SCRITTI DI LEONARDO DA VINCI SULLA PITTURA
Testi di riferimento e sigle utilizzate:
LP = Libro di Pittura, Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C.
PEDRETTI, trascrizione critica di C. VECCE, I-II, Giunti, Firenze, 1995.
A = Ms. A (2172 + 2185), Paris, Institut de France.
C = Ms. C (2174), Paris, Institut de France.
E = Ms. E (2176), Paris, Institut de France.
G = Ms. G (2178), Paris, Institut de France.
Ar = Ms. Arundel 263, London, British Library.
MdII = Ms 8936, Madrid, Biblioteca Nacional.
Tr = Ms. N 2162, Milano, Biblioteca Trivulziana.
Libro A = C. PEDRETTI, Leonardo da Vinci On Painting. A Lost Book (Libro A), University of
California Press, Berkeley & Los Angeles, 1964.
Richter = The Literary Works of Leonardo da Vinci, compiled and edited from the original
manuscripts from J.-P. RICHTER, Oxford University Press, London, 1939²; third edition: Phaidon,
New York, 1970.
SULLA PROSPETTIVA
De l’errore di quelli ch’usano la pratica sanza la scienzia.
Quelli che s’inamorano di pratica sanza scienzia, sono come li nocchieri ch’entran in naviglio sanza
timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano.
Sempre la pratica debb’esser edificata sopra la bona teorica, della quale la prespettiva è guida e
porta, e sanza questa nulla si fa bene ne’ casi di pittura.
LP 80, G 8, Richter 19, c. 1510-11.
Pariete di vetro.
Prospettiva non è altro che vedere uno sito dirieto uno vetro piano e ben trasparente, sulla superfitie
del quale siano segniate tutte le cose che sono da esso vetro idirieto: le quali si possono condurre
per piramidi al punto dell’ochio e esse piramidi si tagliano su detto vetro.
A 1 v, Richter 83, c. 1492.
Prospettiva.
Pariete è una linia perpendiculare la quale si figura dinanzi al punto comune, dove si congiugnie il
concorso delle piramidi; E fa questa pariete col detto punto, quello medesimo offitio, che farebbe un
vetro piano per lo quale in riguardando varie cose sù ve le disegniasse; E sarebbero le cose
disegniate tanto minori che l’origine: quanto lo spatio che sta tra il vetro e l’ochio fusse minore che
quello dal vetro alla cosa.
A 10 v, Richter 85, c. 1492.
La cosa diminuita debe essere riguardata a quella medesima distantia e altezza e dirittura, che
ponesti il punto del tuo ochio, altrementi la scienta non avrà bono effetto.
A 41, Richter 544, c. 1492.
Come si debbe porre alto il punto.
Il punto debbe essere alto all’altezza dell’occhio d’uno homo comunale, e l’ultimo della pianura che
confina col cielo debbe essere fatto all’altezza d’esso termine della terra col cielo, saluo che le
montagnie che sono libere.
Ash. I. 4 v, Richter 536.
Del ritrar de rilevo finto o di naturale.
[Quello] che ritrae de rilevo, si debbe aconciare in modo tale, che l’occhio della figura ritratta sia al
pari de l’occhio di quello che ritrae; e questo si farà [‘n] una testa, la quale avessi a ritrarre di
naturale, perché universalmente le figure over [le] persone che scontri per le strade tutti hanno i loro
occhi a l’altezza dei tuoi, e se tu li facessi o più alti o più bassi, verresti a dissimigliare il tuo ritratto.
LP 89, A 90 (10), Richter 541, c. 1492.
SUDDIVISIONE DELLA PROSPETTIVA IN TRE PARTI
Di tre nature prospettive.
Come vi sono tre nature prospettive: la prima s’estende intorno alle ragioni del diminuire le cose
che si allontanano dall’occhio, e si dice prospettiva diminuitiva. La seconda contiene in sé il modo
del variare i colori che si allontanano dall’occhio. La terza, ed ultima, si estende alla dichiarazione
come le cose debbono essere meno finite quanto più s’allontanano. I nomi sono questi: Prospettiva
lineale, Prospettiva di colore. Prospettiva di spedizione.
