L`ATOMO DI BOHR LA LEZIONE

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L’ATOMO DI BOHR
LA LEZIONE
1913 LA STRUTTURA ATOMICA E GLI SPETTRI PRIMA DI BOHR
Agli inizi del 1913 il giovane fisico danese Niels Bohr di ritorno dall’Inghilterra elaborò
il suo modello atomico dell’atomo di idrogeno a partire dalla spiegazione delle linee
spettrali del più semplice degli atomi, prendendo in considerazione un aspetto fino ad
allora trascurato nelle ricerche con Joseph John Thomson al Cavendish Laboratory di
Cambridge e in quelle con Ernest Rutherford a Manchester.
fig.1 Atomi di Thomson in tre
dimensioni, costituiti da una sfera di carica positiva e da corpuscoli negativi all’interno
fig.2 Radioelementi e i loro decadimenti secondo Rutherford
La ricostruzione che Bohr diede della vicenda rimanda a una conversazione con uno
spettroscopista danese. Eppure la teoria atomica era intimamente legata agli spettri e
in particolare al valore di una costante comune a tutti gli elementi. Prima di tracciare
la storia che porterà ai tre articoli di Bohr sulla costituzione degli atomi e delle
molecole conviene chiarire fin da subito le conoscenze diffuse nei libri dell’epoca,
riportando lunghi brani della seconda edizione del 1913 del manuale Modern electrical
theory di Norman Robert Campbell, assistente di Thomson al Cavendish Laboratory.
“È probabile che il numero totale degli elettroni in un atomo non sia molto diverso dal
numero che esprime il peso atomico. […] In ogni atomo ci sono alcuni elettroni che si
possono più facilmente separare dall’atomo. […] Questi elettroni […] saranno chiamati
elettroni di valenza. […] Se gli elettroni possono essere considerati dei punti carichi,
un atomo non può essere costituito interamente da elettroni. Esso deve contenere
anche una carica positiva e opposta alla somma delle cariche negative di tutti gli
elettroni, che neutralizza gli effetti di queste cariche […] e lega gli elettroni. Due
ipotesi principali sono state avanzate per la distribuzione di questa carica positiva. La
prima suggerisce che questa sia distribuita uniformemente all’interno di una sfera
coincidente con il raggio dell’atomo, la seconda propone che essa sia concentrata su
una singola particella attorno alla quale siano disposti gli elettroni; secondo tale teoria
il raggio dell’atomo è una quantità non ben definita che rappresenta
approssimativamente la più grande distanza alla quale un elettrone si trova dalla
particella positiva. Queste due ipotesi non sono, naturalmente, le sole […], ma
entrambe sono sufficientemente semplici per permettere dei calcoli sulle proprietà
degli atomi. […] Le due ipotesi portano a differenti distribuzione degli elettroni
all’interno dell’atomo. [Esperimenti] con raggi alfa e beta che penetrano corpi solidi
[fanno pensare] come più corretta l’ipotesi che la carica positiva sia concentrata su
una singola particella piuttosto che distribuita.”
Dopo essere passato in rassegna il modello di Thomson e quello planetario di
Rutherford, Campbell continuava: “Un atomo di peso atomico N è così costituito da un
numero vicino di N elettroni raggruppati intorno a una carica positiva. È bene
sottolineare che tale struttura è troppo semplice per dar conto delle proprietà
dell’atomo. Consideriamo ad esempio lo spettro dell’idrogeno. Se l’idrogeno contiene
solo due o tre elettroni e una singola carica positiva, il numero di gradi di libertà del
sistema è certamente molto minore del numero di linee conosciute per lo spettro
dell’idrogeno e poiché il sistema non può avere più frequenze naturali dei gradi di
libertà, è assolutamente impossibile che una teoria così semplice possa dar conto della
complessità dello spettro.”
