il lessico della classicità nella letteratura europea - Apeiron

IL LESSICO DELLA CLASSICITÀ
NELLA LETTERATURA EUROPEA
MODERNA
Libera Università IULM di Milano
Università di Torino
Università di Genova
COMITATO SCIENTIFICO
Coordinatore Mario NEGRI
Antonio ALONI Ermanno BARISONE
Ferruccio BERTINI Pier Luigi CROVETTO
Pierpaolo FORNARO
Patrizia NEROZZI Giovanni PUGLISI
COMITATO DI REDAZIONE
Michela CISLAGHI Nicola FERRAR! Marco GIOVINI
ISTITUTO DELLA
ENCICLOPEDIA
ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
©
PROPRIETÀ
ARTISTICA
E LETTERARIA
RISERVATA
Copyright 2009 by
Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.a., Roma
Prima edizione, settembre 2009
Fotocomposizione e stampa:
Marchesi Grafiche Editoriali - Via Flaminia, 995-997 - 00189 Roma
La commedia
a cura di
ANTONIO ALONI, FERRUCCIO BERTINI, MARTINA TREU
TOMO
II
La commedia
505
671
509
561
585
517
499
. pago 705
1 - Luciano CANFORA, Un 'eredità controversa
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2 - Mario NEGRI e Martina TREU, Commedia: per una storia della
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parola e del genere
3 - Antonio
,Ai
.
ALONI e Martina TREU, Commedia e comico nella Grecia
antica
.
4 - Antonio
ALONI e Martina TREU, La commedia Antica o Archiia
5 - Martina TREU, La commedia di Mezzo e la commedia Nuova ..
6 - Ferruccio
BERTINI, La commedia
latina di età classica e la sua
jòrtuna
7 - Marco
.
GIOVINI, La commedia latina medievale e umanistica
8 - Margherita
.
LECCO, Commedia nel Medioevo romanzo
.
9 - Pier Luigi CROVETTO e Nicola FERRARI, La Tragicomedia de
Calisto y Melibea: metamorfosi dei modelli classici nel teatro spagnolo dal XVI al XVII secolo
.
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713
»
731
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739
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749
»
775
»
801
»
811
lO - Silvio FERRARI,Marino Darsa (Marin Driié), commediograjò ragu-
seo (1508-1567)
Il - Carmelo
commedie
.
ALBERTI, La commedia in Italia: Commedia dell'Arte e
di corte - Ariosto,
Bibbiena,
Machiavelli,
Ruzante,
Giordano Bruno, Goldoni, Gozzi
.
12 - Nicola FERRARI, Persistenza dei modelli comici antichi nel teatro
francese dal XVI al XX secolo
.
13 - Arturo CATTANEO,I classici nella commedia inglese dal Cinquecento
al Settecento
.
14 - Roberto DE POL, La fòrtuna dei generi classici 'tragedia' e 'commedia' nel teatro tedesco del Seicento
15 - Luca PANIERI, Le jòrtune della commedia in Scandinavia
Riforma a Ludvig Holberg
.
dalla
.
1191
Indice
16 - Nicola FERRARI, Persistenza dei modelli classici della commedia
sulla scena tedesca tra XVIII e XIX secolo
.
pago
861
907
877
847
889
901
823
17 - Pier Luigi CROVETTO e Nicola FERRARI, Persistenza di modelli
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».
classici nel teatro spagnolo del XVIII secolo
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18 - Patrizia NERozzI BELLMAN,La varietà dei modelli: aspetti delleredità classica nel teatro inglese del Settecento
.
19 - Giuliana BENDELLI,Echi ellenistici nella commedia inglese di fine
Ottocento
.
20 - Rosanna GIAQUINTA, Commedia e comico nella letteratura russa
21 - Jovita DIKMONIENE, La fortuna del teatro classico in Lituania ..
22 - Imre KORIzs, L'influenza del teatro antico sulla letteratura drammatica ungherese
.
23 - Aleksandar GATALICA,Influsso innegabile, ma da lontano. La presenza dellantico
secoli XX e XXI
nel teatro serbo moderno e in quello più recente dei
.
24 - Alena WILDOVA TOSI, Aristofane e l'avanguardia ceca
25 - Martina TREU, La commedia antica sulla scena moderna
26 - Mario NEGRI e Martina
TREU, Attualizzazione
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1041
1019
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961
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1057
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927
945
993
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.
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del gioco lin-
guistico
.
27 - Nicola FERRARI,Persistenza dei modelli comici antichi nel teatro
musicale europeo
.
28 - Paolo PUPPA, La drammaturgia
contraddizioni
italiana nel Novecento: aporie e
.
29 - Roberto DE POL, I generi classici 'tragedia' e commedia' in Friedrich
Diirrenmatt
.
30 - Sara SONCINI, Riscritture dei classici nella drammaturgia
contemporanea
inglese
.
31 - Nicola FERRARI,Proiezioni tragiche e schermi comici. Persistenza
dei modelli teatrali classici nel cinema
.
32 - S:;ianfranco DE BOSIO, Il teatro del dialogo
.
33 - Lorenzo ARRUGA, Peripezie, agnizioni, travestimenti: la commedia classica nell'opera è una memoria lontana e trasfigurata
34 - Martina TREU, Classici contemporanei
.
.
INDICE DEGLIAUTORIE DELLEOPERE
(a cura di M. Cislaghi,
con la collaborazione
di M. Curnis,
Salvo, N. Ferrari, O. Ponzani, M. Treu, S. Zangrandi)
1192
D. Di
})
1137
MARTINA TREU
25
La commedia antica sulla scena moderna
La commedia antica, greca e latina, in linea generale appare per lungo tempo meno popolare sulle scene moderne rispetto al genere 'maggiore', la tragedia. Per cercare le possibili cause di una simile discriminazione è opportuno rivedere brevemente la storia dei due generi. Malgrado le affermazioni dei commediografi antichi - che a più riprese difendono la validità e originalità del loro lavoro e rivendicano pari dignità rispetto ai colleghi tragici - una gerarchia tra i generi è riscontrabile già
nelle fonti antiche e negli stessi documenti ufficiali dei concorsi ateniesi: la gara dei tragici è più antica e più prestigiosa di quella comica, ha la
precedenza n~lla sede maggiore delle Grandi Dionisie, richiede in termini economici investimenti più cospicui. Anche dal punto di vista simbolico il poeta tragico - specie se ha incarichi politici o religiosi - riveste
un ruolo decisamente di rilievo, ora come 'maestro di verità', ora come
'salvatore della città', con i saggi consigli e gli avvertimenti dispensati nelle sue opere (si veda per esempio, di riflesso, la missione attribuita al tragediografo Eschilo nelle Rane di Aristofane, così sintetizzabile: i ragazzi
imparano dai maestri, gli adulti dai poeti, Ar. Ran. 1054-1055).
