Concetti (Vocabolario Filosofico)

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Concetti
Concetti
In questa sezione trovi 100 concetti essenziali per capire e interpretare gran parte (ovviamente, non
tutto) del discorso filosofico e delle sue problematiche.
Subito sotto ad ogni link, segue l'elenco delle parole in esso contenute (eccetto, ovviamente, le due
visualizzate dal link in oggetto).
All'interno di una definizione, sono generalmente evidenziati in grassetto i termini a cui è destinata
una voce propria.
Buona lettura.
Accidente-Antinomia
A fortiori, Agnosticismo, Amore, Amor fati, Anamnesi, Angoscia, Anima, Animismo
Apatia-Bene
Apodittico, Aporìa, Apparenza, A priori-a posteriori, Assioma, Ateismo, Atto, Bello
Caso-Coscienza
Categoria, Causa-Causalità, Certezza, Cogito, Concetto, Contingente, Contraddizione, Cosa in sé
Deduzione-Ente
Determinismo-Indeterminismo, Dialettica, Dio, Divenire, Dogmatismo, Dubbio, Edonismo,
Empirismo
Epistemologia-Giudizi analitici
Esistenza, Esperienza, Essenza, Essere, Eudemonismo, Evidenza, Fenomeno, Forma
Giudizi sintetici-Male
Giudizi sintetici a priori, Idea, Idealismo, Identità (principio di), Immanenza, Inconscio, Induzione,
Innatismo
Materia-Noùmeno
Materialismo, Meccanicismo, Metempsicosi, Mònade, Monismo, Necessità, Nichilismo, Non-essere
http://www.giuseppecirigliano.it/Concetti.htm (1 di 2)13/11/2005 13.29.04
Concetti
Nulla-Scetticismo
Panteismo, Postulato, Psiche, Potenza, Ragion sufficiente (principio di), Razionalismo, Realismo,
Relativismo
Sillogismo-Teismo
Sofisma, Soggetto, Solipsismo, Sostanza, Spazio, Spirito, Tabula rasa, Tautologia
Teleologia-Weltanschauung
Tempo, Teodicea, Teologia, Terzo escluso (principio del), Trascendentale, Trascendente, Universale,
Verità
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Accidente-Antinomia
Accidente-Antinomia
Accidente
Termine aristotelico che indica ciò che appartiene a una cosa, ma non sempre e non necessariamente,
e quindi non è indispensabile per determinarne l'essenza. Significa l'opposto di sostanza.
A fortiori
Questa espressione significa "a più forte ragione" e si usa per quell'argomentazione che, provando
vero un certo caso, ne dimostra vero (a più forte ragione) un altro. Ad esempio: "Se un lungo tragitto
affatica un uomo sano, a più forte ragione affaticherà uno zoppo".
Agnosticismo
Si dice di qualunque posizione o dottrina che ritiene inconoscibile la realtà "in sé". In ambito
religioso, l'A. non ammette l'esistenza di Dio ma neppure la nega: semplicemente, sospende il
giudizio.
Amore
Il termine italiano unifica la traduzione di due vocaboli greci: eros e agàpe, che in latino erano resi,
rispettivamente, con amor e caritas. L'area semantica del primo identifica la concezione dell'A.
propria della filosofia classica, che lo intende per lo più come una forza unificante e armonizzatrice
(per esempio Empedocle), modellata a differenti livelli sulla base dell'A. sensuale. Il secondo esprime
invece la dimensione cristiana dell'eros, inteso come amore verso Dio e verso il prossimo.
La filosofia moderna, a partire da Cartesio, introduce una nuova accezione del termine: l'A. è infatti
considerato come una passione, cioè un'affezione dell'anima individuale, o meglio della coscienza
Si tratta comunque di una parola fra le più abusate, e quindi difficilmente compendiabile in una breve
analisi. Secondo Abbagnano-Lamanna "indica quella forza che spinge a uscir fuori di sé, del proprio
limite, per unirsi e confondersi con l'oggetto desiderato, ritenuto un bene o il Bene". È una
definizione semplice e pregnante: possiamo accontentarci.
Amor fati
Espressione nota soprattutto attraverso Nietzsche, ma impiegata anticamente dagli stoici e, dopo il
grande filosofo tedesco, dall'esistenzialismo. Indica l'accettazione incondizionata del proprio destino.
Anamnesi
Questo termine significa "reminiscenza" ed è impiegato da Platone per definire la conoscenza. Egli
scrive infatti: "conoscere è ricordare". L'anima, che per Platone preesiste al corpo ed è immortale, ha
infatti contemplato la verità del mondo delle idee (iperuranio) anche se l'ha dimenticata unendosi al
corpo. All'uomo è comunque concesso, seppure attraverso un faticoso cammino intellettuale, di
recuperare l'originaria visione delle idee, e quindi di ri-conoscere la verità che, in quanto dotato di
un'anima, è già in lui.
Angoscia
Con questo termine (dal latino angustia, che deriva da angere = "stringere") si indica in generale uno
http://www.giuseppecirigliano.it/Accidente-Antinomia.htm (1 di 2)13/11/2005 13.29.17
Accidente-Antinomia
stato d'animo o sentimento di profonda e disperata inquietudine, tale da darci l'impressione di sentirci
interiormente "stretti" da una forza ignota ed indicibile.
Filosoficamente ha assunto un significato preciso con Kierkegaard (come sentimento che l'uomo ha
della nullità del suo essere finito di fronte all'infinitudine di Dio) e poi in Heidegger (come
sentimento del nulla da cui l'uomo emerge e che quindi costituisce la sua essenza più profonda).
Anima
Fin dai tempi più antichi, anche pre-filosofici (poemi omerici, orfismo), l'anima (in greco anemos =
"soffio, vento") è stata intesa come il principio vitale.
I pensatori antichi e medievali distinguevano tra A. vegetativa, sensitiva e razionale.
Per il cristianesimo essa reca l'impronta divina.
Nell'epoca moderna sta ad indicare il principio che dà vita e coscienza.
Animismo
Concezione antichissima, secondo cui tutti gli esseri naturali sono animati e viventi. Si tratta dunque
di un termine vicino a ilozoismo, ovvero quella concezione che, ritenendo materiale l'intera realtà,
riconosce nella materia stessa il principio della vita. Dall'A., tuttavia, l'ilozoismo si distingue in
quanto il carattere del principio vitale è strettamente biologico e non spirituale.
D'altro lato, l'A. si avvicina al panpsichismo, ossia la dottrina secondo la qualetutto sarebbe animato e
la materia avrebbe un'attività analoga a quella psichica dell'uomo. A sua volta, però, il panpsichismo
si distingue dall'A. perché, mentre quest'ultimo mantiene una concezione pluralistica della realtà,
quello è caratterizzato da una concezione monistica dell'essere.
