NOTE CRITICHE ALLA BOZZA DI CTU DEL DOTT. AM PER IL RICORSO 696BIS TRA A. VS POLICLINICO La lettura della relazione del dr. M. suscita a dir poco sgomento in quanto è la prima volta che si legge una relazione tecnica redatta con modalità di natura certamente NON medico Legale. Se non si stimasse abbastanza il dott. M., si sarebbe quasi tentati di pensare che egli sia infrequentemente primo operatore in interventi di chirurgia addominale e soprattutto di “colecistectomia”. Peraltro pare evidente come il collega non abbia percepito adeguatamente le finalità del c.d. “consenso informato” e non abbia in alcun modo tenuto in conto la ripartizione dell’onere della prova e del dovere di rispondere adeguatamente ed esaustivamente ai quesiti posti dal giudice. La relazione del ctu “fa acqua” – lo si dice a scopo figurativo e senza alcuna volontà di offendere – in ogni sua parte (e purtroppo questo dovrebbe far dispiacere anche alla controparte che in sede di operazioni peritali, tramite il suo consulente medicolegale, ha paventato un’offerta transattiva che mai ha avuto seguito malgrado le plurime sollecitazioni del rappresentante legale dell’attrice) in quanto appare evidente come per il ctu sembri giustificabile ogni evento avverso (o complicanza) che procura un danno conseguenza, a patto che sia riportata nel fatidico foglio di Consenso. Nel caso de quo, Il dr. M. ha giurato in qualità di specialista in chirurgia Generale e non come specialista in medicina legale. Questo rappresenta il primo vero problema di questa relazione, ossia l’assenza della metodologia medicolegale e quindi della specifica cultura che risulta evidente nell’elaborato di cui si è presa visione. Come specialista in Chirurgia Generale si domanda al collega al dr. M. quanti interventi di laparoscopia addominale ha eseguito nella sua carriera e in particolar modo, quante colecistectomie ha eseguito. Tale dato sembra rilevante per comprendere (pur non potendole in nessun modo condividere) le conclusioni a cui è pervenuto il ctu. Adesso passiamo all’analisi della bozza di relazione. Premesso che la ricorrente non ha mai contestato l’esattezza della diagnosi e né l’indicazione in astratto dell’intervento di colecistectomia laparoscopica, che è gold standard per tali patologie (ma di questo parleremo in seguito), il CTU ha risposto senza alcuna logica al secondo quesito. Perché senza alcuna logica? Perché lo stesso ex post afferma che la paziente è stata adeguatamente informata in quanto sul foglio di consenso informato sono elencate (udite udite!) “tutte le complicanze della colecistectomia laparoscopica e di tutte quelle relative a tutti gli interventi di chirurgia addominale…” e che purtroppo mancava la firma del medico informatore. Quindi si chiede al ctu come può definire come adeguata una tale informativa se: 1) Non si rinviene il medico informatore; 2) Se in un foglio esistono anche complicanze di qualsiasi intervento chirurgico addominale. Il fatto insomma che non sia individuabile chi abbia fornito il consenso, ammesso che sia stato fatto, e, soprattutto, la generica e massimale indicazione in senso all’atto di complicanze relative ad altri interventi che nulla hanno a che vedere con quello cui la paziente fu sottoposta, la dicono davvero tutta su quanto il consenso in parola sia ossequioso della accuratezza e puntualità che la norma e la giurisprudenza richiedono sussista. Altro appunto da fare al ctu, che evidenzia molto bene la sua NON specializzazione in medicina legale, è quello di aver ritenuto doveroso di specificare che esisteva anche una adeguata informativa sul secondo intervento in urgenza quando non sarebbe esistita alternativa alcuna. Ecco sta proprio qui il problema di affidare un incarico a un NON medico legale: un quesito (innegabilmente quanto necessariamente impregnato di “diritto”) rivolto al consulente tecnico di ufficio con queste modalità, non ha speranze d’essere risolto proficuamente da uno specialista in chirurgia che, di diritto, solitamente, ne sa abbastanza poco. Sembra dunque necessario a chi scrive ricordare al ctu che affermare che un paziente sia stato adeguatamente informato tanto da acconsentire al medico di compiere atti leciti (e non illeciti – sic!) sul proprio corpo, significa avere: a) Sentito dire alla paziente interrogata che le sia stata fornita tutta l’informativa necessaria e soprattutto quella relativa alle alternative chirurgiche (in tipologia e modalità) oltre che alla mera elencazione delle complicazioni prevedibili. Nel caso della sig.ra A., la stessa ha riferito in sede di operazioni peritali che il chirurgo che l’ha operata le ha detto solo cosa le avrebbe fatto come intervento. b) Un foglio di consenso “informato” personalizzato dove si evince con chiarezza l’informativa specifica al caso indicato in premessa (patologia e tipo di intervento) e agli obiettivi raggiungibili con la tecnica operatoria consigliata e i vantaggi di tale tecnica rispetto ad un’altra specie, in considerazione delle eventuali preesistenze anatomiche e patologiche. Nel caso de quo nulla si legge sul foglio di consenso, nemmeno la firma del medico informatore. Quindi si domanda al ctu: trattasi di consenso informato o “disinformato”? Eppure quanto sopra menzionato era stato richiesto specificatamente dal magistrato al punto b) del quesito 2! Adesso andiamo