Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di

II GIORNATA DI STUDI GDG
“Questioni sul corpo in Psicologia Sociale”
7 maggio 2010
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
Paper di
Lia Lombardi
Che cosa significa controllo sociale del corpo femminile? Da dove proviene? Esso trae origine da tutte
quelle norme e regole, socialmente condivise, che riguardano il comportamento di una sola parte della
popolazione, quella femminile. Il motivo di tali limitazioni va cercato nella capacità di procreare propria del
genere femminile, una capacità carica di ambivalenze sociali e psichiche che hanno reso il corpo femminile
fonte di vita e di bellezza, ma anche di paura e di emarginazione.
La domanda di fondo è se ancora oggi e nelle società occidentali, si esercita questo controllo dei corpi delle
donne. Con quali strumenti e attraverso quali regole? In che termini la medicina attuale è fonte di potere e di
regolazione dei corpi e dei comportamenti delle donne (ma non solo) soprattutto in merito a sessualità,
riproduzione/procreazione, relazioni di genere?
Per argomentare queste complesse domande si prendono in considerazione alcuni fondamenti teorici della
sociologia che riguardano la costruzione sociale del corpo (meglio dire dei corpi); la costruzione sociale del
corpo femminile con particolari riferimenti agli studi delle donne; il processo di medicalizzazione della
società, con focalizzazione sul corpo femminile e sulla riproduzione umana.
1. La costruzione sociale del corpo
Il corpo come categoria sociologica ha attirato l’attenzione degli studiosi solo in anni recenti. Lo studio
della fisicità è stato tradizionalmente delegato ad altre discipline, come ad esempio la medicina, e addirittura,
la sociologia classica ha delimitato i propri confini attraverso “l’energica negazione dell’importanza dei
fattori genetici e fisici nella vita sociale, [...] rinforzando e contribuendo al tempo stesso a teorizzare
l’opposizione tipica del pensiero occidentale, tra natura e cultura” (Borgna, 1995).
Per la sociologia contemporanea il corpo appare oggi sempre più come un dato organizzato socialmente, è
per questo che sosteniamo che esso sia socialmente costruito, cioè vissuto e gestito in modi diversi a seconda
delle culture e delle epoche storiche (Sassatelli, 2005). “La relazione corpo/società è strategica non solo
perché ci riconosciamo nell’ambito di studi che fa capo alla sociologia, ma perché è in essa che riteniamo di
poter cogliere i criteri con cui il corpo stesso, da oggetto di Natura diviene oggetto di Cultura, e quindi è
socialmente costruito” (Stella, 2001, 268).
La prospettiva della costruzione soggettiva del corpo come veicolo del sé è parsa in questi anni come la
più promettente per comprendere un buon numero di problemi. Il corpo è come un testo leggibile e scrivibile
da soggetti diversi. Esso parla modificando l’ambiente che lo circonda e crea intorno a sé, grazie alle
interazioni a cui partecipa, una visibilità e dei risultati comprensibili anche dagli altri. Per comprenderlo però
occorre, preliminarmente, capire chi lo scrive e chi lo legge: i segni significano non di per sé stessi, ma in
ragione del corpo sociale che lega chi li produce a chi li interpreta (Stella, 2001).
Il recente interesse del corpo come categoria sociologica ha portato allo sviluppo dell’ipotesi che la
componente più significativa dell’individuo, base della sua identità ed individualità, non sia costituita dal
solo sistema cervello-mente ma dal corpo intero, con la sua spazialità, la sua motricità e la sua capacità di
sentire e di agire. La teoria dell’azione sociale, che a questa prospettiva si ispira, ritiene che “ai fini
dell’azione fa differenza che l’individuo che agisce sia femmina anziché maschio, sia più o meno giovane,
abbia o no figli, e così via” (Borgna, 1995). Ciò significa partire dalla consapevolezza che il corpo è frutto
dell’incrocio tra dimensione biologica e dimensione sociale. Da una parte si può dire che le realtà corporee
acquistano significato ed identità in base al contesto culturale nel quale sono inserite, la cultura cioè fornisce
nomi ed identità al corpo, dall’altra esiste un tipo di relazione messa in evidenza dalla sociobiologia, che
studia l’intreccio, nell’essere umano, di natura ed educazione, di biologia e di cultura, secondo cui il
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
1
comportamento socio-culturale per quanto strutturato dall’ambiente, ha una forte componente biologica,
l’ambiente è cioè “incorporato”. Quindi non ci riferiamo al corpo come ad un oggetto del mondo, ma a
qualcosa che ci permette di agire nel mondo. Dove ciò che agisce non è semplicemente il nostro corpo ma
siamo noi; dove la nostra immagine corporea esprime lo stile e il senso della nostra storia personale; dove,
infine, la costruzione dell’immagine corporea non dipende solo dalla storia del singolo, ma anche
dall’incidenza dell’elemento sociale (in Lombardi, 2005; 2008).
2. La costruzione sociale del corpo femminile
Il concetto di corpo elaborato dalle scienze sociali è così passato, nel corso della storia, da una
interpretazione della corporeità di tipo bio-medico (sociologi classici) ad una di tipo fenomenologico
(elaborata da Foucault), in cui il corpo materiale, con la sua biologia e la sua socialità, costituisce “l’effetto
di un dispositivo storico di potere”. Ma la gran parte dei contributi delle scienze sociali sul corpo sono rivolti
all’universo maschile: sia nella cornice classica del “sociale senza corpo” sia in quella dei contributi
successivi. Solo a partire dall’analisi di Foucault (1978) delle dinamiche sociali di potere e sapere che
definiscono il corpo, si cominciano a tracciare le linee che riguardano il corpo femminile, fino a quel
momento assimilato a quello maschile. Le intuizioni di Foucault sul tema del potere e dell’assoggettamento
si rivelano particolarmente utili all’analisi sociale e storica della femminilità e della mascolinità, stabilendo i
confini e le caratteristiche (fisiche e sociali) del corpo femminile.
