no, tra i tanti in partenza per Londra, avreipreso. La testa di un .

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-Il saggio di Alan Schneider, regista che più volte ha
messo in scena opere di Beckett, si trova in appendice al
volume S. Beckett, Teatro completo a cura di Paolo
Bertinetti, Einaudi- Gallimard, Torino 1994.
ASPETTANDO
RICORDI
BECKETT l
PERSONALI
Non ho intenzione di prendere posizione. È laforma delle idee a
interessarmi. C'è una frase stupenda in Sant'Agostino: «Non disperare: uno dei ladronifu salvato. Non tz'illudere: uno dei ladroni
fu dannato ». Questa frase ha una forma stupenda. Ed è la forma
che conta.
SAMUEL
BECKETT.
Nel corso dei tre anni in cui ho approfondito la conoscenza di
Samuel Beckett sotto il profilo umano, la sua personalità ha acquistato per me un'importanza pari, e forse persino superiore, a
quella delle sue opere. Beckett infatti non accetta compromessi,
scrive e vive come sente di dover fare, non come il mondo, e il
mondo della critica, vorrebbe. Un artista che crea senza temere il
«fallimento»
-
concetto
peraltro
cardine
della sua poetica'
:1
-e
senza rincorrere il successo, che ha ottenuto solo inepocarecente. Un amico che si è presentato inaspettatamente alla Gare du
Nord per salutarmi, sebbene non lo avessi informato di qu~e tre-
no, tra i tanti in partenza per Londra, avreipreso. La testa di un
professore di fisica o matematica su un corpo da podista; l'unione paradossale tra il profondo senso dell'«impegno» nei confronti dell'esistenza' dei francesi, e l'indole genuina e cordiale degli irlandesi. Ecco il ritratto di un uomo che ha scritto alcune delle pagine piu belle e terribili della letteratura del Novecento.
I. [Wailingfor Beckett. A personal chronicle, in «Chelsea Review», autunno 19,8, pp. 3'
20. Traduzione di Elena Cassarotto].
.
'
644
Sul teatro di Beckett
Aspettando Beckett
Sentii parlare di Beckett per la prima volta in Svizzera nell'estate del 1954, quando un amico dello Schauspielhaus di Zurigo
mi raccomandò vivamente di assistere a un nuovo lavoro teatrale
che era stato portato in scena la stagione precedente. Si trattava
di Aspettando Go4ot, opera in francese di un autore irlandese divenuto assai popolare
fra gli intellettuali
europei,
sebbene
- co-
me spesso accade - godesse di scarso credito nel proprio ambiente parigino e fosse pressoché sconosciuto in lingua inglese.
Alcune settimane dopo, giunto a Parigi, scoprii con grande fatica
e dopo molte inutili ricerche, che Aspettando Godot veniva rappresentato in un teatro alternativo della Rive Gauche, il Théihre
de Babylone. Non sapendo bene cosa aspettarci, mia,moglie e io
vi andammo la sera successiva. Il teatro era molto piccolo e l'allestimento essenziale. Quella prima sera vi erano appena nove
spettatori, alla replica del giorno dopo qualcuno in piu. Sebbene
il mio francese bastasse appena a fronteggiare le situazioni piu
elementari, rimasi per l'intera durata della rappresentazione di
volta in volta disorientato e affascinato, conscio del fatto che sul
palcoscenico aveva luogo qualcosa di tremendamente emozionante. Quando, alla fine del primo atto scese la notte e una luna
fortemente stilizzata comparve all'improvviso sul fondo della
scena, mi resi conto che la mia reazione non aveva richiesto alcuna comprensione del francese. E quando, all'inizio del secondo
atto, l'albero, che prima era spoglio, riapparve coperto di nastri
verdi al posto delle foglie, la semplicità di quella rappresentazione
della rinascita mi colpi al di là di ogni considerazione razionale.
Ero turbato, e tuttavia consapevole di aver assistito a un evento
decisivo e rivoluzionario per il teatro contemporaneo. Godot mi
aveva stretto in una morsa dalla quale non mi sarei piu liberato.
Il mattino seguente provai a rintracciare l'autore, per appurare
se esistevano vincoli per j diritti americani, ma non aveva il telefono e nessuno sembrava conoscere il suo indirizzo. Lasciai un
numero imprecisato di messaggi, mi misi in contatto con chiunque potesse aiutarmi, ma senza risultato. Infine un'agente teatrale mi informò che j diritti per la lingua inglese erano stati acquistati dal regista Peter Glenville, che voleva mettere in scena
Aspettando Godot a Londra, con Alec Guinness nella parte di
Vladimiro e Ralph Richardson in quella di Estragone. L'agente
aggiunse inoltre che non era un commedia che potesse piacere al
pubblico americano - a meno di non disporre di due attori comici del calibro di Bob Hope eJack Benny per renderla piu leggera
- meglio
ancora se con Laurel e Hardy negli altri due ruoli. Con
simili premesse, un allestimento americano diventava irrealizza-
.
645
bile e Beckett rimaneva irraggiungibile quanto lo stesso Godot.
Tornai a New York a occuparmi di tutt'altro.