a valutare il gesto chirurgico compiuto dal primo operatore e allo stesso tempo vediamo di evidenziare le illogicità espresse dal ctu. Noi consulenti di parte abbiamo sempre espresso e ripetiamo quanto di seguito riportato. “…nel caso in esame ci troviamo di fronte ad una paziente obesa sottoposta alcuni anni addietro a ripetuti interventi chirurgici su annessi ed utero e nella quale, quindi, era prevedibile la presenza di tenaci aderenze viscero-viscerali e viscero-parietali, con il concreto pericolo, in caso di ricorso alla tecnica laparoscopica per l’asportazione della colecisti, di lesione o perforazione, come poi si è d’altronde verificato, di un’ansa intestinale. La Consensus Conference del Maggio 2013 sulla colecistectomia laparoscopica, che ha visto coinvolte varie Società scientifiche (SICE, SICOP, EAS, Fondazione Chirurgo e Cittadino) raccomanda “estrema cautela in un gruppo di pazienti” fra i quali quelli con le caratteristiche della sig.ra A. (obesità, numerosi pregressi interventi sull’addome), tant’è che sempre secondo la Consensus andrebbero trattati chirurgicamente solo da “ un team molto esperto”. Cautela che non si riavvisa nell’operato della equipe chirurgica che ha operato la sig.ra A., sia nella fase di induzione del pneumoperitoneo, che andava effettuato non mediante l’introduzione alla cieca dell’ago di Verres, ma, come consigliato dai più, praticando una minilaparotomia sotto-ombelicale con introduzione sotto visione del trocar così detto di Hasson, sia nella fase di lisi delle aderenze. Inoltre dalla lettura del verbale descrittivo dell’intervento non risulta che sia stato effettuato un adeguato controllo della cavità addominale sia con i consueti ripetuti lavaggi con soluzione fisiologica (nell’intervento è descritto solo un solo lavaggio), sia un controllo delle anse intestinali su cui era stata praticata l’adesiolisi. Tali manovre, vista la tattica chirurgica adottata e l’adesiolisi effettuata, avrebbero consentito di rilevare nel liquido di lavaggio dopo un’attenta osservazione la presenza di fughe di materiale enterico e la lesione della parete intestinale, dato che essa è risultata essere abbastanza ampia (circa 0,5 cm), consentendo in tal modo la sua immediata riparazione ed evitando quindi l’instaurarsi nel postoperatorio della peritonite, con quanto di conseguenza. Adesso vediamo cosa ha scritto il ctu. Il dr. M. afferma che la perforazione intestinale è certamente avvenuta a seguito di manovra chirurgica, ma che non è possibile precisare il momento in cui essa è avvenuta e in quali modi. Nella sua discussione, insomma, è mancata la qualificazione di questo sconosciuto atto medico che ha procurato la lesione. Il ctu infatti passa subito a discutere del fatto che la perforazione poteva passare inosservata senza comunque affermare che trattasi di lesione comunque iatrogena colposa in quanto come lo stesso afferma: 1) Si verifica nello 0.14% delle colecistectomie; 2) Che di questo 0.14% “solo” (sic!) nel 61% dei casi il chirurgo se ne accorge durante l’atto operatorio e che quindi non potendosi diagnosticare nel 39% delle volte è scusabile in quanto “anche una indagine accurata della cavità addominale può non consentire di individuare la lesione!”. Certo se si dovesse riflettere su tali considerazioni come solitamente fanno i comici in TV si diventerebbe troppo coloriti, però quando lo scrivente ha letto le conclusioni del ctu si è un po’ smarrito in quanto sembrava di essere in una Candid Camera! In poche parole il CTU afferma che: 1) La perforazione intestinale è legata al gesto chirurgico che però non qualifica in termini di colpa in quanto è complicanza prevista nello 0.14% dei casi (bene!?!); 2) Il Chirurgo ha fatto un adeguato controllo del campo operatorio poiché hanno effettuato un lavaggio dello stesso; 3) Che dopo aver diagnosticato il giorno dopo la lesione tramite TC ha fatto un ottimo intervento di riparazione (che però ahi noi è costato “solo” un pò di intestino alla sig.ra A.); 4) Che il laparocele è conseguenza della laparatomia xifo-pubica e dell’infezione-raccolta sierosa (dovuta agli esiti della perforazione e dell’inquinamento della cavità addominale) che è anch’essa una complicanza prevedibile e quindi…giustificabile (sic!), ma che comunque (si consideri bene!) può essere concausata anche dall’obesità, errati comportamenti alimentari, sforzi fisici e tosse (fattori, guarda caso, tutti presenti nella storia della perizianda) e dunque non ascrivibile a colpa medica. Insomma, a parte le “ironiche” affermazioni del ctu sull’avvenuta informazione della sig.ra A., lo stesso ha affermato che: 1) Esiste il contratto (non lo ha detto ma si evince per tabulas); 2) Esiste maggior danno in quanto ha descritto tutti gli esiti peggiorativi legati alla perforazione che altrimenti non si sarebbero verificati; 3) Ha evidenziato il nesso di causa tra le lesioni lamentate (e i relativi postumi) e il gesto chirurgico; 4) Ma, udite udite, ha detto che non esiste colpa medica senza evidenziare con certezza la presenza di concausa esterna che esclude tale responsabilità! Cosa altro bisogna dire? Una cosa certa e logica da fare ci sarebbe: sostituire il ctu e nominare uno specialista in medicina legale che in casi del genere non ha certamente bisogno di ausiliario chirurgo generale. Roma lì 24.02.2016 Dr. Carmelo Galipò