1.il modello bismarckiano di crispi

1.IL MODELLO BISMARCKIANO DI CRISPI:
L’ALLEANZA TRA PROPRIETARI TERRIERI E INDUSTRIALI:
Intorno alla politica protezionistica si era creato un nuovo blocco sociale, costituito dall’unione
della borghesia industriale e dei proprietari fondiari del Sud e del Nord. Questa nuova classe
dirigente voleva uno stato forte in grado di garantire lo sviluppo del mercato interno e di risolvere i
conflitti sociali. Crispi, incaricato dal re di formare un nuovo governo, si fece portavoce degli
interessi della nuova classe dirigente. Egli era un siciliano, ex mazziniano ed ex garibaldino, leader
dei gruppi imprenditoriali del Sud.
PROTESTE DEI LAVORATORI E POLITICA AUTORITARIA DI CRISPI:
Crispi ottenne il governo nel 1887, dopo essere stato deputato della sinistra e ministro degli Interni
nel governo di Depretis. Egli seguiva il modello Bismarckiano, in tal senso avviò una politica
interna autoritaria, accentrando su di se molti poteri; infatti, oltre alla presidenza del consiglio fu
anche ministro degli Esteri e ministro degli Interni. Su modello di Bismarck, Crispi, si ripromise di
combattere contro tutto ciò che potesse ostacolare l’equilibri sociale. In quegli anni, come
sappiamo, gli operai contadini avevano organizzato numerosi scioperi e ribellioni, scontenti del
protezionismo. In Sicilia, ad esempio, i braccianti e gli operai erano organizzati nei Fasci dei
lavoratori, che organizzarono molte lotte. Crispi utilizzò la forza per reprimere questi
movimenti, tanto che i Fasci vennero sciolti e i capi torturati, inoltre modificò la legislazione
rendendola più dura nei confronti delle attività delle organizzazioni operaie, compreso il partito
socialista. Istituì delle leggi antianarchiche e utilizzò i prefetti come strumento di intervento.
L’INGRESSO DEI CATTOLICI NELLA VITA POLITICA E SOCIALE:
La politica di Crispi non colpì solamente il movimento socialista,ma anche quello cattolico; infatti,
dopo il non expedit del Papa Pio IX i cattolici riprendono l'iniziativa politico sociale. Grazie
all’Opera dei Congressi (associazione fondata dal clero) vennero proposte una serie di iniziative
sociali, tra cui opere di beneficenza e la nascita di piccoli istituti di credito rurale a favore dei ceti
più poveri, che permisero alla chiesa di partecipare alla vita sociale. Nel 1891 Papa leone XIII, in
una famosa enciclica, chiamata Rerum Novarum, mette in evidenza gli ideali del movimento
cattolico. Nel Rerum Novarum, non solo si riconosceva la necessità di una distribuzione più equa
della ricchezza, ma si riconosceva anche la legittimità dei lavoratori di riunirsi e organizzare
sindacati.
UNA NUOVA FASE DELLA POLITICA COLONIALE:
Nell’ottocento, come sappiamo, ci fu la tendenza da parte delle potenze mondiali, di espandere il
proprio dominio e cercare nuovi mercati di investimento, tramite il colonialismo.
A causa della crisi infatti, i diversi paesi, tra cui anche l’Italia necessitavano nuovi mercati dove
poter vendere i propri prodotti.
In questo senso, Crispi segui il programma di Depretis, mantenendo la triplice alleanza
con la Germania di Bismark e l’Austria.
Inoltre egli decise di espandere il proprio dominio all’Abissinia.
I risultati di tale impresa furono davvero tragici, numerose sconfitte, tra cui quella più clamorosa e
tragica fu quella di Adua. La sconfitta di Adua infatti non solo pose fine al governo di Crispi, ma
pose fine anche alla fase della politica coloniale italiana. La fine del governo di Crispi, portò ad
un periodo di grande crisi politica e squilibrio, in cui re Umberto I, il 29 luglio del 1900, fu
assassinato dall’anarchico Bresci.
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2. LA CRISI DI FINE SECOLO.