fig.3 La serie di Balmer
Secondo la fisica classica solo tantissimi elettroni, come spiegheremo tra breve,
potevano portare a un numero elevato di righe spettrali, e per l’autore: “La struttura
dell’atomo dev’essere più complicata di quella proposta da entrambe le ipotesi che
abbiamo menzionato. […] D’altra parte, ci sono indizi che fanno intravedere come
possano essere ottenute strutture più complicate. Così il fatto che l’elio è prodotto
dalla disintegrazione di tutti gli elementi radioattivi ci suggerisce che l’atomo di elio è
in qualche modo un costituente degli atomi di quegli elementi. […] Ciò fa pensare che
gli attuali elementi possano essere costituiti a partire da protoelementi. Altri
argomenti per la presenza in tutti gli atomi di qualche struttura comune più
complicata di quella di un elettrone debba essere basata sul numero N 0, caratteristico
degli spettri di tutti gli elementi.” N. R. Campbell, Modern electrical theory, 1913,
pp. 335-338.
La sfida che dei semplici punti materiali dotati di carica spiegasse la regolarità e la
molteplicità delle righe spettrali che Balmer, Rydberg, Ritz, Kayser e Paschen avevano
catalogato fu affrontata da Bohr che nel corso del 1913 presentò tre distinte memorie
pubblicate sulla rivista Philosophical Magazine, normalmente conosciute come trilogia.
La risoluzione del problema classico della stabilità radiativa dell’atomo di Bohr fu
risolta semplicemente ammettendo che un atomo in un’orbita stazionaria non
obbedisse più all’elettrodinamica, ma prima di parlare della soluzione di Bohr
all’enigma dello spettro dell’idrogeno conviene affrontare più dettagliatamente il
problema della costante spettroscopica e i primi tentativi di introdurre la costante di
Planck nel modello atomico.
fig.4 Ritratto del giovane
Bohr
fig.5 Le orbite
spiraleggianti di un
elettrone rotante intorno
a un nucleo positivo in un
modello planetario
classico in un disegno di
Bohr
GLI SPETTRI E LA FISICA CLASSICA
Dopo la scoperta dell’elettrone e fino al 1906, i dati sperimentali facevano propendere
per un atomo popolato da un numero molto grande di elettroni. I modelli atomici
erano così creati con elettroni distribuiti su vari anelli o su altri tipi di configurazione
oscillanti intorno alle loro posizioni di equilibrio. Il gran numero di gradi di libertà
doveva spiegare dal punto di vista classico gli spettri osservati. La stabilità radiativa
dovuta all’accelerazione di un gran numero di corpuscoli, in accordo a Larmor,
Thomson, e Rayleigh, non era un problema insormontabile, ma la dipendenza della
frequenza degli spettri da numeri interi al quadrato, come indicavano le equazioni
fenomenologiche, non poteva essere prevista dai modelli classici. Già nel 1885
Johannes Balmer aveva proposto un’equazione per le lunghezze d’onda delle righe
spettrali dell’idrogeno nello spettro visibile. Agli inizi del 1910 questa era esplicitata
nella forma:
λ=m2 /27418,75 (m2-4)
con m numero intero maggiore di tre; oppure nell’espressione equivalente:
λ-1=27418,75 (m2-4)/m2=109675,0 (1/22-1/m2),
con la costante spettroscopica N0= 109675,0 cm-1 calcolata da Friedrich Paschen nel
1908, dopo che aveva contribuito alle misure dello spettro normale del corpo nero.
Spesso il reciproco della lunghezza d’onda era indicato semplicemente dagli
spettroscopisti con il simbolo solitamente adottato per la frequenza e in questo caso il
“limite”, presente nella formula di Balmer, che si aveva per grandi valori di m,
coincideva con 27418,75 cm-1, uguale a N0/4. Rydberg e altri autori avevano inoltre
generalizzato l’espressione degli spettri principali di ogni elemento nella forma:
λ-1=A - N0/(n+μ)2,
con A e μ parametri caratteristici di ciascun elemento e N0 costante universale, n
numero intero. L’espressione precedente si riduceva a quella per l’idrogeno per μ=0.