A 98 (18), Richter 14, c. 1492.
De pictura e prospettiva.
3 sono le parti della prospettiua di che si serue la pictura, delle quali la prima s’astende alla
diminutione delle quantità de’ corpi opachi; la seconda è delle diminuzioni e perdimenti delli
termini d’essi corpi opachi; La terza è della diminutione e perdimenti de’ colori in lunga distantia.
E 80 v, Richter 15, c. 1513-14.
Discorso di pittura.
La prospettiva, la quale s’astende nella pittura, si divide in tre parti principali, delle quali la prima è
della diminuzzione che fan le quantità de’ corpi in diverse distanzie; la 2ª parte è quella che tratta
della diminuzione de’ colori dei tali corpi; 3ª è quella che diminuisce la notizia delle figure e
termini che hanno essi corpi in varie distanzie.
LP 489, G 53 v, Richter 16, c. 1510-11.
Delle parti della pittura.
La prima parte della pittura è che lli corpi con quella figurati si dimostrino rilevati e che li campi
d’essi circondatori con le lor distanze si dimostrino entrare dentro alla pariete, dove tal pittura è
generata, mediante le tre prespettive, cioè diminuzion delle figure de’ corpi, diminuzion delle
magnitudini loro e diminuzion de’ loro colori. E di queste tre prospettive la prima ha origine da
l’occhio, le altre due hanno derivazione da l’aria interposta infra l’occhio e li obbietti da esso occhio
veduti. La seconda parte della pittura è gli atti apropriati e variati nelle stature, ché gli omini non
paino fratelli [ecc.].
LP 136, E 79 v, Richter 17, c. 1513-14.
LA PROSPETTIVA DI ‘SPEDIZIONE’
Come le figure piccole non deono per ragione essere finite.
Dico che le cose ch’apariranno di minuta forma, nascerà che detta cosa fia lontana dall’occhio;
essendo così, conviene ch’infra l’occhio e la cosa sia molta aria, e la molta aria impedisce la
evidenzia della forma d’essi obbietti, onde le minute particule d’essi corpi fieno indiscernibili e non
conosciute. Adunque tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite, e
s’altrimenti farai, contrafarai alli effetti della natura tua maestra. La cosa riman piccola per la
distanzia grande ch’è fra l’occhio e la cosa; la distanzia grande rinchiude dentro di sé di molta aria,
la molta aria fa in sé grosso corpo, il quale impedisce e toglie all’occhio le minute particule de li
obbietti.
LP 417, A 111 (31 v), Richter 568, c. 1492.
Perspectiva de’ perdimenti che fan li stremi de’ corpi opachi.
Se inuisibili son li veri stremi de’ corpi opachi in qualunche minima distantia, maggiormente saran
invisibili nelle lunghe distantie; e se per li termini si cognosce la uera figura di ciascun corpo opaco
e mancando per distantia la cognition d’esso tutto, maggiormente mancherà la cognitione delle sue
parti e termini.
E 80, Richter 222, c. 1513-14.
Delle cose finite, e delle confuse.
Le cose finite et ispedite si debbono fare da presso, e le confuse, cioè di termini confusi, si fingano
in parte remote.
LP 153, originale perduto, c. 1505-10.
Precetti de pittura.
Quella overo la figura di quella cosa si dimostrerà con più distinti et espediti termini, la quale sarà
più vicina al’occhio. E per questo tu, pittore, che sotto il nome di pratico fingi la veduta d’una testa
veduta da vicina distanzia con pennellate terminate, e tratteggiamenti aspri e crudi, sappi che tu te
inganni, perché in qualunque distanza tu ti finga la tua figura, essa è sempre finita in quel grado
ch’ella si trova, ancora che in longa distanza si perda la notizia delli suoi termini. E non manca per
questo che non si veda un finito fumoso, e non termini e profilamenti spediti e crudi. Adonque è da
concludere, che quella opera alla quale si po’ avicinare l’occhio del suo risguardatore, che tutte le
parte d’essa pittura sieno finite nelli suoi gradi con somma deligenzia, et oltra di questo le prime
sieno terminate di termini noti et espediti dal suo campo, e quelle più distanti sieno ben finite, ma di
termini più fumosi, cioè più confusi, o voi dire men noti; alle più distanti successivamente osservare
quel ch’è ditto di sopra, cioè li termini men noti, e poi le membra, et in fine il tutto men noto di
figura e di colore.