Nonostante l'influenza del cristianesimo, l'A. non fu ridotto al silenzio. Nel Quattrocento lo
professarono ad esempio Ficino e Pico; e nel Cinquecento, maghi come Agrippa e Paracelso, nonché
filosofi naturalisti come Telesio, Bruno e Campanella.
Antinomia
In generale (dal greco antí = "contro" e nómos = "legge"), significa contraddizione di una legge con
un'altra, pur essendo giustificabili separatamente. Nel linguaggio filosofico indica una
contraddizione irrisolvibile fra due proposizioni entrambe dimostrabili.
http://www.giuseppecirigliano.it/Accidente-Antinomia.htm (2 di 2)13/11/2005 13.29.17
Apatia-Bene
Apatia-Bene
Apatia
Dal a privativo e páthos = "passione", significa assenza di passioni. Nella filosofia stoica è
considerata la suprema virtù del saggio, il quale sa che tutto ha una ragione e quindi accetta tutto ciò
che accade con serenità.
Apodittico
Termine aristotelico con cui si indica ciò che, essendo evidente per sé, non ha bisogno di
dimostrazione ed è inconfutabile. Kant lo usò come sinonimo di "necessario", cioè logicamente
dimostrabile o evidentemente vero.
Aporìa
Dal greco aporìa (= "passaggio impraticabile, via senza uscita"), indica un problema irrisolvibile per
la possibilità di più soluzioni, diverse e incompatibili tra loro, ma tuttavia ugualmente sostenibili.
Apparenza
Il problema dell'A., in relazione alla realtà, sorge con Parmenide, per il quale la realtà è appunto
apparente, illusoria. In Platone la realtà assomiglia invece alle idee, e quindi ha una sua consistenza in
termini di verità. Nella filosofia di Kant si ha invece una distinzione interna alla realtà stessa,
laddove il filosofo distingue tra fenomeno (la cosa come appare) e noùmeno (la cosa in sé).
A priori-a posteriori
Nell'antichità e nel medioevo con queste due espressioni si indicavano, rispettivamente, il
ragionamento (a priori) che va dalla causa (che è anteriore, universale) all'effetto (che è posteriore,
particolare), ovvero quello (a posteriori) che va dall'effetto alla causa. Il primo è detto anche
"deduttivo", il secondo "induttivo".
A partire da Kant le due espressioni hanno assunto un significato diverso: "a priori" vien detta la
conoscenza razionale, indipendente da ogni esperienza; "a posteriori" è invece chiamata la
conoscenza che presuppone l'esperienza.
Assioma
Principio evidente per sé, e che quindi non ha bisogno di esser dimostrato.
Ateismo
Dal greco a-theòs (= "senza Dio"), è la posizione di chi nega appunto l'esistenza di Dio e di
qualunque altro principio trascendente.
Atto
Termine fondamentale della filosofia aristotelica, correlativo a potenza. La potenza indica la
possibilità di assumere una certa determinazione o forma, mentre l'atto è appunto la realizzazione di
quella possibilità. Ad esempio, un albero è "in potenza" un tavolo.
Bello
http://www.giuseppecirigliano.it/Apatia-Bene.htm (1 di 2)13/11/2005 13.29.28
Apatia-Bene
Platone concepiva il bello come manifestazione del bene; Hegel lo identificava con la verità;
Aristotele (e con lui il medioevo e il rinascimento) lo definiva come simmetria; Baumgarten lo
concepiva come perfezione sensibile...
Sarebbe bello definire il bello in modo irrefutabile: ma come si fa? Il famoso proverbio: "Non è bello
ciò che è bello ma è bello ciò che piace" rende soggettivo e imprendibile il concetto di bellezza,
poiché lo assimila o confonde con quello di piacere. D'altra parte, il proverbio capovolto: "Non è
bello ciò che piace ma è bello ciò che è bello", appare nettamente più logico e oggettivo, ma
comporta la domanda: "Chi stabilisce una volta per tutte i canoni della bellezza?". Se vuoi, puoi
scervellarti col quesito (d'ascendenza platonica ma che provo a formularti con parole mie): "Diciamo
che esistono cose belle perché c'è la bellezza, o che c'è la bellezza perché esistono cose belle?".
Bene
Come per il bello, anche per il B. abbiamo una dimensione oggettivistica e una soggettivistica, ma
per quest'ultimo il contrasto è più diacronico che sincronico. La prima è tipica del mondo antico e
medievale: Platone, Aristotele, Plotino, Tommaso parlavano infatti del B. in termini di verità,
bellezza, conoscenza, Dio, ecc. Nel pensiero moderno e contemporaneo si parla invece del B. in
relazione al soggetto che lo desidera, sia in senso individualistico-relativistico, sia (come in Kant o
negli utilitaristi) in termini di legge universale.
http://www.giuseppecirigliano.it/Apatia-Bene.htm (2 di 2)13/11/2005 13.29.28
Caso-Coscienza
Caso-Coscienza
Caso
Vi sono due definizioni fondamentali di questo termine: quella di C. come evento che non ha nessuna
causa oggettiva e pertanto esclude ogni forma di determinismo; e quella di C. come evento di cui,
semplicemente, non si conoscono le cause. La prima concezione (oggettiva) fu affermata per la prima
volta da Epicuro; la seconda (soggettiva) venne difesa soprattutto dagli stoici.
Categoria
Dal greco categorìa, significa "predicato". In Aristotele, per il quale le C. sono quei concetti che
possono essere predicati di tutti gli altri e dei quali nulla si può predicare, sono dieci: sostanza,
qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, posizione, condizione, azione, passione.
Per Kant, invece, le C. non sono predicati della realtà stessa, ma le leggi o forme (a priori) di cui
l'intelletto si serve per unificare i molteplici dati sensibili. Sono dodici, e Kant le suddivide in quattro
gruppi: quantità (unità, pluralità, totalità), qualità (realtà, negazione, limitazione), relazione
(sostanza, causa/effetto, reciprocità), modalità (possibilità, esistenza, necessità).
Causa-Causalità
La più antica formulazione del concetto di C. - indispensabile ai fini della spiegazione razionalistica
dei fenomeni naturali, tipica del pensiero filosofico e scientifico occidentale - risale ad Aristotele, il
quale distingue quattro tipi di C.: materiale (ciò di cui una cosa è fatta), formale (la forma o il
modello di una cosa), efficiente (l'agente che fa essere la cosa), finale (il fine per cui una cosa viene
prodotta). La scolastica diede poi risalto soprattutto al problema della causa prima, identificandola
con Dio e facendola valere come prova della sua esistenza (argomento cosmologico). Il pensiero
moderno si concentrò invece sulla causa efficiente, ponendola alla base del meccanicismo e del
determinismo che caratterizzano la moderna concezione della natura.