La gerarchia tra i generi si riflette a distanza di tempo anche nella sintesi critica della Poetica di Aristotele, che pone in primo piano la tragedia e l'epos come generi 'seri', rispettivamente di natura drammatica e
narrativa, si concentra di fatto sulla tragedia e implicitamente relega in
secondo piano i generi comici, più calati nella realtà, legati alI'hic et nunc,
regno del 'particolare' più che dell'universale, rispetto alle trame senza
tempo della tragedia. Anche ammesso che alla commedia fosse dedicato un ipotetico secondo libro della Poetica (sulla cui reale esistenza molti critici nutrono seri e fondati dubbi), l'opera aristotelica - così come
si è conservata - contribuisce a determinare la predilezione dei posteri
per il genere tragico.
Il quadro si completa se si ricordano i pregiudizi e sospetti verso la
commedia (già citati nei contributi sulla commedia greca), in gran parte connessi alla vena aggressiva del comico, soprattutto di quel filone
945
della commedia detta 'Antica' in cui rientra Aristofane. L'Archdia da un
lato può essere discriminata come un potenziale pericolo dal pUIfto di
vista sociale, già nell' antichità, per il suo contenuto irriverente e trasgressivo, dall' altro sul fronte teatrale si rivela per certi versi un terreno
minato o perfino impraticabile per molti elementi che ne inficiano la
rappresentabilità: dalle trame surreali - sostanzialmente affidate all'attore - alla comicità greve e scurrile, perlopiù basata su sesso, cibo ed
escrementi; dal coro peculiare e ingombrante, dotato del magico potere di attaccare e maledire, alle battute sorte dall' attualità dell' antica Atene, che in breve tempo invecchiano e sono avvertite come anacronistiche o incomprensibili, o quantomeno difficili da afferrare e rendere con
equivalenti moderni.
Per tutti questi motivi la commedia classica, soprattutto la cosiddetta Antica, rispetto alla tragedia ha svolto un ruolo decisamente minoritario nelle riscritture e rappresentazioni moderne, specie sulle scene italiane, almeno fino a pochi decenni fa. Per certi versi migliore è la
sorte riservata alla commedia Nuova e ai suoi eredi latini, con cui si
identifica il modello vincente e predominante per secoli, anche se a ben
guardare la storia del genere, o come si dice la sua 'fortuna' - ossia l'insieme delle traduzioni e trasposizioni, adattamenti e allestimenti - non
è esente da sorprese. Come si è visto, diversi fattori storici e culturali
contribuiscono a garantire la continuità tra i commediografi greci di
IV- III secolo e gli autori latini e poi europei che ne raccolgono l'eredità (si veda il contributo di Ferruccio Bertini, La commedia latina di
età classica e la sua fòrtuna). Ma le vie delta tradizione e conservazione
dei testi antichi, spesso tortuose, infliggono ad alcuni commediografi
un destino crudele e paradossale: basti ricordare il caso di Menandro,
che vince raramente in vita, ma gode di larga fortuna tra i posteri.
Eppure la sua opera è ben presto vittima di un vero e proprio naufragio, cosicché la sua fama per secoli rimane affidata principalmente alla sua biografia romanzata, e ad adattamenti e riscritture di ammiratori e imitatori.
Grazie a questi ultimi, le commedie di Menandro rivivono in opere
che si ricollegano direttamente o indirettamente alla formula collaudata
sopra descritta nel contributo sulla commedia Nuova: una struttura basata sull'intreccio, ossia su una concatenazione di eventi più o meno prevedibili che si compongono in varie combinazioni e sequenze dalla struttura modulare, a formare storie matrimoniali e familiari di ambientazione 'borghese', in tessute di equivoci, scambi di persona, amori e problemi quotidiani di personaggi ricorrenti, come padri e figli, concubine e
prostitute, servi e ruffiani. Per i suoi punti di forza - come la comicità
garbata e lo spirito arguto, lo studio della natura umana e la resa dei caratteri - questo tipo di commedia è apprezzato, ripreso e rappresentato
946
per secoli, prima in tutto il Mediterraneo, poi in Europa, da un pubblico ampio e variegato: dagli esponenti della buona società romana agli autori tardo antichi e cristiani, medievali, rinascimentali e moderni.
La fortuna di questo modello è evidente nella storia delle rappresentazioni teatrali almeno fino al Novecento, quando la tradizione del testo riserva un nuovo colpo di scena: il ritrovamento di frammenti consistenti di Menandro e la graduale pubblicazione di sezioni sempre maggiori di commedie a partire da metà Ottocento e ancor più da metà Novecento. Questo si traduce ovviamente in una riscoperta del commediografo non solo da parte di lettori e critici, ma anche dagli spettatori,
sia pure in occasioni selezionate e in ambiti circoscritti. Gli allestimenti sono situati storicamente, e talvolta anche geograficamente, in corrispondenza con le scoperte di testi o materiali archeologici, in un periodo compreso tra il 1959 - anno di pubblicazione del Djskolos (Misantropo) - e il ritrovamento, da parte dell'archeologo Luigi Bernabò Brea,
delle maschere comiche oggi conservate nel museo archeologico dell'isola di Lipari. Proprio qui nel 1981 si svolge un allestimento degno di
nota di una commedia di Menandro, la Donna di Samo (Samia) nella
versione di Mario Prosperi.
La storia delle maschere di Lipari tra l'altro ritorna alla ribalta, a distanza di decenni, con esiti talora sorprendenti: prima in un film di Rocco Mortelliti (La strategia della maschera, del 1999) e poi in teatro, grazie a una ricerca che merita di essere ricordata per l'originalità teorica e
la resa scenica. Uno studio delle testimonianze archeologiche e documentarie condotto con le risorse delle nuove tecnologie dall'Università
di Glasgow ha permesso di riprodurre le maschere antiche, in una simulazione in tre dimensioni, e ricostruirle con i materiali originari. Le
maschere così ottenute sono poi utilizzate in alcuni allestimenti di commedie e frammenti menandrei. Nell'ambito del progetto si segnalano,
per gli esiti scenici più apprezzabili e maturi, gli allestimenti di due commedie: EpitrépQntes (L'Arbitrato) rappresentata a Siracusa nel settembre
2003 durante un Convegno della Fondazione INDA e Djscolos. Menandro in maschera. Studio per una messa in scena del Misantropo, in occasione della Mostra dei Miti a Milano nel 2004. Responsabile dell'adattamento e regia, oltre che interprete, è Adriano Iurissevich, della compagnia italiana Venezialnscena, in collaborazione con l'Università di Glasgowe col Laboratorio di Drammaturgia Antica dell'Università Cattolica di Milano coordinato da Elisabetta Matelli.
