Il Risorgimento visto dai ragazzi ISIS BONALDO STRINGHER UDINE ILRISORGIMENTO VISTO DAI RAGAZZI CLASSI III A RICEVIMENTO, III A TURISTICO, VA TURISTICO (2010-2011) CLASSI III A RICEVIMENTO, III A TURISTICO, III B TURISTICO, IV D TURISTICO (2011-2012) Prof. Giancarlo Martina INDICE Premessa pag. 3 1. Il Risorgimento italiano in pillole (testi, cronologie, personaggi) pag. 7 1 a Il Risorgimento in breve pag. 8 1 b Il Risorgimento Italiano pag. 9 2. Il risorgimento nei comuni del Friuli pag. 33 3. Biografia del Risorgimento: immagini e tracce biografiche dei personaggi europei, italiani e friulani pag. 43 4. I luoghi del Risorgimento a Udine e la sua memoria (tour virtuale con luoghi, case e vie) pag. 77 5. Il dì di Tita. La situazione socio-economica dell’800 nel Friuli attraverso la vita dei campi pag. 78 6. Intanto mio bisnonno... (tra il 1848 e il 1861 negli stati degli studenti non italiani) pag. 79 7. Iconografia del Risorgimento. Quadri, luoghi e musei delle battaglie risorgimentali pag. 80 8. Italia sì, Italia no: questionario su memoria e Unità d’Italia pag. 81 I.S.I.S. BONALDO STRINGHER Viale Monsignor Nogara - 33100 Udine Tel. 0432 - 408.611 - Fax 0432.41.00.41 IL RISORGIMENTO VISTO DAI RAGAZZI Referente e coordinatore: prof. Giancarlo Martina (docente di Italiano e Storia). Classi coinvolte: 2010-2011: 3 ª A settore Ricevimento (26 studenti), 3 ª A settore Turistico (31 studenti e 3 auditori), 5 ª A settore Turistico (18 studenti). Distribuiti nelle tre classi ci sono 13 studenti di varie nazionalità. 2011-2012: 3 ª A settore Ricevimento (24 studenti), 3 ª A settore Turistico (27 studenti), 3 ª B settore Turistico (22 studenti), 4 ª D settore Turistico (16 studenti). Distribuiti nelle tre classi ci sono 15 studenti di varie nazionalità. Docenti che hanno collaborato: Nadia Tacus (Economia e Tecnica dell’Azienda Turistica), Anita Brigo (lingua tedesca), Silvana Nonino (lingua Inglese). Tipologia del progetto: modulo curricolare (è stato realizzato durante le ore di lezione e in orario extra scolastico). Tempi di svolgimento: 18 unità orarie a partire da settembre 2010 fino al marzo 2011, suddivise in: 2 ore presentazione, 6 ore ricerca dati, 4 ore raccolta e analisi materiale (fotografie, testimonianze ecc.), individuazione dei siti rilevati sulla carta del Friuli Venezia Giulia e di Udine (creazione di carta digitale con ipertesto) 6 ore. Inserimento nel sito della scuola. La ricerca di dati, fotografie, ricordi sarà svolta autonomamente da ogni singolo studente. 12 unità orarie a partire da settembre 2011 a novembre 2012, suddivise in 4 ore di spiegazione su il rilevamento del questionario, 2 di analisi degli esiti, 4 stesura dati su tabella excel e costruzione grafici, 2 di analisi conclusiva. A piccoli gruppi o individualmente e su incarico alcuni studenti elaboreranno i risultati della rilevazione e la inseriranno in un file. Premessa: L’argomento “Il Risorgimento” non è richiesto nella programmazione delle classi terze e quinte degli Istituti Professionali, ma non essendo stato svolto dalle classi sopraindicate negli anni precedenti, ho ritenuto opportuno costruire un modulo apposito, approfittando anche della coincidenza con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ho voluto inserire anche elementi di storia locale per far comprendere in modo più ampio lo svolgersi del percorso unitario, inoltre ho ritenuto opportuno cercare di fare dei collegamenti molto semplici e sintetici con i paesi di origine degli studenti non italiani. All’interno del percorso ho cercato di attuare dei collegamenti con altre discipline che sono caratterizzanti il corso di studi del settore turistico. Tutti gli studenti hanno affrontato le prime tre parti del modulo, sviluppando autonomamente quanto richiesto. Alcuni studenti delle classi terze e della classe quinta hanno realizzato gli approfondimenti legati alle fasi quattro e cinque. Infine ho realizzato una parte del lavoro su la vita quotidiana del contadino friulano nel corso dell’800. L’ipotesi di lavoro seguita è stata quella di creare un cd-rom utilizzabile direttamente delle classi che affrontano l’argomento nel corso dell’anno scolastico (seconde e quarte), dalle classi degli anni seguenti, ma anche di offrire un lavoro aperto su cui possono intervenire classi e studenti di altre scuole, province e regioni d’Italia adoperando i documenti informatici che sono più adatti. Un esempio è quello delle biografie dei personaggi notevoli del Risorgimento: sulla base di quanto disponibile è possibile aumentare l’elenco biografico aggiungendo le figure notevoli della propria regione. Il modulo è stato pensato e realizzato per essere riversato su supporto informatico. Fonti: i libri di testo adottati • Furio Bianco e Luca Roncadin, L'immagine del territorio : società e paesaggi del Friuli nei disegni e nella cartografia storica, secoli 16°-19°, Forum, Udine, 2008. • Giacomo Comino,Uomini e fatti del risorgimento friulano, Udine 1960 • GiovanBattista Fabris, Illustrazione del distretto ora mandamento di Codroipo, ristampa a cura di E. Folisi, Paolo Gaspari editore, Udine 2007 • Antonio Faleschini, Garibaldi e il Friuli, Udine 1961 • Giorgio Madinelli, I sentieri dei garibaldini, Portogruaro (Ve), Ediciclo 2003 • Marcello Flores, Il Friuli, storia e società, Dalla caduta della Repubblica di Venezia all’Unità d’Italia, ed. IFSML, Udine, 1998 • Tito Maniacco, Storia del Friuli, ed. Newton Compton, Roma 1985 • Tito Maniacco, Ferruccio Montanari, I senzastoria, vol. II, ed. Casamassima, Udine 1978 • Luciana Morassi, 1420 1797 Economia e società in Friuli, ed. Casamassima, Udine Tavagnacco 1997 • Emilio Morpurgo, Relazione del Commissario Comm. Emilio Morpurgo sulla XI Circoscrizione (province di Verona,Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, Treviso, Belluno e Udine), sta in Atti della giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. IV, s. e., Roma, 1882 • Emilio Scarin, La casa rurale nel Friuli, ed. Comitato Nazionale per la Geografia, CNR, Firenze 1943 • Stefano Somogyi, L’alimentazione nell’Italia unita, sta in Ruggero Romano, Corrado Vivanti, Storia d’Italia, I Documenti, vol. V tomo I, ed. Einaudi, Torino 1973 Gli studenti hanno utilizzato per le voci specifiche l’enciclopedia Wikipedia e i siti dei comuni di residenza o degli stati di provenienza. Non trattandosi di un lavoro indirizzato a storiografi o a studenti di facoltà universitarie, ho ritenuto di far svolgere le ricerche attraverso questi semplici strumenti. Sviluppo La prima fase: Lezione frontale con sintesi dei personaggi, fatti e luoghi del Risorgimento italiano dal 1815 al 1871, cenni alle più recenti interpretazioni, è stato fornita una sintesi degli eventi e dei personaggi (Il Risorgimento in pillole); La seconda fase: costruzione individuale per ogni studente del quadro storico e politico del Risorgimento italiano su foglio di lavoro elettronico utilizzando le conoscenze e le competenze di ciascun allievo. A ciascun allievo sono stati forniti su supporto informatico la scheda “Il Risorgimento in pillole”, diverse decine di immagini legate a fatti e personaggi per realizzare il compito assegnato. Il mezzo adottato per la trasmissione in andata e in ritorno è stata la chiavetta USB o la e-mail. Ogni studente ha avuto la possibilità di ampliare e modificare quanto ricevuto; La terza fase: ricerca dei fatti notevoli, dei personaggi di rilievo presenti sul territorio di residenza di ogni studente. Inserimento di quanto reperito in un database comune al progetto. Sono stati forniti quattro testi realizzati dal Laboratorio di Storia dell’ISIS Stringher negli anni precedenti; La quarta fase: gli studenti comunitari e-o extra comunitari hanno svolto una ricerca semplice sui fatti notevoli contemporanei al Risorgimento italiano per lo stato di origine, hanno poi creato un database comune al progetto. Gli studenti italiani hanno svolto una ricerca iconografica e biografica attraverso internet sui personaggi notevoli del Risorgimento friulano che hanno inserito un database unico; La quinta fase: gli studenti della classe quinta hanno realizzato un ipertesto a scopo divulgativo e legato al turismo storico-culturale su i Luoghi del Risorgimento a Udine (fotografie, immagini, brevi filmati, testi, musiche, ricostruzioni) chiamato “Il Risorgimento al cellulare” che utilizza anche il linguaggio SMS. Le informazioni sui luoghi sono state fornite dal docente; La sesta fase: Tutto il materiale così raccolto è stato consegnato agli studenti della classe quinta cha hanno creato l’indice definitivo del CD Rom, aggiungendo alcune parti e modificandone altre dopo averne discusso con me. Al progetto inizialmente previsto sono stati aggiunti alcuni lavori: la iconografia delle battaglie risorgimentali e la realtà odierna degli stessi luoghi, il questionario sulla memoria e Unità d’Italia; la traduzione dei testi de “I luoghi del risorgimento a Udine e la sua memoria” non solo nelle lingue studiate dagli allievi, ma anche nella lingua madre (ove possibile, dato che diversi studenti non sono scolarizzati nello stato di nascita, così che parlano nella lingua madre ma non la sanno scrivere), inoltre “I luoghi del risorgimento a Udine e la sua memoria” sono stati rielaborati dagli allievi della classe 5 ª A turistico che hanno realizzato una mappa della città di Udine in occasione delle Giornate FAI di Primavera. L’indice del CD Rom: 9. Il risorgimento italiano in pillole (testi, cronologie, personaggi) (1., 1.a, 1.b); 10. Il risorgimento nel mio paese (testi e cronologie, proposta di analisi storica del Risorgimento da parte di uno studente); 11. Biografia del Risorgimento: immagini e tracce biografiche dei personaggi italiani e friulani; 12. I luoghi del risorgimento a Udine e la sua memoria (tour virtuale con luoghi, case e vie) (4., 4.a); 13. La situazione socio-economica nel Friuli attraverso la vita dei campi; 14. Intanto mio bisnonno... (tra il 1848 e il 1861 negli stati degli studenti non italiani); 15. Iconografia del Risorgimento. Quadri e luoghi delle battaglie risorgimentali; 16. Italia si, Italia no: questionario su memoria e Unità d’Italia. Questo prodotto è stato presentato agli studenti coetanei e inserito del prodotto nel sito dell’Istituto. P.S. La versione inviata per il Premio Antonio Sema 2011 è in formato pdf, su richiesta si può ricevere un formato di altro tipo su cui si può intervenire. e.mail [email protected] Il RISORGIMENTO IN PILLOLE: CRONOLOGIA ESSENZIALE Moti di Nola e Rivolta di Napoli -Pellico e Maroncelli incarcerati allo Spielberg 1855 Guerra in Crimea - Partecipazione del Piemonte Soppressione ordini religiosi nel Regno di Sardegna 1821 10 marzo - Alessandria, moti in Piemonte Processi e condanne a Pellico e Maroncelli 1857 Spedizione di Pisacane (Sapri) Nasce la "Società Nazionale" 1831 Moti di Modena (Menotti) e agitazioni in Emilia e Romagna. Capitolazione di Bologna e Ancona. Luglio, fondazione "Giovane Italia" 1858 10 dicembre A Plombieres Napoleone III e Cavour firmano alleanza Francia e Piemonte 1834 Spedizione di Mazzini in Savoia - Fondazione della "Giovane Europa" Nell'insurrezione di Genova si evidenzia Giuseppe Garibaldi 1859 Seconda GUERRA DI INDIPENDENZA Vittoria Franco-Piemontesi - Pace Villafranca Insurrezione Toscana, Parma, Modena 1842 Moti di Romagna. M. Amari pubblica " I Vespri Siciliani " 1860 Plebiscito di annessione in Toscana, Emilia, Romagna, Marche. Spedizione dei Mille. Passaggio piemontesi Stato Pontificio e seguente annessione con plebisciti di Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia (escluso il Lazio). 1844 Spedizione dei Fratelli Bandiera . Eccidio di Rovito (25 luglio). 1861 Torino17 Marzo Proclamazione del Regno d'Italia 1847 Cavour pubblica "Il Risorgimento" Elezione di Pio IX 1865 Trasferimento della Capitale da Torino a Firenze Approvazione Nuovo Codice Civile 1848 Le 5 Giornate di Milano 18-22 marzo Prima GUERRA DI INDIPENDENZA 1866 Terza GUERRA DI INDIPENDENZA Liberazione del Veneto e gran parte del Friuli. 1849 Fine 1ª G. d' I. - Battaglia di Novara Fine della Repubblica Romana 1870 Breccia di Porta Pia e occupazione di Roma Plebiscito per l'annessione del Lazio 1852 Capo del governo Cavour uscita da una maggioranza centro dx e sx ("il connubio") 1871 Roma - Capitale d'Italia (27 Gennaio) 2 Luglio solenne entrata in città di Vittorio Emanuele II 1853 Insurrezione di Milano I Martiri di Belfiore 1915 1918 Prima Guerra Mondiale Traguardo finale: l'annessione del Trentino e Venezia Giulia 1820 Ma lo spirito risorgimentale ( in buona fede) continuerà fino al 25 aprile del 1945 in un Italia divisa in due Vai a: http://www.stringher.it/uploads/files/1.a%20Il%20Risorgimento%20in%20breve.pdf Nel XIX secolo diversi paesi europei videro la nascita di movimenti nazionalisti che li portarono poi all'indipendenza: l'Italia fu uno di questi. Il termine "Risorgimento" infatti sottolinea la rinascita culturale e politica, il riscatto da una condizione di servitù e decadenza morale, il ritorno a un passato glorioso. L'Italia, a differenza di altri Stati europei, non aveva mai conosciuto l'esperienza di uno Stato unitario: lo era stata solo all'epoca dell'Impero romano, il quale era un'entità sovranazionale. Esisteva però una nazione italiana, intesa come comunanza di tradizioni culturali, religiose e in parte anche economiche. Le tappe del Risorgimento italiano Prima di giungere all’unità nazionale nel 1861, il Risorgimento italiano ha conosciuto diverse fasi: PRIMA FASE: le società segrete Il desiderio di libertà, indipendenza e unità nazionale dei popoli sottomessi ispirò l’azione clandestina delle società segrete e dei moti liberali del 1820-21 e del 1830-31. SECONDA FASE: Mazzini e la tendenza repubblicana. Questa fase vede protagonisti Giuseppe Mazzini e le sue insurrezioni, negli anni trenta e quaranta del XIX secolo. E’ la fase “democratica” del Risorgimento, poiché l’obiettivo è l’unità nazionale ma in senso repubblicano. TERZA FASE: la fase liberale Momenti fondamentali di questa fase sono la Prima e la Seconda guerra d’indipendenza (1848-49 e 1859) che vedono il Regno di Sardegna dei Savoia (Carlo Alberto prima, e Vittorio Emanuele II poi) mettersi alla guida del movimento di liberazione antiaustriaco. Questa terza fase è quella “liberale” del Risorgimento perché l’obiettivo è raggiungere l’unità nazionale e fare dell’Italia uno Stato liberale cioè monarchico-costituzionale, sotto la sovranità dei Savoia. Ora vedremo passo a passo come il Risorgimento si è sviluppato. Il Congresso di Vienna Dal 1 novembre 1814 all’8 giugno 1815 i rappresentanti delle maggiori potenze europee, vincitrici di Napoleone I, si riuniscono a Vienna in congresso, per cancellare l’eredità della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico, ripristinando in questo modo l’Ancien Regime. Essi basarono la loro azione su due principi fondamentali: il principio di legittimità (cioè su ogni trono doveva tornare il legittimo sovrano che era stato spodestato) e il principio di equilibrio (cioè si doveva bilanciare la grandezza territoriale dei vari stati e creare degli stati cuscinetto per favorire una duratura pace europea) per questo principio la Repubblica di Venezia viene cancellata e inglobata nel Regno Lombardo-Veneto governato dall’Austria, per creare uno stato cuscinetto (assieme al Regno di Sardegna) tra Austria e Francia. Nascono così nuove alleanze: la Santa Alleanza che comprendeva Russia, Prussia e Austria (più avanti si unirà anche la Francia), e la Quadruplice Alleanza fra Inghilterra, Austria, Prussia e Russia con lo scopo di contenere una possibile reazione francese. Ma nel corso degli anni napoleonici molti cittadini avevano partecipato attivamente alla vita politica del loro paese. Si erano affermati nuovi diritti e diffusi nuovi ideali che mal si conciliavano con l’anacronistica restaurazione imposta dal Congresso di Vienna. I ceti imprenditoriali e borghesi, iniziano a manifestare apertamente il loro dissenso alla politica restauratrice. Si vengono così a creare nuove ideologie. Troviamo l’ideologia liberale, che proponeva una monarchia liberale di stampo inglese e il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. L’ideologia democratica, che si rifà alla tradizione democratica francese e auspica uno stato repubblicano. L’ideologia socialista utopica, così chiamata perché denunciava i mali sociali senza però indicare soluzioni concretamente realizzabili. In tutti i paesi afflitti dal dominio straniero si diffonde il sentimento patriottico e ciò da vita alle società segrete e ai primi moti insurrezionali, il cui scopo era quello di spingere i sovrani dei paesi a concedere una Costituzione e attuare riforme. LE RIFORME DI PARIGI I moti