La validità di questa concezione venne posta in dubbio nel '700 da Hume, per il quale il principio di
causalità è una mera ipotesi: tra causa ed effetto, a suo giudizio, non vi è un legame necessario ma
soltanto una connessione di fatto. A sua volta, Kant fece della relazione causale una categoria
trascendentale dell'intelletto.
Ai nostri giorni, la crisi del modello meccanicistico-deterministico della natura, sostituito da un
modello probabilistico, ha posto in secondo piano il valore del nesso causa-effetto.
Certezza
Quantunque collegato a quello della verità, il problema della C. è diverso: infatti, un conto è avere
conoscenze vere, e un conto è essere certi di averle. La polemica scettica riguarda in fondo il
problema della C., non quello della verità. In poche parole essa può così riassumersi: può darsi che io
abbia delle conoscenze vere, ma non posso esserne certo.
Molti filosofi individuano nell'evidenza il criterio della C. Tuttavia a questo proposito c'è da notare
che filosofie contemporanee ma distanti come quelle di Cartesio (razionalismo) e di Bacone
(empirismo) adottano entrambe tale criterio ma, mentre per il primo l'evidenza si coglie con la
ragione, per il secondo si coglie coi sensi.
La più recente teoria della verità manifesta, formulata da Karl Popper, non cambia di molto le cose:
http://www.giuseppecirigliano.it/Caso-Coscienza.htm (1 di 3)13/11/2005 13.29.49
Caso-Coscienza
ciò che ci manca è un criterio intersoggettivo che assegni alle credenze soggettive il valore di
universalità che attiene al concetto di C.
Cogito
Abbreviazione della celebre formula cartesiana: "Cogito, ergo sum", con la quale il grande filosofo
francese affermava l'autoevidenza del soggetto pensante, cioè la certezza che l'uomo ha della propria
esistenza tramite il pensiero.
Concetto
Nel senso più tradizionale indica l'essenza universale di una cosa o di una classe di oggetti, ed in tal
senso, secondo Aristotele, scopritore del C. è Socrate. Tale concezione rimarrà lungo tutta la storia
della filosofia: la ritroviamo ad esempio in Cartesio e Spinoza. Ma l'identificazione del C. con
l'universale è propria anche di Kant, il quale oppone il C. all'intuizione (rappresentazione singolare),
mentre nella filosofia contemporanea la ritroviamo nella fenomenologia di Husserl, che tuttavia
preferisce il termine essenza a quello di "concetto".
Contingente
Opposto a necessità, questo termine indica ciò che è (ed è in un certo modo) ma potrebbe anche non
essere (né essere in quel dato modo). Nel pensiero medievale, ad esempio, l'essere degli enti è C.
rispetto all'essere necessario di Dio.
Contraddizione
C. è affermare e al tempo stesso negare una stessa cosa: infatti A non può essere Non-A. Parmenide
formulò per primo il principio di non-contraddizione con la formula: "è impossibile che l'essere non
sia e che il non-essere sia". Ripreso poi da Aristotele, tale principio è stato considerato irrefutabile da
tutta la filosofia classica fino ad Hegel, che con la sua concezione dialettica afferma che "ogni cosa
si contraddice in se stessa" e quindi vede la C. come la condizione essenziale di ogni processo.
Cosa in sé
Con questa espressione si indica in generale ciò ciò che sussiste in sé, indipendentemente dalla
conoscenza umana. Kant la intende però come la realtà che sfugge al nostro conoscere ed impiega per
essa il termine noùmeno in contrapposizione a fenomeno, col quale indica invece la nostra
soggettiva percezione della cosa.
Coscienza
Nell'uso filosofico questo termini ha vari significati.
In primo luogo è sinonimo di interiorità (o "voce interiore"), con forte connotazione morale (Socrate,
Agostino, Kant).
In secondo luogo, soprattutto a partire dal XVII secolo, equivale a consapevolezza soggettiva di sé e
dei propri stati mentali (Cartesio per primo, e su tutti).
Nella filosofia contemporanea l'elaborazione più interessante la troviamo nella fenomenologia di
Husserl che, pur partendo dalla C. tradizionalmente intesa (cioè come autointrospezione di esperienze
vissute), recupera dalla scolastica il concetto di intenzionalità, sostenendo che la C. è sempre
"coscienza di", le è essenziale il rapportarsi all'altro da sé, e il rapporto con l'oggetto è sempre un
rapporto di natura logico-trascendentale e non psicologico.
http://www.giuseppecirigliano.it/Caso-Coscienza.htm (2 di 3)13/11/2005 13.29.49
Caso-Coscienza
http://www.giuseppecirigliano.it/Caso-Coscienza.htm (3 di 3)13/11/2005 13.29.49
Deduzione-Ente
Deduzione-Ente
Deduzione
In logica, è così chiamato il procedimento che va dall'universale al particolare, che cioè dall'analisi
dell'universale deduce i particolari come conseguenze necessarie. Ad esempio, dall'affermazione
"tutti i corvi sono neri" si dedurrà che "i corvi italiani sono neri". Nella D., insomma, le premesse
contengono tutto ciò che è necessario per inferire la conclusione.
L'esempio più illustre di ragionamento deduttivo è certamente il sillogismo aristotelico. Tipica del
razionalismo e della matematica, la D. si oppone alla induzione.
Determinismo-Indeterminismo
Il D. è la dottrina secondo cui ogni fenomeno è necessario effetto di una causa. D. è dunque sinonimo
di meccanicismo ed è affermazione di universale necessità. In sostanza, secondo il D. non sono
possibili né fenomeni casuali né azioni umane determinate da una libera scelta, in quanto tutto è
predeterminato.
Il concetto di D. non va però confuso con quello tradizionale di destino: infatti, anche se quest'ultimo
esclude l'esistenza del caso e della libertà umana, lo fa tuttavia attribuendo all'universo una necessità
di tipo provvidenzialistico, cioè orientata verso fini e non determinata da cause.
Il D., che ha il suo antecedente più remoto nella dottrina di Democrito, è stato messo in crisi
dall'abbandono del meccanicismo da parte della fisica, e in particolare dal principio di
indeterminazione formulato nel 1927 da Heisenberg, con il quale si ammette il caso nella fisica
atomica e quindi ricostruzioni probabilistiche e non più deterministiche dei fenomeni.
Più in generale le opposizioni al D., cioè l'indeterminismo, nel corso della storia della filosofia sono
venute dalle dottrine spiritualiste (Boutroux, Bergson), che vedevano negate la libertà, l'azione
provvidenziale della divinità e l'esistenza dell'anima.