LA CRISI ECONOMICA E IL FALLIMENTO DEGLI ISTITUTI BANCARI:
L’Italia dopo la fine del governo di Crispi si ritrovò ad affrontare un periodo di grande disordine
e difficoltà; infatti in Italia accanto alla crisi politica si verificò, anche una grande crisi economica.
Infatti dopo la sconfitta ad Adua il periodo di espansione dell’Italia era finito.
La situazione economica internazionale peggiorò, infatti la produzione ebbe un grande calo e le
esportazioni dei prodotti diminuirono. Furono specialmente le banche, a pagare questa situazione;
infatti esse avevano prestato numerosi capitali alle imprese e alle attività speculative; però siccome
c’era una grande crisi, anche tra le imprese, molte banche entrarono in fallimento, provocando una
reazione a catena e colpendo direttamente i centri del sistema economico come la Banca
nazionale toscana, la Banca romana (la Tiberina), il Banco di Napoli,e la Banca generale che
furono messe in liquidazione.
IL SALVATAGGIO E IL RIORDINO DEL SISTEMA BANCARIO:
Dopo il fallimento delle banche, fu lo stato a cercare di operare il salvataggio del sistema
bancario. Infatti tra il 1889 e il 1891 lo stato decise di operare la totale liquidazione delle banche,
tramite l’emissione di una nuova liquidità e l’assorbimento dei crediti scoperti degli istituti
bancari che si trovavano in difficoltà. Quando la crisi si fece più difficile e grave, proprio quando
Crispi stava praticando la sua politica coloniale, lo stato non si limitò solo al salvataggio delle
banche ma, attraverso una serie di interventi legislativi , cercò di riordinare il settore bancario ,
fondando la Banca d’Italia a cui venne affidato il compito di istituto di emissione. Da ciò che
rimaneva dei vecchi istituti bancari, venero creati nuovi istituti di credito , ben diversi da quelli
precedenti. Infatti nacquero le cosiddette “banche miste”come la Banca commerciale italiana, la
banca italiana di sconto e il credito italiano. Queste banche miste non erano interessate
all’acquisizione di partecipazioni azionarie ma erano semplicemente delle banche di deposito che
assunsero il ruolo di collettori del risparmio privato per l’investimento nei settori industriali.
LE RIPERCUSSIONI SOCIALI DELLA CRISI:
La crisi economica però ebbe anche delle conseguenze sociali;
come sappiamo Crispi su modello della politica di equilibrio di Bismarck, aveva cercato di
combattere contro tutto ciò che potesse ostacolare l’equilibrio che si era creato. Quindi fu
particolarmente durò verso i contadini e gli operai, reprimendo con la forza ogni loro tentativo di
rivolta e di protesta. Dopo ciò la situazione dei contadini e degli operai era sicuramente
peggiorata.
Inoltre in seguito alla politica colonialista operata da Crispi (volta ad esempio alla conquista
dell’Abissinia) , il sistema fiscale si era inasprito. Tutta questa situazione aveva creato il
malcontento sia nelle campagne che nelle città tra cui Modena e Bologna, dove i braccianti
organizzarono numerose proteste e sindacati, al fine di ottenere salari più alti e lavori meno precari.
Successivamente in molte città scoppiarono altre rivolte, a causa dell’aumento del prezzo del pane,
che era ciò di cui i contadini si sfamavano.
La risposta dello stato a questi disordini fu molto dura.
Antonio Rudini , che aveva sostituito Crispi alla guida del governo, ordinò al generale
Beccaris di sparare cannonate sulla folla a Milano, provocando numerose morti.
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Inoltre venne ordinato l’arresto dei capi socialisti e di alcuni membri del movimento
cattolico, che avevano partecipato alle rivolte popolari.
Il nuovo primo ministro Pelloux, che aveva preso il posto di Rudini, presentò la proposta di
limitare la libertà di stampa al fine di rafforzare il potere esecutivo. Nonostante Pelloux avesse
l’appoggio del re e delle forze militari, il parlamento però respinse questo progetto e Pelloux fu
costretto a dare le dimissioni e a indire nuove elezioni.
