Psicologia della testimonianza:il caso Marta Russo

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Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA:
IL CASO MARTA RUSSO
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Tesista specializzando: Dott.ssa Palopoli Cinzia
Anno di corso: Secondo
Modena, 10 – 06 – 2007
Anno accademico 2006-2007
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
CINZIA PALOPOLI – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - SECONDO ANNO A.A. 2006/07
INDICE
INTRODUZIONE
Cap. 1.
pag. 5
PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA
1. Il processo testimoniale
pag. 8
2. Fissazione percettiva
pag. 9
3. Conservazione mnestica
pag. 11
4. Rievocazione espressiva
pag. 14
5. Caratteristiche del teste. Cause di orrore del processo testimoniale
pag. 15
6. Considerazioni generali
pag. 16
7. Ma quanto è affidabile la memoria, e quali sono i limiti di una
testimonianza oculare?
pag. 17
Sino a che punto possiamo fidarci della nostra memoria?
Quali sono i limiti di una testimonianza oculare?
Come si dovrebbe raccogliere una testimonianza?
Quali disfunzioni della memoria sono tra le più comuni?
8. Testimone e Testimonianza
pag. 19
9. La relazione esistente tra memoria e testimonianza
pag. 21
10. Nella memoria a lungo termine si possono inserire scene
completamente false
pag. 24
11. L'intervista cognitiva e la testimonianza
pag. 26
12. Conclusioni
pag. 27
Cap. 2.
IL CASO MARTA RUSSO
1. Premessa
pag. 29
2. Presentazione del caso
pag. 31
2
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3. Personalità dei testimoni
pag. 39
Maria Chiara Lipari
La "superteste" (o meglio la "supercoimputata") Gabriella Alletto
Francesco Liparota
Rosangela Villella
Giuliana Olzai
4. In Corte D’appello
pag. 45
5. Le Sentenze
pag. 46
6. Le Perizie e gli accertamenti fattuali
pag. 47
I residui di sparo
La traiettoria del proiettile
La provenienza del proiettile e quella del rumore
La valutazione esatta dei tempi
L'ora dello sparo
Cap. 3.
VALUTAZIONE DEGLI ATTI DEL PROCESSO
Dichiarazioni rese da Maria Chiara Lipari alla Polizia ed al Pubblico MinisteroIntercettazioni telefoniche sull’utenza in uso alla Lipari e Tabulati Telecom ed
Università
1. Interrogatorio del 21 maggio 1997, ore 16.15-19.30
pag. 51
2. Interrogatorio del 21 maggio 1997, inizio ore 22.30
pag. 52
3. Interrogatorio del 22 maggio 1997
pag. 54
4. Le telefonate
pag. 56
5. Interrogatorio del 26 maggio 1997
pag. 57
6. Interrogatorio del 27 maggio 1997
pag. 58
7. Confronto Lipari, Liparota Francesco e Liparota Fabio del 13 giugno 1997
pag. 59
8. Le telefonate
pag. 59
9. Confronto fra Alletto e Lipari del 13 giugno
pag. 60
10. Interrogatorio del 19 giugno 1997
pag. 60
11. Interrogatorio del 8 agosto 1997
pag. 61
3
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12. Lo sparo
pag. 61
13. L’identificazione in aula Assistenti della persona dal viso pallido
pag. 62
14. Il probabile riconoscimento di Scattone
pag. 63
15. L’identificazione di Alletto e Liparota
pag. 63
16. L’errata identificazione di Mancini
pag. 64
17. Le guerre sulla memoria
pag. 65
18. Da omicidio colposo a omicidio volontario e viceversa
pag. 68
19. Riassumendo
pag. 70
CONCLUSIONI
pag. 72
BIBLIOGRAFIA
pag. 75
SITOGRAFIA
pag. 76
4
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INTRODUZIONE
Testimonianze personali e vividi aneddoti rappresentano una delle più
popolari e apparentemente convincenti forme di “prove” addotte a favore di
credenze trascendentali, occulte e pseudoscientifiche. 1
Ciò nondimeno aneddoti e testimonianze dirette hanno valore quasi nullo al fine
di stabilire l’effettiva probabilità delle affermazioni che intendono sostenere. La
testimonianza
per
“esperienza
personale”
in
questioni
paranormali
e
soprannaturali non ha valore scientifico: se altri non avranno la stessa esperienza
nelle stesse condizioni, allora non vi sarà alcun modo di verificare l’accaduto. E se
non vi è modo di verificare le affermazioni fatte, non si potrà nemmeno giudicare
se l’esperienza in sé è stata una mera illusione o se invece era stata interpretata
correttamente. Ma se racconti del genere non sono attendibili, come mai risultano
tanto popolari o convincenti?? Le ragioni possono essere molteplici. Le
testimonianze sono spesso vivide e dettagliate, il che le rende credibili
all’apparenza. Sono spesso addotte da gente molto entusiasta, che sembra onesta e
affidabile, senza motivi verosimili per volerci ingannare.
Infine, le testimonianze risultano credibili perché molta gente vuole crederci,
nonostante non abbiano alcun valore di per sé qualora non siano verificabili in
qualche modo.
Da sempre nel grande circo della vita, tutti, a turno, passiamo dal ruolo
degli ingannatori a quello degli ingannati in un continuo alternarsi di situazioni
che ci pone nella paradossale necessità di dover acquisire una doppia e
contrastante competenza: saper mentire e saper riconoscere la menzogna altrui.
D’altronde se mentire e mentirsi sono funzionali all’adattamento, saperlo fare,
saper scoprire chi lo fa diventano abilità sociali necessarie per l’interazione
umana.2
Scoprire le menzogne è però un compito assai arduo e difficile anche se, a
seconda delle situazioni in cui ci troviamo, la presenza di indici esterni (che ci
permettono di avere dei riscontri fattuali) o la loro assenza (che ci costringe ad
analizzare il “come” una menzogna viene detta - comportamento non verbale - e il
1
http://italiano.skepdic.com/contents.html
Gullotta G., De Cataldo, Neuburger L., (1996), Trattato della menzogna e dell’inganno, Giuffrè,
Milano.
2
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“cosa” viene detto - analisi verbale) ci possono aiutare nel discernere la sincerità
dalla menzogna. Saper mentire significa in altre parole, essere capaci di
padroneggiare tutta una serie di parametri, verbali e non verbali, che sono
coinvolti nel progetto di inganno che si vuole mettere in atto; saper scoprire la
menzogna significa di conseguenza essere capaci di conoscere, cogliere, decifrare
questi parametri.
La letteratura ha rivolto un notevole interesse allo studio della menzogna e
dell’inganno, sia nell’ambito della psicologia sociale, ma soprattutto nell’ambito
della psicologia giuridica e criminale. Un numero esiguo di studi si è focalizzato,
sullo studio di potenziali indizi verbali di menzogna. Gli indizi verbali di
menzogna, infatti, possono avere una particolare rilevanza in ambito forense in cui
spesso l’unica prova disponibile consiste proprio nelle affermazioni in conflitto
del querelante e dell’accusato.
Futuri sviluppi negli studi sugli indizi verbali della menzogna potrebbero
diventare un importante strumento di valutazione, soprattutto in ambito giuridicoforense, in cui è possibile trovarsi nella situazione di avere come unico elemento
di prova disponibile un’affermazione o un resoconto della vittima o del sospettato;
oppure in cui è possibile trovarsi a dover valutare l’esposizione di un parere,
(contemplato dal codice di procedura penale) nell’intervento dei Periti e dei
Consulenti Tecnici. La ricerca di indizi verbali dovrebbe in conclusione essere
sviluppata al fine di agevolare la difficile, e in alcuni casi delicata, impresa di
valutazione della credibilità.
Il presente lavoro nasce da un desiderio di poter esprimere un umile parere
sull’affidabilità della memoria di Maria Chiara Lipari nel processo per l’omicidio
di Marta Russo, mettendo in guardia sull’affidabilità della memoria ottenuta non
dal ricordo diretto ed immediato di eventi da poco accaduti, ma partendo
dall’assenza o dalla vaghezza di ricordi e procedendo con tentativi di ricostruzione
e di recupero.
Per stendere questo lavoro ho utilizzato le dichiarazioni rese dalla Lipari
alla Polizia ed al Pubblico Ministero tra il 21 maggio e l’otto agosto 1997, le
trascrizioni delle intercettazioni telefoniche sull’utenza in uso alla Lipari, le
trascrizioni dell’esame reso dalla Lipari dinanzi alla Corte d’Assise nelle sedute
del 13 e 14 luglio 1998 ed i tabulati delle telefonate in uscita dalla Sala Assistenti
del 9 maggio 1997 forniti sia dal centralino dell’Università sia dalla Telecom.
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È noto da tempo che le memorie ricostruite possono essere false. Tuttavia, negli
ultimi dieci anni si è assistito ad un rinnovato interesse scientifico sull’argomento
per meglio documentare i limiti di tali memorie e metterle in relazione con i
meccanismi nervosi che sono alla base di tali processi. Pertanto, è ora più chiaro
quali siano i ricordi più affidabili e quelli sui quali si può fare meno affidamento.
Alcune memorie possono risultare distorte o addirittura si possano impiantare nel
nostro cervello delle memorie completamente false.3
Prima di procedere all’analisi del caso, ritengo utile esporre alcune
fondamentali nozioni scientifiche sulla psicologia della testimonianza, su come la
memoria si forma e su come si evocano i ricordi.
3
Loftus E. (1997) Come si creano i falsi ricordi. Le Scienze (Edizione italiana di Scientific
American).
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CAPITOLO 1
PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA
1.
Il processo testimoniale
La testimonianza può essere definita come la riproduzione orale o scritta di
contenuti mnemonici, che si riferiscono ad una particolare esperienza o
avvenimento precedente. In base a questa definizione, la situazione testimoniale
può essere considerata molto frequente, dato che spesso ci si trova coinvolti in
essa come attori o come giudici.
Lo studio psicologico del processo testimoniale presenta, perciò, un’utilità
specifica legata alla possibilità di conoscere le fonti di interferenza e le
deformazioni più frequenti, che possono portare a discrepanze tra la realtà
obiettiva dei fatti e la loro rievocazione da parte del testimone.
I testimoni, come disse Bentham, «sono gli occhi e gli orecchi della giustizia», ed
è quindi giustificato l'interesse della psicologia giudiziaria per il processo
testimoniale.
Fin dagli inizi della psicologia scientifica i lavori sperimentali si indirizzarono
verso argomenti importanti per la testimonianza, quali la memoria, ma dall'inizio
del secolo l'interesse si acuì sul tema della testimonianza. La testimonianza è
condizionata da vari processi psichici, che entrano in azione quando il futuro
testimone si trova ad osservare un fatto - o ne viene comunque a conoscenza - e
termina con la rievocazione del fatto stesso.
Va rilevato che esiste una profonda differenza tra l'aver osservato
direttamente il fatto (testimonianza di primo grado) e l'esserne venuti a
conoscenza indirettamente attraverso narrazioni di altri (testimonianza di secondo
grado). Nelle testimonianze di secondo grado il testimone, generalmente, fa
riferimento alla rappresentazione che si è fatta di quanto è accaduto in base alla
narrazione udita, e deforma, quindi, notevolmente, il fatto che gli hanno narrato.
Della narrazione obiettiva, in genere, il teste ricorda molto poco, in quanto tende a
mantenere vivo in se stesso solo il significato soggettivo che le ha attribuito. Per
tali ragioni la testimonianza di 2° grado ha un valore estremamente limitato ed
alcuni sistemi procedurali la rifiutano. Il processo testimoniale inizia sempre con
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una percezione (conoscenza e fissazione del fatto) e termina con una rievocazione
espressiva del fatto stesso. Tra queste due fasi intercorre un periodo più o meno
lungo di conservazione mnestica del ricordo dei fenomeni percepiti. Le attività
percettiva, mnestica ed espressiva sono quindi le funzioni psicologiche di base,
costituenti il processo testimoniale. II contenuto della deposizione deve essere
considerato «come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica
di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti: in
parte soltanto dati dagli elementi di quel fatto obiettivo, ma in parte costituiti dalla
natura stessa della personalità psichica del testimonio, e da tutti gli elementi
esteriori che hanno agito nel passato e che attualmente agiscono sul testimonio
stesso»4. Ogni testimonianza è, pertanto, in misura più o meno cospicua, una
deformazione della realtà.
Il processo testimoniale comprende tre fasi principali:
a)
fase di fissazione percettiva;
b)
fase di conservazione mnestica;
c)
fase di rievocazione espressiva.