insurrezionali francesi del ‘48 ebbero una notevole importanza, non solo perché nacque la Seconda Repubblica francese (la prima era stata quella giacobina del 1792), ma anche perché si manifestò in esso un aspetto nuovo, assente nelle precedenti ondate insurrezionali del 1820-21 e del 1830-31. Tale aspetto fu quello sociale, dovuto al ruolo determinante che svolse in quella occasione il proletariato parigino, che insorse contro la chiusura degli Ateliers Nationaux: le fabbriche statali create dal Governo repubblicano per dare lavoro ad operai e disoccupati. Il Governo rispose a tale protesta con una spietata repressione avvenuta tra il 23 e il 26 giugno del 1848, le “giornate di giugno”, e condotta dal generale Cavaignac, che poi fu nominato capo del Governo. Questa rivolta operaia fu una delle prime possenti manifestazioni del nascente movimento Socialista francese ed europeo. Il proletariato francese era ormai abbastanza sviluppato e forte e già aveva avuto modo di manifestarsi nelle rivolte di Lione contro il governo di Luigi Filippo d’Orleans, avvenute nel 1831-34. Dopo la repressione dei moti di giugno fu approvata la nuova Costituzione, che ebbe un carattere spiccatamente presidenziale: il potere legislativo era esercitato da una sola camera eletta a suffragio universale maschile. Quello esecutivo era concentrato nelle mani del Presidente, eletto direttamente dal popolo ogni quattro anni, che ricopriva sia la carica di Capo dello Stato sia quella di Capo del Governo. Nelle prime elezioni presidenziali, che si tennero nel dicembre del 1848, Luigi Napoleone Bonaparte, grazie soprattutto ai voti dei contadini, ottenne una vittoria schiacciante e divenne Presidente della Repubblica. Quando sul finire del 1851 si stava avvicinando la scadenza del suo mandato, non essendo possibile la rielezione a Presidente della stessa persona, in quanto la Costituzione lo vietava, Luigi Napoleone organizzò un colpo di Stato. Con il sostegno dell’esercito, il 2 dicembre del 1851, la sede del Parlamento fu occupata e furono arrestati gli oppositori. Con un decreto fu deciso lo scioglimento dell’Assemblea parlamentare. LA FASE DELLE COSTITUZIONI Il '48 italiano ebbe inizio a Palermo. Dalla città la rivolta si estese a tutta l'isola, che chiese la concessione della Costituzione, la secessione della Sicilia dal regno e l'elezione di un Parlamento. In breve tempo l'esempio di Palermo fu seguito da Napoli, dove Re Ferdinando II fu costretto dalle dimostrazioni popolari a concedere la Costituzione. INSORGONO VENEZIA E MILANO Dal 18 al 22 marzo a Milano (le “cinque giornate di Milano”) divamparono i combattimenti per le strade del capoluogo lombardo. A causa di questa insurrezione gli Austriaci si ritirarono nelle quattro fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova (chiamate il quadrilatero) che sorgevano in un'ottima posizione militare, al confine tra Lombardia e Veneto. A Milano si formò un governo provvisorio, e lo stesso avvenne a Parma e a Modena. LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA L'insurrezione di Milano aveva colto il Regno di Sardegna impreparato. L'esercito piemontese non era pronto alla guerra ma, sulla spinta degli avvenimenti, Carlo Alberto dichiarò ugualmente guerra all'Austria il 23 marzo 1848. Anche gli altri sovrani italiani (Pio IX, Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II) inviarono proprie truppe in sostegno a quelle piemontesi. La campagna militare di Carlo Alberto iniziò felicemente, grazie anche alle insurrezioni che si stavano svolgendo nel resto dell’Impero austriaco. Gli Austriaci vennero battuti a Goito, dopo che i battaglioni di volontari toscani, in gran parte studenti universitari di Pisa e Siena, avevano valorosamente resistito a Curtatone e Montanara. I Governi provvisori di Milano, Venezia, Modena e Parma proclamarono allora l'unione col Regno di Sardegna, ma tale gesto provocò i sospetti degli altri sovrani italiani. Temendo un eccessivo rafforzamento del regno di Carlo Alberto, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie ritirarono le loro truppe. Il Papa fece lo stesso, temendo che la cattolica Austria si volgesse contro la chiesa di Roma. Questo impedì all'esercito piemontese di sfruttare la vittoria ottenuta. L'offensiva si fermò davanti alle fortezze del quadrilatero, mentre altre truppe austriache, dopo aver sedato le rivolte in patria giungevano da Vienna. Riorganizzato l'esercito, il maresciallo Radetzky sferrò la controffensiva. L’esercito piemontese fu sconfitto pesantemente a Custoza. Questo costrinse il generale Salasco a firmare un armistizio (9 agosto) e a ritirarsi in Piemonte. LA SCONFITTA DEFINITIVA E IL NUOVO RE L'anno seguente, il 12 marzo 1849, Carlo Alberto riprese la guerra. Ancora una volta l'esercito piemontese si dimostrò impreparato. I sabaudi furono definitivamente battuti a Novara (in territorio piemontese) il 27 marzo. Il sovrano abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II e andò in esilio in Portogallo. Morì a Porto pochi mesi dopo. Vittorio Emanuele II riuscì a firmare un onorevole trattato di pace con gli austriaci. Mantenne in vita tutte le riforme già concesse dal padre e lo Statuto Albertino. LE RIFLESSIONI SULLA SCONFITTA La Prima guerra d’indipendenza si chiudeva con una serie di fallimenti. Tramontava l’ideale di Gioberti e dei moderati neo-guelfi, che avrebbero voluto una confederazione di Stati italiani guidata dal pontefice Pio IX. Al momento decisivo il Papa aveva ritirato il suo appoggio. D’altra parte il Regno di Sardegna da solo si era dimostrato troppo debole per far fronte all’Austria. Si propose un programma politico che mirava a raggiungere l’unità italiana e l’indipendenza nazionale sotto la monarchia liberale e costituzionale di Vittorio Emanuele II. LA CADUTA DELLA REPUBBLICA ROMANA A Roma nel novembre del ’48 dei moti insurrezionali avevano scacciato Pio IX dal trono pontificio e dopo l’elezione a suffragio universale, (la prima della storia mondiale) il 9 febbraio 1849, per formare un’assemblea costituente, la quale dichiarò la costituzione delle Repubblica romana. Al governo un triumvirato formato da Mazzini, Saffi e Armellini e a capo delle truppe Garibaldi. Giunsero a difendere la Repubblica e gli ideali che rappresentava molti volontari tra cui il genovese Goffredo Mameli (l’ideatore delle parole dell’Inno Nazionale italiano) e il lombardo Luciano Manara. Contro di loro si mosse Luigi Napoleone, appena eletto Presidente della Repubblica francese. Egli inviò un corpo di spedizione a Roma in aiuto di Pio IX, sia per conquistarsi le simpatie dei cattolici francesi sia per contrastare il predominio austriaco in Italia. La città fu assediata da numerose truppe, dotate di cannoni e nuovi fucili a retrocarica contro i vecchi fucili ad avancarica dei volontari romani. Roma fu presa il 30 giugno 1849. Nell’ultimo combattimento persero la vita Manara e Mameli. Garibaldi fuggì con duemila volontari e la moglie Anita, che morì nella pineta di Ravenna per le fatiche e gli stenti. Garibaldi, braccato, riuscì ancora a fuggire ma fu arrestato dal governo sabaudo che lo mandò in esilio, tranquillizzando così l’Austria e le grandi potenze. LA VITTORIA DELL’AUSTRIA IN ITALIA Con le insurrezioni del 17 marzo 1848 anche a Venezia si formò una Repubblica. Essa fu costretta alla resa il 23 agosto 1849 dai bombardamenti austriaci, da un’epidemia di colera e dalla fame. I capi della rivolta Daniele Manin, Niccolò Tommaseo e il vecchio generale napoletano Guglielmo Pepe furono condannati all’esilio. La vittoria dell’Austria in Italia fu quindi totale. Si fece evidente la differenza tra la monarchia sabauda, unica a voler conservare la Costituzione e il regime parlamentare, e gli altri sovrani italiani (compreso il pontefice) che avevano chiesto il sostegno degli Austriaci e si erano affrettati a revocare le riforme concesse. IL PIEMONTE E CAVOUR Vittorio Emanuele II ebbe un ministro di grandi capacità: Camillo Benso Conte di Cavour. Con lui la politica sabauda fece davvero un salto di qualità. Cavour era un deciso sostenitore del pensiero liberale e dell'economia liberista. Sosteneva anche che Stato e chiesa erano due istituzioni distinte, che dovevano rimanere assolutamente separate: la chiesa doveva occuparsi della religione e delle coscienze, non del Governo e delle cose terrene lo Stato doveva governare senza occuparsi di questioni religiose e anzi garantire a chiunque la libertà di professare la propria fede (o anche di non averne alcuna). IL PROGETTO DI CAVOUR PER L'INDIPENDENZA ITALIANA Nominato Presidente del Consiglio dei ministri nel 1852, Cavour poté mettere mano alla realizzazione del suo progetto politico per l'indipendenza italiana. Egli sosteneva che solo il Regno di Sardegna poteva realizzarla, perché non era sottomesso all’Austria (come invece erano i Borboni di Napoli, il Granduca di Toscana, i Duchi di Modena e di Parma). Inoltre solo il Regno di Sardegna poteva garantire alle monarchie europee che le posizioni ideologiche prese dal regno che si sarebbe formato non sarebbero state democratiche e radicali. Avuta questa garanzia, pensava Cavour, le potenze come Francia e Inghilterra avrebbero potuto aiutare il Regno di Sardegna, sia per indebolire l'Austria, sia per evitare che il nazionalismo italiano si indirizzasse verso soluzioni meno moderate. Inoltre, l'Inghilterra poteva avere una ragione in più per sostenere la causa italiana: quella di creare nell’area del Mediterraneo una nuova nazione sufficientemente forte da limitare l'influenza della stessa Francia. LA GUERRA DI CRIMEA Il piano di Cavour, per realizzarsi, necessitava che il piccolo Regno di Sardegna trovasse il modo di farsi prendere in considerazione dalle potenze di cui ricercava l'appoggio. L'occasione adatta fu la guerra di Crimea (1854-1856). Nel 1855 il Regno di Sardegna inviò in Crimea un contingente da affiancare alle truppe inglesi e francesi che, assieme agli ottomani, combattevano contro i russi. La Russia infatti mirava alla conquista della penisola dall’Impero Ottomano. Poco meno di 200 uomini morirono sul campo, ma circa 1.500 piemontesi persero la vita per un’epidemia di colera (lo stesso Cavour ammetteva cinicamente di aver bisogno di qualche centinaio di morti per potersi sedere al tavolo della pace). Le conseguenze politiche di questo sacrificio furono però estremamente positive: Vittorio Emanuele II, in visita ufficiale a Londra e a Parigi, fu accolto con grandi dimostrazioni di simpatia e il giornale inglese Daily Telegraph salutò il giovane sovrano «come nostro alleato, come quella rarità che è un Re costituzionale». Al congresso per la pace, riunitosi a Parigi nel 1856, fu riservato un giorno a Cavour, nel quale poté parlare della questione dell'indipendenza italiana. I FALLIMENTI DEI MAZZINIANI Nel frattempo si verificarono vari tentativi d'insurrezione dei mazziniani, nessuno dei quali ebbe buon esito. Dopo questi tragici avvenimenti molti repubblicani, e tra questi Garibaldi, si resero definitivamente conto che l'unica speranza di unità nazionale era legata alla monarchia sabauda. Garibaldi era molto amato dal popolo e ben visto dai democratici, la sua adesione al progetto politico piemontese portò con se molti consensi. GLI ACCORDI TRA ITALIA E FRANCIA Felice Orsini, un mazziniano romagnolo, voleva punire Napoleone III per l'intervento militare del 1849 contro la Repubblica romana organizzando un attentato all’Imperatore francese il 14 gennaio 1858. Fallì nell'intento e prima di essere giustiziato, scrisse all'Imperatore chiedendo perdono per il proprio gesto e raccomandandogli la causa della libertà italiana. Cavour riuscì a volgere il gesto di Orsini a vantaggio della causa italiana, facendo leva sul fatto che la situazione italiana era ormai insostenibile e che costituiva un pericolo per l’ordine e la stabilità dell’Europa intera. Dopo lunghe trattative diplomatiche tra Napoleone III e Cavour, un accordo segreto fu firmato a Plombières il 20 luglio 1858. Cavour ottenne l'impegno di un intervento militare francese in caso di aggressione austriaca al Regno di Sardegna. Napoleone III ebbe la promessa che, in cambio dell’aiuto francese, avrebbe ottenuto la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Cavour si impegnò con l'Imperatore, che temeva un'Italia troppo forte, a dividerla in quattro Stati: Regno dell’alta Italia (formato da Piemonte, Lombardo-Veneto, Parma, Modena e Legazioni pontificie) ai Savoia, Regno dell’Italia centrale (formato da Toscana, Marche e Umbria), Stato pontificio (comprendente solo il Lazio) governato dal Papa e protetto dai francesi e il Regno delle due Sicilie. In questo modo al Regno di Sardegna sarebbe toccata solo l'Italia settentrionale. Ma in realtà Cavour pensava di riuscire a volgere la situazione a proprio vantaggio, una volta che l'Austria fosse stata sconfitta. LA SECONDA GUERRA D'INDIPENDENZA Il trattato di alleanza stabiliva che la Francia sarebbe intervenuta per difendere il Regno di Sardegna da un attacco dell'Austria, non per aiutarlo ad attaccare il LombardoVeneto. Occorreva quindi provocare la guerra, ma non iniziarla. Nei primi mesi del 1859 il Regno di Sardegna radunò le sue truppe sul Ticino. Ai soldati regolari si affiancarono migliaia di volontari giunti da tutta Italia. Garibaldi ebbe il comando di un corpo di volontari: i Cacciatori delle Alpi (gli antesignani del corpo degli Alpini). Il governo austriaco cadde nella trappola e nell’aprile del 1859 inviò un ultimatum a Torino. Per evitare una guerra Vittorio Emanuele II avrebbe dovuto immediatamente disarmare l'esercito. Cavour si affrettò a respingere l’ultimatum e il 26 aprile l’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna. Le truppe austriache varcarono il Ticino per attaccare Novara e Vercelli. I piemontesi rallentarono l'invasione allagando le risaie della zona e si ritirarono lentamente, riunendosi ai francesi, comandati dallo stesso Napoleone III. Le battaglie più significative furono: Magenta (4 giugno) San Martino e Solferino (24 giugno), dove i franco-piemontesi sconfissero nettamente gli austriaci. Napoleone III e Vittorio Emanuele II entrarono trionfalmente a Milano. Garibaldi conquistò Varese, Como, Bergamo e Brescia. Tali vittorie ebbero immediate conseguenze in tutta Italia: Firenze, Modena, Parma e Bologna scacciarono i loro rispettivi sovrani e governatori. Formarono nuovi Governi provvisori e chiesero l'unione con il Regno di Sardegna. Napoleone III comprese che Cavour non si sarebbe limitato al governo dell'Italia settentrionale. Inoltre i cattolici francesi tenevano molto alla salvaguardia dei domini del Pontefice e, a Parigi, la guerra in Italia era divenuta impopolare per le numerose perdite sul campo di battaglia. A ciò si aggiunse la dura presa di posizione della Prussia: per evitare il rafforzamento della Francia, essa minacciò di intervenire a fianco dell'Austria. Così 1'11 luglio 1859 Napoleone III firmò l’armistizio di Villafranca, presso Verona, con lo stesso Imperatore Francesco Giuseppe. I due Imperatori concordarono che la Lombardia fosse ceduta alla Francia e poi passata al Regno di Sardegna, ma che il Veneto rimanesse sotto il governo austriaco. Vittorio Emanuele II non si sentì abbastanza forte da respingere l'accordo e accettò. Per protesta Cavour diede le dimissioni da capo del governo. L'ITALIA CENTRALE SI UNISCE AL REGNO DI SARDEGNA Ma il piano di Cavour continuò a realizzarsi. Richiamato a capo del governo (1860), egli riprese a trattare con Napoleone III. L'Imperatore non aveva ricevuto le ricompense promesse (Nizza e la Savoia) poiché il Regno di Sardegna sosteneva che firmando l'armistizio di Villafranca non aveva rispettato i patti. Cavour gliele offrì nuovamente pur di avere mano libera con il Granducato di Toscana, le Legazioni pontificie e i Ducati di Parma e Modena. In questi luoghi la scelta se unirsi o no al Regno di Sardegna fu affidata a un plebiscito, una votazione con la quale il popolo avrebbe dovuto dire sì o no all’annessione. Veniva così stabilito un importante principio: ciascun popolo doveva decidere da sé, con un voto, il proprio destino. L'Italia centrale approvò a stragrande maggioranza dei votanti (97% di sì) l'annessione al Regno di Sardegna: in Toscana, ad esempio, vi furono 366.571 voti a favore, 14.952 contro. Nel frattempo Garibaldi aveva sconfitto definitivamente le truppe borboniche sul fiume Volturno e Vittorio Emanuele II aveva raggiunto il suo esercito. LA SPEDIZIONE DEI MILLE Il 2 aprile 1860 si inaugurava a Torino il nuovo Parlamento, allargato ai rappresentanti dell'Italia centrale. Nello stesso mese scoppiarono alcune rivolte in Sicilia. Forte era la presenza dei siciliani a Torino e a Genova: erano liberali o