Walther Ritz nel 1908 analizzando gli spettri dell’idrogeno e di altri elementi ricavò un
modellino atomico in cui le oscillazioni degli elettroni erano proporzionali alle velocità.
L’atomo magnetico di Ritz era costituito da una semplice calamita il cui campo H era
proporzionale alla differenza
1/r12-1/r22,
dove r1 e r2 rappresentavano le distanze dai due poli della calamita. Per arrivare alla
giusta dipendenza delle linee spettrali, la lunghezza del magnete era un multiplo
intero di uno spazio elementare
s: l=ns.
Come spiega Nadia Robotti, “In base a questo modello non solo potevano essere
variati i valori di r1 e r2 e quindi anche la lunghezza della calamita, ma la stessa
calamita poteva essere ribaltata. In questo caso nell’espressione delle frequenze
sarebbero dovute essere presenti sia nuove righe, sia nuove serie […]. Questa
previsione del modello (ora nota come principio di combinazione di Ritz)[…] venne
immediatamente confermata da Ritz attraverso un’analisi puntuale degli spettri allora
disponibili. […] Sta di fatto che il modello di
Ritz […] apriva la via a considerare la
frequenza delle righe spettrali come differenze
di due termini, che oltre tutto, attraverso
proprio il principio di combinazione,
diventeranno interscambiabili e del tutto
equivalenti.” N. Robotti, La fisica classica e
il problema degli spettri atomici, 1997
fig.6 Tavola sugli spettri di un manuale del
1913
fig.7 Pagina dell’articolo
W. Ritz, Magnetische
Atomfelder und
Serienspektren, 1908
fig.8 Pagina del lavoro F.
Paschen, Zur Kenntnis
ultraroter Linienspektra, 1908
Su queste basi Ritz arrivò a prevedere per l’idrogeno, oltre la serie di Balmer, altre
righe indicando l’espressione spettrale di una linea:
ν=N(1-1/22)
dell’ultravioletto misurata dall’americano T. Lyman.
Una terza serie dell’idrogeno doveva riguardare l’infrarosso e soddisfare la formula:
λ-1=109675,0(1/32-1/n2), n=4, 5, …
Le prime due linee della nuova serie furono individuate da Paschen nel 1908. Si
iniziava ad affermare la possibilità di scrivere per lo spettro dell’idrogeno un’equazione
generale della forma:
λ-1=N0(1/m2-1/n2).
fig.9 La serie principale degli elementi era considerata come una funzione dipendente
dalla stessa costante spettroscopica nota oggi come costante di Rydberg
IL PRIMO TENTATIVO DI INTRODURRE LA COSTANTE DI PLANCK IN UN
MODELLO ATOMICO
Nel marzo 1910 l’Accedemia delle scienze di Vienna riceveva un lavoro di un giovane
abilitato in filosofia, esperto di storia della fisica, Arthur Erich Haas, Sul significato
della legge di radiazione di Planck e una nuova determinazione del quanto elementare
di carica e delle dimensioni dell’atomo di idrogeno.
Le reazioni iniziali dei fisici austriaci, come ricorda l’autore nella sua biografia, furono
di scherno, quella strana commistione tra costante di Planck, teoria atomica di
Thomson e costante dell’equazione di Balmer per la serie spettrale dell’idrogeno nel
visibile appariva quasi uno scherzo di carnevale. Gli studi di storia della fisica classica
di Haas erano accompagnati dall’interesse verso la moderna teoria della radiazione e
dell’atomo. La costante h era stata collocata da Planck in un sistema di unità naturali
nelle Lezioni del 1906. Nel 1909 Einstein a sua volta metteva in relazione h con il
rapporto e2/c e nello stesso periodo W. Wien proponeva di indagare il significato fisico
della nuova costante grazie alle proprietà universali degli atomi. Haas aveva scritto
brevi osservazioni sulle nuove unità di misura e nel 1910 affrontò un modello
dell’atomo di idrogeno alla Thomson. Innanzitutto ipotizzò che il sistema fosse
costituito da un solo elettrone, mentre come abbiamo già ricordato il sistema per altri
doveva essere più complesso. La carica positiva necessaria per rendere l’atomo neutro
era diffusa su una sfera di raggio r (il simbolo originale dell’autore è 'a'). All’estremità
della sfera ruotava la carica negativa. L’interazione tra cariche coincideva con quella di
un modello planetario costituito da una carica positiva centrata nell’origine. La forza
Coulombiana e2/r2 (la costante nel sistema elettrostatico era posta uguale a 1), era,
per la seconda legge della dinamica, uguale al prodotto:
mω2r=mr(2πf)2.