Anche questi spettacoli comunque, fatti salvi i pregi della ricerca e la
riuscita teatrale, raggiungono pur sempre un pubblico limitato e mantengono inequivocabilmente un carattere erudito e sperimentale, com'è
evidente sotto molti aspetti: dal titolo - in greco antico prima che in italiano - alla collocazione strategica nel quadro di convegni, mostre ed
947
eventi culturali. Come questi, altri allestimenti recenti di Menandro si
configurano come esperimenti dal valore documentario, più che teatrale, talvolta circoscritti all' ambito universitario o locale, altre volte a spettacoli in sedi 'minori', di portata limitata e di scarso rilievo, spesso in
occasione di festival estivi che salvo rare eccezioni ospitano tradizionalmente una programmazione di tipo 'leggero' e disimpegnato. Difatti
non di rado le commedie antiche si trovano in cartellone insieme con
prodotti di vario genere, dal varietà al cabaret, dal musical alla commedia in costume, dal recital al balletto. Raramente le prime rappresentazioni estive vengono riprese in sedi maggiori durante la stagione teatrale vera e propria, e spesso le repliche sono riservate alle scuole.
Una simile sorte accomuna Menandro e gli autori latini negli spettacoli regolarmente organizzati nei teatri antichi della Sicilia e del Sud
Italia, in particolare dall' ex Istituto nazionale del Dramma Antico (ora
Fondazione INDA): a Palazzolo Acreide, per esempio, la commedia Nuova e quella latina figurano spesso nel programma del Festival dei Giovani cui partecipano studenti da tutta Italia; quanto a Segesta - in passato sede gestita dall'INDA e dedicata alle commedie latine, in alternanza con gli spettacoli' greci' di Siracusa - si possono ricordare alcuni
allestimenti di Plauto e Terenzio - piuttosto tradizionali, con o senza
l'impiego di maschera - tra cui Stichus e Rudens (1985), Truculentus e
Curculio di Plauto (1993), questi ultimi con un eccellente Marcello Bartoli come protagonista. In linea di massima si tratta di spettacoli dignitosi, anche se non memorabili, dove il testo antico viene generalmente
trattato in modo rispettoso, ma senza interventi di rilievo o attualizzazioni. Un'importante eccezione sotto questo aspetto è rappresentata dal
Vantone di Pier Paolo Pasolini (1963), la libera versione in romanesco
del Miles Gloriosus di Plauto che Ferruccio Bertini ha diffusamente analizzato nel suo contributo (La commedia latina di età classica e la sua fòrtuna): più di quarant'anni dopo (prima nazionale a Milano nel marzo
2009), 1'attore e regista romano Roberto Valerio porta in scena la versione scenica, a sua volta modernizzandola e attualizzandola, con un ammirevole equilibrio di originalità e rispetto, arricchendola di musiche da
avanspettacolo, duetti e canzoni che appaiono in piena sintonia con lo
spirito dell' originale e ben si integrano in uno spettacolo godibile, anche per un pubblico non romanesco, dal ritmo serrato e vorticoso, che
rende finalmente giustizia alI'originale. Lo stesso regista, attore di talento, si fa erede di Ettore Petrolini e Gigi Proietti nel calarsi nei panni,
com'è da aspettarsi, dell'onnipresente servo Palestrione; in questo ruolo cruciale può seguire le suggestioni plautine svolgendo fino in fondo
il ruolo metateatrale di personaggio-autore-regista dello spettacolo: tiene letteralmente la scena, architetta piani, dà direttive agli altri attori,
spiega la storia agli spettatori, ma anche dà ritmo e vivacità alla com948
La curnrtteuuJ.antua Juua Ju:nu rnuuernu
media con continue variazioni di toni, mosse da burattino e canti a mezza voce, dando prova di intelligenza, verve e versatilità notevoli.
Se si eccettuano queste felici eccezioni la tendenza nel panorama teatrale appare chiara: i testi latini di Plauto e Terenzio, dopo aver ricoperto per secoli il ruolo indiscusso di modelli, rappresentano oggi una percentuale esigua nel numero complessivo degli spettacoli classici italiani.
E anche gli adattamenti drammaturgici e gli allestimenti di Menandro
negli ultimi anni sono decisamente in declino. Tale presenza marginale
sulle scene appare tanto più sorprendente se si confronta con la situazione ben più rosea sul versante editoriale: se i testi comici sono oggetto di sempre nuove edizioni - anche tascabili ed economiche - in particolare Menandro ha finalmente raggiunto, dopo tantooblìo, il meritato status di autore facilmente accessibile, non più riservato ai soli studiosi, con diverse commedie leggibili quasi integralmente e pubblicate
in varie edizioni. Evidentemente sussistono altri motivi, oltre alla penuria di testi e alloro stato frammentario, se questi autori sono penalizzati ed emarginati sulle scene. Il paradosso che Menandro appare incarnare più di ogni altro ha radici profonde, forse, nella commedia Nuo'va e nelle stesse ragioni del suo successo.
Si è detto che la commedia 'a intreccio' è decisamente un modello
vincente, rispetto alla commedia Antica: tra riprese e rappresentazioni
si propaga rapidamente nel tempo e nello spazio, nel mondo greco e poi
latino e poi in gran parte del teatro occidentale. Se è vero che il teatro
moderno è erede di quel modello, in un certo senso, è naturale che le
commedie a intreccio siano rimaste a lungo le più popolari, le più imitate e le più vicine alla sensibilità del pubblico. E tuttavia nel Novecento questo tipo di commedia, se si eccettua il boom di breve durata di allestimenti menandrei, subisce un rapido declino che si accompagna, evidentemente, alla ricerca di nuove modalità espressive da parte degli autori, all'evoluzione dei gusti del pubblico, all' affermarsi progressivo di
forme diverse di commedia.
Queste ultime, pur affiancando e soppiantando i modelli teatrali tradizionali, non sempre si contrappongono nettamente all' eredità della
commedia classica nel suo complesso, ma talvolta al contrario scelgono
di risalire indietro nel tempo: spesso per strane alchimie e percorsi inattesi, con uno dei paradossi tipici della modernità, si finisce anzi per riscoprire o reinventare forme più antiche ed elementari di comicità, più
vicine a quelle tipiche dell'Archdia. Quest'ultima, per molti secoli dimenticata, torna alla ribalta in anni recenti, e può rivelarsi sorprendentemente nuova e vitale, come vedremo, in certe interpretazioni contemporanee. Questa netta inversione di tendenza, a favore della commedia Antica, si può valutare meglio se si riconsidera la storia degli
949
allestimenti comici e si confronta quel che è capitato a Menandro, e
agli autori latini, con la parabola inversa che caratterizza la fortuna di
Aristofane.
