considerazioni mediche alla consulenza tecnico medico

Tribunale Civile di
Dott.ssa C.
NOTE ALLA CONSULENZA TECNICA DI UFFICIO REDATTA dalla dr.ssa V.E. e dal suo
ausiliario dr. G. N.
NELLA CAUSA TRA:
“EREDI S.L. c/ POLICLINICO UNIVERSITARIO”
(R.G. ____/201_)
A seguito della presa visione della bozza di CTU redatta dalla dr.ssa V. (specializzanda in
Medicina Legale) e del suo ausiliario dr. G. (non specialista in chirurgia vascolare e né in
medicina interna), si ritiene doveroso effettuare alcune precisazioni e valutazioni che, stante
l’assoluta scientificità delle stesse, non potranno rimanere inascoltate. Del pari, si considerano
le conclusioni presentate agli scriventi dalla Dott.ssa V., talmente avulse dalla verità scientifica
che, in caso di conferma della bozza presentata, non si esiterà a chiedere una nuova CTU con
sostituzione dei consulenti dell’Ill.mo giudicante.
Innanzitutto, riteniamo di poter affermare che la relazione presentata in bozza non costituisce
un esempio “scolastico” di perizia medico legale sia sotto l’aspetto medico-scientifico che sotto
l’aspetto medico legale (eppure la ctu è docente di Medicina Legale). Essa manca, infatti, dei
caratteri fondanti di una CTU costituendo, al più, una cronistoria dettagliata di ciò che
descrivono le carte del processo. In essa manca il metodo scientifico di indagine, la valutazione
delle possibili alternative, la valutazione dei comportamenti commissivi messi in riferimento con
quelli omissivi. Manca, ancora, un iter logico argomentativo a sostegno delle conclusioni
raggiunte, l’indicazione rigorosa di ogni patologia nelle sue caratteristiche fondanti e, da ultimo,
manca la indicazione, certa e scevra da dubbi scientifici, dei processi che causarono la morte
della Sig.ra S. che, se si prendessero per vere le affermazioni dei consulenti del Giudice,
rappresenterebbe un “unicum” all’interno della intera storia della medicina moderna.
Va inoltre annotato che per redigere questa bozza la collega ha richiesto all’Ill.mo Giudice una
proroga dei termini non validamente motivata per cui ci si attendeva un miglior
approfondimento medico legale dei fatti che invece non vi è stato.
Per una migliore chiarezza argomentativa, si è scelto di presentare prima le critiche e le
deduzioni di ordine specialistico e, successivamente, quelle di ordine medico-legale. Pertanto, di
seguito si riporteranno le note del prof. Postorino e successivamente quelle del sottoscritto.
Note del Prof. Massimiliano Postorino (ematologo-clinico)
“Dopo aver rivalutato tutti gli atti inerenti alla vicenda, dopo rilettura della relazione tecnica
istruita dal dott. Galipò e dal sottoscritto, nonché dall’attenta valutazione della consulenza del
CTU sono giunto alla conclusione che l’epicrisi e il giudizio del CTU sono NON
CONCERNENTI AI FATTI come realmente svoltisi.
Infatti, dopo una ridondante e ripetitiva esplicazione dei fatti, dalla quale scarsamente emerge
lo stato grave di persistente squilibrio elettrolitico (ipocalcemia e ipopotassiemia) e scompenso
protidemico (grave ipoalbuminemia) nella quale versava la paziente senza efficaci terapie
sostitutive, il consulente invoca una presunta SINDROME DA RIVASCOLARIZZAZIONE come
causa e “movens” degli eventi causali che hanno portato al decesso.
Tale asserzione, espressione di una superficiale e non contestualizzata lettura dei fatti entra in
aperta contraddizione con i dati obiettivi ed inoppugnabili desunti dagli atti.
Lo stesso consulente, nella sua relazione, ai capoversi numero 3-6 pag 19 dice : “Nel caso in specie
bisogna ricordare che tutti i monitoraggi laboratoristici eseguiti sulla donna risultavano indicativi per fenomeni
di rabdomiolisi, interessanti le masse muscolari necrotiche, capaci di liberare sostanze ad alto potere tossico
(POTASSIO , mioglobina, CPK, LDH, Got) ed in grado di procurare gravi ripercussioni sistemiche al momento
della ripresa perfusionale, cosi da determinare una sindrome da rivascolarizzazione”.