Dialettica
Derivato dal greco dialéghestai (= "discutere, ragionare insieme"), questo termine ha assunto nel
linguaggio filosofico vari significati. Da un lato, infatti, la D. è intesa come "arte del discutere", nel
senso di dimostrare falsa una certa tesi mediante argomentazioni stringenti (in questo senso ne è
considerato padre Zenone di Elea). Per altri equivale all'"arte di ragionare" dividendo e articolando i
concetti (questo è il senso assegnatole da Platone, che la fa coincidere con la stessa filosofia). Per
Aristotele la D. è una parte della logica e studia i ragionamenti che partono da premesse probabili,
cioè generalmente ammesse ma non sicuramente vere. Dopo di lui, gli stoici e i pensatori medievali
la considerarono sinonimo della logica stessa. Kant la giudicò come una sorta di sofistica, seppur
naturale e inevitabile, che costruisce ragionamenti capziosi, basati su premesse non convalidate. Per
Hegel invece la D. è la stessa realtà nel suo continuo divenire in quanto questa, identificata col
pensiero, si scandisce appunto su un ritmo dialettico articolato in tre momenti: tesi (affermazione),
antitesi (negazione) e sintesi (unificazione dei due momenti precedenti).
Dio
Termine che designa, in differenti epoche e culture, un'entità superiore dotata di poteri sovrumani,
che rappresenta la ragion d'essere della realtà nella sua totalità e il fondamento dei valori spirituali.
http://www.giuseppecirigliano.it/Deduzione-Ente.htm (1 di 2)13/11/2005 13.29.55
Deduzione-Ente
Può essere inteso come immanente all'universo (gli stoici, Spinoza) oppure come causa trascendente
e creatrice del mondo (Aristotele, Tommaso d'Aquino). Può essere inoltre inteso come fine
dell'universo (Aristotele), o come sommo Bene (Platone, Kant).
Divenire
Indica il perenne fluire di tutte le cose, in contrapposizione all'essere, concepito come eterno ed
immutabile. Così vi è chi ha contrapposto il mondo del D. (apparenza) al mondo dell'essere
(Parmenide, Platone) e chi invece ha colto nel D. l'essenza stessa della realtà (Eraclito, Hegel).
Dogmatismo
Qualunque posizione che parta da princìpi aprioristici, ritenuti indubitabili, ricavando da essi tutto un
sistema di verità, indipendentemente da ogni accordo coi fatti e con l'esperienza. Si tratta dunque di
un termine opposto a scetticismo.
Dubbio
Opposto a certezza, indica uno stato di perplessità e indecisione sia in senso conoscitivo che morale.
In senso filosofico occorre però distinguere tra dubbio scettico o pirroniano, e dubbio metodico o
moderato. Il primo ha un carattere radicale e universale e dichiara l'impossibilità di individuare un
criterio di verità che permetta di distinguere il vero dal falso, giungendo perciò alla sospensione del
giudizio. Il secondo, formulato da Cartesio, è inteso come mezzo per raggiungere una più profonda
certezza.
Edonismo
Dal greco hedoné, che significa "piacere", indica appunto una concezione morale che identifica il
bene col piacere, vissuto istante per istante. Non va confuso con l'eudemonismo e con l'utilitarismo,
proprio perché contempla la ricerca del piacere attuale e presente, mentre le altre due dottrine
intendono un piacere razionalmente calcolato.
L'E. è stato criticato a più riprese nella storia della filosofia, e in particolare da Kan, per il quale la
moralità non puà basarsi sul piacere.
Empirismo
Dal greco empeiría (= "esperienza"), indica quelle posizioni secondo cui la conoscenza è possibile
solo attraverso l'esperienza. Da questa concezione derivano alcune importanti conseguenze: la
negazione di ogni nozione innata, il rifiuto di ogni realtà sovrasensibile, la valorizzazione della realtà
presente ai sensi, il riconoscimento dei limiti della conoscenza umana.
Già usato in età antica dallo scettico Sesto, detto appunto "Empirico", il termine designa in età
moderna quella corrente filosofica, peraltro abbastanza eterogenea al suo interno, che ha i suoi
massimi esponenti in Locke, Berkeley e Hume.
Ente
Ciò che è: un uomo, un albero, un cane, una stella...
http://www.giuseppecirigliano.it/Deduzione-Ente.htm (2 di 2)13/11/2005 13.29.55
Epistemologia-Giudizi analitici
Epistemologia-giudizi analitici
Epistemologia
Dal greco epistéme (= "scienza") e logos (= "discorso"), indica lo studio dei fondamenti, della natura,
dei limiti e della validità del sapere scientifico. Ha avuto un notevole sviluppo nel Novecento
(Carnap, Russell, Popper), dopo la crisi del meccanicismo positivistico determinata dalle scoperte
della fisica (come la teoria della relatività di Einstein).
Esistenza
Questo termine, che deriva dal latino existere (= "venir fuori", "uscire da") e che nel linguaggio
comune è usato come sinonimo di vita, nel lessico filosofico ha un significato tecnico specifico.
In generale significa "ciò che è in atto", indipendentemente dal fatto di essere conosciuto o no.
La scolastica opponeva l'essenza all'E., poiché l'essenza indica la natura concettuale della cosa, la sua
possibilità, mentre l'E. indica appunto il suo essere in atto, il suo ex-sistere ("venir fuori"). Perciò
Anselmo d'Aosta diceva che in Dio E. ed essenza coincidono.
Il termine svolge un ruolo centrale nell'esistenzialismo, un movimento filosofico sorto in Europa fra
le due guerre mondiali, che annovera pensatori importanti come Heidegger, Marcel, Jaspers, Sartre, e
riconosce quali precursori filosofi come Kierkegaard e Nietzsche, ma anche scrittori come
Dostoevskij e Kafka.
Esperienza
Il termine empeiría (= "esperienza") indica quella forma del conoscere che deriva dai sensi ed è
perciò distinta dalla conoscenza intellettiva e razionale. Nella filosofia greca, dopo la distinzione
parmenidea tra sentire e pensare, Platone operò una generale svalutazione della conoscenza sensibile
a favore di quella razionale, mentre Aristotele intese l'E. come grado preparatorio del conoscere
intellettivo. Gli scettici, invece, sottoposero al dubbio radicale sia l'esperienza sensibile (in quanto
relativa e mutevole), sia la conoscenza razionale (in quanto esige la conoscenza di princìpi
intuitivamente veri, la cui esistenza è però problematica).
Nel corso della filosofia successiva il rapporto E.-ragione ha costituito un elemento costante sia
dell'empirismo che del razionalismo.
Essenza
Nozione aristotetica che indica "ciò per cui una cosa è ciò che è", ovvero ciò che appartiene
necessariamente a un ente, in contrapposizione ad accidente, ovvero a ciò che appartiene a un ente
solo contingentemente. Questa concezione dipende dalla teoria della sostanza, poiché per Aristotele
l'E. inerisce alla sostanza. La scolastica si concentrò poi sul rapporto fra E. ed esistenza, e in tale
ambito Tommaso d'Aquino sostenne che solo in Dio non vi è distinzione fra E. ed esistenza, essendo
l'unico ente che esista necessariamente, la cui esistenza è implicita cioè nella sua essenza.