In ciascuna di queste fasi agiscono elementi esteriori e fattori personali, che
distorcono il contenuto testimoniale in misura più o meno rilevante rispetto alla
realtà obiettiva.
2.
Fissazione percettiva
La percezione (che rappresenta il processo psicologico per mezzo del
quale l'individuo viene a conoscere una realtà esterna) è un fenomeno attivo,
costituito da un'azione selettiva del soggetto sui dati forniti dai diversi organi
sensoriali. Ciò spiega, in base a fattori psicologici, la maggior parte delle
deviazioni che si verificano in questa fase. E' tuttavia necessario non trascurare il
possibile ruolo di fattori fisici e fisiologici.5
I «fattori fisici di inadeguatezza percettiva» - legati alle condizioni fisiche in cui il
fatto si è svolto (luminosità, distanza, rapidità, … ecc.) e quelli fisiologici - cioè
l'acuità sensoriale o eventuali deficit sensoriali, la stanchezza e l'età del teste,
4
5
Musatti C. L.: Elementi di psicologia della testimonianza, CEDAM, Padova, 1931.
Musatti C. L.: Elementi di psicologia della testimonianza, CEDAM, Padova, 1931.
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agiscono in casi determinati e sono rilevabili in genere a posteriori in modo
obiettivo, con la conseguente possibilità di tenerne conto nella valutazione della
testimonianza. I fattori psicologici, invece, essendo legati all'atteggiamento
assunto da ciascun soggetto all'atto della percezione, sono, influenzanti e più
pericolosi ai fini dell'obiettività della testimonianza.
A titolo di esempio, ricorderemo alcuni fattori fisici, generalmente
trascurati o poco noti, che sono di particolare importanza nel processo
testimoniale. La visione notturna, ad esempio, è notevolmente ridotta. Anche con
una luna piena e senza nubi, è impossibile riconoscere un individuo ad una
distanza superiore ai 10-11 metri. Nella luce del giorno la distanza massima di
visibilità arriva, invece, ai 40-50 metri. L’identificazione di colori perde della sua
precisione quando l'illuminazione non è sufficientemente forte. Inoltre l'occhio,
normalmente, non distingue i colori ai margini del campo visivo.
Alcune percezioni più complesse - quali quelle del tempo - sono meno note.
Sappiamo, ad esempio, che nella valutazione del tempo trascorso tra due
avvenimenti gioca un ruolo fondamentale ciò che il soggetto sta facendo in quel
momento: se è occupato e interessato alla sua attività, il tempo trascorrerà più
rapidamente.
Non è certo questa la sede per approfondire il vasto tema della percezione per
tutto quanto concerne le leggi psicologiche generali del processo percettivo. Mi
limiterò, perciò, a ricordare alcuni fattori psicologici di maggiore importanza
specifica per il processo testimoniale.
Rilevante è il fenomeno generale di semplificazione percettiva, che provoca la
«riduzione delle varietà qualitative e quantitative» degli elementi costituenti la
scena.
L'atteggiamento attentivo del soggetto ha un’evidente importanza: il soggetto
poco attento percepisce male la scena e quindi la fissa male; d'altra parte,
concentrare l'attenzione su di un solo elemento di una scena complessa fa
trascurare tutti gli altri elementi e li fa percepire confusamente. Non è possibile, in
pratica, prestare attenzione contemporaneamente a più cose diverse.
L'attenzione è facilitata da una forte carica emotiva in senso piacevole o
spiacevole, eventualmente presentata dall'oggetto stesso. Ciò può spiegare come
determinati soggetti, di fronte a scene particolarmente emotive, non riescano a
fissare gli elementi del fatto in sè, mentre fissano benissimo particolari marginali
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o estranei, a volte insignificanti ai fini dell'economia generale della scena
complessiva.
L'atteggiamento conoscitivo del soggetto è condizionato dalla sua esperienza
precedente e dall'azione assimilativa di essa sulla esperienza presente.
L'aspettativa e la tendenza ad attribuire un significato immediato al dato
percettivo possono divenire fattori di inadeguatezza percettiva. «Quando una
persona si aspetta che una situazione presenti determinate caratteristiche come nel
caso della Lipari), è facile che la situazione reale sia vissuta percettivamente con
alterazioni tali da corrispondere alla sua aspettativa». Ogni situazione, poi, « tende
ad adeguarsi nei suoi particolari concreti al significato che in essa è vissuto,
mediante una trasformazione o soppressione dei dati che non vi corrispondono ». 6
L'atteggiamento affettivo-emotivo del soggetto nei riguardi della scena è forse il
più importante fattore di deformazione della realtà. Gli interessi sono
manifestazioni dei nostri atteggiamenti affettivi, ed anch'essi, di conseguenza,
avranno grande importanza quali fattori influenzanti la percezione. Agli elementi
che interessano maggiormente rivolgiamo, in genere, più attenzione, con
conseguente migliore fissazione. In generale, le persone ci interessano più delle
cose, i dati visivi più di quelli di altri campi sensoriali.
Anche l'atteggiamento emotivo del teste all'atto della percezione ha notevole
importanza: spesso il soggetto trasferisce sullo stimolo, affettivamente neutro, le
situazioni emotive che sta vivendo.
3.
Conservazione mnestica
Ciò che è stato percepito subisce ulteriori trasformazioni nel periodo di
tempo che segue la stimolazione. La ritenzione mnemonica segue leggi
psicologiche note, che è necessario riassumere brevemente.
La maggior parte degli psicologi afferma che la memoria e l'apprendimento sono
strettamente correlati, al punto che non vi può essere apprendimento senza
memoria. Perché l'apprendimento avvenga, è necessario che nel soggetto la
variazione prodotta in un certo momento sia mantenuta o ricordata fino ad un
6
Metelli F.: Psicologia della testimonianza, dal Dizionario di Criminologia, Vallardi, Milano,
1943, II volume.
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momento successivo (che può essere un'ora, un giorno, un mese, ecc.). Le
immagini percettive - di qualsiasi natura esse siano: visive, uditive, motorie, ecc. persistono per poco tempo, poiché tendono a scomparire, per lasciare il soggetto
libero di percepire nuovi stimoli provenienti dall'ambiente. Tuttavia questa
scomparsa non è sinonimo di perdita, e ciò è provato dal fatto che spontaneamente
o con una ricerca volontaria ci è possibile richiamare alla coscienza le percezioni
che hanno fatto parte della nostra esperienza passata.
Il processo mnemonico comprende diverse fasi, che si succedono nel seguente
ordine cronologico:
1.
fissazione: è quello stadio in cui lo stimolo arriva al sistema nervoso
centrale;
2.
ritenzione: consiste nella conservazione dello stimolo così percepito;
3.
rievocazione: consiste nel richiamare alla memoria il materiale ritenuto;
4.
riconoscimento: consiste nell'identificarlo.
Tutto l'apprendimento è basato sul consolidamento delle abitudini
acquisite, siano esse motorie o verbali. Ciò indica, praticamente, che un individuo
continua ad essere in grado di compiere un certo atto precedentemente appreso,
anche dopo un intervallo durante il quale l'esecuzione dell'atto non ha avuto
luogo. Per percezione si intende generalmente quel processo durante il quale un
soggetto perviene alla coscienza di oggetti o di eventi, che sono presenti alla sua
attenzione. Con ritenzione si indica, invece, un processo di conservazione che si
deve considerare involontario, almeno entro certi limiti. Il ritenere e il dimenticare
sono lati opposti dello stesso processo. Ciò che un individuo dimentica è solo la
differenza tra ciò che ha appreso e ciò che ha ritenuto. Tuttavia si può misurare
direttamente solo quello che l'individuo ha ritenuto e da ciò si deve risalire
all'intero processo.
I tre sistemi principali di misurazione, sono:
a. metodo del richiamo (recall): questo metodo è particolarmente adatto
per lo studio della ritenzione di materiale verbale, quale una poesia o un brano di
prosa. Il soggetto deve riprodurre, con un minimo di aiuto, qualcosa che ha
percepito precedentemente. La domanda che viene fatta al soggetto è «Mi dica ciò
che ricorda di ....».
b. metodo del riconoscimento (recognition): questo metodo è usato
spesso negli esami obiettivi degli studenti, specie in America. Avendo presentato
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al soggetto lo stimolo A e volendone esaminare la ritenzione, si ripresenta A al
soggetto insieme ad altri stimoli (B, C, ecc.), invitandolo a identificarlo.
c. metodo del risparmio (saving): è questo il metodo seguito più
frequentemente dagli psicologi nello studio sperimentale della ritenzione. Il
soggetto viene invitato ad apprendere di nuovo qualcosa che ha già appreso
precedentemente. La misura della ritenzione è la differenza fra il tempo impiegato
o il numero di ripetizioni necessarie per il primo e per il secondo apprendimento.
Se, per esempio, è stato necessario ripetere dieci volte un numero per apprenderlo
e, dopo una settimana, è invece possibile apprenderlo ripetendolo solo cinque
volte, il «risparmio» sarà del 50 %. Gli sperimentatori concordano nel dire che
questo metodo ha il vantaggio di essere molto sensibile e nello stesso tempo di
avere una grande attendibilità.
Volendo provare a fare un elenco delle leggi che regolano il processo della
ritenzione, troviamo che:
a) le differenze individuali giocano un ruolo determinante nella ritenzione, il che è
evidente se si considera, ad esempio, la variazione della capacità di ritenzione
verificantisi con l'età. Insieme all'età, anche i fattori emotivi, gli interessi, le
esperienze precedenti di un soggetto agiscono - in misura diversa - nel processo
mnemonico;
b) il materiale appreso in brevi periodi intervallati da riposi è ritenuto meglio del
materiale appreso con un unico studio di lunga durata;
c) la ritenzione è influenzata dalle condizioni che precedono e seguono il primo
apprendimento. Una condizione di stanchezza nel soggetto diminuisce la capacità
di ritenere le percezioni. Se dopo l'apprendimento il soggetto si dedicherà ad altre
attività, riterrà meno di quanto avrebbe potuto conservare se, per esempio, fosse
andato a dormire. Ciò sembra dovuto al fatto che un apprendimento, successivo ad
un altro apprendimento di materiale differente, può influenzare negativamente il
primo, anche in grado elevato, con un meccanismo di interferenza che viene
descritto come «inibizione retroattiva»;
d) il materiale significativo è ricordato dal soggetto assai meglio del materiale non
significativo;
e) una cosa appresa, anche se apparentemente dimenticata, è sempre parzialmente
ritenuta e può essere riappresa più facilmente;
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f) anche ciò che ci sembra scomparso dalla mente è ritenuto e può essere riappreso
in tempo molto più breve del normale;
g) se, dopo aver appreso un certo materiale, continuiamo a studiarlo anche quando
ormai siamo in grado di ripeterlo immediatamente (overlearning), la ritenzione ne
è facilitata, fatto, questo, di notevole interesse per la pubblicità, che mira a
determinare appunto questo iperapprendimento nel soggetto esposto al messaggio
pubblicitario;
h) gli elementi percettivi che presentano note di netto contrasto con l’ambiente
circostante vengono ritenuti meglio (in una serie di numeri, un numero scritto in
colore diverso dagli altri si ricorda prima e più a lungo degli altri);
i) è stato dimostrato, infine, che nel corso del processo di ritenzione vi è un'attività
deformativa dello stimolo originale; questo viene modificato, generalmente
semplificato ed abbreviato, e viene avvicinato a stereotipi già presenti nella mente
del soggetto.
Si può affermare genericamente che gli stessi dati che godono condizioni di
privilegio nel processo percettivo tendono ad essere meglio ricordati, e viceversa.
4.
Rievocazione espressiva
Il fatto che il soggetto sappia di dover testimoniare (come avviene in
campo giudiziario) porta ad una ristrutturazione logica del materiale mnestico o
rafforza quella eventualmente già compiuta. Il soggetto cerca di riordinare i propri
ricordi al fine di poterli esprimere coerentemente, e questo può essere causa di
ulteriori notevoli deformazioni, come vedremo nel caso di Marta Russo.
Nella testimonianza estemporanea la rievocazione è lacunosa ed incoerente, ma i
singoli elementi tendono ad essere meno deformati rispetto alla realtà del fatto
esterno.
La rievocazione espressiva è influenzata dalla capacità espressiva e intellettuale,
nonché dal vocabolario del teste e dalla forma sotto cui viene fornita la
testimonianza.
La forma da preferire è quella della deposizione spontanea, poiché l'interrogatorio
causa ulteriori deformazioni, forzando la memoria del teste nella direzione
prescelta dall'interrogante. Le rievocazioni a seguito di interrogatorio sono, infatti,
più ricche, ma meno fedeli rispetto a quelle spontanee.