LP 128, originale perduto, c. 1500-5.
Delle incarnazioni e figure remote dall’occhio.
Debbesi per lo pittore porre nelle figure e cose remote da l’occhio solamente le macchie, ma non
terminate, ma di confusi termini; e sia fatta la elezione di tali figure quando è nuvolo, o in sulla sera,
e soprattutto guardarsi, come ho detto, di lumi o ombre terminate, perché paiono poi tinte quando tu
le vedi da lontano, e riescono opere difficili sanza grazia […].
LP 487, Libro A 27, c. 1508-10.
CHE COSA SIGNIFICA ‘TERMINE’
1. La superfitie è termine del corpo. 2. e ‘l termine d’un corpo non è parte d’esso corpo, 4. e ‘l
termine d’un corpo è principio d’un altro 3. quello è niente che non è parte d’alcuna cosa. Quello è
niente che niente occupa.
[…]
Ar 131 v, Richter 45.
E’l punto per essere indiuisibile niente occupa. Tutte le cose che niente occupano niente sono. E ‘l
termine d’una cosa è principio d’un'altra. 2 e Quel si dice essere niente che non è parte d’alcuna
cosa 1. quel che non à termine non à figura alcuna; i termini di 2 corpi insieme congiunti sono
scanbievolmente superfitie l’uno dell’altro. Tutti i termini delle cose non sono parte alcuna d’esse
cose.
Ar 132, Richter 46.
Li termini delli corpi sono la minima cosa di tutte le cose | | provasi essere vero quel che si propone,
perché il termine della chosa è vna superfitie, la qual non è parte del corpo uestito di tal superfitie,
né è parte dell’aria circundatricie d’esso corpo ma ‘l mezzo interposto infra l’aria e ‘l corpo come a
suo loco è provato; Ma li termini laterali d’essi corpi è la linia termine della superfitie, la qual linia
è di grossezza invisibile; adunque tu pittore non circondare li tua corpi di linie, e massime nelle cose
minori che ‘l naturale, le quali non che possino mostrare li termini laterali, ma li lor membri per
distantia sono invisibili.
G 37, Richter 49, c. 1510-11.
LA PROSPETTIVA DI COLORE O AEREA
Delle figure che sono separate, che non paiono congiunte.
Li colori di che tu vesti le figure sieno tali che dieno grazia l’uno a l’altro; e quando l’un colore si fa
campo de l’altro, sia tale che non paino congionti et appiccati ‘nsieme, ancora che fussino di
medesima natura di colore, ma sien vari di chiarezza, tal qual richiede la interposizione della
distanzia e della grossezza del’aria che infra loro s’intramette, e con la medesima regola vada la
notizia de’ loro termini, cioè più o men spediti o confusi, secondo che richiede la loro propinquità o
remozione.
LP 154, originale perduto, c. 1505-10.
Fra le cose d’egual grandezza e colore, quella che fia più lontana parrà più chiara e di minor figura.
[…].
C 21 v, 1490-91.
Di quelli che in campagna fingono la cosa più remota farsi più oscura.
Molti sono che in campagna aperta fanno le figure tanto più oscure quanto esse son più remote
dall’occhio; la qual cosa è in contrario, se già la cosa imitata non fusse bianca, perché allora
acaderebbe quel che di sotto si propone.
LP 234, originale perduto, c. 1505-10.
Diminuzione de’ colori pel mezzo interposto infra loro e l’occhio.
Tanto meno dimostrerà la cosa visibile del suo naturale colore, quanto il mezzo interposto fra lui e
l’occhio sarà di maggior grossezza.
LP 228, originale perduto, c. 1505-10.
Delli colori delle cose remosse da l’occhio.