Un passaggio fondamentale avviene poi con gli Women’s studies, quando studiose e ricercatrici iniziano
ad osservare le pratiche sociali sul corpo femminile, in particolare quelle della medicalizzazione. Così la
medicalizzazione del corpo femminile viene letta come la risposta della modernità alla necessità di controllo
sociale sull’attività riproduttiva della donna, una necessità riscontrabile in tutte le culture (Jordan, 1985;
Davis Floyd, 1997 Il corpo femminile, scrive T. Pitch, “è la natura su cui la cultura (maschile) doveva
esercitare il suo dominio. In questo senso, in quanto più naturale dei corpi maschili (…)” rappresenta
(proprio per la sua capacità riproduttiva) ancora una minaccia e un pericolo e “non è per caso che il corpo
femminile sia più medicalizzato di quello maschile, le pratiche di prevenzione più puntuali ed estese,
l’autovigilanza che esso richiede più intensa” (Pitch, 2006, p. 99).
Correnti di pensiero contemporanee hanno al tempo stesso sviluppato una critica delle dicotomie
cultura/natura, mente/corpo, genere/sesso, maschio/femmina, altro/sé. La corporeità stessa - il modo in cui
percepiamo e definiamo che cosa significa avere ed essere un corpo - è stata problematizzata. Non è il caso
di fermarsi oltre, in questa sede, sul complesso e articolato dibattito che si snoda intorno ai concetti di
uguagliaza/differenza(e) (Lombardi, 2005, 2008). I diversi orientamenti interni allo stesso movimento delle
donne hanno sottolineato ora gli uni ora gli altri fattori, in un percorso che Bianca Beccalli (1999), ha
sintetizzato nella formula “dalla differenza all'eguaglianza e ritorno”.
Riprendendo il filo del discorso sul potere, gli orientamenti denominati post-strutturalisti hanno dunque
esplorato i meccanismi che legano quest'ultimo al corpo, nel tentativo di specificare come si riproduce
l'ordine sociale e in quale misura può essere messo in questione (Sassatelli, 1999). E' stata criticata la
distinzione che iscrive il sesso in una differenza biologica destoricizzata e vede il genere come la
rappresentazione culturale di quel dato biologico. Il genere è inteso piuttosto come quel processo culturale
che produce nel corpo la possibilità di realizzarsi in due sessi distinti. Si evidenzia cioè che il fondamento
biologico è solo in apparenza ovvio e ben delineato: il genere dei corpi è una costruzione culturale instabile,
il cui scopo è delimitare e contenere la minacciosa assenza di confini tra i corpi e tra le pratiche del corpo,
assenza che altrimenti farebbe esplodere le strutture istituzionali delle ideologie sociali (Ibidem).
Ma, in fin dei conti cosa è/come si definisce un corpo? Possiamo rilevare che esso, nell'ambito delle
diverse elaborazioni, sia stato descritto ora come argilla (modellato da vincoli politici ed economici); ora
come simbolo che parla del soggetto e del suo “posto” nell'ordine sociale; ora come testo, luogo di continua
e necessaria re-interpretazione.
Quest'ultima visione corrisponde a una nozione del corpo come “mimesi”: esso è “messo in pratica”
nella vita quotidiana, viene concretamente modellato nei rapporti con le situazioni, le regole e le
classificazioni in cui si trova inserito. In questa prospettiva si collocano Bourdieu e Foucault, nel tentativo
di affrancare la nozione di potere dall'ambito del politico strettamente inteso e porre l’accento sui conflitti e
le lotte che scaturiscono dai molti modi di vivere il corpo. Proseguendo per questa via, la corporeità viene
concettualizzata come un aspetto della struttura sociale e delle lotte al suo interno: le pratiche e le
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
2
tecnologie del corpo si pongono quindi come terreni conflittuali dagli esiti essenzialmente ambivalenti,
dalle potenzialità ora liberatorie ora soggioganti (Butler, 1990).
Il corpo si connota dunque come un campo di battaglia, modellato dagli scontri fra gruppi con valori
differenti e diversi interessi politici ed economici. Inoltre il corpo - le sue immagini, le sue definizioni, i
suoi confini, ecc. - si pone come il punto focale di conflitti sulla forma del potere, perché il moderno
governo della vita può soltanto cristallizzare una varietà di identità che a loro volta diventano la base della
resistenza contro di esso (Sassatelli, 1999).
Ma se il nostro corpo è un costrutto sociale, che agisce in maniera differente a seconda della cultura di
appartenenza, della classe sociale, del genere sessuale, non è un caso che la società stessa si pensi come
corpo. Nicoletta Diasio (2000) ragiona su come il corpo costituisca un sistema di segni in cui la società
legge la propria appartenenza. Luogo per eccellenza dell'identità collettiva è il corpo femminile, tanto
oggetto simbolico di rappresentazione artistica e iconografica, quanto soggetto concreto su cui più si
esercita il potere di coercizione e controllo della società (fino alle più estreme e drammatiche conseguenze,
come nel caso dello stupro in tempo di guerra -è recente quello etnico praticato sistematicamente nell'exJugoslavia - che si configura come la vera e propria presa di possesso del gruppo nemico, la sconfitta per
eccellenza).