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Il racconto libero è il metodo più accurato, ma anche quello che fornisce il
materiale meno completo. La soluzione da preferire consiste, quindi, nella
maggioranza dei casi, nell'utilizzare il racconto libero, completandolo, in seguito,
con domande dirette.
I due metodi vanno usati nel suddetto ordine, e le domande dirette non debbono
mai essere fatte all'inizio dell'esame del teste.
E' necessario ricordare che, in deposizioni successive, il teste tende a riferirsi alla
sua precedente deposizione e non al fatto in causa.
In generale, nella rievocazione i particolari di ogni situazione tendono a venire
adeguati al significato soggettivamente attribuito alla situazione stessa, i dati che
non corrispondono vengono soppressi o trasformati, … ecc.7
5.
Caratteristiche del teste. Cause di orrore del processo testimoniale
Oltre alle cause di errore sistematiche delle tre fasi del processo
testimoniale esaminate, ve ne sono altre, attribuibili a fenomeni caratteristici, che
investono tutta la personalità del teste o di colui che conduce l'interrogatorio.
Le principali cause di errore possono essere:
a. Abitudine: tende a farci descrivere i fatti non come sono accaduti, ma come
accadono in generale.
b. Suggestione: può derivare dalla forma della domanda, quando la si formula in
modo tale da determinare, di per sè, la risposta.
Va ricordato, infatti, che spesso chi esamina il teste non si limita a domande
determinative (come, ad esempio: «Come era vestito l'uomo?»), che sono le
uniche a non esercitare azione suggestiva. Le altre forme delle domande, da
evitare per quanto possibile sono:
1.
le disgiuntive a disgiunzione incompleta: la risposta può essere solo
affermativa o negativa;
2.
le disgiuntive a disgiunzione completa: limitano la risposta solo ad una
delle alternative presenti nella domanda; per es.: «Ha sentito uno o due
colpi di rivoltella?»;
7
Metelli F.: Psicologia della testimonianza, dal Dizionario di Criminologia, Vallardi, Milano,
1943, II volume.
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3.
quelle che implicano un’aspettazione «Non ha visto nessuno in quel
luogo?», ove il tono chiede una risposta affermativa;
4.
le implicative: che implicano la necessaria esistenza di un elemento dubbio
o assente; per es.: «Di che colore era l'insegna posta sopra la porta?»;
5.
le consecutive: domande legate ad una precedente di tipo suggestivo, la cui
risposta viene ad essere ulteriormente rafforzata; per es.: «Che cosa ha
fatto l'individuo dopo uscito dalla porta di casa?».
c. Confusione temporale, o trasposizione cronologica, che porta il soggetto a
errori di valutazione nel tempo.
d. Le tendenze affettive del soggetto, che possono, da sole e in modo
imprevedibile e radicale, deformare la percezione, la memoria, la rievocazione, al
di fuori di qualsiasi motivazione cosciente e volontaria di alterare i fatti.
e. Il tipo di personalità del teste.
6.
Considerazioni generali
Occorre ricordare che, in ogni caso, il teste non dirà mai la verità obiettiva,
ma solo quella soggettiva, cioè i fatti come egli li ha visti e ricordati, e come è in
grado di esprimerli.
Sul valore del processo testimoniale preso nel suo insieme il Metelli8 elenca i
seguenti punti principali:
a) non esistono testimonianze complete, poiché, in ogni caso, il teste
sceglie tra i vari elementi del fatto;
b) la testimonianza integrale e fedele è l'eccezione. Eventuali lacune e
contraddizioni minori non invalidano tutta la testimonianza. Una testimonianza
troppo precisa e dettagliata ha poche probabilità di essere veritiera;
c) il numero medio di errori che si verificano in un insieme di
testimonianze è abbastanza alto;
Le norme da seguire nel raccogliere una deposizione, possono essere riportate in
forma di decalogo9:
8
Metelli F.: Psicologia della testimonianza, dal Dizionario di Criminologia, Vallardi, Milano,
1943, II volume.
9
Marzi A.: La perizia psicologica nello studio della testimonianza, Editrice Universitaria, Firenze,
1956.
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1. Per giudicare su di una testimonianza è necessario, anzitutto, sapere se
essa è avvenuta spontaneamente. Se ciò non è, è indispensabile conoscere la
formulazione esatta della domanda o delle domande poste al teste.
2. II teste deve essere udito prima che sia stato interrogato o comunque
influenzato da altri. Se ciò è impossibile, occorre valutare l'effetto degli
interrogatori e delle influenze precedenti.
3. La deposizione spontanea deve costituire, in ogni caso, la parte
principale della testimonianza.
4. Vanno evitate accuratamente le domande suggestive.
5. Le domande troppo dettagliate possono alterare la testimonianza.
6. Emozioni o stati affettivi particolari dei testimoni (vanità, timore, …
ecc.) alterano la testimonianza.
7. Per il riconoscimento di persone è sempre preferibile la ricognizione
selettiva piuttosto che la ricognizione singola.
8. Non tentare di dimostrare ad un teste che ha errato nella deposizione.
9. Valutare separatamente le testimonianze di minorati fisici e psichici.
10.Tutta la deposizione deve essere riportata a verbale, con la massima
completezza e precisione, separando la deposizione spontanea dalle risposte a
domande, le quali ultime vanno anche trascritte integralmente.
7.
Ma quanto è affidabile la memoria, e quali sono i limiti di una
testimonianza oculare?
7.1.
Sino a che punto possiamo fidarci della nostra memoria?
La nostra memoria non funziona come un registratore o come una videocamera.
Ogni ricordo e’ elaborato, ricostruito, manipolato, rappresentato. I ricordi non
sono immagini dormienti nel nostro cervello che possiamo a nostro piacimento
rievocare. Sono invece elementi labili e passibili di continue modificazioni,
dovute al passare del tempo, al nostro stato emotivo, al contesto, alla nostra
conoscenza generale del mondo e specifica di quel particolare evento e di altri
simili. Non esiste La Memoria, esistono molti sistemi diversi, molte memorie fra
loro distinte e dissociabili. Non usiamo lo stesso sistema per ricordare i dettagli
del nostro passato compleanno, per ricordare che dobbiamo comprare il latte
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prima di andare a casa, per studiare per un esame, per imparare a sciare, per
ricordare un numero telefonico.10
7.2.
Quali sono i limiti di una testimonianza oculare?
La testimonianza oculare è passibile di errori procedurali molto grossolani, o
meno evidenti. Ma dal momento che come abbiamo detto prima, la nostra
memoria non è un registratore, è molto ingenuo basarsi sulla sola testimonianza
oculare per giudicare della colpevolezza o dell’innocenza di un imputato. La
testimonianza oculare è estremamente inaffidabile. Ciononostante le informazioni
che può fornire sono molto spesso sovrastimate.
7.3.
Come si dovrebbe raccogliere una testimonianza?
Dapprima bisognerebbe evitare di considerare testimonianze occorse dopo che i
volti degli imputati sono apparsi sulla stampa. Ricordate la triste vicenda di Sacco
e Vanzetti condannati alla sedia elettrica per duplice omicidio sulla base della
testimonianza oculare della signora Nichols che, sette anni dopo aver assistito alla
scena dalla finestra di casa sua, avrebbe riconosciuto i due anarchici Italiani, il cui
volto nel frattempo aveva riempito le pagine di tutti i quotidiani Americani. La
seconda ovvia precauzione è che il “riconoscimento” avvenga accertandosi che
nulla di cospicuo identifichi l’imputato. Un imputato nordafricano sarebbe spesso
riconosciuto come colpevole se mescolato tra bianchi.
7.4.
Quali disfunzioni della memoria sono tra le più comuni?
Tutti i diversi sistemi di memoria sono passibili di lesioni più o meno gravi. Così
come ci sono molte diverse memorie, ci sono molte diversi tipi di amnesia. Quella
classicamente narrata nei film è la perdita di memoria autobiografica, cioè la
perdita dei ricordi che caratterizzano la nostra identità. Più frequente però è la
cosiddetta amnesia anterograda, cioè l’incapacità di apprendere nuove
informazioni in seguito ad un danno cerebrale, per esempio un ictus o un trauma
cranico. Alcuni pazienti, al contrario, ricordano tutto del loro passato, ma non
riescono a tenere a mente un numero di telefono neppure per pochi secondi, hanno
perso la loro memoria a breve termine. La memoria, con tutti i suoi sistemi,
10
www.cicap.org
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partecipa attivamente nella maggior parte della nostra vita cognitive e di
relazione. Un disturbo spesso presente con l’avanzare dell’età è la perdita della
cosiddetta memoria prospettica, cioè della nostra capacità di ricordare di fare
qualche cosa in un certo momento nel futuro, per esempio ricordarsi di prendere la
pillola per la pressione alle quattro del pomeriggio.
8.
Testimone e Testimonianza
La procedura penale, in quanto indagine tesa a conseguire un giudizio in
merito a specifici fatti di natura legale, si articola secondo le medesime fasi di una
ricerca scientifica: a partire infatti da un’ipotesi la cui veridicità deve essere
ancora dimostrata (l’accusa), si procede ad analizzare gli eventi e le circostanze
che possano convalidare o falsificare l’ipotesi di partenza (esame delle prove) per
poi giungere all’elaborazione dei dati così ottenuti ed alla proclamazione della
sentenza, ovvero la conclusione che accetta o nega in maniera documentata la tesi
iniziale. In questo scenario così delineato il testimone assume l’importante
funzione di strumento di misura attraverso il quale il giudice valuta azioni,
distanze, identità e tutto quanto egli abbia registrato attraverso i propri sistemi
sensoriali, elaborato cognitivamente a livello percettivo e richiamato o
riconosciuto attraverso le abilità mestiche.
11
Ma proprio a causa di questa
incertezza e dell’intervento del libero arbitrio, il teste, pur configurandosi come
strumento di misura, non risulta dotato di dignità scientifica. Il testimone non è
dunque, al pari di uno strumento di precisione, in grado di fotografare in maniera
esatta ciò di cui a diverso titolo è stato spettatore. Il primo passo da compiere è
dunque valutare l’attendibilità del teste e ciò inizialmente in senso generico,
accertando la presenza o meno di alterazioni dei processi psichici che possano
interferire sulla precisione delle attività percettive, della conservazione e della
rievocazione, e successivamente in senso più mirato, focalizzando l’attenzione
sullo specifico contenuto della testimonianza. Accreditare attendibilità ad una
testimonianza è perciò un atto condizionato da due aspetti: l’accuratezza e la
credibilità.
11
Mazzoni G.: Si può credere ad un testimone? La testimonianze e le trappole della memoria. Il
Mulino, Bologna, 2003.
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1.
L’accuratezza attiene alla sfera del funzionamento, nell’ordine,
percettivo, cognitivo e mnestico ed in virtù di ciò è possibile scinderne le diverse
componenti, che possono essere periziate e, all’occorrenza, specificamente
misurate. Influiscono perciò su di essa sia fattori che concernono la condizione del
teste in quanto persona, tra cui quelli generali dell’età (sul cui aspetto si porrà in
questa sede il focus attentivo), del sesso, della razza, della presenza di eventuali
deficit di natura cognitiva, percettiva e/o mnemonica, di stereotipi e pregiudizi e
quelli più specifici legati alla situazione oggetto della deposizione, quali la
possibile influenza di sostanze intossicanti, stress, la complessità dell’evento, il
grado di coinvolgimento, la familiarità con il presunto reo, il grado di gravità del
crimine, ma anche il tempo di esposizione e quello intercorso dal fatto, le tecniche
di interrogatorio impiegate.
2.
La credibilità del testimone interessa invece aspetti di natura più
specificamente motivazionale.12 Degli elementi acquisiti durante l’interrogatorio
non si valuta la sola accuratezza del ricordo, ma anche e principalmente la loro
credibilità, ovvero se indipendentemente dalla bontà della traccia mnestica il
testimone ed il contenuto della deposizione vengano ritenuti convincenti e dunque
ammessi al dibattito processuale.
La dimensione della credibilità presenta due fronti:
-
quello volto sulla prospettiva del testimone, che indaga sui
comportamenti adottati con lo scopo di risultare convincente, e
-
quello volto sul lato opposto, dell’ascoltatore, che esamina i diversi
meccanismi messi in atto da chi valuta l’accettabilità del teste e delle sue
dichiarazioni.