LE ELEZIONI DEL 1900 E LA SCONFITTA DEL FRONTE AUTORITARIO:
Le elezioni del 1900, furono vinte dalle opposizioni che (repubblicani, radicali, socialisti)
ottennero la maggioranza dei voti. La sconfitta del fronte autoritario , ovvero il partito moderato, si
dovette principalmente a causa di quattro diversi motivi:
1. all’azione delle minoranze.
2. a causa dei fallimenti che il governo consegui nella politica estera (come ad esempio il
fallimentare tentativo di occupare una parte di territorio cinese).
3. le divisioni esistenti all’interno dello stesso partito moderato, in cui era sorto una nuova classe
dirigente che si era dimostrata più aperta alle riforme e nei confronti del movimento socialista.
4. la forza dei partiti e dei movimenti di massa, come il movimento operaio.
Sia e Umberto I ( ucciso il 29 luglio del 1900, ad opera dell’anarchico Bresci) che Vittorio
Emanuele III promuovono il governo della sinistra liberale. Infatti Umberto affida l’incarico di
formare un nuovo governo a Giuseppe Saracco che era un liberale di sinistra. Mentre
successivamente, Vittorio Emanuele nomina Zanardelli (1901) che era il leader della sinistra
parlamentare
3. IL PROGRAMMA LIBERAL-DEMOCRATICO DI GIOLITTI.
UNA STAGIONE DI RIFORMISMO SOCIALE:ZANARDELLI E GIOLITTI
Le elezioni del 1900 e la successiva elezioni a capo del governo di Zanardelli, costituirono una
svolta significativa nella storia della politica dell’Italia unita.
Infatti questo aveva dimostrato che la politica repressiva e autoritaria adoperata dai diversi capi del
governo, tra cui Crispi, si dimostrò inutile contro il grande successo e la grande forza del
movimento dei lavoratori. Secondo Zanardelli l’unica soluzione per risolvere i conflitti sociali era
quella di permettere una volta per tutte, anche ai ceti subalterni di partecipare alla vita politica della
nazione.
Giolitti che fu il successore di Zanardelli e venne nominato capo del governo nel 1903 , si
dimostrò assolutamente favorevole a proseguire l’iniziativa di Zanardelli (inserire i ceti subalterni
nella vita politica).Giolitti era nato a mondavi da una famiglia della media borghesia, e aveva
rivestito il ruolo di funzionario al ministero di Grazia e Giustizia e al ministero delle Finanze
lavorando per Sella. Venne eletto deputato per la Sinistra e fu ministro del Tesoro durante il
governo di Crispi. Dopo il ruolo di primo ministro abbandonò il gruppo crispino e divenne il capo
della sinistra liberale.
L’obiettivo principale della politica di Giolitti era quello di far coincidere gli interessi della
borghesia industriale con quelle del proletariato urbano e agricolo, dimostrandosi aperto al dialogo
con i socialisti riformisti e riconoscendo la neutralità dello stato riguardo alla questione sociale. Nel
1904 egli prese modificò la legislazione sociale prendendo diversi provvedimenti tra cui le leggi per
tutelare il lavoro delle donne e dei bambini, le leggi sugli infortuni, sull’invalidità e sulla vecchiaia.
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Vennero anche creati i comitati consultivi per l’emigrazione e per il lavoro, a cui partecipavano
anche i componenti provenienti dal movimento sindacale e del Partito socialista. Alle gare d’appalto
per i lavoro pubblici poterono partecipare anche le cooperative di lavoratori
LE CONVERGENZE POLITICHE TRA GIOLITTI E I SOCIALISTI
Giolitti stava cercando di ottenere il consenso dell’aristocrazia operaia e contadina, avente diritto di
voto . Però anche il riformismo socialista contava sull’appoggio delle componenti privilegiate della
classe operaia. Per questo motivo la tutela degli interessi delle componenti operaie privilegiate portò
ad una collaborazione tra socialisti riformisti e governo. Giolitti infatti approfittò della divisione
esistente all’interno dello stesso movimento socialista in cui si potevano distinguere due diverse
componenti. I socialisti riformisti che rappresentavano gli interessi delle componenti operaie
privilegiate, eseguivano il programma minimo, guidati da Turati e i socialisti minimalisti che
rappresentavano gli interessi delle componenti non privilegiate della classe operaia come ad
esempio le donne e i manovali; questi massimalisti affermavano che l’obiettivo del socialismo era il
programma massimo, ovvero la rivoluzione socialista, volta all’abolizione della proprietà privata e
della società di classe. I massimalisti guidati da Labriola e Ferri erano quindi contrari alla
collaborazione tra governo e socialisti, e criticavano il programma minimo, cioè tutti i programmi
parziali come ad esempio le riforme che erano state concordate tra governo e socialisti. Però questa
aristocrazia operaia era anche la base di massa del riformismo socialista di Turati che proprio tra
le cooperazioni dei lavoratori trovava maggiori adesioni.
