ Italia infatti si trovava davanti ad una totale piemontesizzazione, poichè sia i codici civili che le
procedure civili e di commercio rispecchiavano fedelmente quelli sabaudi.
Si cercò di creare un mercato interno stabile attraverso un nuovo sistema ferroviario che raggiunse i 2000
chilometri, concentrati però quasi tutti tra Piemonte e Lomberdia.
Occorreva quindi un forte investimento di capitali per portare l’ Italia sulo stesso piano ;
L’ Italia si trovò quindi ad imboccare tre strade per procurarsi il denaro necessario, ovvero l’ aumento
dell’ imposizione fiscale, l’ alienazione del patrimonio pubblico ed il rocorso al prestito ( estero ).
Nel 1865 fu introdotta la tassa sulla ricchezza mobile, che si ggiungeva all’ imposta fondiaria e la
sovrimposta comunale sui terreni.
Nel 1868 toccò invece alla tassa sul macinato, la quale provocò violente sollevazioni popolari.
L’ alienazione del patrimonio pubblico fu avviata nel 1864 con una convenzione stipulata con la Società
anonima per la vendita dei beni del Regno d’ Italia.
Il ricorso ai prestiti stranieri fu largamente praticato nei primi anni del regno ; nel 1866 il ministro delle
finanze decise l’ introduzione della cartamoneta.
Il secondo grave problema del Regno d’ Italia fu quello del Mezzogiorno : questo si presentava non
fertile, arretrato economicamente, gravato da antchi rancori, daa violenti e mai risolti contrasti sociali.
All’ indomani della caduta dei Borbone, si era diffuso il fenomeno del brigantaggio, capeggiato da
elementi sbandati del vecchio esercito napoletano.
Per sopprimere questa pecca il governo attuò manovre strettamente militari ; nel 1863, una legge affidò ai
tribunali militari il giudizio dei briganti.
Politicamente, il Regno italiano ereditava del Piemonte anche un sistema elettorale sul modello di quello
francese di Orleans ( 1830 ), modello fortemente censitario ; avevano diritto al voto tutti i cittadini di
almeno 25 anni che sapevano leggere e scrivere. Per opporsi ad un governo in tile sabaudo in tutto il
Regno, Farini e Minghetti proposero le autonomie locali, che tendeva a riconoscere un’ ampia autonomia
amministrativa a Comuni e Province.
Accantoato però questo progetto si preferì estendere in maniera definitiva a tutto il regno l’ ordinamento
amministrativo piemontese.
Furono create 59 nuove Province, a guida delle quali era posto un rappresentante del governo, un prefetto,
da esso nominato, così come di nomina governativa erano i sindaci dei Comuni, scelti tra i consiglieri
eletti con suffragio elitario. Con le elezioni del 1861 e fino al marzo del 1876 la maggioranza del
Parlamento fu mantenuta dagli uomini della Destra, conservatrice del vecchio tronco della maggioranza
liberal-moderata nella camera piemontese.
Aspetti altrettanto eterogenei presentava l’ opposizione della Sinistra, che seguiva anch’essa il vecchio
filone piemontese, e che presentava repubblicani di stampo garibaldino.
Il principale obbiettivi dell’ opposizione era l’ estensione del diritto di voto e il contrasto col i moderati a
favore della Chiesa. In materia economica, pur condividendo il liberoscambismo della Destra, riteneva
che le pressioni fiscali fossero troppo gravanti sui ceti meno abbienti.
DAL 1876 AL ‘900 - LA SINISTRA AL GOVERNO
Nel 1876 il ministero Minghetti, l’ ultimo governo della Destra, venne sostituito dal ministero Depretis
della Sinistra storica.
La Sinistra iniziò con un programma di significative riforme, come la riforma elettorale, il decentramento
amministrativo, l’ abolizione della tassa sul macinato e l’ istruzione elementare obbligatoria.
L’ impegno ebbe però risultati alquanto modesti.
Il decentramento amministrativo non fu neanche avviato, anzi la struttura accentrata fu utilizzata dai
governanti della Sinistra per mantenere ed accrescere il proprio potere.
L’ obbligatorietà dell’ istruzione elementare venne introdotta nel 1877 dalla legge Coppino, che però
specialmente nel Meridione non incise sulla situazione di diffuso analfabetismo.
La tassa sul macinato fu abolita nel 1880, ma fu sostituita presto da altre tasse e la pressione fiscale restò
pressochè immutata.
La riforma elettorale fu attuata nel 1882 ; il diritto di voto fu esteso a tutti i maschi maggiorenni che
avessero superato l’ esame di seconda elementare, o che pagassero imposte superiori a quasi 20 lire. La
precedente legislazione prevedeva invece, almeno i 25 anni e una pressione fiscale pari a 40 lire.
Mentre la Destra storica era prevalentemente formata da liberali moderati settentrionali borghesi, la
Sinistra schierava gli eredi dei liberali moderati progressisti, gruppi di stampo mazziniano, garibaldino e
federalista ed anche borghesi meridionali. La Destra si era impegnata all’ unificazione italiana, nell’
amministrazione dello Stato si mostrò accentratrice ed aveva attuato una rigida politica fiscale per
raggiungere il pari nel bilancio statale. In economia aveva attuato un completo liberismo nel commercio
con l’ estero.
Nella Sinistra storica convivevano invece tendenze diverse. C’ erano spinte democratiche-innovatrici ma
anche atteggiamenti conservatori. Nel periodo in cui la Sinistra fu al potere, la vita politica italiana fu
particolarmente caratterizzata dalla ricerca di continue mediazioni e compromessi.
Alleanze e divisioni all’ interno del Parlamento erano fatte di volta in volta sui singoli provvedimenti
legislativi.
La distinzione tra Destra e Sinistra storiche si era attenuata fino a sparire ; infatti gli esponenti della
Destra confluivano nello schieramento governativo, mentre quelli di Sinistra acquistavano una fisionomia
sempre più conservatrice.
Fin dai primi governi Depretis, si era venuta formando un’ aggregazione governativa, all’ interno della
quale si creavano divisioni e ricomposizioni per contrasti di fazione : questa caratteristica della vita
politica italiana portò al termine di trasformismo.
La politica estera italiana
L’ evoluzione del governo Depretis fu accompagnata da una svolta radicale in politica estera, che fino al
1880 era stata moderata.
Nel 1881 la Francia occupò la Tunisia ; il governo italiano volle porre rimedio alla posizione di debolezza
a livello internazionale che la vicenda tunisina aveva reso evidente e cercò alleanze per uscire dall’
isolamento. Nel 1882 concluse la Triplice Alleanza con Austria e Germania.
Nel 1887 l’ alleanza fu rinnovata, e all’ Italia fu promesso che sarebbero stati impediti ingrandimenti
territoriali francesi in Nord Africa e che l’ Italia avrebbe avuto compensi territoriali nei Balcani nel caso
in cui l’ Austria si fosse espansa in quell’ area.
Nel 1882 lo Stato italiano acquistò la baia di Assab, mentre nel 1885 occupò militarmente Massaua ; il
tentativo di espandere questi primi possedimenti coloniali fu bloccato dalla grave sconfitta di Dogali nel
1887.
A differenza delle altre potenze europee, in Italia la spinta alle conquiste coloniali non fu collegata allo
sviluppo dell’ industria e alla necessità di materie prime e di sbocchi di mercato, ma bensì all’ eccesso di
manodopera e nell’ aspirazione di alcuni settori politici di far ricoprire all’ Italia un ruolo di grande
potenza.
L’ economia
In Italia la nascita della grande industria avvenne con il sostegno da parte dello Stato che concesse
sovvenzioni, privilegi fiscali e sostanziose commesse.
La forma più importante di intervento a favore dell’ industria fu costituita dal protezionismo doganale
con l’ imposizione delle prime tariffe sulle importazioni di alcuni prodotti nel 1878 e con l’ estensione a
tutto il settore industriale nel 1887.
Le misure protezionistiche del 1887 favorirono quindi sia l’ industria pesante sia la grossa proprietà
terriera, poiché gli interessi degli agrari e degli industriali coincidevano. Si stava consolidando quello che
sarebbe stato definito il blocco protezionistico agrario-industriale.
Tra gli effetti del protezionismo possono essere considerati alcuni punti :
1) il mancato ammodernamento dell’ agricoltura, in quanto risultavano più remunerative le coltivazioni
estensive.
2) risultava quindi scoraggiante l’ investimento di capitali in agricoltura e veniva premiata la gestione
latifondista.
3) si scatenava la guerra commerciale con la Francia che danneggiava fortemente il nostro mercato.
4) il peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari per il rincaro del prezzo del pane.
5) l’ accentuarsi del divario Nord - Sud, in quanto nel Nord il protezionismo favorì il rafforzamento del
settore industriale, nel Sud, quasi privo di industrie, si ebbero gli effetti negativi in agricoltura.
L’ età di Crispi
Crispi ebbe la per la prima volta l’ incarico di formare il governo nel 1887 ; da allora lo dominò fino al
1896.
Inizialmente era stato fortemente animato da ideali mazziniani, quindi aveva accettato l’ idea
monarchica ; i suoi ideali mazziniani avevano assunto le caratteristiche del nazionalismo e dell’
autoritarismo.
In politica interna, con maggiore autorismo attuò misure repressive contro le agitazioni sociali, in politica
estera cercò l’ affermazione di un’ Italia come grande potenza attraverso l’ intensificazione dei tentativi di
espansione coloniale.
Furono rafforzati i poteri del capo del governo rispetto ai ministri e i poteri del governo rispetto al
Parlamento.
Con il codice Zanardelli del 1889 fu approvato il riconoscimento del diritto di sciopero.
In politica estera Crispi cercò di sfruttare l’ adesione alla Triplice Alleanza non come uno strumento
difensivo, ma bensì per attuare una politica di espansione nel Mediterraneo. Si inimicò la Russia, causò l’
aggravarsi della guerra commerciale con la Francia e si impegnò in una politica di fortissime spese
militari.
Con il trattato di Uccialli stipulato nel 1889 cercò di porre l’ Etiopia sotto il protettorato italiano. La
politica coloniale di Crispi trovava contraria una buona parte del Parlamento italiano, soprattutto per il
consistente impegno finanziario.
Crispi dovette cedere la guida del governo per la prima volta nel 1891, quando la Sinistra gli si oppose
anche per la sua ostilità nei confronti delle rivendicazioni operaie.
Dopo un breve periodo di governo di Di Rudinì, l’ incarico fu ricoperto da Giolitti ; la sua linea politica
era radicalmente diversa da quella di Crispi. Giolitti infatti, era contrario al militarismo e alla politica di
potenza ; si proponeva poi di controllare rigorosamente le finanze statali e di impiegare le risorse del
Paese per elevare il tenore di vita dei cittadini.
Da sottolineare anche la sua notevole apertura nei confronti delle organizzazioni operaie.
In quel periodo ci furono diversi moti popolari soprattutto in Sicilia ; Giolitti decise di non reprimere con
la forza queste agitazioni. Per questo motivo e per l’ esplosione dello scandalo della Banca Romana, fu
costretto a dimettersi : era infatti accusato di speculazioni finanziarie illecite con uomini politici.
Esistevano già da tempo società di mutuo soccorso che svolgevano attività di tipo assistenziale e
organizzazioni anarchiche che puntavano più alle insurrezioni che agli scioperi. Con lo sviluppo
industriale cambiarono anche le organizzazioni operaie : si diffondeva il socialismo.
Dal 1891 nacque il Partito dei lavoratori italiani che nel 1892 diverrà il Partito Socialista Italiano.
Queste iniziative erano il risultato di importanti trasformazioni nel mondo del lavoro : si erano sviluppati
in maniera sensibile tutti i settori industriale, era cresciuta la meccanizzazione delle lavorazioni, veniva
imposto ai lavoratori un orario di lavoro e si era accentuata la concentrazione nei grandi centri urbani.
Dal settore agrario, che era ancora il principale, trasse la sua forza il movimento dei Fasci siciliani,
organizzazioni costituite prevalentemente da lavoratori agricoli che si organizzarono a partire dal 1
maggio del 1891.
Gli obbiettivi furono l’ uso delle terre demaniali, l’ abolizione dei dazi e l’ esproprio dei latifondi.
Giolitti non attuò nessuna repressione, mentre Crispi, tornato al governo, stroncò ogni agitazione con l’
esercito, e nel 1894 decretò per legge lo scioglimento dei Fasci.
Il ritorno di Crispi al governo
Crispi tornò al governo nel 1893 e si impegnò a reprimere ogni rivendicazione sociale : intervenne contro
i Fasci siciliani,ottenne del Parlamento poteri speciali per controllare la stampa e sciolse il partito
socialista.
Destinò maggiori stanziamenti alle spese militari e aumentò il carico fiscale, continuando ad avere nell’
espansione coloniale uno degli obbiettivi principali della sua attività di governo.
Convinto che il trattato di Uccialli, firmato nel 1889, gli garantisse una sorta di protettorato sull’ Etiopia,
ne iniziò l’ occupazione nel 1895, subendo già in quell’ anno una pesante sconfitta sull’ Amba-Alagi.
Più pesante, sia sul piano militare che sul piano politico, fu invece la sconfitta di Adua del 1896 ; il
fallimento della politica coloniale costrinse Crispi alle dimissioni.
Alla caduta di Crispi, l’ incarico passò a Di Rudinì, che cercò di bloccare l’ avventura coloniale e di
riportare la pace sociale dopo le repressioni di Crispi.
Nel 1898 l’ Italia fu invasa da moti popolari, così l’ esercito fu impiegato su tutto il territorio nella
repressione dei moti, tra i quali spicca Milano dove il generale Beccaris, dopo aver ucciso 80 dimostranti
a cannonate, fu decorato al merito.
Di Rudinì si dimise e fu sostituito da Pelloux che presentò una serie di provvedimenti che limitavano i
diritti di stampa, d’ associazione e di riunione. L’ opposizione di Sinistra si batté in Parlamento con un
forte ostruzionismo, così Pelluox sospese i lavori parlamentari. Il Parlamento a questo punto fu sciolto e
furono indette nuove elezioni da cui uscì rafforzata l’ estrema sinistra.
Sono questi, anni di grave crisi politica in Italia, crisi che può essere spiegata considerando i risultati del
rapido sviluppo economico e l’avanzata di nuove forze politiche, in particolare del movimento operaio.
Le condizioni di vita erano migliorate, ma il ceto politico dirigente si irrigidì nella difesa della propria
supremazia e tentò di bloccare le sempre più pressanti richieste di innovazioni democratiche e sociali.
L’ETA’ DI GIOLITTI
Nel 1901 il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò l’ incarico di formare il governo al liberale di Sinistra
Zanardelli ; nel 1903 a questi subentrò Giolitti che mantenne la carica fino al 1914.
Un aspetto fondamentale della politica giolittiana è costituita dalla convenzione che lo Stato non dovesse
intervenire a contrastare le lotte dei lavoratori. Egli aveva infatti compreso che bisognava tener conto dei
profondi mutamenti che stavano interessando la società italiana :
- il vero decollo industriale
- la formazione dei primi nuclei di proletariato industriale
- il crescente peso delle organizzazioni sindacali.
Giolitti pensava che fosse necessario controllare i cambiamenti, cercando la collaborazione dei movimenti
politici più forti : il movimento socialista e quello cattolico. Tuttavia queste forze politiche non avevano
ancora un numero consistente in Parlamento ; ciò dipendeva dal fatto che la legge elettorale escludeva dal
diritto di voto i cittadini più poveri ; per i cattolici, inoltre, vigeva ancora il non expedit, ovvero il divieto
papale che proibiva la partecipazione alla vita politica ( 1874 ).
Negli anni in cui Giolitti dominò la scena politica si ebbe il decollo industriale.
Anche se il settore agricolo restava dominante, il settore industriale cresceva a ritmi sostenuti.
L’ industria si era sviluppata nell’ Italia Settentrionale, mentre nel Meridione l’ attività produttiva era
costituita quasi esclusivamente dall’ agricoltura, basata sul latifondismo.
Lo sviluppo economico di fine secolo fu accompagnato però dall’ aggravarsi di alcuni elementi di crisi ;
una drammatica manifestazione della situazione dell’ arretratezza del Meridione fu il massiccio flusso
migratorio.
Dall’ inizio del 900 gli emigranti furono infatti soprattutto meridionali e la loro destinazione fu costituita
quasi esclusivamente dagli Stati Uniti d’ America.
Gli avversari politici di Giolitti motivarono la loro opposizione rifacendosi ai principi del liberismo
addebitando a Giolitti gli effetti negativi dell’ intervento dello Stato in economia, gli eccessivi vantaggi
della grande industria, i rapporti non sempre limpidi tra industria, finanza e politica.
Quando nel 1903 Giolitti divenne capo del governo, offrì a Filippo Turati di entrare nel ministero ; questi
rifiutò anche perchè nel Partito socialista si stava rafforzando l’ altra corrente, quella di estrema sinistra.
All’ interno del Partito socialista si erano delineate due tendenze : i riformisti ( Turati ) che sostenevano la
necessità di conquiste politiche, quali il suffragio universale, ed i sindacalisti rivoluzionari, che invece
sostenevano la necessità di modificare la distribuzione della proprietà ed il sistema di produzione
capitalistico, usando come strumento di lotta lo sciopero.
La crescita di quest’ ala sindacalista portò nel 1904 allo sciopero generale ; il Parlamento fu sciolto e
furono indette nuove elezioni, dove i socialisti persero voti e seggi.
Nel 1904 il Papa Pio X permise ai cattolici di votare e di interessarsi alla vita politica, rafforzando lo
schieramento giolittiano. Dopo le elezioni del 1904, Giolitti, rafforzato dal sostegno dei cattolici,
mantenne l’ egemonia liberale cercando sempre il punto di equilibrio e l’ accordo tra i grandi gruppi di
pressione.
Tra il 1905 ed il 1909 vennero adottati alcuni provvedimenti a favore dei lavoratori come l’ obbligo del
riposo festivo, la prevenzione degli infortuni e la proibizione del lavoro notturno per fanciulli e donne.
Giolitti aveva saputo avvantaggiarsi del contributo elettorale dei cattolici e del consenso dei socialisti
riformisti.
Dopo le elezioni del 1909 questo assetto cominciò ad incrinarsi ; raddoppiò il numero dei deputati
socialisti, ma andava crescendo la forza della componente rivoluzionaria.
Dall’ altra parte si stava anche organizzando un movimento nazionalista che si costituirono in
Associazione nel 1910 ; erano avversari del socialismo, imperialisti e a favore della guerra, premevano
perchè l’ Italia si impegnasse in conquiste coloniali.
L’ oggetto delle rinnovate mire espansionistiche italiane era la Libia ; Giolitti era contrario alla guerra, ma
finì per prepararla e dichiararla. L’ impresa militare per la conquista della Libia iniziò nel 1911 con la
dichiarazione di guerra alla Turchia. La vittoria fu sancita nel 1912 con la pace di Losanna, che attribuì
all’ Italia oltre alla Libia anche Rodi e le isole del Dodecaneso.
La riforma elettorale del 1912 comportò un consistente aumento del numero degli elettori. La nuova legge
elettorale concedeva infatti il diritto di voto a tutti i cittadini maschi purchè avessero compiuto i 30 anni.
Giolitti poteva contare sul fatto che la riforma elettorale avrebbe portato in Parlamento un maggior
numero di rappresentanti delle masse popolari.
In occasione delle elezioni del 1913 il conte Gentiloni, presidente dell’ Unione elettorale cattolici,
concluse un accordo con i liberali giolittiani.
Il Patto Gentiloni prevedeva che i cattolici dessero il voto a candidati liberali che si fossero impegnati a
non contrastare gli interessi clericali.
Ciò fece sorgere difficoltà all’ interno del gruppo dello stesso Giolitti.
Infatti alcuni rappresentanti delle forze liberali non accettarono di buon grado la massiccia presenza dei
nuovi alleati cattolici, i quali in diverse occasioni mostrarono di volersi rendere autonomi da Giolitti, che
nel 1914 fu sostituito da Salandra.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
L’AVVENTO DEL FASCISMO
Il Dopoguerra
La guerra aveva innescato profondi cambiamenti nell’economia dei paesi belligeranti. Le trasformazioni
erano state più rilevanti nel settore industriale, nel quale la produzione era cresciuta enormemente per la
necessità degli Stati in guerra di disporre di quantitativi sempre maggiori di prodotti.
Ne risultò che i profitti degli imprenditori erano stati enormi e che i salari operai si erano mantenuti molto
bassi.
Conclusa la pace, la situazione economica si presentava gravissima non solo per gli Stati sconfitti, ma
anche per gli Stati europei che avevano vinto. Per sopperire alle necessità finanziarie, i paesi europei si
erano fortemente indebitati con gli Stati Uniti.
Continuava inoltre ad aggravarsi l’inflazione e ai disoccupati si aggiunsero i reduci che, congedati dagli
eserciti, non trovavano lavoro e stentavano a reinserirsi nella vita civile.
Le promesse fatte durante la guerra di una distribuzione di terre non furono mantenute. Era evidente il
desiderio di cambiamento e di partecipazione alla vita politica e sindacale, e la consapevolezza diffusa
che il cambiamento diventava possibile se si rafforzavano le organizzazioni politiche di massa ; si faceva
luce l’esempio della Rivoluzione Russa.
Il dopoguerra in Italia
L’ Italia uscì duramente provata dalla guerra. C’era insoddisfazione per i risultati ottenuti con i trattati di
pace e la situazione economica era particolarmente difficile rispetto a quella degli altri paesi vincitori.
Alla fine della guerra iniziò una fase di lotte sociali che non aveva precedenti. Gli operai subivano inoltre
gli effetti negativi della riconversione della produzione industriale, non più finalizzata alla guerra. Ai
contadini non furono distribuite le terre così come era stato promesso durante il conflitto. L’adesione di
operai e contadini alle organizzazioni significò la rapida crescita delle organizzazioni sindacali ( CGIL ) e
le iscrizioni al Partito socialista.
Una prova di questa precaria situazione è rappresentata dalla nascita di un nuovo partito di orientamento
cattolico, il Partito Popolare, guidato da Sturzo. La nascita di questo partito portava inevitabilmente in
crisi i liberali che si vedevano ora mancare i cattolici a causa del rovesciamento del Patto Gentiloni
firmato dal Papa e da Giolitti. Già nelle elezioni del ’19 i popolari ottennero grande consenso.
Nel 1920 le iniziative di lotta dei lavoratori ottennero il punto massimo di forza ; lo scontro non era solo
sindacale, ma aveva anche un chiaro significato politico. Gli operai intendevano dimostrare la loro
capacità organizzativa e di gestione della produzione. All’interno del sindacato e del Partito socialista la
maggioranza fu contraria a sostenere l’occupazione delle fabbriche, a indire uno sciopero generale di tutte
le categorie e a puntare decisamente alla rivoluzione. Il gruppo di Gramsci e altri gruppi della sinistra
socialista condannarono l’incapacità organizzativa della maggioranza dei dirigenti socialisti di guidare
con coerenza la forza del movimento operaio. Questa divergenza potò alla divisione del PSI e alla nascita
del PCI nel 1921 al Congresso di Livorno.
La nascita del Fascismo
In Italia si diffuse il mito della << vittoria mutilata >>, uno degli elementi che resero possibile l’avventura
fiumana di D’Annunzio. Nel 1919 Gabriele D’Annunzio, alla guida di gruppi di volontari occupò Fiume,
ne proclamò l’annessione all’Italia e dichiarò costituita la Reggenza del Cornaro.
L’impresa di Fiume però, fu anche il segno di una grande crisi politica ; il governo non era riuscito ad
impedire l’iniziativa militare autonoma e dovette tollerare l’esistenza di questa situazione anomala.
Solo nel 1920, col nuovo governo Giolitti, si riuscì a risolvere la questione col trattato di Rapallo con la
Iugoslavia : Fiume venne riconosciuta indipendente e l’Italia rinunciò alle pretese sulla Dalmazia.
Intanto si facevano sentire i fermenti delle organizzazioni socialiste, ma cominciava a manifestarsi una
nuova forza politica, radicalmente diversa, in cui confluivano vari elementi. Stava nascendo il Fascismo.
Il suo programma politico si poneva in sintonia con gli interessi sociali ed economici della media e
piccola borghesia, ottenendo da esse approvazione e sostegno.
Il fascismo mostrava di rispettare e sostenere gli ideali nazionalistici, ma soprattutto riusciva a riscuotere
l’approvazione di questi ceti in quanto si opponeva alle organizzazioni operaie.
Il fascismo trovò simpatie inizialmente anche dalla classe politica liberale, che pensava di utilizzarlo per
ostacolare l’avanzata dei partiti popolari e poi neutralizzarlo.
L’affermazione del fascismo
Il primo nucleo fascista è rappresentato dai Fasci italiani di combattimento, fondati a Milano nel marzo
del 19 da Benito Mussolini.
La crisi economica del Paese era gravissima : l’inflazione aveva raggiunto livelli eccezionali e il costo
della vita era enormemente cresciuto. Nel 1920 tornò al governo Giolitti, che evitò di reprimere con la
forzagli scioperi e le occupazioni delle fabbriche. Giolitti riproponeva la sua politica di mediazione nei
confronti delle organizzazioni socialiste. Riuscì a risolvere la questione di Fiume, trovandosi poi a dover
risolvere la crescente violenza fascista.
Le squadre d’azione fasciste infatti attaccavano violentemente i sindacati socialisti e cattolici e le
rispettive sedi.
Le spedizioni delle << squadracce fasciste >> miravano a bloccare ogni rivendicazione dei lavoratori e a
far fallire le azioni di sciopero. Furono sostenute dai grandi proprietari terrieri che intendevano in tal
modo eliminare ogni forma di organizzazione sindacale dei contadini.
Giolitti pensò allora che ciò potesse essere utile per frenare il successo dei socialisti e che sarebbe stato
poi possibile eliminarne le caratteristiche di violenza. Ritenne quindi che il momento fosse propizio per
indire le nuove elezioni che consentissero di ridurre, in Parlamento, la forza dei partiti di massa socialista e popolare - e di rafforzare le forze liberali.
Il Parlamento fu sciolto nel maggio del 1921 e si tennero le elezioni che videro però il rafforzarsi dei
partiti di massa e l’entrata in Parlamento di alcuni deputati fascisti.
Giolitti si dimise e le forze liberali non riuscirono più ad esprimere un governo sufficientemente forte.
La Marcia su Roma
Mussolini ritenne che il momento fosse propizio per un colpo di Stato e il 28 ottobre del ’22, gruppi di
fascisti marciarono su Roma senza trovare alcuna resistenza.
Facta ( liberale ), capo del governo, aveva chiesto che il re firmasse lo stato di assedio per poter disperdere
i fascisti con l’impiego dell’esercito, ma il re rifiutò e affidò anzi a Mussolini l’incarico di formare il
nuovo governo.
Fino al 1925 Mussolini puntò a trasformare gradualmente il modello istituzionale dello Stato italiano,
cambiando l’equilibrio tra i diversi organismi e rafforzando il controllo fascista su di essi.
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Il Parlamento vide limitate la sua influenza sulle decisioni
Nel 1922 venne costituito il Gran Consiglio del Fascismo
Nel 1923 venne istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, un organismo alle
dipendenze non dello Stato ma del Partito. Era chiamata a svolgere quella funzione di braccio
armato della volontà del Partito, che prima era stata svolta dalle squadracce e che, col fascismo al
governo, poteva essere < legalizzata >
Furono progressivamente limitate le libertà costituzionali di stampa, di sciopero e di associazione
Con la legge Acerbo del ’23 fu modificato il sistema elettorale : fu abolito il sistema proporzionale
che prevedeva l’assegnazione dei seggi in Parlamento alle varie forze politiche in proporzione al
numero di voti ottenuto, e fu stabilito che la forza politica che avesse superato il 25 % dei voti e
avesse ottenuto la maggioranza relativa avrebbe avuto 2/3 dei seggi in Parlamento, ovvero il totale
controllo politico dello Stato.
Le elezioni del 1924
Il nuovo sistema elettorale fu applicato nelle elezioni tenutesi nell’aprile del ’24.
La lista fascista - il listone - aveva ottenuto l’adesione anche di alcuni liberali, mentre le forze
dell’opposizione non erano riuscite ad accordarsi presentando liste differenti fra loro ; la vittoria fascista
era scontata, anche perché le elezioni si svolsero in un clima di violenze ed intimidazioni ; le squadracce
riuscirono infatti a condizionare le operazioni di voto. Il 24 maggio del 1924 l’onorevole Matteotti,
segretario del PSU, accusò in Parlamento i fascisti di aver esercitato pressioni e violenze durante la
campagna elettorale e le operazioni di voto.
Poco dopo Matteotti fu rapito ed ucciso dalle Squadre d’azione fasciste.
L’episodio portò diverse manifestazioni di condanna e di indignazione verso il Partito fascista. Le
opposizioni parlamentari - liberali, socialisti, popolari e comunisti - decisero di abbandonare il
Parlamento attuando la cosiddetta secessione dell’Aventino. Ma tra gli aderenti alla secessione c’era
divisione sulla strada da attuare : mentre i comunisti premevano per attuare una rivoluzione della
popolazione contro i fascisti, gli altri partiti intendevano temporeggiare per ottenere un intervento del re
che liquidasse Mussolini e convocasse nuova elezioni col vecchio sistema elettorale.
Il re non prese in considerazione le accuse contro i fascisti e decise di non intervenire. Il 3 gennaio del
1925 Mussolini fece alla Camera un discorso col quale si assumeva la responsabilità per l’omicidio del
parlamentare Matteotti.
Le leggi << fascistissime >>
La costruzione del regime* fu attuata con una serie di leggi definite < fascistissime >.
Con le prime di queste leggi, nel 1925 furono sciolti tutti i partiti politici a parte quello fascista e furono
vietate tutte le associazioni. Il Parlamento venne privato di ogni effettivo potere e al capo del governo
( Mussolini ) vennero attribuiti poteri straordinari. Nel 1926 furono abolite le autonomie locali : invece
dei sindaci ci furono i podestà scelti dal governo stesso. Lo stesso anno fu istituito il Tribunale speciale
per la difesa dello Stato, che ebbe il compito di reprimere il dissenso politico e di perseguire gli oppositori
del regime fascista, applicando il confino*.
Sempre nel ’26 vennero delineate le caratteristiche del corporativismo fascista : ai lavoratori venne negata
la possibilità di intraprendere ogni forma di lotta sindacale.
Il consolidamento del regime
In questa costruzione del regime ebbe un ruolo molto importante l’apparato propagandistico che
servendosi dei giornali, della radio, dei film, cercò costantemente di ottenere il consenso degli Italiani.
Nel 1928 furono modificate le modalità di elezione per la Camera dei deputati. Fu istituito un nuovo
sistema che prevedeva la predisposizione da parte del Gran Consiglio del Fascismo di una lista di 400
candidati, tutti fascisti, che gli elettori potevano approvare o respingere. Le elezioni svoltesi nel 1929 con
questo nuovo sistema portarono ad una scontata vittoria fascista.
Sempre nel 1929 Mussolini firmò col Vaticano i < Patti Lateranensi > che chiarirono :
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un " trattato " fra i due stati, Italia e Vaticano, i quali si riconoscevano reciprocamente risolvendo
così la questione romana ( 1870 - la marcia di Garibaldi su Roma fermata dall’esercito per volontà
francese)
una convenzione finanziaria che fissava il risarcimento italiano alla Chiesa per la perdita dei
territori papali del 1870
un concordato che concordava l’obbligo dell’insegnamento della dottrina cattolica a scuola
il riconoscimento dell’Associazione Cattolica da parte dei fascisti
Il fascismo da ciò ottenne il grande vantaggio di essere riconosciuto dalla massa popolare cattolica.
L’economia
Il fascismo, nei primi anni di governo, adottò una politica nettamente liberista per riaprire il mercato
fortemente provato dal conflitto mondiale. Eliminò inoltre ogni forma di rivendicazione sindacale e le
retribuzioni dei lavoratori furono assai "compresse".
Gli investimenti aumentarono perché il costo del lavoro era basso e gli imprenditori potevano ricavare
maggiori profitti e vendere i propri prodotti all’estero a prezzi più convenienti rispetto alla concorrenza.
Questa competitività e la favorevole situazione economica internazionale consentirono una notevole
crescita delle esportazioni. Nel 1925 però, ci fu una netta inversione nella politica economica del fascismo
che si propose di controllare ed indirizzare l’attività produttiva e finanziaria.
Nel 1926 a Pesaro Mussolini annunciò che il governo aveva deciso di rivalutare la lira rispetto all’oro.
Questa scelta provocò una brusca deflazione*, cioè una diminuzione della circolazione di moneta. Ciò
significò che i prodotti venivano venduti con maggiore difficoltà.
Il regime intervenne a compensare la diminuzione delle vendite fornendo finanziamenti e facendo
acquistare da parte dello Stato i prodotti dell’industria pesante.