In questa operazione assume un peso rilevante la confidenza riposta dal testimone
nel proprio ricordo, che spesso anche in assenza di dati certi che ne confermino il
contenuto sembra suggerire la direzione per valutare come attendibile o meno una
testimonianza. Inoltre può influire sulla valutazione anche l’eventuale interferenza
delle convinzioni dell’ascoltatore, che possono spaziare dal comune pregiudizio
nei confronti di una specifica situazione o gruppo sociale alle personali opinioni
12
Gulotta G. (1987), Psicologia della testimonianza, in Gulotta G. (a cura di), Trattato di
psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, Giuffrè editore.
20
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circa il funzionamento della memoria e le condizioni ideali per favorire un ricordo
esatto.
9.
La relazione esistente tra memoria e testimonianza
La memoria è spesso, nei casi giudiziari, l'unica fonte di informazione su
quanto presumibilmente è accaduto. Perché un evento possa essere ricordato da un
soggetto è necessario che egli l'abbia precedentemente acquisito.13
La psicologia cognitiva studia i processi che guidano l'acquisizione della
conoscenza da parte dei soggetti. Tali processi possono essere ricondotti ad
un'attività di elaborazione delle informazioni che si articola in tre fasi distinte:
I.
l'acquisizione, durante la quale il soggetto percepisce le
informazioni provenienti dall'esterno;
II.
la ritenzione, durante la quale egli conserva in memoria le
informazioni acquisite;
III.
il recupero, durante il quale egli ricorda l'informazione nel senso
che la recupera dalla memoria dove era conservata. Durante queste attività il
oggetto non si limita a registrare passivamente le informazioni che provengono
dal mondo esterno, ma le elabora, con una serie di attività di riduzione,
trasformazione ed integrazione che gli consentono di partecipare attivamente alla
costruzione della propria conoscenza.
Nel suo complesso l'attività di elaborazione delle informazioni è resa possibile
dalla presenza di tre elementi fondamentali:
1.
la memoria (o registro sensoriale), dove gli stimoli fisici in arrivo dal
mondo esterno vengono inizialmente tradotti in informazione nervosa sensoriale
(visiva, uditiva, tattile), per poi essere confrontati con le esperienze precedenti e
poter essere riconosciuti percettivamente;
2.
la memoria a breve termine (MBT), che ci permette di ritenere alcune
informazioni in modo fedele allo stimolo, ma solo per alcuni secondi (da un
minimo di 3-4 secondi ad un massimo di 20): ciò avviene, ad esempio, quando
ricordiamo un numero telefonico solo per il tempo necessario per comporlo. In
conclusione, la memoria a breve termine consente di trattenere per un periodo di
13
Baddeley A., La memoria. Come funziona e come usarla. Laterza, Bari, 2001.
21
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tempo molto breve, nell’ordine dei secondi, un numero molto limitato di
informazioni che provengono dall’ambiente. Le informazioni così trattenute sono
di regola molto precise ed affidabili;
3.
la memoria a lungo termine (MLT), alcune informazioni che si trovano
nella memoria a breve termine possono essere trattenute per ore, giorni, mesi ed
anche anni. Se il numero di telefono viene ripetuto mentalmente per un po’ di
tempo esso rimane registrato nel cervello. Questo tipo di memoria si chiama
memoria a lungo termine. La quantità d’informazioni depositate nella memoria a
lungo termine è molto piccola rispetto alla quantità di quelle che vengono
percepite durante la vita quotidiana. Si è calcolato che di tutte le informazioni che
arrivano alla nostra percezione circa l’uno per cento viene trattenuto come
memoria a lungo termine. Di regola sono trattenute meglio le informazioni che
rivestono particolare interesse per la nostra vita o che hanno provocato in noi forti
emozioni sia piacevoli sia spiacevoli. che è invece caratterizzata da un'estensione
praticamente infinita e per questo detta anche memoria permanente: comporta un
immagazzinamento di elementi più elaborato rispetto a quello della MBT e una
considerazione dello stimolo nel suo insieme di qualità sensoriali e non.
Il funzionamento della memoria può essere immaginato secondo due diverse
modalità: ritenendola come una sorta di fotografia o di filmato di quanto accaduto
(e cioè il prodotto di un meccanismo di tipo riproduttivo) o come il prodotto di un
meccanismo di tipo ricostruttivo. Nel primo caso, quindi, la memoria di un evento
sarebbe una rappresentazione (o riproduzione) accurata dell'evento. La
conseguenza di ciò è che il recupero della memoria (cioè il ricordare) non sarebbe
altro che un accesso diretto alla riproduzione (quasi fotografica) dell'evento
conservato nella mente. Nel recuperare tale riproduzione dovremmo arrivare a
disporre di una copia accurata di quanto è accaduto.
Il ricordo di un evento è quindi una (o forse la migliore) delle possibili
ricostruzioni che il soggetto fa sulla base dei dati a sua disposizione. Se il ricordo
è una ricostruzione fatta sulla base dei dati a disposizione, una prima implicazione
che ne deriva è che il ricordo non è mai la riproduzione fedele, completa e
completamente accurata di un evento. E, anche nel caso di massima possibile
accuratezza, non è mai la copia esatta dell'evento. Ciò va ricordato nel momento
in cui si esamina un resoconto testimoniale, perché spesso accade di considerare
tale resoconto come la descrizione esatta di quello che è accaduto, ma questo non
22
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corrisponde mai a verità. Una seconda implicazione è che nel fare uso delle
informazioni disponibili, quando ricostruiamo un evento nella nostra memoria,
possiamo anche usare informazioni molto recenti e che non appartengono
all'evento originario. Dunque, le conoscenze più recenti possono influire e
modificare la ricostruzione che facciamo di un episodio ai fini del ricordo. Ogni
individuo immette nella propria memoria ciò che è stato oggetto della sua
attenzione. Molti studi hanno infatti dimostrato che ciò che non ricade sotto la
nostra attenzione non viene elaborato, o viene elaborato solo in modo molto
limitato, cosicché non può venir rappresentato nella nostra memoria. Dunque, la
focalizzazione dell'attenzione è un fattore che influisce sul contenuto e
l'accuratezza del ricordo. Ma anche il grado di attenzione rivolto all'evento è una
variabile importante per determinare che cosa viene codificato in memoria. Di
solito accade che una persona si trova ad essere testimone di un evento senza
essere preparata ad osservare con attenzione i vari elementi della scena: in questi
casi viene utilizzata una memoria cosiddetta di "tipo incidentale", che presuppone
un livello di codifica abbastanza superficiale delle informazioni presenti nella
scena. Ciò comporta che il ricordo sarà poi meno preciso di quanto accadrebbe se
l'individuo mettesse in atto una codifica di tipo intenzionale, essendo cioè pronto
ad assistere alla scena per cercare di elaborare al meglio i vari elementi dell'evento
a cui assiste. Inoltre, è stato dimostrato da tempo che la memoria umana è
facilmente modificabile. I fattori che possono alterare la memoria intervengono
non solo nella fase di acquisizione delle informazioni, ma anche nella fase di
ritenzione delle informazioni stesse. In quest'ultimo caso si parla di "informazioni
post evento". Esse possono essere di vario tipo: percezioni e giudizi di altre
persone che erano presenti al momento del fatto, notizie che il soggetto può aver
avuto da varie fonti in tempi successivi al fatto stesso oppure elementi che
emergono dai primi colloqui con la polizia o gli avvocati.
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10.
Nella
memoria
a
lungo
termine
si
possono
inserire
scene
completamente false
Elizabeth Loftus, ha svolto un’estesa serie di esperimenti sulla memoria, sulle
testimonianze oculari e le procedure giudiziarie ed è stata consulente in centinaia
di processi.14 Il problema centrale è come si può stabilire se un ricordo è vero o
falso. La dimostrazione di una memoria falsa o vera si ottiene soltanto nei casi in
cui esistono prove dirette.
Tra gli esempi di false memorie della Loftus, il caso di Beth Rutherford
aiutata a ricordare di essere stata stuprata dal padre e di avere abortito due volte
per ordine dello stesso. L’esame medico-legale rivelò che all’età di 22 anni era
ancora vergine e non poteva avere avuto gravidanze. Il terapeuta venne
denunciato e dovette risarcire un milione di dollari alla ragazza.
Questi esempi dimostrano che quando non è possibile ottenere dimostrazioni sulla
veridicità o falsità del ricordo, la memoria ricostruita da un’assenza iniziale di
ricordo, non può avere nessun valore.
A questo punto ci si deve chiedere com’è possibile impiantare nel cervello i falsi
ricordi. Sempre la Loftus in 200 esperimenti che hanno coinvolto oltre 20.000
individui, ha dimostrato in maniera rigorosa come nel ricordare un evento
realmente accaduto si possa avere una distorsione semplicemente suggerendo
all’individuo una disinformazione. Tale disinformazione ‘può invadere i nostri
ricordi quando parliamo ad altri, quando veniamo interrogati in modo
suggestivo, quando leggiamo i giornali o vediamo fotografie relative a qualche
evento al quale abbiamo noi stessi assistito’.
La stessa scienziata ha dimostrato che si possono indurre ricordi di eventi mai
accaduti.
A 24 individui tra i 18 e 53 anni ha chiesto di ricordare eventi, mai accaduti e
raccontati da un fratello o una sorella o uno stretto familiare. Questi ultimi,
d’accordo con la sperimentatrice, raccontavano ad un membro della famiglia
14
Loftus E. (1997) Come si creano i falsi ricordi. Le Scienze (Edizione italiana di Scientific
American).
24
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episodi di smarrimento in un centro commerciale che sarebbero avvenuti anni
prima. Il 29% dei soggetti ricordava bene l’evento mai accaduto e lo arricchiva di
particolari.
Ecco un esempio:
La ricercatrice si mette d'accordo con Jim, un ragazzo di 25 anni. Questi
va a casa e racconta alla madre ed al fratello di 14 anni, Chris, una storia
completamente inventata. ‘Nove o dieci anni prima, i tre si trovavano in un centro
commerciale per fare spese e Chris si perse. Furono presi dal panico, ma alla fine
Chris fu ritrovato accompagnato per mano da un signore anziano che vestiva una
camicia di flanella. Il signore avrebbe raccontato di aver trovato il bambino,
mentre urlava disperato, terrorizzato ed in preda al panico'. Di fronte a questo
racconto, la mamma afferma di non ricordare nulla di questo fatto, ma Chris,
invece, dice di ricordare qualcosa ed in particolare lo stato di paura che aveva
provato. Inoltre, fornisce alcuni dettagli di quella esperienza: 'Avevo paura di non
rivedere più la mia famiglia quel giorno. Ricordo che la mamma mi disse di non
farlo più ... la camicia di flanella dell'uomo ... e quando mi chiese se mi ero
perduto'. Dopo alcune settimane Chris ricorda molto bene altri particolari. 'Mi
sono allontanato un attimo per andare a vedere una vetrina di giocattoli e mi
sono perso. Ho pensato che non avrei più rivisto la mia famiglia. Ero terrorizzato.
Quell'uomo con la camicia di flanella mi pare di colore blu … mi si è avvicinato.
Era molto gentile, …, calvo, con un anello di capelli grigi … e portava gli
occhiali'. Chris rimase sorpreso quando gli fu detto che tutto era stato inventato:
‘lo ricordo. Piangevo. E la Mamma mi è venuta incontro dicendo “dov’eri?…
Non lo fare più”’.
Sempre la Loftus conclude che i testimoni oculari sono spesso inaffidabili e che
nel 25% dei casi le false memorie si provocano mediante suggestione. Inoltre, le
memorie sono soggette ad illazioni oppure semplicemente alterate suggerendo
all’individuo informazioni incorrette.
Che cosa può accadere nel cervello durante l'impianto di quelle che sono delle
vere e proprie bugie? Nel tentativo di portare alla memoria un evento, l'individuo
si sforza di immaginarlo ripetutamente, sia da solo sia con l’aiuto degli altri, e tale
immaginazione anche se falsa viene a poco a poco a far parte del nostro bagaglio
di memoria. Inoltre, quanto più si tende a ricordare, tanto più il ricordo si
consolida fino a diventare parte del nostro corredo permanente di informazioni.
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Quanto più si tenta di scavare nella memoria dell'individuo, tanto più si creano
false memorie. I racconti inventati sono sostenuti in perfetta buona fede.
In conclusione, si possono creare dei ricordi del tutto falsi, specialmente
quando il ricordo è vago ed incerto, con vari meccanismi tra i quali sono molto
importanti il far immaginare, il suggerire o l’ascoltare altre testimonianze.
11.