Al congresso di Bologna del 1904 , i massimalisti (programma massimo) ottennero la maggioranza
nel partito e quindi toccò al Psi guidare il governo, però furono sconfitti alle elzioni e questo fece
rafforzare i socialisti riformisti.
4. IL GRANDE BALZO INDUSTRIALE:
I SETTORI CHIAVE DELLO SVILUPPO ECONOMICO:
All’inizio del novecento, la crisi venne superata grazie ad un grande incremento della produzione
industriale; infatti vi fu un grande sviluppo del settore tessile, cotoniero,meccanico, siderurgico e
chimico. Successivamente grazie all’aumento della produzione industriale , aumentarono anche le
importazioni soprattutto del cotone greggio, del carbone, della ghisa e dell’acciaio.
Sempre in questo periodo, il cerchio della grande industria italiana, si completò:infatti all’ Terni,
alla Breda e alla Pirelli , si aggiunsero anche la Fiat, la Lancia ,l’Alfa, l’Olivetti (produceva
macchine da scrivere) e anche il cantiere navale triestino.
In seguito a questo sviluppo industriale cambiò anche l’organizzazione delle imprese :nascono
infatti le società per azioni come modello organizzativo delle attività industriali che andarono a
sostituire le tradizionali società di persone. Alla figura del padrone/capitano di industria che
possiede il capitale e si occupa direttamente delle attività produttive, si sostituisce la figura
dell’imprenditore, che possiede i pacchetti azionari di diverse società. Fu proprio questa nuova
classe a promuovere la costruzione dei grandi gruppi industriali nei settori principali , come gli
Homines novi, provenienti dalle classi più povere, come Ercole Marelli o Vincenzo Lancia e anche
provenienti dai ceti industriali come Donegani.
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SETTORE SIDERURGICO E LA MECCANICA PESANTE:
Nel settore siderurgico si formarono due grandi trust: il primo riguardava l’integrazione tra la
Terni, la Siderurgica di Savona e il gruppo cantieristico Odero/Orlando;
il secondo invece, era basato sulla società Ilva, che creò un grande impianto siderurgico a Bagnoli.
Anche la produzione della ghisa, dell’acciaio e del ferro ottenne una grande importanza, grazie
all’impiego di tecnologie avanzate, quali ad esempio i forni Martin Siemens. La meccanica pesante
viene promossa da due grandi imprese quali l’Ansaldo di Sampierdarena e la Breda di Milano, che
avevano più di 10000 impiegati. Fu Ferdinando Perrone ad assumere il controllo dell’Ansaldo.
Anche il settore siderurgico comunque aveva dei limiti, infatti l’intreccio tra imprese e domanda
pubblica arrestò il settore.
APPARATO INDUSTRIALE POCO ORIENTATO AL MERCATO INTERNO:
L’apparato industriale era comunque poco orientato al mercato interno. Un esempio di questo fatto
fu lo sviluppo dell’industria saccarifera, che era un nuovo settore particolarmente fiorente durante
il governo di Giolitti. In seguito allo sviluppo di questo nuovo settore si diffuse anche la
coltivazione della barbabietola attorno a cui si sviluppò una fitta rete di aziende di trasformazione
per la produzione dello zucchero. I produttori di zucchero diedero vita all’Unione zuccheri, un
grande cartello che ne monopolizzò la produzione . I produttori di zucchero,inoltre, imposero
altissimi dazi doganali, che resero il prezzo dello zucchero doppio rispetto a quello della Francia e
dell’Inghilterra. Nacque cosi, un’alleanza tra stato e produttori di zucchero che ormai dominavano il
mercato interno e anche gli agrari (produttori della barbabietola). Alcuni industriali come Agnelli,
Olivetti o Lancia, si lanciarono nella produzione di nuovi beni per i consumatori come ad esempio
l’automobile e le macchine da scrivere. Ci fu anche la meccanizzazione del lavoro, in cui le
macchine ottennero una grande importanza e si ritrovarono quasi a sostituire il lavoro dell’uomo;
come l’invenzione della catena di montaggio.