La politica economica del fascismo negli anni della Grande Crisi
La Grande Crisi del 1929 ebbe anche in Italia ripercussioni gravissime :
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la produzione industriale calò vistosamente
la disoccupazione aumentò fino a superare il milione di unità
Per fronteggiare la crisi si crearono consorzi di imprese che esercitarono un controllo di tipo
monopolistico sul mercato. La Grande Crisi, infatti, aveva caratteristiche deflazionistiche, ossia era
provocata dall’insufficiente quantità di moneta rispetto alle merci presenti sul mercato, di conseguenza i
prezzi calavano e le imprese produttrici venivano gravemente danneggiate.
Lo Stato intervenne direttamente per salvare banche ed industrie dal fallimento. Per attuare questo genere
di interventi, ne ’31 e nel ’33 furono costituiti l’Istituto mobiliare italiano - IMI - e l’Istituto per la
ricostruzione industriale - IRI -. L’IMI ebbe la funzione di finanziare le imprese,mentre IRI entrò in
possesso di pacchetti azionari di banche ed industrie per risanarle e rivenderle poi ai privati.
Il fascismo assicurò alle imprese l’assoluto controllo della manodopera e un basso costo del lavoro.
Aveva, infatti, eliminato ogni autonoma organizzazione dei lavoratori. I lavoratori non potevano più
avanzare rivendicazioni, né difenderle con scioperi, ma dovevano accettare che i loro interessi fossero
subordinati all’economia del Paese.
Per contenere il consistente fenomeno della disoccupazione diede un forte impulso ai lavori pubblici,
come la bonifica delle paludi Pontine.
Questo controllo sull’economia si accentuò con l’invasione dell’Etiopia e le sanzioni economiche che
furono decretate dalla Società delle nazioni contro l’Italia.
La politica estera
Nell’ideologia fascista gli aspetti più importanti erano costituiti dal nazionalismo, dalla volontà di
affermare l’Italia come potenza, dall’importanza attribuita alla preparazione militare.
Nella prima fase del fascismo al potere, questi aspetti non pesarono eccessivamente nelle scelte di politica
estera. Le relazioni con gli altri Stati furono caratterizzate da una certa moderazione e per qualche tempo
si rafforzarono i rapporti amichevoli dell’Italia con la Francia e l’Inghilterra. Ciò era facilitato dalla
presenza al governo di questi Paesi di forze conservatrici che giudicavano favorevolmente il regime
fascista.
Nel 1934 Mussolini si oppose con successo al tentativo di Hitler di annettersi l’Austria.
In questo clima, Mussolini cercò di attuare la sua politica di espansione.
Un’aspirazione del regime fascista fu la penetrazione nell’area dei Balcani ; ma questa prospettiva si
dimostrava scarsamente realizzabile a causa dell’ostilità che avrebbe suscitato negli altri stati europei e in
particolare in Francia.
Una seconda aspirazione fu l’espansione militare in Africa per creare colonie di popolamento. Nel 1935
fu dichiarata guerra all’Etiopia che dal tempo del governo Crispi era stato oggetto delle mire coloniali
italiane.
Nel 1936 la guerra era conclusa, e Mussolini poté proclamare la costituzione dell’Impero.
Ma la guerra contro l’Etiopia ebbe l’effetto di isolare diplomaticamente l’Italia, alla quale furono
applicate le << sanzioni >> della Società delle Nazioni.
Mussolini reagì avvicinandosi alla Germania nazista ; i rapporti tra il regime fascista e quello nazista si
intensificarono nel giro di pochi anni.
Nel 1936 in Spagna, il Fronte popolare costituito da repubblicani socialisti e comunisti, vinse le elezioni. I
ceti borghesi e l’esercito scatenarono una sanguinosissima guerra civile che si concluse nel ’39 con la
sconfitta del Fronte e la costituzione di un regime sotto la guida del generale Franco.
Nel corso della guerra, Germania e Italia inviarono consistenti aiuti al generale Franco.
I legami tra il regime fascista e quello nazista si facevano sempre più stretti.
Nel 1936 i due regimi proclamarono l’Asse Roma - Berlino e nel 1938 Mussolini accettò l’Anschluss,
l’annessione dell’Austria alla Germania, alla quale si era opposto con successo quattro anni prima.
Nel maggio del 1939 Germania e Italia firmarono il Patto d’Acciaio, un’alleanza che impegnava i due
Paesi ad intervenire in aiuto reciproco in caso di guerra, sia difensiva che offensiva.
Il rafforzamento dei vincoli fra i due regimi portò all’introduzione anche in Italia delle leggi razziali (1938
) contro gli ebrei.
* Confino : pena consistente nell’obbligo imposto dal regime fascista al condannato di trasferirsi lontano
dalle città principali per evitare la propaganda politica antifascista.
* Deflazione : Riduzione determinata da misure governative della massa dei mezzi di pagamento in
circolazione con conseguente rivalutazione della moneta e aumento del suo potere d’acquisto.
* Inflazione : Aumento dei mezzi di pagamento che in quanto non richiesto dal mercato, porta alla
diminuzione del potere d’acquisto dell’unità monetaria.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
L’ITALIA DOPO IL FASCISMO - LA REPUBBLICA
Liberata ed unificata nel ‘45 dagli alleati e dall’insurrezione partigiana, l’Italia si trovò ad affrontare i
problemi postbellici, in primis l’economia, quindi, nel Mezzogiorno, la malavita legata al contrabbando
ed alla borsa nera.
Le forze politiche che si candidavano alla guida del Paese erano le stesse che erano state protagoniste
della lotta politica tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura fascista. Era
convinzione comune, comunque, che il dopoguerra avrebbe visto in primo piano i partiti di massa,
soprattutto quelli della sinistra operaia.
Il Partito socialista, lo PSIUP era tutt’altro che compatto e si poneva in una posizione intermedia fra il
PCI ed i partiti borghesi. Al contrario, il Partito Comunista traeva forza dal proprio contributo offerto alla
lotta antifascista. Il nuovo partito che Togliatti aveva cercato di costruire dopo la svolta di Salerno era
molto diverso dal piccolo ed intransigente partito lenista. Fra gli altri partiti, l’unico in grado di competere
con comunisti e socialisti era la Democrazia cristiana. La DC si richiamava direttamente all’esperienza
del Partito popolare di Sturzo: il gruppo dirigente, a cominciare dal segretario De Gasperi, veniva in
buona parte da quel partito. Il partito liberale, che raccoglieva la classe dirigente prefascista, poteva
contare sulla grande industria e sui proprietari terrieri. La destra vera e propria appariva politicamente
fuori gioco nel clima del dopo liberazione.
Un ruolo importante fu svolto anche dalla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Le tre
componenti - socialista, comunista e cattolica - erano rappresentate pariteticamente negli organi dirigenti,
ma erano squilibrate come peso numerico - i comunisti erano i più numerosi.
La prima occasione di confronto fra i partiti si presentò al momento di scegliere il successore di Bonomi; i
partiti si trovarono d’accordo sul nome di Parri, leader del giovane e piccolo Partito d’Azione, sorto nel
‘45.
Parri cercò di promuovere un processo di normalizzazione del Paese annunciando una serie di
provvedimenti volti a colpire con forti tasse le grandi imprese. Ma in questo modo suscitò l’opposizione
delle forze moderate, in particolare del PLI, che ritirò la fiducia al Governo determinandone la caduta.
La DC riuscì allora ad imporre De Gasperi, ma PCI e PSIUP volevano subito rompere il Governo perché
speravano in un successo elettorale. Il Governo, infatti, aveva fissato al 2 giugno 1946 la data per le
elezioni dell’Assemblea costituente, le prime in cui avevano diritto di voto anche le donne. I cittadini,
quello stesso giorno sarebbero stati chiamati a decidere, mediante referendum, se mantenere la monarchia
o passare alla Repubblica. Vittorio Emanuele III tentò di risollevare le sorti della dinastia sabauda,
abdicando in favore del figlio Umberto II, ma nelle votazioni la Repubblica si affermò con un margine
abbastanza netto; Umberto II partì per l’esilio in Portogallo. La DC si affermò come il primo partito,
seguita a notevole distanza dal PSIUP (socialisti) e dal PCI.
Dopo le elezioni, democristiani, socialisti e comunisti si accordarono sull’elezione del primo e
provvisorio presidente della Repubblica, il liberale De Nicola, e diedero vita ad un secondo governo De
Gasperi, basato sull’accordo fra i tre partiti di massa. Ma la coabitazione non eliminava i motivi di
contrasto fra la DC e le sinistre. Mentre la DC tendeva sempre più ad assumere il ruolo di garante
dell’ordine sociale e della collocazione del Paese nel campo occidentale, i comunisti si ponevano più
risolutamente alla testa delle lotte operaie e contadine ed accentuavano il loro allineamento all’URSS. A
fare le spese di questa radicalizzazione fu il Partito socialista : si erano delineati nel PSIUP due
schieramenti contrapposti. Il primo, con a capo Nenni, era favorevole all’unità d’azione col PCI e puntava
sull’impossibile alleanza fra l’URSS e le potenze occidentali. Il secondo, guidato da Saragat, si batteva
per un allontanamento dei legami col PCI e non nascondeva la sua ostilità verso il comunismo sovietico.
Nel ‘47 il gruppo di Saragat decisero di abbandonare il PSIUP, che intanto riassunse il nome PSI, e
fondarono un nuovo partito, il PSli, che qualche anno dopo cambio il nome in Partito socialdemocratico
italiano. Questa scissione, detta di Palazzo Barberini, provocò una crisi di Governo e la formazione di un
nuovo gabinetto tripartito (DC, PSI, PCI) presieduto sempre da De Gasperi, il quale poco dopo diede le
dimissioni a causa dei contrasti nella maggioranza e, ottenuto il reincarico, formò un Governo di soli
democristiani che limitava così ai soli cattolici i potere, mandando anche la sinistra all’opposizione.
I contrasti politici culminati nell’esclusione delle sinistre dal Governo non impedirono di superare le
prime due fasi vitali del Paese, ovvero la conclusione del trattato di pace ed il varo della Costituzione.
L’Assemblea costituente cominciò i lavori il 24 giugno 1946 e li concluse il 22 dicembre 1947,
presentando un testo costituzionale che entrò in vigore a partire dal 1 gennaio 1948. Tale Costituzione
dava vita ad un sistema di tipo parlamentare, col Governo responsabile di fronte alle due Camere (Camera
e Senato) titolari del potere legislativo, entrambe elette a suffragio universale ed incaricate di eleggere un
Capo dello Stato con mandato settennale. Era inoltre previsto che una Corte costituzionale vigilasse sulla
conformità delle leggi alla Costituzione.
La Costituzione repubblicana fu l’ultima manifestazione significativa della collaborazione fra le forze
antifasciste. Dal ‘48 infatti, i partiti si impegnarono in una gara sempre più accanita per conquistarsi i voti
dell’elettorato. Caratteristica di questa campagna elettorale fu la polarizzazione fra due schieramenti
contrapposti: quello di opposizione, egemonizzato dal PCI, e quello di Governo, guidato dalla DC e
comprendente anche PSli e PRI. Nella sua campagna elettorale la DC poté contare su due fattori chiave,
ovvero la Chiesa e gli Stati Uniti, i quali avevano minacciato di sospendere gli aiuti del Piano Marshall in
caso di vittoria della sinistra.
Il partito Cattolico stravinse ottenendo quasi il 50% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi alla
Camera. La delusione dei militanti di sinistra si espresse il 14 luglio del ‘48, quando Togliatti fu vittima di
un attentato dal quale ne uscì gravemente ferito; in tutte le principali città i comunisti scesero in piazza
scontrandosi con le forze dell’ordine. Un’altra conseguenza fu la rottura della convivenza fra le forze
politiche all’interno del sindacato. La decisione della maggioranza socialcomunista di proclamare
sciopero generale per protesta contro l’attentato a Togliatti diede alla componente cattolica l’occasione
per staccarsi e dar vita ad una nuova confederazione, il CISL; seguì poi il distacco anche di repubblicani e
socialdemocratici che fondarono la UIL.
Con le elezioni del ‘48 gli elettori italiani non solo scelsero il partito che avrebbe governato il Paese, ma
anche un sistema economico e di una collocazione internazionale. Mentre le sinistre si impegnavano in
un’impopolare battaglia contro il piano Marshall, Einaudi attuava una manovra economica che aveva
come scopi principali la fine dell’inflazione, il ritorno alla stabilità monetaria ed il risanamento del
bilancio statale. La manovra si attuò su tre distinti livelli: inasprimenti fiscali e tariffari, svalutazione della
lira e restrizione del credito, che limitò la circolazione della moneta e costrinse imprenditori e
commercianti a gettare sul mercato le scorte. Il trattato di pace fra l’Italia ed i Paesi alleati fu firmato a
Parigi. L’Italia era considerata come Paese sconfitto e come tale doveva pagare le riparazioni di guerra,
ridurre le forze armate e rinunciare a tutte le colonie; quest’ultimo punto fu doloroso solo sul versante
orientale, occupato dagli jugoslavi nel ‘45, i quali avevano ‘preso’ parte della Venezia Giulia e che
rivendicavano Trieste. L’Istria fu data alla Jugoslavia, mentre la fetta di terra di Capodistria e Trieste fu
dichiarata Territorio libero, poi diviso in due parti ed occupato sempre dagli jugoslavi e dagli alleati. Solo
nel 1975, col trattato di Osimo, l’Italia si riappropriò effettivamente di Trieste.
Per un Paese sconfitto il problema maggiore era quello della scelta di campo fra i due blocchi che si
fronteggiavano ora a livello mondiale. La scelta italiana fu fortemente condizionata dall’essere stata zona
di occupazione alleata e dall’accettazione del Piano Marshall: alla fine del ‘48 furono gettate le basi per
l’ingresso italiano nel Patto Atlantico, nato nel ‘49, e nella NATO.
I cinque anni della prima legislatura (1948-53) vide la DC puntare sull’alleanza coi partiti laici minori;
associò ai suoi governi, sempre presieduti da De Gasperi, rappresentanti del PLI, del PRI e del PSDI. Fu
questa la formula del centrismo che vedeva una DC molto forte occupare il centro dello schieramento
politico, lasciando fuori della maggioranza sia la sinistra sia l’estrema destra. L’iniziativa più importante
del periodo centrista fu la riforma agraria attuata nel ‘50, che fissava norme per l’esproprio ed il
frazionamento di una parte delle grandi proprietà terriere. Se lo scopo della riforma era quello di
rimuovere una causa di scontento e di protesta sociale l’obbiettivo più a lungo termine stava
nell’incrementare la piccola impresa agraria. La riforma tuttavia non servì a bloccare quel fenomeno di
migrazione dalle campagne verso le città. Contemporaneamente alla riforma agraria, fu varata un’altra
legge, quella della Cassa per il Mezzogiorno, un nuovo ente pubblico che aveva lo scopo di promuovere
lo sviluppo economico e civile delle regioni meridionali attraverso il finanziamento statale per le industrie
localizzate nelle aree depresse. Seguirono la legge Fanfani sul finanziamento alle case popolari e la
Riforma Vanoni, ovvero l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi.
I partiti di sinistra e la CGIL reagirono mobilitando le masse operaie in una serie di scioperi e
manifestazioni a cui il Governo rispose intensificando l’uso dei mezzi repressivi. Costretti a fronteggiare
sia la destra che la sinistra, De Gasperi ed i suoi alleati tentarono nel ‘53 una modifica dei meccanismi
elettorali in senso maggioritario. Il sistema scelto fu quello di assegnare il 65% dei seggi alla Camera a
quel gruppo di partiti ‘apparentati’ che ottenesse la metà più uno dei voti. Dal momento che né la sinistra
né la destra erano in grado di ottenere tale risultato, il sistema sembrava perfetto per la maggioranza tanto
che fu coniata legge truffa. Ma nelle elezioni, la coalizione di governo fu sorprendentemente sconfitta: sia
la DC sia i suoi alleati persero voti rispetto al ‘48 mancando l’obbiettivo del 50%..
Fallito, con le elezioni del ‘53, il tentativo di stabilizzare la coalizione centrista attraverso la legge truffa,
il Paese cominciava a modernizzarsi e la ripresa economica si consolidava, anche grazie all’adesione al
mercato comune europeo, nel 1957. Tuttavia questo fenomeno non si tradusse in una modifica degli
equilibri di governo. Dimessosi De Gasperi nel ‘53 in seguito ad un voto contrario della Camera, i
successivi governi a guida democristiana continuarono ad appoggiarsi sull’esigua maggioranza
quadripartita, rafforzata, in qualche caso da monarchici e neofascisti.
Gli anni della seconda legislatura repubblicana (1953-58) portarono parecchi cambiamenti anche
all’interno dei partiti più importanti. Nella DC le elezioni del ‘53 segnarono non solo la sconfitta di De
Gasperi, ma anche la progressiva emarginazione del gruppo dirigente e l’emergere della nuova
generazione che vedeva le sue ‘stelle’ in Aldo Moro, Taviani e Fanfani. Diventato nel ‘54 segretario della
DC, Fanfani cercò di rafforzare il partito collegandolo all’emergente industria di Stato ed in particolare
all’ENI di Mattei. Sul piano delle alleanza di governo, la DC non mutò la linea centrista di De Gasperi.
Soprattutto, dopo le elezioni presidenziali del ‘55 che videro la vittoria di Gronchi, democristiano di
sinistra sostenuto da parte della DC, dai socialisti e dai comunisti, si manifestò la consapevolezza della
fragilità della coalizione quadripartita ed una nuova attenzione a quanto stava cambiando nella sinistra, in
particolare nel Partito socialista. Già negli anni ‘54-55, il PSI aveva iniziato una cauta revisione della
politica, aveva allentato i legami col PCI ed auspicato l’aprirsi di un dialogo con i cattolici. La denuncia
dei crimini di Stalin al XX Congresso del Partito comunista e l’invasione sovietica in Ungheria
costituirono un trauma per tutti i militanti di sinistra. Ma mentre il PCI si mantenne fedele al modello
sovietico, il PSI se ne distacco. Fu lo stesso Nenni a guidare la svolta poi premiata dall’elettorato, dando il
via alle premesse politiche per l’apertura a sinistra.
DAL 1958 AL ‘68 - DAL BOOM ECONOMICO ALL’AUTUNNO CALDO
Fra il 1958 ed il 1963 giunse al culmine il processo di crescita economica iniziato dal 1950. Furono questi
gli anni del miracolo economico. Molti erano i fattori che avevano promosso il miracolo: la congiuntura
internazionale favorevole, la politica di libero scambio sancita dall’adesione alla CEE, la modesta entità
del prelievo fiscale e soprattutto lo scarto che si venne a creare fra l’aumento della produttività ed il basso
livello dei salari.. Fu dunque questo il periodo in cui l’Italia divenne un Paese pienamente industriale. La
crescita dei consumi fu resa possibile dall’aumento generalizzato delle retribuzioni che si verificò a
partire dalla fine degli anni ‘50. Il calo della disoccupazione, conseguenza dello sviluppo economico,
accrebbe la capacità dei lavoratori di ottenere notevoli miglioramenti salariali. Questi aumenti ebbero però
l’effetto di ridurre i margini di profitto e di mettere in moto un processo inflazionistico. Così, nel 1963-64
il miracolo italiano subì una battuta d’arresto. Gli investimenti si ridussero drasticamente e lo sviluppò
subì una brusca frenata.
In coincidenza col boom industriale, la società italiana subì una serie di profonde trasformazioni; col
miracolo economico l’Italia si lasciò alle spalle le strutture ed i valori della società contadina ed entrò
nella civiltà dei consumi. Il fenomeno più importante di questi anni fu il massiccio esodo dal Sud al Nord
del Paese e dalle campagne verso le città.
Le grandi migrazioni interne e la rapida urbanizzazione erano indubbiamente il segno di un progresso
economico del Paese, ma l’espansione delle città avvenne in forme caotiche, senza un adeguato intervento
dei poteri pubblici. I due simboli più emblematici di questo progresso furono sicuramente la televisione e
l’automobile.
I mutamenti economici e sociali suscitati dal miracolo italiano si accompagnarono all’inizio degli anni
‘60, all’allargamento delle basi del sistema politico, attraverso l’ingresso dei socialisti nell’area di
governo. La svolta maturò in seguito ad una serie di avvenimenti drammatici. Nel 1960 il democristiano
Tambroni, non riuscendo a trovare l’accordo con socialdemocratici e repubblicani formò ugualmente un
governo monocolore con l’appoggio del MSI. Tambroni fu costretto a dimettersi dalla stessa DC. Con lui
cadde ogni ipotesi di un governo appoggiato dall’estrema destra. Fu formato un nuovo governo
monocolore presieduto da Fanfani, che ottenne però l’astensione in Parlamento dei socialisti, dando così il
via alla stagione politica del centrosinistra. La nuova alleanza fu sancita dal congresso della DC nel ‘62
grazie ad Aldo Moro. Un nuovo governo Fanfani proprio del ‘62 era composto da DC, PRI e PSDI e si
presentò con un programma concordato col PSI. Fu in questa fase che il centrosinistra ottenne i risultati
migliori: la nazionalizzazione dell’industria elettrica fu portata a compimento nel ‘62 con la creazione
dell’ENEL, mentre nel ‘63 fu approvata la legge che istituiva la scuola media unica, abolendo così gli
istituti di avviamento professionale.
I contrasti nella maggioranza furono esasperati dall’esito delle elezioni dell’aprile del ‘63: perdita di voti
della DC e del PSI, successo di liberali (contrari all’apertura a sinistra) e rafforzamento dei comunisti. Si
faceva sempre sentire il peso delle forze ostili al centrosinistra che, oltre alla destra economica, contavano
anche le alte gerarchie militari, tanto che nel ‘64 si diffusero le voci di un possibile colpo di Stato
promosso dal generale De Lorenzo, capo dei servizi segreti delle forze armate.
La fine degli anni ‘60 fu caratterizzata da una radicalizzazione dello scontro sociale che ebbe come
protagonisti gli studenti, poi la classe operaia. La mobilitazione degli studenti universitari portò
all’occupazione di numerose facoltà, a grandi manifestazioni di piazza e a frequenti scontri con le forze
dell’ordine. Sei in mezzo mondo le ragioni della lotta erano l’anti-imperialismo, la protesta contro la
guerra del Vietnam e l’avversione alla civiltà dei consumi, in Italia assunse una forte ideologizzazione in
senso marxista e rivoluzionario antocapitalistico. A partire dall’autunno del ‘68 il movimento studentesco
individuò il suo interlocutore privilegiato nella classe operaia.
Nuovi gruppi politici nacquero fra il ‘68 ed il ‘70 sull’onda del movimento studentesco e furono chiamati
partiti extraparlamentari: Potere operaio, Lotta continua e Avanguardia operaia. Anche per l’influenza
della contestazione giovanile, questi conflitti si caratterizzarono per l’elevato grado di partecipazione e
per la radicalità delle richieste; le tre maggiori organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) riuscirono a
prendere in mano la direzione delle lotte. Questo impegno comune nelle lotte d’autunno servì anche a
riavvicinare le tre confederazioni sindacali. Tuttavia l’unico risultato di rilievo nel campo dell’istruzione
fu la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie. Furono poi varate alcune leggi come lo
Statuto dei lavoratori, l’Istituzione delle regioni (1970) e nonostante l’opposizione della DC fu approvata
la legge Fortuna che introduceva in Italia la legge del divorzio.
1970 - 1980 - LA CRISI DEL CENTRO SINISTRA
Nei primi anni ‘70, la debolezza del sistema politico apparve in tutta la sua evidenza. Il 12 dicembre
1969, in pieno autunno caldo, una bomba esplosa a Milano, in Piazza Fontana, nella sede della Banca
nazionale dell’agricoltura, provocò 17 morti ed oltre 100 feriti. Si parlò allora di strategia della tensione
messa in atto dalle forze di destra per incrinare le basi dello Stato democratico. L’impotenza dimostrata,
rifletteva anche profonde divisioni all’interno dello schieramento di governo. Mentre DC e PSDI
tendevano a farsi interpreti di un’opinione pubblica moderata, il PSI mirava apertamente ad equilibri più
avanzati, cioè al progressivo coinvolgimento del PCI nelle responsabilità di governo. Il ricorso ad elezioni
politiche anticipate nel ‘72 si rivelò inutile così come nel ‘73 e nel ‘74. Alla fine del ‘73, le difficoltà
economiche furono aggravate dalle conseguenze della guerra arabo-israeliana del Kippur: l’aumento del
prezzo del petrolio provocò un calo della produzione industriale e l’avvio di un processo inflazionistico.
Alle difficoltà economiche si aggiungeva un crescente disagio morale provocato da scandali in cui furono
coinvolti numerosi esponenti della maggioranza. La rapida adozione nel ‘74 di una legge sul
finanziamento pubblico dei partiti rappresentati in Parlamento non servì a sanare la frattura fra società
politica e società civile. Quando nel 1974, la nuova legge sul divorzio fu sottoposta a referendum
abrogativo per iniziativa di gruppi cattolici appoggiati dalla DC e dal MSI, si assistette ad una grande
mobilitazione che era appoggiata dalle forze laiche, ma il netto successo dei divorzisti mostrò chiaramente
che la società italiana era cambiata, che il sistema politico doveva ‘aggiornarsi’ e che il peso della Chiesa
come ispiratrice della vita privata dell’individuo era fortemente ridimensionato. I mutamenti trovarono
ulteriore riscontro in due leggi approvate nel ‘75: la riforma del diritto di famiglia, che anciva la parità
giuridica fra i coniugi; e l’abbassamento della maggiore età, cui era legato il diritto di voto, da ventuno a
diciotto anni. Nel ‘78, dopo un acceso dibattito che vide ancora una volta la DC opposta alle sinistre ed ai
partiti laici, il Parlamento approvò la legge che legalizzava e disciplinava l’interruzione volontaria della
gravidanza. Intorno alla metà degli anni ‘70, sull’onda del successo nei referendum, le forze del
cambiamento parvero in ascesa. A cogliere i frutti politici di questa situazione fu soprattutto il PCI che già
nel ‘68 aveva dato di sé un’immagine diversa e che nel ‘73 prospettò un importante mutamento strategico.
Il suo segretario, Berlinguer, sostenne la necessità di giungere ad un compromesso storico, cioè ad un
accordo di lungo periodo fra le forze comuniste, socialiste e cattoliche. Lo spostamento a sinistra delle
elezioni regionali accentuò i dissensi fra DC e PSI; si giunse così, nel ‘75, al disimpegno socialista del
governo che segnò la fine dell’esperienza del centrosinistra.
L’esito delle elezioni del giugno ‘76 lasciava aperto un problema: visto che i socialisti non erano
disponibili ad una riedizione del centrosinistra e che non esistevano i margini per un ritorno al centrismo,
l’unica soluzione praticabile stava in un coinvolgimento del PCI nella maggioranza. Si giunse così alla
costituzione di un governo monocolore democristiano guidato da Andreotti, che ottenne l’astensione in
Parlamento di tutti gli altri partiti esclusi MSI e Radicali.
Era questa pur sempre una risposta unitaria al dilagarsi del fenomeno terrorista. Opposti fra loro nella
matrice ideologica, i due terrorismi, quello nero e quello rosso, erano diversi anche nel modo di operare. Il
tratto distintivo del terrorismo di destra fu il ricorso ad attentati dinamitard in luoghi pubblici :Strage di
Piazza Fontana, di Piazza della Loggia e alla Stazione di Bologna.
Il principio della lotta rossa era da tempo un elemento portante di tutte le ideologie estremiste
rivoluzionarie che il movimento del ‘68 aveva contribuito a mitizzare ed a divulgare. Per i terroristi
l’azione armata si presentava come un atto esemplare, destinato essenzialmente alla classe operaia, al fine
di mobilitarla per il rovesciamento del sistema capitalistico e dello Stato borghese. Seguirono, fra il ‘72 ed
il ‘75, sequestri di dirigenti industriali e di magistrati. Gli autori di queste azioni appartenevanp aòòe
Brigate Rosse, il primo ed il più pericoloso gruppo terrorista di sinistra, attivo fino al 1988.
Il malessere giovanile si epresse nel 1977 quando un nuovo movimento di studenti universitari diede
luogo ad occupazioni di università ed a violenti scontri di piazza. Protagonisti di questi scontri furono i
gruppi di Autonomia operaia. Bersaglio principale della contestazione fu la sinistra tradizionale,
soprattutto il PCI ed i sindacati. L’inevitabile delusione seguita all’ondata del ‘77 si risolse per molti col
passaggio alla militanza terroristica.
Nel 1978 le Brigate Rosse misero in atto il oro progetto più ambizioso: il 16 marzo, il girono stesso della
presentazione in Parlamento di un nuovo governo Andreotti, monocolore democristiano appoggiato dal
PCI, un commando brigatista rapì Aldo Moro, presidente della Dc uccidendo tutti gli uomini della sua
scorta. Il 9 maggio Moro fu ucciso ed il suo cadavere abbandonato in una strada del centro di Roma. Nel
non facile clima politico creatosi dopo l’assassinio di Moro, il muovo governo di solidarietà cercò di
avviare il risanamento dell’economia. La situazione finanziaria diede segni di miglioramento, grazie
all’adozione della riforma fiscale varata nel ‘74. Fu varata una riforma sanitaria che sanciva la gratuità
delle cure per tutti e riordinava la medicina pubblica, affidandone la gestione ad appositi organismi
dipendenti dalle regioni. Nel complesso la politica di solidarietà nazionale non produsse risultati adeguati.
L’ingresso dei comunisti nella maggioranza non servì a mettere in moto un processo di trasformazione
sociale ed a risanare la vita pubblica. Gli scandali giunsero a toccare la presidenza della Repubblica
costringendo alle dimissioni, nel ‘78, il capo di Stato, il democratico Leone. Al suo posto fu eletto il
socialista Sandro Pertini. Si andava esaurendo l’esperienza della solidarietà nazionale. Il nuovo corso
impresso da Craxi alla politica socialista, in aperta polemica col PCI, rendeva sempre più difficile la
collaborazione all’interno dellamaggiornaza e ricreava le condizioni per una ripresa dell’alleanza fra il
PSI ed i partiti di centro (interrotta nel ‘75 per volontà degli stessi socialisti).
I risultati elettorali del ‘79 e dell’83 segnarono alcuni significativi mutamenti nel panorama politico. Il
PCI registò una secca perdita di consensi; la DC subì una netta sconfitta nelle elezioni dell’83; il PSI,
nonostante il dinamismo di Craxi raccolse risultati deludenti. Chiusa la parentesi della solidarietà
nazionale, l’unica strada praticabile fu il ritorno alla coalizione di centrosinistra (DC, PSI, PSDI, PRI),
allargata anche al PLI. La novità più importante fu il fatto che la Dc, per la prima volta dopo l ‘45, cedette
la guida del governo al segretario repubblicano Spadolini e nell’83 al leader socialista Craxi. Fra gli atti
più significativi del governo Craxi va ricordata la firma nell’84 di un nuovo concordato con la Santa Sede
che ritoccava gli accordi del ‘29 (Patti Lateranensi), lasciandone cadere le clausole più anacronistiche. Per
la Dc la perdita della presidenza del Consiglio fu lo sbocco seguita all’uccisione di Moro, ma anche
l’inizio di un rinnovamento legato alla segreteria di De Mita. Irrisolta era ancora la questione del controllo
della spesa pubblica; queste difficoltà vennero in parte compensate da una certa ripresa dell’economia
che, a partire dall’84, superava la fase recessiva degli anni ‘82-’83 grazie all’aumento delle esportazini ed
al profondo rinnovamento tecnologico di alcuni settori industriali. Nel complesso, il sistema economico
italiano manifestava nel decennio 8’-90 una vitalità notevole, al di là di quanto non apparisse dai dati
ufficiali sull’andamento della produzione e del reddito. Il fenomeno si spiegava con la crescita della
cosiddetta economia sommersa, ossia quella miriade di piccole imprese disseminate nella provincia
italiana e caratterizzate da alta produttività, da bassi costi e da una notevole capacità di adattamento alle
esigenze del mercato. Lo sviluppo del terziario, il dinamismo di alcuni settori produttivi e la rinnovata
competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali erano sintomi di vitalità del Paese. Essi furono
però accompagnati da minifestarsi di gravi fattori degenerativi: il fenomeno della corruzione politica
rivelòun nuovo inquietante volto all’inizio degli anni ‘80, con lo scandalo della Loggia P2: una branca
segreta della massoneria inserita nel mondo politico e nei vertici militari, sospettata di perseguire il fine di
una ristrutturazione autoritaria dello Stato. Se la risposta dello Stato alla criminalità mafiosa non conseguì
risultati decisivi, esiti ben più positivi ottenne la lotta contro il terrorismo di sinistra. La svolta si delineò
nel 1980 quando alcuni terroristi arrestati decisero di denuciare i compagni in libertà.
L’esaurirsi dei sistemi di valori fondati sul primato dell’impegno politico contribuiva a perpetuare il
distacco fra classe politica e società civile, a rafforzare la diffidenza nei confronti dei partiti: la lentezza
delle procedure parlamentari, l’instabilità di una maggioranza troppo composta e la mancanza di
alternative alla coalizione di governo. Nell’85 l’elezione alla presidenza della Repubblica, con una
larghissima maggioranza del democristiano Cossiga non evitò il riproporsi di contrasti in seno al
pentapartito: c’era poi la rivalità di fondo fra i due maggiori partner della coalizione, socialisti e
democristiani. Si giunse così nell’87 alla crisi del lungo ministero Craxi. Le elezioni segnarono
un’affermazione del Psi ed un nuovo calo dei comunisti, cui fece riscontro un certo progresso della Dc.