L’imposizione di una condizione quantistica (una pratica comune tra i giovani
interessati alla teoria dei quanti)
hf= e2/r,
dove f era la frequenza meccanica di rotazione dell’elettrone, permetteva ad Haas,
isolando f e sostituendola nell’equazione del secondo principio, di ottenere un legame
tra il raggio dell’atomo di Thomson, l’unico al quale ricordiamo era attribuito un
significato fisico preciso, e la costante h. Per questa doveva valere la relazione h=
2πe(rm)1/2, conoscendo il quanto elementare e la massa dell’elettrone si poteva allora
ricavare la costante di Planck.
Per inciso l’equazione precedente esplicitata rispetto a r porta alla costante oggi
universalmente conosciuta come raggio di Bohr.
I risultati di Haas non si limitarono al legame tra queste costanti. L’indeterminazione
sulle misure sperimentali del quanto elementare di carica lo spinse ad affidarsi
all’equazione di Balmer calcolata nel limite per il numero intero tendente a infinito
della “frequenza” (l’inverso della lunghezza d’onda) pari alla costante N 0/4=27418,75
cm-1. Il valore della costante spettroscopica, una volta accettato che la frequenza
radiativa ν era uguale a quella meccanica f, poteva essere scritto come combinazione
di h, e, m.
Molti anni dopo Haas in un libro sulla teoria atomica scriveva: “Comparando la formula
derivata da Bohr per via teorica e quella empirica stabilita da Balmer, noi otteniamo
[…] la relazione
N=2π2me4/ch3.
Questa relazione, che connette la costante fondamentale della spettroscopia con le
quantità fondamentali della teoria dell’elettrone e del quanto elementare di azione, fu
per la prima volta ottenuta dall’autore di questo libro nel 1910.”
Per poi precisare meglio in una nota “[La mia]derivazione nella quale il principio
quantistico era applicato per la prima volta alla teoria dell’atomo, era comunque
basata sul modello di atomo alla Thomson e quindi portò a un fattore numerico non
corretto (invece del valore esatto due).” A. Haas, Einführung in die theoretische
Physik, 1921
fig.10 Pagina del manuale A. Haas, Einführung in die theoretische Physik, 1921
In effetti la derivazione di Haas portava, utilizzando il simbolo della costante
spettroscopica, all’equazione N0=16π2me4/ch3 con un fattore otto volte più grande di
quello successivo di Bohr del 1913.
L’equazione che collegava proprietà spettroscopiche e costanti microscopiche era
impiegata dall’aspirante fisico austriaco per una determinazione del quanto di
elettricità a partire dai dati spettroscopici. Il valore indicato, pari a 3,1 10 -10 ues, era
lontano da quello indicato da Planck nel 1900 (4,69 10-10) o Rutherford, ma vicino a
misure del laboratorio di J. J. Thomson.
L’ironia con la quale fu accolta la memoria di Haas fu abbandonata grazie agli
apprezzamenti di Hendrik Lorentz. Il premio Nobel della fisica parlò dell’articolo di
Haas per la prima volta nelle sue Lezioni dell’ottobre 1910. L’ipotesi di partire da
costanti molecolari per valutare h fu poi ripresa da Arthur Schidlof. Il cambiamento di
atteggiamento del corpo accademico austriaco fu sancito dalla libera docenza di Haas
in Storia della fisica. Nel 1911 durante il I Congresso Solvay, Paul Langevin, Arnold
Sommerfeld, Hendrik Lorentz e Max Planck discussero brevemente della teoria di
Haas. Con Sommerfeld che sentenziava sulla preferenza di un approccio basato su
principi generali piuttosto che su modelli particolari. Dopo pochi anni avrebbe
partecipato alla fondazione di una prima teoria atomica legata alle equazioni
fenomenologiche spettrali.