3. Medicalizzazione e controllo sociale
Tra la costruzione sociale e il processo di medicalizzazione del corpo sembra esserci un’intima
connessione, per lo meno a partire da un certo periodo in poi della storia. Il corpo diviene territorio
privilegiato di esercizio del potere medico e non soltanto come corpo malato (Foucault, 1978). Più la
medicina si traduce in un “sapere diffuso” che distribuisce notizie di sintomi possibili, più il corpo e le sue
funzioni sono scritti e interpretati in parallelo dall’individuo e dall’esperto.
La medicina attuale è un sistema sempre più sofisticato che combina un patrimonio di conoscenze fisiche,
chimiche e biologiche in continua espansione, con una capacità di sperimentazione tecnologica che allarga
continuamente il proprio campo di applicazione ed efficacia. A questa medicina ci si rivolge per trovare
risposte, con la stessa attesa di salvezza che ha sempre alimentato la speranza degli esseri umani nei
confronti della sofferenza.
Tuttavia qualcosa è profondamente cambiato. Le persone diventano più consapevoli di sé e dei propri
bisogni e da qui nasce una domanda di ben-essere che va al di là del superamento della malattia o del dolore
(Ingrosso, 2003). Rispetto al vivere in salute “siamo coinvolti in processi continui di apprendimento,
aggiornamento, verifica. Questo è possibile soltanto in un contesto di attori sociali consapevoli del
significato delle proprie esperienze, autoriflessivi, responsabili, informati, lifelong learners” (Balbo, 2004, p.
348). La vita quotidiana è infatti diventata oggetto di cura come mai era accaduto prima. Le stesse politiche
dei servizi sociali e sanitari alimentano questa tendenza giacché gli interventi di prevenzione operano ormai
secondo una logica di classificazione preliminare di categorie sociali, territoriali e epidemiologiche che
coinvolgono le persone in quanto appartenenti ad un certo gruppo e li immettono nei canali predisposti per il
trattamento del problema patologico o per la riduzione del rischio (Ardigò, 1997).
Accanto ai messaggi di allarme si diffonde una grande quantità di messaggi salutistici e si estende il
mercato del benessere fisico. Ciò aumenta l’informazione circolante ma finisce anche per influenzare la
percezione che gli individui hanno del loro stato di salute e malattia. In questo modo, paradossalmente, si
allarga l’incertezza di ciascuno su di sé e sul proprio corpo, ci si affida, sempre di più, ad una medicina che
promette oggettività scientifica. La vita quotidiana viene così terapeutizzata in molti dei suoi aspetti e la
medicina si fa spesso complice di questa trasformazione (Herzlich, Adam, 1999).
Questo concetto può essere legato a quello di medicalizzazione. La salute diventa a questo punto un
concetto omnicomprensivo, colonizzando dietro nostra richiesta ampi settori della nostra esperienza. Come
scrive Melucci “la nostra vita quotidiana è diventata il terreno per interventi di guarigione, in una misura che
non ha paragone con le culture del passato” (Melucci, 1994). E, sottolinea Laura Balbo: “al presente dire
“salute” è concettualizzare un insieme di processi e pratiche che comprendono una gran parte di ciò che
attiene al vivere (e anche al morire): è il modo normale del nostro essere al mondo” (Balbo, 2004, 347).
Pertanto, la “cultura della salute”, la dimensione dello starbene, al di là dei suoi aspetti sanitari o medici,
assume un significato sociale e culturale assolutamente prioritario (ibidem).
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
3
In questo quadro si colloca la riproduzione umana e i suoi mutamenti contrassegnati e generati dal
processo di medicalizzazione. Dal dopoguerra ad oggi la mortalità sia materna che perinatale è nettamente
diminuita, in coincidenza con l’ospedalizzazione dei parti e con uno sviluppo senza precedenti delle
innovazioni tecnologiche nell’assistenza a gravidanza e parto, in stretta connessione con il miglioramento del
condizioni sociali, con lo sviluppo delle politiche di welfare, con la diffusione degli standard di benessere.
Altrettanti cambiamenti si sono verificati nelle strutture familiari, nei rapporti tra i generi e tra le
generazioni, nell’atteggiamento verso la maternità, la paternità e la procreazione: non si tratta più di subire le
“incertezze della natura” ma di poterla controllare, che si tratti di fecondità, di gravidanza, di parto, di
menopausa o di infertilità. Tutti questi eventi diventano necessari di intervento medico e da qui scaturisce la
delega del proprio atto di mettere/non mettere al mondo, agli esperti della medicina e della tecnologia della
riproduzione (Ranisio, 1998).
La medicalizzazione del corpo e quella della società vanno di pari passo con la modernità, ma non si
tratta di un processo lineare né unidirezionato. E' testimonianza di ciò, nel caso italiano, la controversa
influenza della cultura cattolica sul dibattito intellettuale e politico intorno a temi quali la contraccezione,
l'aborto, la procreazione medicalmente assistita e la bioetica.
Torniamo allora alla domanda iniziale: come si esercita oggi il controllo sociale del corpo femminile?