Ma la maggiore novità delle elezioni fu l’apparizione di nuovi gruppi fra cui spiccò quello degli
ambientalisti, i Verdi. Dopo le elezioni, la maggioranza di pentapartito si ricostituì faticosamente grazie
ad un accordo dul programma che consentì la formazione di due successivi governi a guida
democristiana: il primo guidato da Dora, il seconda da De Mita; entrambi non raggiunsero i risultati
prefissati. De Mita fu così costretto a lasciare la guida del governo. La lunga crisi apertasi con le
dimissioni di De Mita si risolse con la ricostruzione dell’alleanza a cinque e la formazione di un nuovo
governo a guida democristiana, affidato ad Andreotti, ma nemmeno questo governo riuscì a riportare la
compattezza nella maggioranza.
Alla fine degli anni ‘80 si era sviluppato nell’opinione pubblica e nelle convinzioni dei singoli, il rifiuto
dei criteri che fin allora avevano regolato la vita politica in Italia: era il sistema politico nel suo insieme ad
essere ora messo sotto accusa.
LA SECONDA REPUBBLICA - I GIORNI NOSTRI
E’ ormai consuetudine indicare con l’espressione ‘seconda Repubblica’ il nuovo assetto politico
determinatosi in Italia dal 1992-94 in seguito alla nuova legge elettorale maggioritaria ed alla nascita di un
tendenziale bipolarismo.
Apertosi, sul piano internazionale, con una serie di grandiosi mutamenti, l’ultimo decennio del secolo
iniziava, anche per l’Italia, all’insegna di alcune rilevanti novità politiche, accompagnate però da un
complessivo aggravarsi dei sintomi di disagio nella società civile e nelle istituzioni. Segnali negativi
venivano innanzitutto dall’economia: la crescita produttiva si era interrotta a partire dal 1990; il tutto
mentre l’inflazione, alimentata dalla crescita della spesa pubblica, restava ben al di sopra della media
europea e mentre il deficit del bilancio non accennava a ridursi.
I problemi dell’economia e della finanza pubblica non erano il solo motivo per cui l’Italia rischiava di
restare emarginata dal processo di integrazione europea. Un motivo più grave era rappresentato
dall’accresciuta offensiva della malavita organizzata nel Sud del Paese.
Sul piano della vita politica le novità dei primi anni ‘90 furono numerose e rilevanti. La prima, legata ai
mutamenti nell’URSS e nell’Europa dell’Est, fu la trasformazione del PCI nel nuovo Partito democratico
della sinistra di Ochetto (PDS). Ma i suoi progetti di collaborazione col PSI non andarono a buon fine ma
anzi, il neo partito PDS assistette alla scissione dell’ala più legata al vecchio PCI del suo gruppo che diede
vita a Rifondazione Comunista. Sul versante opposto si consolidarono movimenti regionalisti fra cui
spicca la Lega Lombarda. Nel ‘92, pochi mesi prima della fine del suo mandato, Cossiga decise di
sciogliere le Camere; le elezioni registrarono alcune clamorose novità: seccamente sconfitti sia la DC che
il PDS, stazionario il PSI, i veri vincitori delle urne furono i Verdi ma soprattutto il neo partito di Bossi, la
Lega Nord, evoluzione della Lega Lombarda. La coalizione quadripartita conservava una maggioranza
parlamentare ridottissima ma decisiva, perché al momento, priva di alternative (DC, PDS, PCI, PSI).
Dopo le dimissioni di Cossiga, il Parlamento elesse il 25 maggio Scalfaro, vecchia gloria dell’ormai
screditato da Tangentopoli partito democristiano. Da alcuni mesi, infatti, un nuovo scandalo stava
coinvolgendo un numero crescente di uomini politici accusati da aver preteso ed ottenuto tangenti per la
concessione di appalti pubblici. L’inchiesta, avviata dalla magistratura milanese svelò un diffusissimo
sistema di finanziamento illegale dei partiti e di autofinanziamento dei politici. Destinatari principali
erano i partiti di maggioranza: DC, PDS, PCI, PSI.
In una situazione già carica di difficoltà, si inserì l’improvvisa recrudescenza dell’offensiva mafiosa
contro i poteri dello Stato. A questi due problemi si aggiungevano anche quelli legati alla crisi produttiva
e la gravissima posizione debitoria dello Stato. Caduta la candidatura di Craxi, nel mirino dei magistrati
di Tangentopoli, Scalfaro affidò l’incarico ad un atro socialista, Amato. Il nuovo governo, sempre
quadripartito, affrontò subito il problema finanziario con interventi di tipo fiscale sui cittadini, quindi con
una più incisiva manovra destinata a contenere le spese riducendo in primis quelle per la sanità. Rimaneva
irrisolto il problema delle riforme istituzionali; il tema più discusso ed il nodo più difficile da sciogliere
era quello della legge elettorale. L’introduzione di un nuovo sistema maggioritario uninominale, nel 1991,
sembrò la via più rapida per la riforma. Il disaccordo fra le forze politiche spianò la strada ad una
soluzione imposta da un referendum abrogativo nel ‘93: i cittadini approvarono a larghissima
maggioranza quel referendum che, attraverso la soppressione di alcune formulazioni di legge elettorale,
introduceva il sistema uninominale maggioritario al Senato. Contemporaneamente veniva abolito il
finanziamento pubblico dei partiti in vigore dal 1974.
All’indomani del referendum, Amato, convinto della fine di un’epoca, annunciò le dimissioni del suo
ministero. Scalfaro designò allora Ciampi per formare un nuovo governo che varò ottenendo l’appoggio
della vecchia maggioranza quadripartita (DC, PSI, PSDI, PLI) e l’astensione di PDS, Lega, Verdi e PRI.
L’impegno del nuovo esecutivo era rivolto a favorire il varo di una nuova legge elettorale per le due
camere, approvate ai primi di agosto: esse introducevano il sistema maggioritario uninominale per il 75%
dei seggi, mentre il restante 25% era da assegnare con sistema proporzionale.
A partire dal 1993, alcune forze politiche cominciarono a proclamare nuove elezioni, mentre la
maggioranza puntava deliberatamente a ritardarle. I partiti della vecchia maggioranza avevano in questo
periodo avviato una trasformazione: il PSI aveva affidato la segreteria del partito prima a Benvenuto,
quindi a Del Turco, ma non sembrava più in grado di ridarsi credibilità dopo lo scandalo di Tangentopoli.
La DC, guidata da Martinazzoli aveva deciso di tornare alle origini riassumendo il nome di Partito
popolare italiano coniato nel lontano ‘19 (?) da Sturzo, ma al momento del varo della rinascita, un gruppo
di democristiani ostili al predominio delle sinistre nel partito, si raccolse in una nuova formazione, il
CCD. L’anno seguente la DC si spaccò ancora dando vita ad un nuovo partito detto CDU. Riassumendo,
scompariva la DC e ritornava il vecchio PPI, indebolito però dalla scissione di due suoi gruppi, il CCD ed
il CDU. Ma l’elemento di maggior novità nello scenario politico italiano fu l’ingresso in politica
dell’imprenditore Silvio Berlusconi, proprietario delle tre maggiori reti televisive del Paese, del Milan e
del gruppo Mondadori. Berlusconi era sceso in campo per arginare la situazione post-tangentopoli per
ricostruire un centro ormai disgregato e per dar vita ad una coalizione di centrodestra capace di opporsi al
centrosinistra. Nel giro di qualche mese riuscì non solo a fondare un proprio movimento politico, Forza
Italia, ma anche a costruire un’alleanza politica con la Lega, con Alleanza Nazionale, coi radicali di
Pannella e col CCD. Sul fronte opposto il PDS coagulò attorno a sé tutte le forze di sinistra, dagli
estremisti di Rifondazione ai socialisti. Le elezioni del 1994 decretarono lo strasuccesso alla Camera di
Berlusconi che ottenne 302 dei 475 seggi uninominali, mentre al Senato sfiorò di poco la maggioranza
assoluta. Il PDS si assestò come secondo partito, seguito da Alleanza Nazionale e del Partito Popolare, gli
ex della DC. Le ragioni della vittoria di Berlusconi furono attribuite non solo alla sua abile campagna
pubblicitaria agevolata dal suo network, ma soprattutto alla sua capacità di proporsi come l’unico in grado
di sostituire il governo spazzato via degli scandali di Tangentopoli. Nel 94 Berlusconi formava così il suo
governo insieme alla Lega, ad Alleanza ed ai Democristiani di centro, ma i contrasti con la Lega lo
costrinsero a dimettersi già a dicembre dello stesso anno lasciando il via al governo Dini, espressione del
centrosinistra ora rafforzato dall’arrivo della Lega. La realizzazione più significativa del governo Dini fu
la riforma del sistema pensionistico. Intanto si stava delineando il vero bipolarismo: da una parte il Polo
(Forza Italia, Alleanza e CCD) e dall’altro l’Ulivo di Prodi, una coalizione di centrosinistra. Nelle nuove
elezioni, anticipate, l’Ulivo prevalse di misura grazie al supporto, negoziato, con Rifondazione. Il primo
obbiettivo del governo Prodi fu quello di ridurre il deficit entro il rapporto del 3% con il prodotto interno
lordo, il parametro necessario fissato a Maastricht per l’ammissione nell’Unione monetaria europea. Una
serie di interventi consentirono all’Italia di entrare nel sistema monetario alla fine del ‘96 e di ottenerne
l’ingresso ufficiale nel ‘98. Intanto Berlusconi, d’accordo con D’Alema, aveva favorito la costituzione di
una Commissione bicamerale per delineare in Parlamento un progetto organico di riforme istituzionali. La
proposta prevedeva l’introduzione di un sistema semipresidenziale ad elezione diretta dal Presidente della
Repubblica, ma il progetto saltò per l’acutizzarsi delle tensioni fra i due poli. Nel finire del 1998, dopo un
ennesimo contrasto sulla politica economica, Rifondazione negò la fiducia al governo Prodi, costretto
perciò a dimettersi; si formò un nuovo governo di centrosinistra presieduto dal leader del PDS D’Alema,
sostenuto dall’Ulivo e dall’UDR e dalla nuova ala comunista, formatasi dalla scissione da Rifondazione,
il Partito dei comunisti italiani guidato da Cossutta.
AUSTRIA
LE GUERRE DI INDIPENDENZA ITALIANA (vedi Italia)
LA DISSOLOZIUNE DELL’IMPERO ASBURGICO - NASCE L’IMPERO AUSTROUNGARICO
Sopravvissuto al ‘48 grazie all’apparato militare, lo Stato degli Asburgo tentò di riorganizzarsi sulla base
del vecchio sistema assolutistico. La Costituzione concessa nel ‘49, mai realmente applicata, fu revocata
già nel 1951. Il potere tornò a concentrarsi nelle mani dell’imperatore. Il centralismo amministrativo fu
rafforzato e la burocrazia sempre più ‘germanizzata’: il tedesco divenne l’unica lingua ufficiale
dell’Impero. Il centralismo contribuiva ad esasperare la coesistenza di diverse nazionalità. Il pilastro su
cui poggiò la restaurazione assolutistica fu l’alleanza con la Chiesa cattolica nel 1855 quando fu stipulato
un concordato fra l’Impero e la Santa Sede; in quella stessa sede fu anche smantellato il controllo statale
sull’attività della Chiesa.
Appoggiandosi proprio su quest’ultima, la monarchia sacrificò le esigenze della borghesia produttiva,
mancando così l’appuntamento con lo sviluppo economico senza peraltro riuscire a mantenere il ruolo di
primissimo piano che aveva prima del ‘48 fra le potenze europee. Due successive sconfitte militari, nel
‘59 contro Piemonte e Francia, e nel ‘66 contro la Prussia e l’Italia, segnarono il declino della potenza
asburgica.
Nel 1867, all’indomani della sconfitta con la Prussia, l’imperatore decise di venire a patti con la
componente magiara; l’Impero fu diviso in due Stati, uno austriaco ed uno ungherese, uniti nella persona
del sovrano, ma ciascuno con un proprio parlamento ed un proprio governo. Col compromesso del ‘67
l’Impero asburgico, d’ora in poi chiamato Impero austro-ungarico, riuscì a bloccare la sua crisi.
Nei decenni che precedettero la prima guerra mondiale, l’Impero austro-ungarico vide aggravarsi il
declino delineatosi del 1848 dovuto ai sempre più forti contrasti fra le diverse nazionalità, ma mentre
l’Impero tedesco trovava nel nazionalismo di una popolazione compattamente tedesca un potentissimo
elemento di coesione, in Austria-Ungheria le tensioni fra i diversi gruppi etnici costituivano un fattore di
logoramento e di disgregazione. Con la soluzione ‘dualistica’ varata nel ‘67, la monarchia asburgica
aveva scelto il compromesso col gruppo nazionale più forte, quello magiaro. Fino alla fine dell’800 il
potere imperiale riuscì a controllare la situazione appoggiandosi agli elementi conservatori. Tra la fine
dell’800 e l’inizio del ‘900 si assisté però ad una crescita dei movimenti nazionali.
I più irrequieti erano i popoli slavi, i grandi sacrificati dal ‘compromesso’ del ‘67. Le limitate concessioni
che i governi di Vienna erano disposti a fare alle singole nazionalità non erano sufficienti, ma servirono
solo a suscitare la reazione degli altri gruppi etnici. Una parte della classe dirigente si orientò verso l’idea
di trasformare la monarchia da ‘dualistica’ in ‘trialistica’: staccare gli slavi del sud dell’Ungheria e creare
così un terzo polo. Questo progetto, che aveva il suo sostenitore nel nipote dell’imperatore, Francesco
Ferdinando, si scontrava però con l’opposizione degli ungheresi. Da questo focolaio, e dall’assassinio
proprio di Francesco Ferdinando in Serbia nel 1914, scoppiò la scintilla che portò alla Prima guerra
mondiale e la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico.
PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
L’IMPERO AUSTRO-UNGARICO FRA LE DUE GUERRE
Simili a quelle della Germania furono le vicende attraversate dall’Austria dopo la fine della guerra e la
proclamazione della Repubblica.
Furono i socialdemocratici a governare il Paese, mentre i comunisti tentarono, senza fortuna, la carta
dell’insurrezione.
Nel 1920 le elezioni videro prevalere il Partito conservatore cristiano-sociale.
Breve e drammatica fu invece la vita della Repubblica democratica in Ungheria; i socialisti, anziché far
blocco con le forze liberali, si unirono ai comunisti per instaurare, nel 1919, una Repubblica sovietica che
attuò una politica di dura repressione nei confronti della borghesia. Il regime comunista cadde sotto l’urto
convergente delle forze conservatrici; l’Ungheria cadde così sotto un regime autoritario sorretto dalla
Chiesa e dai conservatori.
L’ANSCHLUSS - SCOMPARE L’IMPERO AUSTRO-UNGARICO (vedi Germania)
SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
CINA
LE GUERRE DELL’OPPIO
Intorno alla metà dell’800 anche la Cina subì la pressione delle potenze occidentali, che, in questo caso,
non miravano alla conquista territoriale, ma ad imporre la loro penetrazione commerciale attraverso
l’intervento armato.
Lo Stato cinese si fondava su un forte potere centrale incarnato dall’imperatore e rappresentato nel
territorio dai mandarini.
L’impero cinese era rimasto pressoché inaccessibile ai commercianti occidentali; inoltre non aveva
relazioni diplomatiche con l’estero. Agli stranieri era consentito di operare solo nel porto di Canton, ma
questo voluto isolamento mascherava una profonda debolezza interna. A prova di ciò fu il risultato subito
dall’Impero al primo scontro con l’Occidente. Occasione dello scontro fu il contrasto fra il governo
imperiale e la Gran Bretagna a proposito del commercio dell’oppio. La droga veniva clandestinamente
esportata dalla Cina, ma quando nel 1939 un funzionario imperiale fece sequestrare il carico di tutte le
navi straniere nel porto di Canton, il Governo inglese decise di intervenire militarmente. Dopo una guerra
durata due anni, gli Inglesi ebbero partita vinta. Col trattato di Nanchino del 1842 la Cina dovette cedere
all’Inghilterra Hong Kong ed aprire al commercio straniero altri quattro porti, fra cui Shangai.
Nel decennio ‘50 - ‘60, la Cina si trovò ad affrontare contemporaneamente una gravissima crisi interna
culminata nella ribellione contadina nota come rivolta dei Taiping, e un nuovo sfortunato incontro-scontro
con Inghilterra, ora aiutata dai Francesi. Il conflitto, chiamato impropriamente ‘seconda guerra
dell’oppio’, cominciò nel ‘56 in seguito all’attacco ad una nave inglese nel porto di Canton, e si concluse
nel ‘60 con una nuova sconfitta della Cina, costretta ad aprire al commercio straniero anche le vie fluviali
interne ed a stabilire normali rapporti diplomatici con gli Stati occidentali.
LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
La vittoria giapponese sulla Russia ebbe l’effetto di dare un poderoso impulso alle lotte nazionali dei
popoli asiatici. Fu soprattutto la Cina a subire in maniera determinante l’influsso del vicino Giappone.
Ormai screditata la dinastia Manciù, la strada era aperta per l’affermazione di un nuovo movimento di
ispirazione democratica ed occidentalizzante. Nel 1905 Sun Yat Sen fondò un’organizzazione segreta, il
Tung meng hui con un programma basato sui tre principi del popolo: indipendenza del popolo,
democrazia rappresentativa e benessere del popolo.
Invano la corte imperiale cercò di mettere in atto un limitato e tardivo programma di modernizzazione.
Nel 1911 la decisione del governo di affidare ad imprese straniere il controllo della rete ferroviaria ad
imprese straniere provocò una serie di sommosse e l’ammutinamento di parte dell’esercito. Nel 1912
un’assemblea rivoluzionaria dichiarava decaduta la dinastia Manciù ed eleggeva Sun Yat Sen alla
presidenza della Repubblica. Intanto, il generale Yuan Shi Kai, inviato dal governo di Pechino a domare
la rivolta, si schierò invece dalla parte dei repubblicani. Crollava così il più antico impero de mondo, ma
il fragile compromesso tra le forze democratiche del nuovo Partito nazionale, il Kuomintang ed i gruppi
conservatori, con a capo proprio Yuan Shi Kai, si ruppe in pochi mesi. Nel 1913, il nuovo presidente
sciolse il Parlamento appena eletto, mise fuori legge il Kuomintang, costrinse Sun Yat Sen all’esilio ed
instaurò una dittatura personale. Ma il regime autoritario imposto dal generale Yuan Shi Kai nel 1913,
due anni dopo la proclamazione della Repubblica, non riuscì ad assicurare unità, ma al contrario fece
precipitare la Cina in una situazione semianarchica.
La decisione di far intervenire la Cina nel conflitto mondiale nel ‘17 non servì a mutare la situazione, ma
anzi, la Cina fu umiliata dall’invasione giapponese. Questa ennesima umiliazione ebbe l’effetto di
risvegliare l’agitazione nazionalista attorno al Kuomintang ed al suo leader Sun Yat Sen, ormai tornato
dall’esilio. La lotta intrapresa contro il governo da Sun Yat Sen, che nel ‘21 formò un proprio governo a
Canton, ebbe così l’appoggio del Partito comunista cinese, fondato sempre nel ‘21 da Mao Tse-tung.
Anche l’Unione Sovietica sostenne attivamente la causa di Sun Yat-sen ed inviò aiuti economici e militari
al governo di Canton ed indusse addirittura il Partito comunista ad aderire in blocco al Kuomintang.
L’alleanza fra nazionalisti (Kuomintang) e comunisti non sopravvisse però alla morte, nel 1925, di Sun
Yat Sen, leader appunto dei nazionalisti. Il suo successore, Chang Kai-shek, era molto più diffidente nei
riguardi dei comunisti, I contrasti cominciarono nel ‘26 quando Chang Kai-shek iniziò la campagna per
scacciare il governo di Pechino riconosciuto dalle potenze occidentali. Nel 1927 le milizie operaie furono
sconfitte dalle truppe di Chang Kai-shek: insurrezioni operaie furono represse nel sangue ed il Partito
comunista fu messo fuori legge.
Dopo aver stroncato l’opposizione operaia ed aver condotto a termine vittoriosamente la lotta contro il
Governo di Pechino, Chang Kai-shek cercò di riorganizzare l’apparato statale secondo modelli
occidentali. Nel 1931 i Giapponesi invasero la Manciuria; l’inerzia manifestata dal governo di Chang Kaishek diede nuovo spazio all’azione dei comunisti. Decisiva si rivelò la strategia contadina impostata da
Mao Tse-tung. Costretto a combattere su due fronti, Chang Kai-shek decise di dare priorità alla lotta
contro i comunisti e lanciò, fra il ‘31 ed il ‘34. una serie di campagne militari contro le zone da loro
controllate. Scarsamente appoggiati dall’Urss, che tendeva invece a mantenere rapporti con la Repubblica
‘borghese’ di Chang Kai-shek, i comunisti dovettero evacuare la zona occupata e trasferirsi nella regione
dello Shantxi dopo una marcia durata circa un anno, la cosiddetta ‘lunga marcia’. Quando, nel ‘36, Chang
Kai-shek decise di lanciare una nuova campagna contro i comunisti, dovette scontrarsi con l’aperta
dissidenza dell’esercito, il quale chiedeva la fine della guerra civile e l’unione di tutte le forze nazionali
contro l’aggressione giapponese. Si giunse così, nel ‘37, ad un accordo fra comunisti e nazionalisti contro
l’imperialismo straniero.
La precaria alleanza fra comunisti di Mao e nazionalisti di Chang Kai-shek stretta nel ‘37 entrò in crisi
con lo scoppio della guerra nel Pacifico. A partire dal ‘41 il governo di Chang Kai-shek cominciò a
trascurare la lotta contro gli occupanti stranieri per prepararsi invece alla resa dei conti coi comunisti, i
quali, nei territori da loro controllati, non solo combatterono un’efficace guerriglia contro i Giapponesi,
ma seppero anche rafforzare i loro legami con le masse contadine e con i ceti medi, attuando ampie
riforme agrarie. A guerra terminata gli Stati Uniti cercarono di promuovere un nuovo accordo fra
comunisti e Kuomintang, ma Chang Kai-shek, che sapeva di contare comunque sull’appoggio degli
Americani, rifiutò ogni compromesso e lanciò contro i comunisti una campagna militare che, in un primo
tempo portò risultati positivi; ma i comunisti riuscirono a riorganizzarsi ed a contrattaccare, contando
sull’appoggio della popolazione contadina. Nel ‘48 le sorti della guerra si rovesciarono; le forze di Chang
Kai-shek cominciarono a disertare, mentre l‘esercito di Mao si rafforzava anche sul piano militare. Nel
‘49 i comunisti entrarono a Pechino; Chang Kai-shek fu costretto all’esilio, sotto protezione americana,
nell’isola di Taiwan.
Il 1 ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese, subito riconosciuta
dall’Urss ma non dagli Stati Uniti, che invece continuarono a considerare come legittimo il governo
cinese di Taiwan di Chang Kai-shek. Nel 1950 la Cina di Mao stipulò con l’Unione Sovietica un trattato
di amicizia e di mutua assistenza.
LA CINA DI MAO - CONTRASTI CON L’URSS E ‘RIVOLUZIONE CULTURALE’
Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, parallelamente allo stabilirsi di una coesistenza fra U.S. ed Urss, si venne
delineando un contrasto sempre più grave fra le due maggiori potenze comuniste: Urss e Cina. All’origine
della rottura c’era un intreccio di divergenze politico-ideologiche. Mentre l’Urss si proponeva come unico
leader in campo socialista, la Cina rivendicava maggior peso politico in peso internazionale. Nel corso
degli anni ‘50 la Cina comunista aveva progressivamente nazionalizzato i settori industriale e
commerciale ed allo stesso tempo si era impegnata attivamente nella collettivizzazione dell’agricoltura. Il
regime comunista aveva dapprima, con la riforma agraria del 1950, ridistribuito le terre fra i contadini,
creando così una miriade di piccole aziende agricole, quindi le aveva obbligate a riunirsi in cooperative
controllate dalle autorità statali.
;Mentre nel settore industriale si era ottenuta una crescita molto rapida, molto meno soddisfacenti erano
stati i risultati nel settore agricolo. Per promuovere in tempi brevi un rilancio della produzione agricola, la
dirigenza comunista varò nel 1958 una nuova strategia che fu definita ‘grande balzo in avanti’: le
cooperative furono forzatamente riunite in unità più grandi, le comuni popolari, ciascuna delle quali
doveva tendere all’autosufficienza economica. L’esperimento si risolse però in un colossale fallimento: la
produzione agricola crollò. Un’altra conseguenza gravissima fu l’inasprirsi della situazione con l’Urss. I
Sovietici nel ‘59 richiamarono i loro tecnici e rifiutarono qualsiasi assistenza alla Cina accusando i cinesi
di deviazionismo cercando di ottenere una solenne condanna del maoismo da parte dell’intero movimento
comunista internazionale. I Cinesi replicarono con accuse di imperialismo. Nel 1969 la tensione sarebbe
sfociata addirittura in episodici scontri armati lungo il fiume Ussuri. Il fallimento del ‘grande balzo in
avanti’ ebbe contraccolpi anche sul piano interno; Mao ricorse ad una forma di lotta inedita in un regime
comunista: avvalendosi dell’esercito mobilitò contro i suoi avversari le generazioni più giovani,
esortandole a ribellarsi contro i dirigenti ‘deviazionisti’. La mobilitazione culminò nel ‘68 nella cosiddetta
‘rivoluzione culturale’. Nelle scuole e nei luoghi di lavoro, gruppi di giovani guardie rosse misero sotto
accusa insegnanti e dirigenti politici. L’intento era quello di provocare un radicale mutamento nella
cultura e nella mentalità collettiva e di superare tutti gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione del
comunismo. Ma la rivoluzione culturale si esaurì nel giro di due anni, quanti erano necessari per eliminare
i dirigenti contrari alla linea maoista. A partire dal ‘68 lo stesso Mao cominciò a porre un freno al
movimento. Un ruolo importante in questa fase fu svolto da Chou En-lai, il più autorevole dopo Mao fra i
capi comunisti cinesi, che ricoprì ininterrottamente dal 1949 la carica di primo ministro. Fu proprio
Chuou En-lai ad avviare all’inizio degli anni ‘70 una linea di normalizzazione anche in campo
internazionale, resa necessaria dall’isolamento economico e diplomatico in cui il Paese si trovava. La
nuova linea si tradusse in una clamorosa apertura agli Stati Uniti nel ‘72 e dall’ammissione all’Onu della
Cina comunista.
LA CINA DOPO MAO
La fine degli anni ‘70 vide compiersi un processo di radicale revisione interna, simile a quello avviato in
Urss dopo la morte di Stalin. Artefice della demaoizzazione fu Deng Xiaoping. Nel giro di pochi anni,
Deng, capovolse la linea collettivista ed egualitaria di Mao e promosse una serie di profonde modifiche
nella gestione dell’economia: furono introdotte differenze salariali ed aumentati gli incentivi per i
lavoratori; fu incoraggiata l’importazione di tecnologia dai Paesi più sviluppati ed i contadini ebbero la
possibilità di vendere i prodotti sul mercato libero; erano stati introdotti in Cina i primi elementi di
economia di mercato occidentale.
FRANCIA
LA RIVOLUZIONE DEL 1848 - DALLA SECONDA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO
Come già accaduto nel 1830, anche i moti rivoluzionari del ‘48 ebbero il focolaio in Francia; il sistema
elettorale censitario, che limitava il voto solo a chi disponeva di un certo reddito cioè, e la limitata libertà
di associazione, si unirono alla situazione economica, civile e culturale della società, favorita sì dal
regime liberale ma proprio per questo sempre meno incline ai limiti oligarchici della politica del regime
ultramoderato di Filippo d’Orleans.
Si andò così coalizzando un vasto fronte di opposizione che andava dai liberali progressisti ai
democratici, dai bonapartisti ai socialisti: l’obbiettivo era il suffragio universale. Lo strumento utilizzato
per la protesta fu la cosiddetta campagna dei banchetti, riunioni svolte in forma privata che aggiravano i
limiti governativi sulla libertà di associazione e che consentivano ai capi dell’opposizione di tenersi in
contatto e di fare propaganda. Fu proprio la proibizione di un banchetto ad innescare la crisi
rivoluzionaria. Per impedirla il Governo ricorse alla Guardia Nazionale, il corpo volontario di cittadini
armati istituito nel 1789, espressione della borghesia, la quale però si unì ai rivoltanti. Il successivo
intervento dell’esercito rese impossibile qualsiasi soluzione di compromesso; Re Filippo d’Orleans fu
costretto a lasciare Parigi mentre veniva costituita la Repubblica ed annunciata la convocazione
dell’Assemblea costituente a suffragio universale.
I primi passi della Seconda Repubblica furono caratterizzati da una ripresa in grande stile del dibattito
politico. Fu abrogata ogni limitazione alla libertà di associazione e sorsero nuovi giornali. Fu abolita la
pena di morte per reati politici e rifiutata la proposta di sostituire al tricolore la bandiera rossa. Una secca
sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l’Assemblea costituente. Il suffragio
universale portò infatti alle urne un elettorato conservatore. Il Governo così sorto però emanò un decreto
con cui si obbligavano i disoccupati più giovani ad arruolarsi nell’esercito. Oltre cinquantamila popolani
scesero in piazza ma l’Assemblea costituente procedette con la repressione. Le tragiche giornate della
repressione segnarono una svolta decisiva nella Seconda Repubblica. Agli occhi della borghesia di tutta
Europa, la rivolta parigina portava l’incubo del comunismo. L’Assemblea costituente approvò allora la
nuova costituzione democratica, ispirata al modello statunitense: presidente della Repubblica eletto dal
popolo così come l’Assemblea. Alle elezioni presidenziali i repubblicani si presentarono separati e
prevalse l’ala conservatrice di Luigi Napoleone Bonaparte. Con la sua elezione si chiuse la Seconda
Repubblica.
La Francia di Napoleone III rappresentava un caso anomalo. Il secondo impero non apparteneva alla
categoria dei sistemi liberal-parlamentari ne ai regimi monarchici tradizionali. Questo nuovo regime
inaugurò un nuovo modello politico che fu detto bonapartismo : l’illusione della sovranità popolare
legittimava in realtà un potere fondato sulla forza delle armi. All’autoritarismo Napoleone III univa la
pratica del paternalismo e la ricerca del consenso popolare, verificato costantemente attraverso le elezioni
della Camera a suffragio universale. Le banche conobbero uno sviluppo senza precedenti così come le
costruzioni ferroviarie e le opere pubbliche. Un altro aspetto importante della cultura e della società del
Secondo impero fu quello che potremmo definire tecnocratico: la tendenza cioè ad affidare sempre
maggior potere ai tecnici ed a ravvisare nel trionfo della tecnica la via più sicura per la realizzazione del
bene comune.
La prima occasione per misurare le nuove ambizioni imperiali della Francia fu offerta dall’improvviso
riacutizzarsi, nel 1953, delle questioni d’Oriente; vi era l’aspirazione della Russia ad espandersi in
direzione del Mar Nero a discapito dell’Impero Turco. Nel 1953 la Russia aprì le ostilità contro i Turchi.
Agli Inglesi si unì Napoleone III mentre l’Austria optò per una rigida neutralità. Nel ‘54 una flotta anglofrancese penetrò nel Mar Nero e permise all’esercito alleato di sbarcare in Crimea; a loro si aggiunse poco
dopo l’esercito piemontese. Sebastopoli cadde nel 1955 e si andò alla conferenza di Parigi: L’impero
ottomano riottenne il controllo sui suoi territori mentre la Francia non guadagnò nulla di concreto.
L’appoggio ai movimenti nazionali che lottavano contro l’Austria rappresentò una direttiva fondamentale
nella politica estera del Secondo Impero. Nel 1858 Orsini tentò di assassinare Napoleone 3, il quale, a
sorpresa, rimase molto impressionato dal suo coraggio
e dalla sua richiesta d’aiuto contro gli Austriaci.
A Luglio dello stesso anno, Napoleone e Cavour si incontrarono segretamente a Plombières, stendendo i
punti principali di una futura alleanza. La Francia si impegnava a soccorrere i Piemontesi in caso che
l’Austria avesse attaccato, quindi solo in caso di difesa. L’obbiettivo primario, quindi, di Cavour, era
provocare gli Austriaci alla guerra, per creare così un regno dell’ Alta Italia che comprendeva Piemonte,
Veneto, Lombardia, Piacenza,Parma e la Romagna. Il 1859 l’alleanza fu ufficializzata sempre a
Plombières con il matrimonio tra Girolamo Bonaparte e Clotilde di Savoia. Per bloccare questa alleanza
Inghilterra e Russia si posero da mediatori, portando l’imperatore austriaco a porre un ultimatum ai
Savoia, ultimatum che prevedeva il totale smantellamento delle truppe piemontesi che si stavano
preparando per la guerra. Questo ultimatum pose così a Cavour la possibilità di una guerra difensiva
contro l’ Austria. Il 26 Aprile del 1859 l’ Austria, dopo il rifiuto piemontese, dichiarò guerra al Piemonte,
e il suo esercito varcò il confine del Ticino, mentre le truppe napoleoniche, guidate dallo stesso
imperatore, valicavano le Alpi.