1913 LA TRILOGIA DI BOHR
Di ritorno dalla sua ricerca svolta nel Laboratorio di Cambridge e a Manchester, Bohr
era alle prese con la stabilità del modello planetario di atomo e con un abbozzo di
teoria capace di spiegare la periodicità degli elementi a partire dal numero degli
elettroni che lo costituivano.
Come argomentava nel primo articolo della trilogia: “per spiegare i risultati degli
esperimenti di diffusione dei raggi alfa nella materia il prof. Rutherford ha proposto
una struttura degli atomi. In accordo a questa teoria, l’atomo consiste di un nucleo
circondato da un sistema di elettroni legati al nucleo da forze attrattive; la carica
totale negativa degli elettroni è uguale alla carica positiva del nucleo. Inoltre il nucleo,
assunto come principale costituente della massa dell’atomo, ha dimensioni lineari
eccezionalmente piccole se confrontate con quelle dell’intero atomo. Il numero di
elettroni è dedotto essere approssimativamente uguale alla metà del suo peso
atomico. […] Il tentativo di spiegare alcune proprietà della materia sulla base di
questo modello atomico incontra, comunque, difficoltà di seria natura; dovute
all’apparente instabilità dei sistemi di elettroni: difficoltà che non avevano i modelli di
atomo precedentemente considerati, per esempio, quello proposto da sir J. J.
Thomson.” N. Bohr, On the constitution of atoms and molecules I, 1913, p. 1
Il problema classico della radiazione emessa da una carica accelerata, che avrebbe
provocato un’orbita spiraleggiante dell’elettrone verso il nucleo, fu risolto dal giovane
fisico danese ammettendo, come del resto gli spettri indicavano, l’esistenza di stati
stazionari in cui il sistema semplicemente non emetteva energia. Questi stati
stazionari potevano essere descritti dall’ordinaria meccanica classica con forze di tipo
elettrostatico come aveva già indicato Haas. Solo il passaggio tra differenti stati
stazionari doveva invece essere regolato dalla costante di Planck in modo che la
differenza di energia tra due stati fosse il prodotto tra la costante di Planck e la
frequenza della radiazione monocromatica emessa. Rimaneva la questione di legare la
frequenza meccanica di rotazione e quella radiativa. L’atomo di idrogeno era allora,
proprio perché il più semplice e il più studiato, il candidato migliore per esemplificare
la nuova teoria. L’atomo di Bohr era composto da un singolo elettrone ruotante
intorno a nucleo positivo. Oggi l’immagine è scontata, anche se parliamo di protone
invece di nucleo, ma nel 1913 anche questa semplice assunzione non lo era.
Trascurando la massa dell’elettrone rispetto a quella del nucleo (considerata in questo
modo come infinita) l’orbita risultava circolare se le perdite di radiazione potevano
essere considerate nulle.
Il modello planetario secondo l’approssimazione elettrostatica era descritto
dall’equazione del moto circolare
mr(2πf)2= e2/r2
(che rispetto ai manuali odierni non presenta il termine 1/4πε 0) con f frequenza
meccanica di rivoluzione (nei primi venti anni del secolo si era soliti introdurre questa
equazione parlando di forza centrifuga). La scelta dell’energia del sistema che poi
doveva essere quantizzata con l’introduzione della costante h poteva essere
molteplice. Nel 1912 Bohr aveva pensato all’energia cinetica dell’elettrone pari a:
m(2πfr)2/2= e2/2r;
Haas nel 1910 aveva optato per il modulo dell’energia potenziale e 2/r . Se si calcola
l’energia totale (cinetica più potenziale) del sistema si scopre che essa è, a parte il
segno, uguale all’energia cinetica: e2/2r - e2/r=-e2/2r. Accanto allo studio dei primi
modelli atomici, Bohr aveva finalmente approfondito le equazioni fenomenologiche di
Balmer, Paschen e Ritz probabilmente a partire dalla lettura del libro di J. Stark,
Prinzipien der Atomdynamik, del 1911, tanto che alcune note dell’articolo
richiamavano esattamente gli stessi lavori citati dal fisico tedesco (in particolare quelli
legati a Haas e alla prime applicazioni della costante h al modello atomico).