democratici fuggiti o esiliati dalla loro isola. Fra questi, Francesco Crispi, che più tardi, negli anni ottanta del XIX secolo sarà Capo del Governo con la così detta sinistra storica. Egli convinse Garibaldi a organizzare una spedizione militare in Sicilia, garantendogli l'appoggio popolare. Vittorio Emanuele II era segretamente favorevole all'impresa, mentre Cavour diffidava dei democratici garibaldini e temeva la reazione di Francia e Inghilterra. Alla fine Cavour accettò il progetto, purché l'impresa si realizzasse "spontaneamente", senza il consenso del Governo, in modo da evitare contrasti con le grandi potenze. GARIBALDI CONQUISTA IL MEZZOGIORNO Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, 1.070 garibaldini (i Mille) si imbarcarono presso lo scoglio di Quarto, vicino a Genova, su due piroscafi (il Piemonte e il Lombardo). Erano volontari che lasciavano la famiglia, il lavoro, la vita quotidiana, le professioni, lo studio per combattere con Garibaldi. La maggior parte erano borghesi, ma non mancavano aristocratici, artigiani e operai. Dopo essersi fermati nel porto toscano di Talamone, per imbarcare armi e munizioni, i due piroscafi giunsero nel porto di Marsala (11 maggio), dove i Mille sbarcarono protetti da due navi militari inglesi (gli inglesi avevano interessi politici sull’unità d’Italia, infatti non volevano che l’influenza francese sull’Italia si allargasse ulteriormente e per questo avevano bisogno che nella penisola si formasse uno Stato abbastanza forte, lasciarono compiere lo sbarco in Sicilia dei garibaldini facendo da “scudo” contro i cannoni borbonici che non spararono sulle camicie rosse per non rischiare di colpire le navi inglesi). Il 15 maggio i garibaldini rinforzati da volontari locali sconfissero i borbonici a Calatafimi e alla fine di maggio occuparono Palermo. Il 20 luglio le camicie rosse sconfissero i borbonici a Milazzo, entrando a Messina. Ormai Garibaldi aveva il controllo dell’intera Sicilia. A Salemi indirizzò un proclama alle popolazioni, invitandole alla rivolta e assumendo la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II. Molti lo seguirono, non solo borghesi e artigiani, ma anche contadini, che spesso si sollevarono contro i grandi proprietari (come nella rivolta di Bronte presso Catania dell’agosto 1860 descritta da Verga nel 1882 nelle “Novelle Rusticane”). Il Re di Napoli, Francesco II di Borbone, cercò di correre ai ripari. Andò alla ricerca di alleanze con le potenze europee e si affrettò a concedere una Costituzione, per conquistarsi le simpatie dei liberali. Ma era ormai troppo tardi: le truppe garibaldine sbarcarono in Calabria il 19 agosto, conquistando Reggio il 21. Il 7 settembre 1860 Garibaldi entrò in Napoli, accolto trionfalmente dalla popolazione, mentre Francesco II si rifugiava a Gaeta. LA CONQUISTA DELLE MARCHE E DELL'UMBRIA A questo punto Cavour decise di intervenire per prendere il controllo della situazione. Le sue motivazioni erano molteplici: temeva che Garibaldi potesse proclamare una Repubblica nel Mezzogiorno. Intendeva cogliere l'occasione per conquistare anche le Marche e l'Umbria, che erano rimaste sotto il governo pontificio. Infine voleva evitare che Garibaldi attaccasse Roma, provocando un intervento militare dei francesi a protezione del Papa. Alle potenze europee e soprattutto alla Francia (che era il paese protettore del Papa) Cavour dichiarò che era costretto a far intervenire l’esercito per evitare i pericoli di una rivoluzione democratica al sud. In realtà questa scusa gli servì per far penetrare le truppe nello Stato Pontificio. Le truppe mercenarie del papa furono battute a Castelfidardo (18 settembre 1860). L'esercito sabaudo, evitando Roma, si impadronì delle Marche e dell'Umbria. Il 26 settembre 1860 Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrarono presso Teano (Caserta). Qui Garibaldi salutò il sovrano come Re d'Italia, affidandogli tutti i territori conquistati. Nel mese di novembre la Sicilia e il Regno di Napoli votarono con il 99% di sì l'annessione all'Italia. Garibaldi aveva compiuto un'impresa straordinaria, che gli valse un'enorme popolarità non solo in Italia, ma in tutta Europa. Per se non volle onori e ricompense di nessun tipo. Chiese solo un posto per gli ufficiali garibaldini nel nuovo esercito italiano. Solo alcuni furono accettati da un'amministrazione militare che si mostrò molto diffidente. Il primo atto del nuovo Parlamento italiano (17 marzo 1861) fu la proclamazione del Regno d'Italia, con capitale Torino (che però non venne riconosciuto come Stato da Austria e Stato Pontificio). Per completare l'unità del paese mancavano ancora Lazio, Veneto, Friuli, Trentino e Venezia Giulia. Vittorio Emanuele II assunse per sé e i suoi discendenti il titolo di "re d'Italia, per grazia di Dio e volontà della Nazione". Con questa formula si dette una soluzione di compromesso al contrasto fra le idee tradizionali e quelle innovatrici. Il Re era tale "per grazia di Dio", cioè perché la volontà divina l'aveva posto sul trono. Ma era anche tale per "volontà della Nazione", perché voluto dal popolo che aveva diritto di fare le proprie scelte. LA SCOMPARSA DI CAVOUR Il 6 giugno moriva a Torino Camillo Benso Conte di Cavour. Fu una grave perdita, che privò l'Italia del solo uomo politico di alto livello, proprio quando era necessario dare inizio all'organizzazione del nuovo Stato. Alla sua morte gli succedette Bettino Ricasoli che fu il primo esponente della destra storica nell’Italia unificata. LA POLITICA DELLA DESTRA STORICA Il programma che la destra storica attuò in Italia fu: completare l'unificazione del territorio. cancellare i debiti di guerra e quelli degli stati annessi, contratti con le banche internazionali. imporre a tutta l'Italia lo Statuto Albertino e il modello amministrativo piemontese. la formazione di un forte esercito nazionale. applicazione di una politica economica liberista che facilitasse gli scambi con l'estero. Questo programma venne risolto, per le questioni economiche e amministrative, aumentando le tasse indirette, come la tassa sul macinato, che si pagava per poter macinare il grano (queste tasse colpivano i consumi fondamentali, come quello della farina, quindi opprimevano soprattutto i più poveri), riducendo le spese pubbliche e imponendo nuovi amministratori provenienti dal Piemonte ai territori annessi. Per completare l’unificazione d’Italia si procedette alla Terza guerra d’indipendenza (1866). Questo punto necessitava di un esercito forte, per cui si badò a istituzionalizzare la leva obbligatoria in tutto il Regno, tutti gli uomini che avessero compiuto 21 anni avrebbero dovuto prestare servizio per cinque anni, questo portò alla mancanza di manodopera nelle campagne del sud. LA QUESTIONE MERIDIONALE Subito dopo l'Unità, il sud non ricevette alcun beneficio: le tasse aumentarono, il pane costava di più e i giovani erano costretti a prestare cinque anni di leva obbligatoria. Inoltre il Governo non appariva interessato a varare una riforma agraria che risolvesse il problema più grave del mezzogiorno: il latifondo. MAFIA E BRIGANTAGGIO Si affermarono nel sud organizzazioni parallele allo Stato basate su legami familiari e di parentela: la Mafia in Sicilia, la Camorra a Napoli e la ‘Ndrangheta in Calabria. Non solo continuarono un'antica tradizione, ma svilupparono nuovi contatti con i poteri locali, influenzando l'elezione dei candidati e controllando i flussi di denaro e gli investimenti. Il brigantaggio non era solo un fenomeno criminale, ma indicava il disagio e il diffuso malcontento del sud. Lo Stato rispose occupando militarmente per cinque anni le regioni meridionali. LA TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA Per annettere il Veneto e il Friuli, l’Italia aveva bisogno di un alleato. Questo alleato fu la Prussia dominata dal suo cancelliere (dal 1862 al 1890) Otto von Bismarck (1815-1898). Sia la Prussia, sia l'Italia dovevano combattere contro l'Austria. L'Italia voleva conquistare i territori ancora sotto il dominio asburgico, la Prussia voleva l'unificazione degli Stati tedeschi, di cui l'Austria presiedeva la Confederazione. Nel 1866 Prussia e Italia stipularono un'alleanza. L'Italia garantiva il proprio appoggio alla Prussia e in caso di vittoria avrebbe ottenuto in cambio Veneto e Friuli. La Prussia ebbe presto ragione dell’Austria, grazie alla vittoria di Sadowa. Il 23 agosto 1866 venne firmata la pace di Praga. Questo comportò lo scioglimento della Confederazione germanica, creata dal Congresso di Vienna nel 1815 sulle ceneri della Confederazione del Reno creata da Napoleone I, e la creazione della Confederazione germanica del nord, uno Stato federale guidato dalla Prussia. L'esercito italiano si dimostrò debole e impreparato subendo una sconfitta su terra a Custoza e una sul mare a Lissa. Solo Garibaldi con i suoi Cacciatori delle Alpi sconfisse gli Austriaci a Bezzecca in Trentino. Nonostante le sconfitte l’Italia poté, tramite i propri alleati ottenere Veneto e parte del Friuli. Infatti l’Austria, con un’azione dimostrativa mirata a non dare peso internazionale al Regno d’Italia cedette le due regioni alla Prussia che a sua volta le cedette alla Francia e quindi cedute finalmente all’Italia. Ora bisognava risolvere la questione romana. ROMA CAPITALE Roma dopo il 1860 era rimasta nelle mani del Papa e sotto la tutela dell'esercito francese. Nel settembre del 1864 il Governo italiano firmò una Convenzione con la Francia che prevedeva il graduale ritiro delle truppe francesi che presidiavano Roma, in cambio il Regno d’Italia s’impegnava a non attaccare lo Stato Pontificio e a spostare la capitale del Regno. A dicembre dello stesso anno Vittorio Emanuele II fece spostare la capitale da Torino a Firenze. La Convenzione di settembre e lo spostamento della capitale fecero indispettire l’opinione pubblica democratica che faceva della questione romana uno dei suoi principali oggetti di lotta politica. Mazzini e Garibaldi assieme a molti altri democratici erano favorevoli alla conquista militare e popolare di Roma. Garibaldi stesso tentò di prendere la città con la forza, con una spedizione partita da Caprera e sbarcata in Sicilia nel 1862 ma fu fermato sull’Aspromonte in Calabria dall’esercito italiano, e poi nuovamente nel 1867 dove fu fermato dai francesi a Mentana nel Lazio. In seguito a questi due tentativi non si tenne conto del suo passato di condottiero e venne esiliato a Caprera dove morirà nel 1882. Nel 1870 si presentò l’occasione per la conquista di Roma. La Prussia, per completare la formazione del suo Impero, nel settembre del 1870 attaccò la Francia sconfiggendo pesantemente le truppe di Napoleone III a Sedan, questa sconfitta segnò la fine dell’Impero di Napoleone III e la nascita della terza Repubblica francese. A Versailles il 18 gennaio 1871 venne proclamato il secondo Reich (il secondo Impero tedesco dopo il Sacro Romano Impero Germanico fondato da Ottone I nel 962 e disciolto nel 1806 da Napoleone I). Questo conflitto ebbe importanti conseguenze sulla storia italiana. La guarnigione francese stanziata a Roma in difesa di Pio IX fu richiamata in patria. Il 20 settembre 1870 l'esercito italiano superò la scarsa resistenza delle truppe pontificie conquistando Roma che nel luglio del 1871 diventerà capitale d’Italia. Pio IX si rinchiuse in Vaticano considerandosi ostaggio degli "usurpatori". Nel maggio del 1871 il Parlamento italiano promulgò la “legge delle guarentigie” (garanzie), legge destinata a regolare i rapporti tra Stato e chiesa. Pio IX respinse questa legge giudicata inaccettabile e nel 1874 promulgò il celebre editto "Non expedit" (non conviene) col quale proibiva ai cattolici di partecipare alla vita politica provocando così una grave frattura tra laici e cattolici nel paese appena unificato. L’EPILOGO DEL RISORGIMENTO Per completare l’unità di tutte le genti italiane, con l’annessione del Trentino e della Venezia Giulia, si dovrà aspettare il 1918. Quando l’Italia sconfisse definitivamente l’agonizzante Impero austro-ungarico nella prima guerra mondiale che da alcuni è considerata la Quarta guerra d’indipendenza. Realizzato da Elisa Demanuelli (stesura), Thomas Pigani (revisione e integrazione) e Valentina Cimador (grafica) Il Risorgimento visto dai ragazzi I.S.I.S. Bonaldo Stringher Udine Classe V A Turistico 2010-2011 coordinamento prof. Giancarlo Martina il Laboratorio di Storia Le Tappe essenziali - Nel 1848 Udine si ribella e si unisce a Venezia per cercare di sconfiggere gli austriaci. Questi ultimi però entrano in Friuli e conquistano Udine, Palmanova ed Osoppo. - Nel 1864, Moti di Navarons, dove i friulani tentano una insurrezione contro gli austriaci. Questo attacco però non va a buon fine e i pochi friulani coinvolti sono costretti a fuggire dalle grinfie degli austriaci. - Il 26 Luglio 1866 (Terza Guerra d’Indipendenza) il Friuli entra a far parte del Regno d’Italia. Il Risorgimento nei siti dei comuni del Friuli. Analisi dei siti dei comuni di Reana del Rojale, Buja, Mereto di Tomba, Spilimbergo, Talmassons, Cividale del Friuli, Udine, Pasian di Prato, Portogruaro, Ampezzo, Codroipo Leggendo le notizie storiche relative all’800 nei siti internet dei comuni friulani si evince che tutti passarono dalla Repubblica di Venezia all’Austria nel 1797, in seguito al Trattato di Campoformido tra Napoleone e gli austriaci. Nel 1805 con l’istituzione, da parte di Napoleone, del Regno d’Italia il Friuli fu nuovamente sotto il dominio francese e nel 1815 dopo il Congresso di Vienna tornò sotto l’Austria. Poi nel 1866 a seguito della Terza guerra d’indipendenza passò dall’Austria al Regno d’Italia. Questa è la linea generale comune a tutti e non vi sono dubbi che le notizie siano corrette ma, se si volesse andare più a fondo nella questione, si noterebbe che le notizie scarseggiano nella maggior parte dei siti. Il comune di Reana del Rojale basa la sua storia ottocentesca sulle rogge e sugli enti che le ebbero in concessione. Infatti si legge che nel 1801 sono censite le rogge e le attività ivi presenti, quali: battiferro, battirame, pestelli, mulini e filatoi. In seguito nel 1806 fu istituito il Consorzio Roggia Cividina e nel 1809 il Consorzio Rojale. Nel 1818 si parla di una vertenza del Demanio dello Stato al Consorzio Rojale concernente la utilizzo del bosco Collalto di Savorgnano, risolta con il mantenimento della proprietà da parte del Demanio e del diritto di utilizzo da parte del Consorzio per la manutenzione della roggia. Nel 1863 si vede la costituzione del Consorzio Torre e nel 1866 col passaggio al Regno d’Italia del territorio comunale è confermata la spartizione delle acque del Torre alle tre rogge: quella di Udine, quella di Palma(nova) e quella Cividina. L’ultima notizia relativa al XIX secolo è del 1886 e riguarda il numero dei mulini sulle rogge attivi nel comune di Udine che erano 18. Le poche notizie di carattere politico riguardano il periodo napoleonico, in cui il paese divenne municipio del distretto di Passariano; e che il comune prese la denominazione attuale il 18 agosto 1867, con il passaggio al Regno d’Italia. Storicamente Reana, e il relativo comune, è una zona povera; infatti fino al dopoguerra l’attività economica prevalente oltre all’agricoltura di sussistenza era l’intreccio dello scus, le foglie secche della pianta del mais, con le quali si facevano sporte, gerle, cesti e bambole per i bambini. Data quest’informazione si può capire come le rogge, che passano da secoli nel territorio comunale, siano storicamente importanti per il Rojale e quindi degne di nota; ma il fatto di non riportare nemmeno la data precisa in cui il comune passa al Regno d’Italia è certamente una grave mancanza da parte dell’assessorato alla cultura. Passando al comune di Buja è riportato come la povertà del territorio ne abbia condizionato la vita. Infatti si dice che né il passaggio dalla Francia all’Austria né quello dall’Austria all’Italia riuscirono a sistemare la grave situazione economica presente nella zona. Si dice inoltre che in un periodo non precisato del secolo ci fu un breve miglioramento nella vita delle genti del comune grazie all’apertura di alcune attività di bachicoltura, produzione di mattoni e all’apertura di mulini; il che provocò un aumento della popolazione. In un periodo successivo si legge che cominciò un periodo di emigrazione verso i paesi che potevano vantare la presenza di fornaci sul loro territorio che non cessò nemmeno con il passaggio del comune sotto il Regno d’Italia, ma solamente con la Prima guerra mondiale, che costò al comune molte vittime. Anche qui sono segnalate gravi situazioni di povertà che, come scritto nelle notizie da cui ho ricavato questo breve riassunto, non vennero sanate da