La primavera successiva (1955),la mia attenzione fu risvegliata
dalla prima di Godot in lingua inglese presentata a Londra presso
l'incantevole Arts Theatre Club: gli interpreti non erano Guinness e Richardson, ma attori molto meno noti. Godot venne
stroncato senza eccezioni da tutti i quotidiani, ma accolto dai
giudizi entusiastici di critici come Harold Hobson e Kenneth Tynan, e divenne ben presto il principale argomento di conversazione della stagione teatrale inglese. Contemporaneamente, la
traduzione inglese, pubblicata a New York dalla Grove Press,
registrò uno straordinario successo di vendite, non soltanto
a New York ma in tutti gli Stati Uniti: chiunque sapesse leggere non poteva fare a meno di imbattersi nel misterioso signor
Godot.
Lessi piu volte il testo. Tuttavia, dopo aver sperimentato l'atmosfera coinvolgente del Théatre de Babylone, quella scrittura
cosi fitta sulla pagina sembrava in qualche modo troppo fredda e
astratta, addirittura irritante. Per questo motivo, quando uno dei
piu importanti produttori di Broadway chiese il mio parere su un
eventuale allestimento scenico di quel testo, rimasi perplesso:
per quanto l'opera avesse suscitato il mio interesse, non mi riuscl
in quel moment.o di immaginare una messinscena che rispettasse
le esigenze commerciali delle produzioni di Broadway.
Un giorno, nell'autunno di quello stesso anno, mentre mi trovavo in visita presso la mia vecchia Università del Wisconsin, ricevetti con mia enorme sorpresa una telefonata del produttore
Michael Myerberg che mi chiedeva se fossi stato interessato a curare la regia di Aspettando Godot a New York in un allestimento
con Bert Lahr e Tom Ewell nei due ruoli principali. Il mio nome
era stato suggerito da Thornton Wilder, dopo che avevo firmato
la regia de La famiglia Antropus per il Festival di Parigi di
quell'estate. Fu un segno del destino. Dopo averlo disperatamente cercato in tutte le librerie di Chicago, riuscii infine a tro~are una copia di Godot e lo rilessi con occhi nuovi nel corso di una
notte passata insonne in treno; quando arrivai a New York ero
impaziente di comunicare il mio entusiastico consenso a Myerberg. Segui una serie di incontri con Lahr e Ewell, che confessarono il loro totale sconcerto di fronte a quel testo, e con Myerberg che, convinto promotore dell'iniziativa, era certo dell'infondatezza di ogni perplessità. Pensava tuttavia che sarebbe stata
una buona idea se avessi assistito all'allestimento inglese, cogliendo eventualmente l'occasione per fare tappa a Parigi e in-
646
Sul teatro di Beckett
Aspettando
Beckett
647
contrar e B~ckett. Il mio entusiasmo di fronte a tale prospettiva
era indescrivibile, e temperato soltanto dal timore che Beckett si
mostrasse freddo e distaccato, data l'estrema riluttanza con cui
aveva acconsentito a incontrare il «regista newyorkese».
COSI,una settimana dopo, mi ritrovai a bordo della Independence con destinazione Parigi e Londra dove, per pura coincidenza, incontrai Thornton Wilder che era diretto a Roma e che si
rivelò un piacevole compagno di viaggio e un brillante conversatore. Attraversare l'Atlantico insieme a Wilder fu una vera fortuna, oltre che un'esperienza indimenticabile. Nutriva una grande
ammirazione per Beckett e considerava Godot una delle due piu
importanti opere teatrali contemporanee (credo che l'altra fosse
Orfeo di Cocteau). Senza reticenza mi diede dei suggerimenti per
un' eventuale messinscena della commedia che aveva visto sia in
tedesco sia in francese. In effetti i nostri incontri quotidiani furono COSIintensi e regolari da far nascere il sospetto che Wilder
stesse riscrivendo il testo, congettura che in seguito divertI molto
i due autori. La verità è che acquisii una crescente familiarità con
la commedia, sia in originale sia in traduzione, e individuai in tal
modo le domande piu importanti da porre a Beckett nel poco
tempo che avremmo avuto a disposizione.
Mi muovevo ormai nel contesto di una vera e propria produzione, un periodo di prova di tre settimane, una prova generale in
un nuovo teatro di Miami e, naturalmente, Bert e Tommy. Non si
trattava certo di Bob Hope eJack Benny, e poiché l'agente parigina di due estati prima aveva avuto ragione nel prevedere una
tiepida accoglienza dell'opera da parte degli impresari americani, mi chiesi se anche i suoi pronostici sulle reazioni del pubblico
bilire dove andare a bere la nostra bottiglia di Lacrima Christi;
decidemmo di fare quattro passi in cerca di un luogo adatto. Cosi
passeggiammo, come avremmo poi 'fatto innumerevoli volte da
allora, parlando di un gran numero di cose e, di quando in quando, anche della sua commedia. Alla fine salimmo su un taxi diretto al suo appartamento all'ultimo piano nel sesto arrondissement,
dove arrivammo a dare quasi fondo alla bottiglia. Per tutto quel
primo incontro, non smisi un istante di assediarlo con le mie domande, alcune lungamente meditate, altre sorte 11per 11;Sam cercò di rispondermi nella maniera piu diretta e onesta possibile.