Obiezione numero 1) intanto, degli elementi citati, solo il potassio è di fatto letale in un suo
squilibrio, cioè, solo uno squilibrio relativo alla concentrazione di potassio nel sangue sarebbe
“capace di provocare gravi ripercussioni sistemiche”, senonchè, come citato: la PAZIENTE
NON HA MAI PRESENTATO IPERPOTASSIEMIA; AL CONTRARIO ERA SOTTO
COSTANTE TERAPIA INFUSIONALE DI K+, CON CORREZIONI EVIDENTEMENTE NON
SUFFICIENTI !!!
Viene dunque da pensare che questa STRANA e PRESUNTA sindrome da rivascolarizzazione
era INSOLITAMENTE ed ANTIFISIOLOGICAMENTE ipopotassiemica invece che
iperpotassiemica??!!!
Una sindrome da rivascolarizzazione priva di iperpotassiemia sarebbe DEGNA DI
PUBBLICAZIONE SCIENTIFICA SE SOLO FOSSE VERA!!!!
Pensando al danno che avrebbe potuto provocare lo squilibrio dell’altro metabolita citato, la
mioglobina (questa lievemente alta ma non altissima e come sostenuto dal cardiologo
compatibile con danno cardiaco poiché consensuale all’aumento della Troponina I) , questa,
nella Sindrome da rivascolarizzazione, determina un danno acuto che nel giro di poche ore (1224 ore dalla rivascolarizzazione) determina anuria:
Obiezione numero 2) LA PAZIENTE ( come asserito dal consulente al capoverso numero 2425 di pag. 19) E’ DIVENUTA ANURICA ALLE ORE 20.30 DEL 12/11/09 E CIOE’ IN 6°
GIORNATA DALL’INTERVENTO E SOLO QUATTRO ORE PRIMA DI MORIRE => LA
PAZIENTE NON E’ CERTO MORTA PER L’ANURIA INDOTTA DALLA MIOLISI !!
Un caso di Sindrome da rivascolarizzazione senza anuria sarebbe ancor più DEGNA DI
PUBBLICAZIONE SCIENTIFICA, SE SOLO FOSSE VERA!!
Volendo, come è doveroso trattandosi di una vicenda che ha visto perire una persona,
abbandonare il terreno delle ipotesi percorse dal CTU e ritornando nell’alveo del rigido metodo
scientifico, appare opportuno chiarire che la Sindrome da rivascolarizzazione è ben conosciuta
in medicina e letteratura ed è SEMPRE caratterizzata da:
1) IPERPOTASSIEMIA, talora superiore a 6 meq/l, che determina, da sola, la causa di decesso
ancor prima della piu tardiva anuria, per alterazioni gravi del ritmo cardiaco; LA PAZIENTE
IN QUESTIONE ERA GRAVEMENTE IPOPOTASSIEMICA
2) ACIDOSI METABOLICA: causa anch’essa di rapido decesso. Tuttavia, essa non è determinata
da causa renale, bensì, dalla LATTICEMIA e dagli altri radicali acidi rilasciati dalla miolisi.
Ebbene, LA PAZIENTE, ANCHE DURANTE GLI STATI DI SHOCK, HA SEMPRE
PRESENTATO UN NORMALE Ph EMATICO, eccetto nella fase ormai agonica.
Un caso di Sindrome da rivascolarizzazione senza ACIDOSI sarebbe ancor più DEG NA DI
PUBBLICAZIONE SCIENTIFICA, SE SOLO FOSSE VERA!!
Di quanto asserito si allega documentazione scientifica specifica
Notando l’evidente incoerenza delle proprie conclusioni con i fatti, il CTU, melanconicamente
e “a-scientificamente” conclude con “…la sindrome da rivascolarizzazione….causò il decesso della Sig.
S. in assenza di iperpotassiemia (ndr. In assenza di grave incremento della mioglobina,
dell’insufficienza renale acuta/anuria immediata, in assenza di acidosi), esercitando probabilmente il
suo effetto lesivo in maniera determinante proprio sul distretto renale”
PROBABILMENTE?? che terminologia è mai questa??... UN’ANURIA PER 4 ORE (sopraggiunta
dopo giorni di shock ipotensivo con la paziente quasi morta) E’ CAUSA DI DECESSO?
SCIENTIFICAMENTE LA CONCLUSIONE DEL CTU E’ UNA CONTRADDIZIONE IN
TERMINI RISPETTO AI FATTI, COSI’ COME RISPETTO A QUALSIVOGLIA
PUBBLICAZIONE E STUDIO SCIENTIFICO IN TEMA DI DANNI E DECESSI A SEGUITO DI
SINDROME DA RIVASCOLARIZZAZIONE!