nessun Paese sotto il quale il comune si trovò a sottostare. Si aggiunge però un dato interessante, cioè l’emigrazione dovuta alla fame; non in Stati lontani ma nei paesi più o meno limitrofi, dove si poteva trovare lavoro e un po’ di benessere. Questa è la premessa dell’emigrazione friulana che portò, dalla seconda metà dell’800 agli inizi del ‘900, molti nostri conterranei a stabilirsi un po’ in tutto il mondo. Il comune di Mereto di Tomba dice che passò all’Austria nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, e che nel 1816 le frazioni che si amministravano per conto loro persero l’autonomia essendo inglobate nel comune di Mereto, e che nel 1866 il comune passò sotto il Regno d’Italia. A Mereto si mette in luce l’aspetto dell’accentramento governativo, cioè sono soppresse piccole autonomie per costituire un’entità più grande con un controllo centrale. Spilimbergo espone il passaggio all’Austria nel 1797 e fa notare come, nel biennio 1848/49, si manifestarono fermenti liberali che portarono Giovan Battista Cavedalis e Leonardo Andervolti a battersi contro gli austriaci a Venezia e Osoppo. Qui pur omettendo qualsiasi notizia riguardante la vita dei paesani, si fa notare come due personaggi del comune siano passati alla storia per i moti risorgimentali. Riguardo l’800 il comune di Talmassons dice solamente che il comune passò dalla Francia all’Austria col trattato di Campoformido del 1797 e in seguito dall’Austria all’Italia nel 1866. In questo caso si fa solamente riferimento alle notizie basilari del secolo, infatti, non vi sono notizie riguardanti la situazione economica della popolazione o qualsiasi altra questione. Cividale del Friuli è un altro comune che non da altre informazioni riguardanti il XIX secolo, limitandosi a fare un piccolo schema dove si dice che il comune nel 1797 è occupato dai francesi e assegnato al dipartimento di Passariano. Nel 1813 il comune viene a far parte del dominio austriaco e nel 1866 è unito al Regno d’Italia. Qui bisogna dire che, non solo una città importante come Cividale del Friuli, che mira a diventare patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, abbia nel proprio sito internet una così scarsa descrizione storica dopo la fine del dominio longobardo; ma anche il fatto che ci siano dei rimandi a Wikipedia e quindi si nota il lavoro pressoché nullo compiuto nella realizzazione dei cenni storici della città è francamente deludente. Udine dice che tra il 1420 e il 1797 si trova sotto il dominio veneziano e diventa la seconda città più importante della Repubblica. In seguito alla conquista napoleonica si trova a far parte del Regno LombardoVeneto e dopo la restaurazione sotto il dominio austriaco e infine annesso al Regno d’Italia nel 1866. Già il fatto che sulla città di Udine, capitale del Friuli, si trovino così pochi dati riguardanti l’800 lascia perplessi, ma considerando anche che queste informazioni non si trovano sul sito del comune (dove non vi sono notizie storiche di nessun genere) ma su Wikipedia fa pensare come l’aspetto storico sia tenuto in bassissima considerazione. Il comune di Pasian di Prato dice che il territorio comunale si trovava sotto il dominio veneziano fino al 1797, anno in cui passò dalla breve parentesi francese all’Austria e vi rimase fino al plebiscito del 21 e 22 ottobre 1866, con il quale il comune passò al Regno d’Italia. Anche se il comune da solamente le informazioni basilari sulla storia ottocentesca viene inserito un dato in più rispetto agli altri comuni, cioè le date esatte del plebiscito che sancì il passaggio del Friuli all’Italia. Portogruaro dice che il proprio territorio passò all’Austria, dopo la sconfitta della Serenissima da parte dei francesi, in seguito al Trattato di Campoformido del 1797. Nel biennio 1848/49 anche qui si andò a formare una Repubblica, come conseguenza dei moti libertari del periodo, che poi fu sconfitta dagli austriaci, tornando sotto il loro dominio. Nel 1866 Portogruaro finì in mano italiana dopo la Terza guerra d’indipendenza. Portogruaro, sebbene ora si trovi nella regione Veneto, fa parte della “Patria del Friuli”, cioè l’area che coincideva con il Patriarcato di Aquileia, dove in passato erano presenti popolazioni friulanofone. Per quanto riguarda l’800 anche il comune di Portogruaro dalle solite informazioni generiche ma, come il comune di Spilimbergo fa anche riferimento al ’48. Ampezzo vive un breve periodo di instabilità a seguito della conquista napoleonica della Serenissima. Nel gennaio del 1798 la Carnia passa sotto il controllo austriaco e tutte le tracce di innovazioni giuridiche e amministrative portate dai francesi sono cancellate. La Carnia doveva fornire all’Austria carri, cavalli e uomini; in cambio le esenzioni e l’autonomia del periodo veneziano vennero meno, portando una situazione di estrema povertà nelle popolazioni. Il 26 dicembre 1805 la Carnia tornò sotto il dominio napoleonico, in seguito alla costituzione del Regno d’Italia. Con la legge dell’8 giugno 1805 cambiò l’organizzazione comunale. Il Prefetto sceglieva il sindaco e il consiglio comunale, quest’ultimo si riuniva due volte l’anno per eleggere i due assessori che avrebbero amministrato il territorio assieme al sindaco. In più durante il periodo napoleonico fu formato il Cantone di Ampezzo, dando al paese un nuovo slancio economico e importanza. Nell’ottobre del 1813 Ampezzo tornò all’Austria e il 7 aprile 1815 fu inserito assieme al resto della Carnia nel Regno Lombardo-Veneto; il modello amministrativo napoleonico fu mantenuto e Ampezzo divenne sede del XIX distretto del Veneto, con il ruolo di capoluogo dell’alta valle del Tagliamento. Durante il periodo delle guerre d’indipendenza furono numerosi gli ampezzani che combatterono come volontari contro gli austriaci, alcuni si distinsero per le loro azioni, altri dovettero fuggire dal paese natale a causa della loro scelta politica o per la diserzione dall’esercito austriaco. Nel 1866 ad Ampezzo passarono due squadre garibaldine dirette a Tolmezzo e, con la vittoria prussiana nella Terza guerra d’indipendenza, il paese fu inserito nelle soluzioni diplomatiche con l’Austria e divenne parte del Regno d’Italia in seguito al plebiscito del 22 ottobre. L’economia del paese si basava sulla silvicoltura, sull’agricoltura e sull’artigianato; ma nessuna di queste attività resero economicamente autosufficiente l’area o le famiglie. Per questo motivo il fenomeno della migrazione si fece particolarmente grave. Dapprima la migrazione aveva carattere stagionale, cioè i carnici emigravano in pianura, in Austria, in Svizzera, in Germania o in Veneto per lavorare prevalentemente come sarti, e quindi tornavano al proprio paese d’origine d’estate. Poi avvicinandosi al ‘900 l’attività prevalente era quella di muratore e quindi il periodo di ritorno era quello dell’inverno, cioè quando non era possibile lavorare nei cantieri. Poi, soprattutto con le migrazioni verso l’America, l’emigrazione divenne stabile e ciò provocò lo spopolamento della montagna. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale gli ampezzani combatterono valorosamente ai confini della Carnia, sul Pal piccolo, sul Pal grande e sul Freikofel e riportarono ingenti perdite: 71 tra morti e dispersi. Il comune di Ampezzo da molte informazioni sul secolo, di grande importanza riguardo sia l’aspetto istituzionale che quello socio economico. In generale da un bell’affresco su tutta la Carnia. Nel territorio tra Codroipo e il Tagliamento. Qui nel 1797 si svolge la battaglia del Tagliamento che vide i francesi vincitori sugli austriaci. A seguito di questa battaglia l’intero territorio dell’ex Repubblica di Venezia passò sotto il controllo francese per un breve periodo, fino al Trattato di Campoformido che fece passare il territorio all’Austria. In questo periodo a causa del passaggio dei due eserciti la popolazione subì numerosi danni e spoliazioni. A Passariano, a villa Manin, Napoleone installò il proprio quartier generale e il suo corpo diplomatico nel periodo delle trattative di Campoformido. Nei settant’anni successivi alla partenza di Napoleone, la situazione economico-sociale del paese subì un forte peggioramento, a causa dei rifornimenti necessari alla fortezza di Palmanova, della carestia, della coscrizione obbligatoria e dell’emigrazione che portarono a una pesante diminuzione della forza lavoro che si rifletté sulla produzione agricola. Nonostante questo, nei primi anni del secolo, ci furono dei tentativi di industrializzazione, portati avanti da borghesi, come le prime filande, e nobili locali, come i Manin che aprirono una cartiera. La direttrice che porta a Udine e poi in Austria fece in modo che l’economia del paese riprendesse fiato, grazie ai traffici commerciali tra il LombardoVeneto e il resto dell’Impero: legname e ferro da nord e manufatti e generi alimentari da sud. Nel 1860, con l’apertura della ferrovia Mestre-Cormons che passa per Codroipo, portò nuove possibilità di aumento dei commerci e cambiò il volto del paese; vennero infatti eliminati la cortina, i fossi e vennero realizzate nuove costruzioni. Il passaggio della diligenza della posta in piazza e il passaggio di personaggi autorevoli fece si che anche a Codroipo venissero divulgate le idee liberali che stavano smuovendo le menti del mondo. Nel 1859, anche con il pesante controllo militare austriaco, si viene a formare in paese un Comitato politico clandestino, con lo scopo di annettere il Friuli all’Italia. Nel 1866 ci fu l’annessione del paese al Regno d’Italia, ma questo avvenimento fu particolarmente gravoso per la popolazione. Gli austriaci in ritirata tentarono di interrompere le vie di comunicazione e l’arrivo delle truppe italiane preoccupava la cittadinanza. Sul finire del secolo il paese cominciò una fase di modernizzazione, con il miglioramento dell’agricoltura e l’inizio dell’industrializzazione, Codroipo divenne anche un importante emporio, con la presenza dei mercati del grano e del bestiame. Questi cambiamenti fecero si che in paese avvenisse un fenomeno di trasformazione economica e sociale e che il centro assumesse un aspetto più moderno. Anche su Codroipo si trovano molte informazioni, soprattutto su villa Manin e sul suo utilizzo nel finire del ‘700, e sulle trasformazioni socio-economiche avvenute durante il XIX secolo. Però c’è da dire che queste informazioni non si trovano sul sito internet del comune ma su wikipedia. Dopo aver analizzato le informazioni date dai siti comunali di alcuni centri friulani si possono trarre alcune conclusioni: certamente le genti del Friuli, essendo questa una terra povera e prevalentemente agricola, durante l’800 non si ebbero ideali libertari come in altri luoghi d’Italia perché troppo occupati a sopravvivere e a fornire le prestazioni comandate dallo Stato sotto il quale si trovavano. Comunque, anche tenendo conto di questo fatto, non si può certo dire che i vari assessorati alla cultura dei comuni presi in analisi (fatta eccezione per il comune di Ampezzo) si siano dannati l’anima per fornire un’esaustiva cronaca degli avvenimenti del XIX secolo nel proprio territorio. In particolar modo si può fare una speciale nota di biasimo al comune di Udine che nel proprio sito non presenta assolutamente nessuna informazione di carattere storico, relativa non solo all’800 ma a tutti i periodi storici antecedenti e posteriori. In ogni caso si nota che lo spirito friulano del lavoro si fa particolarmente forte nelle notizie relative alle condizioni socio-economiche generali come, ad esempio, l’attenzione della storiografia del comune di Reana del Rojale sul mantenimento delle rogge. Detto questo si può dire che nell’800 il Friuli, salvo determinati casi, abbia subito i cambiamenti politici senza preoccuparsene molto, essendo la popolazione impegnata nella lotta alla sopravvivenza, che porterà alle migrazioni sul finire del secolo. Thomas Pigani Antonio Andreuzzi: Navarons 1804 † San Daniele 1874 Medico laureato a Padova, affiliato alla Giovine Italia di Mazzini partecipò ai moti del 1848 nella zona di Forni di Sotto e organizzò i moti di Navarons del 1864, sempre in chiave antiaustriaca. Infine partecipò alla Terza guerra d’indipendenza (1866) come medico militare a seguito dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Silvio Andreuzzi: Navarons 1842 † 1912 Figlio di Antonio Andreuzzi. A 17 anni si arruola nell’esercito sabaudo come bersagliere e combatte nella Seconda guerra d’indipendenza venendo ferito a San Martino. Nel 1860 partecipa alla spedizione dei Mille e alla prima spedizione di Garibaldi per liberare Roma (1862) fallita sull’Aspromonte. Nel 1864 partecipa ai moti di Navarons e nel 1866 è nuovamente con Garibaldi in Trentino. Carlo Armellini: Roma 1777 † Saint-Josse-Ten-Noode 1863 Giurista e politico di idee moderate, sostenendo la politica riformista di Pio IX. Fu collaboratore del settimanale politico “Il Contemporaneo”. Dopo la fuga di Pio IX a causa dei moti del 1848 si spostò su idee più radicali, il 23 dicembre 1848 venne nominato Ministro dell’Interno e in seguito, il 29 marzo 1849, triumviro della Repubblica romana. Contribuì alla stesura della Costituzione del nuovo stato. Con l’arrivo dei francesi riparò in Belgio dove morì. Leonardo Andervolti: Spilimbergo 1805 † 1867 Frequentò l’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Allo scoppio dei moti del 1848, nel biennio rivoluzionario, si distinse particolarmente per l’eroica difesa del forte di Osoppo, che tenne in scacco gli austriaci per vario tempo. Alla resa del forte gli austriaci mostrarono il loro rispetto nei confronti dei difensori concedendogli l’onore delle armi. Cesare Balbo: Torino 1789 † 1853 La sua giovinezza fu segnata dai continui spostamenti in Europa a causa della professione di ambasciatore del padre, grazie a queste peregrinazioni venne a contatto con le idee illuministe che fermentavano all’epoca. Nel 1804 fondò l’Accademia dei Concordi e fu chiamato spesso a servizio da Napoleone, ma a causa delle sue idee libertarie cercò di sottrarsi a questi compiti e al controllo imperiale. Cominciava a formarsi intanto il suo pensiero di un’Italia unita sotto i Savoia, costituzionale e con un ordinamento federale. Balbo non credeva nelle idee insurrezionali né nelle idee del Re, per questo era malvisto da entrambe le parti, per questo era particolarmente malvisto da Carlo Alberto che decise di confinarlo nel suo castello di Camerano. Tra il 1821 e il 1847 visse praticamente isolato, dedicandosi alla scrittura, nel 1844 pubblicò la sua opera più importante: “Le speranze d’Italia”. In quest’opera illustrò le sue idee sulla confederazione degli stati italiani e sul fatto che il più grande nemico dell’unità italiana era l’Austria. Nella sua opera diceva inoltre che l’unità poteva arrivare solo in quattro modi: con un accordo tra i Principi italiani, con un’insurrezione, con l’aiuto di una potenza straniera e come conseguenza di una situazione internazionale favorevole. Concludeva, infine, dicendo che il primo metodo sarebbe stato impossibile, non praticabile il secondo, troppo pericoloso il terzo per i suoi possibili risvolti politici e sociali, quindi non restava che sperare nell’ultimo. Nel 1848 venne riavvicinato alla corte e fu incaricato di guidare il primo gabinetto costituzionale, ma per le sue idee sulla guerra contro l’Austria e la conseguente ostilità parlamentare si dimise dopo soli tre mesi. Nel 1852 cercò l’alleanza con Cavour e D’Azeglio per formare un nuovo governo, ma a causa di vecchi rancori gli fu rifiutata. Si ritirò dalla vita politica e dopo meno di un anno morì. Attilio Bandiera: Venezia 1810 † Vallone di Rovito (Cosenza) 1844 Emilio Bandiera: Venezia 1819 † Vallone di Rovito (Cosenza) 1844 Figli del Barone Francesco Bandiera, ammiraglio della flotta austriaca, furono ufficiali della marina austriaca a loro volta. Aderirono agli ideali mazziniani fondando la società segreta Esperia, con essa parteciparono ai moti di Cosenza, guidati da Galluppi. Il 13 marzo 1844, disertarono la marina austriaca partendo da Corfù in direzione della Calabria. Sbarcati vicino a Crotone il 16 giugno seppero che la rivolta era stata sedata ma decisero ugualmente di proseguire la loro spedizione muovendosi verso la Sila. Furono traditi da un loro compagno che li denunciò alle autorità borboniche e vennero catturati alle porte di San Giovanni in Fiore. Vennero condannati a morte dalla corte marziale e fucilati nel vallone di Rovito, presso Cosenza il 25 luglio del 1844 assieme ai loro compagni. Otto Eduard Leopold von Bismarck: Schönhausen 1815 † Friedrichsruh 1898 Cancelliere del Regno di Prussia dal 1862 e del II Reich (Secondo Impero germanico) dal 1871 al 1890 fu il principale artefice dell’unità tedesca, avvenuta