INDUSTRIA CHIMICA E NUOVO RAMO INDUSTRIA IDROELETTRICA :
Si sviluppò anche l’industria chimica, come la Montecatini di Donegani, che riusci a superare la
concorrenza internazionale. L’Italia però ebbe sicuramente in primato per l’industria idroelettrica;
infatti si scoprirono due nuove fonti di energia:l’elettricità e il carbone che servirono specialmente
per l’illuminazione domestica e per l’illuminazione della città. Anche in questo settore l’intervento
dello stato fu determinante, soprattutto attraverso degli interventi legislativi che garantivano il
trasporto dell’energia. Si diffusero anche i monopoli, ovvero concentrazioni di industrie come la
Edison, l’Altra Italia e la Sade nel Veneto
I FENOMENI DEMOGRAFICI LEGATI ALL’INDUSTRIALIZZAZIONE:
Grazie all’industrializzazione (sviluppo industriale), si verificò un grande incremento demografico
e di conseguenza anche la crescita delle città. La crescita demografica comportò una revisione
complessiva dell’organizzazione urbana ; il centro cittadino diventò il centro la sede del sistema
economico, con le Banche, la Borsa, e gli uffici mentre la popolazione si concentrò prevalentemente
nei quartieri residenziali ai confini della città, mentre i lavoratori si trasferirono nelle periferie ; i
quartieri popolari vennero posti ai margini della città, dove la popolazione viveva ammassata in
abitazione sovraffollate per via dell’alto prezzo degli affitti e dove i servizi igienici non erano tanto
puliti. Infatti erano dei veri e propri ghetti dove regnava l’alcolismo, la povertà e la tubercolosi.
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IL RIFORMISMO AUTORITARIO DI SIDNEY SONNINO:
Attraverso l’industrializzazione si era verificata anche una notevole crescita del proletariato di
fabbrica , che non fece altro che rafforzare il partito socialista italiano, nonostante la divisione al
suo interno tra riformisti e massimalisti. Giolitti intornò al 1906, lasciò la guida del governo al suo
avversario, Sidney Sonnino, che era il capo dell’ala conservatrice del liberismo italiano. Si può dire
che Sonnino, si dimostrò favorevole a continuare il programma di Giolitti ponendosi quindi in
direzione di un deciso riformismo. Però vi era una differenza tra il suo programma e quello di
Giolitti, infatti Giolitti aveva mirato ad una sorta di collaborazione tra governo e massimalisti,
mentre Sonnino proponeva delle riforme sociali, gestite però direttamente dal governo, attraverso
quindi una politica autoritaria, simile a quella di Bismark. Sonnino infatti mirava ad un riformismo
gestito dallo stato però antisocialista e a un azione di conservatorismo sociale.
5. DUALISMO ECONOMICO E POLITICA DI POTENZA:
IL MEZZOGIORNO TRA ARRETRATEZZA ED EMIGRAZIONE:
Giolitti come detto in precedenza, aveva fatto leva sulle componenti privilegiate della classe operaia
e aveva proposto un programma ricco di riforme sociali (inserimento classe operaia nelle liste
d’appalto per i lavori pubblici, tutela del lavoro delle donne e dei bambini, legge sulla pensione,
sugli infortuni ecc). Giolitti promosse il processo di industrializzazione cerando, tutelando gli
interessi delle componenti emergenti della classe operaia e contadina. Il mezzogiorno però fu
lasciato in un totale stato di abbandono e arretratezza e in seguito al protezionismo doganale,
dovette affrontare una grave crisi economica.