I tratti distintivi della commedia Antica e del suo principale esponente, sopra ricordati, per lungo tempo hanno pesato a suo sfavore, come una sorta di spada di Damocle. Anche senza considerare la carica di
aggressività e scurrilità, gran parte dei testi aristofanei sono ricchi di riferimenti a fatti e persone legati alla specifica realtà ateniese dell' epoca.
Si può ben comprendere come una simile caratteristica possa comportare problemi nella messa in scena e persino scoraggiare in partenza la
traduzione. Drammaturghi, registi e interpreti moderni infatti si trovano inevitabilmente di fronte a un dilemma di difficile soluzione: se ci si
attiene rigidamente al dettato originale, inclusi i nomi propri e gli scherzi ad personam, le allusioni alla cronaca ateniese di norma non sono affatto trasparenti per il pubblico moderno; ma se si tagliano, senza sostituirle con equivalenti moderni, lo spettacolo rischia di venire snaturato, di perdere mordente e risultare poco godibile. I testi così come sono, dunque, difficilmente appaiono rappresentabili con successo.
Anche per questi motivi si fanno sempre più numerosi, soprattutto
all'estero, gli adattamenti aristofanei che modificano i nomi originali e
traspongono per analogie nella realtà moderna i riferimenti a fatti e persone dell' antica Atene. In Italia, tuttavia, simili esperimenti drammaturgici sono ancora rari e suscitano reazioni contrastanti in pubblico e
critica. C'è chi approva gli allestimenti più 'attualizzanti' provenienti
dall' estero, deplora la discriminazione di cui Aristofane è oggetto in patria e auspica che gli sia dato maggiore spazio, e chi rifiuta come anacronismo ogni allusione o incursione nel presente. Pur cambiando gli
spettacoli, i recensori e gli spettatori, soprattutto in passato l'inserzione
nel testo di riferimenti al contemporaneo - specie se accompagnata da
ammiccamenti, allusioni sessuali e libertà di linguaggio - veniva bollata e associata con spregio alla rivista e all' avanspettacolo, come dimostrano le rassegne stampa degli ultimi cinquant' anni.
Solo recentemente si vanno affermando nuovi orientamenti, anche
sulla scia di studi stranieri soprattutto in ambito anglosassone. Gradualmente anche nella nostra letteratura critica e nell' attività teatrale si
fa strada la tendenza a riconoscere alla satira aristofanea una serie di attributi specifici (sopra citati nel contributo sulla commedia greca) - a
partire dalla natura simbolica, né realistica né verosimile - e quelli che
la commedia condivide con altri generi poetici greci, primo fra tutti il
giambo: la capacità di trasformare gli individui storici in altrettanti tipi
fissi, fisici e comportamentali, e trasfigurare la realtà in situazioni esemplari e proverbiali, per quanto assurde e paradossali possano essere (come dimostrano i capi d'accusa spesso inconciliabili coi dati storici e tra
950
loro contraddittori, comuni a persone diverse o intermittenti a distanza di anni: cfr. a riguardo il contributo sulla commedia greca e M. Treu,
Undici Cori Comici, Genova, 1999).
Sempre più spesso, nella messinscena, analogie ed equivalenti simbolici prendono il posto dei nomi propri, tipi e funzioni originarie che
finora si sono frapposti alla trasposizione al di là del tempo o del luogo
d'origine, e quindi nel complesso hanno costituito un deterrente indiretto alla messa in scena di Aristofane. Una simile prospettiva non manca di influenzare la prassi teatrale, specie nell'incoraggiare e legittimare
le manipolazioni drammaturgiche del testo che si fondano proprio su
questi principi. In linea di massima si interviene sui testi ricavando dalle figure comiche più note e riconoscibili la caratteristica o funzione corrispondente - il politico, il ciarlatano, il ladro, il sacerdote e altri comuni
denominatori della satira di ogni tempo - e si cerca un equivalente moderno, ossia una figura o posizione politica e sociale corrispondente nella realtà contemporanea. In questa direzione vanno alcuni spettacoli recenti che meritano di essere citati, nel panorama degli allestimenti comici, perché contribuiscono a conferire ad Aristofane una nuova notorietà sulle scene internazionali.
Tra questi sono da segnalare innanzitutto le commedie più rivisitate e
rappresentate: la Lisistrata (411 a.c.) viene riscoperta per prima ed è tuttora in testa alle classifiche per numero di allestimenti. La sua popolarità
appare riconducibile a diversi motivi, a seconda del periodo e del luogo di
rappresentazione. In un primo tempo, a partire dagli anni Cinquanta, la
commedia viene riscritta e rappresentata con grande successo in vari Paesi, inclusa l'Italia, come commedia musicale o musical: «quel genere teatral-musicale che, secondo la tradizione, nacque al Niblo s Garden Theatre
di New York il 12 settembre 1866 con lo spettacolo The black Crooh> (cfr.
A. Sapori, Dizionario dello Spettacolo, alla voce musical).
Questa tradizione 'leggera' vanta esempi anche in Italia come un musical di successo di Garinei e Giovannini, ispirato alla commedia aristofanea, che conosce diverse versioni (tra cui Un trapezio per Lisistrata,
1958 e Mai di sabato, signora Lisistrata, 1979): com'è prevedibile, data
la tradizione del genere, il musical si incentra soprattutto sul tema sessuale della commedia - lo sciopero del sesso indetto dalle donne - e fa
leva sulla comicità scabrosa della situazione e sulle scene di conflitto matrimoniale. Nell' arco dei successivi cinquant' anni, invece, rispetto a questi temi balza decisamente in primo piano un' altra interpretazione, legata a precise esigenze storiche prima ancora che drammaturgiche: per
la concomitanza con eventi storici recenti, come conflitti e guerre internazionali, la finalità originaria delle donne greche - porre fine alle
ostilità tra Sparta e Atene - emerge con sempre maggiore forza e diviene predominante nelle interpretazioni antimilitariste.