La seconda guerra d’indipendenza era così nettamente a favore dei franco-piemontesi, non solo per la
notevole forza dei loro eserciti, ma anche e soprattutto per gli errori austriaci e per gli aiuti dei volontari
guidati da Garibaldi.
Gli Austriaci si ritirarono così a Milano, rimanendo però sconfitti in giugno, quando in città entrarono
vittoriosi
Vittorio Emanuele 2 e Napoleone 3. La mobilitazione della Prussia per soccorrere l’ Austria, portò la
Francia al rischio di una guerra sulla frontiera del Reno. Tale rischio portò Napoleone 3 a concludere, all’
insaputa di Cavour, un armistizio ( di Villafranca ) con l’ Austria. Sul piano interno, lo scontro con
l’Austria determinò un contrasto fra l’Imperatore ed i gruppi cattolico-conservatori nonché il crollo del
secondo impero.
LA TERZA REPUBBLICA
Bismarck, intanto, procedeva nel suo piano, passando alla successiva tappa che prevedeva il conflitto con
la Francia di Napoleone 3. Questa tappa era l’ ultima per il raggiungimento dell’ unità territoriale, in
quanto fra le due nazione c’ era un accordo del 1866 che portò i Francesi sino alle rive del Meno ( vicino
a Francoforte ).
Il pretesto per la guerra fu trovato con la successione al trono di Spagna ;
Bismarck, provocatoriamente, propose la candidatura di Leopoldo, capo del ramo cattolico, che suscitò l’
ira della Francia e lo scoppio della guerra. L’ Italia rifiutò l’ alleanza con Napoleone aspettando il
momento buono per conquistare Roma ( protetta da Napoleone stesso ), e l’ Austria ripagò i francesi
ancora una volta con la neutralità ( nell’ ordine sono : 1854 Austria, 1866 Francia e 1870 Austria ). Nel
1870 la Francia subì una rovinosa sconfitta e lo stesso Napoleone 3 fu catturato.
Nel 1871, stretta d’ assedio, Parigi cadde, ed il 18 gennaio dello stesso anno, a Versailles i tedeschi
proclamarono Guglielmo I imperatore del nuovo Impero federale germanico.
Thiers, il capo del governo francese firmò la pace di Francoforte ; questa prevedeva la cessione della
Francia alla Germania delle regioni dell’ Alsazia e della Lorena, e prevedeva un indennizzo di guerra pari
a 5 miliardi di franchi d’ oro. Il 18 marzo del 1871 Parigi scoppiò in rivolta ; era la quarta volta dopo
quella del 1789/95, luglio 1830 e del 1848.
Le elezioni del 1871 avevano espresso una maggioranza moderata guidata da Theirs, con evidente ritorno
alla monarchia. Il governo rivoluzionario della comune di Parigi ( il municipio ), provò ad attuare il primo
esempio di autogoverno del popolo : unificazione dei poteri legislativo ed esecutivo, controllo della
magistratura, eleggibilità e revocabilità dei funzionari pubblici, soppressione dell’ esercito a favore di una
milizia volontaria.
La repressione della Comune da parte del governo do Thiers fu durissima e nella settimana di sangue
21/28 maggio 1871, portò alla morte di 20.000 cittadini.
Nel 1873 la maggioranza legittimista dell’ Assemblea costringeva Thiers alle dimissioni, affidando il
potere al generale Mac Mahon.Questo avrebbe dovuto aprire la strada per la salita al trono del nipote di
Carlo 10.
L’ insistenza di un ripristino della sovranità portò all’ unione di un nuovo filone composto da orleanisti,
bonapartisti e repubblicani, che rese impossibile il ritorno alla monarchia, e così il 2 febbraio del 1875 fu,
per un voto, accolta la Terza Repubblica. Il potere legislativo era affidato ad una Camera eletta a suffragio
universale, e ad un Senato, i cui rappresentanti erano votati nei vari dipartimenti in numero uguale.
Primo presidente fu Mac Mahon, che tese a dare un ruolo fortemente autoritario ; dopo avercostretto alle
dimissioni il ministero progressista di Simon, sciolse le Camere nel 1877 ed andò vicino al colpo di Stato.
Le elezioni del 1877 riportarono, però, alla formazione di maggioranze repubblicane. In Francia prevalse
la guida dei moderati, il cui leader, Ferry, rimase alla guida del governo dal 1879 al 1885.
Il Paese conobbe in quell’ arco di tempo un importante periodo di assestamento della sua vita politica e
sociale ( ci fu l’ approvazione delle leggi dell’ insegnamento ).
Nacque così sotto il governo Ferry la Terza Repubblica, che portò subito alla variazione di leggi sul diritto
di stampa e di associazione, sull’ elezione dei sindaci da parte dei consigli municipali e leggi sulla
completa eleggibilità del Senato, fino ad allora rappresentato in larga misura da nominati del governo.
L’ avversario diretto di questa democratizzazione era la Chiesa, che con le nuove leggi sull’ istruzione
vedeva ridursi i propri poteri nell’ organizzazione della società. L’adozione di un nuovo sistema
elettorale, nel quale i candidati erano inseriti in liste, aumentarono i radicali di Clemancaeu.
In questo clima di confusione sfumò il colpo di Stato del generale Boulanger, ministro della Guerra nel
1886, che aspirava ad un ritorno del governo alle tradizioni bonapartiste. Nasceva intanto un nuovo partito
socialista, che si presentava come una via di mezzo tra il gruppo di intransigenti di Guesde e quello
favorevole alla collaborazione coi partiti borghesi di Brousse. Appariva perciò necessario un immediato
rafforzamento del potere radicale per contrastare il neonato, ma già fortissimo, Partito Socialista. L’
evento che maggiormente contribuì al fissaggio dei caratteri democratici della Terza Repubblica fu l’
affare Dreyfus ; Dreyfus, capitano dell’ esercito di origini ebraiche, fu, nel 1894, accusato di spionaggio a
favore della Germania, così venne deportato all’ esilio in Guinea.
Le elezioni del 1899, portarono al Governo una maggioranza composta dall’ alleanza tra socialisti,
radicali e repubblicani moderati, che consentì la formazione di un ministero radical-socialista guidato dal
radicale Rousseau, e presto appoggiato dal socialista Millerand. Tra il 1902 e il 1905 furono stabiliti da
Combes il divieto di insegnamento per le congregazioni religiose, molte delle quali furono anche sciolte, e
l’ espropriazione di beni ed edifici di proprietà della Chiesa.
COLONIALISMO (vedi eventi chiave)
LA PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
IL DOPOGUERRA IN FRANCIA - QUARTA E QUINTA REPUBBLICA
Nel 1958 la Francia si trovò di fronte al fallimento della Costituzione del 1946. I costituenti avevano
ipotizzato che dopo la designazione del Capo dello Stato, avesse luogo l’investitura del Presidente del
Consiglio a cui sarebbe poi succeduta la nomina del Capo del Governo e dei ministri. In realtà il gabinetto
veniva costituito in connessione con la fiducia al Presidente del Consiglio senza una vera distinzione di
fasi. Nel 1954 si decise che l’investitura avvenisse facendo conoscere all’Assemblea nazionale la lista dei
ministri, il che indeboliva il premier e rafforzava i singoli partiti. De Gaulle aveva sottolineato i limiti
della Costituzione della IV Repubblica ed ottenne un cambiamento della procedura revisionale della
Costituzione stessa. Da De Gaulle scaturì un testo complesso che risponde a tre ispirazioni distinte e
sovrapposte: quella risalente a De Gaulle stesso, ovvero l’idea di un Presidente della Repubblica scelto da
un più ampio Parlamento dotato di vasti poteri (il Presidente non il Parlamento...) come quello di nomina
del Primo Ministro, dei ministri, nonché della presidenza della riunioni del consiglio dei ministri e di
potere di scioglimento delle Camere e per finire il potere di sottoporre a referendum popolare ogni
progetto di legge relativo a pubblici poteri. Possiede, tra l’altro, ampie competenze sulla politica estera e
militare, nonché poteri eccezionali in caso di crisi e di veto sospensivo sulle leggi.
Vi è poi l’ispirazione legata alle idee di Debré: stretta regolamentazione dei lavori parlamentari e
rafforzamento dei poteri normativi del Governo, il quale dirige la politica nazionale e che è incentrato
sulla figura del premier.
Infine vi è l’ispirazione dovuta a ministri non gaullisti del ‘Governo De Gaulle’: regolamentazione della
questione di sfiducia per la quale si richiede un’apposita mozione da parte di un decimo dei deputati e
l’approvazione a maggioranza assoluta dei membri dell’assemblea. All’evoluzione del sistema
contribuirono due scelte di De Gaulle: quella del 1958 del sistema maggioritario uninominale a doppio
turno, e quella del ‘62 di introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica modificando la
Costituzione. L’intento di De Gaulle di utilizzare il potere dei referendum, un potere ritenuto non
applicabile alla revisione costituzionale, fece sì che si verificasse la procedura della mozione di censura. Il
Governo Pompidou fu battuto proprio a causa della volontà di procedere al referendum per l’elezione
diretta ; iniziò così la prima fase della V Repubblica tutta incentrata sul Presidente, vero capo della
maggioranza, con un Primo Ministro che era esecutore del suo indirizzo politico. Nel 1986, che vide
prevalere una maggioranza di centro-destra, si è potuta registrare la seconda interpretazione della
Costituzione: è il Primo ministro il perno del sistema perché dispone lui di una maggioranza
parlamentare. Il Presidente poté difendere il classico ambito riservato del potere estero e militare fino a
mettere il veto sulle proposte iniziali per le cariche di Ministro della difesa e degli esteri. In politica
interna il potere del Capo dello Stato si riduce: non può incidere sulla scrittura del testo, ma conserva il
non irrilevante potere di rifiutare la controfirma, da non confondere però, col diritto di veto.
Con l’elezione di Mitterand nell’88 si ebbe un nuovo scioglimento anticipato ed una maggioranza
socialista relativa. Con la schiacciante vittoria, però, del centro-destra nel ‘93, la seconda ‘coabitazione’ si
aprì in un rapporto molto diverso dalla prima. Il centro-destra vincolò il Presidente sia sulla scelta del
Primo Ministro, sia sull’intera composizione del Governo; il nuovo Primo Ministro si impose in materia
di politica estera e militare, ora condiviso col Presidente. L’elezione presidenziale del 1995 di Chirac ha
portato ad una terza coabitazione.
GERMANIA
LA RIVOLUZIONE DEL 1848
La rivoluzione scoppiata a Berlino nel 1848 ebbe una dinamica identica a quella parigina. Il re Federico
Guglielmo IV di Prussia fu costretto a concedere la libertà di stampa e a convocare un Parlamento
prussiano. Era scaturita la richiesta di un’Assemblea costituente rappresentante tutti gli stati tedeschi,
Austria compresa. Un preparlamento stabilì che la Costituente tedesca sarebbe stata eletta a suffragio
universale ed avrebbe avuto la sua sede a Francoforte. Fu chiaro però fin da subito che la Costituente di
Francoforte non aveva la forza necessaria per imporsi ai sovrani tedeschi ne per avviare un processo di
unificazione tedesca. In Prussia, il movimento liberaldemocratico conobbe un rapido declino ed il re
Guglielmo IV si servì del forte nazionalismo per sciogliere il Parlamento prussiano e per emanare una
Costituzione assai poco liberale. Intanto i lavori della costituente di Francoforte erano quasi esauriti;
rimaneva attrito su una questione, quella fra ‘grandi tedeschi’ e ‘piccoli tedeschi’. I primi volevano tutti
gli stati germanici intorno all’Austria imperiale, i secondi uno Stato nazionale compatto attorno al forte
nucleo prussiano. Prevalse la seconda teoria, ma quando nel 1849 una delegazione dell’Assemblea si recò
a Berlino per offrire al re di Prussia la corona, questi la rifiutò in quanto offerta da un’assemblea popolare
rivoluzionaria. Il rifiuto di Guglielmo IV segnò la fine della Costituente di Francoforte e lo scioglimento
dell’Assemblea.
BISMARCK - L’UNITA’ TEDESCA
Ad avviare l’unione fu Otto von Bismarck, il quale poté contare soprattutto sull’espansione di idee liberali
sui modelli francesi ed inglesi.
L’ ascesa al potere di questo esponente della classe agraria prussiana (junkers) era stata fortemente voluta
dal nuovo re di Prussia Guglielmo I, per sbloccare la delicata situazione col Parlamento, che si rifiutava di
approvare la nuova riforma militare che prevedeva la leva obbligatoria triennale.
Questa riforma, naturalmente, prevedeva un’imminente ripresa di politica estera, questa volta mirata ad
annientare l’Austria dalla scena politica tedesca.
Dopo un accordo (1864), la guerra scoppiò nel 1866; la Prussia poté contare sulla neutralità francese
( l’Austria si era dichiarata neutrale quando la Francia era in guerra con la Russia...), sull’ alleanza con
l’Italia e sul suo potentissimo esercito, tanto che lo scontro venne definito guerra-lampo, in quanto ebbe
una durata di poco superiore ad un mese.
Nell agosto del 1866, così, ci fu la pace di Praga ; questa portava sotto la Prussia l’Hannover, l’Assia, il
Nassau e Francoforte, ma soprattutto obbligava gli Asburgo ad uscire dalla vecchia confederazione
tedesca, e ad accettare una nuova riorganizzazione del territorio tedesco : La Prussia avrebbe guidato la
Confederazione Nord, l’Austria quella meridionale, confederazione Sud che si alleò subito con la Prussia.
Così rafforzato, Bismarck poté procedere nel suo piano, passando alla successiva tappa che prevedeva il
conflitto con la Francia di Napoleone 3. Questa tappa era l’ ultima per il raggiungimento dell’ unità
territoriale, in quanto fra le due nazione c’ era un accordo del 1866 che portò i Francesi sino alle rive del
Meno ( vicino a Francoforte ).
Il pretesto per la guerra fu trovato con la successione al trono di Spagna ;
Bismarck, provocatoriamente, propose la candidatura di Leopoldo, capo del ramo cattolico, che suscitò
l’ira della Francia e lo scoppio della guerra. L’Italia rifiutò l’alleanza con Napoleone aspettando il
momento buono per conquistare Roma ( protetta da Napoleone stesso ), e l’Austria ripagò i francesi
ancora una volta con la neutralità ( nell’ ordine sono: 1854 Austria, 1866 Francia e 1870 Austria). Nel
1870 la Francia subì una rovinosa sconfitta e lo stesso Napoleone 3 fu catturato.
Nel 1871, stretta d assedio Parigi cadde, ed il 18 gennaio dello stesso anno, a Versailles i tedeschi
proclamarono Guglielmo I imperatore del nuovo Impero federale germanico.
Thier, il capo del governo francese firmò la pace di Francoforte ; questa prevedeva la cessione della
Francia alla Germania delle regioni dell’ Alsazia e della Lorena, e prevedeva un indennizzo di guerra pari
a 5 miliardi di franchi d’ oro. Nel 1873 ci fu l’ alleanza dei tre imperatori, grazie all’ iniziativa di
Bismarck,che legava così gli imperi nordici di Germania, Austria e Russia, ed isolava così la Francia per
la quale sarebbe stata impensabile un’ intesa con l’ Inghilterra
a causa delle rivalità coloniale.
Questo accordo comunque non faceva chiarezza ai problemi balcanici;
La situazione maturò tra il 1875 e il 1876 per effetto delle insurrezioni di Bosnia, Erzegovina, Serbia e
Bulgaria.
La repressione del sultano turco fu denunciata da Gladstone al Parlamento inglese, ma tuttavia
l’Inghilterra esitava per non avvanteggiare i piani Russi, che tra l’altro assunsero le difese degli Stati
ortodossi oppressi.
La guerra russo - turca si concluse inevitabilmente con la vittoria dell’ esercito zarista, che portò alla pace
di Santo Stefano : mentre la Russia occupava direttamente la Bessarabia, veniva creata una grande
Bulgaria.
Fu allora che la flotta inglese minacciò di intervenire, così a Bismarck toccò il ruolo di mediatore,
portando i contendenti al Congresso di Berlino del 1878, congresso che ribaltava completamente gli esiti
della paca russa-turca.
La bulgaria fu ridimensionata, gran parte dei territori balcanici tornarono sotto gli Ottomani, la Bosnia e l’
Erzegovina passavano sotto la protezione diretta dell’ Austria. Alla Russia restava solo la Bassarabia,
mentre gli Inglesi si
" accontentarono " dell’ isola di Cipro.
In definitiva, la Russia, che aveva vinto la guerra, era quella che aveva guadagnato di meno.
A partire da questo Congresso, la Francia repubblicana e la Russia autocratica si riavvicinarono.
Questo riavvicinamento era, però, proprio quello che Bismarck voleva evitare, ovvero una duplice
minaccia da est e da ovest.
LA GERMANIA DI BISMARCK
La costituzione dell’Impero tedesco del 1871, seppur fondata su caratteri liberali, ne era solo parzialmente
improntata ;
Anche se il Parlamento era eletto a suffragio universale, alcuni meccanismi elettorali, la divisione per ceti,
circoscrivevano ancora la potenzialità democratica di questo suffragio universale.
Il Governo era allora suddiviso in due filoni : uno delle grandi famiglie proprietarie prussiane legava i
conservatori col partito dell’ Impero, mentre l’ altro filone politico, quello nazional-liberale, era dalla
parte di Bismarck.
La prima mossa di Bismarck per ottenere il consolidamento fu la lotta col Partito di Centro ; questo infatti
dominava i territori meridionali che Bismarck sperava di unire al proprio filone, ma questi territori erano
conservatori dei Parlamenti locali e contavano prevalentemente sulla Chiesa.
La lotta che Bismarck condusse, quindi, fu proprio contro la Chiesa cattolica, lotta che prese il nome di "
lotta per la civiltà ", e che mirava, dunque, a sottrarre una parte rilevante della borghesia tedesca all’
influenza del Papato romano, estraneo dal realizzare un blocco di forze sociali moderne ma centraliste, su
cui fare perno per lo sviluppo economico e politico della Germania.
Nel 1873, Bismarck avviò così la sua politica anti ecclesiastica, ma, il successo ottenuto nel 1874 dal
Centro con ben 94 seggi, schiacciò totalmente Bismarck ed i suoi progetti.
Nel 1875, col Congresso di Gotha, nacque il partito Socialdemocratico tedesco, che si proponeva la tutela
dei diritti dei lavoratori.
Nel 1879 il Governo approvò quindi la riforma sull’abolizione del liberoscambismo ( in Inghilterra ci fu
tra il 1884 e il 1889 ) e si passò al protezionismo del mercato interno, con l’ accordo degli imprenditori di
non ostilità fra loro.
Per contrastare le crescenti dimensioni del nuovo partito socialista, Bismarck riuscì a fare approvare in
Parlamento una serie di incredibili provvedimenti contro i socildemocratici, provvedimenti che vietavano
associazioni tendenti a mutare l’ ordine sociale e proibivano la stampa di orientamento socialista.
Nel 1884 e nel 1889 vennero rispettivamente approvate leggi sui fondi assicurativi per malattie ed
infortuni e imposte per l’ assicurazione per la vecchiaia.
Nel 1891, col Congresso di Erfurt, venne approvato un ordine del giorno di Kausky, che indicava come
principale obbiettivo della socialdemocrazia, la crescita politica ed elettorale per giungere ad un diretto
controllo delle istituzioni.
Lo sviluppo economico si fondò soprattutto sulla siderurgia, l’elettricità e sulla chimica ; furono proprio
questi crescenti progressi nello sviluppo che determinarono il declino della politica di Bismarck.
Il primo segnale si ebbe in politica estera, quando dopo che Bismarck ottenne una nuova Triplice
Alleanza con Austria e Russia ed un accordo segreto con la stessa Russia contro la Francia ( 1887 ), sul
trono salì Guglielmo 2 che detestava completamente l’ ormai vecchio cancelliere.
Nel 1890 Bismarck rassegnò le dimissioni ma nuovo orientamento tedesco, fece concludere però un
accordo tra lo Zar Alessandro 3 e la Francia nel 1893 ( la Russia quindi, cancellava in un certo senso il
trattato segreto con la Germania del 1887).
Sul piano politico, la Germania si trovava ora nella situazione che Bismarck era sempre riuscito ad
evitare, ovvero accerchiata da est e da ovest.
COLONIALISMO (vedi eventi chiave)
PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
DA WEIMAR AL NAZISMO
La fine della guerra aveva portato in Germania forti agitazioni popolari e la creazione di consigli di
lavoratori e soldati. Nel 1917 si creò la Lega di Spartaco di Kautsky, che raccoglieva i Socialdemocratici
indipendenti contrapposti al vecchio partito socialdemocratico tedesco.
La repressione di quest’ultimo delle agitazioni operaie organizzate dal primo, portò il vecchio partito
guida tedesco ad orientamenti in parte della destra nazionalista e all’utilizzo dei corpi franchi, corpi
militari. Il culmine di queste repressioni fu a Berlino nel 1919 durante l’insurrezione spartachista ;
l’episodio fu chiamato settimana di sangue.
Intanto le elezioni mostrarono l’impossibilità di un governo affidato unicamente ai socialdemocratici, così
si venne formando una coalizione tra Spd, centro e liberali. Nel 1919 a Weimar, sede del Parlamento, fu
dichiarata la nascita della nuova Repubblica e fu stilata la nuova costituzione basata sul suffragio
universale.
La politica interna comunque presentava forti contrasti : da una parte vi era la spaccatura tra comunisti e
socialdemocratici, nella destra invece era nata la convinzione che la sconfitta in guerra era dovuta alle
agitazioni operaie.
Si assistette così ad una serie interminabile di assassini politici e colpi di stato.
La fine della guerra sancita con l’armistizio del 9-11-18 e l’abdicazione dell’imperatore, avvennero in un
clima di generale disgregazione del vecchio ordine sociale e politico.
In tutta la Germania nacquero consigli di operai e di soldati - i soviet - che esercitarono funzioni di
governo.
Sulla scena politica agivano tre gruppi socialisti :
1. I socialdemocratici ( SPD )
2. I Socialisti indipendenti ( VSPD )
3. La Lega di Spartaco
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I socialdemocratici erano i più moderati ; nel loro programma era previsto che fossero sciolti i
soviet e fosse eletta, a suffragio universale, un’assemblea nazionale per dare una costituzione alla
Germania.
I socialisti indipendenti si proponevano di non sciogliere i soviet, ma di riservare loro solo una
funzione di semplice collaborazione con l’assemblea nazionale.
La Lega di Spartaco, guidata da Karl Liebknecht, considerava fondamentale il ruolo dei soviet e si
batteva per l’instaurazione della repubblica socialista. Rifiutava il sistema parlamentare e
propugnava l’azione rivoluzionaria che doveva essere realizzata con la partecipazione consapevole
delle masse.
Fu formato un governo provvisorio di cui fecero parte i socialdemocratici e i socialisti indipendenti ; gli
spartachisti passarono all’opposizione.
La situazione politica tedesca fu caratterizzata dalla netta divisione all’interno del movimento socialista
che sfociò in una violenta repressione dell’estrema sinistra da parte del governo socialdemocratico.
Furono poi soffocati nel sangue gli scioperi scoppiati a Berlino e fu eliminata dai < corpi franchi > la
Repubblica dei soviet, che era stata proclamata in Baviera.
Nel 1919 si insediò l’Assemblea nazionale, eletta a suffragio universale, che approvò la Nuova
Costituzione della Repubblica.
La Repubblica fu detta di Weimar, dal nome della città in cui era stata fissata la sede dell’assemblea
nazionale. La Repubblica di Weimar ebbe come presidente il socialdemocratico Ebert.
La situazione economica
Dal 1921 al 1923 la situazione economica si fece disastrosa a causa di un’inflazione che fece perdere
rapidamente valore al marco tedesco.
Le cause dell’inflazione tedesca vanno ricercate nei gravosi impegni di spesa per la guerra, nelle sanzioni
da pagare ai vincitori, nelle difficoltà dell’apparato produttivo tedesco dopo la guerra - privato della Saar nella crisi dei rapporti commerciali internazionali.
Gli effetti della crisi furono particolarmente gravi per i ceti medi, che videro gravemente compromessi i
loro redditi fissi e il potere d’acquisto degli stipendi.
Anche gli operai subirono gli effetti negativi dell’inflazione, ma riuscirono a limitarli in parte perché
erano organizzati sindacalmente e potevano avanzare rivendicazioni economiche in modo da attenuare la
perdita di valore dei salari.
L’inflazione arrecò invece vantaggi ai proprietari di immobili e soprattutto agli industriali che poterono
vendere i loro prodotti all’estero con maggiore facilità e poterono pagare i debiti con una moneta ormai
deprezzata.
Nei confronti della Germania i paesi vincitori ebbero atteggiamenti diversi.
La Francia puntava all’annientamento della potenza industriale tedesca e all’utilizzazione delle riparazioni
di guerra per pagare i propri debiti contratti con gli USA.
Inghilterra e Stati Uniti propendevano invece per una ripresa economica della Germania, che sarebbe
potuto diventare perciò l’elemento cardine per isolare la Russia comunista.
Nel 1923 la situazione economica tedesca appariva talmente compromessa che fu evidente la necessità di
urgenti interventi risanatori.
Venne così applicato il piano Dawles che prevedeva facilitazioni nel pagamento delle riparazioni e
massicci finanziamenti per l’economia tedesca.
Hitler al potere
Questo processo di crescita economica e di stabilizzazione politica si sarebbe interrotto bruscamente con
la crisi del 1929 che avrebbe avuto come sbocco politico la presa di potere da parte di Hitler.
Hitler fonda il Partito Nazional Socialista e nel 1921 costituì le S.A. - Sturm abteilungen = sezioni
d’assalto -, un’organizzazione paramilitare da impiegare contro le forze della sinistra.
Nel 1923 tentò un colpo di stato a Monaco che fallì ; durante la carcerazione si occupò del suo libro Mein
Kampf. Uscì di prigione nel 1925 e si dedicò a riorganizzare il partito, che aveva ancora un peso politico
irrilevante.La travolgente crescita del partito di Hitler, il nazionalsocialista, è legata alla grande crisi
economica del ’29 ; i partiti politici più forti della Repubblica di Weimar, infatti, ossia il Partito
socialdemocratico e quello cattolico, non seppero reggere all’urto della crisi economica. Nelle elezioni del
1930 il Partito nazionalsocialista ottenne il 18 % dei voti.
Nelle nuove elezioni del ’32 il nazismo era riuscito a conquistare il consenso elettorale di gran parte dei
disoccupati e della piccola borghesia, nonché degli operai.
Nel gennaio del 1933, il presidente Hindenburg affidò ad Hitler l’incarico di formare il nuovo governo.
Nell’arco di pochi mesi Hitler riuscì a organizzare il nuovo Stato tedesco, che ebbe il nome di Terzo
Reich.
Sciolto il Parlamento, le elezioni furono indette per il 5 marzo. furono chiusi dai nazisti numerosi giornali,
furono date istruzioni alla forza pubblica di non ostacolare le S.A., che intensificarono le loro azioni
contro gli avversari politici.
Nelle elezioni, la destra, egemonizzata dai nazisti, ottenne una tanto schiacciante quanto scontata vittoria.
Poco dopo le S.A. occuparono tutte le sedi sindacali e ne arrestarono i dirigenti ; i sindacati furono
sostituiti dal Fronte del lavoro, un’organizzazione di tipo corporativo.
Nel mese di giugno fu sciolto il partito socialdemocratico, mentre quello cattolico si sciolse
spontaneamente. La Chiesa cattolica infatti aveva stipulato un Concordato con il nuovo regime, riuscendo
così a mantenere la propria autonomia di culto, ma dovette rinunciare ad ogni forma di impegno sindacale
e politico dei cattolici.
Hitler conquistò rapidamente e conservò saldamente il potere, facendo leva su una serie di spinte e di
esigenze presenti nella società tedesca :
1.
2.
3.
4.
Si era fortemente opposto alla classe governativa considerata da molti Tedeschi come incapace
Aveva eliminato ogni forma di conflittualità sociale
Aveva attaccato ed eliminato le organizzazioni dei lavoratori
Aveva esaltato le aspirazioni nazionalistiche ed imperialistiche, in particolare negli ambienti
militari
5. Era riuscito a contrastare efficacemente gli effetti portati dalla crisi del ’29
6. Aveva attuato un eccezionale piano di investimenti statali per gli armamenti e per le opere
pubbliche
7. Aveva astutamente saputo approfittare del drastico calo dei prezzi delle materie prime sui mercati
internazionali, devastati dalla Grande Crisi.
Il regime nazista
Il mito della superiorità della razza ariana è un elemento fondamentale della storia dello Stato nazista;
l’organizzazione dello Stato aveva infatti come fine la conservazione e l’affermazione della razza
superiore.
Ne derivava la legittimazione della costituzione di un apparato totalitario. LA teoria della superiorità e
della purezza della razza giustificò la persecuzione contro gli ebrei, che con le leggi di Norimberga del
1935, furono esclusi dal diritto di voto, dalle cariche pubbliche, dall’esercizio delle libere professioni e
del commercio, sino a giungere alle deportazioni di massa e allo sterminio.
Il regime seppe sfruttare le moderne tecniche di propaganda e di comunicazione per coltivare l’adesione
della popolazione tedesca all’ideologia nazista.
Ogni forma di opposizione fu neutralizzata ; per eliminare gli avversari del regime, era stata allestita una
serie di strumenti di repressione e indagine, come la Gestapo, potente polizia politica, le SS, truppe
sceltissime, i campi di concentramento.
Nella notte del 3/6/34, la cosiddetta notte di lunghi coltelli, le SS furono impegnate per massacrare le SA.
Appartenevano a quest’ultima quegli esponenti del partito nazista che volevano un più radicale
cambiamento della società tedesca e puntavano ad eliminare il capitalismo privato.
La soppressione di quest’ala nazista fu necessaria per rassicurare la borghesia capitalistica.
Nel 1934 Hindenburg morì e la carica di presidente venne assunta da Hitler.
La politica estera di Hitler
L’ascesa di Hitler e la costruzione del regime nazista non furono correttamente valutati dagli Stati europei
che non seppero contrastare i rischi di un nuovo conflitto che incautamente veniva favorito.
Hitler riuscì così ad inserirsi nel gioco diplomatico internazionale e a svolgervi un ruolo di primo piano.
Nel 1933 stipulò un patto con Inghilterra, Francia e Italia, finalizzato a mantenere la pace. Nel ’34 firmò
un patto di non aggressione con la Polonia in funzione anti-russa.
Favorì poi il tentativo dei nazisti austriaci di annettere l’Austria al Reich tedesco, lAnschluss, atto proibito
dal trattato di Versailles col quale si era conclusa la Prima guerra mondiale.
Nel ’35, violando il trattato di pace, introdusse la leva obbligatoria portando l’esercito ad un potenziale
cinque volte maggiore del precedente. Stipulò quindi, lo stesso anno, un accordo con l’Inghilterra che le
permise di ricostruire la flotta militare. Nel ’38, stretti i rapporti con l’Italia, riuscirà poi a realizzare
l’Anschluss e stringerà l’asse Berlino - Roma.
La guerra in Spagna
L’occasione di misurare la propria forza fu fornita la nazifascismo dalla guerra civile spagnola ;
in Portogallo era stata adottata una costituzione repubblicana nel 1910. Nel 1926 i contrasti interni
sfociarono nel colpo di stato militare di Oliveira.
In Spagna la lotta politica cedette il posto ad una lunga e sanguinosa guerra civile.
In questo paese agiva un forte movimento anarchico, con un suo sindacato : si stava diffondendo un
movimento democratico - repubblicano.
Nel 1931 cadde il governo di carattere dittatoriale di Primo de Riveira. La Repubblica spagnola appena
nata dovette affrontare una difficilissima situazione economica che provocò la crescita della
disoccupazione e un’aspra opposizione politica.
Il governo avviò così una riforma agraria e la concessione dell’autonomia alla Catalogna ; però questa
compagine governativa non seppe impostare una politica efficace per arginare la crisi economica e così,
nel ’34 scoppiarono moti operai che diedero vita al cosiddetto ottobre spagnolo, poiché il governo diede
vita ad una sanguinosa repressione da parte dell’esercito guidato da Francisco Franco.
A ciò si aggiunsero ben presto gli atti di terrorismo della destra e la ribellione delle guarnigioni militari.
Alla testa della ribellione dei militari si pose sempre il generale Franco, il che provocò, da parte del
governo repubblicano, prima il tentativo di controllo della rivolta, quindi la scissione dell’esercito con la
distribuzione di armi al popolo ; ebbe inizio in tal modo la guerra civile.