La realtà scientifica e medica, amara, ma da accettare, è che una paziente con gravi comorbilità
e che, forse, doveva essere non operata, è stata sottoposta all’intervento non adeguatamente
preparata, cioè non correggendo i pericolosissimi squilibri elettrolitici, i valori protidemici
nonchè emoglobinici e mettendola quindi ad elevato rischio di complicanze.
Sfortunatamente, ma prevedibilmente stante lo stato della paziente, un’emorragia acuta
complicava il decorso del primo intervento e la paziente subiva il primo shock emodinamico,
aggravato da una funzionalità cardiaca già di per sè compromessa ed incapace di efficaci riprese,
soprattutto di fronte alla mancanza di adeguata correzione della potassiemia.
Non contenti di quanto accaduto, dopo 2 giorni si eseguiva il secondo intervento e la povera
malcapitata subiva un secondo, analogo, shock emorragico (ERRARE E’ UMANO,
PERSEVERARE E’ DIABOLICO), con le stesse condizioni di mancati effetti correttivi.
QUESTA E SOLO QUESTA E’ LA VERITA’ SCIENTIFICA E FATTUALE CIRCA LE CAUSE
CHE HANNO PORTATO ALLA MORTE LA SIG.RA S., la quale, come detto, è deceduta
NON
PER
UNA
IMPREVEDIBILE ED
INDIMOSTRATA
SINDROME DA
RIVASCOLARIZZAZIONE, ma per il sommarsi dei danni renali e cardiaci indotti dagli shock,
QUESTI CERTAMENTE PREVEDIBILI, provocati dal duplice intervento.
Confermo quindi la grave, irresponsabile, negligente ed imprudente condotta dei sanitari e,
qualora invece venga accettata l’insostenibile tesi del CTU, invito lo stesso a pubblicare su di
una rivista scientifica il “case report”, visto l’unicità perseguita, l’insostenibilità scientifica e
l’irriproducibilità del caso.
Roma, lì 12/1/16
Prof. Massimiliano Postorino
Note del dr. Carmelo Galipò (specialista in Medicina Legale)
La bozza di ctu oltre ad essere inutilmente ripetitiva, non presenta, nelle considerazioni svolte, spunti di chirurgia
vascolare e né riferimenti alle note ex 194 cpc inviate alla collega il 26 luglio 2015, il che mostra un totale
dispregio per le procedure del codice di rito tale da rendere, se confermata, inutilizzabile la stessa relazione
peritale. Di tali note ex art. 194 di seguito si riportano le conclusioni:
“…riassumo i punti oscuri favoriti a mio parere da una cartella clinica obsoleta che a sua volta favorisce
un modo poco trasparente di gestione del malato:
a) insensato timing operatorio (arto dx e sin)
b) inadeguata diagnostica preoperatoria in relazione alla scelta tecnica (rx an giografia di settembre
fatta in altra sede)
c) mancanza di una quantificazione del rischio cardiologico
d) mancanza di una esplicitazione tecnica riguardante la scelta tecnica ed il timing operatorio
e) illogicità della scelta di accesso anterogrado per PT A dx”.
Comunque, per fini di verità e soprattutto di giustizia, andiamo ad evidenziare le lacune medicolegali e le nette
contraddizioni che appaiono in perizia. Per miglior completezza e comprensione, si riportano le conclusioni redatte
dalla dr.ssa V. (che si ritiene, forse errando, siano le uniche cose scritte dalla stessa dopo l’ingiustificata richiesta
di proroga):
“Alla luce delle considerazioni sopra esposte si ritiene che per quanto attiene il caso in esame non
emergono profili di responsabilità professionale medica. Si ritiene, infatti, di considerare adeguato
l’approccio clinico-terapeutico-assistenziale posto in essere dai sanitari dell’UO di Chirurgia
Vascolare dell’A.O.U. Policlinico, sia nel corso del primitivo intervento di “PTA AFS dx e vasi di
gamba” - eseguito previa acquisizione del consenso - sia nel successivo iter terapeutico instaurato
a seguito delle complicanze insorte, ivi compreso l’intervento chirurgico di bypass femoro-
peroniero – anch’esso eseguito previa acquisizione del consenso - Intervento quest’ultimo da
considerare adeguato nei tempi e nei modi.