Nella filosofia moderna, in particolare a partire da Locke, questa problematica scompare, o meglio la
nozione di E. perde la sua valenza ontologica per trasferirsi sul piano logico e linguistico.
Già con Hegel, tuttavia, il termine riacquista valore ontologico, in coppia opposizionale con la
nozione di fenomeno. In questo senso, che è penetrato anche nel linguaggio comune, l'E. indica la
struttura profonda della realtà in contrapposizione alla sua manifestazione immediata.
http://www.giuseppecirigliano.it/Epistemologia-Giudizi analitici.htm (1 di 3)13/11/2005 13.30.06
Epistemologia-Giudizi analitici
Nel Novecento, l'esistenzialismo ha rivendicato un primato dell'esistenza sull'E., nel caso privilegiato
dell'uomo: "L'uomo è ciò che si fa", ha scritto Sartre. Si suole perciò contrapporre l'esistenzialismo
all'essenzialismo, qualificando con quest'ultimo termine le dottrine della metafisica classica, che
collocano il principio d'intelligibilità di un ente appunto nella sua E.
Essere
Concetto fondamentale in tutta la storia del pensiero occidentale, ma anche uno dei più ambigui ed
oscuri dell'intero lessico filosofico.
La distinzione primaria e più importante è fra l'uso predicativo, quando il verbo "essere" ha funzione
di copula ("Socrate è mortale"), e l'uso assoluto o esistenziale, quando esso serve ad affermare
l'esistenza di qualcosa ("Socrate è"). Parmenide, come rileva già Aristotele, non distingue tra queste
diverse funzioni, e questa indeterminazione è alla base del suo rigido monismo. Lo stesso Aristotele
afferma invece che l'E. "si dice in molti modi": il termine, cioè, può assumere molti sensi (pollachòs),
e non un senso soltanto (monachòs).
Inoltre, come nota Abbagnano, in contrapposizione al nulla E. esprime ciò che qualsiasi senso è
positivo. In contrapposizione al divenire indica ciò che è stabile e non soggetto a mutamento. In
contrapposizione ad apparenza indica ciò che ha realtà.
In senso metafisico è il fondamento del Tutto.
Eudemonismo
Dottrina morale secondo cui il fine dell'agire umano è la felicità (in greco eudaimonía), individuale o
collettiva che sia (ma in quest'ultimo caso è più esatto parlare di utilitarismo
Evidenza
In generale, ciò che non può essere sottoposto a dubbio in quanto vero per se stesso e non ha quindi
bisogno di dimostrazione. Tuttavia non c'è concordanza sul concetto di E.: per il razionalismo è
questione di ragione (e così per Platone è evidente la conoscenza delle idee, che nessuno vede),
mentre per l'empirismo è questione di esperienza (e così ognuno vede il sole ruotare intorno alla
terra, ma tutti sanno che non è vero). Evidentemente, il concetto di E. non è evidente.
Fenomeno
Dal greco phainómenon (= "ciò che si manifesta"), indica tutto ciò che appare, che cade sotto i sensi
(fenomeno interno) o comunque si manifesta alla coscienza (fenomeno esterno).
Nella tradizione filosofica antica, il significato prevalente di F. è quello di "apparenza sensibile":
tale apparenza, però, può essere ritenuta fallace, ingannatoria (Platone), oppure effettivamente vera
(Aristotele).
La più compiuta teoria del F. è stata elaborata da Kant, anche attraverso la distinzione tra il F. stesso
e il noùmeno.
Forma
Generalmente contrapposto a materia, indica quella che è l'essenza di una cosa. Ad esempio, la F. di
un tavolo non è il suo essere di legno o di ferro, ma ciò per cui è tavolo. In questo senso Platone
chiama forma pura l'idea, ed Aristotele, opponendola a ciò che è in potenza, indica con F. l'atto, la
realtà concretamente attuata come individuo (che è appunto unione di materia e forma).
Kant dà a F. un significato trascendentale: forme a priori sono per lui le leggi del nostro modo di
sentire e di conoscere.
http://www.giuseppecirigliano.it/Epistemologia-Giudizi analitici.htm (2 di 3)13/11/2005 13.30.06
Epistemologia-Giudizi analitici
Giudizi analitici
Sono così chiamati da Kant i giudizi in cui il predicato è già implicito nel soggetto e quindi non
comporta un aumento di conoscenza (Ad esempio: "i corpi sono estesi, oppure "gli scapoli sono
uomini"). Sono quindi giudizi a priori, e sono tipici del razionalismo.
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Giudizi sintetici
Giudizi sintetici-Male
Giudizi sintetici
Kant chiama così i giudizi in cui il predicato non è implicito nel soggetto ma si aggiunge (sintesi) ad
esso in virtù dell'esperienza (Ad esempio: "i corpi sono pesanti"). Sono quindi giudizi a posteriori, e
sono tipici dell'empirismo.
Giudizi sintetici a priori
Sono i giudizi tipici della filosofia kantiana: sono sintetici perché si aggiunge qualcosa al dato, ma ciò
che si aggiunge non è dovuto all'esperienza bensì all'attività pura della ragione.
Idea
Dal greco idéa, eidos (= "forma visibile"), ha due significati fondamentali e diversi: 1° specie unica,
intelligibile, modello della realtà sensibile, e dunque alla molteplicità sensibile contrapposto; 2°
qualsiasi oggetto del pensiero umano, sinonimo quindi di rappresentazione. Nel primo senso è stato
utilizzato da Platone e dagli scolastici; nel secondo da Cartesio, dagli empiristi e nel linguaggio
comune.
Da Cartesio ha inizio la discussione sull'origine delle idee, che vede contrapposti i razionalisti
(Spinoza, Malebranche, Leibniz), fautori dell'innatismo, e gli empiristi (Locke, Berkeley, Hume), che
ritenevano tutte le idee derivate dall'esperienza.
Ad un significato diverso di I. giunge Kant, che la considera oggetto della ragione (anima, mondo,
Dio) in contrapposizione agli oggetti dell'intelletto (i fenomeni).
Idealismo
Termine d'origine seicentesca (Leibniz), usato per designare la filosofia platonica delle idee,
considerate come i veri enti.
Con I. si indicano però anche altre posizioni filosofiche. Se infatti l'I. platonico coincide col realismo
(in quanto le idee esistono indipendentemente dal pensiero che le pensa), l'I. di Berkeley riduce
l'oggetto del conoscere al soggetto conoscente, nel senso che l'essere delle cose consiste nell'esser
percepito dal soggetto pensante ("Esse est percipi", cioè "Essere è essere percepito").
Si parla ancora di I. trascendentale (o critico) per Kant e di I. assoluto per Hegel.