Le forze di destra guidate da Francisco Franco ricevettero cospicui aiuti da parte del regime fascista e
nazista.
L’Italia e la Germania riconobbero infatti che i rispettivi interessi in buona parte coincidevano tanto da
creare l’asse Roma - Berlino.
L’Inghilterra, coi conservatori al governo, voleva evitare ogni motivo di contrasto nei rapporti
internazionali e perciò si astenne da ogni forma di intervento.
Anche la Francia non fornì alcun aiuto alla Repubblica spagnola, come del resto fecero gli Stati Uniti.
L’Unione Sovietica invece, non solo fornì armi e denaro, ma favorì anche l’intervento di volontari europei
a favore della repubblica spagnol.
Con questo intervento l’URSS si proponeva di contrastare l’avanzata fascista in Europa e di riavvicinarsi
agli Stati democratici occidentali.
Le formazioni volontarie che combatterono in Spagna erano fortemente indirizzate verso il comunismo ;
ciò ebbe come conseguenza la crescita dell’influenza del Partito comunista spagnolo all’interno del Fronte
popolare.
Sorgono comunque conflitti all’interno dello schieramento di Sinistra ; i comunisti sostennero infatti la
necessità di raccogliere tutte le forze repubblicane sotto la direzione unitaria e ritenevano che per
realizzare tale coordinamento fosse necessario ricostruire l’apparato statale spagnolo.
Queste posizioni non erano condivise dagli anarchici che furono favorevoli invece, alle esperienze di
collettivizzazione di terre e di fabbriche, che furono fatte in quel periodo, spesso di spontanea iniziativa
popolare.
I contrasti sfociarono in scontri e rappresaglie ; si ha quindi una guerra civile nella guerra civile.
Dall’altra parte dello schieramento i ribelli, guidati da Francisco Franco, poterono contare sugli aiuti
finanziari e militari di Italia e Germania, sul deciso sostegno della gerarchia ecclesiastica e su una
sostanziale unità interna. Tutte le divisioni interne alla destra erano state, infatti, eliminate e si era creata
una struttura organizzativa unica, la Falange Nazionalista.
La guerra civile durò tre anni e si concluse nel 1939 con la caduta di Madrid, ed ebbe inizio la dittatura di
Francisco Franco ; moltissimi antifascisti furono uccisi, altri imprigionati o costretti all’esilio.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
LA GUERRA FREDDA - DA POSTDAM ALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO (vedi anche
eventi chiave)
Il più importante terreno di scontro del dopoguerra fu la questione della Germani, divisa in quattro zone
d’occupazione (americana, inglese, francese e russa). Berlino, che si trovava nella zona di occupazione
russa fu anch’essa divisa in quattro blocchi. Saltata ogni possibilità d’intesa coi sovietici, stati Uniti ed
Inghilterra integrarono le loro zone d’azione liberalizzando l’economia e rivitalizzandola poi con gli aiuti
del Piano Marshall. Di fronte alla nascita di un forte Stato Tedesco occidentale, Stalin reagì con la prova
di forza del blocco di Berlino. Nel 1948 l’URSS chiuse gli accessi alla città impedendone il rifornimento,
nella speranza di indurre gli occidentali ad abbandonare la zona ovest da loro occupata. La crisi, invece di
risolversi con le armi, lo fece senza alcuno scontro militare: gli Americani, infatti, organizzarono un
gigantesco ponte aereo per rifornire la città finche nel ‘49 i sovietici si risolsero a togliere il blocco
inefficace.
Furono poi unificate tutte e tre le zone occidentali e fu proclamata la Repubblica Federale Tedesca con
capitale Bonn. La risposta sovietica fu la creazione di una Repubblica democratica tedesca con capitale
Pankow.
La decisione assunta dai nuovi dirigenti ungheresi di rimuovere i controlli e le barriere al confine con
l’Austria innescò una serie di reazioni in tutto il mondo comunista. A partire dell’estate ‘89, decine di
migliaia di cittadini della Germania orientale abbandonarono il loro Paese per raggiungere la Repubblica
Federale tedesca attraverso Ungheria ed Austria. La fuga di massa mise in crisi il regime comunista
costringendo alle dimissioni il leader Honecker. Nella notte tra il 9 ed il 10 novembre del 1989 furono
riaperti i confini fra le due Germanie con l’abbattimento del muro di Berlino, emblema della Guerra
Fredda: grandi masse di cittadini orientali abbandonarono il Paese per raggiungere l’ala occidentale.
LA GERMANIA RIUNIFICATA
Le conseguenze più clamorose del crollo dei regimi comunisti si ebbero in Germania est dove le elezioni
del 1990 punirono non solo gli ex comunisti, ma anche i socialdemocratici e gli altri gruppi di sinistra,
colpevoli di essere troppo ‘timidi’ di fronte alla prospettiva di un’immediata unificazione tedesca nel
segno dell’economia di mercato e della democrazia liberale.
In questa situazione si inserì l’azione del Governo Kohl che riuscì a preparare in pochi mesi
l’assorbimento della Germania orientale nelle strutture della Repubblica federale tedesca e a fare accettare
al mondo intero, in primis ai sovietici, una Germania unita ed integrata nell’Alleanza Atlantica e nella
NATO. I due governi firmarono un trattato per l’unificazione economica e monetaria, poi, il 3 ottobre,
dopo che Gorbacev aveva dato il suo assenso, entrò in vigore il vero e proprio trattato di unificazione
politica.
INGHILTERRA
L’800 IN INGHILTERRA - PROSPERITA’ ECONOMICA E SOCIALE
Nel periodo successivo al 1848 l’Inghilterra visse una lunga stagione di stabilità politica e sociale e di
notevole prosperità economica; era di gran lunga la più progredita fra le grandi potenze europee. Aveva la
rete ferroviaria più sviluppata, le istituzioni politiche più liberali ed era il centro commerciale e
finanziario del vecchio continente.
Il ventennio 1846 - ‘66 segnò un ulteriore consolidamento del sistema parlamentare, di quel sistema cioè,
nato proprio in Inghilterra che subordinava la vita di un Governo alla fiducia del Parlamento. Alla corona
era affidato un ruolo essenzialmente simbolico, ruolo che si manifestò nel regno della regina Vittoria (dal
1837 al 1901). Il sistema parlamentare non era però sinonimo di democrazia, poiché molti poteri
spettavano ancora alla Camera alta, alla quale si accedeva per diritto ereditario o per nomina regia.
La riforma elettorale rappresentò il principale oggetto di dibattito nella vita politica britannica. Le cose
cambiarono nel 1865 quando la guida dei liberali fu assunta da Gladstone. Questi presentò un progetto di
legge che prevedeva una limitata estensione del diritto di voto. Il progetto incontrò la resistenza dell’ala
moderata del partito, il che provocò nel 1866 la caduta del governo liberale ed il ritorno dei conservatori
al potere.
Furono proprio i conservatori, sotto la spinta del nuovo leader Disraeli, ad assumersi l’iniziativa di varare
una nuova riforma elettorale. La nuova legge, varata nel ‘67 col nome di Reform Act, ammetteva al voto
anche i lavoratori con un reddito alto. Disraeli mostrava di riconoscere il peso che i lavoratori
dell’industria avevano assunto nella società inglese e cercava di allargare in quella direzione la base di
consenso del suo partito. Ma nelle elezioni del 1868 i conservatori furono sconfitti e Gladstone tornò al
potere. Sotto questo governo, rimasto in carica fino al 1874 l’Inghilterra conobbe un periodo di incisive
riforme: il sistema di istruzione pubblica fu incrementato e migliorato, fu ridimensionato il ruolo della
Chiesa nella scuola, fu affermato il principio del reclutamento tramite concorsi per i lavori pubblici e fu
proibita nell’esercito la compravendita dei gradi. Nel 1872 fu, infine, abolita la pratica del voto palese che
aveva costituito una potente arma di condizionamento a favore dell’aristocrazia terriera.
Nonostante la concorrenza dei nuovi Stati industriali, Germania e Stati Uniti, l’Inghilterra rimase fino alla
fine del secolo la prima potenza economica mondiale in quanto, all’immagine di prosperità economica
contribuiva non poco la grande espansione coloniale.
Il periodo aureo dell’imperialismo britannico ebbe inizio dopo il 1874 col ritorno al potere dei
conservatori di Disraeli. Questi mutò gli indirizzi e lo stile della politica estera e la rese più consona allo
stile ‘bismarckiano’ allora dominante in Europa. Diede priorità assoluta alla conquista coloniale cercando
anche il consenso popolare con riforme sociali: furono approvati la legge sulla salute pubblica e sulle case
operaie, mentre le Trade Unions poterono giovarsi della caduta di numerose restrizioni al diritto di
sciopero. L’esperimento di conservatorismo popolare fu però interrotto dalle elezioni del 1880 nelle quali
i conservatori pagarono caro alcune difficoltà economiche e alcuni insuccessi coloniali. Tornato al potere,
Gladstone corresse parzialmente le linee della politica estera britannica, pur senza mutarne l’indirizzo
imperialistico. Una nuova legge elettorale, nell’84, allargò il corpo elettorale comprendendovi la
maggioranza anche la maggioranza dei lavoratori agricoli. Il ministero liberale dovette inoltre dedicare
buona parte delle sue energie alla questione irlandese; l’Irlanda, divisa da secoli dal resto del Regno, era
rimasta esclusa dalla rivoluzione industriale ed era costretta ad affidarsi sull’agricoltura. La reazione del
movimento nazionalista irlandese a questa condizione fu in un’esaltarsi delle azioni terroristiche. Per
fronteggiare questa pressione Gladstone tentò dapprima la strada della riforma agraria, varando nel 1881
una legge, la Land Act, convincendosi però in fretta che l’unica vera soluzione stava nella concessione
all’Irlanda di un’ampia autonomia politica. Quando però, nel 1886, presentò il suo progetto di Home
Rule, autogoverno irlandese, Gladstone dovette affrontare l’opposizione dei conservatori e del suo stesso
partito. Fra i ‘ribelli’ dell’ala moderata spunta la figura di Chamberlain, esponente della corrente di
sinistra, che aveva cercato di dare al partito la struttura di un moderno partito di massa. La secessione
degli unionisti, così chiamati in quanto contrari alla Home Rule, fece fallire il progetto di autogoverno e
provocò la caduta del governo di Gladstone, seccamente battuto nelle elezioni del 1886.
IL COLONIALISMO (vedi eventi chiave)
I PRIMI DEL ‘900 - L’INGHILTERRA POST-VITTORIANA
Fra i due secoli, gli anni della fine dell’età vittoriana, l’Inghilterra fu governata dalla coalizione fra i
conservatori ed i liberali ‘unionisti’ con Chamberlain ministro per le colonie. Fra il 1897 ed il 1905
furono varate leggi che stabilivano la responsabilità degli imprenditori in materia di infortuni sul lavoro,
leggi che aumentavano i finanziamenti per le scuole ed altre che prendevano misure atte a favorire il
collocamento dei disoccupati. A mettere in crisi l’egemonia conservatrice fu il progetto di Chamberlain di
introdurre il protezionismo doganale, sconvolgendo così una tradizione liberoscambista che durava da
mezzo secolo. Nelle elezioni del 1906 i liberali, opposti al progetto, conquistarono la maggioranza,
mentre per la prima volta faceva il suo ingresso alla Camera il gruppo dei laburisti. I governi liberali si
impegnarono in un’organica politica di riforme sociali: riduzione dell’orario di lavoro a otto ore per i
minatori, istituzione di uffici di collocamento. Ma l’aspetto più nuovo fu il tentativo di sopperire alle
spese per le riforme con una politica fiscale mirante a colpire i ceti alti; il tentativo si scontrò
inevitabilmente con la Camera dei Lords. Quando nel 1909 questi ultimi respingono il bilancio preventivo
presentato dal governo liberale, ne nacque un conflitto che opponeva la Camera alta, dominata dai
conservatori, e la Camera bassa, a maggioranza liberale. Quest’ultima presentò allora un progetto di legge
parlamentare, il Parliamentary Bill, che negava ai Lords il diritto di respingere leggi di bilancio. Nel 1911
i Lords, grazie alle pressioni del nuovo re Giorgio V, si piegarono ad accettare la legge che limitava i loro
privilegi. Il progetto liberale fu così approvato nel 1914, ma la sua applicazione fu subito bloccata dallo
scoppio del conflitto mondiale.
PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
L’INGHILTERRA FRA LE DUE GUERRE
Lenta ed incerta fu la stabilizzazione economica in Inghilterra, il cui apparato produttivo si dimostrava
sempre meno in grado di reggere il confronto con i Paesi di più recente industrializzazione. Furono le
forze moderate a guidare il Paese negli anni critici del dopoguerra; fra il ‘18 ed il ‘29 i conservatori
furono sempre al potere salvo nel 1924, che vide l’affermazione dei laburisti. La novità secca di questo
periodo, in capo politico, fu la netta scomparsa dei liberali, che consentì ai laburisti di assumere il ruolo di
principali antagonisti ai conservatori, ed al sistema politico inglese di riassumere la tradizionale forma
bipartitica.
SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
LA GUERRA FREDDA (vedi U.S.)
ISRAELE
Regione di grande importanza economico-strategica, il Medio Oriente aveva visto svilupparsi un
movimento nazionale arabo indirizzato soprattutto contro le potenze europee. In questo movimento
confluivano due diverse componenti: una tradizionalista, fautrice di una reislamizzazione della società
mediante l’applicazione integrale dei precetti coranici - da qui il nome integralismo islamico -; ed un’altra
laica e nazionalista, più attenta alle esigenza di modernizzazione economica. Questa seconda tendenza
finì nel complesso col prevalere sulla componente tradizionalista. Anche in Medio Oriente la seconda
guerra mondiale accelerò il processo di emancipazione; nel 1946 l’Inghilterra riconobbe l’indipendenza
alla Transgiordania, mentre la Francia ritirò le truppe da Siria e Libano. L’Iraq aveva ottenuto
l’indipendenza già nel ‘32. Insieme all’Egitto, all’Arabia Saudita ed allo Yemen, questi sette Paesi
formarono nel 1945 la Lega degli Stati Arabi.
Restava però da sciogliere il nodo della Palestina. Negli anni della guerra la pressione per la creazione di
uno Stato ebraico si fece sempre più forte, alimentata dall’immigrazione degli ebrei europei che
fuggivano dal terrore nazista. La causa trovò un potente alleato negli Stati Uniti dove la comunità ebraica
era influente, ma fu ostacolata dagli Inglesi, più preoccupati a non rovinare i rapporti coi Paesi Arabi. Le
organizzazioni ebraiche in Palestina passarono così alla lotta armata non più solo contro gli Arabi, ma
contro gli stessi Inglesi. Trovatasi l’impossibilità di formare uno Stato binazionale, l’Inghilterra si tirò
fuori dal conflitto nel 1947, rimettendo alle Nazioni Unite il compito di trovare una soluzione al
problema. L’ONU approvò un piano di spartizione in due Stati che venne però respinto dagli arabi. Nel
‘48 gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato di Israele e gli Stati della Lega Araba reagirono subito
attaccandolo militarmente. La prima guerra arabo-israeliana (maggio ‘48 - gennaio ‘49) si risolse con la
sconfitta delle forze arabe e segnò l’affermazione definitiva del nuovo Stato ebraico, Stato moderno
ispirato ai modelli delle democrazie occidentali, dotato di strutture sociali e civili molto avanzate e di
un’organizzazione economica in cui il capitalismo industriale conviveva perfettamente con il
cooperativismo delle comunità agricole ( i kibbutz). Israele rivelò fin dai primi anni di vita una forza
insospettata rispetto alle sue piccole dimensioni, forza che gli derivava anche dalla preparazione e
dall’intraprendenza dei suoi dirigenti, in particolare dei leader laburisti come Ben Gurion. Con la guerra
del ‘48, lo Stato ebraico si ingrandì rispetto al piano di spartizione dell’ONU, occupando la parte
occidentale di Gerusalemme, mentre la Transgiordania, ora nominata Giordania, approfittò della
situazione per occupare parte dei territori destinati ai palestinesi. Un milione di profughi arabi fuggirono
nei Paesi vicini, per lo più proprio in Giordania.
Il nazionalismo arabo trovò il suo centro e la sua guida nell’Egitto. In seguito ad un compromesso,
sembrava ormai esaurita la presenza inglese nel Canale di Suez, compromesso stipulato fra il governo
inglese e la monarchia egiziana. Ma una forte scossa venne dall’esercito: nel 1952 un Comitato di militari
guidato da Nasser rovesciò la monarchia assumendo il potere del Paese. Il nuovo regime avviò una serie
di riforme in senso socialista e tentò di promuovere un processo di industrializzazione. In politica estera,
Nasser si mosse con decisione per affrancare il Paese da ogni condizionamento da parte delle potenze ex
coloniali e rivelò subito l’ambizione di assumere la guida dei Paesi arabi nella lotta contro Israele: ottenne
lo sgombero definitivo inglese dalla zona del Canale e stipulò accordi con l’URSS per aiuti economicomilitari. Gli Statunitensi reagirono bloccando, nel ‘56, il finanziamento da parte della Banca mondiale,
della grande diga di Assuan, necessaria per l’elettrificazione dell’Egitto. Si aprì a questo punto una crisi
internazionale di vasta portata: sul finire del ‘56, d’intesa coi governi di Londra e Parigi, Israele attaccò
l’Egitto e lo sconfisse, penetrando nella penisola del Sinai, mentre Francesi ed Inglesi occupavano la zona
del Canale. L’URSS inviò un ultimatum ai tre Paesi aggressori. Prive dell’appoggio americano, le due
potenze europee dovettero cedere, mentre Israele lasciò la zona del Sinai. L’effetto più immediato fu
quello di rafforzare la posizione dell’Egitto e di Nasser: l’impatto del nasserismo sugli equilibri politici
dell’area mediorientale fu dirompente. In generale, però, i sogli di un’unità panaraba si scontrarono ben
presto con la realtà delle gelosie nazionali e delle divisioni ideologiche. Tuttavia, il richiamo del
panarabismo rimase molto forte. Di ispirazione nasseriana fu la rivoluzione che nel ‘69 depose la
monarchia in Libia e portò i militari al potere guidati da Gheddafi.
Dopo la crisi di Suez del ‘56, il Medio Oriente continuò a rappresentare un pericoloso focolaio di tensione
a causa della permanente ostilità fra Israele e la Lega araba, ma anche terreno di scontro fra sovietici,
protettori dell’Egitto, e Statunitensi, sostenitori di Israele. Nel ‘67 il presidente egiziano Nasser chiese il
ritiro delle forze dell’ONU che presidiavano il confine del Sinai, proclamò la chiusura del Golfo di
Aqaba, vitale per gli Israeliani e strinse un patto militare con la Giordania. Gli Israeliani risposero
sferrando in giungo un attacco contemporaneamente contro Egitto, Giordania e Siria in quella che sarà
ricordata come ‘guerra dei sei giorni’. Gli Israeliani travolsero i tre Paesi arabi sottraendo loro territori di
posizione strategica fondamentale: l’Egitto perse la penisola del Sinai, la Giordania la striscia di Gaza e la
parte orientale di Gerusalemme, mentre la Siria perse le alture del Golan. La disfatta della guerra dei sei
giorni segnò il declino di Nasser e con lui della sua politica panaraba. Ma i Paesi arabi, riuniti nell’OLP
guidata dal 1969 da Arafat, già leader del gruppo Al Fatah, posero le loro basi in Giordania, nei campi
profughi, creandovi una specie di Stato nello Stato. Ma il re di Giordania Hussein, esposto così ai
bombardamenti israeliani che rispondevano agli attentati terroristici dell’OLP, reagì con una sanguinosa
repressione dei profughi palestinesi - settembre nero del 1970 -.Morto proprio nel 1970, Nasser lasciò la
guida del Paese a Sadat, il quale procedette ad una revisione della politica egiziana. Deciso a recuperare il
Sinai preparò il confronto con Israele. Il 6 ottobre del 1973, giornata della festa ebraica del Kippur, le
truppe egiziane attaccarono di sorpresa le linee israeliane, dilagando nel Sinai. Ma Israele riuscì a
capovolgere le sorti del conflitto grazie anche ai massicci aiuti americani. La guerra del Kippur non portò
significativi cambiamenti territoriali, ma ebbe gravi ripercussioni sul piano politico mondiale: la chiusura
del Canale di Suez ed il blocco petrolifero, decretato dagli stati arabi contro i Paesi occidentali ‘amici’ di
Israele, portò ad una crisi economica mondiale. All’indomani di quest’ultima guerra, il presidente
egiziano Sadat si convinse della necessità di trovare una soluzione politica al conflitto con Israele e
dunque decise di avvicinarsi agli Stati Uniti. Nel ‘75, con un clamoroso rovesciamento di alleanze,
espulse i tecnici sovietici dall’Egitto, congelò i rapporti con l’URSS ed impresse alla sua politica un
segno filoccidentale. Nel 1977 formulò la sua offerta di pace che portò, nel ‘78 agli accordi di pace di
Camp David, sotto la ‘sorveglianza’ di Carter, presidente statunitense. L’Egitto riottenne il Sinai e si
impegnò a mantenere la pace con Israele. Gli accordi di Camp David prevedevano ulteriori negoziati, i
quali non furono mai avviati. L’ostacolo principale, infatti, veniva ora dagli Stati Arabi e dell’OLP, traditi
dall’Egitto ed indisposti a qualsiasi negoziato con i nemici. Ma a partire dalla meta degli anni ‘80, furono
proprio i Paesi dell’OLP a dichiararsi disposti a trattare con Israele: Cisgiordania e Gaza in cambio del
riconoscimento ufficiale di esistenza di Israele. Questa volta furono proprio gli Israeliani a rifiutare l’OLP
di Arafat, considerandola un’offerta fatta da ‘terroristi’. La tensione crebbe ancora quando, a partire
dall’87, i Palestinesi che vivevano nei territori occupati diedero vita ad una lunga rivolta conosciuta come
‘intifada’ (risveglio) contro gli occupanti israeliani, che reagirono con una forte repressione. I riflessi della
situazione si fecero sentire anche in Libano, dove i leader dell’OLP avevano trasferito le loro basi dopo il
settembre nero del ‘70. Dal ‘75 il Libano entrò in una sanguinosa guerra civile in cui tutte le fazioni
combattevano contro queste milizie armate; la situazione degenerò nell’82 quando Israele inviò l’esercito
spingendosi fino a Beirut per scacciare l’OLP. Lì fu inviata anche una forza multinazionale composta da
U.S., Francia, Italia ed Inghilterra col compito di proteggere l’evacuazione dell’OLP, trasferitosi poi a
Tunisi.
Una spinta al processo di pace, invece, venne,nel giugno del ‘92, dalla vittoria del Partito laburista nelle
elezioni politiche, dopo un ventennio di egemonia della destra nazionalista (il Likud). Il nuovo primo
ministro, Rabin, bloccò i nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati e si mostrò più propenso dei
suoi predecessori a concessioni territoriali in cambio di pace con i Paesi arabi. Nel ‘93 Rabin prese la
sofferta decisione di trattare direttamente con l’OLP, approfittando dall’indebolimento di Arafat, privato
ora del supporto di Saddam Hussein. Un negoziato segreto portò ad un primo accordo fondato sul
reciproco riconoscimento e su un avvio graduale dell’autogoverno palestinese nei territori occupati, a
partire da Gerico, in Cisgiordania e dalla striscia di Gaza. Il 13 settembre del ‘93 l’accordo fu
solennemente sottoscritto a Washington da Rabin ed Arafat sotto il ‘patrocinio’ del neo presidente
americano Clinton. Ma su tale negoziato pesava un numero di quesiti senza risposta: forme e tempi
dell’autogoverno, il destino degli insediamenti ebraici nei territori, la sorte di Gerusalemme proclamata
capitale eterna ed indivisibile di Israele. L’attività terroristica dei gruppi integralisti israeliani si
intensificò in seguito agli accordi di Washington e portò all’uccisione del premier Rabin, avvenuta a Tel
Aviv il 4 novembre 1995. Privato del suo leader, il partito laburista perse di misura le elezioni del ‘96,
vinte dal Likud di Netanyahu. La vittoria dei nazionalisti ha bruscamente arrestato il processo di pace, ma
nel 1998, ancora sotto la supervisione di Clinton Netanyahu ‘spontaneamente’ firma con Arafat un nuovo
accordo che prevede il ritiro israeliano da un’altra parte di territori occupati in cambio di un maggior
impegno palestinese nella lotta contro il terrorismo.
RUSSIA
LA RUSSIA DI ALESSANDRO II E DI ALESSANDRO III
Nell’800 il primato dell’arretratezza spettava indubbiamente all’Impero russo: più del 90% della
popolazione era occupato nell’agricoltura ed oltre 20 milioni di contadini erano soggetti alla servitù delle
gleba. L’organizzazione del sistema agricolo era fondata sui mir, ossia sulle comunità di villaggio.
L’impero zarista era inoltre l’unico assolutamente privo di istituzioni rappresentative e governato da un
gigantesco apparato burocratico-poliziesco.
Qualche spiraglio cominciò ad aprirsi nella vita politica e sociale dell’Impero quando, nel ‘55, alla morte
di Nicola I, salì sul trono imperiale Alessandro II. Questi iniziò una serie di riforme per modernizzare la
burocrazia, la scuola e l’esercito; attuò anche un parziale decentramento amministrativo attraverso la
creazione degli zemstvo, ossia dei consigli distrettuali.
Ma la riforma più importante dello zar fu nel 1861 l’abolizione della servitù della gleba. L’abolizione
tuttavia deluse coloro che avrebbero dovuto beneficiarne; l’assegnazione delle terre agli ex schiavi
avvenne con criteri non uniformi e comunque tali da salvaguardare le grandi proprietà. Già nel 1963,
comunque, la stagione ‘liberalizzante’ di Alessandro II si chiuse quando represse nel sangue
manifestazioni di autonomia in Polonia., dando così il via a grandi manovre di ‘russificazione forzata’.
Sotto i successori di Alessandro II, Alessandro III e Nicola II, ogni tentativo di ‘occidentalizzazione’ fu
decisamente accantonato. Furono ridotti i poteri degli zemstvo ed intensificata l’opera di ‘russificazione’
delle minoranze nazionali. Mentre restava immobile sul piano delle strutture politiche, la Russia compiva
il suo primo tentativo di decollo industriale grazie al primo ministro Vitte, il quale inasprì il
protezionismo, moltiplicando gli investimenti pubblici e favorendo l’afflusso di capitali stranieri. Il
decollo industriale non cambiò tuttavia i tratti fondamentali della società russa, nè elevò il tenore di vita
della popolazione.
LA RIVOLUZIONE DEL 1905
Agli inizi del 900 lo sviluppo economico dell’Impero Russo cominciò a mostrare la fragilità dei suoi
presupposti.
La linea innovativa seguita dal ministro Witte aveva sì avuto il merito di attirare in Russia cospicui
investimenti stranieri, ma non aveva potuto innescare un processo interno di accumulazione di capitali e
di allargamento del mercato.
Appariva, in particolare, evidente che non sarebbe stato possibile ottenere risultati soddisfacenti nel
settore industriale.
Ad impedire ciò si aggiungeva il fatto che vi era una totale assenza di una vita politica e di istituzioni
moderne, fondate sino ad allora sul rapporto proprietà agraria-contadini.
Il nuovo zar Nicola II, salito al trono nel 1894, non sembrava intenzionato a modificare l’ atteggiamento
autocratico e conservatore. Quando, anzi, a partire dal 1902 gli scioperi operai si fecero più frequenti e nel
1904 una ripresa del terrorismo portò all’ assassinio del ministro dell’ interno, lo zar pensò di allontanare
Witte.
Il malcontento, tra l’ altro, era destinato a crescere, alimentato dall’ andamento della guerra del 1904
contro il Giappone.
Quest’ ultimo distrusse la flotta russa nel 1904 e l’ esercito nel 1905 ; il negativo andamento delle vicende
militari determinò gravissimi contraccolpi nella situazione interna russa. Nel 1905, oltre centomila
persone guidate dal leader ortodosso Gapon, sfilarono pacificamente chiedendo un Parlamento, ottenendo
invece una violenta carica della polizia che uccise oltre mille manifestanti, coniando l’ evento col nome di
Domenica di sangue.
Scoppiarono immediatamente altre agitazioni a Mosca, Pietroburgo e Odessa, ma fu soprattutto a
Pietroburgo che la formazione di un Soviet (consiglio) di operai indusse lo zar Nicola II a creare una
Duma (Parlamento) e a concedere libertà politiche e civili.
Tale manovra non fermò comunque la nascita di altri Soviet, così il governo russo adottò contro essi una
repressione resa ancor più dura dalle ‘centurie nere’, organizzazioni di destra protette dalla polizia.
La Duma che stava per formarsi avrebbe comunque presentato una forte prevalenza della grande proprietà
terriera.
La Duma fu eletta nel 1906 e presentava moltissimi esponenti costituzional-democratici detti cadetti,
tanto che lo zar la sciolse subito indicendone un’ altra l’ anno seguente.
Così, nel 1907, fu eletta una nuova Duma, anch’essa stroncata subito, di carattere socialista detta Duma
rossa.
Si giunse così alla terza Duma, detta dei Signori poichè in essa vi era una netta prevalenza aristocratica
agraria ; quest’ ultima duma durò dal 1907 al 1912.
Questi anni furono anche detti ‘reazione stolypiniana’, dal nome del ministro Stolypin, il quale attuò una
fortissima politica di repressione del movimento operaio contadino.
Accanto a questo indirizzo, rafforzato dalla temibilissima polizia segreta, Ochrana, Stolypin avviò una
riforma agraria volta a costituire quella piccola proprietà terriera contadina che avrebbe rappresentato un
ceto conservatore.
Con successivi decreti, tra il 1907 ed il 1910, vennero sciolte le comunità di villaggio, mir, e le terre
furono messe in vendita con il proposito, da un lato, di creare una piccola e media proprietà contadina, e
dall’ altro, di costringere i contadini più poveri a lasciare le campagne per essere utilizzati come
manodopera nelle industrie.
Dopo l’ assassinio di Stopylin nel 1911, la Russia si trovò ad affrontare crescenti tensioni interne ; alle
elezioni della quarta Duma nel 1912 partecipò infatti anche la frazione maggioritaria del Partito
socialdemocratico, i bolscevichi che si erano definitivamente staccati dai menscevichi. Questi ritenevano
che occorresse concentrarsi su rivendicazioni di carattere economico, mentre i bolscevichi, al contrario,
ritenevano che solo il proletariato avrebbe potuto realizzare quelle libertà che i partiti della borghesia
russa non avrebbero potuto ottenere.
Il 3 maggio del 1912 uscì il primo numero della " Pravda " ( verità ), giornale simbolo della rivoluzione
russa dell’ ottobre del 1917.
PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
In Russia il 28 febbraio 1917 ( secondo il calendario russo ) lo zar Nicola II abdicò e si costituì la
Repubblica. Sulla scena politica russa agivano ora alcune formazioni che avevano acquistato una certa
importanza :
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Il Partito socialdemocratico, fondato nel 1898, di ispirazione marxista. Nel 1903 si era spaccato in
due correnti : i bolscevichi e i menscevichi.
I Socialisti rivoluzionari, che tenevano conto quasi esclusivamente del ruolo e delle esigenze del
mondo contadino.
Il Partito costituzionale democratico, detto dei cadetti, che si proponeva la trasformazione del
regime autocratico russo in un regime liberal-democratico di tipo parlamentare.
Le contraddizioni della società russa avevano già provocato una rivoluzione nel 1905, durante la quale si
erano costituiti i soviet, consigli di base di lavoratori e di soldati. Questa prima rivoluzione aveva anche
portato a libertà costituzionali e all’elezione di un parlamento, la duma.
La Prima guerra mondiale, in maniera più veloce e decisiva che non la guerra del 1905, fece precipitare la
grave situazione politica e sociale in cui la Russia si trovava.
- Per sostenere lo sforzo bellico era stata intensificata la produzione industriale. Moltissimi contadini si
erano trasferiti nelle città.L’attesa di una radicale riforma agraria diventava sempre più sentita sia tra i
contadini che erano stati mandati sul fronte a combattere sia su quelli rimasti a lavorare.
- La guerra aveva reso particolarmente difficili le condizioni di vita nelle città operaie a causa della
scarsità di cibo.
- Tra i socialisti prevalevano le convinzioni pacifiste
- Partiti moderati, i cadetti, erano stati favorevoli alla guerra e alla politica estera voluta dallo zar.
Volevano però che lo zar attuasse una serie di riforme interne per rendere partecipi della vita politica strati
sempre più ampi della popolazione russa. Lo zar non era disponibile, però, a questo genere di richieste e
ancora una volta sciolse la duma.
I primi scioperi sorsero a Pietrogrado alla fine di febbraio ; i soldati comandati di reprimere lo sciopero
fraternizzarono con i manifestanti e, insieme a loro, penetrarono nel Palazzo d’Inverno e costrinsero lo zar
ad abdicare il 28.
Con l’abdicazione dello zar, il potere politico fu esercitato da un governo provvisorio voluto dai partiti
che avevano rappresentanti nella duma. Intanto i soviet sorsero in tutto il Paese.