La scoperta da parte di Bohr delle serie spettrali fu una folgorazione. L’atomo non
doveva avere un solo raggio e un solo stato possibile, anche se quello più stabile era
importante, ma un insieme di stati discreti caratterizzati da un numero intero n. Il
raggio di Haas dell’atomo di idrogeno r= h2/4π2e2m
(anche Bohr utilizza la lettera 'a' per il raggio, ma qui, per evitare fraintendimenti,
abbiamo preferito modificare alcuni simboli per avvicinarli a quelli odierni)
conseguenza dell’equazione dinamica e della quantizzazione: hν= e 2/r, nell’ipotesi che
la frequenza meccanica e quella di radiazione fossero uguali, veniva generalizzato da
Bohr nella forma:
r= n2h2/4π2e2m,
attraverso due assunzioni: 1) l’energia totale dell’elettrone doveva essere esprimibile
attraverso un multiplo intero del quanto di energia: nh; 2) la frequenza della
radiazione omogenea emessa era uguale alla metà della frequenza di rivoluzione
dell’elettrone: ν=f/2. Le energie di legame, necessarie per passare da una distanza
grandissima all’elettrone legato in uno stato stazionario al nucleo, erano allora uguali
a:
E= 2π2e4m/ n2h2.
Il primo livello di energia (n=1) era considerato il più stabile. Con i valori delle
costanti reperibili in letteratura (e=4,7 10-10, e/m= 5,31 10-17, h=6,5 10-27) Bohr
otteneva per il raggio della prima orbita r= 0,55 10-8 cm, per la frequenza di rotazione
6,2 1015 Hz e per il potenziale di ionizzazione: E/e=13 V. L’obiettivo della prima
memoria era quello di trovare una corrispondenza tra modello atomico e formule
spettrali dell’idrogeno. Le serie spettrali dell’idrogeno erano raggruppate da Bohr nella
forma:
frequenza di radiazione ν=cλ-1=N0c(1/m2-1/n2)
dipendenti da due numeri interi; con m=2 si aveva la serie di Balmer (n maggiore di
3); con m=3 (e n maggiore di 4) quella di Paschen e così per ogni valore fissato di m.
Il valore della costante spettroscopica (109675,0 cm-1) per la velocità della luce nel
vuoto (3 1010 cm/s) era uguale a 3,290 1015 Hz. Interpretando la differenza tra i due
livelli energetici divisa per la costante di Planck come frequenza emessa dall’elettrone,
la costante N0c diveniva esprimibile attraverso l’equazione: 2π2me4/h3. Con i soliti
valori delle caratteristiche dell’elettrone e della costante di Planck, 2π 2me4/h3 era
uguale a 3,1 1015 Hz, diverso ma non lontanissimo dal valore deducibile dalle misure
spettrali dell’idrogeno.
Nella seconda memoria, probabilmente considerando l’uguaglianza:
2π2me4/h3= 2π2e2/(e/m)(h/e)3,
e grazie ai valori proposti da R. Millikan nel 1912 (e=4,78 10-10), da P. Gmelin
(e/m=5,31 1017) e da A. H. Bucherer (e/h=7,27 1016), arrivava a una conferma molto
più stringente: 3,26 1015 Hz.