Identità, principio di
Principio fondamentale della logica formale, enunciato da Aristotele e solitamente espresso nella
forma "A = A". Si può anche enunciare con la formula: "ciò che è, è; ciò che non è, non è". Insomma,
logicamente è vero ciò che non è in contraddizione con se stesso.
Nella logica matematica del Novecento questo principio ha perso d'importanza.
Immanente
Dal latino immanere (= "restar dentro"), si oppone a trascendente e a transeunte (= "che passa) per
indicare ciò che permane all'interno di un essere. Così per immanentismo si intendono quelle
posizioni che pongono il principio della realtà (comunque inteso) in seno alla realtà stessa.
http://www.giuseppecirigliano.it/Giudizi sintetici-Male.htm (1 di 2)13/11/2005 13.30.11
Giudizi sintetici
Inconscio
Nella storia della filosofia, il termine I. appare per la prima volta in Leibniz, che parlò di piccole
percezioni non accompagnate da consapevolezza o riflessione. Anche Kant, Schiller e Schopenhauer
vi fanno riferimento. Ma è con Freud che la nozione di I. riceve una vera e propria sistemazione. In
sintesi, si può dire che l'I. per Freud non rappresenta il limite inferiore del conscio bensì la realtà
psichica primaria e fondamentale, di cui il conscio è solo l'aspetto minimo e visibile. Fra le due zone
Freud colloca il preconscio, in cui i ricordi (momentaneamente inconsci) possono divenire consci. I
contenuti rimossi nell'I., per emergere, richiedono invece l'utilizzo di tecniche apposite (associazioni
libere, transferti, interpretazione dei sogni).
Induzione
Opposta a deduzione, in logica viene definita come "il procedimento che dai particolari porta
all'universale". Essa è dunque quella forma di ragionamento che dai fatti concreti risale alle leggi o ai
princìpi generali. Ad esempio, dalla constatazione che tutti "i corvi italiani sono neri, i corvi francesi
sono neri..." si indurrà che "tutti i corvi sono neri". Si capisce bene che un solo controesempio (nel
nostro caso, la presenza di un corvo bianco) inficia la validità della deduzione. E difatti, quantunque
tipica dell'empirismo, la logica induttiva fu già criticata da Hume e poi, nel Novecento, da Karl
Popper.
Innatismo
Dottrina che sostiene la presenza nell'uomo (fin dalla nascita) di conoscenze o princìpi non derivati
dall'esperienza, e che anzi rendono possibili l'esperienza stessa. La prima dottrina innatista è quella
platonica dell'anamnesi.
Male
Termine ricco di tanti significati, come il suo correlativo, il bene. In generale si distingue in fisico e
morale.
Metafisicamente, il problema del male consiste nel ricercare che consistenza reale e che significato
esso abbia nella totalità dell'universo, e più propriamente nel ricercare come possa conciliarsi la sua
presenza nel mondo con la derivazione di questo da un principio divino di bene. Questo problema ha
due soluzioni opposte: quella negativistica (Plotino, Agostino) per cui il male non ha una sua realtà
positiva ma è soltanto una mancanza o privazione di bene (come l'oscurità non è che il venir meno
della luce); e quella dualistica, per cui accanto e contro al principio cosmico del bene vi è un altro
principio cosmico egualmente originario da cui deriva tutto ciò che vi è di anormale e di disordinato
nel mondo (manicheismo).
http://www.giuseppecirigliano.it/Giudizi sintetici-Male.htm (2 di 2)13/11/2005 13.30.11
Materia-Noùmeno
Materia-Noùmeno
Materia
Termine che, in filosofia, ha vari significati: 1° M. come sostrato e/o potenzialità; 2° M. come
estensione; 3° M. come forza. Il primo significato è presente in Platone ed Aristotele, il secondo in
Cartesio, il terzo in Leibniz, Newton e Kant.
Materialismo
In senso generale, e in contrapposizione ad ogni forma di idealismo e di spiritualismo, il termine M.
indica quelle concezioni che non ammettono altra sostanza che la materia, negando l'esistenza di
enti spirituali. Anche se il termine compare per la prima volta nell'Europa del Seicento, vengono
considerate materialiste anche alcune filosofie dell'età antica, in particolare quella di Democrito e di
Epicuro.
Meccanicismo
Dottrina che, escludendo ogni finalità, ripone l'essenza della realtà nel movimento. Tale movimento
si attua secondo leggi necessarie, per cui tutti i fenomeni sono connessi in una cieca catena di cause
ed effetti.
Metempsicosi
Antica dottrina religioso-filosofica secondo cui l'anima (psyché, di origine divina e quindi etern, alla
morte di un corpo passa in un altro corpo, e così via finché non si sia purificata.
Mònade
Questo termine, che significa "unità semplice e indivisibile", fu già usato dai pitagorici ma è stato
reso celebre da Leibniz, il quale considera l'universo costituito appunto da infinite sostanze spirituali
(le monadi appunto), ognuna rispecchiante l'universo ma ciascuna chiusa in se stessa ed
incomunicabile con le altre ("senza finestre", dice il filosofo), e tuttavia tutte armonizzate tra loro
dalla Monade Suprema che è Dio, secondo un'"armonia prestabilita".
Monismo
Tutte quelle posizioni secondo cui l'essenza della realtà è unica, e i singoli enti non sono che modi di
essere dell'unica sostanza, materiale o spirituale che essa sia.
Necessità
Opposto a contingente, indica in generale ciò che non può essere diversamente da com'è. Si possono
tuttavia distinguere tre significati: 1° N. fisica e causale, come subordinazione alle leggi di natura; 2°
N. logica, come proprietà di ciò che è vero in virtù di certe leggi del pensiero; 3° N. morale, come ciò
che è obbligatorio e doveroso per la coscienza
Nichilismo
Dal latino nihil (= "nulla"), indica in generale una dottrina che nega in modo radicale un determinato
sistema di valori.
http://www.giuseppecirigliano.it/Materia-Noùmeno.htm (1 di 2)13/11/2005 13.30.17
Materia-Noùmeno
Il primo a usare in senso positivo questo termine è Max Stirner, che considera "nichilista" la
negazione di tutte le astrazioni (il progresso, la storia, l'umanità) che, a suo giudizio, opprimono e
schiacciano l'uomo.
Nietzsche usa poi il termine N. per indicare la decadenza prodotta dal dualismo platonico fra mondo
delle idee e mondo sensibile, da cui, a suo giudizio, derivano i falsi valori (trascendenti) che hanno
dominato la civiltà occidentale. Lo smascheramento così operato, che Nietzsche compendia con
l'espressione "Dio è morto", produce un'angoscia profonda perché pone l'uomo di fronte al nulla e
alla mancanza di senso; ma ha anche un risvolto positivo, poiché apre la possibilità di una
"trasvalutazione di tutti i valori" e, quindi, prepara l'avvento di una nuova umanità.