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I partiti conservatori e i liberali moderati - i cadetti - si proponevano di riorganizzare il paese
secondo un ordinamento costituzionale e parlamentare e di continuare la guerra a fianco
dell’Intesa.
Erano contrari alla riforma agraria.
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I partiti socialisti ( Kerenskij ) appoggiavano il governo provvisorio anche se avevano sostenuto la
necessità di far cessare la guerra e di procedere alla riforma agraria.
Nonostante questo contrasto, sia i menscevichi che i socialisti rivoluzionari sostenevano il governo.
Un aspetto molto importante della situazione politica in Russia era la presenza dei soviet. Si erano perciò
costituiti due distinti poteri, il governo provvisorio e i soviet, che cercavano di non ostacolarsi.
Il potere politico ed amministrativo doveva essere esercitato dal governo, i soviet esercitavano un’azione
di controllo che diventava forma di pressione e condizionamento dell’operato governativo.
Questa sorta di equilibrio era però destinata a finire presto.
I partiti moderati puntavano a coinvolgere anche i settori moderati dei socialisti così da bloccare i soviet.
Una posizione radicalmente diversa venne espressa, invece, dalle Tesi di aprile, proposte da Lenin, leader
dei bolscevichi.
Lenin riteneva che in Russia si potesse realizzare una rivoluzione proletaria direttamente, ovvero avrebbe
dovuto avere come protagonisti i contadini e gli operai alleati fra loro sotto il ruolo di guida dei
bolscevichi.
Lo strumento di questa organizzazione sarebbero stati i soviet, ai quali sarebbe andato il potere.
Continuava intanto a crescere il malcontento contro il governo provvisorio e ci furono manifestazioni di
protesta di operai e soldati. I soviet continuavano ad essere attivi e in essi cresceva il potere dei
bolscevichi. In settembre si verificò un tentativo di colpo di stato da parte di vecchi dirigenti guidati da
Kornilov ; il tentativo fu battuto grazie ai bolscevichi ; il loro intervento cancellava dalla scena il governo
provvisorio guidato dal social-rivoluzionario Kerenskij. Il 25 ottobre i bolscevichi si impadronirono del
Palazzo d’Inverno, la sede del governo. Furono subito confiscate le terre dei ricchi e distribuite ai
contadini.
Il nuovo governo indisse le elezioni dell’Assemblea costituente ; i risultati furono però sfavorevoli ai
bolscevichi, poiché la maggioranza votò per i socialisti rivoluzionari.
Intanto l’esercito russo si stava già sfaldando nei mesi precedenti la presa del potere dei bolscevichi ; le
diserzioni erano numerosissime. La fine della guerra era perciò uno dei punti cardine del programma
politico dei bolscevichi.
Il 3 marzo 1918, a Brest - Litovsk, venne firmato l’accordo di pace che sanciva l’uscita della Russia dal
conflitto mondiale. La Russia perdeva i territori dell’Ucraina, la Lettonia, l’Estonia, la Lituania, la Polonia
e la Finlandia. Le potenze dell’Intesa cercarono comunque di contrastare il governo comunista perché
volevano che la Russia riprendesse la guerra contro la Germania. Contingenti di truppe dell’Intesa furono
mandate in Russia per far scoppiare la guerra civile, che divampò nei territori meridionali e nella regione
del Don.
Il governo sovietico reagì con la riorganizzazione dell’esercito, che prese il nome di Armata Rossa.
Le truppe dell’Intesa si ritirarono ben presto ;Molto più a lungo durò la guerra civile tra l’Armata Rossa e
gli eserciti controrivoluzionari. Il governo russo, oltre che alla polizia politica, ripristinò anche la pena di
morte.
Finita la guerra civile, la Russia fu aggredita dalle truppe polacche ; nel 1920 si giunse alla pace di Riga
che portava nuove perdite territoriali per i Russi. Intanto il governo russo finì con l’isolamento
diplomatico e nel 1922 firmò un accordo con Austria e Germania.
I prodotti alimentari continuarono a scarseggiare anche dopo la riforma agraria attuata dai bolscevichi,
perché ai contadini non conveniva né cedere i propri terreni al governo, né metterli sul mercato.
La mancanza di razioni alimentari si faceva sentire ora, non solo nelle città tra la gente, ma anche tra le
truppe dell’Armata Rossa.
All’inizio del 1918, il governo russo prese drastici provvedimenti per ovviare alla grave situazione
alimentare, dando il via al comunismo di guerra. Il governo confiscava infatti ai contadini tutto il grano
che producevano in eccesso. Tale manovra non fece altro che mettere in cattiva luce agli occhi della gente
i soviet.
Il malcontento si manifestò con gli scioperi del 1921 a Pietrogrado e soprattutto con la ribellione della
base marina di Kronstadt.LA ribellione venne repressa, ma fu dato anche l’avvio ad una nuova politica
economica.
Questa svolta politica partì così nel ’21 ed è definita NEP, Nuova politica economica. Si diffondeva infatti
l’idea che l’Unione Sovietica doveva rafforzare la sua organizzazione per resistere alle ostilità dei paesi
capitalisti. Fu introdotta la liberalizzazione generale economica e cessarono le requisizioni di prodotti
agricoli.
LO STALINISMO
Negli anni della grande depressione e del fascismo trionfante, mentre gli Stati capitalistici si dibattevano
nelle spire della grande crisi, l’Urss, in virtù del suo stesso isolamento economico, non ne era affatto
toccata, ma anzi si rendeva protagonista di un gigantesco sforzo di industrializzazione.
La decisione di forzare lo sviluppo industriale e di porre fine all’esperienza della Nep fu presa da Stalin
nel ‘27. L’idea dell’industrializzazione si univa alla convinzione che solo un deciso impulso all’industria
pesante avrebbe potuto fare dell’Urss una grande potenza militare. Per raggiungere questo scopo era
necessario che lo Stato acquistasse il controllo completo dei processi economici. Il primo e più importante
ostacolo alla costruzione di un’economia totalmente collettivizzata fu individuato nel ceto dei contadini
benestanti, i kulaki. Contro di loro furono adottate misure restrittive ed operate ingenti requisizioni, ma
poiché queste misure si rivelarono inefficaci, Stalin proclamò nel ‘29 la necessità di procedere alla
collettivizzazione del settore agricolo e di eliminare i kulaki come classe. Contro questa linea prese
posizione Bucharin, numero due del regime e convinto teorico della Nep. Ma la maggioranza del partito si
schierò con Stalin: Bucharin fu condannato nel 1930 coma deviazionista di destra e così il gruppo
dirigente comunista procedette sulla via della collettivizzazione forzata attraverso una sanguinosa
repressione.
Nel giro di pochi anni i kulaki furono eliminati non solo come classe ma anche come persone fisiche.
L’eccesso di popolazione nelle campagne fu drasticamente ridotto con le deportazioni e con l’emigrazione
verso i centri industriali. I costi economici dell’operazione furono altissimi ed i risultati immediati
disastrosi.
Alla lunga però i risultati furono indubbiamente notevoli, anche se il primo piano quinquennale per
l’industria, varato nel 1928, fissava infatti una serie di obbiettivi tecnicamente impossibili da conseguire.
Sorretto da un onnipotente apparato poliziesco ed artefice dell’industrializzazione, Stalin finì con
l’assumere in Urss un ruolo di capo carismatico. Era l’autorità suprema, ogni critica al suo regime
assumeva i caratteri del tradimento. Le stesse attività culturali dovevano ispirarsi alle direttive del leader
comunista; la letteratura, il cinema, la musica e le arti figurative furono sottoposte ad un regime di rigida
censura. La storia fu riscritta per mettere meglio in luce il ruolo di Stalin e sminuire quello di Trotzkij e
degli altri oppositori. Il motivo per il quale lo stalinismo si impose malgrado la sua violenza è da ricercare
nel fatto che lo stalinismo è un fenomeno profondamente inserito nella storia della Russia e nella
tradizione imperiale, ma è anche inseparabile da quella traumatica esperienza modernizzatrice che fu
l’industrializzazione forzata. Stalin introdusse, però, nella gestione di questo sistema un carattere di
spietatezza estraneo alla mentalità del vecchio gruppo dirigente comunista. Non solo emarginò
politicamente tutti i suoi rivali, ma li eliminò fisicamente, e fece eliminare assieme a loro migliaia di
semplici cittadini sospetti di deviazionismo. Questo periodo, detto delle ‘grandi purghe’ cominciò nel
1934.
SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
LA GUERRA FREDDA E LA DISSOLUZIONE DELL’URSS (vedi U.S.)
STATI UNITI
LA GUERRA DI SECESSIONE - SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA PRIMA E DOPO LA
GUERRA
La popolazione negli Stai Uniti nella metà dell’800 era in costante aumento grazie all’ininterrotto flusso
migratorio proveniente dall’Europa, e nel contempo i confini continuavano a spostarsi verso Ovest. La
produzione agricola progrediva per lo sviluppo di una moderna agricoltura capitalistica negli Stati del
Mid West e contemporaneamente la regione del Nord Est conosceva un rapido sviluppo industriale.
Ma a questa vitalità dell’economia facevano riscontro profonde fratture interne. Negli U.S. coesistevano
tre diverse società, corrispondenti a diverse zone del Paese, ciascuna col suo sistema economico, coi suoi
valori e le sue tradizioni. Gli Stati del Nord Est, la zona più progredita, più ricca ed industrializzata, erano
sottoposti a sollecitazioni influenzate da valori del più puro capitalismo imprenditoriale. Gli Stati del Sud
costituivano invece una società agricola e profondamente tradizionalista che fondava la sua economia
sulle grandi piantagioni di cotone; la manodopera era costituita in gran parte da schiavi neri.
A queste due società così diverse se ne contrapponeva una terza, quella dei liberi agricoltori ed allevatori
di bestiame degli Stati dell’Ovest, un insieme di Stati in rapida evoluzione dove l’agricoltura assumeva
ruolo fondamentale in quanto alimentava anche tutto il Nord Est. Fu proprio l’Ovest a costituire il pomo
della discordia ed al tempo stesso il risolutore dei problemi tra il Nord industriale ed il Sud agricolo; fino
alla metà del secolo infatti, il cotone esercitava un peso decisivo sull’economia dell’intero Paese,
costituendo anche il primo nucleo importante dell’industria. Quando però lo sviluppo industriale si allargò
a nuovi settori, diminuì l’importanza della produzione cotoniera e si allentò il rapporto di dipendenza fra i
due sistemi a causa di una nuova ‘alleanza’ Nord-Est e Ovest. Lo stabilirsi di questi legami ebbe l’effetto
di mutare le alleanze sociali in quanto andò a rompere il legame tra gli agricoltori dell’Ovest e del Sud
nella difesa del liberismo economico e nell’avversione all’oligarchia industriale e finanziaria del Nord
Est. Su queste premesse si inserì l’acutizzarsi dello scontro sulla schiavitù. Già nel 1820 il Compromesso
del Missouri aveva stabilito che la schiavitù fosse permessa solo a sud del parallelo 36° 30’ e proibita a
nord di esso.
L’ ingresso nell’ Unione della California nel 1850, Stato a maggioranza anti-schiavista, ma posto sotto il
parallelo stabilito nel Missouri, mostrò la difficoltà dell’ applicazione di quel accordo. Lo scontro fece
sentire i suoi effetti anche in campo politico; la scena politica americana era stata dominata da due grandi
partiti, il Partito Democratico ed il Whig: il primo si ispirava a modelli di democrazia rurale, di liberismo
economico e di rispetto dell’autonomia dei singoli Stati, mentre il secondo invocava invece un forte
potere centrale ed un antiliberismo economico. Entrambi i partiti entrarono in una profonda crisi negli
anni ‘50. Il Whig si divise in due ali, una progressista ed una conservatrice. Dalla prima, nel 1854, nacque
l’attuale Partito Repubblicano, antischiavista, accoglieva le richieste degli industriali favorendo dazi
doganali più alti, ma anche quelli dei cittadini dell’Ovest grazie alla proposta di distribuire terra gratis.
Nel 1860 l’ elezione alla presidenza del repubblicano Abraham Lincoln ( 1860-65 ), un abolizionista,
portò alla secessione di 11 Stati del Sud : Carolina del sud, Georgia, Alabama, Florida, Mississipi,
Louisiana, Texas, Arkansas,
Carolina del nord, Virginia e Tennessee.
Questi Stati formarono gli Stati Confederati d’ America eleggendo alla presidenza Jefferson Davis ( 186165 ).
L’ America era quindi così divisa. Gli Stati Uniti a Nord sotto Lincoln, gli Stati Confederati sotto Davis.
Il paese si trovò così coinvolto in una sanguinosa guerra civile che provocò oltre 600.000 morti.
La guerra può essere suddivisa in 20 momenti principali :
1 Febbraio - Giugno 1862 - Le forze dell’Unione, sotto il comando dei generali Grant, Pope e Buell, con
l’aiuto dei cannonieri fluviali, s’ impadroniscono di due punti chiave sul Mississipi : Tennessee e
Cumberland.
2 I Confederati sotto il comando di Johnston, attaccano l’esercito dell’ Unione comandato da Grant,
presso Shiloh, ma sono sconfitti e respinti fino a Corinth dopo la più sanguinosa delle battaglie del primo
anno di guerra.
3 Aprile - Maggio 1863 - La flotta dell’Unione comandata da Farragut, con l’aiuto del generale Butler,
espugna i forti alla foce del Mississipi, costringe New Orleans alla resa ai Nordisti.
4 Marzo - Luglio 1862 - La campagna peninsulare del generale McClellan non porta alla conquista di
Richmond ;
gli unionisti si ritirano.
5 Marzo - Giugno 1862 - Le brillanti campagne del generale confederato Jackson nella valle del
Shenandoah, impediscono agli unionisti di mandare rinforzi a McClellan a Richmond.
6 Agosto - Settembre 1862 - Lee ( Conf. ) invade il Maryland ma è fermato da McClellan e si ritira in
Virginia.
7 Ottobre 1862 - Il tentativo dei generali confederati Bragg e Smith di impadronirsi del Kentucky è
sventato con la battaglia di Perryville.
8 Nov. 1862 Luglio 1863 - Dopo diversi tentativi falliti di espugnare il forte di Vicksburg, Grant ( Unione
) attraversa il Mississipi a valle del forte e sconfigge le forze di Johnston a Jackson e costringe Vicksburg
alla resa dopo 6 settimane di assedio. Port Hudson cade dopo 5 settimane dopo, dando all’ Unione il
completo controllo del Mississipi e spaccando in due la Confederazione.
9 Dicembre 1862 - Maggio 1863 - Le armate dell’ Unione sotto il comando di Burnside e Hooker
invadono la Virginia, ma sono respinte da Lee e da Jackson a Fredericksburg.
10 Giugno - Luglio 1863 - Il generale Lee ( Conf. 9 invade ls Pennysylvania, ma è sconfitto da Meade e si
ritira in Virginia.
11 Gennaio - Agosto 1863 - Dopo la battaglia di Murfreesboro, le truppe dell’ Unione costringono Bragg
a ripiegare su Chattanooga.
12 Agosto - Novembre 1863 - I Confederati di Bragg evacuano Chattanooga, sconfiggendo gli Unionisti
ed assediando gli Unionisti a Chattannoga, finchè le truppe di Grant non intervengono e cacciano i
Confederati in Virginia.
13 Maggio - Settembre 1864 - Sherman invade la Georgia ed espugna Atlanta.
14 Maggio 1864 - Aprile 1865 - Nella più lunga campagna della guerra Grant invade la Virginia e
costringe Lee a ritirarsi intorno a Richmond e Petersburg.
15 15 Novembre - 13 Dicembre 1864 - Sherman avanza da Atlanta verso il mare distruggendo impianti e
risorse dei Confederati.
16 I Confederati al comando di Hood invadono il Tennessee cercando di tagliare fuori dai rifornimenti
Sherman.
17 15-16 dicembre 1864 - Il generale unionista Thomas sconfigge l’ armata di Hood presso Nashville,
costringendo i superstiti a rifugiarsi nel Mississipi.
18 Febbraio - Marzo 1865 - Sherman e Grant cercano di chiudere Lee in un’ imboscata.
19 2-9 Aprile 1865 - Lee abbandona Richmond e Petersburg : Grant e Sherman lo inseguono sino a
Appomatox, nel cui tribunale il comandante sudista firma la resa.
20 26 Aprile 1865 - A Bennet’s House Johnston si arrende a Sherman ; la guerra è finita.
Durante il conflitto che Lincoln fece approvare due provvedimenti: nel 1862 l’Homestead law, che
assicurava ai coloni la possibilità di acquistare le terre nei nuovi territori.
Nel 1863 Lincoln abolì la schiavitù. militare e di sfruttamento economico, specialmente in conseguenza
dell’assassinio di Lincoln, il 14 aprile.
In realtà la legge del ‘62 fu revocata pochi anni dopo, mentre gli schiavi acquistarono sì la libertà, ma le
loro condizioni economiche erano gravissime, equiparabili a quelle dei servi della gleba dell’impero
zarista (aboliti nel 1861).
Non giovarono alla causa della democrazia i metodi sbrigativi con cui i Repubblicani condussero la
riunificazione del Paese. Dopo la guerra il Sud venne sottoposto a vere e proprie forme di occupazione. Il
risultato di ciò fu la lotta clandestina prima con l’istituzione del Ku Klux Klan, quindi con la
riaffermazione del Partito democratico.
COLONIALISMO - AFFERMAZIONE COME POTENZA MONDIALE
Negli ultimi decenni dell’800, gli Stati Uniti conobbero un periodo di grandi trasformazioni interne e di
rapido sviluppo territoriale. Chiuso il capitolo guerra di secessione, riprese con slancio la colonizzazione
dei territori dell’Ovest; vittime principali della corsa all’Ovest furono le tribù dei pellirosse; contro di essi
il Governo federale condusse una serie di campagne militari che avevano lo scopo di proteggere le vie di
comunicazione e di rendere più sicura l’opera di colonizzazione dei pionieri. I pellirosse furono confinati,
dopo il quasi sterminio, in alcune riserve.
La crescita più imponente si verificò nell’industria, specialmente nei settori siderurgico, meccanico,
elettrico e petrolifero. Per contrastare le tendenze monopolistiche e la conseguente lievitazione dei prezzi,
fu varata nel 1890 una legge, lo Sherman Antitrust Act, che vietava accordi sui prezzi fra imprese operanti
nello stesso settore. Gli Stati Uniti, quindi, non solo avevano superato l’Inghilterra e la Germania nel
volume della produzione industriale, ma erano anche diventati un Paese prevalentemente esportatore di
capitali e di prodotti industriali. Questo sviluppo economico fu reso possibile soprattutto dall’esistenza di
un mercato in continua espansione dovuto al continuo afflusso di immigrati dall’Europa, e quindi di nuovi
potenziali acquirenti. L’espansionismo statunitense si esercitò in due direzioni. LA prima verso il Pacifico
rappresentava il prolungamento della corsa all’Ovest; la seconda, verso l’America Latina, costituiva un
aggiornamento della dottrina Monroe (penetrazione economica e tutela politica dell’intero continente). La
prima importante manifestazione di politica di potenza degli Stati Uniti si ebbe con l’intervento a Cuba
dove, dal 1895, era in atto una violenta rivolta contro i dominatori spagnoli. Nel 1898, l’affondamento di
una nave americana portò alla guerra con gli Spagnoli che furono rapidamente sconfitti. Cuba divenne una
Repubblica indipendente sotto ‘tutela’ (dottrina Monroe) degli U.S. La Spagna fu inoltre costretta a
cedere Portorico e l’intero arcipelago delle Filippine.
Si andava rafforzando, perciò, nel continente americano, il ruolo egemonico degli Stati Uniti. Fino alla
prima guerra mondiale, l’imperialismo statunitense si rivolse non tanto verso il Sud America però, quanto
verso l’America centrale. Qui la presenza degli Stati Uniti si fece sentire in forme pesanti (dottrina
Monroe...), soprattutto negli anni della presidenza Theodore Roosvelt, esponente del Partito
Repubblicano, salito al potere nel 1901. Mostrò grande decisione nella difesa degli interessi americani nel
mondo alternando pressione economica a minacce di interventi armati. L’occasione di mettere in pratica
l’una e l’altra fu offerta dalla questione del canale di Panama. Nel 1901 gli U.S. ottennero dal governo
della Colombia l’autorizzazione a costruire ed a gestire per un periodo di cento anni, un canale che
tagliasse l’istmo di Panama. Quando però nel 1903 il Parlamento colombiano rifiutò di ratificare
l’accordo, gli U.S. non esitarono ad organizzare una sommossa a Panama ed a minacciare un intervento
armato. Panama divenne una repubblica indipendente sotto ‘tutela Monroe’ americana.
Imperialista ed aggressivo all’estero, la linea di Roosvelt si caratterizzò in politica interna per un’apertura
ai problemi sociali. A Roosvelt si devono i primi provvedimenti della legislazione sociale: limitazioni
dell’orario lavorativo, tutela del lavoro minorile ed assicurazioni contro gli infortuni. Una volta terminati i
due mandati, nel 1908, T. Roosvelt lasciò la presidenza il Partito repubblicano precipitò e le elezioni del
1912 videro vincere il democratico Wilson, intellettuale di solide convinzioni democratiche. Wilson
riprese l’impegno sociale di Roosvelt, però fu contrario ad ogni limitazione dell’autonomia dei singoli
Stati dell’Unione.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)
IL BOOM ECONOMICO E LA CRISI DEL ‘29 - IL NEW DEAL
Durante il conflitto mondiale gli Stati Uniti avevano consolidato la loro posizione di primo Paese
produttore divenendo anche il maggior esportatore di capitali. Il superamento della depressione
postbellica del 1920-21 segnò per il sistema economico statunitense l’inizio di un periodo di grande
prosperità. La diffusione della produzione in serie secondo i principi del taylorismo favorì notevoli
aumenti di produttività. Tuttavia il numero di occupati nell’industria calò a causa della cosiddetta
disoccupazione tecnologica: gli sviluppi della tecnica diminuivano infatti la quantità di lavoro necessaria.
Parallelamente andava invece crescendo l’occupazione nel settore dei servizi.
Dal punto di vista politico, gli anni ‘20 furono segnati da un’incontrastata egemonia del Partito
Repubblicano, sostenitore di un rigido liberismo economico, convinto che l’accumulazione della
ricchezza privata costituisse la miglior garanzia di prosperità, ridusse le imposte dirette e mantenne la
spesa pubblica a livelli molto bassi rinunciando ad operare in favore delle classi più povere. A tutto
questo si aggiunse una diffusa ondata di conservatorismo ideologico che investì le minoranze nazionali e
razziali. Furono introdotte leggi limitative dell’immigrazione per impedire la ‘contaminazione’ con la
popolazione europea. Il punto cruciale di questo processo fu l’esecuzione capitale per due innocenti
italiani, Sacco e Vanzetti, nel 1927. Contemporaneamente si inasprirono le pratiche discriminatorie nei
confronti della popolazione di colore e la setta del Ku Klux Klan raggiunse le dimensioni di
un’organizzazione di massa. Lo stesso proibizionismo, cioè il divieto di produrre e vendere bevande
alcoliche, introdotto nel ‘20 e rimasto in vigore fino al ‘34, scaturì da questo retroterra culturale, poiché
l’ubriachezza era ritenuta un vizio tipico di negri e proletari.
Tuttavia, l’incontenibile euforia speculativa americana poggiava in realtà su fondamenta assai fragili. La
domanda dei beni di consumo aveva fatto sì che nel settore industriale si formasse una capacità produttiva
sproporzionata alle possibilità di assorbimento del mercato, possibilità limitate sia dalla natura stessa dei
beni di consumo durevoli, che non avendo bisogno di essere continuamente sostituiti saturavano il
mercato, sia dalla crisi del settore agricolo che teneva bassi i redditi dei ceti rurali. Fra economia
americana ed europea poi, si era venuto a creare uno stretto e proficuo rapporto di interdipendenza:
l’espansione americana finanziava la ripresa europea e questa a sua volta alimentava con le sue
importazione lo sviluppo degli Stati Uniti. Ma quando nel 1928 molti capitali americani furono dirottati
verso le più redditizie operazioni speculative di Wall Street, le conseguenze sull’economia europea si
fecero sentire immediatamente, ripercuotendosi subito dopo sulla produzione industriale americana.
I titoli a Wall Street raggiunsero i livelli più alti all’inizio di settembre del ‘29. Il 24 ottobre, il cosiddetto
‘Giovedì nero’, furono venduti ben 13 milioni di titoli in una vera e propria corsa alle vendite che
determino la precipitosa caduta del valore dei titoli stessi. Il crollo del mercato, riducendo drasticamente
la capacità di acquisto e di investimento, finì con l’avere conseguenze disastrose sull’economia di tutto il
Paese e sull’intero sistema economico mondiale che dipendeva ormai da quello statunitense. Gli effetti
planetari furono aggravati dal fatto che gli U.S. cercarono innanzitutto di difendere la loro produzione
inasprendo il protezionismo o riducendo, fino alla sospensione, l’erogazione di crediti all’estero.
Nel 1932, da tre anni in profonda crisi, si tennero negli Stati Uniti le elezioni presidenziali. Il presidente
uscente, Hoover, non avendo conseguito alcun successo nella lotta contro la crisi fu nettamente sconfitto
da Franklin Roosvelt. Già nel discorso inaugurale questi annunciò di voler iniziare un ‘New Deal’ (nuovo
corso) nella politica economia e sociale: un nuovo stile di governo che si sarebbe caratterizzato soprattutto
per un più energico intervento dello Stato nei processi economici e per la stretta associazione fra
l’obbiettivo della ripresa economica e gli elementi di riforma sociale. Il New Deal fu avviato
immediatamente con una serie di provvedimenti: fu ristrutturato il sistema creditizio, fu svalutato il
dollaro per rendere più competitive le esportazioni, furono aumentati i sussidi di disoccupazione e furono
concessi prestiti ai cittadini. L’Agricoltural Adjustament Act limitava la sovrapproduzione agricola,
mentre il National Industrial Act imponeva alle imprese codici di comportamento per evitare una
concorrenza troppo accanita. Il Tennessee Valley Authority era invece un ente volto a sfruttare le risorse
idroelettriche del bacino del Tennessee a favore degli agricoltori.
COLONIZZAZIONE - DECOLONIZZAZIONE
IL COLONIALISMO
Il termine imperialismo si affermò in Inghilterra per indicare il programma di espansione coloniale ed
entrò poi nell’uso comune come sinonimo di politica di potenza e di conquista territoriale su scala
mondiale. In generale, rappresentò la tendenza degli Stati europei a proiettare più aggressivamente verso
l’esterno i propri interessi economici e la propria cultura.
L’Europa si era lanciata alla conquista del mondo raggiungendo l’apice del suo espansionismo sul finire
dell’800, con obbiettivi nuovi rispetto a quelli della colonizzazione tradizionale. La nuova espansione
venne assunta sempre più come un obbiettivo di politica nazionale da parte dei governi. Alla penetrazione
commerciale subentrò un disegno di assoggettamento politico e di sfruttamento economico.
Alla competizione coloniale si unirono anche Stati privi di tradizione imperiale come Germania, Belgio
ed Italia; l’unica assente di rilievo fu l’Impero Austro-Ungherico. I fattori all’origine di questo fenomeno
erano numerosi, ma fondamentalmente economici: accaparramento di materie prime a basso costo e
ricerca di sbocchi commerciali. Le motivazioni politico-ideologiche ebbero un’importanza pari a quelle
economiche; esse affondavano le loro radici in una mescolanza di nazionalismo e di politica di potenza,
ossia l’idea di appartenere ad una ‘razza dominatrice’.
L’Europa portò in tutto il mondo l’impronta della sua tecnica, della sua economia e della sua civiltà.
Quasi tutte le conquiste coloniali furono segnate dall’uso della forza contro le popolazioni indigene. Dal
punto di vista economico, l’esperienza coloniale ebbe alcuni effetti positivi sui Paesi che ne furono
investiti: vennero introdotte nuove tecniche, infrastrutture ed attività industriali e commerciali.
Gli sviluppi più spettacolari si ebbero nel continente africano. Quando gli europei procedettero alla
conquista dell’Africa, ben poco restava delle antiche civiltà locali. I primi atti dell’espansione furono
l’occupazione francese della Tunisia nel 1881 e quella inglese dell’Egitto nell’anno successivo. In
entrambi i Paesi le potenze europee avevano consistenti interessi economici e strategici. I due Paesi
colonizzatori dapprima imposero la costituzione di commissioni internazionali di controllo sulle finanze
dei due Paesi, screditando così i governi locali, quindi scelsero la strada dell’intervento militare.
L’azione inglese in Egitto provocò il risentimento della Francia, suscitando tra le due potenze rivalità
destinata a scatenare la corsa alla conquista dell’Africa. Altri contrasti si ebbero in Congo: Re Leopoldo II
di Belgio si era costruito lì una sorta di impero personale suscitando l’ira dei portoghesi. La questione fu
oggetto di una conferenza internazionale convocata a Berlino da Bismarck, conferenza che stabilì tra
l’altro le ‘regole’ per la conquista dell’Africa, fondate sull’effettiva occupazione territoriale. La
conferenza riconobbe anche la sovranità personale di Leopoldo II sul Congo. L’Inghilterra non interferì
con le altre potenze concentrandosi sul lato orientale dal continente, onde controllare meglio l’Oceano
Indiano. Ma quando i Francesi si spinsero fino al Sudan, gli Inglesi si trovarono in ‘rotta di collisione’ coi
transalpini rischiando di da vita ad un conflitto. Ma il governo francese, impreparato ad una guerra,
acconsentì di ritirare le proprie truppe aprendo così una fase di distensione col popolo d’oltremanica.
A differenza di quanto accadeva in Africa, agli inizi dell’età dell’imperialismo, gli Europei avevano già
messo profonde radici nel continente asiatico. Gli Inglesi, oltre all’India, possedevano Ceylon, Singapore
ed Hong Kong; gli Olandesi dominavano l’arcipelago indonesiano, i Portoghesi avevano Macao, mentre
la Spagna possedeva le Filippine. La Francia si gettò invece sui territori della penisola indocinese. La
penetrazione francese si limitò all’inizio a qualche stazione commerciale, oltre che alle numerose missioni
cattoliche. Furono proprio le persecuzioni contro i missionari a fornire alla Francia il pretesto per un
intervento militare. Anche la Russia zarista si era mossa: occupò la Siberia e si interessò all’estremo
Oriente, dove costruì alcuni porti strategici. Decise invece di vendere agli Americani l’Alaska per sette
milioni di dollari nel 1867 in quanto il territorio richiedeva spese troppo onerose.
Anche gli arcipelaghi del Pacifico vennero inglobati negli imperi coloniali, soprattutto dagli Inglesi e dai
Tedeschi. I primi occuparono Australia, Nuova Zelanda, Isole Fiji, le Salomone e le Marianne, mentre i
secondi si ‘accontentarono’ della Nuova Guinea.
LA DECOLONIZZAZIONE
Lo smantellamento del sistema coloniale e l’accesso all’indipendenza dei popoli afroasiatici sono tra i
fenomeni più importanti di questo secolo. Il processo di decolonizzazione ricevette la spinta decisiva del
secondo conflitto mondiale. Un altro fattore di importanza decisiva fu la pressione congiunta degli Stati
Uniti e dei Sovietici per scalzare gli Europei dall’Asia e dall’Africa e quindi per accelerare le liquidazione
del vecchio ordine mondiale fondato sull’eurocentrismo. Per volontà americana gli alleati avevano
proclamato con la Carta Atlantica del ‘41 il ‘diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui
intendono essere retti’. Il principio di autodeterminazione si impose e l’Europa non poteva sottrarvisi. La
Gran Bretagna procedette ad una graduale abdicazione al proprio dominio, preparando i popoli
all’indipendenza e cercando di trasformare l’Impero coloniale in una comunità di Nazioni liberamente
associate nel Commonwealth. LA Francia invece oppose resistenza armata ai movimenti indipendentisti.
Sul piano delle istituzioni politiche, la democrazia parlamentare di tipo europeo si affermò solo in pochi
Paesi: il peso della tradizione era diverso e soprattutto l’Europa aveva mostrato ai popoli assoggettati il
suo volto autoritario, non quello liberale; difficile quindi che, raggiunta l’indipendenza, questi Paesi
volessero mantenere ‘ricordi’ di chi li aveva assoggettati. Il risultato fu perciò la prevalenza di regimi di
stampo autoritario, di sistemi a partito unico e di dittature militari.