A tal proposito, infatti, l’assenza di alterazioni alla motilità delle estremità risulta indicativa
dell’assenza di un danno irreversibile che, se fosse stato presente, in considerazione delle sue
ripercussioni sistemiche, avrebbe reso necessaria un’amputazione dell’arto interessato. Il decesso
della
S. si è quindi
verificato
a seguito
dell’insorta
complicanza:
la sindrome
da
rivascolarizzazione. Condizione patologica che, anche se in parte prevedibile - poiché legata alle
già gravi affezioni di cui era portatore la donna, ed alle condizioni cliniche della paziente certamente non era evitabile, per le stesse motivazioni. Peraltro, le attività terapeutiche attuate
risultano essere state congrue al trattamento delle affezioni e delle insorte complicanze.”
Come si può chiaramente evincere, la ctu afferma che non esiste alcuna errata scelta ed esecuzione della terapia
chirurgica (malgrado erano precise le accuse fatte in perizia di parte e nelle note ex 194 cpc) e tende a precisare
come esiste in cartella il consenso della paziente valido, non si sa in base a quale norma di legge o decisione
giurisprudenziale, anche se dato dal figlio!
Sinceramente, da un docente di medicina legale, si possono accettare queste considerazioni? Può dire un docente
che il consenso all’atto chirurgico dato dal figlio della paziente che, lo si ricorda, era capace di intendere e di
volere, non interdetta, né in stato di necessità per coma o altro, sia valido e rispondente al fine stesso per il
quale il consenso informato è previsto dalla legge e dalla prassi medica?
Pur essendo la risposta scontata, si ritiene che il ctu debba dare specifiche spiegazioni su quanto affermato,
giustificando con richiami normativi e giurisprudenziali le proprie conclusioni a riguardo!
Inoltre la CTU afferma che “Il decesso della S. si è quindi verificato a seguito dell’insorta complicanza :
la sindrome da rivascolarizzazione. Condizione patologica che, anche se in parte prevedibile - poiché
legata alle già gravi affezioni di cui era portatore la donna, ed alle condizioni cliniche della paziente
- certamente non era evitabile, per le stesse motivazioni…”.
Allora, riflettiamo un attimo! Chi scrive e, di questo si è certi, anche il Giudicante, vorrebbe comprendere che
significa quanto detto dalla ctu. A ben vedere, parrebbe che la paziente sia morta per complicanze prevedibili (in
quanto soggetto con gravi preesistenze) ed inevitabili per lo stesso motivo!!!
IN PRATICA: SE LA SI OPERA E’ PREVEDIBILE CHE MUOIA… E LA PAZIENTE E’ MORTA COME ERA
PREVEDIBILE CHE FOSSE! ERGO L’INTERVENTO LA HA CONDANNATA A MORTE CERTA!
Non volendo soggiacere ad una tale assurda spiegazione, si chiede alla ctu che significa per la stessa il concetto
dell’inevitabilità?
Mi pregio di ricordare alla collega (docente di medicina legale), che un fatto inevitabile è quello che si verifica
sempre quando si mette in atto l’evento che lo causa (se recido scientemente l’arteria femorale, si verificherà una
morte per dissanguamento. Esplicazione del concetto per il quale 2 + 2 fa sempre e comunque 4!)
Se la collega pensa di essersi mal espressa, o se per la stessa esiste un diverso concetto di inevitabilità, saremo
curiosi e sinceramente interessati di leggere le opportune correzioni o l’esplicazione di tale concetto.
Del pari, ma ciò conferma l’assoluta negligenza ed imprudenza delle condotte attenzionate con il giudizio “de
quo”, la stessa collega dovrebbe spiegarci come mai, i colleghi di P. che avevano ben valutato il rischio
dell’intervento di by-pass, non hanno operato la paziente, mentre i colleghi di M. (che per la ctu hanno fatto
tutto bene!) l’hanno operata?
Se era prevedibile e realistica la complicanza presuntamente accaduta, e la morte inevitabile, come mai la stessa
afferma che i colleghi abbiano fatto tutto bene (che equivale a dire condannare la paziente ed accettare il rischio
morte della paziente senza dirlo alla stessa). Qualcosa non torna!
Ricordo a me stesso che, ammettendo valido il consenso presente in cartella dato dal figlio (cosa che assolutamente
non è), il paziente consente al medico di agire e compiere atti medici leciti e non illeciti.
Dunque, se fosse vera come descritto la complicanza citata dall’esimio collega chirurgo, significa che la paziente
non andava operata e andava messo in atto un comportamento chirurgico poco invasivo e comunque di minima
invasività per garantire la sopravvivenza della signora, evitare l’amputazione dell’arto (che comunque sarebbe
stato meglio che morire) o comunque ritardarla ove non fosse stato possibile salvarlo, sempre dopo aver
rappresentato correttamente tutte queste problematiche alla stessa S. e non solo al figlio.