Alla prima domanda, «Chi o cosa rappresenta Godot?» la sua
pronta risposta fu: «Se lo avessi saputo, l'avrei detto nella commedia ». Era disposto a discutere qualsiasi quesito relativo a un
aspetto o un riferimento preciso, ma non accettava'- per sua abitudine - di affrontare problemi di natura simbolica o significato
piu ampio, preferendo che fosse il proprio lavoro a parlare da sé
e concedendo la massima libertà di interpretazione. Aveva davvero un impegno e COSIci separammo, non prima però di aver fissato un appuntamento per la sera successiva, a cena. Pranzammo
senza fretta in uno dei suoi ristoranti preferiti di Montparnasse;
poi lo convinsi ad accompagnarmi alla rappresentazione di Anastasia, al Théiìtre Antoine. Ne avevo curato la regia per l'allestimento newyorkese, ed ero curioso di vedere in che modo lo stesso lavoro sarebbe stato presentato a Parigi; lo spettacolo rivelò
un modo vecchio e artificioso di fare teatro che spazientl Sam. Al
termine della rappresentazione riparammo da Fouquet, che era
stato il caffè prediletto del suo amico James Joyce, per rifocillarci. Ci lasciammo poco prima dell' alba - dovevo prendere l'aereo
si sarebbero rivelati esatti.
In quel periodo Beckett non aveva ancora il telefono
per Londra
'
- in effet-
ti se ne è procurato uno solo dopo aver ottenuto il «successo »,
ed è stato l'unico cambiamento che ho notato in lui - quindi gli
inviai un messaggio per mezzo della posta pneumatica dall' elegante albergo nei pressi dell'Etoile dove mi aveva alloggiato
Myerberg. Nel giro di un'ora Beckett mi telefonò per darmi appuntamento nell'atrio, e informarmi che poteva dedicarmi soltanto mezz'ora. Munito di una grande bottiglia di Lacrima Christi, un regalo mio e di Wilder, indugiai nella sala sovraccarica di
decorazioni in attesa di veder comparire l'inafferrabile signor
Beckett. Entrò con passo deciso e piglio professionale, l'alta figura atletica nascosta sotto un logoro giaccone, gli occhiali dall'ano,
tiquata montatura metallica e il volto lungo e delicato di un levriero. Dopo le presentazioni, il primo problema fu quello di sta-
-
ma, prima di separarci,
Sam mi chiese se mi sareb-
be stato di qualche aiuto assistere insieme a lui alle rappresentazioni londinesi di Godot. Erano parecchi anni che mancava da
Londra, e fin dai primi tempi trascorsi tra miserie e difficoltà,
non l'aveva mai amata; tuttavia sarebbe stato felice di raggiungermi se la sua presenza mi fosse stata utile. Non riuscivo quasi a
credere alle mie orecchie!
Due giorni dopo Sam arrivò a Londra in incognito, ma alcuni
giornali locali, ch~ erano venuti a sapere della sua presenza in città, cominciarono a dargli la caccia. (Ancora oggi Beckett detesta
cordialmente interviste, cocktail, e ogni altro evento pubblico
che circonda il mondo letterario). Quella sera, e le cinque sere
successive, assistemmo alla rappresentazione di Godot, che in
quei giorni andava in scena al Criterio n di J>iccadillyCircus. L'allestimento era interessante, sebbene troppo caotico sotto il pro-
648
Sul teatro di Beckett
Aspettando Beckett
filo scenico e incapace di cogliere molti degli aspetti centrali che
Sam mi aveva appena illustrato. In uno dei miei ricordi piu belli,
vedo ancora Sam che mi stringe di tanto in tanto il braccio e con
un sussurro commenta «È tutto sbagliato! Sta facendo tutto nel
modo sbagliato! » riferendosi a qualche particolare della messinscena o all'intonazione di qualche battuta. Tutte le sere, dopo lo
spettacolo, mettevamo a confronto quello che avevamo visto con
ciò che egli aveva voluto dire, cercavamo di analizzare i motivi
per cui alcuni punti essenziali non erano stati colti, e discutevamo con gli attori delle difficoltà che incontravano. Tutte le sere
poi osservavamo attentamente le reazioni del pubblico, una parte del quale Immancabilmente lasciava la sala durante lo spettacolo. Ho sempre avuto l'impressione che Sam sarebbe rimasto
deluso se almeno alcuni spettatori non se ne fossero andati via.
Tutto ciò mi ha consentito di scoprire non solo la profonda
coerenza e chiarezza di Godot, ma anche la grande umanità e disponibilità di Sam, la sua generosità a dispetto della timidezza di
fondo. Avevo-voluto incontrare Beckett principalmente con l'obiettivo di non lasciarmi sfuggire qualunque occasione potesse
fare di Godot un successo teatrale a Broadway. Quando ci separammo, la mia unica preoccupazione era diventata quella di corrispondere ai suoi desideri. Mi ero avvicinato a Beckett con rispetto, e ora mi allontanavo con un'ammirazione ben maggiore
di quella provata in passato nei confronti di ogni altro 'scrittore
da me portato in scena. Non sentendosi in grado di reggere alla
tensione della preparazione e delle prove generali, Sam promise
che avrebbe fatto il suo primo viaggio negli Stati Uniti dopo che
fosse stato dato inizio alle rappresentazioni. In realtà non accadde nulla di tutto ciò, anche se di prove se ne fecero molte; anzi,
piu del consueto. Proporre Godot a Miami sarebbe stato, secon.
do le parole di Bert Lahr, come portare in scena Giselle nella fa.
mosa sala da ballo Roseland di New York. Infatti, anche se Bert e
Tommy diedero il meglio di sé nel rendere la recitazione efficace
sotto l'aspetto sia comico sia tragico, e per quanto fossi abbastan.
za soddisfatto dell'allestimento e pensassi che Sam lo sarebbe
stato quanto me, lo spettacolo
si rivelò
-
come si usa dire
-
un fia-
sco colossale. Alla prima, il pubblico di Miami, che, come minimo, non era abbastanza raffinato per questo tipo di testo e che,
per di piu, era stato totalmente fuorviato dai manifesti pubblicitari che descrivevano la commedia come «un capolavoro della risata di due continenti », abbandonò il teatro in massa.