L’aria tinge più gli obbietti, ch’ella separa dall’occhio, del suo colore, quanto ella sarà di maggiore
grossezza […].
LP 235, originale perduto, c. 1505-10.
De’ colori.
Il mezzo ch’è infra l’occhio e la cosa vista trasmuta essa cosa nel suo colore, come l’aria azzurra fa
che le lontane montagne parranno azzurre; il vetro rosso fa che ciò che l’occhio vede dopo lui pare
rosso: il lume che fanno le stelle d’intorno a esse è occupato per la tenebrosità della notte, che si
trova infra l’occhio e l’alluminazione d’esse stelle.
LP 258, Tr 39, Richter 296, c. 1487-90.
Come son l’ombre per longa distanzia.
L’ombre si perdeno in longa distanzia, perché la gran quantità de l’aria luminosa, che si trova infra
l’occhio e la cosa veduta, tinge l’ombre d’essa cosa nel suo colore.
LP 646, A 100 v (20 v), Richter 176, c. 1492.
De l’ombre delle cose remote e lor colore.
L’ombre delle cose remote parteciperanno tanto più di colore azzurro, quanto elle saranno in sé più
oscure e più remote; e questo acade per la interposizione de la chiarezza dell’aria che s’intramette
infra la oscurità de’ corpi ombrosi interposti infra ‘l sole e l’occhio che la vede; ma se l’occhio si
volta in oposito al sole, non vedrà simile azzurro.
LP 630, originale perduto, c. 1508-10.
Della prospettiva aerea.
Ecci un’altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperò che per la varietà dell’aria si può
cognoscere le diverse distanzie di vari edifici terminati ne’ loro nascimenti da una sola linea, come
sarebbe il vedere molti edifici di là da un muro che tutti apariscono sopra alla stremità di detto muro
d’una medesima grandezza, e che tu volessi in pittura fare parere più lontano l’uno che l’altro; è da
figurare un’aria un poco grossa.
Tu sai che in simile aria l’ultime cose viste in quella, come sono le montagne, per la gran quantità
dell’aria che si trova infra l’occhio tuo e la montagna, quella pare azzurra, quasi del colore dell’aria,
quando il sole è per levante. Adunque farai sopra ‘l detto muro il primo edificio del suo colore; il
più lontano fallo meno profilato e più azzurro, quello che tu voi che sia più in là altretanto, fallo
altretanto più azzurro, e quello che tu voi che sia cinque volte più luntano, fallo cinque volte più
azzurro: e questa regola farà che gli edifici che sono sopra una linea parranno d’una medesima
grandezza, chiaramente si conoscerà qual è più distante e qual è maggiore che l’altro.
LP 262, A 105 v (25 v), Richter 295, c. 1492.
DEI RIFLESSI
De’ lumi et ombre, e colori di quelle.
Nessun corpo si dimostrarà mai integralmente del suo naturale colore […].
LP 654, Libro A 21, c. 150-10.
De ombre e lumi nelli obbietti.
La superficie d’ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obbietto.
Gran rispetto bisogna al pittore nel situare le cose sue infra obbietti di varie potenzie di lumi, e varii
colori aluminati, con ciò sia che ogni corpo da quelle circondato non si mostra mai integralmente
del suo vero colore.
LP 655, Libro A 20, c. 1508-10.
De ombra e lume.
Ogni parte della superficie che circonda i corpi si trasmuta in parte del colore di quella cosa che l’è
posta per obbietto.
Essempio.
Se tu porrai uno corpo sperico in mezzo a varii obbietti, cioè che da una parte sia lume del sole e da
l’oposita parte sia uno muro aluminato dal sole, il quale sia verde o d’altro colore; il piano dove si
posa sia rosso; dai dui lati traversi sia scuro; vederai al naturale colore di detto corpo partecipare de’
colori che li sono per obbietto: il più potente fia il luminoso; il secondo fia quello della pariete
aluminata; il terzo quello de l’ombra; rimane poi una quantità che partecipa del colore de li stremi.
LP 668, A 113 v (33 v), c. 1492.
De’ colori delle specie delli obbietti che tingono di sé le superficie de’ corpi opachi.