fig.11
Pagina
dell’articolo
N. Bohr, On
the
constitution
of atoms
and
molecules I,
1913
fig.12 Pagina dell’articolo
N. Bohr, On the
constitution of atoms and
molecules II, 1913
Anche Haas aveva, tre anni prima di Bohr, messo in relazione la costante di Balmer
con le costanti microscopiche, ma per il fisico austriaco la “frequenza” limite non era la
costante spettroscopica, ma il valore verso il quale addensavano le linee spettrali,
uguale, per la serie di Balmer, a N0/4=27418,75 cm-1, inoltre egli considerava
l’energia come e2/r a differenza di Bohr che privilegiava e2/2r. Complessivamente un
fattore otto differenziava le due trattazioni. Ciò nasceva essenzialmente dalla mancata
conoscenza del valore del quanto elementare di carica nel 1910. Secondo Haas la
carica elementare era uguale a 3,1 10-10, mentre per Bohr, in accordo a Planck, il
valore più attendibile diventava 4,7 10-10. Non a caso il rapporto tra
(eBohr/eHaas)5=8,01, proprio perché in prima approssimazione si possono considerare le
due espressioni spettroscopiche proporzionali alla quinta potenza della carica
elementare (il fattore 5 tiene conto che anche la massa dell’elettrone era calcolata a
partire dalla carica elementare).
fig.13 Linee spettrali
dell’idrogeno (A.
Haas, Atomic theory
an elementary
exposition, London
1935)
Haas non aveva certo in mente di giustificare le espressioni degli spettri dell’idrogeno,
mentre Bohr non solo otteneva una corrispondenza precisa tra costante spettroscopica
e costanti naturali, ma prevedeva vecchie e nuove linee spettrali dell’idrogeno.
Inserendo nella sua espressione cλ -1=N0c(1/m2-1/n2) il valore m=1 si aveva ad
esempio per l’idrogeno la serie a cui Lyman stava lavorando con le misure
nell’ultravioletto (come abbiamo già ricordato era conosciuto il valore della prima riga
spettrale della serie) e che saranno pubblicate l’anno successivo in un libro che non fa
nessuna menzione dei lavori di Bohr: T. Lyman, The spectroscopy of the extreme
ultra-violet, 1914.
fig.14 Tavola del libro T. Lyman, The spectroscopy of the extreme ultra-violet, 1914
I livelli energetici dell’idrogeno rappresentati a partire dalle orbite circolari o secondo
linee parallele saranno arricchiti negli anni seguenti da altre serie nell’infrarosso oltre
quelle di Paschen.
fig.15 Serie spettrali e orbite circolari
nell’idrogeno (A. Haas, Atomic theory an
elementary exposition, London 1935)
fig.16 Serie spettrali e livelli
energetici nell’idrogeno (A.
Haas, Atomic theory an
elementary exposition,
London 1935)
La scoperta della formula di Balmer da parte di Bohr è stata ricostruita dall’autore
della trilogia associandola ad alcune discussioni con lo spettroscopista danese Hans
Marius Hansen. Certo è che almeno tre articoli citati da Bohr nella sua prima memoria
(datata aprile, spedita a Rutherford il mese prima e pubblicata nel mese di luglio sulla
rivista Philosophical Magazine) esplicitavano tale equazione: Ritz 1908, Paschen 1908
e Haas 1910. Il teorico danese in seguito cancellò quasi del tutto Haas dai suoi ricordi,
negando in alcune interviste di conoscere la sua teoria. I riferimenti di Bohr al fisico
austriaco nella prima memoria erano limitati a poche frasi. ”L’accordo con l’ordine di
grandezza dei valori assunti dalla frequenza e dalle dimensioni degli atomi e i valori
per queste quantità calcolate con considerazioni simili a quella data sopra, sono state
l’oggetto di molte discussioni. Ciò è stato sottolineato dapprima da Haas, in un
tentativo di spiegare il significato e il valore della costante di Planck sulla base del
modello atomico di J. J. Thomson, attraverso le dimensioni lineari e la frequenza
dell’atomo di idrogeno.” N. Bohr, On the constitution of atoms and molecules I,
1913, p. 5
L’articolo citato da Bohr, come già aveva fatto Stark nel suo manuale, era il breve A.