I cosiddetti recensori non soltanto non riuscirono minima.mente a raccapezzarsi, ma ci accusarono di esserci presi gioco di
649
loro. Alla seconda settimana di repliche ci eravamo conquistati
un'esigua ma devota platea. Tuttavia, l'esordio di Miami aveva
scoraggiato il produttore Myerberg e demoralizzato gli attori, fio
no a-persuadere la compagnia ad abbandonare l'impresa. Nel
corso della stagione teatrale, Myerberg cambiò idea e decise di
portare Godot a Broadway dove registrò un buon successo di cri.
tica; ma l'unico elemento della compagnia originaria coinvolto
nel nuovo progetto fu Bert Lahr, che ripropose sostanzialmente
la stessa interpretazione di Miami (ma questa volta senza avere al
proprio fianco Tom Ewell).
-Pur avendone in parte previsto l'eventualità e avere fatto tutto
quanto era in mio potere per evitarlo, l'insuccesso di Miami mi
scoraggiò piu di ogni altra esperienza negativa vissuta in campo
teatrale. Com'era immaginabile, Sam reagf al fiasco di Miami
preoccupandosi unicamente della mia delusione, senza mai manifestare o anche soltanto accennare alla propria, né avere la minima parola di biasimo per qualunque errore avessi commesso
nel corso della lavorazione. Nelle sue lettere mi parlava piuttosto
degli sviluppi della sua nuova commedia, della quale mi aveva
parlato a Parigi. Aveva in programma un periodo di riposo da
trascorrere nella sua casa di campagna «tra i fanghi della Marna », ma avrebbe ripreso il lavoro al piu presto.
Sapevo che avrei dovuto trovare il modo e l'occasione per riscattarmi dallo scacco di Miami, per me stesso, ma soprattutto
per Sam. Non ero mai riuscito ad assistere alla rappresentazione
newyorkese
di Godot
- non
ne avevo avuto la forza
-
ma ne avevo
ascoltato le registrazioni centinaia di volte. In quel periodo mi
trovavo in Europa con una borsa di studio della fondazione Guggenheim, e al tempo stesso facevo qualche regia a Londra, ma nel
cuore dell' estate riuscii a raggiungere Parigi e ad affrontare Sam,
che fece del suo meglio per sdrammatizzare la situazione; il fatto
stesso di parlargli fu per me un grande sollievo. Nelle varie occasioni in cui ci incontrammo, gli raccontai nel modo piu obiettivo
possibile cos'era accaduto a Miami, ed egli mi parlò di quello che
aveva saputo sulle due edizioni teatrali americane di Godot. Trovò il modo di farmi capire, pur senza minimamente criticare l'impegno di altri, come il mio tentativo di Miami fosse quello che rispecchiava piu fedelmente le sue intenzioni. Tenne a chiarire che
apprezzava soprattutto l'interesse da me dimostrato verso la sua
opera, che l'effettivo risultato di Miami non contava, che il falli, mento, la mancanza di un riconoscimento pubblico, era una con. dizione che aveva contrassegnato tutta la sua vita, e che l'unica
cosa veramente importante era il senso di realizzazione persona-
650
Sul teatro di Beckett
le, il bisogno di rimanere fedeli a se stessi. Nessun altro drammaturgo di mia conoscenza avrebbe dimostrato una generosità cosi
immediata e disinteressata. Per lui avrei fatto qualunque cosa.
L'occasione per riscattarmi non si sarebbe fatta attendere a
lungo. Il testo teatrale su cui Sam lavorava stava prendendo rapidamente forma e la sua rappresentazione era prevista a Parigi per
la primavera del 1957. Si trattava di Finale di partita , anch'esso un
dramma con soli quattro personaggi (due dei quali emergevano
da dei bidoni della spazzatura), e il cui svolgimento drammatico
aveva luogo in un universo a sé stante. La stampa newyorkese, incuriosita da Godot, cominciò a riportare qualche breve notizia
sull' opera, sottolineando come fosse anche piu «strana» della
precedente, avesse per protagonisti due uomini sepolti fino al
collo nella sabbia umida, e cosi via. Il titolo venne tradotto con
The End 0/ the Game, oppure con The Game is up anziché con il
piu esatto Endgame, «finale di partita », secondo il modo con cui
viene definita la parte conclusiva di una partita a scacchi. Infine,
l'eccessiva indecisione dell~impresario fece si che nessun teatro
parigino fosse disposto ad accogliere la messinscen.a di Finale di
partita, che fu cosi rappres~ntato per la prima volta a Londra, in
francese, e soltanto grazie all'interessamento del Royal Court
Theatre. Successivamente, subentrò una nuova amministrazione, che ne gesti la programmazione a Parigi per tutto l'autunno. I
critici londinesi, con la sola eccezione di Harold Hobson, rimasero sconcertati dall' opera, e reagirono in modo ancora piu negativo di quanto avessero fatto per Godot; persino Tynan confessò
il suo profondo disappunto nei confronti di quella particolare
«anatomia della malinconia» inscritta nel dramma, mentre i critici francesi si schierarono, come al solito, su fronti irrimediabilmente opposti.