Molte sono le volte che lle superficie de’ corpi opachi nel tingersi de’ colori de’ suoi obbietti
pigliano colori che non sono in essi obbietti.
Provasi: c d sia il corpo opaco, e l’a b sia il suo obbietto, il quale porremo che sia di color giallo, e
‘l corpo opaco azzurro; dico che tutta la parte della superficie d n c di tal corpo opaco, che in sé è
azzurro, si dimostrerà essere verde, e ‘l simile farebbe se l’opaco fusse giallo e l’obbietto azzurro; e
questo nasce perché li colori vari, quando son misti, si trasmutano in un terzo colore, partecipante
de l’uno e de l’altro; e per questo il giallo misto co’ l’azzurro fa verde, il qual verde è un composto
de’ suoi componenti, che manifestamente si comprende dal pittore speculativo.
LP 701, originale perduto, c. 1508-10.
De’ reflessi de’ lumi che circondano l’ombre.
Li reflessi delle parti aluminate […] risaltano nelle contraposte ombre alleviando più e meno la loro
oscurità, secondo ch’elle sono più o meno vicine o più o meno di chiarezza […].
LP 159, originale perduto, c. 1505-10.
De’ reflessi.
Li reflessi sieno partecipanti tanto più o meno della cosa dove si generano, che della cosa che li
genera, quanto la cosa dove si generano è di più pulita superfizie che quella che li genera.
LP 158, originale perduto, c. 1505-10.
DEL ‘LUSTRO’
De aluminazione e lustro.
Aluminazione è partecipazione di luce, e lustro è specchiamento d’essa luce.
LP 664, originale perduto, c. 1508-10.
De lume e lustro.
Li lumi che si generano nelle superficie terse delli corpi opachi saranno imobili ne’ corpi imobili
ancora che l’occhi d’essi veditore si mova; ma li lustri saran sopra li medesimi corpi in tanti lochi
della sua superficie, quanti sono li siti dove l’occhio si move.
LP 776, E 31 v, Richter 135, c. 1513-14.
Che differentia è da lustro a lume.
La differentia ch’è dal lustro al lume, è che sempre il lustro è più potente che ‘l lume, et il lume è di
maggiore quantità che ‘l lustro; e ‘l lustro si move insieme co’ l’occhio o colla sua causa, o co’
l’uno o co’ l’altra; ma il lume è stabilito al loco terminato, non rimovendosi la causa che lo genera.
LP 775, originale perduto, c. 1508-10.
De lustro
[…]
Il lustro fie sopra li obbietti trovato in tanti varii siti, quanto son varii i lochi dond’esso è veduto.
Stando l’occhio e l’obietto sanza moto, moverassi il lustro sopra l’obietto insieme col lume che lo
causa; stando il lume e l’obietto sanza moto, moverassi il lustro sopra l’obbietto insieme col moto
de l’occhio che lo vede. Nasce il lustro nelle superficie pulite di qualonche corpo, el quale piglierà
più lume che fia più densa e pulita.
LP 779, MdII 26, Libro A 23, c. 1504.
DEI LUMI E DELLE OMBRE
Dove non pò essere riverberazione luminosa.
Tutti i corpi densi si vestano le loro superfizie di varie qualità di lumi e ombre. I lumi sono di due
nature: l’uno si dimanda originale, l’altro derivativo. Originale dico essere quello [che] deriva da
vampa di foco, o dal lume del sole, o d’aria, lume derivativo fia il lume riflesso […].
LP 157, A 94 v (14 v), Richter 205, c. 1492.
De’ lumi.
I lumi che aluminano li corpi opachi sono di IIII sorti, cioè universale, com’è quello de l’aria ch’è
dentro al nostro orizzonte; e particulare, com’è quello del sole, o d’una finestra, o porta, o altro
spacio; e 'l terzo è il lume reflesso; [ed è ce n’è un] quarto, è il quale passa per cose trasparenti,
come tela o carta e simili, ma non trasparenti come vetri, o cristalli, od altri corpi [diafani], li quali
fan il medesimo effetto, come se nulla fuss’interposto infra ‘l corpo ombroso e 'l lume che
l’alumina, e di questi parlaremo distintamente nel nostro discorso.