Attraverso quali pratiche corporee? In una società postmoderna e desacralizzata come la nostra, il controllo
sociale sul corpo femminile è ancora un dato reale, e in che misura la medicina e la tecnologia offrono nuovi
strumenti alla collettività per operare tale controllo, in modo nuovo in un’epoca di corpi transumani e
virtuali? (Lombardi, 2005).
A ben vedere forme di controllo dei corpi, maschili e femminili, vengono praticate nelle nostre società e
riguardano fenomeni tra loro connessi. Riferendoci ancora alla medicalizzazione del corpo femminile,
rileviamo che a questo processo sono connesse pratiche mediche, invasive e standardizzate, come, per
esempio: gli eccessivi controlli e le diagnosi in gravidanza; i tagli cesarei (36% circa)1; le episiotomie,
praticate su tutte le partorienti in ospedale, soprattutto se primipare. Sappiamo da vari studi, tra cui quelli
della Oms (1996), che almeno l’80% delle episiotomie sono inutili e in buona parte dannose2.
Questi atti chirurgici sul corpo gravido e partoriente mutano la nascita da evento naturale e fisiologico in
evento patologico, provocando un trauma (spesso sottovalutato e poi rimosso) da cui le donne fanno fatica a
riprendersi e nello stesso tempo si trovano immerse e travolte dal totalizzante nuovo ruolo.
Le ferite lasciate sul corpo (genitali e ventre) femminile diventano marchi indelebili che “ti fanno madre”
e il ricorrente dolore (pizzicore, bruciore, fitta) provocato dalle cicatrici rammenta il dolore del parto e il “tuo
passaggio all’età adulta” (Lombardi, 2005). Ma noi non ci poniamo questi problemi, consideriamo tutto
questo come pratiche normali, come unico modo di portare a termine la gravidanza e il parto, per giunta
supportato da un giudizio e una pratica medico-scientifica largamente approvata e condivisa.
La definizione di ciò che è giusto o sbagliato, morale o immorale in questi campi sembrerebbe oggi
definito dalla medicina con le sue prescrizioni, i suoi riti e i suoi officianti. Una sorta di “microfisica del
potere medico” (ricordando Foucault) che permette di veicolare, fin nell’intimo degli individui, ideologie e
comportamenti ben visti dal potere politico. Il nodo centrale è che le donne (e anche gli uomini) rendono
possibile questo passaggio perché aderiscono al processo di medicalizzazione, interiorizzandolo e facendolo
proprio.
Corpi e procreazione medicalmente assistita
1
I risultati dell’indagine Istat multiscopo 2004-05, confermano l’incremento della medicalizzazione del parto: la media
nazionale dei parti cesarei, stimata per i cinque anni precedenti la rilevazione passa dal 29,9% nel 1999-2000 al 35,2% nel 20042005. La quota di cesarei, pur aumentando in modo generalizzato su tutto il territorio, raggiunge livelli particolarmente elevati
nell’Italia meridionale (dal 34,8% al 45,4%) e insulare (dal 35,8% al 40,8%).
2
Un’altra pratica assolutamente non utile, anzi dannosa, se fatta di routine è l’episiotomia. Questo intervento è supportato
dall’idea che sia facile da riparare e guarisce meglio delle lacerazioni spontanee, che previene le lacerazioni di terzo grado accorcia
l’ultima fase del parto e rendendo più agevole l’uscita del bambino evita traumi perineali alla madre e traumi cranici al bambino. In
realtà le cose non stanno così, l’episiotomia è utile sono in alcuni casi quali segni di sofferenza fetale, insufficiente progresso del
parto, in presenza di lacerazioni di terzo grado (la cui percentuale però non supera lo 0.4%) (OMS, 1996). In tutti gli altri casi questo
intervento può causare solo inconvenienti come un alto rischio di traumi perineali, forti dolori, dovuti alla sutura, che possono
protrarsi per alcuni mesi, infezioni da sutura, difficoltà nella ripresa dei rapporti sessuali.
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
4
Uno spazio di riflessione meritano, a questo punto, le tecniche di Procreazione medicalmente assistita e il
loro impatto sociale sulla riproduzione, sui corpi, sulle relazioni, ma anche su quanto siano interconnesse con
il potere medico, politico e con la morale.
Pensiamo alla legge italiana sulla Procreazione medicalmente assistita (L. 40/2004) e sul suo art. 1 che,
indirettamente, attribuisce personalità giuridica all’embrione3 e limita la capacità decisionale della donna e
della coppia in funzione della sopravvivenza dell’embrione ad “ogni costo”; valorizzando così il corpo
femminile non nella sua funzione complessiva di maternage, ma in quella biologica di “contenitore”
dell’embrione/feto. Non è questo un altro modo di stabilire il controllo sociale e politico sul corpo delle
donne? (Lombardi, Pizzini, 2004; AA.VV, 2004). “Ogni proposta di legge incorpora infatti specifiche
rappresentazioni del corpo: di quello dell’uomo, di quello della donna e delle loro funzioni riproduttive; del
corpo del nascituro, oltre a rappresentazioni dei confini e della liceità d’uso di tutti questi” (Borgna, 2005, p.
66).
Analizzare le tecniche di riproduzione assistita non significa solo riflettere su come esse coinvolgano
differentemente le donne e gli uomini, o sul problema della medicalizzazione della riproduzione e del corpo
femminile, ma anche affrontare le tematiche che riguardano il modo di pensare i corpi riproduttivi, le
relazioni di genere, di parentela e di genitorialità. La prospettiva di genere è sicuramente il “filo rosso” che
attraversa queste tematiche: dalla ridefinizione dei processi corporei, alla rarefazione delle figure di padre e
madre (Gribaldo, 2005; Lombardi, 2005).