951
La stessa commedia non a caso conosce una vera e propria esplosione di popolarità a livello internazionale in seguito all' attentato dell'
settembre 200 l e alla riapertura del conflitto Oriente-Occidente. In anni recenti Lisistrata viene interpretata come commedia anti-militarista e
femminista, eletta a manifesto mondiale contro la guerra, e rappresentata in tutto il mondo con una diffusione senza precedenti. Tra i casi recenti si segnalano la mobilitazione internazionale dell' organizzazione pacifista Lysistrata project, attiva dal 2002 (per cui si veda il par. 26.10 del
prossimo contributo) e lo spettacolo Lisistrata (esito di un laboratorio
teatrale delle Albe a Ravenna: www.teatrodellealbe.com) andato in scena nella primavera del 2009, proprio quando in Kenya l'associazione
Gender lO promuoveva tra le donne uno sciopero simbolico del sesso
per cercare di fermare la guerra civile. Sempre per motivi simbolici anche la Pace viene rappresentata spesso in periodi di crisi e sedi di conflitto, e per esempio è scelta nel 2005 dallo stesso Teatro delle Albe per
inaugurare un progetto teatrale triennale, chiamato Arrevuoto (che significa «sottosopra» in napoletano), prodotto dal Teatro Mercadante di
Napoli e da RavennaTeatro con il sostegno delle istituzioni regionali e
comunali. Il progetto prevede una serie di laboratori teatrali che coinvolgono, nella riscrittura del testo e nello spettacolo, giovani rom e allievi delle scuole del centro storico di Napoli e della periferia, in particolare di Scampia. In quest'ultimo quartiere degradato e malfamato viene appositamente ristrutturato e riaperto l'auditorium dove debutta nel
maggio 2006 la riscrittura aristofanea. Pace! è il titolo che Marco Martinelli e i suoi giovani allievi hanno dato alla loro versione napoletana
della commedia di Aristofane che accosta l'antica Atene e la moderna
Scampia, in un viaggio impossibile sul proverbiale 'scarrafone' alla ricerca della sospirata pace (si veda a riguardo il volume Arrevuoto. Scampia-Napoli, a cura di M. Braucci e R. Carlotto, Napoli, 2009).
Al di là dei casi eclatanti, comunque, anche altre commedie aristofanee godono oggi di una rinnovata popolarità, in sedi' classiche' come
Siracusa (La festa delle donne, 200 l; Rane, 2002; Véspe, 2003; Le donne
in assemblea, 2004), o moderne e anche non teatrali, come la diga foranea del porto di Genova (Gli Uccelli e altre utopie, regia di Tonino Conte, 2000): di volta in volta oggetto di riscritture legate all'attualità, con
finalità e modalità differenti. C'è chi ne evidenzia la vitalità e le pulsioni liberatorie, il contenuto fantastico e la comicità surreale, chi mira alla satira contemporanea o alla denuncia di moderne ideologie: si vedano nell'arco di una decina d'anni tre differenti versioni degli Uccelli, firmate rispettivamente da Marco Martinelli (Teatro Kismet, Bari, 1994),
Gabriele Vacis (Laboratorio Teatro Settimo / Festival di Spoleto, 1996)
e da Federico Tiezzi (Emilia Romagna Teatro, 2006, Premio Ubu come
miglior spettacolo dell' anno).
Il
952
Aristofane si presta anche al pastiche e alla contaminazione, come mostrano molti esempi che combinano per affinità parti di diverse commedie: basti citare Utopia di Luca Ronconi, Viva la Pace di Aldo Trionfo, i citati Uccelli di Tonino Conte, All'inferno! di Marco MartineUi. Quest'ultimo spettacolo, del 1996, si basa essenzialmente sulla trama del Pluto, contaminata con altre commedie, ambientata in un Inferno che assomiglia tanto all'Italia contemporanea e che ci ricorda come la comicità di Aristofane sia più che mai attuale, anche per il suo 'lato oscuro'.
I protagonisti della versione di Martinelli sono due attori senegalesi, proletari di ieri e immigrati extracomunitari di oggi, che vagano in cerca di
un lavoro e sperimentano tutte le vicissitudini possibili, fino a un lieto
fine dichiaratamente inverosimile nella realtà di oggi, specie per chi versa nelle loro stesse condizioni ..
Altre versioni contemporanee delle commedie prediligono atmosfere cupe e un umorismo 'nero', sottolineando quella vena malinconica,
pessimista e a tratti disperata - riflesso delle condizioni reali dell'Atene
dell' epoca - che affiora a nostro avviso sotto la superficie brillante della comicità aristofanea, e non viene del tutto riscattata dalla sua vitalità
o creatività fantastica o da un lieto fine manifestamente illusorio che rimane confinato alla finzione. Per mettere in luce simili aspetti, anche
senza rielaborare necessariamente la drammaturgia, gli allestimenti delle
commedie possono giocare su diversi elementi, dalle scene ai costumi,
istituendo parallelismi tra la realtà storica di fine V secolo e quella contemporanea, ricordando il conflitto che Aristofane vive ogni giorno e la
situazione di degrado che caratterizza ancora oggi tante nostre città.
In tal senso appare esemplare la versione delle Rane che completa dopo le tragedie Prometeo e Baccanti -la 'trilogia' mista di comico e tragico concepita e diretta da Luca Ronconi, presentata nel 2002 al Teatro
Greco di Siracusa e ripresa negli anni successivi al Piccolo Teatro di Milano. Anche questa versione, come quella di Martinelli, ci presenta un
Aldilà popolato di grottesche figure che ricorda fin troppo bene la nostra realtà, evocata simbolicamente dai suoni amplificati della città sullo sfondo e soprattutto dalle carcasse di automobili che costellano l'orchestra del teatro greco. E tuttavia alI'epoca del debutto siracusano, nell'imminenza delle elezioni politiche siciliane, questi pur efficaci elementi
della scenografia passano in secondo piano rispetto ad altri, che contribuiscono a rendere questo stesso esempio altamente significativo sotto
un altro aspetto. L'attenzione dei media, nel maggio 2002, si concentra
soprattutto sui manifesti elettorali che costituiscono lo sfondo della scena, e intendono sottolineare l'attualità della satira aristofanea riproducendo l'effigie distorta di alcuni leader politici di governo.
Il fatto scatena proteste e rimostranze di esponenti della maggioranza e un acceso dibattito tra opposti schieramenti politici, che sostengo953
no rispettivamente il presunto 'tradimento' della commedia originale e
la libertà dell' artista. In particolare alcuni politici locali, siracusani e siciliani, si sentono personalmente chiamati in causa e reagiscono con veemenza, sebbene la 'provocazione' di Ronconi non riguardi direttamente loro, bensì esponenti nazionali del loro partito. Del resto giova ricordare che l'Istituto Nazionale del Dramma Antico, un tempo sotto il diretto controllo statale attraverso il Ministero della cultura, è da tempo
gestito di fatto da enti locali (tra i membri degli organi direttivi si trovano il sindaco ed esponenti politici di maggioranza).