in tre fasi. Nel 1864 la Prussia assieme all’Austria combatté una guerra contro la Danimarca per la conquista degli stati tedeschi dello Schleswig e dell’Holstein che col Congresso di Vienna del 1815 erano stati assegnati alla corona danese. Nel 1866 la guerra contro l’Austria, a fianco dell’Italia, che si concluse con l’annessione da parte prussiana di diversi stati germanici a nord e con la creazione di un’entità federale (la Confederazione germanica del nord) egemonizzata dalla Prussia. L’ultima fase dell’unificazione fu la guerra contro la Francia del 1870 che portò all’annessione di Alsazia, Lorena e dei regni tedeschi al sud e alla proclamazione dell’Impero tedesco a Versailles il 18 gennaio 1871 con a capo l’Imperatore Guglielmo I. Bismarck fece dell’Impero la seconda potenza industriale al mondo e perno degli equilibri politici europei. All’interno dello Stato tedesco negli anni ’80 istituì le pensioni sociali e in campo estero dette il via all’espansione coloniale tedesca nei territori africani ancora liberi. Nel 1888 salì al trono Guglielmo II che fece in modo di far dimettere Bismarck (ciò avvenne nel 1890) per controllare di persona la politica tedesca. Angelo Brunetti: Roma 1800 † Porto Tolle 1849 Oste che si batté per la Repubblica romana. Con la definitiva sconfitta dei volontari repubblicani fuggì con Garibaldi per raggiungere Venezia ma morì nella fuga a Porto Tolle sulla foce del Po. Carlo Alberto Amedeo di Savoia Conte di Barge, settimo Principe di Carignano e Re di Sardegna: Torino 1798 † Porto 1849 Proveniente dal ramo secondario della famiglia Savoia, i Savoia-Carignano, passò l’infanzia tra Lipsia, Parigi e Ginevra, studiò presso dei monaci calvinisti in Francia e Svizzera poi fece ritorno a Torino nel 1814 e qui si avvicinò agli ambienti carbonari. Nel 1817 sposò Maria Teresa d’Asburgo-Toscana. Nel 1821 si compromise con i moti rivoluzionari che videro come protagonista Santorre di Santarosa, all’abdicazione di Vittorio Emanuele I fu istituito un governo provvisorio con Carlo Alberto in qualità di reggente, durante questo breve periodo concesse la costituzione al regno. Al ritorno dello zio Carlo Felice cadde il governo provvisorio e il nuovo Re revocò la costituzione e mandò il nipote in Toscana per la colpa di essersi compromesso con l’insurrezione. Nel 1823 con l’insurrezione in Spagna Carlo Alberto si unì alla spedizione francese mandata per sedarla. Questo gesto fu significativo per cercare il perdono dello zio, infatti fu una dimostrazione di rinnegazione delle idee che lo avevano portato, due anni prima, a schierarsi con gli insorti liberali e quindi essere legittimato alla carica di Principe ereditario. Il 27 aprile 1831, alla morte dello zio, divenne Re di Sardegna. Il suo primo periodo di regno fu reazionario, infatti condannò la rivoluzione di luglio, che portò Luigi Filippo d’Orleans sul trono di Francia, e stipulò un trattato di alleanza con l’Austria. Combatté una dura lotta antiliberale, firmando nel 1833 varie condanne a morte contro i carbonari e una in contumacia a Mazzini. In seguito però tornò su posizioni più progressiste, grazie anche all’influenza di liberali quali D’Azeglio e Gioberti, lavorò per risanare l’economia, promuovere lo sviluppo economico dello Stato, riformare l’esercito, avviare riforme amministrative, ampliare la libertà di stampa e costruire le ferrovie Torino-Genova e Torino-Milano. Nel 1837 abolì i diritti feudali e introdusse il nuovo codice civile, ricalcando quello napoleonico, e nel 1838 il nuovo codice penale. Il 4 marzo 1848 concesse lo Statuto albertino al Regno di Sardegna, per calmare gli animi nel regno in conseguenza dei moti che erano scoppiati in tutta Italia. Il 23 marzo, spinto dai patrioti, dichiarò guerra all’Austria. Il suo intento era di sfruttare lo slancio delle sommosse popolari che avevano cacciato gli austriaci dal nord Italia e quindi liberarlo definitivamente. Guidò personalmente le sue truppe in più di una battaglia ma nonostante le prime vittorie di Goito e Peschiera, e l’annessione dopo un plebiscito della Lombardia al Regno di Sardegna, a causa della disorganizzazione dell’esercito piemontese fu lasciato all’esercito austriaco il tempo di riorganizzarsi. Il feldmaresciallo Radetzky aveva riconquistato le città del Veneto una a una e tra il 23 e il 27 luglio con la battaglia di Custoza costrinse i piemontesi a firmare l’armistizio Salasco (dal nome del generale che lo firmò) che li impegnava a ritirarsi oltre il Ticino. Spinto dal Parlamento, il 12 marzo 1849 Carlo Alberto ricominciò la guerra con l’Austria ma già pochi giorni dopo, il 27 marzo, l’esercito piemontese fu sconfitto duramente a Novara (in territorio piemontese). In conseguenza alla sconfitta Carlo Alberto chiese un armistizio a Radetzky e abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele. Carlo Alberto andò in esilio volontario a Porto dove morì il 28 luglio del 1849. Carlo Cattaneo: Parabiago 1801 † Lugano 1869 Cominciò la sua carriera scolastica in seminario ma a 17 anni lo lasciò per il Liceo di Porta Nuova, dove si diplomò nel 1820, cominciò a insegnare latino alla Congregazione Municipale di Milano (posto che mantenne per 15 anni) e nel ’24 si laureò in giurisprudenza a Pavia. Pubblicò varie opere di divulgazione storica e geografica e nel 1848, con la revoca delle concessioni fatte a Milano da parte di Radetzky, guidò l’insurrezione delle cinque giornate, rifiutò l’intervento piemontese perché considerava il Regno di Sardegna meno sviluppato e democratico della Lombardia. In seguito alla fine dei moti del biennio 1848-49 si ritirò presso Lugano, dove fondò il Liceo, convinto laicista volle istituire delle scuole in contrapposizione all’istruzione guidata dalla chiesa, per formare le nuove generazioni borghesi. Morì a Lugano nel 1869. Viene ricordato per il suo pensiero federalista, prendendo d’esempio la Svizzera, secondo Cattaneo l’Italia unita avrebbe dovuto adottare questo sistema. Giovan Battista Cavedalis: Spilimbergo 1797 † 1858 Ingegnere ferroviario, fu direttore dei lavori nella costruzione della linea Lubiana-Vienna. Allo scoppio dei moti di Milano nel 1848, il 23 marzo, insorse anche la città di Udine. Cacciati gli austriaci, che si ritirarono a Gorizia, Cavedalis divenne capo del comitato di difesa assieme a Duodo e Conti. Il governo provvisorio della città di Udine non volle unirsi alla Repubblica di San Marco, Cavedalis si schierò contro questa politica, conscio dell’imminente ritorno in forze degli austriaci e bisognoso di aiuti. Con l’arrivo degli austriaci Cavedalis negoziò la resa della città, ottenendo il diritto di restare in patria. Morì a Spilimbergo nel 1858. Camillo Paolo Filippo Giulio Benso nobile dei Marchesi di Cavour, Conte di Cellarengo e di Isolabella: Torino 1810 † 1861 Aristocratico piemontese votato alla politica. Dopo aver frequentato la Regia Accademia Militare di Torino all’età di 17 anni diventa ufficiale del Genio. Nel 1832 diventa sindaco di Grinzane, dove la sua famiglia aveva dei possedimenti (ricoprirà tale carica fino al 1848). Lo stesso anno inizia a viaggiare per i paesi industrializzati europei, specialmente in Francia e Inghilterra. In questi anni di viaggio conosce molti intellettuali europei, affina il suo interesse per l’industrializzazione e frequenta la Sorbona di Parigi. Fa rientro in Piemonte nel 1843, nel 1847 fonda il periodico “Risorgimento”, sulle pagine del quale si esprime in favore della concessione di una Costituzione e nel 1848 a favore di una guerra contro l’Austria per stemperare le minacce d’insurrezione. Con l’andamento sfavorevole della guerra denuncia le mancanze della classe aristocratica militare, affermando la necessità di un governo di stampo liberale. Il 27 aprile 1848 ci furono le prime elezioni del nuovo regime costituzionale e il 26 giugno 1848 divenne deputato della nuova Camera dei Deputati del Parlamento nelle file della destra. Nel 1850 entra a far parte del governo in qualità di Ministro dell’agricoltura, nel 1851 è Ministro delle finanze e nel 1852 Capo del Governo. L’inizio della guerra di Crimea nel 1853 venne visto da Cavour come un’ottima possibilità di rendere pubblica in Europa la questione italiana. Con l’entrata in guerra di Inghilterra e Francia a fianco dell’Impero Ottomano contro la Russia, il Regno di Sardegna il 4 marzo 1855 dichiarò guerra alla Russia impiegando un contingente di 15.000 uomini. La vittoria nella guerra permise infatti a Cavour di parlare a proposito dell’unità d’Italia alla conferenza di pace di Parigi del 1856. Nel luglio del 1858 firmò con Napoleone III l’accordo di Plombières, secondo il quale la Francia avrebbe aiutato il Regno di Sardegna in caso di attacco austriaco, ottenendo in cambio Nizza e la Savoia. Questi accordi prevedevano anche la formazione di quattro Stati italiani suddivisi in base geografica: nord, centro, Stato pontificio e Regno delle due Sicilie. Nei primi mesi del 1859 Cavour e Vittorio Emanuele II cercarono di provocare un attacco austriaco attraverso discorsi e mobilitazioni militari. In seguito a un ultimatum inviato dall’Austria e subito rifiutato da Cavour il 26 aprile 1859 iniziò la Seconda guerra d’indipendenza. I franco-piemontesi ebbero la meglio sugli austriaci ma l’11 luglio Napoleone III uscì dalla guerra con l’armistizio di Villafranca (essendo uscito dalla guerra prima della vittoria decisiva la Francia non ebbe in cambio i territori promessi a Plombières), secondo il quale al Regno di Sardegna sarebbe andata solamente la Lombardia, Cavour amareggiato si dimise il 12 luglio da Capo del Governo, cominciò così la questione delle annessioni. Il 22 dicembre Cavour fu richiamato a presiedere il Governo dal Re e riprese la carica il 21 gennaio 1860. Per risolvere la questione delle annessioni Cavour ripromise Nizza e la Savoia alla Francia in cambio dell’autorizzazione ad annettere al regno Modena, Parma, Toscana e Romagna attraverso dei plebisciti. Il 5 maggio partì la spedizione dei Mille, della quale Cavour diffidava per paura che al sud liberato venisse istituita una Repubblica e che le camicie rosse potessero muovere verso Roma. Per questo cercò di ostacolare Garibaldi in più di un’occasione. Per sventare definitivamente questo pericolo chiese il permesso a Napoleone III di attraversare lo Stato pontificio con l’esercito per andare a bloccare Garibaldi. L’11 settembre le truppe piemontesi entrarono in territorio pontificio e il 18 settembre, con la vittoria di Castelfidardo, occuparono le Marche e l’Umbria che vennero annesse al Regno con dei plebisciti. Il 26 ottobre con l’incontro di Teano Garibaldi consegnò il sud a Vittorio Emanuele II. Il 3 febbraio 1861 finirono le prime elezioni del Regno unificato, nelle quali vinse Cavour, che fu così il primo Capo di Governo del Regno d’Italia proclamato da Vittorio Emanuele II il 17 marzo. Cavour morì a Torino il 6 giugno lasciando il compito di Capo del Governo a Ricasoli. Giovan Battista Cella: Udine 1837 † 1879 Laureato in legge, combatté nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi nella Seconda guerra d’indipendenza, partecipò alla spedizione dei Mille. Nel 1864 fu uno dei principali promotori dei falliti moti di Navarons con la Banda di Majano. Nel 1866 si arruolò volontario nei bersaglieri milanesi come sottotenente e combatté valorosamente nella battaglia di Ponte Caffaro dove fu ferito. Nel 1867 si unì nuovamente a Garibaldi nel fallito tentativo di far insorgere Roma. Aderì all’estrema sinistra ma, deluso, si suicidò nel cimitero di Udine sparandosi due colpi di pistola, il 16 novembre 1879. Francesco Crispi: Ribera 1818 † Napoli 1901 Avvocato, nel 1846 cominciò a esercitare la professione a Napoli, allo scoppio dei moti indipendentisti siciliani del 12 gennaio 1848 raggiunse Palermo e combatté con gli insorti. Con la restaurazione borbonica fuggì in Piemonte. Qui lavorò come giornalista ma a causa della sua partecipazione all’organizzazione dei moti mazziniani di Milano del 1853 venne espulso dal Piemonte, si rifugiò prima a Malta e poi a Parigi. Nel 1858 partecipò all’attentato a Napoleone III di Orsini e fu espulso dalla Francia. Nel 1859 rientrò in Italia percorrendo la Sicilia per preparare l’invasione dell’isola del 1860. Tornò a Genova per organizzare la spedizione di Garibaldi e dopo la caduta di Palermo fu nominato Ministro dell’Interno e delle Finanze del governo provvisorio ma a causa di contrasti tra Garibaldi e gli immissari di Cavour fu costretto a dimettersi per la sua opposizione all’annessione al Regno di Sardegna. Con la conquista di Napoli fu nominato da Garibaldi ministro degli Esteri ma con l’arrivo delle truppe piemontesi e il ritiro a Caprera di Garibaldi fu costretto a dimettersi nuovamente. Nel 1861 divenne deputato per la sinistra al parlamento italiano e nel 1864 si convertì da repubblicano a monarchico dicendo “la monarchia ci unisce, la Repubblica ci divide”. Nel 1866 rifiutò di entrate nel governo Ricasoli, nel 1867 si pronunciò contro la spedizione di Garibaldi per liberare Roma e nel 1870 fu contrario all’alleanza con la Francia nella guerra francoprussiana e si adoperò per trasferire il governo a Roma. Nel 1876 con la salita al potere della sinistra fu nominato Presidente della Camera ma a causa di uno scandalo di carattere privato nel 1878 è costretto a dimettersi. Nel 1887 diventò Ministro degli interni del governo Depretis, sostituendolo, a causa della sua morte, lo stesso anno alla carica di Primo Ministro. Nel 1889 approvò il nuovo codice penale progressista di Zanardelli, che garantiva la libertà di associazione, di sciopero e aboliva la pena di morte. In campo economico prese una piega protezionista, imponendo forti dazi sui prodotti commerciali e rafforzò l’industria siderurgica e metallurgica costruendo nuove infrastrutture. Nel 1889 grazie al trattato di Uccialli col Negus di Etiopia Menelik ottenne il riconoscimento dei possedimenti italiani sul Mar Rosso che presero il nome di colonia Eritrea e l’anno successivo con degli accordi con i sultani locali ottenne il protettorato sulla Somalia. Nel 1891 lasciò il governo a di Rudinì e alla caduta del successivo governo Giolitti assunse nuovamente la carica di Primo Ministro, attuando una politica conservatrice e autoritaria, reprimendo duramente i movimenti di protesta contadini e operai e sciogliendo il Partito Socialista dei Lavoratori nel 1894. Nel 1895 riprese la penetrazione in Etiopia. La spinta coloniale si arrestò definitivamente con la grave sconfitta di Adua del 1° ottobre 1896, a causa della quale Crispi fu costretto a dimettersi e si ritirò a vita privata. L’ultima sua apparizione pubblica fu al funerale del Re Umberto I. Morì a Napoli nel 1901. Francesco Luigi Emanuele di Paola Principe di Borbone delle Due Sicilie, Conte di Trapani – Francesco II: Napoli 1827 † Parigi 1892 Educato in maniera religiosa, nella giovane età non venne istruito adeguatamente in ambito politico e militare. Sposò nel 1859 Maria Sofia di Baviera, sorella della moglie di Francesco Giuseppe d’Austria e lo stesso anno salì al trono, alla morte del padre. In politica interna si prodigò nel migliorare le condizioni sociali del suo popolo e in politica estera dapprima si assestò sulle posizioni conservatrici austriache ma con lo sbarco e le vittorie di Garibaldi andò a cercare l’alleanza con il Regno di Sardegna che la rifiutò. Nonostante fosse informato del giorno preciso in cui Garibaldi sarebbe arrivato in Sicilia e avendo una potente flotta navale in loco e un vasto dispiegamento di uomini sulla costa, il tradimento dei generali collusi con i piemontesi fece si che l’avanzata dei Mille non incontrasse grande resistenza fino a Napoli. Qui il Re, consigliato dal suo ministro dell’Interno Liborio, si ritirò a Gaeta per evitare che la città fosse distrutta dagli assedianti. A Gaeta i borbonici combatterono stoicamente contro l’esercito sabaudo per tre mesi. Alla capitolazione della fortezza Francesco II fuggì via mare a Roma dove fu ospitato da Pio IX. Qui rimase fino al 1870 tentando di organizzare una resistenza armata nel suo vecchio Regno contro i piemontesi. Con la caduta di Roma si trasferì a Parigi, dove morì nel 1892, vivendo privatamente senza grandi mezzi economici, data la confisca dei beni dei Borbone in Italia da parte dei sabaudi. Franz Josef 1. von Österreich della casata degli Habsburg-Lothringen (Asburgo-Lorena) – Francesco Giuseppe I: Schloss Schönbrunn 1830 † 1916 Imperatore d’Austria, dal 1867 Re d’Ungheria e fino al 1866 Re del Lombardo-Veneto, sale al trono nel dicembre del 1848, lo stesso anno dei moti che portarono alla Prima guerra d’indipendenza. Per tutto il suo regno dovette affrontare la questione italiana e il progressivo declino