L'intervista cognitiva e la testimonianza
L'intervista cognitiva (o IC) è una procedura sviluppatasi negli USA per
aiutare ufficiali di polizia o altri professionisti ad ottenere resoconti più completi
ed accurati da un testimone. Questa tecnica è basata su principi psicologici
riguardanti il ricordo ed il recupero d'informazioni dalla memoria. È stata
sviluppata dagli psicologi Ed Geiselman (University of California, Los Angeles) e
Ron Fisher (Florida International University) nel 1984, in risposta alle numerose
richieste ricevute da parte di ufficiali di polizia e professionisti legali, per ottenere
un metodo che migliorasse l'interrogatorio del testimone.15
Questo tipo di intervista si basa su due principi teorici:
1.
che ci sono numerosi metodi per recuperare dalla memoria un
evento, per cui informazioni non accessibili con una tecnica possono
esserlo con un'altra;
2.
che ci sono molteplici parti che compongono una traccia di
memoria ed un suggerimento per il recupero è effettivo purché ci sia una
sovrapposizione tra esso e l'informazione codificata.
Il metodo prevede l’impiego di quattro mnemotecniche, la cui funzione è quella di
facilitare ed incoraggiare il ricordo:
1.
ricostruire mentalmente il contesto fisico e personale esistito al momento
del fatto per riuscire così ad aumentare l'accessibilità dell'informazione conservata
in memoria. Sebbene questo non sia un compito facile, l'intervistatore può aiutare
il testimone chiedendogli di recuperare un'immagine o un'impressione circa le
caratteristiche ambientali della scena originale (per esempio la disposizione degli
oggetti nella stanza), per poi commentare le reazioni emozionali e le sensazioni
15
www.psichomedia.it
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avute in quel momento (sorpresa, rabbia, ecc.) e descrivere qualsiasi suono, odore
e condizioni fisiche (caldo, umido, fumo, ecc.) che fossero presenti nel contesto in
cui si è svolto il fatto.
2.
Chiedere al testimone di riportare tutto quello che ricorda, incluse le
informazioni parziali; queste potranno essere utili per riuscire a collegare i vari
dettagli dello stesso fatto forniti da altri testimoni o dallo stesso soggetto ma in
momenti diversi.
3.
Chiedere all'intervistato di ricordare partendo da punti di vista diversi. Con
questa tecnica si cerca di incoraggiare il testimone a guardare il fatto come se
fosse stato un altro soggetto: lo scopo è quello di aumentare la quantità di dettagli
del racconto.
4.
Dire al soggetto di ricordare partendo da diversi momenti nel tempo. I
testimoni ritengono di dover cominciare dall'inizio ed è ciò che di solito viene loro
chiesto. Invece l'intervista cognitiva permette un tentativo di recupero
dell'episodio dalla memoria profondo e completo, incoraggiando i testimoni a
ricordare il fatto in ordine diverso, iniziando ad esempio dalla fine, o dalla metà e
dall'episodio più memorabile.
Se si considera il fatto che i risultati di molte interviste hanno indicato che
l'intervista cognitiva dà risultati interessanti, si potrebbe pensare che debba essere
utilizzata da tutti coloro che svolgono colloqui con testimoni.
12.
CONCLUSIONI
Quanto ho riferito fin ora può far insorgere il dubbio che il ricordo sia
sempre inaffidabile. Ciò non è vero. Infatti, i ricordi di fatti appena accaduti sono
limitati, ma di regola sono altamente affidabili, solo se l’individuo li esprime con
certezza. Sorgono invece seri problemi d’affidabilità quando l’individuo all’inizio
non ricorda nulla o solo vagamente ed il ricordo è frutto d’immaginazione e
ragionamento, anche se affidati ad una logica, oppure se avviene con tentativi di
ricostruzione specialmente se accompagnati da un notevole sforzo mentale e
quando l’individuo risente di suggerimenti esterni. Il recupero della memoria
attraverso il processo di ricostruzione è tanto più efficace quanto più l’individuo
vuole ricordare o quanto più vi è interesse e motivazione a ricordare. Tuttavia, la
forte motivazione a ricordare, le ragioni d’ordine morale e culturale che
27
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l’individuo usa per intervenire efficacemente nell’elaborazione del pensiero non
eliminano il pericolo del falso ricordo, ma ne accentuano la consistenza. La
motivazione a ricordare ad ogni costo i particolari di un avvenimento quando
l’articolazione dello stesso è avviluppata nell’incertezza, l’impegno, magari
sollecitato dall’interlocutore di un dialogo a tempi lunghi, a voler saggiare una
realtà, da emendare nelle sue lacune e nelle sue zone d’ombra, creano, in effetti, le
condizioni ideali di una disponibilità alla distorsione dei fatti ed all'inclusione di
ricordi inerenti a false circostanze.
Sono questi i casi in cui la ‘testimonianza’, intesa come immedesimazione
in una sofferenza ed in un bisogno si traduce in testimonianza processualmente
rilevante. Quando la testimonianza, intesa come espressione di una scelta di vita,
diventa veicolo per introdurre nel processo elementi nuovi e di consistente
spessore.
In conclusione, il ricordo di eventi dei quali all’inizio si esprime incertezza
o ignoranza sono altamente suscettibili di distorsione e più facilmente conducono
a falsi ricordi. L’interesse e la motivazione dell’individuo a ricordare, può aiutare
la quantità del ricordo, ma a scapito della qualità ovvero della veridicità. Proprio
questi ricordi richiedono verifiche dell’accaduto e questo tipo di ricordo non può
costituire prova di fatti seri ed impegnativi come la condanna di un individuo.
Ciò, invece, è quanto accaduto nel processo per omicidio di Marta Russo
che ora mi accingo ad illustrarvi.
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CAPITOLO 2
IL CASO MARTA RUSSO
1.
Premessa
Nel caso Marta Russo non esistono prove, solo indizi. Qualcuno ha
sparato, qualcuno ha visto ma, soprattutto, molti dicono di aver visto. Le certezze
sono che Marta Russo è stata uccisa nel cortile di una delle Università più
importanti d’Europa e che due assistenti, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro,
sono stati condannati. Ma nonostante questo lungo processo, difficilmente si potrà
arrivare ad una verità certa ed assoluta.16
Ricordi più o meno tardivi e "ricostruiti" sono una caratteristica saliente, ma non
esclusiva, delle indagini sul caso Marta Russo. “Nuovi particolari" che
riemergono dopo due anni, testimoni che "guardano bene" e persone guardate che
"si girano" per farsi vedere meglio; "sicure precisazioni", dovute a "ripensamenti",
un testimone che, come la Olzai, "rivela" ad un'agenzia di stampa le scene che ha
"stampate in testa", prima di raccontarle alla Digos. Per mettere a fuoco dei ricordi
attendibili occorrono parecchi mesi, e magari un paio di anni: "ricostruire" una
"certezza" richiede molto tempo, e soprattutto molta buona volontà (spontanea o
indotta).
Scattone e Ferraro sono stati condannati sia in primo grado sia in secondo grado:
l’uno per omicidio colposo, l’altro per favoreggiamento. La Corte ha ritenuto che
il colpo sia partito per caso, che si sia trattato di un errore e non di un delitto
premeditato. La prima sentenza fu ritenuta di compromesso tra accusa e difesa,
ma poi è stata confermata in appello. Giovanni Scattone è stato giudicato
colpevole per una mancanza di cautela o di prudenza
C'erano sicuramente diverse piste alternative e la polizia iniziò a indagare in varie
direzioni. Ma quando dai prelievi della scientifica risultò che sul davanzale della
finestra della Sala 6 c’era un residuo di sparo, l’inchiesta si trovò a un bivio e
imboccò il binario della Sala 6. In realtà, come le perizie d’ufficio disposte dalla
Corte hanno dimostrato, sia in primo grado sia in secondo, quel granello di
16
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polvere non era un residuo di sparo. A quel punto, però, fu abbandonata la pista
alternativa che ipotizzava che il colpo fosse partito dal bagno disabili del pian
terreno. E le perizie hanno stabilito che entrambe le finestre, quella del bagno e
quella della Sala 6, sono ugualmente compatibili con la traiettoria di sparo.
Ma ci sono anche altre ipotesi, tra cui quella di per cui il vero obiettivo poteva
essere Iolanda Ricci, la ragazza che camminava con Marta Russo nel vialetto
dell’Università. Una settimana dopo il delitto fu proprio il padre della ragazza,
alto dirigente del ministero della Giustizia e già direttore del carcere di Rebibbia,
a presentarsi alla polizia sostenendo di avere validi motivi per sospettare che la
vittima designata fosse la figlia. Spiegò di aver ricevuto a casa numerose
telefonate anonime, alcune anche notturne, e in una di queste la voce pronunciava
minacce e insulti nei confronti della ragazza.
Questo processo è interessante per due ragioni. Primo perché dimostra a che punto
può arrivare il cortocircuito mediatico tra sistema dell’informazione e apparato
giudiziario. I giornali, le televisioni e le radio hanno contribuito a sedimentare una
verità precostituita nell’immaginario collettivo che poi, si è dimostrato, non
corrispondeva alla verità dei fatti. Si è parlato di delitto perfetto, di omicidio
volontario, di "mito del superuomo". L’altro aspetto è che questa vicenda mette in
luce il potere assoluto del pubblico ministero che è "dominus" del processo, dirige
la polizia giudiziaria e in qualche caso dirotta le indagini. Credo che se ci sono
state delle anomalie più che delle scorrettezze nell’inchiesta e negli interrogatori,
queste sono state indotte dall’ansia di accertare la verità, di scoprire l’autore del
delitto e di dare una risposta a una vicenda che aveva impressionato tutti.
Certamente da parte degli inquirenti c’era il sospetto che l’Istituto di Filosofia del
Diritto fosse una specie di covo di delinquenti, un luogo dove è scattato un
meccanismo di omertà a favore degli imputati. Il professor Romano fu arrestato
per favoreggiamento, o meglio messo agli arresti domiciliari per due mesi, ed è
stato poi prosciolto. Questo è un passaggio molto importante, perché a mio
giudizio fu proprio l’arresto di Romano che fece crollare Gabriella Alletto. Fino
all’arresto di Romano, la Alletto aveva giurato che lei non era neppure entrata in
quella stanza e che quindi non poteva aver visto nulla. Ma quando arrestarono
Romano, il suo direttore di Istituto, lei si sentì probabilmente scoperta e cambiò
versione, iniziò a dire di essere entrata in quella stanza, di aver visto Scattone che
sparava e Ferraro che portava via la pistola nella borsa. Non so francamente se
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Gabriella Alletto dica ora la verità o se l’avesse detta prima: è certo, però, che
l¹arresto di Romano provoca il suo crollo psicologico.
L’ipotesi più suggestiva, prima delle sentenze, è stata sicuramente quella del
"delitto perfetto", del "delitto filosofico". Ma era davvero un’ipotesi realistica?
No. Infatti è crollata sia in primo grado sia in secondo grado. Il delitto perfetto
presuppone un delitto volontario, mentre poi Scattone è stato condannato per
delitto colposo e Ferraro per favoreggiamento.17 La teoria del delitto perfetto era
già infondata nei fatti, perché i due non tennero mai un seminario universitario su
questo tema. In realtà, anche questa fu una costruzione mediatica, certamente
suggerita prima dagli inquirenti ma poi ripresa e amplificata dai mass media,
alimentando l’idea che i due fossero criminali freddi e decisi, intenzionati a
dimostrare l’impossibilità di scoprire i responsabili di un delitto quando manca un
movente e non si trova l’arma del delitto.
Nulla è stato provato in questo processo, incerto nelle testimonianze, nelle perizie
e nelle prove.
2.
Presentazione del caso
Marta e Iolanda hanno poco più di 20 anni. Stanno passeggiando in un
vialetto dell’università e discutono del prossimo esame da fare. Marta e Iolanda
sono amiche e compagne di studi, sono iscritte al III anno di Giurisprudenza
all’Università della sapienza di Roma, uno degli atenei più prestigiosi d’Italia. Il
vialetto che stanno percorrendo è lì dentro, tra la facoltà di Giurisprudenza,
Scienze politiche e Scienze statistiche.
E’ il 9 maggio 1997.
Sono le 11.42.
Marta e Iolanda parlano tra loro e camminano tranquillamente quando
all’improvviso si sente un rumore ovattato, un “tonfo sordo”.
Marta si accascia sull’asfalto.
Succede tutto in pochi secondi. Si cerca di capire cosa è successo, si cerca di
aiutare Marta che ha perso i sensi. Ma non c’è niente da fare, Marta è stata colpita
17
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dietro l’orecchio sinistro da un proiettile calibro 22 che si è frantumato in più
parti. Ha perso i sensi ed è entrata in coma. Muore in ospedale il 13 maggio,
qualche giorno dopo.