Il caso di Ronconi, comunque sia, ha un esito emblematico: i manifesti incriminati alla fine verranno rimossi, malgrado le proteste della
compagnia e delle maestranze, per volontà dello stesso regista. Ma rimangono in scena le cornici vuote, a ricordare il contenuto scomparso.
Queste, anzi, sono forse ancora più efficaci dei manifesti stessi, quando
nella commedia il corifeo le addita alludendo ai cattivi politici arricchitisi ai danni del popolo. Il vuoto lasciato da quelle immagini può essere riempito da qualsiasi volto, a testimoniare che la satira aristofanea è
sempre attuale purché sappia elevarsi dal particolare all'universale. Questo stesso messaggio è ben presente anche nelle altre commedie aristofanee: cambiano i nomi propri e le facce degli imputati, ma nulla muta
nella sostanza, la partita del denaro e del potere si gioca tra pochi, incuranti dei destini dei molti.
Questo allestimento ci appare purtroppo un esempio lampante di
quanto la quotidianità spicciola, gli eventi politici contingenti e le polemiche effimere e pretestuose possano distrarre pubblico e critica dalla
vera e profonda attualità di Aristofane, che va oltre i singoli eventi, accadimenti e personaggi specifici cui si può di volta in volta assimilare la
situazione dipinta nella commedia. Colpisce a questo proposito un fatto singolare e significativo, a nostro parere: oltre ad attaccare l'attualizzazione in sé e metterne in dubbio la liceità, come spesso accade, nel nome del presunto rispetto dei classici si recuperano più o meno consciamente alcuni pregiudizi anche antichi, che da tempo accompagnano Aristofane; per esempio la tentazione di separare un presunto contenuto
'serio' e un intento nobilmente moralizzatore dalla componente più bassa e scurrile della satira, che pure è parte integrante della sua arte; oppure il tentativo di mettere in dubbio, curiosamente, che gli attacchi nominali siano prerogativa del comico antico, o ancora il vizio di distinguere le commedie 'non politiche', quasi fossero più elevate e migliori,
per il presunto carattere 'universale', rispetto ad altre più aderenti alla
realtà del tempo.
In ..tale direzione ci paiono tendere per esempio alcune curiose affermazioni sulla commedia antica, riportate dai giornali in occasione del sopra citato 'scandalo': in particolare alcuni esponenti politici negano che
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Aristofane attaccasse per nome gli avversari, o sottolineano che le Rane
«non sono una commedia politica». E a supporto di quest'ultima affermazione viene citata, tra l'altro, la voce 'Aristofane' dell' autorevole Enciclopedia Treccani: peccato che la citazione sia fuori contesto, incompleta
e del tutto fuorviante, poiché in realtà il suo autore, Ettore Romagnoli,
non solo scrive testualmente che le Rane «non sono una commedia politica se paragonate ai Cavalieri», ma nel resto del contributo attribuisce ampiamente ad Aristofane la prerogativa essenziale di ogni comico, ossia la
facoltà di indirizzare attacchi nominali a uomini in vista del suo tempo.
Simili distinzioni tra commedie 'politiche e 'non politiche' fanno
parte dell' opinione comune e sono più o meno esplicitamente riconosciute anche dagli addetti ai lavori; e tuttavia vengono spesso smentite
dai fatti, ossia dalla pratica teatrale contemporanea. Si è visto sopra che
commedie 'pacifiste' - come la Pace o la Lisistrata - sono sì predilette in
tempi di guerra o momenti di crisi, ma sono anche interpretate in altro
modo a seconda dei contesti, e ispirano anche forme 'leggere' come la
rivista, il musical e il varietà. Viceversa, sul fronte opposto, si possono
citare anche commedie più politiche e impegnate, rappresentate nei momenti più 'caldi' della storia politica e nelle condizioni più favorevoli alla satira, che pure non sfruttano appieno, o per nulla, le potenzialità aggressive del testo aristofaneo.
Basti qui citare gli allestimenti siracusani, immediatamente consecutivi alle Rane (2002), di altre due commedie aristofanee: le Véspe (2003)
e le Donne in Assemblea (2004). I rispettivi registi, Giordano e Colavero, rispetto a Ronconi sembrano godere sulla carta di una certa libertà
e di una 'congiuntura' politico-istituzionale favorevole, con l'appoggio
della committenza e della giunta comunale. Nel 2003 la scelta di rappresentare le Véspe di Aristofane, dopo il turn-over ai vertici dell'INDA,
fa presagire ai bene informati uno scontro di segno inverso rispetto alle
Rane dell'anno precedente. Il testo aristofaneo, incentrato sulla mania
ateniese dei processi, potrebbe prestarsi a piccanti allusioni alle vicende
giudiziarie che coinvolgono in quel periodo vari esponenti della maggioranza, a livello locale e nazionale, incluso il premier.
Almeno in teoria, dunque, il timore della censura non dovrebbe frapporsi come ostacolo alI'attualizzazione o all'estro creativo. Ma chi si aspetta una lettura 'politica' - anche se di parte - e va a teatro pregustando
la polemica rimane tutto sommato deluso per l'occasione mancata. Il
regista Renato Giordano privilegia infatti una chiave intimista, rinunciando a intervenire sul testo e perfino a sfruttare i possibili agganci col
presente già contenuti nel testo. Anche Colavero sembra in qualche modo limitarsi o censurarsi volontariamente, limando e spuntando le armi
della satira. Per far presa sul pubblico entrambi i registi fanno leva piuttosto su temi sociali, quali i problemi dell'assistenza agli anziani e del
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Martina Treu
trapasso generazionale. Anche per questi motivi la critica sociale non
convince, la satira appare del tutto inefficace e gli attacchi personali delle commedie originali cadono nel vuoto, non rimpiazzati da alcun riferimento esplicito né sostenuti da agganci anche indiretti all' attualità.
Se guardiamo alI'estero, per cercare un termine di confronto, troviamo alcuni illustri precedenti per certi versi paragonabili agli allestimenti citati, anche se in mutate condizioni storiche e politiche: torniamo indietro nel tempo, a vari decenni fa, quando in molti Paesi gli allestimenti
di Aristofane erano spesso oggetto di censura, sia per motivi religiosi sia
per motivi politici. In Grecia per esempio alcuni casi celebri suscitano
scandalo per una concomitanza di fattori, presi a pretesto per suscitare
un caso in un dibattito già acceso, tra due opposte fazioni. Per primo il
regista Karolos Koun, del Teatro dell'Arte di Atene, in un celebre allestimento degli Uccelli (Atene, 1959), attualizza una scena della commedia originale, attribuendo a un sacerdote antico 1'aspetto e il linguaggio
di un prete ortodosso.