dell’Impero, anche se fortunatamente per lui non ne vedrà il discioglimento. Nel 1849 affrontò i moti indipendentisti ungheresi e cechi con una sanguinosa repressione e vinse la guerra con il Regno di Sardegna. Nel 1853 subì un attentato da parte di un indipendentista ungherese. Nel 1859 si trovò a dover combattere nuovamente contro i piemontesi, stavolta aiutati dai francesi, che vinsero nella Seconda guerra d’indipendenza; perdendo così il dominio sulla Lombardia. Nel 1863 dovette affrontare la morte del fratello Massimiliano eletto Imperatore del Messico e fucilato poco dopo dai rivoltosi. Nel 1866 una nuova guerra, contro la Prussia e il Regno d’Italia; l’Austria perse la potestà sulla Confederazione germanica e i territori del Veneto e del Friuli. Nel 1867, per attenuare le tensioni interne all’Impero, trasformò l’Impero d’Austria in Impero Austro-Ungarico, adottando la formula della doppia corona: Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria. Nel 1914 l’Impero Austro-Ungarico avviò il processo che avrebbe portato alla Prima guerra mondiale. Francesco Giuseppe morì nel novembre del 1916 e quindi non vide la fine della guerra e dell’Impero. Giuseppe Garibaldi: Nizza 1807 † Isola di Caprera 1882 Fin da piccolo di indole avventurosa, all’età di 16 anni cominciò a navigare, come mozzo, per il mondo. A 26 anni si trovò a portare dei cittadini francesi mandati in esilio a Costantinopoli, da loro apprese l’idea di combattere per la libertà dei popoli oppressi ovunque essi siano. Giunto a Costantinopoli si reimbarcò per la Russia. Giunto in Crimea apprese le idee mazziniane in un’osteria. Arruolatosi nella marina militare sabauda cominciò a fare propaganda a queste idee, venendo così segnalato alla polizia. In seguito per raggiungere il luogo di un’insurrezione che non avvenne mai nel 1834 si assentò dalla nave, dove prestava servizio ed essendo assente senza licenza venne ricercato per diserzione. Per questo scappò prima in Francia e poi in Brasile. In Sud America si dedica all’attività di corsaro, liberando vari schiavi neri dalle navi da lui attaccate. Tra il 1841 e il 1846 combatté contro gli argentini come ufficiale della marina dell’Uruguay. Nel 1848 tornò in Italia per combattere nella Prima guerra d’indipendenza, come generale volontario delle milizie della Milano liberata, sulle Alpi lombarde. Finita la guerra con l’Austria nel 1849 combatté per la Repubblica romana, attaccata dalle truppe francesi e del Regno delle Due Sicilie, fino alla capitolazione del 30 giugno 1849. Da Roma cercò di scappare a Venezia per aiutare i ribelli della Repubblica di San Marco. Ma non riuscendo giungere in tempo ripiega verso il Regno di Sardegna, braccato dagli austriaci, il 5 settembre si trova a Savona, in salvo. Da qui ricominciò a navigare per il mondo fino al 1859 quando divenne maggiore generale dei Cacciatori delle Alpi, con i quali combatté la Seconda guerra d’indipendenza sulle Alpi lombarde fino all’armistizio di Villafranca. Il 5 maggio 1860 requisì nel porto di Quarto due piroscafi e partì con i suoi Mille alla volta della Sicilia. Si fermò a Talamone per fare rifornimento di armi e sbarcò a Marsala l’11 maggio e il 14 assume la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II. Nel giro di due mesi conquista tutta la Sicilia e si dirige verso Napoli; il 19 agosto sbarca in Calabria e il 2 ottobre controlla l’intero Regno delle Due Sicilie. Il 26 ottobre incontra a Teano Vittorio Emanuele II e gli consegna il sud Italia, in seguito si ritirò a Caprera. Nel 1862 comandò la prima spedizione per liberare Roma, partendo da Caprera il 27 giugno sbarcò prima in Sicilia per accrescere il suo esercito poi il 25 agosto sbarcò in Calabria e proseguì verso l’Aspromonte dove, il 29 agosto, trovò un contingente dell’esercito italiano ad aspettarlo. La battaglia durò poco, Garibaldi fu ferito e arrestato. Rimase in carcere fino alla concessione dell’amnistia da parte del Re il 5 ottobre. Dopo la liberazione Garibaldi se ne andò in Inghilterra. Nel 1866 fu di nuovo generale dei Cacciatori delle Alpi tra Brescia e il Trentino nella Terza guerra d’indipendenza. A Bezzecca colse l’unica vittoria italiana del conflitto; preparandosi a conquistare Trento venne raggiunto dal telegramma che gli imponeva, dopo la firma dell’armistizio di Cormóns, di ritirarsi. Nel 1867 organizzò un secondo tentativo di liberare Roma, partito sempre da Caprera giunse a Firenze e da qui si mosse per il Lazio, giunto a Mentana trovò il contingente francese che lo sconfisse, tornò così in esilio volontario a Caprera. Nel 1870 combatté per la Francia nella guerra franco-prussiana. Nel 1874 venne eletto Deputato del Regno d’Italia e si batté per il suffragio universale, fondando nel 1879 la Lega della Democrazia. Muore a Caprera il 2 giugno 1882. Vincenzo Gioberti: Torino 1801 † Parigi 1852 Ordinato prete nel 1825, fu influenzato dagli ideali mazziniani e della libertà italiana dagli stranieri. Nel 1831 fu nominato cappellano di Carlo Alberto ma a causa delle sue idee dovette ritirarsi dall’incarico nel 1833. Fu arrestato con l’accusa di ordire un complotto e quindi bandito dal Regno di Sardegna. Si trasferì prima a Parigi poi a Bruxelles dove restò fino al 1845 per insegnare filosofia. Nel 1843 scrisse “Il primato morale e civile degli italiani” dove esprimeva la sua idea di una confederazione di stati italiani sotto la guida del Papa, quest’idea prese il nome di neoguelfismo. Nel 1848, in seguito all’amnistia di Carlo Alberto del 1846, tornò in Piemonte dove diventò Presidente della Camera dei Deputati. Nel 1849 con l’avvento al trono di Vittorio Emanuele II divenne membro del consiglio dei ministri ma l’incarico non ebbe grande durata, fu inviato a Parigi in missione diplomatica, dove morì nel 1852. Tumulato a Roma nel Pantheon. Daniele Manin: Venezia 1804 † Parigi 1857 Nato da una famiglia ebraica, venne registrato all’anagrafe come Daniele Fonseca; quando la famiglia si convertì al cattolicesimo prese il cognome del padrino: Pietro Manin, nipote dell’ultimo Doge Ludovico Manin. Laureato in giurisprudenza a Padova nel 1821, cominciò a praticare come avvocato nella città lagunare. A causa della sua attività patriottica fu incarcerato dagli austriaci e liberato il 17 marzo 1848 dai cittadini in rivolta assieme a Tommaseo. Venne eletto Presidente della Repubblica di San Marco, alla capitolazione di Venezia fuggì a Parigi, dove divenne insegnante di italiano. Morì a Parigi il 22 settembre 1857. Pietro Maroncelli: Forlì 1795 † New York 1846 Studiò musica al conservatorio di Napoli, dal quale fu espulso nel 1813 per aver fondato la società segreta “Colonna armonica”. Andò a Roma, dove a causa di una sua composizione chiamata “Inno a San Giacomo” venne dichiarato eretico e sedizioso e quindi incarcerato a Castel Sant’Angelo. Nel 1817 andò a Forlì dove partecipò attivamente alla carboneria, e per questo fu arrestato. Arrivato a Milano conobbe Silvio Pellico e partecipò all’attività dei “Federati”. Nel 1820 fu arrestato dagli austriaci assieme a Pellico, sottoposto a interrogatorio Maroncelli cedette e rivelò particolari importanti sull’organizzazione carbonara. Condannato a morte, la sua pena fu commutata in 20 anni di carcere duro allo Spielberg pochi istanti prima dell’esecuzione, che avrebbe dovuto svolgersi in Piazza San Marco a Venezia. I due vennero trasferiti in Moravia, dove Maroncelli perse una gamba, come scritto ne “Le mie prigioni” di Pellico. Maroncelli fu graziato dall’Imperatore nel 1830 e nel 1832 andò a Parigi, dove pubblicò le “Addizioni”, i suoi ricordi personali da aggiungere al libro di Pellico. A Parigi aderì alle idee del socialismo utopico di Fourier. Nel 1833, su invito dell’amico Lorenzo Da Ponte, si trasferì a New York. Qui insegnò musica, cercò di diffondere le idee di Fourier, e conobbe Edgar Allan Poe che divenne suo grande amico. Maroncelli morì a New York nel 1846 povero, cieco e con segni di squilibrio mentale I martiri di Belfiore: Mantova, 7 dicembre 1852 L’episodio dei martiri di Belfiore rappresenta il culmine della repressione austriaca nel Lombardo-Veneto. La situazione politica dopo la Prima guerra d’indipendenza (alla quale parteciparono numerosi volontari dalla Lombardia, dal Veneto e dal Friuli nelle file dell’esercito sabaudo) nel Regno Lombardo-Veneto, amministrato dal governatore generale Radetzky, era estremamente tesa. Dall’agosto del 1848 all’agosto del ’49 furono eseguite 961 condanne a morte e ci furono 4.000 carcerati per cause politiche. Questa politica repressiva venne aggravata dai due decreti del Feldmaresciallo Radetzky del 1851, il primo diceva che chiunque fosse stato trovato in possesso di materiale rivoluzionario (giornali, manifesti, ecc.) avrebbe dovuto scontare da uno a cinque anni di carcere duro, il secondo reintroduceva lo stato d’assedio nel regno. A causa delle tensioni provocate dalla repressione, si andò a costituire, il 2 novembre 1850, il Comitato Insurrezionale Mantovano, del quale facevano parte vari personaggi borghesi della città e ne era a capo don Enrico Tazzoli, un prete vicino al movimento mazziniano. Il Comitato aveva contatti con le cellule insurrezionali delle maggiori città del regno, stampava proclami antiaustriaci e si autofinanziava vendendo le “cartelle del prestito interprovinciale” ideate da Mazzini per finanziare l’attività rivoluzionaria. Il 28 ottobre 1851 venne arrestato e il 5 novembre impiccato per direttissima il parroco di Cerese, don Giovanni Grioli (senza il consenso del vescovo di Mantova che si rifiutò di sconsacrarlo e quindi fu giustiziato ancora in abito talare), reo di aver fomentato la rivolta tra i soldati della guarnigione ungherese con dei volantini rivoluzionari. Allertati da questo clima insurrezionale gli austriaci aumentarono l’attività di vigilanza nell’area. Il 1° gennaio 1852 con una perquisizione in casa venne arrestato l’esattore comunale di Castiglione delle Stiviere Luigi Pesci, a causa delle cartelle del prestito rinvenute nella sua abitazione. Interrogato rivelò di averle ottenute da don Ferdinando Bosio, amico di Tazzoli. Il 25 gennaio Bosio fu arrestato e indicò Tazzoli come capo del movimento. Tazzoli fu arrestato il 27 gennaio, gli furono sequestrati vari documenti, tra i quali il registro cifrato, dove teneva i nomi degli affiliati e le relative donazioni. Grazie alle delazioni di alcuni affiliati vennero decifrati i registri, grazie ad essi vennero riconosciuti 143 patrioti, 110 furono arrestati, gli altri 33 furono condannati in contumacia. Gli arrestati furono torturati e alcuni di essi morirono prima di parlare, comunque dopo le torture furono tutti rinviati a giudizio. Alla fine l’auditore giudiziario Alfred von Kraus scoprì i piani di assassinio di Radetzky, di rapimento di Francesco Giuseppe durante la sua visita a Venezia, i contatti con le cellule del Lombardo-Veneto, con Mazzini e con gli esuli in Svizzera. Il 13 novembre furono condannati a morte dal tribunale militare don Tazzoli, Scarsellini, Poma, De Canal, Paganoni, Zambelli, Mangili, Quintavalle, Faccioli e don Ottonelli. Il 24 novembre arrivò la sconfessione dei due preti da parte di Pio IX e il 4 dicembre fu letta pubblicamente la sentenza. Il vescovo di Mantova provò a intercedere per i condannati ma il governatore Radetzky commutò solamente la pena in 8-12 anni ai ferri ad alcuni cospiratori, ma mantenne la condanna per don Tazzoli, Scarsellini, Poma, De Canal e Zambelli. I condannati furono impiccati la mattina del 7 dicembre 1852 nella valletta di Belfiore. Il 2 marzo 1853 furono giustiziati Tito Speri (protagonista delle dieci giornate di Brescia), Montanari e don Grazioli; il 19 marzo Frattini e il 4 luglio 1855 Calvi. Come ulteriore sprezzo della pietà cristiana i cadaveri non furono seppelliti in terra consacrata. Dopo la Seconda guerra d’indipendenza le salme vennero rinvenute durante gli scavi per l’ampliamento della fortezza di Mantova e furono riseppellite con rito cristiano nel cimitero cittadino dopo la fine della Terza guerra d’indipendenza, quando Mantova passò al Regno d’Italia. Giuseppe Mazzini: Genova 1805 † Pisa 1872 Studiò legge all’Università degli Studi di Genova, dove si distinse per la sua ribellione ai regolamenti. Cominciò a lavorare presso lo studio di un avvocato ma nel frattempo si dedicava all’attività di giornalista su “L’indicatore genovese”, dove pubblicò recensioni di libri patriottici e per questo il giornale fu chiuso. Nel 1827 si laureò in diritto civile e canonico s’iscrisse alla carboneria. Nel 1831 andò a Marsiglia, dove fondò la “Giovine Italia”, la quale si prefiggeva l’obiettivo di unire gli Stati italiani in un'unica Repubblica con un governo centrale, attraverso l’insurrezione popolare. Nel 1833 organizzò il primo tentativo di insurrezione in Piemonte, Savoia e Liguria, la quale fallì e i congiurati vennero arrestati e condannati a morte. Il 2 febbraio del 1834 tentò con dei volontari l’invasione della Savoia, ma le guardie già allertate dai continui rinvii della spedizione dispersero facilmente i volontari. Al contempo a Genova doveva svolgersi un’insurrezione guidata da Garibaldi, che non avvenne mai perché Garibaldi si trovò solo, infatti nessuno aveva aderito all’iniziativa. Mazzini fuggì in Svizzera e sempre nel 1834 a Berna fondò la “Giovine Europa” che si prefiggeva come scopo l’unità repubblicana degli Stati divisi, come la Germania e l’indipendenza delle nazioni soggiogate dalle potenze straniere, come la Polonia. Intanto, tra il 1835 e il 1836 fallirono altri tentativi insurrezionali a Palermo, in Toscana, in Abruzzo e in Lombardia. Nel 1837 Mazzini fuggì a Londra dopo che fu espulso dalla Svizzera per le sue idee. Nel 1844 gli ideali mazziniani ispirarono la spedizione fallimentare dei fratelli Bandiera in Calabria. Nel 1848, con l’Europa in subbuglio per i vari moti insurrezionali, Mazzini fu protagonista di un esperimento notevole come la Repubblica romana. Alla fuga di Pio IX da Roma, Mazzini divenne uno dei triumviri della nuova Repubblica, che ebbe la Costituzione più avanzata dell’epoca, infatti riconosceva il suffragio universale già decenni prima degli altri Stati mondiali. L’avventura della Repubblica romana finì con l’arrivo delle truppe di Napoleone III e il ritorno del Papa sul trono di Roma e Mazzini tornò prima in Svizzera e poi in Inghilterra. Intanto il 5 maggio del 1848 Mazzini sciolse le “Giovine Italia” e al suo posto fondò l’ ”Associazione Nazionale Italiana”. Con gli avvenimenti di Mantova del 1852 Mazzini accelerò l’organizzazione dei moti che sarebbero dovuti avvenire a Milano, il 6 febbraio del 1853 l’insurrezione fu facilmente sventata dagli austriaci. Mazzini quindi fondò il “Partito d’Azione”, con il compito di dar vita alla guerriglia in Lunigiana e in Val Tellina, tentativi che fallirono. Mazzini poi dette il suo assenso alla spedizione di Pisacane nel meridione del 1857 che fallì anch’essa. Tra la gente stava intanto avvenendo un mutamento negli ideali, infatti sempre più patrioti abbandonavano gli ideali mazziniani per quelli liberali di Cavour, vedendo nella corona sabauda l’unica via per l’unità italiana. Nel 1860 avvenne la spedizione dei Mille in meridione, che Mazzini appoggiò moralmente in contrapposizione alla politica cavouriana; Cavour infatti temeva che Garibaldi, mosso da ideali repubblicani, andasse a costituire una Repubblica al sud, cosa che non accadde. Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia, con una compagine statale molto diversa da quella auspicata da Mazzini. Il 25 febbraio 1866 Mazzini fu votato come deputato rappresentante Messina al parlamento di Firenze; ma sulla sua testa incombevano due condanne a morte: una dal Regno di Sardegna, per l’organizzazione dei moti a Genova, in concomitanza alla spedizione di Sapri, del 1857 e una, dalla Francia, per la complicità nell’attentato di Orsini a Napoleone III del 1858, per questo Mazzini era esule a Londra. L’elezione venne annullata a causa di queste condanne, a Messina si andò nuovamente al voto e il 24 maggio vinse nuovamente Mazzini. Arrivò il secondo annullamento della votazione e si andò a votare per la terza volta, il 18 novembre Mazzini vinse ancora e così dalla Camera arrivò la convalida dell’elezione. Ma Mazzini non accettò l’incarico per non dover giurare fedeltà allo Statuto albertino. Nel 1868 si trasferì a Lugano e nel 1870 con l’amnistia delle due condanne a morte tornò in Italia, per organizzare i moti per la liberazione di Roma. Il 14 agosto, giunto a Palermo, venne arrestato e condotto a Gaeta. Costretto all’esilio rientrò in Italia il 7 febbraio 1872 con il falso nome di Giorgio Brown e si stabilì a Pisa, nascosto nell’abitazione di un amico. Morì a Pisa il 10 marzo 1872, il suo corpo venne imbalsamato e sepolto al cimitero monumentale di Genova. Giuseppe Montanelli: Fucecchio 1813 † 1862 Laureato in giurisprudenza a Pisa nel 1831, nel 1840 divenne professore di diritto nella stessa università. Vicino agli ideali federalisti, combatté come volontario nel 1848 a Curtatone e Montanara, ferito fu catturato dagli austriaci. Liberato nel 1849 tornò in Toscana, dove venne mandato da Leopoldo II a sedare una rivolta a Livorno, con la fuga del Granduca Montanelli divenne uno dei Triumviri di Toscana. Col ritorno di Leopoldo II scappò in Francia. Rientrò in Italia nel 1859 per unirsi ai Cacciatori degli Appennini, ma resosi conto dei progetti accentratori della monarchia sabauda entrò nel partito autonomista toscano guidato da Ferdinando IV di Toscana, con l’intento di formare una Repubblica indipendente in Toscana, però il partito mancava di unità interna e così il progetto sfumò. Con l’unità d’Italia divenne membro del Parlamento, appoggiando la proposta di Minghetti di concedere alcune autonomie all’interno del regno. Morì a Fucecchio nel 1862. Charles Louis Napoleon Bonaparte – Napoleone III: Parigi 1808 † Chislehurst 1873 Nipote di Napoleone I Bonaparte, nel 1848 dopo i moti francesi, la conseguente caduta del Re Luigi Filippo e la proclamazione della Seconda Repubblica francese venne eletto, con una vittoria schiacciante, Presidente della Repubblica. In quattro anni di governo instaurò una dittatura personale che lo portò il 2 dicembre 1851, allo scadere del suo mandato presidenziale, ad attuare un colpo di Stato. Nel 1852 con un plebiscito divenne Imperatore dei francesi con il nome di Napoleone III. Il suo potere era basato sull’autoritarismo e sul consenso popolare. Fece molti investimenti sul settore siderurgico e sulle comunicazioni ferroviarie, facendo diventare la Francia una potenza industriale. Attuò una politica estera aggressiva, con lo scopo di rendere il paese la potenza egemone in Europa. Nel 1849 attaccò la Repubblica romana, rimettendo sul soglio pontificio Pio IX, da questo momento fino al 1870 la Francia sarà la potenza protettrice del potere papale. Nel 1859 grazie agli accordi di Plombières partecipò alla Seconda guerra d’indipendenza contro l’Austria. Il consenso di Napoleone fu importante per la nascita del Regno d’Italia. Infatti nel 1860 in cambio di Nizza e della Savoia permise a Cavour di annettere al Regno di Sardegna gli stati dell’Italia centro-settentrionale e della costa centrale dell’Adriatico. Nel 1870 il potere di Napoleone III finì con la guerra franco-prussiana. Il 2 settembre con la sconfitta di Sedan l’Impero crollò, Napoleone III fu catturato e deposto dai prussiani. Ippolito Nievo: Padova 1831 † Mare Tirreno (Napoli) 1861 Figlio di nobili mantovani e friulani, nel 1841 entrò nel collegio di Sant’Anastasia di Verona, frequentando il Ginnasio dal 1843. Nel 1847 frequentò il liceo a Mantova e nel 1848 si avvicinò al movimento repubblicano di Mazzini e Cattaneo, partecipando alla fallita insurrezione di Mantova. Continuò gli studi a Cremona ma la famiglia ritenne opportuno che si allontanasse dalla Lombardia quindi andò prima a Firenze poi a Pisa. In Toscana si avvicinò al movimento democratico di Guerrazzi e probabilmente partecipò al moto di Livorno del 10 maggio 1849. Nel 1850 conseguì la licenza liceale a Cremona e s’iscrisse alla facoltà di legge di Pavia. Nel 1852 si dedicò all’attività di pubblicista sul quotidiano bresciano “La sferza” e s’iscrisse all’università di Padova. Collaborò alla rivista “L’alchimista friulano” dove pubblicò alcune poesie poi raccolte e pubblicate nel 1854 a Udine. Nel 1855 si ritirò a Colloredo di Montalbano, feudo di proprietà della famiglia della madre, dove si dedicò alla produzione letteraria, scrivendo “Le confessioni di un italiano”. Nel 1856 lavorò come pubblicista in alcuni giornali milanesi, a causa di un suo scritto venne accusato di vilipendio all’autorità austriaca e processato. Tra il 1857 e il 1858 si ritirò nuovamente a Colloredo per finire il suo “Le confessioni di un italiano” poi pubblicato postumo nel 1867. Nel 1859 si unì ai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi e il 5 maggio 1860 s’imbarcò con i Mille a Quarto. Si distinse a Calatafimi e Palermo divenendo intendente di prima classe, tenne anche un’attenta cronaca della spedizione scrivendo le “Lettere garibaldine” e il “Diario della spedizione dal 5 al 20 maggio”. Ricevette l’ordine di riportare i documenti amministrativi della spedizione e s’imbarcò sul vapore Ercole a Palermo. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861 l’imbarcazione naufragò al largo della costa sorrentina. Nel naufragio non restò nessuno in vita. Le misteriose circostanze del naufragio portarono il pronipote di Ippolito Nievo, Stanislao, a scrivere il romanzo “Il prato in fondo al mare” del 1974 in cui il naufragio dell’Ercole è dipinto come “una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: “strage” con la quale si sarebbe aperta la storia dell'Italia unita”, dando adito alla teoria del complotto. Orso Teobaldo Felice Orsini: Meldola 1819 † Parigi 1858 Avvocato, nell’agosto del 1843 partecipa ai moti di Romagna e fonda la società segreta “Congiura Italiana dei Figli della Morte”, per questo viene condannato all’ergastolo dalle autorità pontificie ma viene liberato con l’amnistia di Pio IX nel 1846. Fervente mazziniano, si trasferì a Firenze e nel 1848 combatté con i Cacciatori dell’Alto Reno nella Prima guerra d’indipendenza. Nel 1849 fu deputato all’Assemblea Costituente delle Repubblica romana ma con l’arrivo dell’esercito francese fuggì. Nel 1850 si trasferì a Nizza e si dedicò all’attività commerciale. Nel 1853 tentò di attuare una nuova insurrezione nella zona di Massa che fallì sul nascere, nel 1854 tentò due nuove insurrezioni in Lombardia ma fallirono anche queste. Sempre nel ’54, durante un viaggio clandestino nell’Impero asburgico, venne arrestato in Ungheria e rinchiuso a Mantova, nel 1846 riuscì a fuggire dalla prigione e scappò fino a Genova, dove s’imbarcò per l’Inghilterra. In Inghilterra pubblicò le sue memorie. Nel 1857 ruppe i suoi rapporti con Mazzini e cominciò a preparare l’attentato a Napoleone III, reo di aver affossato la Repubblica romana. Il 14 gennaio 1858 l’attentato provocò 12 morti e 156 feriti, l’Imperatore rimase però illeso. Orsini fu arrestato, dal carcere scrisse una lettera a Napoleone III in cui spiegava che fin quando il problema italiano non sarebbe stato risolto tutti i regnanti d’Europa sarebbero stati in pericolo e quindi gli chiedeva di liberare l’Italia. Napoleone III fu colpito dalla lettera e decise di farla pubblicare, Orsini divenne un eroe e Cavour sfruttò l’onda della sua notorietà per far pressione sulla Francia in occasione della Seconda guerra d’indipendenza. Orsini fu ghigliottinato il 13 marzo 1858 a Parigi. Silvio Pellico: Saluzzo 1789 † Torino 1854 Studiò a Pinerolo e Torino, poi si trasferì a Lione dove lavorò nel settore commerciale con lo zio. Nel 1809 arrivò a Milano dove conobbe Ugo Foscolo e si dedicò alla scrittura neoclassica. A Milano entra in contatto con le idee liberali e unitarie e fonda nel 1818 la rivista “Il Conciliatore”. Pellico entrò a far parte della carboneria nella setta dei Federati, venne arrestato dalla polizia austriaca il 13 ottobre 1820, venne condannato alla pena di morte che fu poi commutata in reclusione per 15 anni allo Spielberg. Qui scrisse l’opera autobiografica “Le mie prigioni” che fu un importante documento del risorgimento. Lo stesso Metternich ammise che quest’opera fu più dannosa per l’Austria di una sconfitta militare. Nel 1830 in seguito alla grazia imperiale fu scarcerato e rimpatriato, tornato a Milano ricominciò a scrivere per il teatro. Negli ultimi anni di vita si trasferì a Torino dove fece da bibliotecario a Palazzo Barolo, morì nel 1854. Guglielmo Pepe: Squillace 1783 † Torino 1855 Impegnato nei movimenti repubblicani, nella sua vita scrisse numerosi libri nei quali esortava alla lotta partigiana per liberare l’Italia. Frequentò l’accademia militare della Nunziatella. Nel 1799, allo scoppio della rivolta che portò al formarsi della Repubblica partenopea, andò in aiuto degli insorti ma, sconfitti dai borbonici, venne catturato ed esiliato in Francia. Qui entrò nell’esercito napoleonico e si distinse combattendo sia con Giuseppe Bonaparte che con Gioacchino Murat. Nel 1820 prese parte alla rivoluzione napoletana, ma il 7 marzo 1821 venne sconfitto dagli austriaci, arrivati in soccorso dei borbonici, ad Antrodoco. Rientrato in seno all’esercito borbonico, fu inviato nel 1848 da Ferdinando II a combattere contro gli austriaci. Tra il 1848 e il 1849 s’impegnò nella difesa della Repubblica di San Marco di Manin ma, sconfitto, venne catturato e nuovamente esiliato riparò a Parigi. Rientrò in Italia nel 1855 per finire i suoi giorni a Torino. Rosolino Pilo: Palermo 1820 † San Martino delle Scale 1860 Di nobili natali nel 1848 partecipò ai moti indipendentisti siciliani, con la vittoria borbonica scappò a Marsiglia e poi a Genova, dove conobbe Mazzini. Nel 1853 era a Torino per aiutare i cospiratori in fuga da Milano dopo i moti falliti. Nel 1856 cominciò ad avere contatti con Pisacane e il 6 giugno 1857 s’imbarcò per l’isola di Montecristo, dove si approvvigionò di armi da portare a Sapri. Ma una tempesta lo obbligò ad alleggerire il carico e così dovette tornare a Genova per avvertire i compagni dell’annullamento della missione. Il 25 giugno l’operazione di Pisacane partì, Pilo fu nuovamente incaricato di portare le armi necessarie ai rivoltosi ma sbagliò rotta e non riuscì ad approvvigionare i compagni. Tornò così a Genova dove la repressione reale costrinse Mazzini a fuggire a Londra, mentre Pilo riparò a Malta. Il 28 marzo alla notizia della spedizione dei Mille s’imbarcò con dei volontari per la Sicilia. Morì in uno scontro a fuoco fuori Palermo, sei giorni prima della presa della città. Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro Mastai Ferretti Papa Pio IX: Senigallia 1792 † Roma 1878 Dal 1814 studia filosofia e teologia nel Collegio Romano, nel 1815 studia all’Università romana e al seminario. Nel 1817 prende gli ordini minori e nel 1819 diventa sacerdote. Tra il 1823 e il 1825 fa parte di un corpo diplomatico papale in Cile. Nel 1827 diventa arcivescovo di Spoleto. Nell’insurrezione del 1831 riesce a mediare la resa dei rivoltosi evitando lo spargimento di sangue, così tra i patrioti italiani prende la nomea di uomo di idee liberali e aperto all’idea dell’unificazione nazionale. Nel 1832 diviene arcivescovo di Imola e nel 1840 viene nominato cardinale. Il 16 giugno 1846 viene eletto Papa prendendo il nome di Pio IX. Lo stesso giorno concesse l’amnistia per i reati politici e il suo governo nei successivi due anni fu di apertura nei confronti dei liberali fino alla concessione della costituzione del 14 marzo 1848. Durante le cinque giornate di Milano decise di inviare un contingente militare contro l’Austria che però ritirò il 13 aprile con la spiegazione che essendo capo della chiesa universale e al contempo capo di uno Stato italiano non poteva combattere contro un Regno legittimo. Il 24 novembre dovette fuggire a Gaeta, ospite di Ferdinando II a causa della rivolta che portò alla fondazione della Repubblica romana. Al suo ritorno a Roma continuò il suo governo di riforme, ma nel 1852 acconsentì alla richiesta austriaca di sconsacrare don Enrico Tazzoli, per poterlo giustiziare in seguito al tentativo d’insurrezione dei martiri di Belfiore. Questo gesto lo inimicò ai patrioti italiani, in particolare Garibaldi ebbe a dire parole poco lusinghiere nei suoi confronti. Dopo la sollevazione di Bologna del 1859, che portò poi all’annessione della città al Regno di Sardegna, Pio IX represse duramente il tentativo di insurrezione di Perugia del 14 giugno, il 20 giugno le truppe mercenarie svizzere entrarono in città facendo scempio degli insorti, senza risparmiare donne e bambini. Dopo il 18 settembre 1860 con la vittoria piemontese a Castelfidardo il potere temporale del Papa era relegato al solo Lazio. Il 7 dicembre 1869 aprì il Concilio Vaticano I nel quale sancì l’infallibilità del pontefice. Il 20 settembre 1870 con l’ingresso delle truppe italiane a Roma ordinò una resistenza solo simbolica per evitare inutili spargimenti di sangue, Pio IX si ritirò in Vaticano rifiutando di riconoscere il nuovo Stato italiano e si dichiarò prigioniero politico. Alla promulgazione della Legge delle Guarentigie, che doveva regolare i rapporti tra Stato e chiesa, del 1871 il Papa scrisse una lettera a Vittorio Emanuele II con la quale spiegava le motivazioni per cui non poteva accettare tale legge. Nel 1874 promulgò l’enciclica “non expedit” con la quale vietava ai cattolici ed ecclesiastici di prender parte alla vita politica in Italia. Morì nel 1878. Fino alla morte continuò a dichiararsi prigioniero dello Stato italiano. Carlo Pisacane: Napoli 1818 † Sanza 1857 Rivoluzionario che combatté per la Repubblica romana. In seguito ideò un nuovo tentativo insurrezionale, la “spedizione di Sapri”. Con questa spedizione intendeva portare a una rivoluzione sociale, abolendo la proprietà privata, e quindi alla fine della miseria in cui viveva il popolo del Mezzogiorno. Di concerto con Mazzini (che però non aveva molta fiducia in una rivoluzione al sud e non condivideva gli ideali socialisti di Pisacane) partì da Genova nel giugno del 1857 sbarcando a Ponza liberò i detenuti del carcere locale e con essi si diresse a Sapri, li avrebbe dovuto trovare dei rivoluzionari locali ma i contadini del luogo, aizzati dal clero, diedero la caccia ai rivoltosi. A causa del fallito tentativo insurrezionale Pisacane si suicidò. Intanto anche le insurrezioni organizzate in concomitanza da Mazzini a Livorno e Genova venivano facilmente sedate. Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Conte Radetzky von Radetz: Sedlčany 1766 † Milano 1858 Feldmaresciallo dell’esercito austriaco. Alla notizia delle concessioni fatte dal vicegovernatore della Lombardia al podestà di Milano (causate dalla paura di un’insurrezione popolare) il 18 marzo 1848 attaccò il municipio provocando la popolazione che insorse con le famose cinque giornate; questa rivolta portò alla ritirata delle truppe austriache nel Quadrilatero. Arrivato a Custoza affrontò e sconfisse l’esercito piemontese appena entrato in guerra contro l’Austria. Alla ripresa della guerra nel 1849 sconfisse nuovamente i piemontesi a Novara e firmò la resa di Vignale con Vittorio Emanuele II. Poi si dedicò all’assedio di Venezia e alla repressione nell’ex Repubblica di San Marco. Ottenne grazie ai successi militari nel Lombardo-Veneto la carica di governatore militare e civile del regno, esautorando tutti quelli che si erano compromessi con la rivolta e a giustiziare i patrioti. Morì a Milano nel 1858. Gli vennero tributati molti onori alla memoria sia in patria che fuori. Viste le sconfitte austriache nelle successive guerre italiane, si può dire che con lui se ne andò l’egemonia austriaca in Italia. Aurelio Saffi: Forlì 1819 † 1890 Considerato l’erede politico di Mazzini, si laureò in giurisprudenza a Ferrara e cominciò la sua attività politica a Forlì contro il malgoverno dello Stato pontificio. Nel 1844-1845 fu consigliere comunale della città e segretario della Provincia. Si avvicinò alle idee di Mazzini e nel 1848 partecipò alla formazione della Repubblica romana. Saffi prese parte all’avventura di Mazzini prima come deputato di Forlì all’Assemblea costituente, poi come ministro e infine come triumviro della Repubblica. Alla caduta della Repubblica romana nel luglio del 1849 si trasferì prima in Liguria, poi in Svizzera con Mazzini e infine sempre con lui a Londra. Nel 1852 tornò in Italia per pianificare una serie di moti che avrebbero dovuto aver luogo a Milano l’anno successivo. Fallito il tentativo fu condannato in contumacia a 30 anni di carcere e scappò nuovamente a Londra. Nel 1860 andò a Napoli per congiungersi con Mazzini e l’anno dopo fu eletto deputato del Regno d’Italia. Nel 1864 tornò a Londra dove rimase per tre anni prima di tornare a Forlì. Nel 1874 fu arrestato con altri esponenti repubblicani con l’accusa di organizzare un’insurrezione anarchica ma fu prosciolto. Nel 1877 andò a Bologna dove insegnò diritto pubblico all’Università e si occupò della memoria storica di Mazzini morto nel 1872 pubblicandone gli scritti. Saffi morì nel 1890 nella sua villa di Forlì. Santorre Annibale De Rossi, conte di Pomerolo, signore di Santarosa: Savigliano 1783 † Sfacteria 1825 Entrato come alfiere dei granatieri (dei quali il padre era il comandante) dell’esercito sabaudo a 13 anni, combatté contro Napoleone nella battaglia di Mondovì del 