Sam mi inviò una copia del testo francese che io cercai inutilmente di farmi tradurre. Ma non avevo certo bisogno di comprendere ogni parola per capire quello che provavo. Gli chiesi
con un cablogramma di cedermi i diritti per rappresentare la pièce in un teatro «off-Broadway», e cioè in un contesto che a mio
parere le avrebbe garantito un pubblico adeguato. Avevo già
preso accordi con Noel Behn, impresario del Cherry Lane, uno
dei migliori e il piu raccolto tra i teatri «off-Broadway», per allestirvi Finale di partita hbn appena il lavoro ancora in cartellone,
Polvere di porpora di Sean O'Casey, avesse esaurito le proprie repliche, e cioè probabilmente intorno a capodanno. Desideravo
scegliere autonomamente il testo teatrale da mettere in scena per
assicurarmi ciò che non ero stato in grado di ma'ntenere nel mio
Aspettando Beckett
651
precedente confronto con un lavoro di Beckett, vale a dire il necessario grado di autonomia artistica su tutti gli aspetti della produzione. Il destino bussava nuovamente alla mia porta ma, questa volta, non mi avrebbe colto impreparato.
Per tutta la primavera e l'estate rimasi in contatto con Sam e
con il suo editore e agente Barney Rosset della Grove Press di
New York, anche se Sam trovava singolare il fatto di prendere
accordi sulla base di una traduzione inglese che al momento non
esisteva ancora. Una sera, dopo settimane di lunga attesa, quando la versione inglese fu finalmente ultimata, cominciai a leggere
con grande emozione quella che ormai tutti indicavano come il
«dramma dei bidoni della spazzatura». Era una definizione talmente diffusa che la stampa si accorse solo a fatica e con molto ritardo che i due personaggi principali non erano quelli rinchiusi
dentro i bidoni.
Mi, ero accostato a Finale di partita in modo diametralmente
opposto rispetto a quello che aveva contraddistinto il mio primo
incontro con Godot, e cioè attraverso il testo anziché la sua trasposizione scenica; eppure si trattò di un'esperienza altrettanto
straordinaria. Ovviamente, questa volta ero preparato; due anni
di contatti con Sam, la ripetuta lettura di tutti i suoi romanzi e di
qualsiasi saggio sulla sua produzione che fossi riuscito a reperire.
Qualunque ne fosse la ragione, il nuovo lavoro mi lasciò letteralmente stupefatto per la portata delle innovazioni e la pregnanza
dei contenuti. Non ero certo in grado di decifrare tutte le intenzioni di Sam; il testo era molto piu difficile ed ellittico di quanto
non fosse Godot. Tuttavia ero elettrizzato dalle qualità e dalle potenzialità teatrali di questo testo terribile e comico a un tempo, di
questo spaventoso e magnifico poema sinfonico. La coppia di
anziani nei bidoni rappresentava un'invenzione meravigliosa e
per di piu si dimostrava perfettamente coerente con il tema generale dell'opera. Ma altrettanto affascinanti erano le due figure
centrali: il cieco e maestoso Hamm, tirannico e umano al tel}lpo
stesso, e Clov, il servitore dall'andatura rigida e vacillante di un
automa. Francamente, non persi tempo a cercare di chiarire il
«significato» complessivo dell' opera, o ad azzardare le interpretazioni piu disparate - si trattava della mes,sinscena degli ultimi
quattro sopravvissuti a una catastrofe atomica? Oppure del conflitto fra generazioni, in cui i giovani gettano via, come rifiuti, i
vecchi? O ancora, come qualcuno aveva suggerito, una specie di
terzo atto di Godot? Come Godot l;1aper nucleo centrale l'attesa
di qualcuno che non arriverà mai, cosi Finale dipartita è la continua riproposizione di una partenza sempre prospettata e mai
652
Aspettando
Sul teatro di Beckett
la parte di Hamm, e venni informato di tutti i dettagli tecnici relativi all'allestimento. La compagnia francese aveva sostanzialmente seguito le direttive di Sam, eppure anche questa occasione aveva confermato un' esperienza comune a tutti i drammaturghi, e
cioè la scoperta che gli attori, dotati di personalità e opinioni proprie, possono interferire con le intenzioni dell'autore. Ancora
una volta Sam tentò di rispondere a tutte le mie domande, per
quanto assillanti e sciocche potessero sembrare: «Che visioni ha
Clov?», «Chi è la misteriosa mamma Pegg, che viene nominata
di continuo? », «Che significato ha il rosso dei volti di Hamm e
Clov, contrapposto al bianco di Nagg e Nell?» (E Sam ribatteva,
«Perché il cappotto di W erther è verde? Perché l'autore lo vedeva cosi»).
.
Una miriade di nuove domande scaturivano ogni volta che riprendevo in mano il testo o vedevo la rappresentazione. Sam era
sempre paziente e tollerante, sempre disposto ad aiutarmi. E di
fatto mi aiutò piu di quanto possano dire le parole, e forse al di là
di quanto mi rendessi conto io stesso. Quando ripartii conoscevo
Finale di partita mille volte meglio di quando ero arrivato, sapevo
che aspetto doveva avere e come doveva parlare Hamm, sapevo
quale fosse la disposizione migliore dei bidoni dei rifiuti sulla
scena, sapevo con quale attenzione e cura avrei dovuto lavorare
sul tono e sul ritmo. In quanto al significato complessivo dell'opera, ogni tassello del mosaico cominciava a trovare la sua giusta
collocazione, e il disegno ancora confuso cominciava a prendere
realizzata. In un certo senso mi sembrava soprattutto una specie
di poema tragico, l'ultima preghiera dell'uomo a un Dio che potrebbe anche non esistere. Lungi dal deprimermi, il dramma mi
appassionò ed entusiasmò, provocando in me una reazione intensa quanto quella suscitata dalla scoperta di Edipo re o Re Lear.