Questo intervento provoca da una parte la censura dei conservatori,
che scandalizzati bollano Koun come blasfemo e comunista, dall' altra
parte la reazione opposta dei paladini dell' autonomia dell' arte: l'episodio viene chiaramente strumentalizzato per fini politici e diviene un pretesto per promuovere una crociata moralizzatrice per l'inasprimento della censura. Qualche anno dopo, sempre ad Atene, un altro allestimento delle Rane costituisce una nuova occasione per fare satira politica e,
pur suscitando l'entusiastica approvazione del pubblico, viene sospeso e
proibito. Di lì a poco il Paese entrerà nel periodo buio della dittatura
militare (1967-1974) e Koun andrà in esilio, come Alexis Solomos - regista di un contestato allestimento della Pace (1964) - e molti altri artisti invisi alla Giunta dei Colonnelli (si veda G. Van Steen, Vénom in Vérse, Princeton, 2000).
Negli stessi anni, in Italia, incontra difficoltà analoghe e, soprattutto per motivi religiosi, un allestimento aristofaneo del regista italiano
Luigi Squarzina (che del resto nel marzo 1968, lo ricordiamo, inaugura un' epoca di allestimenti 'radicali' e attualizzanti portando a Genova
un coro hippy in una contestata versione delle Baccanti, tradotta da Edoardo Sanguineti, precorrendo di poco il più celebre rifacimento della stessa tragedia diretto da Richard Shechner, intitolato Dionysus in 69, che
debutta il2 giugno 1968 a New York). Nel 1957 la città di Benevento
è in subbuglio per la notizia che Squarzina di lì a poco dirigerà un allestimento del famigerato Aristofane, noto per le sue battute sconce e scurrili. Si tratta nella fattispecie di una commedia - le Ecclesiaziuse (Donne
a parlamento), dove il potere va alle donne, e il governo abolisce la proprietà privata: una sorta di regime 'comunista' per di più al femminile.
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Poco importa se la trama aristofanea, anche a una semplice lettura, rivela di per sé la sua natura burlesca e irrealistica di sovvertimento totale della realtà, come pure doveva apparire agli occhi di un qualsiasi ateniese dell' epoca. Ogni argomentazione in tal senso non basta a scongiurare la reazione allarmata della Diocesi, che temendo un possibile attentato alla morale pubblica e privata si mobilita per bloccare l'allestimento e arriva a minacciare di scomunica gli eventuali incauti spettatori (si veda M. Treu, Cosmopolitico. Il teatro greco sulla scena italiana contemporanea, Milano, 2005, pp. 98-100).
Cinquant'anni dopo a Milano, nella primavera 2007, la stessa commedia aristofanea è al centro di un' altra riscrittura: questa volta di Renata Ciaravino, su traduzione di Laura Curino. Lo spettacolo Donne in
parlamento è prodotto e ospitato dal Piccolo Teatro, nell' ambito di un
progetto Masterclass affidato alla regista Serena Sinigaglia e alla sua compagnia ATIR, che come consuetudine selezionano e preparano i giovani allievi del laboratorio teatrale a partecipare come attori e componenti del coro. La commedia aristofanea viene proposta in abbinamento a
una riedizione delle Troiane di Euripide, uno spettacolo dell'ATIR del
2005, che segue di pochi giorni la commedia con un' originale inversione della sequenza rispetto ai moduli antichi.
La dimensione festosa e vitale è chiaramente dominante in questa rielaborazione drammaturgica delle Ecclesiazuse di Aristofane. Qui la festa, il sesso, il cibo e il banchetto - tutd temi centrali, com'è noto, nella commedia antica - sono presenti fondatamente sin dall'inizio dello
spettacolo: a partire dalla scenografÌa, una distesa di tavoli di diverse forme, accostati a mosaico per comporre un pavimento rialzato su cui camminano gli attori. Questi stessi temi, variamente declinati, uniscono come filo conduttore tutte le scene della commedia, da quelle propriamente corali della prima parte ai cosiddetti 'episodi' in forma di sketch
della seconda parte, affidati agli attori (per le parti corali e l'esodo di
questa commedia cf. F. Peru~ino, Dalla commedia Antica alla commedia
di Mezzo, 1987 e M. Treu, Undici cori comici, 1999).
Sulla falsariga del testo gli spettatori vengono coinvolti a più riprese
con apostrofi dirette, slogan, incitamenti. Il coinvolgimento, in crescendo, è affidato in primo luogo al coro di donne, che sin dall'inizio si rivolge al pubblico, soprattutto femminile, per cercare empatia e solidarietà. Segue poi la proposta di condividere e redistribuire beni, donne e
cibo: qui il coro rompe una volta per tutte ogni barriera e si sparge tra le
file della platea per offrire vino agli spettatori e festeggiare insieme. L'apice tuttavia si raggiunge nel finale, dove l'intero gruppo di attori dà libero sfogo alla propria vitalità in un vero e proprio 'carnevale' scenico.
La carica e l'energia tipiche della commedia antica, e del festino comico
in particolare, trovano ideale corrispondenza in questo happening mo957
derno: la massa di attori deborda fisicamente dallo spazio scenico nella
platea e dilaga per tutto il teatro. Scorrono fiumi di vino, farina e cibi vari sparsi dappertutto: è!' età dell' oro evocata nei miti antichi e ripresa puntualmente da molte commedie greche, e da altre che seguiranno.
Tra le recenti riscritture di questa commedia, infine, se ne segnala
una dal titolo Ecc/esia Tèleutaia. L'ultima assemblea, sottotitolo «di Aristofane da Sergio Porro», messa in scena dal Teatro Artigiano di Cantù. Sergio Porro - già autore di una bella rivisitazione dell'Alcesti di Euripide (2001, si veda M. Treu, Cosmopolitico, cit., 2005, pp. 229-252)
- sceglie qui decisamente la strada dell'attualizzazione e traduce fatti e
personaggi aristofanei con 'equivalenti' moderni, che richiamano nomi di spicco della politica cittadina. La trasposizione è particolarmente efficace nella dimensione locale di una comunità ristretta - come
quella dell' antica Atene, dove spettatori, attori e 'vittime' della satira si
conoscono bene - ma anche per gli spazi inediti utilizzati, officine e falegnamerie prestate al teatro: evidente richiamo ai materiali 'primari'
che sono da sempre fonte d'ispirazione e marchio di fabbrica del Teatro Artigiano (www.teatroartigiano.it). Dopo il debutto, il regista ha
purtroppo ricevuto una lettera anonima di minaccia: un atto gravissimo di intimidazione, ma paradossalmente anche una riprova dell' efficacia dell' operazione.