Quant’anche volessimo dare valenza scientifica alle riflessioni del ctu (ma è una ipotesi non praticabile effettuata
solo a fini di esempio) occorre valutare compiutamente la validità del consenso informato prestato dal figlio
della signora S..
Orbene, ai parenti dei pazienti NON è riconosciuto alcun potere decisionale in riferimento al consenso su
interventi o atti medici. A tal riguardo è opportuno riportare, come esempio fra innumerevoli altri, quanto
sostenuto dall’ordine nazionale dei medici e degli odontoiatri, il quale specifica a riguardo che: “In presenza
di paziente maggiorenne capace di intendere e di volere, solo a lui spetta il diritto di esprimere o
meno il consenso all’atto medico. I familiari, quindi, non hanno alcun ruolo, a meno che il paziente
stesso non glielo riconosca” cosa che nel caso di specie non è avvenuta poiché avrebbe dovuta essere
annotata o confermata per iscritto!!!. “Per quanto riguarda, invece, il paziente temporaneamente
incapace o il paziente anziano con problemi cognitivi, si è detto dell’opportunità che il medico
intrattenga sempre un “colloquio” coi familiari circa la situazione clinica dell’assistito. Bisogna
tuttavia precisare che in queste circostanze i familiari non hanno un potere decisionale legalmente
riconosciuto” - in questo caso il medico dovrà richiedere la tutela del giudice tutelare - e il rapporto
del medico coi familiari serve unicamente per condividere un percorso assistenziale e terapeutico,
ma senza che le decisioni dei familiari siano di per sé tassative e vincolanti per il medico. Solo in un
caso la legge attribuisce espressamente un ruolo legalmente vincolante ai familiari: si tratta dei casi
di manifestazione del consenso al trapianto di organi da cadavere. Infatti a norma di legge, in caso
di morte del paziente e in assenza di un suo preventivo consenso all’espianto, questo può essere
validamente prestato dal coniuge non separato, dal convivente di fatto o, in mancanza, dai figli
maggiorenni o, in mancanza, dai genitori ovvero dall’amministratore di sostegno se presente.”
Come si può facilmente osservare, non vi è una sola circostanza eventualmente autorizzativa che sia ricorsa nel
caso di specie. Si chiede, quindi, che il ctu voglia mutare la valutazione in ordine al consenso riconducendola
alle norme di legge, ovvero, motivare, assumendosi la responsabilità della propria rappresentazione giudiziale dei
fatti, la scelta di ritenere il consenso validamente prestato.
Penso che la linea guida di condotta citata dovrebbe essere nel bagaglio culturale di una docente di medicina
legale e non solo del giurista.
CONCLUSIONI
Da quanto detto e scientificamente argomentato nelle presenti note, appare evidente che la bozza di ctu è
infondata sia scientificamente che giuridicamente per cui il CTU e il suo ausiliario dovrebbero riflettere su quanto
detto dai sottoscritti ctp e fornire una migliore prova al giudice affinchè lo stesso possa ben dedurre e fare una
sentenza adeguata al caso clinico della sig.ra S.
Permangono infatti non dimostrate: la causa reale di morte, la presenza di una fantomatica sindrome da
rivascolarizzazione, la correttezza dell’iter terapeutico e chirurgico scelto (che si ricorda equivaleva a prevedibile
condanna a morte), la correttezza delle terapie correttive post intervento (rivelatesi inesatte ed inefficaci), la
validità giuridica del consenso informato MAI prestato dalla paziente che, fino a prova contraria NON E’ mai
stata informata.
In verità si ritiene che il ctu debba consultare non solo un chirurgo vascolare di elevata esperienza chirurgica e
un internista di alto profilo scientifico affinché chiariscano meglio le cause della morte della sig.ra Scaffidi, ma
che lo stesso debba riflettere meglio sui nessi di causalità materiale e giuridica che stanno alla base di ogni
attività medico legale.
In assenza dei chiesti correttivi, o dei dovuti chiarimenti SCIENTIFICAMENTE SUPPORTATI e soprattutto
dimostrati dalla documentazione in atti, non si potrà che richiedere la ripetizione della CTU per manifesta
illogicità scientifica e metodologica del metodo adoperato degli attuali consulenti.
Roma lì 17/01/2016
Dr. Carmelo Galipò