Ma chi ha sparato?
Gli investigatori si mettono subito al lavoro. E’ un giorno particolare il 9 maggio e
le ipotesi saranno diverse:
I ipotesi: Ci sono 2 anniversari, quello dell’uccisione di Giorgiana Masi,
nel 1977 e quello del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, nel 1978. Quello
sparo potrebbe essere l’atto di chi vuole ricordare uno di questi avvenimenti.
Potrebbe essere un atto terroristico. Ma non ci sarà nessuna rivendicazione.
E allora?
II ipotesi: Gli investigatori passano al setaccio ogni possibilità. A
cominciare dalla vita di Marta. Marta ha 22 anni, vive a Roma con la madre
Aureliana, il padre Donato e la sorella Tiziana. Le piace studiare legge, si è iscritta
a Giurisprudenza perché vuole diventare magistrato. Su di lei non si scopre
assolutamente nulla di sospetto, nulla di strano, nulla che lasci immaginare una
qualsiasi vendetta. Il suo fidanzato, Luca, al momento dell’omicidio è al lavoro.
Viene esclusa anche la pista passionale.
III ipotesi: Iolanda Ricci, l’amica, è figlia di un dirigente del ministero
della Giustizia che negli anni 70 era stato direttore del carcere di Rebibbia.
Qualcuno potrebbe aver provato rabbia nei suoi confronti, Iolanda riceve
telefonate anonime anche nel cuore della notte. Dopo alcune verifiche però la
pista viene abbandonata.
IV ipotesi: qualche giorno dopo si presenta in questura una ragazza
identica a Marta Russo. La sosia sostiene che c’è stato uno scambio di persona,
avrebbe dovuto essere lei la vittima. Suo padre è un imprenditore perseguitato dai
boss del racket ed è sotto la protezione della polizia. Ma quel venerdì la ragazza
non era all’università e gli inquirenti abbandonano anche la pista mafiosa.
Vengono disposte la perizie balistiche per determinare da quali finestre può essere
partito il colpo. Vengono individuati 2 luoghi compatibili con una possibile
traiettoria: l’aula VI di filosofia del diritto, al primo piano, e il bagno per i disabili
di Scienze Statistiche,al piano rialzato della stessa palazzina.
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Nei primi giorni le indagini si concentrano sui bagni del piano rialzato, soprattutto
il bagno dei disabili perché può entrarvi chiunque. I locali vengono chiusi per la
indagini e sigillati il 9 maggio stesso. Ma non si trova nulla di utile.
V ipotesi: Le ispezioni si estendono anche alla Pull. Tra, l’impresa di
pulizie che lavora all’interno dell’Università. Vengono trovate 2 vecchie cartucce
a salve. Nell’armadietto di uno dei dipendenti viene recuperato un tubo metallico
che potrebbe essere stato usato come silenziatore rudimentale. Ma dagli
interrogatori non risulta nulla che possa portare a quello che è successo
all’università: al momento dello sparo i dipendenti presenti quel giorno erano tutti
al lavoro in pausa, oppure giocavano a carte. Le varie dichiarazioni coincidono. E
il proiettile che ha colpito Marta è stato sparato da una vera arma calibro 22, non
da una pistola giocattolo. Così anche questa pista viene abbandonata.
VI ipotesi: Sul davanzale dell’aula VI di Filosofia del diritto viene trovato
qualcosa, piccoli frammenti di sostanza, una particella binaria, composta da bario
e antimonio. Per i magistrati che si occupano dell’indagine si tratta di un residuo
dello sparo. L’aula VI è riservata agli assistenti dell’istituto di Filosofia del diritto
ed è frequentata da un numero ristretto di persone che lavorano tutte nell’istituto.
Secondo gli inquirenti il colpo è partito da lì.
Gli investigatori fanno analizzare i tabulati telefonici dalla Telecom e scoprono
che quella mattina Maria Chiara Lipari ha fatto 2 telefonate ai suoi genitori
proprio dal telefono dell’aula VI. La Lipari è l’assistente del professor Bruno
Romano, il direttore dell’istituto di Filosofia del diritto. Interrogata dagli
investigatori all’inizio dice di non essersi accorta di particolari presenze nella
stanza. Pian piano dichiara anche qualcos’altro.
Il 12 giugno il professor Bruno Romano viene sottoposto agli arresti domiciliari,
con l’accusa di favoreggiamento. Secondo Maria Chiara Lipari, il professore
avrebbe invitato tutti ad essere cauti con le dichiarazioni agli inquirenti, cercando
di creare un clima di omertà per non coinvolgere il suo Istituto nelle indagini.
La Lipari diventa uno dei testimoni chiave dell’accusa. Si sforza di ricordare cosa
ha visto in quella stanza il 9 maggio . Viene interrogata più di una volta.18
18
Lucarelli C., Picozzi M.: Scena del crimine. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005.
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Il 22 dichiara di ricordare a <<livello subliminale>> la presenza nell’aula VI di
Gabriella Alletto, la segretaria dell’istituto di Filosofia del diritto, e dell’usciere
Francesco Liparota.
Due giorni dopo sostiene di aver visto <<in un lampo>> anche il volto di
Salvatore Ferraro, giovane assistente di filosofia del diritto.
Il 19 giugno dichiara che nell’aula VI c’erano più di 2 persone, forse 4.
L’8 agosto ricorda di aver visto Ferraro proprio in quell’aula, e di aver incontrato
Giovanni Scattone, un altro giovane assistente, nel corridoio.
La mattina del 14 giugno Francesco Liparota e Gabrielle Alletto vengono
convocati in questura. I due erano già stati interrogati in precedenza.
Al Liparota vengono contestate subito alcune irregolarità nella timbratura delle
presenze. E’ consuetudine dei dipendenti dell’istituto che il primo ad arrivare in
ufficio e l’ultimo ad andarsene timbrino i cartellini per tutti. Non è regolare, anzi
si chiama truffa ai danni dello Stato.
Gabriella Alletto, che fino ad allora ha negato di essersi trovata nell’aula VI,
ammette di esserci stata. Dice di aver visto Giovanni Scattone sparare dalla
finestra con una pistola e Salvatore Ferraro mettere le mani tra i capelli . Dichiara
di avere visto Scattone mettere la pistola nella borsa di Ferraro. Insieme a loro
nella stanza, c’era anche Francesco Liparota, l’usciere. Per i magistrati e gli
investigatori che si occupano delle indagini è la svolta decisiva. Vengono emessi
tre ordini di custodia cautelare. Ferraro viene arrestato nella sua abitazione,
Scattone in un ristorante. Viene arrestato anche Liparota, con l’accusa di concorso
in omicidio.
Quando Liparota arriva al carcere di Regina Coeli, viene perquisito. In tasca ha un
biglietto nel quale ha scritto di aver visto Ferraro e Scattone alla finestra, di avere
sentito un suono cupo e di essersi reso conto che avevano sparato, ma che non
poteva parlare perché aveva paura. Lo avevano minacciato. Liparota dice di aver
raccontato tutto anche a sua madre Rosangela Villella, che conferma. A Liparota
vengono concessi gli arresti domiciliari. Il giorno dopo, però, Liparota va in
questura per ritrattare tutto. Sostiene di non ricordare nulla del 9 maggio e di aver
parlato per paura del carcere.
Il 4 luglio la Alletto viene di nuovo ascoltata dagli investigatori e riferisce di
ricordarsi di un quarto uomo, oltre a Scattone, Ferraro e Liparota, ma non sa
identificarlo.
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Il 31 luglio le sue dichiarazioni assumono il valore di prova. La segretaria
conferma tutto, ha visto Scattone con un’arma in mano che si ritraeva dalla
finestra e Ferraro mettersi le mani nei capelli come gesto di disperazione. Ma la
pistola non si troverà mai!
C’è un altro testimone, una donna, si chiama Giuliana Olzai. E’ una studentessa
fuori corso di 44 ani.
Il 9 luglio 1997, si reca in questura perché in televisione ha riconosciuto Scattone
e Ferraro. Sono i 2 giovani che ha notato uscire di corsa dalla facoltà di Statistica
subito dopo lo sparo il giorno del delitto. I due, racconta erano <<visibilmente
agitati>>
Il 7 ottobre i periti trovano tracce di polvere da sparo sia nella borsa di Ferraro,
sia sugli abiti di Scattone. Per gli avvocati difensori dei 2 assistenti, tanto le tracce
sui loro effetti personali quanto quelle sul davanzale possono essere frutto di
inquinamento atmosferico. I due rimangono in carcere.
Il 9 gennaio 1998 la procura chiede il rinvio a giudizio di Giovanni Scattone e
Salvatore Ferraro.
Il processo inizia tre mesi dopo.
E’ uno scontro tra gli avvocati della difesa e i rappresentanti dell’accusa.
1.
Gabriella Alletto e la sua testimonianza vengono passate al setaccio.
Attraverso l’analisi delle sue deposizioni, la difesa di Scattone e Ferraro cerca di
dimostrare con l’aiuto di un professore di neurofisiologia, che i ricordi di Maria
Chiara Lipari sono ricostruiti con il ragionamento e la deduzione e che quindi
possono essere ritenuti poco affidabili. Inoltre, per ammissione della stessa teste,
si sono effettivamente verificati dei fenomeni di suggestione sotto la pressione
degli inquirenti. Quando la difesa le chiede perché inizialmente aveva negato di
essere stata nell’aula VI la mattina del 9 maggio, la donna risponde che ha taciuto
per paura e precisa di aver iniziato a collaborare quando gli inquirenti l’hanno
<<aiutata a ricordare>>.
Nel settembre 1998, viene anche proiettato in aula un video riguardante
l’interrogatorio della Alletto. Si tratta di una conversazione fra la teste e il
cognato, il vice ispettore di polizia Luigi Di Mauro. La Alletto, anche di fronte
alle sollecitazioni del cognato, sembra incerta su quello che è successo quella
mattina.
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2.
Scoppia lo scandalo: i pubblici ministeri sono sospettati di aver estorto la
testimonianza chiave con minacce e ricatti. Il Consiglio superiore della
magistratura apre un’inchiesta disciplinare nei confronti del capo della procura di
Roma Italo Ormanni e del pubblico ministero Carlo La-Speranza. Ma le indagini
si concludono con l’archiviazione.
3.
Il 10 febbraio 1999 Francesco Liparota, l’usciere, conferma nell’aula di
tribunale di aver rilasciato false affermazioni su Ferraro e Scattone. Sostiene di
essersi sentito prigioniero della polizia, di aver avuto paura della vita in carcere. In
questo stato di disperazione e di panico, avrebbe confermato quanto detto da
Gabrielle Alletto, variando qualcosa per essere più attendibile.
4.
I due accusati, Scattone e Ferraro, sostengono di non essere stati nell’aula
VI al momento dello sparo. Scattone sostiene di essersi recato a Villa Mirafiori
per incontrare il professor Eugenio Le caldano, di aver preso l’autobus 310 e
raggiunto la città universitaria. Intorno alle 12 ha ritirato un certificato presso la
segreteria di lettere, poi si è avviato verso Giurisprudenza solo intorno alle 12,15,
quando Marta Russo era già stata colpita. Il professor Le caldano ricorda di aver
incontrato Scattone, ma non è sicuro che fosse proprio il 9 e il certificato ritirato
non presenta l’orario del rilascio. Si tratta quindi di un alibi debole. Nessuno può
smentire con certezza quanto affermato dalla Alletto.
5.
Ancora più vago è l’alibi di Ferraro. La mattina del 9 maggio sostiene di
essere rimasto a casa a studiare. Dichiara anche di aver ricevuto diverse
telefonate. La sua amica, Marianna Marcucci, sostiene inizialmente di essere stata
a casa sua, tra le 11.40 e le 12.30, cioè all’ora del delitto. Gli inquirenti non le
credono e il 16 giugno 1997, dopo l’arresto di Scattone e Ferraro, la indagano per
falsa testimonianza e favoreggiamento.
Ma chi sono Scattone e Ferraro?
Giovanni Scattone, nasce a Roma nel 1968. si laurea in Filosofia con 110 e lode.
Ha una grande passione per il cinema e gli piace viaggiare. E’ descritto come una
persona mite, prudente, dagli occhi freddi e chiari.
Salvatore Ferraro, nasce a Locri nel 1967. si sposta a Roma per l’università e si
laurea in Giurisprudenza con 110. Scrive racconti, sceneggiature e canzoni. I suoi
atteggiamenti non sono così pacati e riservati come quelli di Scattone. Il 1° luglio
1997 inizia uno sciopero della fame, che interromperà in seguito alle pressioni
della sua famiglia.