Non-essere
Opposto a essere, è sinonimo del nulla. Come l'essere è indefinibile: definire l'essere, infatti, è
limitarlo e negarlo; e definire il non-essere è affermarlo e dunque negarlo. Per cui: o si esclude il nonessere, come Parmenide; o s'intende il non-essere in senso platonico, come alterità, cioè come ciò che
permette il diverso; o infine si pensa il non-essere in correlazione all'essere, come possibilità del
divenire, come fanno Eraclito e (in un senso diverso) Hegel.
Noùmeno
Da nous (= "intelletto"), significa "oggetto di pensiero" ed è un termine introdotto da Kant in
contrapposizione a fenomeno per indicare la conoscenza (umanamente impossibile) della cosa in sé
http://www.giuseppecirigliano.it/Materia-Noùmeno.htm (2 di 2)13/11/2005 13.30.17
Nulla-Scetticismo
Nulla-Scetticismo
Nulla
In filosofia ha due significati particolari: 1° N. come non-essere (Parmenide); 2° N. come alterità o
negazione (Platone).
Panteismo
Da pan (= "tutto") e thèos (= "Dio"), designa quelle dottrine che identificano la divinità con il mondo;
Dio, cioè, è l'universo stesso nella sua totalità. La sua sistemazione più coerente si trova in Spinoza.
Postulato
Indica un principio che non si può teoricamente dimostrare ma che viene affermato in quando rende
possibile la spiegazione di certi fatti che non possono essere contestati. Kant, ad esempio, postula
l'esistenza di Dio come fondamento della moralità.
Potenza
Termine che in generale indica ciò che ha in sé la possibilità di agire. Di grande importanza nel
linguaggio aristotelico, dove indica la possibilità della materia di assumere una determinata forma e
quindi di realizzarsi in atto.
Psiche
Dal greco psyché (= "soffio, respiro"), questo termine significa in generale anima, ma in realtà ha
un'area semantica più ampia e viene così identificato di volta in volta anche con vita, spirito,
coscienza.
Oggi, più particolarmente, indica quell'aspetto dell'anima che si rivela non nella sua attività spirituale
ma in quella meccanica, naturale.
Ragion sufficiente, principio di
Formulato da Leibniz, si affianca a quello di identità e di non-contraddizione. Afferma che niente
può esistere o accadere, né alcun giudizio può essere espresso, se non vi è una ragione sufficiente
[Ma sufficiente per chi?] che sia così e non altrimenti.
Razionalismo
In generale, in contrapposizione ad empirismo, indica tutte quelle posizioni che ritengono di poter
cogliere l'essenza della realtà mediante la ragione, indipendentemente dai sensi e quindi da ogni
esperienza. Tali, ad esempio, le dottrine di Platone, Cartesio, Hegel, Bergson.
Realismo
Opposto a idealismo, indica quelle posizioni secondo cui vi è una realtà indipendente dal soggetto
pensante.
Relativismo
Indica tutte quelle posizioni secondo cui non vi sono verità assolute nell'ambito della conoscenza o
princìpi immutabili e validi universalmente in ambito morale, ma tutto è relativo ai diversi individui e
http://www.giuseppecirigliano.it/Nulla-Scetticismo.htm (1 di 2)13/11/2005 13.30.23
Nulla-Scetticismo
alle diverse condizioni di tempo e di luogo. Si parla pertanto di R. gnoseologico e di R. morale.
Predicato dai sofisti e dagli scettici nella filosofia antica, in quella moderna è presente in Montaigne e
Hume.
Scetticismo
Storicamente, lo S. - dal greco schèpsis (= "ricerca, esame, dubbio") - è una corrente filosofica sorta
nel mondo antico con Pirrone di Elide, ma designa in generale l'atteggiamento di coloro che negano
la possibilità di conoscere in modo certo, e quindi la possibilità di formulare giudizi di verità
irrifutabili.
Il termine "scettico" si è diffuso ampiamente nel linguaggio comune, ad indicare chi è incredulo o
dubita di qualcosa in generale.
http://www.giuseppecirigliano.it/Nulla-Scetticismo.htm (2 di 2)13/11/2005 13.30.23
Sillogismo-Teismo
Sillogismo-Teismo
Sillogismo
Per Aristotele è il ragionamento deduttivo per eccellenza, in base a cui, date certe premesse, seguono
necessariamente certe conclusioni. L'esempio classico, riportato da quasi tutti i manuali scolastici, è il
seguente: "Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale".
Sofisma
In logica, ragionamento apparentemente valido ma in effetti falso, che tende (volontariamente o
meno) a trarre in inganno.
Soggetto
Nell'uso filosofico questo termine ha innanzi tutto un significato logico-ontologico: S. è inteso cioè
come ciò di cui si parla. Ma a partire da Cartesio tale termine ha assunto un significato gnoseologico:
sta cioè ad indicare l'io-pensante, la coscienza, e in questa accezione è contrapposto all'oggetto.
Contro questa seconda accezione, dunque contro il cogito cartesiano, si sono scagliati in età recente
Nietzsche e poi Heidegger, che nella contrapposizione fra S. e oggetto coglie il vizio di origine della
filosofia occidentale.
Solipsismo
Malinconica tesi, consistente nel ritenere la propria coscienza o il proprio io come la sola realtà
esistente (col rischio di sentirsi nel mondo come la povera bollicina di sodio nell'acqua Lete).
Sostanza
Dal greco ousia e dal latino substantia (= "ciò che sta sotto", "a fondamento di", "eesenza
necessaria"), indica in generale ciò che vi è di permanente e necessario nelle cose che mutano. La S.
assume quindi un significato metafisico e può essere sinonimo di essere.
In particolare, si tratta di un concetto cardine nella filosofia di Aristotele, che la definisce come ciò
che esiste di per sé, ed anche come sinolo (= "unione") di materia e di forma.
Più tardi Cartesio dirà che oltre alla S. divina vi sono le sostanze derivate (pensante ed estesa),
mentre Spinoza tornerà all'ipotesi della S. unica (Dio o Natura) e Leibniz a sua volta parlerà di una
pluralità si sostanze (mònadi)
Spazio
Con questo termine, in generale, si intende un'estensione illimitata nella quale si collocano i corpi. In
filosofia, la cosa è più complicata. Può essere infatti concepito come reale, assoluto, cioè come
indipendente dagli oggetti che sono in esso; oppure come relazione relazione pura, ordinamento dei
corpi nella loro esteriorità e posizione reciproca; o ancora come idea astratta, dovuta al modo di
presentarsi delle percezioni ed impressioni puntuali; o infine come forma a priori della sensibilità.
Se la definizione non è chiara, mi dispiace, ma purtroppo non abbiamo altro spazio per ulteriori
delucidazioni.