Tutte le pratiche mediche si focalizzano sul corpo delle donne, o meglio sui suoi organi riproduttivi,
soprattutto le ovaie e il loro “lavoro”. Assieme alla sessualità anche la figura maschile è rarefatta, il suo
corpo praticamente assente dal processo riproduttivo; il seme è una sostanza che si dà già come separata dal
corpo, non ci si sofferma su interventi e prelievi, come se il suo contributo fosse irrilevante (ibidem).
Come si può notare nel grafico 1, il seme maschile, la sua infertilità, non vengono né classificate né
denominate, al contrario di quanto accade per quella femminile; osserviamo una netta “disparità” di
classificazione dell’infertilità tra fattori maschili e fattori femminili: infatti, mentre viene ampiamente
frammentata e indagata quella femminile, finisce in un indistinto “calderone” quella maschile.
Grafico 1: Distribuzione delle coppie secondo il principale fattore di indicazione alla PMA (totale
coppie 27254). Fonte: Relazione Ministro della Salute, 2007
C’è da chiedersi come mai alla medicina manchino le parole per frammentare e indagare i fattori di
infertilità maschile. Eppure questi fattori esistono, classificati e denominati dalla medicina stessa
(azoospermia, oligozoospermia, criptorchidismo, ipospadia, varicocele). Non sappiamo se questa
“dimenticanza” riguarda le schede di indagine o le cliniche che hanno ritenuto “superfluo” specificare le
diverse cause di infertilità maschile. Nell’un caso e nell’altro possiamo interpretare delle rimozioni
linguistiche, analitiche e culturali: sezionamento, frammentazione, oggetto di indagine del corpo femminile
3
Così recita l’art. 1 della legge 40/2004: “al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla
infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla
presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
5
gravido/non gravido contrapposto ad un corpo maschile indistinto, assente, rimosso dalla fertilità/infertilità e
dalla genitorialità.
Il corpo in gioco nella riproduzione assistita è corpo senza genere ma fortemente connotato dal punto di
vista del sesso: è un corpo di sesso femminile, sebbene frammentato e rarefatto nei suoi organi e nelle sue
funzioni, che esiste per il suo “interno”, l’interno della donna diventa “luogo pubblico”, come ci spiega di
Barbara Duden (1984): l’interno della donna (il feto) viene progressivamente reso pubblico sia da un punto
di vista medico che giuridico, mentre parallelamente viene intrapresa la privatizzazione del suo esterno.
Questo processo è così descritto dalla stessa Duden: “il corpo della donna diventa il luogo nel quale si
compie un processo che riguarda direttamente lo stato, la salute pubblica, il corpo pubblico, nonché la chiesa
e il marito. Questa nuova, paradossale socializzazione della donna può essere osservata nella storia del primo
movimento del feto: il vissuto diventa fatto privato e il fatto scientifico dell’annidamento dell’ovulo
fecondato assume una funzione sociale” (Duden, 1994, 106-107).
L’interno del corpo maschile è invece “poco interessante” per la medicina riproduttiva, non solo perché
dentro “non “succede” niente, ma perché non si presta concettualmente a questa operazione di disvelamento
della verità interna” (Gribaldo, 2005, p. 66): il seme maschile non ha bisogno dei medici per essere
prelevato, non necessita di stimolazioni per essere potenziato, nel corpo maschile non si annidano embrioni e
non si sviluppano feti. Quale curiosità medico-scientifica potrebbe suscitare?
È forse per questo che tra i soggetti della Pma vi sono due grandi assenti: il bambino e l’uomo/padre.
L’uno emerge solo come embrione, prodotto della scienza, che assume corporeità e diritti (art. 1, Legge
40/2004) perché separato e separabile dal corpo materno, che invece si eclissa per emergere come mero
contenitore dell’embrione/feto a statuto giuridico.
L’altro (l’uomo/padre) non compare affatto, eppure scrive il sociologo Rosina (Rosina, Sabbadini, 20054)
per mettere su famiglia e fare figli bisogna essere in due. Ma l’ampia letteratura scientifica su fecondità e
figli è quasi esclusivamente basata su dati riferiti alla sola popolazione femminile. Il ruolo maschile è stato,
fino agli anni più recenti, generalmente ignorato, o relegato ad un ruolo di contorno. Che ne è dunque dei
desideri genitoriali maschili, delle loro infertilità e/o sterilità, perché sono eternamente assenti?
Nella riproduzione assistita il maschio è ridotto al puro ruolo di fornitore di seme, una specie di terzo
incomodo fra la moglie e il medico. Al partner maschile si chiede spesso di subire tensioni sotterranee, di
accettare una sessualità impoverita e umiliata, scandita dai tempi tecnici delle terapie, sussista o no il
desiderio, indipendentemente dalle emozioni e dalla capacità di seduzione reciproca (Mutinelli, 2005). Vi
sono molte testimonianze (Ventimiglia, 1994; Becker, 2000, Valentini, 2004) che raccontano lo sconforto
degli uomini, non solo per la paura di non “farcela” (a fecondare, a riempire la provetta del proprio seme),
ma per sentirsi esclusi dal lavoro riproduttivo perché, tolto l’atto e la “potenza” sessuale, con quali strumenti
gli uomini possono partecipare al percorso procreativo?