I dazi doganali imposti dal governo per difendere i prodotti industriali italiani dalla concorrenza
internazionale, ostacolarono però l’esportazione dei prodotti agricoli nei mercati esteri. Ad
aggravare la situazione furono poi dei disordini naturali come l’eruzione del Vesuvio (1906) e un
gravissimo terremoto che provocò gravissimi danni a Messina e Reggio Calabria. Tutta questa
situazione aumento la tendenza della popolazione meridionale ad emigrare all’estero, con la
speranza di trovare lavoro. All’inizi del novecento questo fenomeno coinvolse milioni di lavoratori
specialmente del Veneto e delle regioni meridionali. Si trattava di gente povera e per lo più
analfabeta , spinte a lasciare la propria nazione a causa della povertà e della fame.
Giolitti comunque attuò anche delle piccole riforme del sud, ma il sud necessitava di un processo di
modernizzazione , che favorisse lo sviluppo industriale ed agricolo e che limitasse il potere delle
antiche famiglia di latifondisti.
La politica Giolittiana aveva quindi un grande limite:aveva accentuato la grande divisione esistente
tra nord e sud Italia. Questa grane differenza tra nord e sud si manifestò anche in ambito politico,
infatti ad esempio il primo ministro piemontese sfruttò il sistema della corruzione elettorale tramite
gruppi mafiosi e camorristi, allo scopo di assicurarsi gli appoggi necessari .Proprio per questo
Giolitti venne definito da molti “come il ministro della malavita”.
LE SPINTE AL COLONIALISMO E L’IMPRESA DI LIBIA:
Giolitti oltre ad attuare una politica interna riformista, determinò una svolta nella politica estera.
Infatti grazie ad un accordo stipulato tra l’Italia , la Francia e l’Inghilterra garanti all’Italia di
agire liberamente nelle due terre libiche che erano parte dell’impero ottomano: la Tripolitania e la
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Pirenaica. L’impresa in Libia iniziò nel 1911, e fu appoggiata da numerose componenti sociali
come l’opposizione di destra,e i gruppi economici e finanziari che avevano già messo le mani su
quei territori. L’impresa non fu semplice, a causa della resistenza delle tribù berbere e a causa
dell’opposizione dell’impero ottomano. Cosi per ostacolare i turchi , il governo cercò di attirargli
nell’Egeo, occupando Rodi e delle isole vicine e cercando di raggiungere Istanbul, attraverso il
Docaneso. L’impero ottomano fu costretto a firmare la pace, il 18 ottobre 1912 a Losanna;
attraverso la pace l’Italia ottenne la Libia e non restituì ai turchi ne Rodi ne il Docaneso.
LE RIPERCUSSIONI POLITICHE DELL’IMPRESA LIBICA:
Giolitti attraverso l’impresa della Libia era risuscitò ad ottener un grande successo;e grazie alla sua
politica interna ed estera era riuscito a conquistare l’appoggio di quelle forze che avrebbero potuto
costituire un’attiva opposizione. Giolitti infatti tramite la sua politica riformista era riuscito ad
ottenere una collaborazione con i socialisti riformisti e ad avvicinarsi i radicali e ai repubblicani. La
politica di Giolitti però aveva creato come sappiamo, anche una frattura interna al partito socialista,
diviso tra socialisti riformisti e massimalisti, indebolendo cosi il partito socialista. Però la
convivenza all’interno dello stesso partito, di riformisti e massimalisti divenne sempre più difficile e
resistette sino alla guerra di Libia; infatti il gruppo riformista di destra , guidato da Leonida
Bissolati, Bonomi e Cabrini , fu espulso dal Partito Socialista nel congresso di Reggio Emilia nel
1912 e andò a formare un nuovo partito , ispirandosi ai tradizionali ideali del riformismo socialista.
La sinistra massimalista però, guidata da Benito Mussolini, riuscì a riprendere i controllo del partito
socialista e cominciò a portare avanti una politica anti giolitti. L’impresa della Libia ebbe delle
ripercussioni anche sulla destra , dove si era rafforzato il movimento nazionalista; il movimento
nazionalista era un movimento reazionario,a antidemocratico e militarista che possedeva propri
strumenti di propaganda e si raccolse intorno alla rivista chiamata “il Regno” fondata da Corradini.