Spirito
http://www.giuseppecirigliano.it/Sillogismo-Teismo.htm (1 di 2)13/11/2005 13.30.30
Sillogismo-Teismo
Dal greco pnéuma (= "soffio, aria, respiro"), stava originariamente ad indicare il principio che dà vita,
cioè "anima", e che in vita mantiene. Metafisicamente, è stato inteso - in opposizione a materia come sostanza incorporea immateriale, immortale e soprasensibile. In opposizione a natura, che
implica il concetto di meccanicità e necessità, S. viene inteso come attività spontanea, come libertà.
In generale sta ad indicare il mondo dell'interiorità in tutto il suo complesso, il soggetto.
Tabula rasa
Già Aristotele, e più tardi gli stoici, usarono questa espressione (che vuol dire "tavoletta liscia") per
indicare che la mente non ha in sé alcuna idea innata. Fu ripresa da Locke, e dall'empirismo in
genere, per sostenere appunto che l'intelletto non possiede in sé alcuna idea indipendente
dall'esperienza.
Tautologia
Dal greco tautó (= "medesimo"= e lógos (="discorso"), indica una proposizione in cui vi è identità fra
il soggetto e il predicato. Sinonimo di "lapalissiano".
Teismo
Dottrina religiosa (ad esempio il giudaismo, il cristianesimo, l'islamismo) secondo cui esiste un Dio
personale, creatore del mondo, trascendente, giusto, misericordioso, onnisciente e onnipotente.
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http://www.giuseppecirigliano.it/Sillogismo-Teismo.htm (2 di 2)13/11/2005 13.30.30
Teleologia-Weltanschauung
Teleologia-Weltanschauung
Teleologia
Dal greco télos (= "fine") e lógos (="discorso"), indica lo studio della finalità, la discussione intorno
allo scopo (e quindi in definitiva al senso) della vita e del mondo.
Tempo
Per quanto ne parliamo quotidianamente, questo è uno dei concetti più difficili della filosofia. Il
problema del T. è stato infatti discusso ed inteso in sensi molteplici: 1° come avente un'esistenza
reale, assoluta, indipendente dal soggetto; 2° come astrazione ed entificazione mentale del rapporto
di successione dei fatti e delle impressioni; 3° come forma a priori della sensibilità.
Di contro ad ogni concezione del T. come spazializzazione nel lineare ritmo passato-presente-futuro,
si oppone la concezione del tempo come durata (o tempo della coscienza): già Sant'Agostino, molto
profondamente, aveva concepito il tempo come "reale" non in sé, ma nell'anima, e cioè come
continua presenza che si distende fra passato (memoria) e futuro (immaginazione).
Se la definizione non è chiara, mi dispiace, ma purtroppo non abbiamo altro tempo per ulteriori
delucidazioni.
Teodicea
Questo termine, che deriva dal greco díke (= "giustizia) e theós (= "Dio") fu usato da Leibniz per
intitolare una sua opera che, appunto, parla della giustizia divina. In esso il filosofo tende a
giustificare l'esistenza del male nel mondo, e critica quelle dottrine che ritengono incompatibile la sua
presenza con l'esistenza di Dio. Il termine è appunto rimasto per indicare le discussioni intorno al
problema del male.
Teologia
Studio di Dio e dei suoi attributi, dei suoi rapporti con il mondo e con l'uomo. Aristotele usa questo
termine per indicare la filosofia prima, cioè l'indagine e la discussione sulle cause prime, e quindi, in
definitiva, su Dio.
Terzo escluso, principio del
Principio fondamentale della logica aristotelica, che si suole così formulare: "A è o non è B".
Insomma, tra due affermazioni contraddittorie non c'è via di mezzo: o è vera una oppure l'altra; una
terza possibilità è appunto esclusa.
Trascendentale
Nella scolastica è quasi sinonimo di trascendente. Con Kant, invece, il termine assume un significato
particolare: indica infatti una condizione gnoseologica, cioè un modo di conoscere ciò che non deriva
dall'esperienza (quindi T. si oppone ad empirico) ma è riferibile solo a dati forniti dall'esperienza
stessa (così T. si oppone anche a trascendente). Ad esempio, in quanto forme a priori, sono
trascendentali il tempo, lo spazio, le categorie.
Trascendente-Trascendenza
http://www.giuseppecirigliano.it/Teleologia-Weltanschauung.htm (1 di 2)13/11/2005 13.30.35
Teleologia-Weltanschauung
Il primo termine, in contrapposizione a immanente, indica ciò che è al di là o al di sopra del mondo
sensibile, sia da un punto di vista conoscitivo, sia dal punto di vista della realtà. Da qui il secondo
termine, per indicare sia la caratteristica del divino, sia la necessità della sua esistenza
indipendentemente dal mondo (Dio, cioè, sussisterebbe anche se il mondo cessasse di esistere).
Universale
In logica, è il concetto o l'idea o l'essenza comune a tutte le cose che designiamo con un solo nome.
In Aristotele, che ne attribuisce la scoperta a Socrate, gli universali sono le categorie, in quanto son
predicato di tutto mentre di esse nulla si può predicare.
Il problema degli universaliè stato fondamentale nella scolastica. Gli universali (i concetti, le idee)
hanno una loro realtà per sé stante o non sono che nomi, etichette verbali? La risposta alla prima parte
della domanda si qualifica come realismo, e la risposta alla seconda parte si denomina nominalismo.
Tra queste due tesi estreme si pone il concettualismo, per cui gli universali, anche se non sono "reali"
antecedentemente alle cose individuali (ante rem), e neanche in quanto immanenti ad esse (in re),
hanno tuttavia una realtà mentale, un significato che si concreta nell'universalità del concetto,
costruita in base all'esperienza delle cose (post rem).
Verità
Termine fondamentale, non solo per la filosofia, concernente la validità della nostra conoscenza.
In via preliminare occorre dire che la V. risiede nel linguaggio (e nel pensiero), non nella realtà; la
realtà costituisce però il criterio della V. Perciò l'enunciato "la roccia è dura" sarà vero se e solo se la
roccia è effettivamente dura.
Le cose non sono tuttavia così semplici, perché bisogna distinguere tra V. logiche (tipo "A = A" o "1
+ 1 = 2") e V. fattuali (tipo "Sta piovendo" o "L'erba è verde"). Le prime fondano la teoria della V.
come coerenza (rispetto delle regole di un sistema), le seconde la teoria della V. come
corrispondenza (coincidenza dell'enunciato con l'esperienza). Le prime sono sempre o vere o false; il
valore delle seconde dipende dal contesto. Dunque le prime sono necessarie, le seconde contingenti.
Weltanschauung
Termine tedesco che significa "visione del mondo", sotto diversi aspetti: artistico, letterario, culturale.
http://www.giuseppecirigliano.it/Teleologia-Weltanschauung.htm (2 di 2)13/11/2005 13.30.35
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