1796 e ancora a Marengo nel 1800. Poi studiò all’Università di Torino. Con l’occupazione francese divenne prima sindaco del suo paese natale e poi sottoprefetto di La Spezia. Con la restaurazione sabauda divenne capitano dei granatieri e ispettore delle leve provinciali. Dopo il 1820 si avvicinò alla carboneria. Le sue idee erano che Vittorio Emanuele I avrebbe dovuto guidare il movimento di unificazione dell’Italia e che il Re dovesse concedere una costituzione, ma l’atteggiamento assolutistico e conservatore del Re andava contro i propositi di Santarosa. Qui allora cercò un’alleanza con Carlo Alberto, l’erede al trono di idee inizialmente liberali, per organizzare un’insurrezione che lo avrebbe portato sul trono. Questa insurrezione iniziò il 10 marzo 1821, il risultato fu l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice, che data la sua assenza dal Piemonte, fu girata a Carlo Alberto che divenne reggente, concesse la costituzione e Santarosa divenne Ministro della guerra del governo provvisorio fino al 16 marzo, quando al ritorno di Carlo Felice in patria il governo provvisorio decadde, la costituzione fu revocata e Carlo Alberto prese le distanze dai rivoltosi. Ai primi di aprile Santarosa scappò in Svizzera e vi rimase fino a novembre quando si diresse a Parigi. Nel febbraio del 1822 il governo francese cominciò a dare la caccia ai rivoltosi piemontesi per conto del Regno di Sardegna, Santarosa fu arrestato e detenuto per due mesi fino alla sua liberazione per insufficienza di prove ed esiliato in Inghilterra, dove arrivò in novembre. A Londra conobbe Foscolo, esiliato dagli austriaci, e visse in ristrettezze economiche e nel 1824 decise di andare a combattere per l’indipendenza greca dall’Impero Ottomano. Qui si arruolò nell’esercito greco cambiando nome in Annibale De Rossi e combatté tra febbraio e marzo 1825 a Patrasso e poi alla difesa dell’isola di Sfacteria, assediata dai turchi, dove morì l’8 maggio. Francesco Tolazzi: Moggio Udinese 1809 † Verona 1889 Ingegnere, nel 1859 disertò l’esercito austriaco per entrare in quello piemontese, combattendo valorosamente a San Martino dove rimase ferito. Grazie al suo valore divenne ufficiale dell’esercito sabaudo, combatté nel 1860 a Capua e Milazzo contro i borbonici. Nel 1862 partecipò alla campagna di Garibaldi per liberare Roma che s’infranse sull’Aspromonte. Nel 1864 coordinò la parte militare nei moti di Navarons. Partecipò alla campagna contro il brigantaggio nel sud Italia. Morì a Verona nel 1889. Nicolò Tommaseo: Šibenik 1802 † Firenze 1874 Nacque in Dalmazia, nel periodo in cui si avvicendarono le dominazioni veneziana, francese e asburgica. Studiò a Split poi si trasferì a Padova, dove si laureò in legge nel 1822. Visse alcuni anni tra Padova e Milano lavorando come giornalista, nel 1827 si trasferì a Firenze, dove scrisse per la rivista “L’Antologia” e pubblicò il “Nuovo dizionario de’ sinonimi della lingua italiana”. Si trasferì a Parigi quando le proteste austriache contro le riviste italiane si fecero pressanti e il governo del Granducato di Toscana decise di chiuderle. A Parigi pubblicò numerose opere, poi si trasferì in Corsica dove studiò il dialetto locale. Tornò a Venezia dove pubblicò la raccolta dei “Canti popolari italiani, corsi, illirici e greci” nel 1841. Nel 1847 in seguito alle sue dichiarazioni sulla libertà di stampa fu arrestato dagli austriaci e imprigionato, venne liberato assieme a Manin nell’insurrezione della città del 1848. Con la dichiarazione della Repubblica di San Marco ottenne importati cariche nel nuovo stato. Con la caduta di Venezia fu esiliato a Corfù dove cominciò a soffrire delle cause della sifilide cominciando a diventare cieco, nonostante questo scrisse numerosi saggi. A Corfù cominciò anche a crescere il suo sentimento di ostilità nei confronti dei Savoia e dell’idea di una via all’unità d’Italia “moderata” con l’unione al Piemonte. Nel 1854 si trasferì a Torino e nel 1859 nuovamente a Firenze dove collaborò alla rivista “L’imparziale fiorentino”. Negli ultimi anni di vita la sua posizione antisabauda si radicalizzò, rifiutando di diventare Senatore del Regno. Si dedicò alla stesura del vocabolario della lingua italiana in otto volumi che fu completato dopo la sua morte nel 1874. Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia – Vittorio Emanuele II: Torino 1820 † Roma 1878 Figlio di Carlo Alberto di Savoia e di Maria Teresa d’Asburgo-Toscana, data la grande differenza nei tratti somatici e fisici tra lui e il padre, negli anni si sono fatte varie congetture sul fatto che fosse figlio naturale del Re di Sardegna. Alcuni storici affermano che il vero figlio della coppia reale fosse morto in tenera età in un incendio, e in seguito il bambino fosse stato scambiato con un altro, figlio di un macellaio toscano. Ma non ci sono prove che diano adito a queste dicerie. Passò la sua infanzia a Firenze, quando suo padre divenne Re nel 1831 si trasferì a Torino. Nonostante avesse avuto molti ottimi precettori, si vide subito la sua scarsa attitudine allo studio. Infatti il futuro Re preferiva dedicarsi alla caccia. Nel 1842, ottenuto il grado di generale dell’esercito sardo sposò la cugina Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. Al termine della Prima guerra d’indipendenza, il 24 marzo 1849, dopo la sconfitta di Novara, dovette firmare la resa di Vignale con Radetzky. All’abdicazione del padre, nonostante la pressione austriaca a revocarla, Vittorio Emanuele II mantenne la Costituzione concessa l’anno prima, fu l’unico Re italiano a mantenere lo Statuto dopo la fine del biennio rivoluzionario 1848-49, per questo venne dipinto come “Re galantuomo”. Il 29 marzo si presentò al Parlamento come nuovo Re e indisse nuove elezioni. All’elezione di Cavour come Capo del Governo nel 1852, Vittorio Emanuele non gioì, data l’avversione che il Re nutriva nei suoi confronti. Comunque molte volte si trovò d’accordo con le scelte politiche del suo Primo Ministro, come per la guerra di Crimea. Il 10 gennaio 1859, in seguito alla firma degli accordi di Plombières, Vittorio Emanuele II pronunciò in Parlamento un discorso in cui il Regno di Sardegna si faceva portavoce del “grido di dolore” delle genti italiane soggiogate a Re assoluti e all’Austria che chiedevano l’unificazione del paese. Dopo questo episodio in Piemonte cominciarono a giungere vari volontari da tutta Italia, sentendo i tempi maturi a una nuova guerra contro l’Austria. Intanto nel nord Italia lo slogan Viva V.E.R.D.I. (Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia) era diventata la parola d’ordine del movimento antiaustriaco. Dopo le vittorie di San Martino e Solferino Napoleone III cominciò a trattare la pace con l’Austria, preoccupato anche per le mire espansionistiche del Regno di Sardegna. Vittorio Emanuele dovette sottoscrivere la pace e fermare la guerra con l’Austria, ma nel frattempo si stava organizzando la spedizione di Garibaldi, alla quale il Re diede tacito assenso. Con le vittorie di Garibaldi al sud, crebbe la preoccupazione di Cavour per la stabilità dell’alleanza con la Francia, così un contingente sabaudo venne inviato a fermare Garibaldi. Nell’incontro di Teano del 26 ottobre 1860 il generale consegnò il Regno delle Due Sicilie al Re. Il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d’Italia con Re Vittorio Emanuele II, per volontà di dio e del popolo. Ora l’obiettivo era di fare Roma capitale del Regno, in vista di questo nel 1865 la capitale fu spostata da Torino a Firenze. Il 21 giugno 1866 allo scoppio della Terza guerra d’indipendenza Vittorio Emanuele II si recò al fronte, ma nonostante le sconfitte di Lissa e Custoza la guerra fu ugualmente vittoriosa, grazie alla vittoria prussiana. Nel 1870 allo scoppio della guerra franco-prussiana il Re decise di attaccare Roma per annettere al Regno l’ultimo grande territorio mancante all’unificazione. Per questo Pio IX scomunicò la casata dei Savoia. La scomunica fu ritirata quando il Re fu in punto di morte, che avvenne il 9 gennaio 1878. Vittorio Emanuele II fu tumulato a Roma nel Pantheon. Pacifico Valussi: Talmassons 1813 † Udine 1893 Laureato in matematica all’Università di Padova. Tra il 1838 e il 1866 fondò e fu direttore di diversi giornali di Udine, Venezia, Milano, Firenze e Trieste. Tra il 1866 e il 1874 fu Deputato nelle file della destra storica al Parlamento italiano. Enrico Mattia Zuzzi: Codroipo 1838 † 1921 Nel 1859, assieme ai fratelli Costanzo e Leonardo, si arruola nei cavalleggeri di Alessandria con i quali combatté nella Seconda guerra d’indipendenza. Nel 1860 inizia gli studi di medicina a Pavia ma, il 5 maggio si trova a Quarto con i Mille di Garibaldi. Combatté a Milazzo e Calatafimi dove fu ferito. Nel 1864 rientrò in Friuli per partecipare ai moti di Navarons. Nel 1866 è medico militare dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi in Trentino. Il 2 settembre 1867 è ancora con i garibaldini a Mentana nella seconda spedizione per liberare Roma. Nel 1915 all’entrata nella Prima guerra mondiale dell’Italia chiede di entrare volontario nell’esercito ma a causa dei suoi 75 anni d’età gli viene rifiutato l’arruolamento. Durante la guerra presta attività volontaria e gratuita di medico nel mandamento di Codroipo. Muore nel 1921 nella sua città natale. Ricerca biografica: tutta la classe V A Tur. Revisione testi: Thomas Pigani Grafica: Valentina Cimador I Luoghi del Risorgimento a Udine vedi a : http://www.stringher.it/uploads/files/4.%20Luoghi%20del%20Risorgimento%20a%20Udine_1.pdf e anche: http://www.stringher.it/uploads/files/4..%20Luoghi%20del%20risorgimento%20tagalog.pdf ( è un esempio di mappa in lingua madre degli studenti non italiani, ne abbiamo in una decina di lingue) Questo è l’unico lavoro svolto interamente dall’insegnante: http://www.stringher.it/uploads/files/5.%20Il%20di%20di%20Tita.pdf Un quadro sull’800 nella madrepatria dei nostri studenti esteri: http://www.stringher.it/uploads/files/6.%20Intanto%20mio%20bisnonno.pdf http://www.stringher.it/uploads/files/7.%20Iconografia%20del%20Risorgimento.pdf italia sì italia no 1. Femmina Maschio 2. età ............................................................................................. 3. professione ....................................................................................................................... 4. residenza .......................................................................................................................... A. In che anno l’Italia è diventata una stato unitario? 1848 1861 1866 B. Il Friuli quando è entrato nello stato italiano? 1848 1861 1866 C. Nell’elenco che segue,un personaggio non è collegato al Risorgimento. 1. Cavour 2. Mazzini 3. Garibaldi 4. Bixio 5. Cavedalis D. Che cosa si festeggia il 17 marzo di quest’anno? 1. la festa della donna 3. i 100 anni dell’unità d’Italia 2. la festa del lavoro 4. i 150 anni dell’unità d’Italia 6. Badoglio E. Secondo lei, qual è il simbolo dell’Italia? .......................................................................................................................................... F. Qual è secondo lei la caratteristica principale degli italiani? 1. inventiva 2. adattabilità 3. costanza 4. coerenza 5. pragmatismo 6. mammismo 7. eroismo 8. altro ..................................... G. Lei si sente italiano? SI NO H. Perchè? Mi dia un motivo. .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... italia sì italia no isis Bonaldo Stringher Udine info: [email protected] Settore Turistico 3ª A ricevimento 3ª A turistico 3ª B turistico 4ª D turistico Il questionario è stato realizzato all’interno di un percorso didattico sul Risorgimento durato due anni scolastici (2010-2011, 2011-2012). È la parte conclusiva de “Il Risorgimento visto dai ragazzi”. Il questionario consta di quattro domande di inquadramento del campione e di otto domande specifiche sull’argomento. Le domande sono state scritte dal docente, l’elaborazione dei grafici e l’analisi è il risultato del lavoro degli studenti delle classi indicate. Il presente lavoro non è stato impostato secondo criteri statistici in senso stretto, il campione selezionato ha due distinzione grossolane in base all’età (giovani -15/25 anni-, adulti -da 26 anni in su-). Il risultato più eclatante è senza dubbio il numero di interviste pari a 600, che permettono di dare delle indicazioni di massima sull’argomento e sulla percezione che hanno di se gli italiani del Friuli. Le interviste sono state sottoposte nel periodo tra il 20 settembre e il 20 ottobre 2011, tutti gli intervistati sono di cittadinanza italiana e residenti nella provincia di Udine. La parte iniziale individua il campione che risulta leggermente superiore nella parte maschile, in quella riguardante l’attività svolta (lavoro), nella residenza che risulta essere del 55% in paese e nel 45% in città. Tutto questo significa che non ci troviamo di fronte ad un campione che rispecchi in modo fedele la realtà regionale, anche se non ci si discosta in maniera decisa. Per quanto riguarda le prime tre domande relative alla storia risorgimentale, appare chiaro che le date fondamentali sono patrimonio della maggior parte degli intervistati che individuano l’anno dell’unità d’Italia e di quello in cui il Friuli è entrato a far parte del Regno. Decisamente più confuso è l’esito delle risposte sul personaggio storico (Badoglio) tra sei che non è collegabile al Risorgimento. Se la gran parte lo individua (282 nemmeno la metà), ci sono altri due gruppi consistenti di oltre cento intervistati ognuno che segna Nino Bixio (178) e Cavedalis (104). La domanda D è relativa alla conoscenza del 150° anniversario dell’unificazione dell’Italia: nessun dubbio se non molto marginale. Evidentemente il lavoro di promozione e diffusione dell’evento ha ottenuto il suo effetto. In maniera simile il campione si comporta alla domanda sul simbolo dell’Italia, con la metà che lo indica nella bandiera unitamente ad un gruppo minore che segna l’inno. Tra le risposte aperte (188) ci sono molti simboli gastronomici (pizza, spaghetti), alcuni legati ad un personaggio politico e diversi che danno una indicazione decisamente negativa (mafia, criminalità). Si prosegue con la caratteristica dell’italiano che viene indicata nel “mammismo” per la gran parte (170). Equamente distribuite sono le risposte Adattabilità e Inventiva, a distanza seguono le altre ad esclusione dell’ultima che lascia facoltà di scelta personale. Le 94 risposte sono sostanzialmente negative e comprendono la mafia, la criminalità, la falsità, l’inganno. L’ultima risposta è schiacciante: 431 intervistati si sentono italiani (in gran parte perché nati in Italia). Tra chi ha risposto no (169) i più hanno motivato la scelta con la mancanza di rappresentatività politica o con la visione negativa della classe politica. Quasi nessuno non si ritiene italiano per motivi di appartenenza etnica. Legenda Intervistati compresi tra 15-25 anni Intervistati da 26 a oltre Totale complessivo Giovani Adulti 1.Sesso 1. Femmina 146 149 295 2.Maschio 156 149 305 Studente 174 95 269 Lavoratore disoccupato pensionato 102 229 331 Paese 166 163 329 Città 139 132 271 2. età 3. Professione 4. Residenza 1.Sesso MASCHIO 3. Professione FEMMINA STUDENTE LAVORATORE, PENSIONATO, DISOCCUPATO 4. Residenza CITTÀ PAESE A. In che anno l’Italia è diventata una stato unitario? 1848 85 26 111 1861 196 211 407 1866 43 39 82 B. Il Friuli quando è entrato nello stato italiano? 1848 40 34 74 1861 89 68 157 1866 167 202 369 C. Nell’elenco che segue, un personaggio non è collegato al Risorgimento. 1. Cavour 2 3 5 2. Mazzini 12 8 20 3.Garibaldi 7 4 11 4. Bixio 96 82 178 5. Cavedalis 55 49 104 6. Badoglio 99 183 282 D. Che cosa si festeggia il 17 marzo di quest’anno? 1. la festa della donna 2. la festa del lavoro 3. i 100 anni dell’unità d’Italia 4. i 150 anni dell’unità d’Italia 13 7 20 21 8 29 28 18 46 236 269 505 E. Secondo lei, qual è il simbolo dell’Italia? Bandiera 143 157 300 Inno 30 36 66 altro 99 89 188 Stivale 29 17 46 F. Qual è secondo lei la caratteristica principale degli italiani? 1. inventiva 2. adattabilità 3. costanza 4. coerenza 5. pragmatismo 6. mammismo 7. eroismo 8. altro 40 46 16 8 23 99 20 53 68 54 19 10 12 71 25 41 108 100 35 18 35 170 40 94 G. Lei si sente italiano? SI 207 224 431 H. Perchè? Mi dia un motivo. NO 99 70 169 A. In che anno l’Italia è diventata una stato unitario? B. Il Friuli quando è entrato nello stato italiano? C. Nell’elenco che segue, un personaggio non è collegato al Risorgimento. D. Che cosa si festeggia il 17 marzo di quest’anno? E. Secondo lei, qual è il simbolo dell’Italia? F. Qual è secondo lei la caratteristica principale degli italiani? G. Lei si sente italiano? no si