C’è da chiedersi perché continuiamo a costruire e riprodurre, culturalmente e socialmente, quest’ assenza,
questa deresponsabilizzazione maschile dalla scelta genitoriale, dalla presa in carico (anche corporea) della
difficoltà a procreare?
Al contrario, il peso genitoriale è tutto addossato al femminile/materno: quando non desidera figli e
quando disperatamente li cerca. Si parla sempre e solo di desiderio di maternità e la Pma, così come è posta,
alimenta questo processo, enfatizza il desiderio, focalizza l’attenzione sulla “disperazione delle donne
sterili”. Questa operazione viene fatta anche a livello corporeo: è il corpo femminile infatti che si sottopone
ai trattamenti anche quando la sterilità è medicalmente inspiegata oppure è maschile (Relazione Ministro
della Salute, 2007).
Non vi è forse in tutto questo il rischio di rendere vani gli sforzi e le conquiste finora raggiunte, e quello
di costruire rinnovate colpevolizzazioni e stigmatizzazioni verso le donne che si sposano troppo tardi, che
cercano figli quando sono troppo adulte, che pensano alla carriera prima che alla famiglia, e via di questo
passo? Non è questa una forma di controllo e di potere esercitata sui corpi e sui comportamenti delle donne
(ma anche degli uomini)? In tal senso pensiamo che la medicalizzazione del corpo femminile, di cui le
4
Un’indagine Istat-Multiscopo del 2005 (Rosina, Sabbadini) mette in luce le profonde interazioni tra comportamenti procreativi
maschili e femminili e quanto essi incidano sulle attuali tendenze demografiche. La stessa indagine mostra che gli uomini in Italia
tendono a fare meno figli ed in età più avanzata rispetto al resto dei paesi occidentali. Ne deriva anche che la distanza tra padri e figli
in termini di età risulta sempre più ampia in una società nella quale i cambiamenti sono, invece, sempre più rapidi e si confrontano
esperienze di generazioni nate e socializzate in epoche sempre più lontane. Si tratta di un altro elemento importante delle
trasformazioni sociali in atto nella società italiana.
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
6
tecniche di procreazione assistita ne rappresentano il punto apicale, possa essere letta come la risposta della
modernità (e a maggior ragione della post-modernità) alla necessità di controllo sociale del corpo e
dell’attività riproduttiva delle donne.
Aggiungiamo, inoltre, che la Pma, così agita, fa emergere ed enfatizza solo gli aspetti biologici della
infertilità/sterilità. Ma questa è prima di tutto un’esperienza, socialmente e culturalmente costruita:
un’esperienza dei corpi e delle vite delle persone che solo talvolta sono riferite a disturbi, mancanze, malattie
dell’apparato riproduttivo. Il determinismo biologico mosso dalle tecniche di procreazione assistita
rappresenta un’individualizzazione dei problemi sociali; la biologia diventa la causa primaria conducendo
tutto ad un dato biologico/genetico, ponendo in secondo piano gli altri fattori causali (Conrad, 2000), come è
dimostrato dalle narrazioni delle/i pazienti, tutte concentrate sul processo riproduttivo in termini biomedici,
in una sorta di fenomenologia del concepimento (Gribaldo, 2005, p. 17).
Fecondazione, concepimento, attecchimento dell’embrione, gravidanza sono tutti elementi distinti e
frammentati: “la frammentazione dell’esperienza riproduttiva si rende necessaria per entrare dentro il
processo e agirlo dall’interno, controllarlo, determinarlo. L’agire che entra nella procreazione è un agire
processuale, un lavoro. L’idea di processo lavorativo è ben presente nel modo di vivere le varie fasi della
riproduzione assistita. Si privilegia più il processo che il risultato: è il processo, l’atto che fa la riproduzione”
(Ibidem).
Il corpo delle tecniche riproduttive è un corpo che viene medicalmente conosciuto e tecnicamente
ottimizzato per potersi riprodurre. In questo quadro, la riproduzione assistita assume significato demiurgico e
medicalizzato di controllo tecnologico e professionale sulla riproduzione. Il singolo o la coppia interessati
alla procreazione artificiale si fanno così pazienti di un servizio che nell'offrire prestazioni, prescrive
comportamenti, regole, procedure. La medicina assume così un ruolo di regolatrice del buon comportamento
sociale, ruolo molto chiaro soprattutto se riferito alla fecondazione assistita con gameti di donatore/trice o
alla maternità surrogata, dove il medico è garante di “non adulterio”, dove regole asettiche annullano la
percezione del tradimento (Lombardi, 2008, 2009).
Conclusioni
In parallelo con i temi precedenti si è sviluppata una rilettura delle esigenze e dei tempi del corpo
femminile e, in termini più ampi, delle manifestazioni della sessualità e del processo generativo. Sottraendo
il corpo alla secolare identificazione con la “natura” e ai paradigmi della scienza che lo leggono con i sistemi
di concettualizzazione esclusivamente medico-biologici, questa lettura ne fa oggetto di analisi delle scienze
storico-sociali ed evidenzia i saperi, le percezioni soggettive e le connessioni immaginarie che le donne
stesse intrattengono con il proprio corpo. Nei processi tecnologici riproduttivi, infatti, non è coinvolto solo il
corpo biologico, bensì il corpo sociale e culturale espresso nella sessualità, nella genitorialità, nelle relazioni
sociali, generazionali e tra i sessi.