Ma gli aspetti piu esaltanti di Finale dipartita furono la sperimentazione sul piano del linguaggio, la ricerca del ritmo, e gli espedienti utilizzati da Sam per rendere sublime il ridicolo, e ridicolO
il sublime.
Mi decisi a scrivere a Barney Rosset per esprimergli la mia convinzione che la parte di Hamm richiedesse un interprete che sapesse unire in quel ruolo elementi propri di Edipo, Lear e Amleto: era una ricerca molto ardua, e si sarebbe rivelata impegnati:
va anche per Broadway. Nonostante tutto ero deciso a provare, e
ciò che piu contava, Sam mi incoraggiava a provare. Dopo aver
definito i dettagli per l'allestimento di New York, Sam, ansioso
che la vedessi prima della conclusione delle sue rappresentazioni
a fine ottobre, mi invitò ad assistere alla messinscena parigina di
,Finale di partita. Era ciò che desideravo di piu, e l'occasione per
avere con Sam degli incontri che chiarissero i dubbi e le incertezze che mi assillavano.
Fortunatamente, l'impresario del Cherry Lane fu d'accordo.
Un viaggio oltreoceano costituisce. una spesa considerevole per
le modeste disponibilità finanziarie di una produzione «offBroadway»; ciò nonostante in questo caso venne ritenuta di vitale importanza e cosi, nel mese di ottobre, partii con un volo notturno alla volta di Parigi: era il mio secondo pellegrinaggio da Samuel Beckett.
Al mio arrivo alla Gare des Invalides a causa di qualche disguido non riuscimmo a trovarci; ci incontrammo piu tardi nel mio
albergo di Montparnasse (una sistemazione piu modesta della
precedente, adeguata a un budget «off-Broadway»). Per tutta la
settimana rimanemmo quasi sempre insieme, facendo lunghe
passeggiate (passammo un intero pomeriggio a camminare lungo
i viali dei giardini Luxembourg e a mangiare uva), pranzando e
cenando sempre insieme, frequentando assiduamente i caffè a
ogni ora del giorno. Dopo quasi un centinaio di repliche, la messinscena francese di Finale dipartita era giunta all'ultima settimana di programmazione; vi assistetti per quattro volte, una delle
quali seguendo la traduzione inglese con l'aiuto' di una torcia
elettrica, finché la maschera mi fece gentilmente notare che stavo
dando noia agli attori. Parlai con gli interpreti francesi, e in particolar modo con il regista Roger Blin, che recitava superbamente
653
Beckett
forma.
.
Da tempo ho scoperto che il ruolo del regista non consiste tanto nello spiegare il significato di un testo agli attori
-
che non in-
contreranno minori difficoltà nel trasmetterlo al pubblico per il
semplice
-
fatto di averlo compreso
intellettualmente
-
quanto
quello di fare in modo' che, attraverso la finzione teatrale, essi
vengano'guidati a compiere proprio quelle azioni da cui emerge, - 'rà il messaggio dell'autore. Nessun attore ha infatti la possibilità
di «recitare» il significato di Finale di partita - o di qualsiasi altra
opera teatrale -, ma può ricoprire il ruolo dei vari personaggi nelle diverse situazioni, momenti e relazioni che Beckett ha previsto
per loro. Gli attori recitarono con duttilità e partecipazione,
mantenendo vivo il senso della forma, ma restando sempre per- ,
sone reali calate in situazioni reali. Lo stesso Beckett aveva sempre insistito sul fatto che la sua scrittura faceva riferimento a «situazioni circoscritte », il che equivaleva a dire che Hamm e Clov
(come pure Nagg e Nell) erano singoli individui che si muovevano in un contesto ben definito. Non andavano pertanto conside-
654
Sul teatro di Beckett
rati come astrazioni o simboli, poiché non rappresentavano altro
che se stessi. Detto questo, se il pubblico - o la critica - desideravano attribuirvi qualche significato erano liberi di farlo, di loro
iniziativa, e a loro rischio e pericolo.
Scoprii, ad esempio, quanto fosse utile proporre agli attori un
parallelo tra il rapporto di Hamm con Clov e quello tra mente e
corpo, tra le facoltà intellettuali e quelle fisiche, inseparabili e
tuttavia in costante conflitto fra loro. Con ciò non ho mai inteso
dire che essi rappresentassero davvero la mente e il corpo, o che
fosse questa l'opinione di Sam. Si trattava piuttosto di uno stratagemma capace di stimolare l'immaginazione e le facoltà creative degli attori, un espediente teatrale decisamente piti utile che
non quello di ricostruire gli ipotetici rimandi etimologici dei
nomi di Hamm e Clov, riconducibili di volta in volta al prosciutto e ai chiodi di garofano, al Cam della Bibbia e al diabolico piede
caprino, e a decine di altri codici segreti, tutti ovviamente irrilevanti.