LP 663, G 3 v, Richter 118, c.1510-11.
Difetto de’ pittori che retranno una cosa di rilevo in casa a un lume, e poi la mettono in campagna o
in altro loco ad altro lume.
Grande errore è di quelli pittori, li quali spesse volte retranno una cosa di rilevo a un lume
particulare nelle loro case, e poi metteno in opera tal ritratto a un lume universale de l’aria in
campagna, dove tale aria abbraccia et alumina tutte le parte delle vedute a un medesimo modo; e
così costui fa l’ombre oscure dove non pò essere ombra, e se pure essa ve è, ella è di tanta
chiarezza, che l’è insensibile: e così fanno li reflessi dove è impossibile quelli esser veduti.
LP 110, originale perduto, c. 1505-10.
Qual pittura è meglio usare nel far parere le cose spiccate.
Le figure alluminate dal lume particulare son quelle che mostran più rilevo che quelle che sono
alluminate dal lume universale, perché il lume particulare fa li lumi reflessi, li quali spiccano le
figure dalli loro campi; le quali reflessioni nascano nelli lumi de l’una figura che risalta ne l’ombra
di quella che li sta dinanti e l’alumina in parte. Ma la figura posta dinanti al lume particulare in loco
grande e scuro non riceve riflesso, e di questa non si vede se non la parte aluminata: e questa è sol
da essere usata nella imitazione della notte, con piccolo lume particolare.
LP 120, originale perduto, c. 1510-15.
Del lume particulare.
Il lume particulare è causa di dare migliore rilevo alli corpi ombrosi, che l’universale, come ci
mostra il parangone d’una parte di campagna aluminata dal sole, et una ombrata dal nuvolo, che
solo si alumina del lume universale dell’aria.
LP 790, E 32 v, Richter 157, c. 1513-14.
Delle qualità del lume per ritrarre rilevi naturali o finti.
Il lume tagliato dalle ombre con troppa evidenzia è sommamente biasimato apresso de’ pittori,
onde, per fuggire tale inconveniente, se tu depingi li corpi in campagna aperta, farai le figure non
aluminate dal sole, ma fingi alcuna quantità di nebbia o nuvoli transparenti essere interposti fra
l’obbietto e 'l sole, onde, non essendo la figura del sole espedita, non saranno espediti i termini de
l’ombre co’ termini de’ lumi.
LP 87, Libro A 37, c. 1508-10.
Che sia ombra e tenebre.
L’ombra è diminuzzione di luce; tenebre è privazzion di luce.
LP 550, E 32 v, Richter 159, c. 1513-14.
Che differenzia è da ombra a tenebre.
La differenzia che è da ombra a tenebre è questa, che l’ombra è alleviamento di luce, e tenebre è
integralmente privamento d’essa luce.
LP 546, originale perduto, c. 1508-10.
Che cosa è ombra.
L’ombra, nominata per il suo proprio vocabolo, è da esser chiamata alleviazzione di lume aplicato
alle superficie de’ corpi, della quale il suo principio è nel fine della luce, et il suo fine è nelle
tenebre.
LP 545, originale perduto, c. 1508-10.
Quante sono le sorti de l’ombre.
Tre sono le sorti de l’ombre, delle quali l’una nasce dal lume particulare, com’è sole, luna o
fiamma; la seconda è quella che deriva da porta, finestra od altra apritura, donde si veda gran parte
del cielo; la terza è quella che nasce da lume universale, com’è il lume del nostro emispero, essendo
senza sole.
LP 569, originale perduto, c. 1508-10.
Che differenzia è da ombra semplice a ombra composta.
Ombra semplice è quella dove alcuna parte del luminoso non può vedere, et ombra composta è
quella dove infra la ombra semplice si mischia alcuna parte del lume derivativo.
LP 557, originale perduto, c. 1508-10.
Che differenzia è da lume composto a ombra composta.