Dagli anni ‘60 assistiamo ad un processo di progressiva separazione della sessualità dalla procreazione:
con la diffusione dei metodi anticoncezionali, la sessualità si é resa indipendente dalla riproduzione, mentre
nella seconda metà degli anni ‘70, la riproduzione si è resa tendenzialmente autonoma dalla sessualità.
L’esistenza stessa di queste tecniche, sollecitando l’immaginazione, stimola a ricercare altri modi di
procreare e altri quadri in cui curare ed allevare i bambini (per esempio la genitorialità di persone singole e
coppie omosessuali).
Possiamo allora constatare che l’avvento della Pma fa emergere almeno tre nuove condizioni:
1. le relazioni personali e corporee diventano sempre più obsolete per “fare” dei bambini;
2. affiora il desiderio di portare il più possibile alla luce, ciò che per millenni il ventre femminile ha
nascosto;
3. l’allontanamento della capacità e dell’esperienza riproduttiva dai corpi.
Il pensiero di genere, che confluisce nella definizione di “Bioetica al femminile” (Tong, 1997; Lombardi,
1999) sviluppa la sua analisi e riflessione su queste problematiche. Pur non confluendo in un’unica direzione,
la bioetica al femminile si concentra sulla specificità del soggetto donna, sui suoi diritti, i suoi bisogni,
specialmente dinanzi alle sfide delle nuove tecnologie. Nasce così un approccio peculiare, diretto insieme al
concreto (il vissuto delle donne, la quotidianità dei loro bisogni) e al simbolico (il significato del corpo e il
valore della maternità).
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
7
Da un lato troviamo la tendenza a valorizzare la specificità femminile e l’etica del “prendersi cura”, che
sviluppa un pensiero critico sull’impatto delle tecniche riproduttive sulla corporeità/maternità delle donne.
Un pensiero che guarda a queste tecnologie come alla massima espressione del processo di medicalizzazione,
che tende ad espropriare la riproduzione al corpo delle donne e anche degli uomini. Le funzioni riproduttive,
estrapolate dai corpi, sono resi neutri, cioè né maschili né femminili, ma medico-scientifici, traducendo i
corpi e le loro funzioni in “entità dissociate, oggettivate e intercambiabi”.
Ma accanto a queste posizioni, ve ne sono altre che danno una valutazione diversa dell’ingerenza
tecnologica nei corpi. Da un lato la posizione della filosofa francese Geneviéve D. De Parseval (1988) che
non si preoccupa dell’intervento medico-tecnologico in sé ma del suo biologismo e riduzionismo e
dell’eclissamento dei corpi e delle relazioni, per questo ritiene di dover riconoscere, sul piano sociale, la
necessaria partecipazione di altre persone (i donatori) al processo procreativo. La studiosa elabora il concetto
di riproduzione in collaborazione introducendo la nozione di aggiunta (cioè il terzo procreatore): “nella
nostra società, il dono di un bambino o l’adozione sono letti in negativo, in quanto manifestazioni di un
abbandono e non di una accumulazione. Perché non conferire al donatore, alla donatrice, alla madre
surrogata uno status di genitorialità addizionale?” 5, 6, (ibidem, 141).
D’altra parte vi sono posizioni che intendono stabilire un rapporto nuovo tra corpo e macchina. Donna
Haraway (1995), per esempio, propone una nuova elaborazione del rapporto tra corpo e macchina, che
permetta di superare le ataviche divisioni e identificazioni, sia in relazione ai generi sia in relazione ad altre
dimensioni. Dall’incontro costruttivo tra corpo e macchina nasce il mito cyborg: “cyborg è un composto di
cyberg e organism: significa organismo cibernetico e indica un miscuglio di carne e tecnologia che
caratterizza il corpo modificato da innesti di hardware, protesi e altri impianti.” (Haraway 1995, p.11). In
questo modo si sostituisce alla ricerca delle identità, quella delle affinità, che superino la fase che ci portava
a cercare un “noi” da definire e da difendere, per aprire possibilità di comunicazioni inedite: “Le tecnologie
della comunicazione e le biotecnologie sono gli strumenti principali per ricostruire i nostri corpi. Questi
strumenti incorporano e impongono nuove relazioni sociali per le donne di tutto il mondo” (Ibidem, p. 68).
Ad una visione dicotomica l’autrice sostituisce un’immagine ideologica reticolare, che suggerisca la
profusione di spazi e di identità e la permeabilità dei confini nel corpo personale e nel corpo politico.
A proposito del rapporto donna-tecnologia, anche Rosy Braidotti (1996) sostiene che “Occorre prendere
atto che questa dimensione ci appartiene come una seconda pelle e che a partire dalla sua implosione è forse
possibile disegnare prospettive diverse, contribuendo creativamente dal di dentro all’invenzione di nuovi
universi di significazione, di altri ordini simbolici in cui la tecnologia non sia strumento di potere ma di
soddisfacimento di bisogni”.
Ma possiamo davvero affermare che il connubio corpo-macchina sia strumento di soddisfacimento dei
bisogni, di libertà di scelta, di costruzione di uguaglianze, proprio perché neutrale e astratto, svincolato dai
lacci corporei?
La tendenza ad allontanare da sé l’esperienza corporea è riscontrabile in molti contesti: nella
comunicazione virtuale, nella decostruzione attivata dalle tecnologie della sorveglianza, nella scomposizione
e ricomposizione dei trapianti di organi, nella procreazione medicalmente assistita (dove scompare anche la
sessualità), nelle ricerche genetiche, e così via. Scompaiono i corpi nella loro interezza e concretezza. “Ad
essi, apparentemente, non ci si può più affidare per individuarsi, collocarsi, riconoscersi” (Pitch, 2006, p. 66).