Quando le prove erano ormai ben avviate, gli impresari del
Cherry Lane - ai quali si era unito un terzetto noto col nome di
Rooftop Productions - non avevano piti dubbi riguardo al fatto
che io mi considerassi responsabile innanzitutto nei confronti
dell' autore. A piti riprese, nel corso di quel periodo, ammisero di
essere preoccupati che la pièce stesse diventando «troppo seria ».
Talvolta premevano perché la rendessi qua e là «piti spiritosa»
cosa che mi sono sempre rifiutato di fare perché a mio avviso l'allestimento era già ricco di spunti autenticamente comici. In un
paio di occasioni mi sembrarono s~riamente turbati dall'andamento delle prove, o dal mio modo di lavorare. Se gli stessi termini contrattuali non mi avessero ricqnosciuto un ampio margine
di autonomia rispetto alle scelte artistiche da operare, sarei stato
costretto ad accettare modifiche radicali nell' allestimento, e
avrei persino rischiato il posto. Malgrado tutto, mi opposi a ogni
tentativo di stravolgimento del testo scritto da Beckett, e ad ogni
pressione volta a farmi disattendere la fiducia che Sam mi aveva
accordato durante il mio soggiorno parigino e nella corrispondenza successiva.
Arrivò finalmente la sera della prima, nella,quale gli attori offrirono la loro migliore interpretazione. Ma ci furQno altre difficoltà da affrontare. L'impianto di riscaldamento dell'edificio era
stato accidentalmente disattivato mezz'ora prima che si alzasse il
sipario; cosl, durante i primi dieci minuti di spettacolo, il brontolio delle condutture accompagnò la rappresentazione con un sinistro concerto di suoni che mi fece quasi impazzire e che - sono
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Beckett
convinto - ebbe sul pubblico un effetto negativo. (Successivamente, non pochi spettatori, tra i piti raffinati dell'ambiente teatrale, mi confidarono di aver creduto che gli effetti sonori prodotti dalle tubature
- anche se un po' troppo
rumorosi
- fossero
un vero tocco di genio). Inoltre, forse a causa del fatto che piti di
metà dei centottantanove posti del Cherry Lane Theatre erano
occupati dai rappresentanti della stampa, la reazione del pubblico non fu minimamente paragonabile a quella delle cinque anteprime, o a quella che si sarebbe registrata nel corso delle sere suc. cessive. n pubblico era rispettoso ma freddo; battute che avevano prodotto risate scroscianti suscitarono al massimo qualche
sorriso, e quelle che avevano fatto sorridere non provocarono alcuna reazione. In luogo del silenzio che avrebbe dovuto seguire i
momenti di maggiore impatto emotivo della commedia si sentivano lo scricchiolare delle sedie e il frusciare dei programmi di
sala. E la sera della prima fu anche l'unica nella quale non si sentI
il ticchettio dell'orologio di scena provenire dal fondo del teatro.
Eravamo sconvolti, e io disperato all'idea che tutti i nostri sforzi
fossero stati ancora una volta vani.
L'intervallo che separa la fine della prima rappresentazione
dalle recensioni del giorno dopo è un vero e proprio supplizio, il
peggiore tra quelli previsti nei numerosi gironi infernali del mondo teatrale. Ci adoperammo per sopravvivere a un' attesa di una
lunghezza fuori dal comune, versandoci bicchieri di bourbon e
fingendo di partecipare alla conversazione. Intorno a mezzanotte un commentatore televisivo proclamò tutto il suo fastidio nei
nostri confronti, ma le sue dichiarazioni non riuscirono a impressionarci: dalla televisione non ci aspettavamo certo di meglio.
Verso mezzanotte e mèzza qualcuno ci telefonò dallo «Herald
Tribune» per leggerci le bozze di stampa dell' articolo di Walter
Kerr. n tono di Kerr era rispettoso, non proprio entusiasta, e a
tratti persino provocatorio; ma riportava alcuni momenti salienti
della rappresentazione. n nostro morale, abbattuto dal momento
in cui le tubature avevano cominciato a rumoreggiare, cominciò
a risollevarsi. All'una, incapace di attendere oltre, tel~fonai personalmente al «Times» dove mi rispose la voce annoiata di un tale che, solo dietro molte insistenze, si impegnò a trovarmi la prima edizione del mattino con la recensione di Brook Atkinson.
Trascorsero pochi ma interminabili minuti, poi la voce commentò: «È piuttosto fredda », dopodiché cominciò a leggere parola
per parola lo splendido articolo di Atkinson, nel quale il critico
mostrava di aver colto fino in fondo le intenzioni e il punto di vista dell'autore, e di avere apprezzato la messinscena dell'opera.