Ombra composta è quella la quale partecipa più de l’ombroso che del luminoso; lume composto è
quello che partecipa più del luminoso che de l’ombroso, adonque diremo quell’ombra e quel lume
composto pigliare il nome da quella cosa di che esso è più partecipante; cioè che se un luminato
vede più ombra che ‘l lume, che fia detto vestito d’ombra composta; e se sarà vestito più dal
luminoso che da l’ombroso, allora, com’è detto, fia nominata lume composto.
LP 558, originale perduto, c. 1508-10.
Modo de ritrarre e d’ombra semplice e composta.
Non ritrarre una figura in casa col lume particulare finta al lume universale delle campagne sanza
sole, perché la campagna fa ombra semplice, e ‘l lume particulare di finestra o di sole fa ombra
composta, cioè mista con reflessi.
LP 94, originale perduto, c. 1508-10.
De l’ombra semplice de prima oscurità.
L’ombra semplice è quella che da nessuno lume reflesso può essere veduta, ma solo da un’ombra
opposita sarà aumentata.
[…].
LP 587, originale perduto, c. 1508-10.
Di due spezie d’ombre et in quante parte se divideno.
Le spezie de l’ombre se dividono in due parti, l’una delle quali è detta semplice e l’altra composta:
semplice è quella che da un sol lume e da un sol corpo è causata; composta è quella che da più lumi
sopra un medesimo corpo si genera, o da più lumi sopra più corpi.
La semplice ombra si divide in due parte, cioè primitiva e derivativa: primitiva è quella ch’è
congionta nelle superficie del corpo ombroso; derivativa è quella ombra che si parte dal predetto
corpo, e discorre per l’aria, e se trova resistenzia si ferma nel logo dove percote co’ la figura della
sua propria basa.
[…]
LP 553, Libro A 34, c. 1508-10.
Varietà di ciascuna delle tre ombre derivative.
De l’ombra derivativa nata da corpo ombroso minore del corpo che l’alumina, quella sarà
piramidale, e fia tanto più corta, quanto ella sarà più vicina al corpo luminoso; ma la parallela in tal
caso non si varia; ma la dilatabile tanto più s’alarga quanto più s’avicina al suo luminoso.
LP 589, originale perduto, c. 1508-10.
Della semplice ombra derivativa.
La semplice ombra derivativa è di [due] sorte, cioè una finita in lunghezza e due infinite; la finita è
piramidale, e delle infinite una ve n’è colunnale e l’altra dilatabile, e tutte e tre sono di lati rettilinei;
ma l’ombra concorrente, cioè piramidale, nasce da l’ombroso minore del luminoso, e la colunnale
nasce da ombroso equale al luminoso, e la dilatabile da ombroso maggiore del luminoso.
LP 595, E 31, Richter 161, c. 1513-14.
Delle figure delle ombre.
Mai l’ombra derivativa sarà integralmente simile al corpo ombroso che la genera se il lume che
cinge co’ li suoi razzi li termini di tal corpo non è della medesima figura d’esso corpo.
LP 618, originale perduto, c. 1508-10.
Che quel corpo ch’è più propinquo al lume fa maggior ombra, e perché.
Se uno obbietto antiposto ad un particular lume fia di propinqua vicinità, vedrai a quello far ombra
grandissima nella contraposta pariete: e quanto più alontanerai detto obbietto dal lume, tanto si
diminuirà la forma d’essa ombra.
LP 612, A 110 (30), Richter 196, c. 1492.
De l’astensione de l’ombre derivative.
Li termini de l’ombre derivative si dilatano tanto più dintorno al corpo ombroso, quanto il lume che
le genera è di maggiore grandezza.
LP 621, originale perduto, c. 1508-10.
Dove fia più oscura l’ombra derivativa.
Quell’ombra derivativa sarà di maggior oscurità la qual fia più vicina alla sua causa, e quelle che
sono remote si faranno più chiare.
LP 606, Libro A 33, c. 1508-10.
De l’ombra derivativa composta.
L’ombra derivativa composta perde tanto più della sua oscurità, quant’ella si fa più remota da
l’ombra semplice derivativa […].
LP 561, originale perduto, c. 1508-10.