E aggiungiamo, con le parole di Stefano Rodotà: “Questo brusco ricondurre il corpo in una dimensione che
ne esalta solo l’immediata materialità, fisica o elettronica che sia, riduce la possibilità stessa di una sua
integrale conoscenza, fatta di processi biologici complessi, di relazioni con l’ambiente, di rapporti con gli
altri esseri umani. Il corpo esce dalla vita, la vita abbandona il corpo” (Rodotà, 2006, p. 98). Gli effetti di
questa tendenza, ci indica ancora Rodotà, indipendentemente da una loro valutazione positiva o negativa,
possono essere sintetizzati parlando di individualizzazione, classificazione, controllo (ibidem, p. 178)
5
Per esempio vi sono paesi (Svezia e Austria) che già da tempo hanno abolito il segreto e l’anonimato dei donatori/trici,
promuovendo così una forma di genitorialità “allargata” (Lombardi, 1999)
6
La legge francese sulla PMA ha istituito un sistema di dono e contro-dono che mette in relazione donatori/trici e riceventi,
ponendo in rilievo anche il senso di respondabilità derivante dal dare e ricevere un “dono”, che contiene in sé potenzialità generative
(Lombardi, 1999).
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
8
Bibliografia
Beccalli B. (a cura di), Donne in quota, Feltrinelli, Milano, 1999
Becker G., The Elusive Embryo, University of California Press, Berkeley, 2000
Borgna P. (a cura di), Corpi in azione, Rosemberg e Sellier, Torino 1995.
Borgna P., Sociologia del corpo, Laterza, Bari, 2005
Bourdieu P. La distinzione. Critica sociale del gusto, il Mulino, Bologna, 1983
Butler J., Corpi che contano, Feltrinelli, Milano, 1996
Conrad P., Medicalization, genetics and human problems, in Bird C.E. Conrad P., Fremont A.M. (Eds.), Handbook of
medical sociology, Prentice Hall, New Jersey, 2000
Diasio N., Il vaso di Pandora, ovvero della chiusura del corpo femminile. Aspetti storico antropologici, in Senza le ali. Le
mulilazioni genitali femminili, a cura di Marco Mazzetti, Quaderno ISMU, FrancoAngeli, Milano, 2000
Douglas M., Purezza e pericolo. Un 'analisi dei concetti di contaminazione e tabù, Il Mulino, Bologna, 1993
Duden B.,Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri, 1994
Flamigni C., La fisiopatologia dell’impossibile: il piacere dell’irresponsabilità, in Ventimiglia C., La Famiglia
moltiplicata, FrancoAngeli, Milano, 1988
Foucault M., Nascita della clinica, Einaudi, Torino, 1969.
Foucault M., Storia della sessualità. Vol.I, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano, 1978.
Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969.
Gribaldo A., La natura scomposta. Riproduzione assistita, genere, parentela, Luca Sassella Editore, Roma, 2005
hooks bell, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano, 1998
ISTAT Indagine Multiscopo 2004-2005, Gravidanza, Parto, Allattamento al seno, 2006
Lombardi L., Contesto medico e contesto sociale delle tecniche di riproduzione artificiale, in F. Pizzini, Corpo medico
e corpo femminile, FrancoAngeli, Milano, 1999, p. 79-144
Lombardi L., Pizzini F., La costruzione sociale del corpo femminile, in AA.VV., Un’appropriazione indebita, Baldini e
Castoldi, Milano, 2004.
Lombardi L., Società, culture e differenze di genere. Percorsi migratori e stati di salute, FrancoAngeli, Milano, 2005
Lombardi L., Genere, medicina e potere: la medicalizzazione del corpo femminile, in Bisi S. (a cura di), Genere e
potere. Per una rifondazione delle scienze umane, Bonanno Editore, Roma, 2008
Lombardi, L., The Medicalisation of Human Reproduction: Body and Gender, in: Maturo A., Conrad P., (Eds.), The
medicalization of life, “Salute e Società”, anno VIII, n. 2/2009, pp. 172-188
Mauss M., Saggio sul dono, in Mauss M., Teoria generale della magia ed altri saggi, Einaudi, Torino, 1950 (nuova
edizione 1980).
Mutinelli P., I percorsi della procreazione assistita: rapporti umani insoddisfacenti?, in OSI (Osservatorio sociale sulla
infertilità), Uno sguardo sugli aspetti sociali dell’infertilità, “I quaderni dell’osservatorio”, 1/2006, p. 43-50
Relazione Ministro della Salute, Relazione Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge
contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita, Roma, 28 giugno 2007
Rodotà S. (2006). La vita e le regole. Milano: Feltrinelli
Rosina A., Sabbadini L.L., Diventare padri in Italia. Fecondità e figli secondo un approccio di genere, Istat, Roma,
2005
Pitch T. (2006). La società della prevenzione. Roma: Carocci
Sassatelli R., Plasticità, corpo e potere. Una rassega della “politica del corpo” come problematica sociologica, in “Rassegna Italiana
di Sociologia”, n. 4/1999
Valentini C., La fecondazione proibita, Feltrinelli, Milano, 2004
Ventimiglia C., Di padre in padre, FrancoAngeli, Milano, 1994
Lia Lombardi
Medicalizzazione del corpo e potere della medicina: questioni di genere?
9