Il continente asiatico fu il primo a raggiungere l’indipendenza. Il motivo di ciò sta nel carattere
relativamente più avanzato dell’organizzazione politica e della struttura sociale del continente rispetto
all’Africa. Fra le potenze coloniali fu l’Inghilterra la prima a comprendere la necessità di ridimensionare
la sua posizione imperiale, opponendo una resistenza elastica: rinunciò ad Iraq e Transgiordania, quindi
all’Egitto, pur restando però, in quest’ultimo caso, ‘controllore’ del Canale di Suez. Il processo di
decolonizzazione più drammatico fu senza dubbio quello dell’India, la più importante sul piano
economico-strategico delle colonie britanniche. Già nel ‘19 le truppe inglesi repressero con la forza una
manifestazione popolare indipendentista. L’anno seguente vide l’affermarsi dell’uomo simbolo
dell’indipendenza del Paese, Gandhi, teoretico della lotta basata sulla resistenza passiva, sulla non
violenza e sul rifiuto di qualsiasi collaborazione con i dominatori. Già nel ‘21 i risultati si vedevano: il
popolo indiano otteneva spazio politico con l’elezione di propri organismi rappresentativi e si spianava la
lenta strada verso l’indipendenza. Nel ‘41, in piene guerra mondiale, Nehru, collaboratore di Gandhi
ottenne per l’India lo status di dominion, che equivaleva all’indipendenza. A guerra finita l’Inghilterra
aprì i negoziati per concedere l’indipendenza definitiva, ma mentre Gandhi si batté per uno Stato unitario,
i musulmani reclamarono la separazione degli induisti. Gli Inglesi, nel ‘47 concessero l’indipendenza
all’Unione indiana a maggioranza indù, ed al Pakistan musulmano, creato alle due estremità orizzontali
dell’India. La parte orientale prenderà poi il nome di Bangladesh nel ‘71 dopo la scissione dal Pakistan.
Pesante fu altresì l’indipendenza del Vietnam dai Francesi, parte del territorio sorto dalla dissoluzione
dell’impero francese in Indocina. Nel Vietnam i comunisti, sotto la guida di Ho Chi Minh proclamarono
nel 1945 la Repubblica democratica del Vietnam, ma i Francesi non la riconobbero e ne rioccuparono la
parte meridionale con le armi. Nel 1946 iniziò una lunga guerra fra i Transalpini e le forza indipendentiste
del Vietminh. La guerra si concluse solo nel 1954 con gli Accordi di Ginevra che stabilirono il ritiro dei
Francesi e la divisione del Vietnam in due Stati: a nord uno comunista, a sud uno filoccidentale.
Anche in Africa il processo di indipendenza non fu indolore, soprattutto nella zona del Maghreb
(Marocco, Algeria e Tunisia), anch’essa sotto dominazione francese. I Francesi concessero ‘subito’
l’indipendenza a Marocco e Tunisia in quanto essi avrebbero mantenuto in futuro una posizione
filoccidentale.
Più drammatica fu la lotta per la liberazione in Algeria, dove la presenza di oltre un milione di Francesi
rendeva rigida la posizione del Governo di Parigi e della stessa opinione pubblica riguardo
l’indipendenza. Dopo il successo della rivoluzione nasseriana in Egitto, il movimento nazionalista
algerino si radicalizzò e si affermò il Fronte di liberazione nazionale (FLN) guidato da Ben Bella.
Comincia così lo scontro che avrebbe portato in crisi la situazione politica della stessa Francia. Lo scontro
culminò nel ‘57 con la battaglia di Algeri che durò nove mesi e vide l’intera città araba stringersi attorno
ai combattenti del FLN. I Francesi riuscirono a piegare l’insurrezione con la repressione. Nel 1958, i
coloni crearono, con l’appoggio dell’esercito, un Comitato di salute pubblica che aveva tutto l’aspetto di
preludere ad un colpo di Stato militare in Francia e che portò alla fine della Quarta Repubblica e al ritorno
sulla scena politica transalpina di De Gaulle, il quale capì che ormai l’Algeria era perduta. Stabilì così i
contatti con l’FLN, stroncò un tentato colpo di Stato militare ad Algeri e reagì alla campagna terroristica
in Francia. Nel 1962 il Governo francese ed il governo rivoluzionario, espressione politica del FLN, si
accordarono su un progetto di indipendenza del Paese da sottoporre a referendum.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
La crisi del sistema internazionale
Con i primi anni del secolo il sistema delle relazioni internazionali, dopo un trentennio di pace, entrò in
una crisi sempre più accelerata.
Esisteva solo una alleanza definita formalmente, la Triplice Alleanza tra Italia, Austria e Germania. La
Gran Bretagna restava isolata, essendo divisa dai tedeschi dal timore della loro aggressività militare, e da
Francia e Russia per le rivalità coloniali in Africa e Asia.
I primi segnali vennero dopo l’ incidente di Fashoda tra Inghilterra e Francia ; dal nuovo ministro degli
esteri francese Delcassè fu inaugurata, allora, una politica filobritannica che mirava all’ isolamento
tedesco, e quindi al rovesciamento della politica bismarckiana.
Nel 1904 ci fu così un accordo, l’ Entente cordiale, raggiunto tra le due nazioni, col quale veniva
riconosciuta la legittimità francese sul Marocco ; anche l’ Italia aveva trovato un accordo con la Francia,
accordo stipulato nel 1902, accordo che la sottraeva del legame con la Germania.
L’ evidente carattere anti-tedesco non sfuggì a Guglielmo II, il quale nel 1905 proclamò l’ indipendenza
del Marocco. L’ anno seguente, 1906, ad Algerisas vi fu una conferenza che diede ragione ai Francesi,
appoggiati nell’ occasione, in primis dall’ Italia, quindi da Russia e Spagna. Nel 1907 Russia ed
Inghilterra trovarono un accordo sulla Persia.
Si faceva sempre più concreta la possibilità, quindi, di un conflitto militare ; ad aumentare le possibilità
che ciò accadesse contribuì il mutamento politico nell’ Impero Ottomano nel 1908 ad opera dei Giovani
Turchi guidati da Kemal, il quale destituì il sultano Abdulhamid II.
Egli propose una politica interna fondata su un regime costituzionale guidato da un Parlamento, mentre
esternamente si proponeva di arrestare il processo di decadenza dell’ Impero ottomano.
Questo progetto minacciava seriamente i progetti espansionistici dell’ Austria, che già da tempo mirava ai
Balcani, così annesse a sè la Bosnia-Erzegovina e proclamò, nel 1908, l’ indipendenza della Bulgaria.
L’ annessione era stata possibile solo grazie all’ appoggio tedesco, che però suscitò grande attrito fra la
Germania e la Russia, che ancora una volta si faceva paladina delle popolazioni slave nei territori Balcani.
Tra l’ altro i Serbi, guidati da Pietro I, erano orientati ad una forte politica anti-austriaca.
Nel 1911 l’ occupazione militare francese del Marocco indusse Guglielmo II ad inviare la cannoneria
Panther ; giunsero, però, in soccorso dei Francesi, gli Inglesi, che, forti della loro potenza militare,
convinsero il sovrano tedesco a rinunciare, 1911, e ad accontentarsi del Congo.
La conquista italiana della Libia portò ad una violenta riaccensione della questione balcanica ; infatti,
della debolezza degli Ottomani approfittarono una coalizione di Stati - Serbia, Grecia, Montenegro e
Bulgaria -, guidati dalla Russia,
tanto da eliminare definitivamente la presenza turca dall’ Europa. Nella pace di Londra del 1913 il
territorio della Macedonia fu diviso tra quegli stati. Ma l’ Austria si irrigidì contro la Serbia che aveva
raggiunto il mar Adriatico, e giunse a minacciare di guerra la Russia, facendo creare a quest’ ultima uno
stato tra la Serbia ed il mare, l’ Albania.
Il disaccordo tra Serbia e Bulgaria sulla spartizione della Macedonia provocò l’ insorgere di un secondo
conflitto balcanico, dove la Bulgaria venne a trovarsi contro serbi, greci, turchi e rumeni ; la pace di
Bucarest del 1913 vide Grecia e Serbia spartirsi la Macedonia.
In questo primo quarto di secolo, quindi, si venne a sgretolare il sistema di pace internazionale e vide
nascere nuovi stati protagonisti tra i quali spicca la Serbia che aveva visto il suo territorio raddoppiare,
apparendo ormai come il vero ostacolo al pieno controllo austriaco dei Balcani.
La situazione europea allo scoppio della guerra
Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando erede al trono fu ucciso a Sarajevo da un nazionalista
serbo. L’attentato provocò una drammatica serie di reazioni nei rapporti internazionali, da cui ebbe
origine la prima guerra mondiale.
Da una parte si trovavano schierati la Russia, la Francia, l’Inghilterra, il Giappone, l’Italia, la Romania, la
Grecia e gli Stati Uniti. Sull’altro fronte combatterono l’Austria, la Germania, la Bulgaria e l’Impero
turco.
Le condizioni che prepararono un conflitto furono sia di ordine economico, sia politico che ideologico.
Nella sfera economica si era registrato una forte crescita produttiva e finanziaria, che aumentava di
conseguenza la necessità di procurarsi maggiori quantità di materie prime e di trovare mercati sempre più
ampi per la vendita dei prodotti.
Si era stabilito in tutti i Paesi uno stretto collegamento tra potere economico e potere politico, per cui
quest’ultimo aveva cercato di sostenere gli interessi del potere economico con una conseguente linea di
politica estera : le conquiste coloniali. Questa non risultava però sufficiente perché la spartizione delle
aree da occupare era stata quasi completata.
La concorrenza tre le economie dei diversi paesi si era fatta sempre più dura ; la necessità di fronteggiare
le cicliche crisi di sovrapproduzione rendeva più forte la spinta che il potere economico esercitava perché
lo Stato adottasse una politica estera aggressiva.
La Germania aveva ormai raggiunto la potenza economica dell’Inghilterra, ma i possedimenti tedeschi
erano molto inferiori all’impero britannico ; la Germania avvertiva perciò il bisogno di trovare spazi per
l’espansione economica, mentre da parte inglese si avvertiva la necessità di contrastare la Germania.
Proprio a causa della crescita economica degli stati europei l’Inghilterra aveva perso il suo ruolo di
potenza dominante, e ciò la indusse a prendere posizione nell’Intesa franco-russa a funzione antitedesca.
Motivi di contrasto tra gli Stati europei
In questa situazione, gli Stati cercano di rafforzare le proprie posizioni cercando alleanze.
Si vengono così a creare intrecci di alleanze, accordi e contrasti fra gli stati europei :
La crescita economica della Germania e in particolare il potenziamento della sua flotta militare avevano
messo in allarme l’Inghilterra, che uscì dall’isolamento e strinse un’intesa con la Francia ( 1904 ) e con la
Russia ( 1907 ).
Motivi di tensione esistevano anche tra la Francia e la Germania. Per i transalpini continuavano a pesare
la sconfitta nella guerra del 1870/71 e la perdita dell’Alsazia e della Lorena.
La Francia già nel 1893 aveva stipulato un’alleanza con la Russia in funzione antitedesca.
Un altro gravissimo motivo di tensione era costituito dalla questione balcanica ; gli stati europei erano
interessati ad approfittare del decadimento dell’impero Ottomano, in particolare si fronteggiavano gli
interessi russi ed austriaci.
In Italia, poi, diventava sempre più forte la spinta di un nazionalismo che puntava ad estendere i confini
italiani fino alle coste della Dalmazia.
All’interno dei diversi Stati si diffusero la paura di aggressioni straniere e la ricerca di coesione interna
per fronteggiare al meglio l’urto dell’imminente guerra.
Solo pochi partiti socialisti, tra cui l’italiano, il russo e lo statunitense, continuarono ad essere
decisamente a favore della pace ; gli altri accettarono la scelta dei propri governi di entrare in guerra.
Questa spaccatura segnò la fine della Seconda Internazionale ( 1889 - 1914 ).
La guerra
Il 28 luglio del 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia che non aveva accettato integralmente le
condizioni contenute nell’ultimatum austriaco. L’impero russo, alleato della Serbia, mobilitò il proprio
esercito. La Germania, alleata dell’Austria, dichiarò guerra alla Russia e alla Francia.
I piani di guerra tedeschi prevedevano prima la sconfitta dell’esercito francese, quindi la concentrazione
sul fronte orientale contro la Russia.
Il 4 agosto 1914 la Germania invase il Belgio e ne violò la neutralità garantita dalla Conferenza di Londra
del 1831. L’Inghilterra alleata di Francia e Russia, dichiarò guerra alla Germania.
Poco dopo il Giappone si schierò contro i tedeschi ; intendeva impossessarsi dei loro possedimenti in
oriente. La Turchia invece, si schierò con la Germania.
I paesi belligeranti erano preparati ad un conflitto di breve durata ; in realtà la rapidissima avanzata
tedesca fu fermata sulla Marna dall’esercito francese, dando vita al massiccio uso di trincee.
Sul fronte orientale gli eserciti austro-tedeschi ottennero successi più significativi, riuscendo a bloccare
l’offensiva russa e ad avanzare in Polonia e Lituania.
Il 2 agosto del 1914, l’Italia dichiarò la sua neutralità. Non entrava in guerra accanto ad Austria e
Germania, di cui era alleata, perché la Triplice alleanza aveva carattere difensivo, mentre era stata
l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia senza informarne l’Italia.
In Parlamento la maggioranza era a favore della neutralità ; a favore dell’intervento erano Salandra, capo
del governo e lo stesso re.
Fu invece più sentito l’intervento in guerra a fianco degli Stati dell’Intesa ; a favore di ciò erano i
socialisti riformisti e i democratici per l’aspirazione a completare l’unificazione italiana e per la volontà
di combattere il militarismo tedesco.
Furono interventisti soprattutto i nazionalisti che consideravano la guerra uno strumento di espansione
territoriale e di affermazione di potenza.
Furono interventisti anche i liberali di destra, come Salandra e Sonnino. Furono neutralisti i liberali
giolittiani perché :
1. erano convinti che l’Italia avrebbe potuto ottenere dell’Austria con una trattativa impegnandosi a
non entrare in guerra a fianco dell’Intesa, quei territori che si volevano ottenere con la guerra.
2. prevedevano che la guerra sarebbe stata lunga, e ritenevano che l’Italia fosse impreparata ad in tale
sforzo bellico.
3. temevano che la guerra avrebbe peggiorato la situazione sociale
4. vedevano nella neutralità una condizione di sviluppo economico, in quanto avrebbe consentito alle
industrie italiane di continuare ad esportare verso tutti i paesi.
Fu neutralista il Partito Socialista italiano, che condannava la guerra perché contraria agli interessi del
proletariato e alla solidarietà di classe dei lavoratori.
Furono neutralisti anche i Cattolici :
1. per la netta condanna della guerra, proclamata dal papa Benedetto XV
2. perché le masse contadine, cattoliche, avrebbero dovuto sostenere il peso del conflitto e subirne i
disagi.
3. perché la guerra sarebbe stata combattuta contro l’Austria, paese cattolico.
Salandra condusse trattative con l’Austria che però non fu disposta a concedere immediati compensi in
cambio della neutralità e successivamente con gli Stati Uniti, con i quali, il 26 aprile del 1915, sottoscrisse
il Patto di Londra, patto che prevedeva l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria entro un mese.
Il patto di Londra fu stipulato senza che il Parlamento ne fosse informato ; la decisione fu presa da
Salandra, da Sonnino e dal Re. L’Italia entrò in guerra il 24 maggio dello stesso anno.
Alla fine del 1915 la Germania e l’Austria si trovavano in una situazione più favorevole del punto di vista
militare, ma l’isolamento economico non garantiva loro la possibilità di sostenere lo sforzo bellico per
lungo tempo. Nel 1916 gli austro-tedeschi lanciarono una massiccia offensiva sul fronte francese a
Verdun dove furono fermati dopo cinque mesi.
Poco dopo gli Austriaci lanciarono una poderosa offensiva contro l’Italia per punirla del tradimento " la
spedizione punitiva ". L’offensiva fu bloccata, anche perché l’esercito austriaco era impegnato anche sul
fronte orientale dagli attacchi russi.
Il generale italiano Cadorna attaccò gli austriaci e conquistò Gorizia. I successivi tentativi di continuare
l’avanzata fallirono.
Guerra sottomarina
Gli Imperi centrali erano entrati in guerra puntando ad un esito vittorioso da ottenere in tempi brevi,
poiché una guerra di lunga durata li avrebbe messi in crisi perché sarebbe diventato sempre più difficile
reggere il pesantissimo sforzo economico richiesto.
La situazione economica degli Imperi centrali fu notevolmente aggravata dal " blocco navale " che
l’Inghilterra riuscì ad imporre. Per i due paesi si fece grave anche la situazione alimentare, perché le
importazioni erano diventate più difficoltose e la produzione agricola interna era diminuita.
All’inizio del 1917 la Germania annunciò l’intensificazione della guerra sottomarina per paralizzare il
commercio marittimo e costringere l’Inghilterra alla resa. Furono inflitti ingenti danni alle flotte
dell’Intesa, ma senza provocare il crollo inglese, mentre gli Stati Uniti, il 6 aprile del 1917 dichiaravano
guerra agli Imperi centrali.
Conclusione della guerra
Nel 1917, gli Imperi centrali poterono sfruttare il crollo dell’esercito russo ( ritiratosi dalla guerra pagando
per ciò la perdita di Lettonia, Lituania ed Estonia ) e concentrare perciò le loro forze militari sul fronte
francese e su quello italiano. L’esercito austro-tedesco sfondò le linee italiane a Caporetto e si spinse fino
al Piave. L’avanzata austro-tedesca venne stroncata il 4 novembre sul Piave e sul Monte Grappa con la
vittoria di Vittorio Veneto. Il governo italiano cadde ed il potere passò a Orlando, mentre l’esercito fu
affidato a Diaz. Gli Imperi centrali rimasero militarmente forti ancore per tutta la prima metà del 1918 e
solo con l’arrivo delle truppe statunitensi ( luglio ), la situazione volse a loro sfavore.
I trattati di pace e la Società delle Nazioni
Le potenze vincitrici si riunirono nella Conferenza di Parigi per concordare le condizioni della pace.
Nel 1919 fu firmato il trattato di Versailles con la Germania :
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Venne costituita la Repubblica polacca
La Germania cedette l’Alsazia e la Lorena alla Francia
La Germania perse tutti i suoi possedimenti coloniali
Il bacino della Saar, ricchissimo di carbone, fu dato ala Francia per 15 anni
Alla Germania fu imposta la riduzione dell’esercito e la smilitarizzazione sul fronte ovest
Alla Germania fu addebitata la colpa della guerra e le furono imposte le spese di guerra pari a 132
miliardi di marchi d’oro
Lo stesso anno fu firmato il trattato di Saint-Germain con Austria e Ungheria :
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L’impero austro-ungarico fu smembrato
L’Austria divenne una Repubblica
Il regno d’Ungheria divenne indipendente
Si formarono la Repubblica cecoslovacca, polacca e il regno jugoslavo
Divennero indipendenti la Lituania, la Lettonia, l’Estonia e la Finlandia, prima sotto la Russia
Il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria furono ceduti all’Italia, che però non poté ottenere la
Dalmazia ( che finirà alla Iugoslavia ) per l’opposizione del presidente americano Wilson.
Nel 1920 venne quindi il trattato di Neuilly che fissò le condizioni per Bulgaria e Turchia :
1. La Bulgaria cedette alcuni territori alla Grecia, alla Romania e alla Iugoslavia
2. L’impero turco fu dissolto
I territori turchi furono affidati in " mandato " ai vincitori : la Palestina, la Giordania e l’Iraq
all’Inghilterra, mentre il Libano e la Siria alla Francia.
Questo mandato doveva preparare le condizioni per la concessione dell’indipendenza, ma di fatto si trattò
di una forma di controllo coloniale.
Alla conferenza di Parigi non furono ammessi né i vinti, né la Russia.
Anche tra gli stati vincitori si manifestarono tensioni e divergenze :
1. Gli Stati Uniti non condividevano l’aspetto territoriale voluto dall’Italia nella penisola balcanica ;
la delegazione italiana, guidata da Orlando, si ritirò per protesta.
2. La Francia chiedeva che fossero imposte condizioni di pace durissime alla Germania andando
contro Inghilterra e Stati Uniti.
Comunque le condizioni imposte dai trattati di pace agli sconfitti furono tanto dure da compromettere,
soprattutto per la Germania, ogni possibilità di rinascita economica. Nello stesso tempo, anche i paesi
vincitori non si consideravano pienamente soddisfatti da quanto ottenuto.
Il presidente americano Wilson aveva chiarito con il discorso dei 14 punti al Congresso, i fini che gli Stati
Uniti si erano posti intervenendo in guerra. Al momento di stipulare la pace, però, l’applicazione proprio
di quei principi causò problemi perché alcuni di essi risultavano contraddittori ( anche il contrasto italoamericano nacque da ciò ).
Il presidente Wilson aveva pensato ad un organismo internazionale che vigilasse sul mantenimento della
pace tra i popoli, così, nel 1919 nacque a Ginevra la Società della Nazioni ; questa però risultava
compromessa poiché non ne facevano parte ne Russia, né Germania né gli stessi Stati Uniti.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
La Germania nazista stava attuando con grande lucidità ed abilità diplomatica la prima fase del suo
progetto di un nuovo ordine internazionale che prevedeva l’espansione territoriale tedesca e
l’asservimento degli altri popoli.
Costituì perciò un sistema di alleanze :
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Asse Roma - Berlino 1936
Patto Antikomitern col Giappone 1936 ( cui aderirono Italia, Ungheria e Spagna )
L’Italia fascista intanto si stava sempre più legando alla Germania nazista, spinta a ciò da diversi motivi :
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le affinità ideologiche e politiche tra fascismo e nazismo
la necessità di uscire dall’isolamento diplomatico scattato dalla guerra in Etiopia
il desiderio di ricavare vantaggi dall’alleanza con un Paese militarmente forte
Il legame tra Italia e Germania si era rafforzato anche grazie all’esperienza della guerra civile spagnola. E’
comunque vero che in Italia sussistevano motivi di resistenza all’alleanza coi Tedeschi :
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il peso dell’antica inimicizia
il rischio di dover subire l’iniziativa tedesca
il desiderio di non compromettere definitivamente i rapporti con le potenze occidentali
la consapevolezza dell’impreparazione militare italiana
Intanto Hitler era riuscito ad assicurare la ripresa dell’economia tedesca puntando sugli investimenti per la
realizzazione di opere pubbliche e sulle commesse statali per il riarmo.
Nel 1933 Hitler aveva abbandonato la Società delle Nazioni perché gli negava il riarmo, quindi nel 1938
realizzo l’Anschluss, l’annessione austriaca al Terzo Reich.
Nel settembre dello stesso anno si tenne a Monaco una conferenza a cui aderirono Francia e Inghilterra,
conferenza che regolava la situazione territoriale dell’Est Europa, ma nel 1939 Hitler infranse quegli
accordi e occupò militarmente la Cecoslovacchia.
Subito dopo avanzò rivendicazioni sulla città di Danzica e sul territorio ad essa circostante, ovvero quella
striscia di terra che il trattato di Versailles del ’19 avrebbe dovuto separare la Prussia dal resto della
Germania. Francia ed Inghilterra, rimaste sino ad allora passive dinanzi la prepotenza di Hitler, si
opposero e proclamarono di garantire appoggio al mantenimento delle frontiere.
Intanto, sempre nel ’39, l’Italia fascista, presa anch’essa da manie espansionistiche, occupò l’Albania e il
22 maggio dello stesso anno firmò con i tedeschi il Patto d’Acciaio, un patto che impegnava i due Paesi a
prestarsi reciproca assistenza in caso di guerra sia difensiva che offensiva.
Poco dopo la Germania firmò un altro patto di non aggressione, questa volta con l’Unione Sovietica, il
patto Ribbentrop - Molotov.
La Germania si assicurava così la neutralità russa, mentre si preparava a fronteggiare l’ostilità di Francia e
Inghilterra. La Russia, col patto stretto coi tedeschi era finalmente uscita dall’isolamento diplomatico.
Lo scoppio della guerra
Il 1 settembre del 1939 le truppe tedesche entrarono in Polonia ; il 3 Inghilterra e Francia dichiararono
guerra alla Germania.
L’Italia, d’accordo coi tedeschi, si dichiarò non belligerante. I Tedeschi attuarono la strategia della guerra
lampo e in poche settimane completarono l’occupazione della Polonia occidentale. La Russia intanto,
forte del trattato con la Germania, occupò invece la parte orientale, per poi cercare orientarsi su Lituania,
Estonia, Lettonia e Finlandia ( tutti i territori, cioè, che aveva perso col trattato di Brest-Litovsk del 3
marzo del ’18, trattato col quale uscì dalla prima guerra mondiale ).
Nella prima metà del ’40 Hitler occupò Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, quindi
aggirarono la linea difensiva francese di Maginot e, sfondato il fronte transalpino, respinse le truppe degli
Alleati che fuggirono nella famosa ritirata di Dunkerque.
Il 10 giugno del ’40 Mussolini decise di entrare in guerra contro la Francia e l’Inghilterra per partecipare
da vincitore alle trattative di pace. La Francia era ormai alle strette e il 24 giugno accettò le condizioni di
pace tedesche e italiane : la parte settentrionale della Francia divenne zona d’occupazione tedesca, mentre
nella zona meridionale si costituì un governo con sede a Vichy, un governo collaborazionista.
Sconfitta la Francia, Hitler impegnò l’apparato bellico contro gli Inglesi ; a guidare con tenacia la
resistenza e la ripresa militare fu Wiston Churchill, primo ministro inglese del 1940.
Il 27 settembre del ’40 Germania, Italia e Giappone stipularono il Patto tripartito. Lo stesso anno
Mussolini decise di muover guerra alla Grecia, ma l’impresa militare fallì, e i Greci si spinsero in
territorio albanese. Anche in Africa l’Italia dovette subire l’iniziativa militare nemica. La resistenza
inglese intanto fu sostenuta dall’aiuto degli Stati Uniti, coi quali nel 1941 firmò la Carta atlantica, un
patto che fissava i principi sui quali si sarebbe dovuta riorganizzare la situazione internazionale dopo la
sconfitta, eventuale, della Germania.
Nel 1941, in Africa, a sostegno delle truppe italiane intervenne un copro speciale tedesco guidato da
Rommel ; anche in Grecia, con l’arrivo del Tedeschi, si riuscì ad avere l’occupazione.
Era ora attuabile nei piani di Hitler il progetto di attaccare l’Unione Sovietica. Nel giugno del ’41 Hitler
diede il via al piano Barbarossa e attaccò la Russia ; anche l’Italia partecipò inviando un contingente
armato.
L’avanzata fu rapidissima e travolse l’esercito russo che, però, riuscì prima a riorganizzarsi e a resistere,
quindi, grazie alla tecnica della guerriglia e della terra bruciata, riuscì a riportare una decisiva vittoria
nella battaglia di Stalingrado.
Alla fine dello stesso anno, intanto, il Giappone attaccò la flotta americana a Pearl Harbour ; nonostante le
gravi perdite, la flotta statunitense non fu debellata poiché sembra certo che i servizi segreti americani
avessero intercettato il messaggio d’attacco nipponico ed avessero di conseguenza preavvisato la flotta.
La supremazia degli stati del Tripartito veniva meno ; nel ’42 l’avanzata dell’Asse fu fermata ad El
Alamein, in Egitto e fu successivamente avviata dagli Inglesi una controffensiva che distrusse le forze
italiane.
Nasce la Resistenza in Italia
La dittatura nazista aveva suscitato ostilità in tutti i Paesi occupati e contro i nazisti sorsero movimenti di
Resistenza, formati da gruppi di combattenti spesso coadiuvati dal resto della popolazione.
In essi erano presenti movimenti politici opposti fra loro, ma risultò particolarmente sentita in tutti
l’influenza sovietica, sia per la vittoria di Stalingrado, sia per il carattere della lotta di classe.
Uno dei maggiori motivi di avversione al Nazismo era costituito dalla reazione alle atrocità compiute nei
confronti degli ebrei, dei prigionieri politici e di guerra.
Nel 1942 Hitler decise per la soluzione finale della questione ebrea, dando il via allo sterminio di massa.
Anche in Italia l’antifascismo riprese con vigore per il malcontento e l’avversione suscitati dall’alleanza
con la Germania, e soprattutto dall’entrata in guerra, tanto che dal 1942 si ricostituirono clandestinamente
i partiti polittici, primo fra tutti quello Comunista.
Queste organizzazioni mantennero tra loro costanti contatti creando i Comitati di Liberazione Nazionale
( CLN ) ; molti alti gerarchi, come Ciano, cominciavano a ritenere insostenibile la continuazione della
guerra e a considerare necessaria una radicale svolta politica. Il 10 luglio del 1943 gli anglo-americani
sbarcarono in Sicilia e la liberarono in poche settimane. il 25 il Gran Consigli del Fascismo mise in
minoranza Mussolini e chiese che fossero restituiti i poteri al sovrano come dichiarato esplicitamente
della Statuto albertino. Il giorno successivo il re fece arrestare Mussolini ed affidò al maresciallo Badoglio
il compito di riorganizzare il governo.
L’armistizio con gli anglo-americani fu firmato il 3 settembre del 1943, armistizio che fu annunciato l’8
dello stesso mese e che mise allo sbando l’esercito italiano ; molti soldati italiani furono portati ai compi
di concentramento tedeschi, altri si unirono alla Resistenza.
Il 13 settembre Badoglio dichiarò guerra alla Germania e fu accettato dagli Alleati. L’Italia era ora divisa
in due : il Sud era occupato, o meglio liberato dagli alleati, mentre il Nord era sotto l’occupazione tedesca.
Mussolini, liberato dai tedeschi costituì proprio nel Nord una Repubblica Sociale italiana a Salò ; è questo
l’ultimo tentativo del fascismo di sopravvivere.
La Resistenza crebbe rapidamente in tutti i territori occupati dai nazisti ; si formarono diversi contingenti
della Resistenza come le Brigate garibaldini, le Brigate Giustizia e Libertà e le Fiamme Verdi.
La conclusione della guerra
L’avanzata degli alleati in Italia giunse sino a Napoli, insorta da sola contro i nazisti nel settembre del ’43.
L’Italia continuò comunque ad essere divisa in due zone ; a Sud il governo Badoglio dovette affrontare la
decisa opposizione dei partiti politici del CLN che chiedevano l’abdicazione del re Vittorio
Emanuele III. La situazione si sbloccò col ritorno dalla Russia del leader comunista Togliatti, che portò
alla < svolta di Salerno > che aprì la strada alla partecipazione dei partiti CLN ad un nuovo governo
Badoglio.
Nel 1944 Roma fu liberata e fu costituito un nuovo governo presieduto da Bonomi, di cui facevano parte
anche il comunista Togliatti e il liberale Croce.
Intanto i governi alleati facevano sempre più affidamento sulla forza delle organizzazioni partigiane.
Gli Alleati decisero così l’apertura di un nuovo fronte : il 6 giungo 1944 le armate americane guidate da
Einsenhower sbarcarono in Normandia, mentre sul fronte orientale i Tedeschi furono costretti ad arretrare
sotto la spinta dell’Armata Rossa.
Il 13 aprile 1945 i Russi occuparono Vienna, il 2 maggio conquistarono Berlino.
L’8 maggio la Germania si arrese senza condizioni ; Hitler si era suicidato alcuni giorni prima. In Italia
intanto l’avanzata alleata fu accompagnata dall’insurrezione partigiana che liberò le principali città
settentrionali.
Il 28 aprile Mussolini fu catturato mentre tentava la fuga e fu fucilato a Dongo.
La guerra continuava però in Oriente tra Giappone e Stati Uniti ; questi sganciarono il 6 e il 9 agosto due
bombe atomiche rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki, portando il governo nipponico al crollo.
Nel febbraio del ’45 si tenne l’importante Conferenza di Yalta tra Churchill, Stalin e Roosevelt ; fu deciso
che la Germania sarebbe stata divisa in zone d’occupazione e berlino sarebbe stata spartita tra i quattro
vincitori ; la Francia infatti veniva considerata nazione vincitrice e avrebbe preso parte all’occupazione.
A tale Conferenza ne seguì un’altra in luglio, a Potsdam, dove vennero confermate le decisioni di
ristabilire gli equilibri territoriali europei.
LA GUERRA FREDDA - INTRODUZIONE
Nel quadro internazionale venutosi a creare al termine della seconda guerra mondiale, segnato in primo
luogo dal venir meno del tradizionale orizzonte eurocentrico, le due nuove nazioni leader, statunitense e
sovietica, mostravano alcuni elementi di forza comune : il possesso di forze militari largamente superiori
a quelle di qualsiasi altro Paese, unito presto a sempre più vasti arsenali nucleari ; estensioni territoriali
tali da proiettare naturalmente i loro interessi su scala mondiale; l’adesione a dottrine economico-politicosociali coesive e totalizzanti innestate su sentimenti nazionali di più antica origine ma potenziate dalla
recentissima e quasi improvvisa presa di coscienza del proprio status di superpotenze, unita all’orgoglio e
volontà di svolgerne le funzioni. La macroscopica superiorità tecnico-economica degli USA rispetto
all’avversario risultava tuttavia talmente vistosa da indurre a chiedersi se l’URSS possedesse
caratteristiche tali da giustificare l’affermazione secondo cui essa era affettivamente l’altra superpotenza.