E. Haas, Der Zusammenhang des Planckschen elementaren Wirkungspuantums mit
den Grundgröβen der Elektrontheorie, Jahrbuch der Radioaktivität und Elektronik, 7,
261-268, 1910, mentre Lorentz al primo Congresso Solvay parlava del lavoro di Haas:
Über eine neue theoretische Bestimmung des elektrischen Elementarquantums und
des Halbmessers des Wasserstoffsatoms, Physikalisches Zeitschrift, 537-538, 1910.
Entrambe le memorie erano tratte dall’originale e molto più elaborato: A. Haas, Über
die elektrodynamische Bedeutung des Planck’schen Strahlungsgesetzes und über eine
neue Bestimmung des elektrischen Elementarquantums und der Dimensionen des
Wasserstoffsatoms, Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften in
Wien, 119, 119-144, 1910. Probabilmente Bohr non fu indirizzato verso gli spettri dai
lavori di Haas e le sue conoscenze sull’argomento possono essere state mediate dal
manuale di Stark.
Bohr, paradossalmente, riconobbe invece un ruolo di precursore al matematico John
William Nicholson, alle prese nel 1912 con un’interpretazione degli spettri che lo
portava a parlare di proto elementi, costante di Planck collegata al momento angolare.
Nella seconda parte della trilogia Bohr, invece di utilizzare la strana condizione:
E=nhf/2,
che per la prima volta negava esplicitamente l’uguaglianza tra frequenza meccanica e
radiativa, introdusse la costante di Planck in una forma più vicina alle dimostrazioni
presenti nei libri liceali. Imponendo l’equazione:
2πrp=nh,
con p quantità di moto. “Assumiamo -scriveva - che gli elettroni siano disposti a uguali
intervalli angolari in anelli coassiali ruotanti intorno al nucleo. Per determinare le
frequenze e le dimensioni degli anelli noi useremo l’ipotesi principale[…] che in uno
stato stazionario il momento angolare di ogni elettrone che ruoti intorno al centro
della sua orbita sia uguale alla costante universale h/2π.” N. Bohr, On the
constitution of atoms and molecules II, 1913, p. 477
Accanto alla derivazione delle linee spettrali dell’idrogeno, Bohr trattava un modello
con un nucleo avente una carica Ze e un singolo elettrone ruotante intorno ad esso
(elio ionizzato, litio, ecc.) che già nella prima memoria era servito per giustificare una
costante spettroscopica, in conformità con la teoria di Rydberg, uguale per tutti gli
elementi. L’equazione per la frequenza dell’elio (numero atomico Z=2) era riscritta
nella forma:
ν=2π2me4/h3 [1/(m/Z)2-1/(n/Z)2] = 2π2me4/h3 [1/(m/2)2-1/(n/2)2]
e confrontata con le linee spettrali attribuite da Charles Pickering nel 1896 a una sorta
di proto idrogeno non presente sulla Terra, invece che all’elio.
fig.17 Confronto tra serie di Balmer e quella di Pickering
Nel corso del 1914 Bohr discusse, per meglio far corrispondere la sua teoria alle
misure di Fowler, un modello leggermente più elaborato nel quale la costante di
Rydberg non fosse ottenuta semplicemente assumendo la massa del nucleo infinita. In
termini moderni la costante di Rydberg per un nucleo di massa M è uguale al valore di
Rinfinito corretto secondo il termine 1/(1+m/M). Infine nella trilogia Bohr presentava
uno schema, limitato agli elementi leggeri, basato sul numero otto per cercare di
spiegare la disposizione degli elettroni negli atomi.
fig.18 Elementi ed elettroni
secondo Bohr nel 1913
Per il suo modello atomico Bohr, solo quattro anni dopo Planck, ricevette nel 1922 il
premio Nobel per la fisica. Durante la sua lettura, del mese di dicembre, poté
finalmente mostrare una disposizione della tavola periodica degli elementi secondo le
caratteristiche elettroniche degli stessi, sfruttando l’enorme mole di lavoro che la sua
teoria aveva prodotto.
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