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Sono stati loro ad uccidere Marta Russo?
Chi segue il processo si divide, come accade sempre in questi casi: da una parte i
colpevolisti, dall’altra gli innocentisti.
Dopo un anno di dibattimenti, il 13 aprile 1999 si arriva alle requisitorie. Secondo
il sostituto procuratore Carlo La-Speranza un vero e proprio movente non c’è. I
due imputati avrebbero ucciso Marta Russo per dimostrare a loro stessi, al di là
del bene e del male, che erano in grado di applicare le teorie studiate nei seminari.
In pratica, avrebbero ucciso una ragazza perché conviti che , senza un movente e
senza il ritrovamento dell’arma, un delitto sarebbe rimasto sicuramente impunito.
Il procuratore Ormanni, non parla di omicidio premeditato, ma di omicidio
volontario. La morte di Marta Russo è stato un rischio calcolato, accettato da
entrambi gli imputati. Al termine della requisitoria, il dottor Ormanni legge le
richieste dell’accusa. Quattro anni di reclusione per il professor Bruno Romano,
per favoreggiamento. Sarebbe stato lui, in qualità di preside di Filosofia del
diritto, a organizzare un vero e proprio muro d’omertà per difendere la
reputazione dell’istituto.
Un mese è la richiesta per Gabrielle Alletto, accusata anche lei di
favoreggiamento. Cinque anni e nove mesi, invece,per Liparota, sempre per
favoreggiamento, poiché ha ritrattato la deposizione. Diciotto anni per Scattone e
Ferraro.
La Corte d’assise condanna Scattone a 7 anni per omicidio colposo e
all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E condanna Ferraro a 4 anni per
favoreggiamento personale e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Tutti e
due, intanto, vengono scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Vengono assolti dall’accusa di favoreggiamento il professor Romano perché il
fatto non sussiste, Francesco Liparota per non aver commesso il fatto, Gabrielle
Alletto perché non punibile.
Scattone e Ferraro, naturalmente ricorrono in Appello.
Il II grado del processo si apre il 3 maggio 2000 e si conclude il 7 febbraio 2001.
Gabrielle Alletto si è mostrata molto più sicura e determinata, precisa nell’esporre
la sua versione dei fatti e i giudici le hanno creduto di nuovo. Dopo più di 12 ore
di camera di consigli o arriva la sentenza che conferma la condanna a Giovanni
Scattone, aumentandola di un anno. A Salvatore Ferraro viene aumentata di 2
anni.
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Il 5 dicembre 2001, Vincenzo Geraci, il procuratore generale della cassazione,
rimette in discussione il processo e, al termine della requisitoria, chiede ai giudici
della prima sezione penale della cassazione di annullare, con rinvio, la sentenza
della Corte d’assise d’appello. Il 6 dicembre la Corte di cassazione ammette il
ricorso degli imputati, accogliendo le richieste del procuratore generale. Annulla
con rinvio la sentenza d’appello di condanna. Si riparte dal primo grado.
La sentenza del nuovo processo arriva il 15 dicembre del 2003. Vengono
confermate le condanne. Le pene cambiate di nuovo: 5 anni e 4 mesi a Giovanni
Scattone, che non è più interdetto per sempre dai pubblici uffici, 4 anni e 3 mesi
a Salvatore Ferraro. Per Francesco Liparota la sentenza di condanna per
favoreggiamento è annullata, perché costretto a mentire dalla necessità di
autodifendersi.
Scattone e Ferraro continuano a proclamarsi innocenti.
Per la giustizia sono colpevoli dell’omicidio di Marta Russo. Sentenza definitiva
Anche per i genitori di Marta Russo non ci sono dubbi.
A uccidere Marta, ammazzata con un colpo in testa mentre passeggiava tranquilla
per il vialetto delle sua università, sono stati loro.19
3.
Personalità dei testimoni
3.1.
Maria Chiara Lipari
Per cercare di comprendere, nel caso specifico, una persona inquieta e complessa
come la Lipari, credo che sia indispensabile anzitutto leggere e rileggere
attentamente, più che i verbali - non esaurienti, e spesso poco affidabili - le
trascrizioni integrali delle numerose e talvolta lunghissime telefonate, certamente
genuine, inviate e ricevute da lei e da suo padre. Una persona con il suo perpetuo
culto del nervosismo e per la sua smania di "intuire" e "percepire", per sua
speciale virtù, cose che gli altri non coglievano affatto, probabilmente perché non
c'erano. Le intercettazioni riguardanti la famiglia Lipari sono state largamente
utilizzate nel processo di primo grado, ma le scelte riportate nelle sentenze di
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Lucarelli C., Picozzi M.: Scena del crimine. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005.
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condanna sono poco significative e tutt'altro che equanimi. Le intercettazioni
rivelano infatti chiaramente uno stato di grave e progressiva alterazione
psicologica, che impedisce alla Lipari di valutare in modo obiettivo e lucido
persone e fatti connessi col tragico evento al centro del quale, secondo gli
inquirenti, sarebbe venuta a trovarsi. Dall'affermazione iniziale "mi pare che
nell'aula 6 non c'era nessuno" la Lipari arriva, attraverso un lungo processo di
graduale "ricostruzione" dei ricordi, assiduamente sollecitato dagli inquirenti, a
dare come presenti all'interno della stanza 6 la Alletto e Liparota, e più tardi anche
Ferraro: mai però Scattone. In seconda battuta riferisce intanto che "la prima
volta" che è entrata nella stanza 6 - in realtà, come vedremo, una seconda volta
non è mai esistita - qualcuno c'era. Nel seguito dell'interrogatorio la Lipari
dichiara: "Non sono sicura se dentro vi fosse qualche altro collega". Passa ancora
un certo tempo, e la Lipari dice: "Mi è sembrato che è uscito dalla stanza qualcuno
frettolosamente. Mi sembra di ricordare, infatti, che...questo signore...,
passandomi accanto, nell'uscire mi ha salutato bofonchiando qualcosa. Forse ne
ho riconosciuto la voce....".
"Riconosce", in effetti, la voce del collega Mancini, per suggerimento di un
inquirente che ha motivo di sospettare di lui in quanto appassionato di armi;
Mancini però ha un alibi inattaccabile.
In verità, tra il giorno del delitto (9 maggio) e il giorno di questo suo primo
interrogatorio (21 maggio) nessun ricordo, sospetto o dubbio angoscioso sfiora la
Lipari; dopo il 22 maggio, invece, la morte di Marta Russo diviene per lei, come
risulta palese da molte intercettazioni telefoniche, una vera ossessione, che le fa
perdere il sonno, l'appetito, la voglia di studiare e il senso del pericolo, portandola
a stravolgere con improvvisa violenza i rapporti - fin allora tenuti sul filo di un
difficile equilibrio - con i colleghi dell'Istituto e con le persone a lei più vicine:
suo padre e il professor Romano.
E' importante notare che, mentre i ricordi "neutri" (cioè non connessi con
l'omicidio) precedenti le 11.44 sono stati riscontrati tutti esatti, per quelli
riguardanti le presenze nella stanza 6 non c'è nei verbali una sola dichiarazione
della Lipari che non sia segnata dall'incertezza ("mi pare", "non sono sicura", "mi
è sembrato", "mi sembra di ricordare", "forse", "mi pare anche di ricordare", "non
mi pare", "ho avuto la sensazione", "mi pare ci fosse", "non essendo sicura": mai
un ricordo nitido, preciso, certo.
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L'incredibile escalation dei ricordi così faticosamente e contraddittoriamente
"ricostruiti" dalla Lipari nel suo primo, sfibrante interrogatorio è più che
sufficiente per convincere ogni persona di buon senso della loro totale
inaffidabilità. Il 19 giugno, quattro giorni dopo gli arresti, in uno straordinario
verbale a due voci con il P.A. Ormanni, evidentemente redatto per far quadrare un
po' i conti, la Lipari afferma (anzi "conferma") di "aver avuto la sensazione netta"
che nella stanza 6 "vi fossero più persone, certo più di due: molto probabilmente
quattro". Tuttavia, in entrambe le occasioni non attribuisce a questa ipotetica
quarta persona il nome di Scattone. Questo nome apparirà soltanto, sempre in
forma fortemente dubitativa e quanto mai incongrua, negli impossibili, ma
"precisi ricordi" dell'8 agosto già citati.
Le quaranta pagine che la prima sentenza d'Appello dedica alla "credibilità della
teste
Lipari"
si
concludono
con
questa
malinconica
constatazione:
"L'identificazione di Scattone, compiuta con tanto ritardo e in termini di grande
dubbio, non assume neppure il significato di valido indizio, ciò nonostante, la
Lipari figura ancora come una "testimone oculare" a carico di Scattone.
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3.2.
La "superteste" (o meglio la "supercoimputata") Gabriella Alletto
Fra tutti i personaggi di questa vicenda, la Alletto è forse quello che riscuote le
minori simpatie. L'11 giugno si dispera per la paura dell'arresto e per la rabbia di
non essere creduta; è impossibile però che creda all'eventualità di una sua
condanna a 24 anni di reclusione per concorso in omicidio. Piuttosto, vede dietro
queste minacce le maledette indagini sulla sua assunzione con una percentuale
d'invalidità insufficiente: indagini avviate, come quella sui cartellini timbrati
abusivamente da Liparota, il giorno stesso del primo interrogatorio. Vede cioè un
pericolo concreto e immediato: la perdita del posto di lavoro garantito e del
connesso status sociale ed economico.
Il 12 giugno questa resiste ancora allo shock del clamoroso arresto di Romano e il
13 al confronto con la Lipari; ma il 14 viene cotta a puntino da nove ore
d'interrogatorio condotto senza difensore, senza magistrati e senza alcuna
verbalizzazione, da due dirigenti della Digos. Da loro la Alletto si sente
finalmente "agganciata nel verso giusto dal punto di vista suo psicologico", e
rilascia le dichiarazioni accusatorie che la metteranno per sempre in gabbia, ma al
sicuro. Se infatti, come sperano gli inquirenti, uno o più indagati "confesseranno il
colposo", se la caveranno con poco, le accuse della Alletto troveranno conferma e
lei non sarà travolta da nessuna "catastrofe" e da nessuna "valanga", come invece
dirà più volte in seguito per giustificare il suo lungo silenzio. Ma se continuerà a
negare di essere entrata nella sala assistenti il 9 maggio, vi sarà per lei l'arresto per
concorso in omicidio con Liparota e Ferraro, con l'inevitabile corollario della
perdita del posto di lavoro per insufficiente invalidità. Glielo fa capire
chiaramente La Speranza: esprimendosi sempre "in negativo", le dice subito ”Per
il suo posto, non deve avere nessun tipo di problema ... "; la rassicura che, una
volta identificato lo sparatore (non si sa da chi e come), "della sua malattia ... non
m'interessa più nulla ...".
In quei giorni, che videro l'arresto (chiaramente strumentale) di Romano e i
titoloni "La morsa delle indagini si stringe", la Alletto deve aver fatto
continuamente un bilancio costi/benefici, mettendone al corrente i colleghi: "Me
conviene de di' ..."; "Forse però nun me conviene..."; "Me se poi dico che c'ero,
dovrò pure di' ...". Questo calcolo di convenienza la porterà infine ad accusare,
insieme ai suddetti coindagati, i cui nomi le erano stati già fatti l'11 giugno, anche
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Scattone, già da tempo nel mirino degli inquirenti. Il calcolo stesso è fondato
peraltro su dati erronei, o ipotetici, o inventati forniti dai medesimi:
1) la convinzione, nata da un grossolano errore tecnico iniziale, ma trasmessa
come una "certezza" a tutti gli interrogati, che il colpo è partito dalla stanza 6;
2) la tranquillizzante ipotesi del delitto colposo, sostenuta da La Speranza e
assiduamente ribadita da Di Mauro, utile per "ridimensionare" la gravità del reato,
facilitando così la confessione degli indagati e alleviando la responsabilità che la
Alletto si assume accusandoli;
3) le informazioni sulle tre persone (la stessa Alletto, Liparota e forse Ferraro) che
la Lipari ha finora collocato nella stanza 6, ma che adesso diventano, per
autonoma iniziativa degli inquirenti, dapprima "tre o quattro" e poi senz'altro
"quattro", obbligando la Alletto, che già aveva chiesto ingenuamente al P.M. "Ma
non si sa chi sono questi?", a porre al cognato la logica e cruciale questione:
"Bisognerebbe sapere chi è quell'altro oltre a Ferraro". "Quell'altro" sarà Giovanni
Scattone, l'unico "cretino" rimasto disponibile per la bisogna: contrariamente a
Ferraro, sa sparare (ha fatto il servizio di leva nei Carabinieri), è destro, dà del tu
alla Lipari, e nella tarda mattinata del 12 giugno l'inquirente Intini lo interroga con
inconsueta insistenza, per assicurarsi che non abbia un alibi di ferro.