Come nel 1918, gli Stati Uniti uscivano dalla guerra con un territorio nazionale non toccato dalle
distruzioni belliche e un sistema economico dalle capacità produttive moltiplicate ; l’URSS al contrario
affrontava il dopoguerra con larga parte del territorio devastato, una popolazione decimata, una struttura
economico - produttiva esausta e caratterizzata da un basso livello tecnologico. La divisione delle grandi
zone di influenza all’aprirsi della guerra fredda accentuava ulteriormente lo squilibrio iniziale, e non tanto
per il poter contare degli Usa su tre di esse ( emisfero occidentale, Europa occidentale e Asia orientale )
contro la sola Europa orientale legata a Mosca, quanto soprattutto per la loro possibilità di comprendere
entro il proprio sistema le zone del mondo già più avanzate, assumendone la guida attraverso la proposta /
imposizione della via americana allo sviluppo economico e sociale. Ciò ebbe una ricaduta militare,
permettendo la costruzione di una rete di alleanze ( trattato di Rio, Nato, ANZUS, SEATO, Patto di
Baghdad ) che di fatto circondò la superpotenza rivale.
Da parte sua l’Unione Sovietica potè godere del portato di un’esperienza internazionale bisecolare da
grande potenza che le permise di operare con estrema lucidità la politica di annessioni fermamente
perseguita dall’alleanza con la Germania nazista sino alla conferenza di Yalta, mostrando maggior
tempismo e preparazione quanto decisione, consapevolezza e realismo nell’assunzione del nuovo ruolo di
superpotenza.
A favore dei suoi leaders giocavano anche alcune caratteristiche proprie del regime comunista sovietico:
sul piano interno, il non dover fare i conti con un’opinione pubblica in grado di condizionarne le scelte ;
in questo senso la compressione forzata dei consumi privati permetteva uno sfruttamento delle risorse ed
una programmazione economica finalizzati al costante accrescimento del potenziale militare.
Sul piano internazionale,l’URSS poteva invece fare leva sui sentimenti antioccidentali dei Paesi del Terzo
mondo, oltre che influire sui movimenti comunisti nazionali presenti nel campo avversario,
avvantaggiandosi anche dell’operato dei vari movimenti neutralisti e pacifisti non comunisti, che essendo
ammessi nei soli Paesi democratici finivano per essere dei fellows travellers* di Mosca.
Da ultimo, la configurazione geografica del proprio territorio, caratteristicamente continentale, permetteva
ai sovietici di operare per linee interne sia nella difesa dal mondo capitalistico che li circondava, che
nell’espansione tesa ad allargare la cintura di sicurezza dai Paesi di confine assoggettati.
Il bilancio di tutti questi fattori suggerisce tra conclusioni. La prima è che l’URSS è stata effettivamente
l’altra superpotenza perché in grado di sopperire a certe debolezze di partenza nei riguardi dell’avversario
americano con vantaggi particolari derivanti proprio dalla sua diversità storico-sociale-politica.
La seconda è il carattere profondamente radicato in una situazione storica precisa, imposta e delimitata
quindi nei suoi termini temporali dalla guerra fredda, e nelle sue modalità di espressione dalla logica di un
sistema bipolare, di buona parte degli elementi che hanno conferito a Usa E URSS il rango di
superpotenze. Infine, se si fa dipendere l’esistenza stessa delle superpotenze assai più dalle condizioni
particolari di un’epoca storica, la contrapposizione quindi fra due sistemi ideologici, che dai loro dati
obiettivi di carattere essenzialmente quantitativo, non può meravigliare che la fine della guerra fredda
abbia portato a compimento il processo di ridefinizione dei rapporti di forza generali tra i due Paesi : già
negli ultimi decenni si erano del resto logorati fin quasi a scomparire i fattori diversi dalla potenza
militare che legittimavano la supremazia delle superpotenze dinanzi agli altri popoli del mondo.
ONU : sigla dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, organizzazione internazionale finalizzata alla
promozione e al mantenimento della pace e sicurezza dei popoli. Il progetto, elaborato e discusso da
Churchill, Roosevelt e Stalin, fu approvato alla conferenza di San Francisco - California - del 4 giugno del
1945 dai delegati di 51 Stati. Nel ’50 la sede dell’ONU venne spostata a New York - New York, altri
uffici hanno sede a Ginevra - Svizzera -. Progressivamente tutti gli stati mondiali hanno preso parte
all’organizzazione tranne alcuni ( Svizzera, Corea nord e sud, Taiwan, Città del Vaticano ).
L’attività dell’ONU risultò tuttavia condizionata dalla rivalità tra USA e URSS che disponendo del diritto
di veto insieme con Francia, Gran Bretagna e Cina, bloccarono sistematicamente ogni decisione a loro
sgradita.
La fine della guerra fredda nel 1989 è sembrata preludere al rilancio dell’ONU come garante, anche
armato, contro le aggressioni all’equilibrio internazionale ; ma se la gestione della crisi seguita
dall’invasione del Kuwait ha confermato questo ruolo, sia pure in forte dipendenza dal peso politicomilitare degli USA, e se si sono modificate le missioni di caschi blu, la successiva crisi jugoslava, la
vicenda somala e quella ruandese ne hanno riproposto le difficoltà. Nel 1996, Boutros Ghali ( Egitto ) ha
lasciato il posto ( 1992 -’96 ) a Kofi Annan ( Ghana ), attuale segretario generale dell’organizzazione, ed
ha subito approvato il trattato di messa al bando totale degli esperimenti nucleari.
La NATO
LA NATO è l’organizzazione politico-militare nata in conseguenza del Patto Atlantico del 4 aprile del ’49
firmato da 12 Paesi occidentali (USA, Canada, Inghilterra, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo,
Danimarca, Norvegia, Islanda, Portogallo e Italia ). La costituzione della NATO (North Atlantic Treaty
Organization ) rappresentò lo sbocco della guerra fredda e sancì la divisione dell’Europa in due blocchi.
L’adesione dell’Italia fu osteggiata degli Inglesi, favorita invece dai Transalpini e vista con perplessità
dagli stessi Statunitensi. Fu la guerra in Corea che portò il passaggio dal Patto Atlantico alla NATO,
ovvero la nascita della necessità di una struttura militare e politica in grado di garantire sicurezza in quel
clima di forte timore.
Nel ’52 vi entrarono a far parte anche Grecia e Turchia, nel ’55 la Germania occidentale. Nel ’99 sono
entrate Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia.
Il Patto di Varsavia
Organizzazione militare dei Paesi comunisti dell’Europa orientale costituita con il trattato del 14 maggio
1955 tra URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Romania, Bulgaria, Ungheria e Albania, a
completamento dei preesistenti trattati bilaterali tra l’URSS e gli altri Paesi.
Costituito in reazione all’ingresso nella NATO della Germania Federale, il Patto di Varsavia aveva un
comando unico affidato a uno sovietico.
Fu sciolto nel 1991 in seguito al crollo dei regimi comunisti.
Il Piano Marshall
Questo piano fu lanciato dal segretario di Stato americano George C. Marshall con il nome di European
Recovery Program ( ERP, Programma di Ricostruzione Europea ) nel 1947, prevedeva nell’arco degli
anni 1948 - 52 la concezione di aiuti gratuiti alle Nazioni europee, perlopiù sotto forma di beni che, dati
dai vari governi agli operatori economici interni, avrebbero dovuto finanziare la creazione di infrastrutture
e il risanamento dei bilanci dello Stato, sotto la supervisione dell’americana ECA ( Economic
Cooperation Administration ). Fu rifiutato dall’URSS e dagli Stati ad esso legati e quindi solo legato agli
Stati europei occidentali. Aspramente contestato dalle sinistre, il Piano Marshall contribuì a rilanciare
l’economia europea in stretto collegamento con quella americana.
COMECON
Consiglio di Mutua Assistenza Economica - Organo per la pianificazione economica comunitaria istituito
a Mosca nel ’49 da Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Polonia, Romania ed Ungheria.
Aderirono poi RDT, Vietnam e Iugoslavia.
USA Vs. URSS - GLI SCHIERAMENTI
La conferenza di Parigi del 1946 fu l’ultimo atto della cooperazione postbellica fra l’Urss e le potenze
occidentali (per le condizioni da imporre agli sconfitti). Già quando la conferenza era ancora in corso, una
grave crisi fu innescata fra Unione Sovietica e Turchia, appoggiata dagli U.S. a proposito dello stretto dei
Dardanelli. Truman,presidente americano, inviò nel Mar Egeo la flotta maericana onde evitare
l’affacciarsi dei Sovietici sul Mediterraneo; era questa infatti la dottrina Truman, ossia l’impegno degli
Americani di intervenire in sostegno dei popoli minacciati della loro libertà (dai Sovietici...). Nel 1947 gli
Americani lanciarono un vasto programma per la ricostruzione economica Europea, il Piano Marshall,
offerto a tutti i Paesi Europei, occidentali ed orientali. I Sovietici respinsero il piano ed imposero,
condannandolo, ai propri satelliti di fare altrettanto; ma anzi, i Sovietici risposero con la creazione del
COMECON, un’organizzazione con gli stessi scopi del Piano Marshall, volto però ai soli Paesi satelliti. A
ciò si aggiunse, sempre nello stesso anno, la creazione del Cominform, un organo che raggruppava tutti i
Partiti comunisti anche delle potenze europee occidentali (fra cui l’italiano era il primo). Il più importante
terreno di scontro del dopoguerra fu la questione della Germani, divisa in quattro zone d’occupazione
(americana, inglese, francese e russa). Berlino, che si trovava nella zona di occupazione russa fu anch’essa
divisa in quattro blocchi. Saltata ogni possibilità d’intesa coi sovietici, stati Uniti ed Inghilterra
integrarono le loro zone d’azione liberalizzando l’economia e rivitalizzandola poi con gli aiuti del Piano
Marshall. Di fronte alla nascita di un forte Stato Tedesco occidentale, Stalin reagì con la prova di forza
del blocco di Berlino. Nel 1948 l’URSS chiuse gli accessi alla città impedendone il rifornimento, nella
speranza di indurre gli occidentali ad abbandonare la zona ovest da loro occupata. La crisi, invece di
risolversi con le armi, lo fece senza alcuno scontro militare: gli Americani, infatti, organizzarono un
gigantesco ponte aereo per rifornire la città finche nel ‘49 i sovietici si risolsero a togliere il blocco
inefficace.
Furono poi unificate tutte e tre le zone occidentali e fu proclamata la Repubblica Federale Tedesca con
capitale Bonn. La risposta sovietica fu la creazione di una Repubblica democratica tedesca con capitale
Pankow.
A questo punto la divisione dell’Europa, e del mondo intero, in due blocchi contrapposti fra loro era
perfezionata. Nel ‘49 gli occidentali costituirono il Patto Atlantico, un’allenaza strettamente politica,
inzialmente firmato da 12 Paesi, che costituirà la base per l’alleanza militare, la NATO, attualmente
l’unica forza militare internazionale estesa a 19 Paesi, tre dei quali, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia
dell’ormai oggi ex blocco sovietico. I 12 fautori dell’alleanza furono USA, Canada, Inghilterra, Francia,
Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Norvegia, Islanda, Portogallo e Italia. A loro si aggiunsero
nel ‘55 Grecia e Turchia e Germania Ovest. L’Urss da parte sua reagì nel ‘55, in seguito proprio
all’entrate nell’allenanza della Germania Federale, con la creazione di un’alleanza militare, il Patto di
Varsavia, a cui aderirono ‘liberamente’ URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Germania orientale, Romania,
Bulgaria, Ungheria e Albania. Lo stalinismo rispose alle sfide poste dal confronto con l’Occidente
accentuando i suoi connotati autocratici e repressivi; gli apporti di capitali vennero imposti ai Paesi
controllati dall’Armata, ed il prelievo, non solo di finanze, ma anche di derrate agricole, di macchinari, di
impianti e di mezzi di locomozione fu ingente. La priorità nella ricostruzione postbellica sovietica andò
all’industria pesante, a discapito del tenore di vita del popolo. Sul terreno della politica estera, l?unione
Sovietica trasformò tutti i Paesi orientali occupati in democrazie popolari, una formula che mascherava
l’imposizione a quei Paesi, di un sistema politico e sociale nella sostanza simile a quello vigente in Ursss
e la loro riduzione a satelliti della potenza egemone.
Drammatico fu il destino della Cecoslovacchia, Paese economicamente e socialmente sviluppato, di
tradizione democratica, che seguiva una linea non ostile all’Urss. Il governo formatosi a seguito delle
elezioni era guidato dal leader comunista Gottwald e si fondava sull’alleanza fra i partiti di sinistra. La
coalizione si ruppe nel ‘48 quando si trattò di decidere circa l’accettazione degli aiuti del Piano Marshall,
sostenuta dai socialisti ed osteggiati dai comunisti. Per imporre il loro volere, i comunisti costrinsero sotto
la minaccia della guerra civile il presidente della Repubblica ad affidare il potere ad un nuovo governo da
loro completamente controllato.
L’unico fra i regimi dell’est europeo che cercò, con successo, di sottrarsi all’egemonia sovietica fu quello
jugoslavo. La rottura si consumò nel 1948 in seguito alle resistenze di Tito ai piani staliniani; l’Urss
sospese dapprima ogni collaborazione economica, quindi condannò apertamente i comunisti jugoslavi di
‘deviazionismo’. Isolata dal mondo comunista, la dirigenza jugoslava cominciò a sperimentare una linea
autonoma basata sull’equidistanza fra i due blocchi, ed un nuovo corso in politica interna volto alla
ricerca di un equilibrio fra stalinizzazione ed economia di mercato: l’autogestione delle imprese.
Per evitare che l’eresia di Tito trovasse adesioni, furono attuate dai sovietici massicce purghe nei
confronti dei dirigenti comunisti dell’est europeo sospettati di velleità autonomistiche.
L’INIZIO DEGLI SCONTRI - DALLA GUERRA DI COREA ALLA DESTALINIZZAZIONE
La prova del confronto fra i due blocchi si ebbe nel 1950 in Corea. In base agli accordi, quel Paese era
stato diviso in due zone delimitate dal 38° parallelo. Una delle due zone, quella del nord, era governata da
un regime comunista, mentre l’altra, quella del sud, presentava l’insediamento di un governo nazionalista
appoggiato dagli americani. Nel 1950 le forze nordcoreane, armate dai sovietici, invasero il Sud. Gli Stati
Uniti reagirono inviando in Corea un forte contingente di truppe che respinsero i nordcoreani ed
oltrepassarono a loro volta il 38° parallelo. A questo punto però fu la Cina di Mao ad intervenire in difesa
dai ‘fratelli comunisti’ ed in poche settimane capovolsero le sorti della guerra penetrando nella Corea del
Sud. Nel ‘51 Truman accettò di aprire le trattative con i Nordcoreani e nel ‘53 si giunse all’accordo che
riportò la situazione alla partenza, ossia la divisione in due del Paese al 38° parallelo.
Con la fine della presidenza Truman nel ‘52 e con la morte di Stalin nel ‘53, la guerra fredda perse i suoi
protagonisti ed il confronto cominciò ad assumere nuove forme, forme di accettazione reciproca. Intanto
negli U.S., dove stava scomparendo ormai il maccartismo, salì alla presidenza Eisenhower, mentre in Urss
si arrivò ad una direzione ‘collegiale’ dal Paese affidata al gruppo erede di Stalin. Ma questo ‘governo di
molti’ durò poco tempo perchè il nuovo leader del Pcus, Nikita Kruscev si impose facilmente come leader
indiscusso del Paese; uomo molto diverso caratterialmente da Stalin, Kruscev si fece promotore di alcune
significative aperture sia in politica estera che in politica interna: il Trattato di Vienna e l’incontro di
Ginevra coi leaders occidentali, ma anche la clamorosa riconciliazione con la Jugoslavia di Tito e lo
scioglimento del Cominform nel ‘55. In politica interna, il comando di Kruscev coincise con la fine della
‘grandi purghe’ e comportò un rilancio dell’agricoltura ed una maggiore attenzione alle condizioni di vita
dei cittadini. Per rendere irreversibile la svolta, Kruscev non esitò a compiere l’operazione più traumatica
di tutta la storia sovietica: demolì la figura di Stalin attraverso una sistematica denuncia dei crimini
commessi in Unione Sovietica da Stalin in un rapporto al XX congresso del Pcus del ‘56.
Il Rapporto Kruscev ebbe effetti traumatizzanti in tutto il mondo comunista ma le conseguenze più
esplosive della destalinizzazione si ebbero nell’Europa dell’Est, in particolare in Polonia ed in Ungheria:
il rapporto Kruscev fece nascere i primi sogni che l’egemonia sovietica sui satelliti potesse essere
cancellata.
In Polonia furono gli operai, con l’appoggio della Chiasa cattolica, a dar vita ad una serie di agitazioni
culminate nel grande sciopero di Poznan. Lo sciopero fu stroncato con l’intervento delle truppe
sovietiche, ma le agitazioni continuarono e così, piuttosto che continuare a reprimere nel sangue la
popolazione, i dirigenti sovietici preferirono operare un ricambio ai vertici del partito e del governo
polacco favorendo una politica di cauta liberalizzazione e di parziale riconciliazione con la Chiesa,
impegnandosi per contro a non mettere in discussione l’alleanza con l’Urss e l’appartenenza al campo
socialista. In Ungheria gli avvenimenti seguirono un corso analogo, inizialmente, a qielli polacchi. Le
proteste sfociarono in una vera e propria insurrezione e si formarono dei consigli operai. A capo del
governo fu chiamato Nagy, comunista liberale, già espulso dal partito. Le truppe sovietiche decisero di far
rientrare l’esercito e questo aprì spazi alle forze antisovietiche che portarono i comunisti a perdere il
potere nel Paese. Ma quando Nagy annunciò l’uscita dell’Ungheria dal Patto di Varsavia, i reparti armati
dell’Armata rossa occuparono con la forza Budapest; Nagy fu fucilato. Questo avvenimento portò sdegno
e proteste in occidente e non poche crisi di coscienza fra i comunisti di tutto il mondo.
I NON ALLINEATI
I Paesi di nuova indipendenza, guidati dalla Jugoslavia di Tito, si affacciarono sulla scena internazionale
al di là delle competizioni fra Est ed Ovest: la parola d’ordine diventò così quella del ‘non allineamento’.
Per impulso dell’India di Nehru, dell’Egitto di Nasser e della Jugoslavia di Tito, questa parola d’ordine
divenne la principale piattaforma politica comune di quello che veniva emergendo come un Terzo Mondo.
La consecrazione ufficiale di questo indirizzo si ebbe nell’aprile 1955 con la conferenza di Bandung, in
Indonesia, che proclamò l’eguagliana fra tutte le nazioni e segnò non solo l’atto di nascita dei non
allineati, ma anche l’affermazione del Terzo Mondo sulla scena mondiale.
GLI ANNI ‘60 - CRISI DEI MISSILI A CUBA E DISTENSIONE
Nel 1960, scaduto il secondo mandato di Eisenhower, il candidato democratico John Fitzgerald Kennedy
salì alla presidenza degli Stati Uniti. In politica interna ci fu un incremento della spesa pubblica ed il
tentativo di imporre l’integrazione razziale, mantre in politica estera la presidenza Kennedy fu
caratterizzata da una linea ambivalente. Il primo incontro con Kruscev a Vienna nel 1961 dedcato al
problema di Berlino Ovest si risolse in un fallimento. Gli Stati Uniti riaffermarono il loro impegno nella
difesa della città tedesca, mentre i Sovietici risposero innalzando un muro che separava le due parti della
città, il muro di Berlino, simbolo della divisione della Germania e della Guerra Fredda.
Ma il confronto più drammatico fra le due superpotenze ebbe per teatro l’America Latina. Kennedy tentò
di soffocare il regime socialista a Cuba boicottandola economicamente ed appoggiando i gruppi
anticastristi che tentarono, nel 1961, una spedizione armata nell’isola. Sbarcati nella Baia dei porci, la
spedizione si risolse in un fallimento. Nella tensione si inserì l’Unione Sovietica che non solo offrì ai
cubani assistena economica e militare, ma iniziò l’installazione nell’isola di alcune basi di lancio per
missili nucleari a corto raggio. Quando nel 1962 le basi furono scoperte da aerei-spia americani Kennedy
ordinò il blocco navale attorno a Cuba ed alla fine Kruscev dovette cedere ed acconsentì a smantellare le
basi missilistiche in cambio dell’impegno americano ad astenersi da azioni militari contro Cuba. Il
compromesso su Cuba aprì la strada ad una nuovo fase di distensione; nel 9163 Usa ed Urss si
accordarono per l’installazione di una linea diretta telefonica fra Casa Bianca e Cremlino, la linea rossa,
che serviva a scongiurare il pericolo di una guerra ‘per errore’. Ucciso nel 1964 a Dallas, Kennedy fu
sostituito da Jonhson.
LA GUERRA DEL VIETNAM E LA PRIMAVERA DI PRAGA ‘68
La guerra che si combatte fra il ‘64 ed il ‘75 nel Vietnam rappresentò uno degli strascichi più drammatici
fra gli USA ed il mondo comunista.
Gli accordi di Ginevra del 1954 avevano diviso il Vietnam in due repubbliche: quella del Nord era retta
dei comunisti, quella del Sud era governata, invece, da un regime semidattatoriale appoggiato dagli
Americani. Contro il governo del Sud si sviluppò un movimento di guerriglia, il Vietcong, guidato dai
comunisti e sostenuto dallo Stato nordvietnamita. Preoccupati per la situazione, gli Stati Uniti inviarono
nel Vietnam del Sud un grande contingente di uomini e mezzi. Nel ‘65, senza una dichiarazione di guerra
ufficiale, ebbe inizio una serie di violenti bombardamenti aerei contro il territorio vietnamita del nord. Il
conflitto vietnamita apparve a larghi settori dell’opinione pubblica come una guerra fondamentalmente
ingiusta, contraria alle tradizioni della democrazia amaricana. La svolta della guerra si ebbe a partire dal
‘68 quando i vietcong lanciarono contro le principali città del sud una grande offensiva, detta del Tet. Lo
stesso anno Johnson decise la sospensione dei bombardamentied annunciò la sua intenzione di non
ripresentarsi alle elezioni di quell’anno. Il successore di Johnson, il repubblicano Nixon, avviò negoziati
ufficiali con il Vietnam del Nord e con il governo rivoluzionario provvisorio, espressione politica del
Vietcong. Solo nel 1973 Americani e nordvietnamiti firmarono a Parigi un armistizio che prevedeva il
graduale ritiro delle forze statunitensi.
Dopo il ritiro americano la guerra continuò per altri due anni, fino a che, nel 1975 i vietcong e le truppe
nordvietnamite si impossessarono del Sud del Vietnam. Gli Stati Uniti dovettero registrare la prima grave
sconfitta di tutta la loro storia.
Dopo Kruscev, così come era accaduto dopo la morte di Stalin, l’Unione Sovietica fu retta da una
direzione collegiale formata da ex del leader: Breznev divenne segretario del Pcus e mutò profondamente
lo stile della politica krisceviana. In politica estera assunse un atteggiamento più deciso di riarmo che
assorbì quote crescenti del bilancio, a scapito del tenore di vita dei cittadini. Si mostrò intransigente nei
confronti del più ampio esperimento di liberalizzazione del blocco sovietico: quello avviato in
Cecoslovacchia nel ‘68 e culminato nella cosiddetta primavera di Praga. Tutto cominciò quando il
segretario del partito Novotny fu rimosso e sostituito da Dubcek. La Cecoslovacchia visse una stagione di
radicale rinnovamento politico che parve dar corpo all’ideale di un socialismo dal volto umano. A
differenza però del moto ungherese, l’esperienza cecoslovacca fu sempre saldamente guidata dai
comunisti e non mise mai in discussione la collocazione del Paese nel sistema di alleanza sovietico. I
Sovietici tentarono invano di indurre i dirigenti di Praga a bloccare il processo di liberalizzazione fino a
quando nel ‘68, truppe dell’Urss e di altri Paesi del Patto di Varsavia occuparono la capitale ceca e
formarono un governo filosovietico. In una fabbrica di Praga si tenne un congresso clandestino del Partito
comunista che riaffermò la sua fiducia a Dubcek. I Sovietici costrnsero, per via della situazione
‘imbarazzante’, Dubcek e gli altri dirigenti a lui legati a riprendere il loro posto ma sotto il controllo
sovietico che riuscirono ad imporre un rovesciamento di consensi e dei rapporti nel partito, rimuovendo
‘legalmente’ Dubcek. Con la repressione della ‘primavera di Praga’ l’Unione Sovietica registrò un’altra
brutta figura agli occhi del mondo.
DA NIXON A BUSH - DA KRUSCEV A GORBAC Ë V - ‘TRASPARENZA’ IN URSS
Per gli Stati Uniti, gli anni ‘70 rappresentarono una fase tutt’altro che felice. Prima la crisi del dollaro, poi
la sconfitta in Vietnam, quindi il caso Watergate che nel 1974 costrinse alle dimissioni Nixon. Il
democratico Carter, divenuto capo dello Stato nel ‘76 cercò di risollevare il Paese recuperando una linea
di tipo ‘wilsoniana’, fondata sul riconoscimento del diritto di autodeterminazione e sulla difesa dei diritti
umani. Il senso di frustrazione diffusosi contribuì alla sconfitta di Carter nelle elezioni dell’80 ed alla
clamorosa affermazione di Ronald Regan, ex attore, esponente del Partito repubblicano. Regan si presentò
con un programma liberista in economia, mentre in politica estera adottò una linea più dura nei confronti
dell’Urss e di tutti i Paesi nemici dell’America. L’economia amerciana, fra l’83 e l’86, riprese a marciare
a pieno ritmo grazie allo sviluppo dei settori di punta: elettronica e produzione militare. Nell’88, grazie al
successo dei suoi incontri con Gorbacev ed all’avvio di una nuova fase di distensione con l’Urss, Regan
potè concludere il suo secondo mandato in bellezza, favorendo anche la vittoria nelle elezioni del suo
compagno di partito Bush, repubblicano dell’ala moderata.
Per tutti gli anni ‘70 l’Urss riuscì a mascherare i suoi gravi problemi interni con un accentuato dinamismo
in politica internazionale. In questi anni lo Stato sovietico profittò della relativa debolezza degli Stati
Uniti per avvantaggiarsi nella corsa agli armamenti e per allargare la sua sfera di influenza in tutti i
continenti. Un successo effimero e pagato a caro prezzo fu quello ottenuto dall’Urss in Afghanistan, uno
stato cuscinetto in posizione chiave per il controllo dell’area del Golfo Persico. Per imporre un governo
fedele alle loro direttive, i Sovietici inviarono in Afghanistan, nel 79, un forte contingente di truppe che si
dovette scontrare, però, contro l’accanita resistenza dei gruppi guerriglieri islamici sostenuti dagli
Americani. In politica interna si inasprì la repressione nei confronti degli intellettuali dissidenti. Nel ‘75
l’Urss partecipò alla conferenza di Helsinki e sottoscrisse gli accordi che garantivano il rispetto dei diritti
dell’uomo e delle libertà politiche fondamentali. Una svolta radicale per l’Unione Sovietica si verificò nel
1985 dopo la morte di Breznev; la segreteria del Pcus fu assunta da Mikail Gorbacev. In politica
economica presentò la perestrojka (riforma), ossia una serie di interventi nel segno della liberalizzazione,
volti ad introdurre nel sistema socialista elementi di economia di mercato; nel 1988 Gorbacev si fece
promotore di una nuova Costituzione che lasciava spazio ad un limitato pluralismo.
Particolarmente allarmante era l’emergere di movimenti autonomisti e/o indipendentisti fra le popolazioni
non russe facenti parte, spesso con mezzi coercitivi, entro i confini dell’Unione. Le prime a muoversi
furono le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lituania e Lettonia), seguite dalle caucasiche (Armenia,
Georgia ed Azerbaigian).
Ancora più importante delle riforme fu l’avvio di un processo di liberalizzazione interna condotto
all’insegna della glasnost (trasparenza). Conseguenza di queste riforme fu il rilancio del dialogo con
l’Occidente che trovò Regan desideroso di cocludere nel migliore dei modi il suo mandato. Due incontri
fra i due leaders mondiali, a Ginevra e a Reykjavik, aprirono la strada ad un terzo incontro, a Washington
nell’87, che portò ad uno storicoi accordo sulla riduzione degli armamenti missilistiici in Europa. Poco
dopo l’Urss si impegnò a ritirare le sue truppe dall’Afghanistan. La nuova collaborazione portò nel ‘90 le
due potenze, e le rispettive allenaze militari, a siglare un accordo di non aggressione e di riduzione degli
armamenti convenzionali.
LA FINE DELLA GUERRA FREDDA - IL CROLLO DELL’UNIONE SOVIETICA
Prima di provocare la dissoluzione dell’Urss, la crisi del comunismo aveva prodotto il crollo dei regimi
comunisti nell’Europa dell’Est poichè, come già accaduto nel ‘56, i mutamenti in atto in Urss si
ripercossero immediatamente nei Paesi satelliti. In Polonia il dissenso riuscì a raggiungere un grande peso
politico; qui infatti nel 80,nei principali centri industriali si assistette a grandi manifestazioni operaie.
queste agitazioni erano guidate da un sindacato cattolico il solidarnosc, guidato da Lech wùWalesa. fu
raggiunto un 1 compromesso che portò alle dimissioni di Gierek dalla segreteria del partito comunista. nel
81,un colpo di stato militare pose il solidarnosc fuori legge ed imprigionò walesa. ma la salita al potere
nel 85 in Urss di gorbacev accelerò il processo di delegittimazione, così nel 87 Walesa fu liberato e nel 89
le prime elezioni libere videro il suo movimento stravincere; Walesa fu incaricato di formare il governo,
fatto questo che coincise con la caduta di quello comunista; nel 92 Walesa divenne presidente della
Repubblica.
La decisione assunta dai nuovi dirigenti ungheresi di rimuovere i controlli e le barriere al confine con
l’Austria innescò una serie di reazioni in tutto il mondo comunista. A partire dell’estate ‘89, decine di
migliaia di cittadini della Germania orientale abbandonarono il loro Paese per raggiungere la Repubblica
Federale tedesca attraverso Ungheria ed Austria. La fuga di massa mise in crisi il regime comunista
costringendo alle dimissioni il leader Honecker. Nella notte tra il 9 ed il 10 novembre del 1989 furono
riaperti i confini fra le due Germanie con l’abbattimento del muro di Berlino, emblema della Guerra
Fredda: grandi masse di cittadini orientali abbandonarono il Paese per raggiungere l’ala occidentale.
Le conseguenze più clamorose del crollo dei regimi comunisti si ebbero in Germania est dove le elezioni
del 1990 punirono non solo gli ex comunisti, ma anche i socialdemocratici e gli altri gruppi di sinistra,
colpevoli di essere troppo ‘timidi’ di fronte alla prospettiva di un’immediata unificazione tedesca nel
segno dell’economia di mercato e della democrazia liberale.
In questa situazione si inserì l’azione del Governo Kohl che riuscì a preparare in pochi mesi
l’assorbimento della Germania orientale nelle strutture della Repubblica federale tedesca e a fare accettare
al mondo intero, in primis ai sovietici, una Germania unita ed integrata nell’Alleanza Atlantica e nella
NATO. I due governi firmarono un trattato per l’unificazione economica e monetaria, poi, il 3 ottobre,
dopo che Gorbacev aveva dato il suo assenso, entrò in vigore il vero e proprio trattato di unificazione
politica.
Se il corllo del muro di Berlino nel 1989 aveva simbolicamente segnato la fine della divisione del mondo
in due blocchi, l’evento decisivo e definitivo fu il collasso dell’Unione Sovietica. La crisi del regime
aveva prodotto una serie di spinte delle repubbliche appartenenti all’Unione alla rivendicazione della
completa indipendenza. La crisi si acutizzò fra il ‘90 ed il ‘91 con l’aggravarsi della situazione
economica. Questo fragile equilibrio si ruppe nell’agosto del ‘91 quando un gruppo di esponenti del
Partito comunista, del Governo e delle forze armate tentò un colpo di Stato sequestrando lo stesso
presidente Gorbacev. Ma il golpe fallì clamorosamente di fronte ad un’inattesa protesta popolare ed al
mancato sostegno dell’esercito. Decisivo fu il ruolo del presidente della Repubblica russa Eltsin, che,
dopo aver capeggiato la resistenza popolare ed aver imposto la liberazione di Gorbacev, si propose come
il vero detentore del potere. Il fallimento del golpe di agosto accelerò ulteriormente la crisi dell’autorità
centrale. Le spinte separatiste si accentuarono e dopo le repubbliche baltiche e le caucasiche proclamò la
secessione dall’Unione anche l’Ucraina.
Gorbacev tentò di bloccare questo processo di frammentazione proponendo un nuovo trattato di unione
tale da assicurare l’esistenza dell’Urss, ma la sua iniziativa fu scavalcata da quella dei presidenti di
Russia, Ucraina e Bielorussia che si accordarono sull’ipotesi di una comunità di Stati sovrani. Il 21
dicembra 1991 i rappresentanti di undici delle quindici repubbliche dell’Urss diedero vita alla nuova
comunità degli Stati indipendenti (Csi) e sancirono la fine dell’Unione Sovietica. Il 25 dicembre dello
stesso anno Gorbacev annunnciò in un discorso televisivo le sue dimissioni.