Per concludere la rassegna, infine, vale la pena di citare un adattamento da Aristofane prodotto in Senegal, ma rappresentato anche in
Italia: Il gioco della ricchezza e dellapovertà (2008). Lo spettacolo, in wolof, francese e italiano, è scritto e diretto dall' attore e regista senegalese
Mandiaye N'Diaye, che vive e lavora in Italia col Teatro delle Albe di
Ravenna e ha collaborato con il regista Marco Martinelli ad altri spettacoli, tra cui il sopra citato All'inferno. Affresco da Aristofàne (1996).
Mandiaye N'Diaye mette a frutto l'esperienza italiana - e i legami stretti con enti, istituzioni e intellettuali del nostro Paese - per dare vita a un
originale progetto di teatro comunitario che coinvolge il suo villaggio
natale di Diol Kadd, in Senegal e comprende varie iniziative, spettacoli
e anche un film diretto da Gianni Celati, Un giorno a Diol Kadd
Nell'adattamento da Aristofane il modello greco è contaminato intelligentemente con elementi tipici della cultura senegalese, come la figura del griot (narratore, cantastorie e musica) o il rito del sabàr, una
danza dai tratti osceni e sboccati con cui le donne provocano gli uomini ed esprimono le proprie rimostranze: questo rito in particolare è significativo perché trova corrispondenza non solo in molti altri Paesi africani, a partire dall' antico Egitto, come attesta già Erodoto (i motti osceni durante la navigazione verso Bubastis sul Nilo descritti in Storie, II,
60), ma ancor prima in antichi riti greci, specialmente quelli legati ai
culti misterici e di Demetra, come i gephyrismoi o 'scherzi dal ponte'.
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Qui le donne si esibiscono in lazzi osceni e motteggi salaci all'indirizzo
degli uomini, e con scherzose minacce e allusioni sessuali si contrappongono a un coro maschile, come accade peraltro anche nella Lisistrata di Aristofane.
Lo spettacolo, cui partecipa l'intero villaggio di Diol Kadd, ha per
filo conduttore la trama ridotta all'osso del Pluto di Aristofane: il dio
della ricchezza - che dà il titolo all'originale greco - viene identificato
da Mandiaye N'Diaye con Nawet, dio senegalese della pioggia, e dunque dell' abbondanza e della ricchezza. Anche lui, come Pluto, è cieco ed
emarginato, e i due protagonisti dello spettacolo - come quelli della
commedia aristofanea - cercano in ogni modo di restituirgli la vista, per
redistribuire la ricchezza con nuovi criteri. Alla fine i due vincono le resistenze di Nawet e lo portano nel loro villaggio, Diol Kadd, dove coinvolgono l'intera comunità nel tentativo di salvare se stessi e i loro concittadini dalla miseria.
Il progetto è ostacolato dal dio della povertà, Noor, che come la dea
Penìa dell' originale ammonisce inutilmente i protagonisti: la ricchezza
vera e duratura si conquista duramente, mentre l'abbondanza improvvisa e lo spreco dissennato sono preludio di sciagure. Ed è interessante
notare come il 'Paese dei balocchi' in questo adattamento abbia il sapore della globalizzazione e delle multinazionali (si parla di fiumi di cocacola e montagne di sigarette). Nessuno l'ascolta, naturalmente: gli abitanti del villaggio si accalcano intorno a Nawet, gli portano via tutti i
soldi e perfino i vestiti, finché il dio esasperato non li abbandona alloro destino.
Va sottolineato a questo riguardo che se il finale della commedia appare ancora una volta amaro e pessimista (come peraltro accade in quasi tutti gli allestimenti attuali: si pensi alle citate Rane presentate da Luca Ronconi al teatro greco di Siracusa) per una volta la realtà a Diol
Kadd è fortunatamente migliore: grazie a una cooperazione italo-senegalese il villaggio sta rifiorendo, non solo con spettacoli e iniziative culturali, ma anche grazie a cospicui interventi economici a supporto di
un'agricoltura sostenibile e di un turismo responsabile (si veda il sito
www.diolkadd.orgeM.Treu.llgiocodellaricchezzaedellapovertà.Aristofane in Senegal, «Stratagemmi», 7/2008, pp. 111-138). Per quanto impossibile possa sembrare, dunque, sembra oggi realizzarsi almeno una
delle trovate di Aristofane: sempre strampalate e assurde nella formulazione e nella realizzazione, ma non nelle aspirazioni di fondo come la
felicità, la pace, una più equa distribuzione dei beni e delle ricchezze.
Concludiamo qui la nostra rassegna di adattamenti e allestimenti comici, non certo esaustiva, ma tesa a testimoniare come la commedia antica possa prestarsi a diverse interpretazioni, sulle scene contemporanee,
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con esiti anche notevoli e di successo. La riscoperta di Aristofane si può
ricollegare a molti fattori - dalla semplicità delle sue trame alla comicità aggressiva, o agli spunti d'attualità - che per molto tempo ne hanno
penalizzato la riproposizione, ma ora si prestano a diventare strumento
efficace di critica e satira sociale, a incarnare aspirazioni e conflitti del
nostro tempo, soprattutto nei casi più riusciti di 'attualizzazione'. Gli
esempi qui citati sono rappresentativi dei principali filoni ravvisabili tra
le rivisitazioni e gli allestimenticontemporanei
di Aristofane, dalle interpretazioni più leggere e scanzonate alle più crude e salaci, o ancora a
quelle più cupe e pessimistiche: nessuna di queste ci appare forzata, nel
suo insieme, ma tutte a loro modo sono capaci di far propria almeno
una delle istanze, vene o letture possibili delle molte anime che convivono in Aristofane, incluso il cosiddetto 'lato oscuro' del commediografo, che come si è visto lo rende particolarmente caro ad autori e registi contemporanei.
L'amarezza e il tragicomico percorrono come un filo rosso le sue commedie, al pari delle spinte vitalistiche, affiorano con insistenza anche nelle scene più scatenate e festose, vengono alla ribalta soprattutto nelle situazioni difficili di crisi, di guerra o di conflitto. Anche per questo, probabilmente, persino un modello di comicità in apparenza cosÌ lontano
dal nostro può risultare per certi aspetti davvero moderno, in quest' epoca sospesa tra realtà virtuale e pseudo-realismo televisivo. Ogni drammaturgo o regista, pur privilegiando aspetti differenti, appare intimamente toccato dall'umanità comune ai personaggi aristofanei: tutti immersi in un mondo in disfacimento eppure, almeno sulla scena, vitali e
vittoriosi. Liberi di dar corpo alle proprie fantasie, ma senza mai dimenticare la realtà.
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