6. LA FINE DEL COMPROMESSO GIOLITTIANO:
LA RIFORMA ELETTORALE E IL PATTO GENTILONI:
Nonostante la divisione presente al suo interno il Psi sembrava comunque ancora molto forte e in
grado di imporsi anche sul piano elettorale, soprattutto dopo che nel 1912, venne approvata una
riforma elettorale che aveva sancito il suffragio universale maschile: quindi il diritto di voto venne
esteso a tutti i cittadini maschi dai 30 in su e anche ai cittadini maschi che avevano compiuto 21
d’età , alla condizione che sapessero leggere e scrivere o che avessero prestato servizio militare.
Il numero degli elettori arrivò a otto milioni e per questo si temeva la possibile vittoria dei
socialisti. Per evitare ciò, Giolitti cercò l’appoggio dei cattolici conservatori, ovvero quelli che
avevano violato il non expedit del papa e avevano fondato l’Unione elettorale cattolica, guidata da
Vincenzo Gentiloni. Giolitti stipulò un patto con Gentiloni, attraverso cui i cattolici promettevano
di sostenere d votare i candidati della maggioranza liberale. Il cosiddetto “patto gentiloni” quindi,
sanciva l’ingresso dei cattolici nella politica. Anche l’enciclica papale conosciuta come il Rerum
novarum, era risultata molto significativa , in quanto aveva smosso l’iniziativa sociale dei cattolici.
Nel 1901 il sacerdote Murri, aveva fondato un movimento politico cattolico di ispirazione
democratica , chiamato democrazia cristiana , questo rappresentò il primo tentativo di inserire i
cattolici nella sfera politica. Successivamente, un altro sacerdote, il siciliano Luigi Sturzo, propose
la creazione di un moderno partito cattolico, democratico.
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LE ELEZIONI DEL 1913 E LA SVOLTA CONSERVATRICE:
Nel 1913 alle elezioni, si verificò l’avanzata dei socialisti e anche l’affermazione dei candidati
cattolici nelle liste del Partito liberale. Dalla consultazione risultava evidente una pericolosa
situazione di stallo; le forze popolari, nonostante il grande successo elettorale non erano riuscite ad
esprimere un definito programma politico; le forze liberali non si erano dimostrate in grado di saper
governare un paese , che ormai era totalmente cambiato nell’arco di cinquanta anni. Grazie al patto
Gentiloni , invece Giolitti poteva contare su una grande maggioranza parlamentare , ma nonostante
ciò ormai egli era comunque condizionato dalla presenza dei conservatori nell’esecutivo e nella
maggioranza parlamentare. Infatti la maggiorana parlamentare di Giolitti era costituita anche da
uomini provenienti dal cattolicesimo conservatore e dalla destra del liberalismo , che
rappresentavano gli interessi degli agrari e degli industriali.
Nonostante i socialisti avessero conquistato 78 seggi, all’interno della politica del governo si stava
creando un disfacimento.
Giolitti era prigioniero delle forze conservatrici di cui lui stesso aveva cercato l’appoggio
soprattutto in funzione antisocialista, cosi egli decise di allontanarsi per un breve tempo dalla guida
del governo, pensando di poter comunque controllare le manovre del governo e rientrarvi nel
momento più opportuno. Nel 1914 infatti fu Salandra ottenne la presidenza del consiglio.
Le tendenze più reazionarie , vennero allo scoperto durante la settimana rossa, scatenatasi in
seguito agli scontri che avvennero ad Ancona, in cui gli anarchici avevano organizzato una
manifestazione antimilitarista per il giorno dello statuto. a causa dell’incapacità del servizio
d’ordine, la manifestazione fini con la morte di tre dimostranti. Si verificarono anche moti violenti
nelle Marche e in Romagna, ad opera di anarchici, socialisti e repubblicani. Il governo per risolvere
questa situazione applicò una dura politica repressiva, utilizzando piu di centomila soldati. A causa
si questi disordini che avevano sconvolto la società italiana, Giolitti non fui in gradi di riprendere le
redini del governo.
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