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Sul teatro di Beckett
(Alcune settimane dopo, Atkinson pubblicò sul supplemento
domenicale del «T imes» un articolo di grande intelligenza e sensibilità che favor! il successo delle repliche e accrebbe la nostra
fama). Eravamo cosi felici che non potemmo trattenerci dall'informare Sam. Benché a Parigi fosse soltanto l'alba, gli telefonammo per comunicargli chei due maggiori critici newyorkesi avevano giudicato positivamente la rappresentazione. Come al solito,
il suo primo pensiero andò agli attori e agli organizzatori, ma era
chiaramente grato e sollevato alla notizia di un'accoglienza tanto
favorevole. Era questo l'aspetto piu incredibile di tutta la vicenda: l'opinione di Sam sull'impresa e su di me che l'avevo diretta
non sarebbe affatto cambiata, qualunque ne fosse stato l'esitotrionfo, fallimento, successo nell'attirare l'attenzione della critica. Ciò che gli stava davvero a cuore non era tanto la vittoria o la
sconfitta, quanto l'aver accolto la sfida. Per la prima volta dopo
due anni rientrai a casa senza sentirmi il peso del Godot di Miami
sulle spalle. Ma le cose non finirono con Kerr e Atkinson; come
accade di frequente, i giornali del pomeriggio rivelarono molta
piu irritazione che profondità di giudizio. Eppure, grazie alle
reazioni e ai commenti favorevoli di coloro che avevano assistito
allo spettacolo, e alla spontanea curiosità di chi ancora non l'aveva visto, Finale di partita rimase in cartellone per tre mesi con piu
di cento repliche, e venne da tutti considerato come uno degli avvenimenti di maggior interesse della stagione teatrale newyorkese, di Broadway come di «off-Broadway». L'accoglienza dei
settimanali, che avevano inviato i. propri cronisti alla seconda
rappresentazione, fu in gran parte positiva; quantunque fosse
per noi un duro colpo notare come dalle colonne del «Time»
fosse stata eliminata per ragioni editoriali una recensione estremamente favorevole. Con il procedere delle repliche il pubblico
si fece sempre piu attento ed entusiasta - era molto raro che qualcuno lasciasse la sala - e le rappresentazioni via via piu ricche di
sfumature e di naturalezza, tanto che la nostra notorietà crebbe
in modo considerevole. Ma la cosa piu importante era il fatto di
non aver mancato al nostro impegno con Sam. Non aveva voluto
raggiungerci a New York per assistere allo spettacolo, ma riceveva con regolarità informazioni e osservazioni sul suo andamento.
Parve apprezzare le foto di scena che gli erano state inviate, ed
espresse l'intenzione di ascoltare la registrazione dell'intero lavoro; a quel purito era ormai certo che saremmo riusciti nell'impresa. Nel frattempo, continuammo ad attendere con trepidazione e
a conservare gelosamente i suoi occasionali «auguri agli attori ».
Le opere di Beckett entrano nel sangue. Mi perseguitano du-
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Beckett
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rante il sonno e al risveglio, assalendomi quando meno me
l'aspetto. A volte un brano isolato di conversazione sentita per
caso sull' autobus o al ristorante mi fa venire in mente il «piccolo
trotto» di Vladimiro ed Estragone. Talvolta scopro che le mie
reazioni sono quelle di Clov o Hamm, o, piu spesso, quelle di entrambi contemporaneamente. I personaggi di' Sam si fissano nella memoria e appaiono molto piu vivi di quelli della produzione
drammaturgica di stampo realistico, che attualmente abbonda
sui nostri palcoscenici. (E continueranno a essere vivi quando la
maggior parte degli altri saranno morti quanto i personaggi di
The Great Devide). Le parole di Beckett sanno toccare le corde
piu profonde, sanno trasmettere l'improvvisa, acuta angoscia di
Pozzo o di Hamm che gridano il proprio bisogno di comprendere il senso dell'esistenza in un universo pervaso d'incertezza;
dànno voce alle osservazioni di Clov che descrive l'aspro e desolato paesaggio della nostra vita sulla terra. Mentre, a lato di tanta
desolazione e incertezza, e quale unico baluardo contro la disperazione, resta la continua affermazione della volontà dell'uomo,
del suo spirito, del suo senso dell'umorismo; «una speranza residua», che resiste tenacemente anche nelle piu oscure profondità
dell'abisso in cui ci troviamo. E ora ecco la notizia che Sam ha
s'critto un nuovo testo drammatico - comico e commovent~ a un
tempo -, un atto unico, con un solo personaggio e un solo elemento di scena: un registratore. Si intitola L'ultimo nastro di
Krapp, e presenta sul palcoscenico un uomo che ascolta le bobine
su cui ha inciso in passato i propri ricordi. È la sua prima stesura
originale in inglese da 'prima della guerra, fatta eccezione per il
radiodramma Tutti quelli che cadono, scritta per la Bbc. Si tratta
forse di un avvenimento di buon auspicio o di un momentaneo
abbandon;) del francese? Con Sam non si è mai certi di nulla. La
nostra unica speranza è che - in qualsiasi lingua - egli continui a
scrivere per il teatro, perché sappiamo che continuerà a estenderne i confini e la portata. Non certo perché sia quèsto il suo intento programmatico, ma perché là lo conducono gusto, immaginazione e talento.
'
Personalmente,
sarò felice di seguirlo. In effetti sto nuovamente andando a incontrarlo
con una copia di L'ultimo nastro di
Krapp nella valigia. Sta cominciando a diventare un' abitudine.
Come ogni altra opera di Sam Beckett, anche le poche pagine che
compongono
Krapp contengono alcune frasi meravigliose. Ricordo in particolare un passo verso la fine del testo: «Forse i miei
anni migliori sono finiti. Quando la felicità era forse ancora possibile. Ma non li rivorrei indietro. Non col fuoco che sento in me
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Sul teatro di Beckett
ora. No, non li rivorrei indietro» l. Se considerate come un unico
corpo, quelle frasi hanno una forma stupenda. Eppure non è solo
la loro forma che conta. Ma quella dell'uomo che le ha scritte.
ALAN SCHNEIDER.
Maggio 1958.
A bordo della Queen Mary.
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