3.3.
Francesco Liparota
La persona che conosce più a fondo Liparota, il neuropsichiatra che lo ha in cura
da alcuni anni, lo ha descritto in Assise come un soggetto depresso e nevrotico,
sempre timoroso di sbagliare, che "vive con insicurezza le sue esperienze
quotidiane" e "affronta la realtà a seconda delle sue paure". La realtà psicologica
di Liparota è una sola: angosciosa incertezza sui propri ricordi, paura, panico. Da
questa sua fragilità psichica - che peraltro non incide minimamente sulle sue
facoltà intellettive - gli inquirenti hanno cercato di trarre vantaggio. Il 21 maggio
Liparota e la Alletto sono i primi a essere sentiti dagli inquirenti, e Liparota viene
subito accusato di "truffa ai danni dello Stato" per aver timbrato irregolarmente
dei cartellini di presenza, adeguandosi per quieto vivere a un preesistente tacito
accordo tra gli altri dipendenti. I suoi timori per i cartellini truccati fanno il paio
con i timori della Alletto per la sua insufficiente invalidità: riguardano fatti che
non hanno niente in comune con l'omicidio, ma che valgono a "tenere in pugno" le
persone interrogate. In tutti i verbali di sommarie informazioni Liparota ripete di
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non ricordare che cosa abbia fatto la mattina del 9 maggio, per lui priva di
avvenimenti particolari, e quindi di non poter escludere le altre possibilità che gli
vengono prospettate dagli inquirenti: la progressione di questi interrogatori
sempre più stringenti - da lui avvertita come opprimente e minacciosa - serve a
fargli confermare ciò che la Lipari ha finalmente "ricordato" nelle prime ore del
mattino del 22 maggio, dopo aver fornito per circa dieci ore agli inquirenti le più
svariate e spesso fantasiose informazioni.
Solo la realtà umiliante del carcere, vissuta per un paio di giorni, e più ancora la
terrificante prospettiva di rimanervi a tempo indeterminato, esposto (come hanno
cura di fargli sapere gli agenti che continuamente gli tengono compagnia) a
orribili vessazioni, faranno decidere Liparota ad accusare, tra mille incertezze e
ripensamenti, i due colleghi d'Istituto, dai quali in seguito dichiarerà di non aver
mai ricevuto minacce, e con cui ha mantenuto i consueti rapporti amichevoli per
tutto il periodo tra l'omicidio e gli arresti. Dalla trascrizione integrale di questo
incredibile interrogatorio appare evidente che Liparota, lungi dal riferire
spontaneamente i suoi ricordi, non fa altro che cedere alle insistenze del P.M. La
Speranza, efficacemente coadiuvato dal G.I.P. Muntoni, ossia da quel "giudice
terzo" che in teoria dovrebbe garantire la regolarità delle indagini preliminari.
Subito dopo le accuse, per iniziativa dello stesso P.M., Liparota viene assegnato
agli arresti domiciliari; ma il giorno dopo, tormentato dall'insicurezza dei suoi
ricordi, che forse lo ha portato a incolpare due innocenti, ritratta davanti a un
indignato Procuratore Ormanni le sue dichiarazioni accusatorie. Questa
ritrattazione, insieme alla decisa ricusazione di ogni addebito da parte di Scattone
e Ferraro, rompe quel cerchio di autoaccuse o di accuse incrociate su cui gli
inquirenti contavano. Liparota ha parlato in aula una volta sola, il 10 febbraio
1999, rendendo una lunga e dettagliata dichiarazione spontanea nella quale ha
affermato testualmente: "Sono certo ... che io non ho mai vissuto la scena
raccontata dalla signora Alletto, mai, e che ... la mattina del 9 maggio non sono
mai stato contemporaneamente alla signora Alletto, al dottor Ferraro e al dottor
Scattone nell'aula 6, e tanto meno [contemporaneamente] alla dottoressa Lipari".
Questa dichiarazione, ripresa quasi per intero e trasmessa più volte in televisione,
colpisce chiunque per la sua convincente e drammatica sincerità, che conferisce a
quest'uomo, così spesso ingiustamente bistrattato, una dignità inattesa, una luce di
umanità, in un processo abitualmente squallido, ma la motivazione della prima
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sentenza d'Appello la ritiene mendace, mentre considera attendibili le goffe e
inautentiche accuse del 16 giugno 1997.
3.4.
Rosangela Villella
Dalla trascrizione integrale dell'interrogatorio in carcere di Francesco Liparota,
condotto il 16 giugno 1997 dal P.M. La Speranza e dal G.I.P. Muntoni, risulta
evidente il modo in cui Liparota, nonostante i ripetuti dinieghi, fu portato infine a
dichiarare di essersi confidato con sua madre, Rosangela Villella, sui fatti a cui
egli avrebbe assistito nella stanza 6. Subito dopo questa dichiarazione, i difensori
di Liparota si recano a informare sua madre dell'esito dell'interrogatorio. In attesa
del ritorno a casa di Liparota, assegnato come si è detto agli arresti domiciliari, la
Villella sottoscrive un verbale, redatto a mano sul momento, che contiene un
resoconto molto sommario delle presunte confidenze ricevute. In tal modo una
nuova "testimone" viene ad aggiungersi alla Alletto e a Liparota. In primo grado
la Villella si avvarrà della facoltà di non rispondere, ma la Corte d'Assise e poi
quella d'Appello sosterranno l'utilizzabilità di questa "testimonianza". Nelle
motivazioni la prima Corte d'Appello, dopo un approfondito esame tecnico della
questione, "ritiene certo che la Villella abbia fatto la cosa più naturale che una
madre potesse fare in quelle circostanze: confermare le dichiarazioni del figlio";
ciò nonostante, non attribuisce alla "testimonianza" materna alcun valore
probatorio.
3.5.
Giuliana Olzai
Le "testimonianze" della Olzai, sono anch'esse molto tardive. La prima è del 9
luglio 1997, due mesi dopo il delitto; la seconda, che modifica e integra
opportunamente la precedente, è del 24 settembre. Nella prima "testimonianza" la
Olzai dichiara di aver visto il 9 maggio, nell'atrio al pianoterra di Statistica, due
giovani "visibilmente agitati", l'uno di fronte a lei e l'altro di spalle: quello di
fronte, in cui poi la Olzai riconoscerà Scattone, "aveva una camicia chiara aperta
sul collo" (così lo aveva descritto la Alletto). Sebbene fosse "rimasta molto colpita
da quei due giovani" e ne avesse "ricevuto un'impressione molto negativa", la
Olzai non associa "questa impressione a nulla di concreto" (per esempio,
all'omicidio di Marta Russo ...) e non ritiene di dover riferire il fatto alla Polizia. Il
13 giugno, cioè più di un mese dopo, riconosce all'Università uno dei giovani visti
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il 9 maggio, due giorni dopo lo rivede in TV come Scattone, accusato di aver
sparato a Marta Russo, e si sente "balzare il cuore in gola", ma attende ancora 24
giorni prima di decidersi a riferire i suoi ricordi a un giornalista e infine agli
inquirenti. Il 15 giugno la Olzai riconosce in TV anche Ferraro, senza esserne
però altrettanto sicura, di lui ricorda molti dettagli, ma non fa nessun accenno a
una borsa o a una valigetta che avesse in mano. Il 24 settembre, quattro mesi e
mezzo dopo aver visto per un attimo Ferraro, la Olzai, richiesta dal P.M. "di
essere più precisa su alcuni particolari", dichiara: "L'altro, che era di spalle, ora
posso dire che era Ferraro", perché "quando mi sono rivolta a loro ... anche
Ferraro si è girato verso di me". "Ho ben impresso il suo viso". Le altre
"precisazioni" tendono tutte a rendere la prima "testimonianza" maggiormente
conforme ai dati di fatto e alle dichiarazioni della Alletto. In particolare, la Olzai
ora afferma: "Sono sicura che Ferraro aveva in mano una borsa o una valigetta". È
la borsa in cui, secondo la Alletto, Scattone avrebbe riposto la pistola: era quindi
indispensabile che la Olzai colmasse la lacuna esistente a tale proposito nella sua
prima dichiarazione.
4.
In Corte D’appello
Il processo d'Appello è stato una gran delusione per gli imputati e una gran perdita
di tempo per tutti. Questo processo avrebbe dovuto rimettere le cose a posto: tener
conto delle perizie - favorevoli agli imputati - ordinate dalla Corte d'Assise e
disattese dalla medesima; utilizzare correttamente le numerose testimonianze a
favore degli imputati e l'enorme mole di intercettazioni telefoniche e ambientali
(in cui c'è veramente di tutto, dalla mistica alle ricette di cucina, ma non appare
mai il nome di Giovanni Scattone); mettere insomma ordine e fare pulizia in un
processo che per il cittadino comune è diventato un rebus. Ha fatto invece due
sole cose utili: ha riconosciuto esplicitamente che la Lipari non ha mai visto
Scattone né ha parlato di lui con nessuno, e ha tolto rilevanza concreta al
"verbalino" sottoscritto dalla madre di Liparota per evitare a suo figlio il carcere.
Per poter proclamare che erano stati compiuti tutti i tentativi per arrivare alla
verità, è stato riaperto il dibattimento: ma vediamo in che cosa sono consistiti
questi tentativi. È stato anzitutto accertato che effettivamente la mattina del 9
maggio 1997, essendo stato revocato lo sciopero dei mezzi, Scattone può aver
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preso l'autobus 310. A parte il fatto che la revoca era già apparsa sui giornali dell'8
maggio, vi pare possibile che se il 9 quell'autobus non avesse funzionato, l'Accusa
e la Parte civile non lo avrebbero fatto presente già in Assise, per sbugiardare
l'imputato? È stata poi richiamata in aula la Alletto, con grande gioia di cronisti e
fotografi, a parlare unicamente del "quarto uomo", senza nessuna speranza che
potesse dire qualcosa di nuovo. Quanto alle perizie, quella sui residui di sparo ha
confermato pienamente la perizia di primo grado circa l'incompatibilità tra il
proiettile letale e la particella (comunque non esclusiva di sparo) dalla quale erano
partite l'indagine sulla stanza 6 e l'intera ricostruzione accusatoria. L'elefantiaca
perizia balistica, fondata sulle ipotesi di partenza più svariate, è servita solo a
concludere malinconicamente che è impossibile identificare con certezza da quale
delle moltissime finestre "compatibili" sia partito il colpo, perché non è dato
conoscere l'esatta postura del capo e del busto della vittima al momento
dell'impatto. Non è stata peraltro ammessa in sede di Appello un'ulteriore perizia,
che avrebbe potuto risultare decisiva: quella sulle fibre di vetro trovate sul
proiettile e sui capelli della vittima, che abbondano nel bagno dei disabili, mentre
mancano nella stanza 6.
5.
Le Sentenze
La sentenza di primo grado viene definita "non convincente, di compromesso,
corporativa, piena di dubbi, ambigua, pavida, paradossale". I commentatori
criticano la derubricazione da volontario a colposo come "una trovata", come
"un'ambigua via mediana ... per non sconfessare totalmente l'Accusa e non
infierire sugli imputati"; criticano la mancanza di movente, le pene inflitte per la
detenzione e il porto di un'arma di cui non si sa nulla, il fatto che le perizie,
eseguite con grave ritardo, sono state disattese dalla stessa Corte che le aveva
ordinate; ritengono "insufficienti, tardive, incerte e contraddittorie" le
testimonianze, in particolare quella decisiva della Alletto; osservano che i
testimoni a discarico sono stati spesso intimiditi, minacciati d'incriminazione o
incriminati; considerano nel suo insieme la sentenza come "un'ingiustizia
all'italiana"; come "una delle più criticabili e contraddittorie mai emesse", e
concludono che questo processo, divenuto "un affare di Stato" e condizionato dal
clamore mediatico e dall'emotività popolare, è "la negazione del giusto processo",
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e rimarrà come "esemplare della giustizia italiana degli anni Novanta". Ma la
critica più severa e più amara è quella coraggiosamente espressa, pochi giorni
prima della sentenza, dal presidente del Tribunale di Roma: "Il processo Russo è
sfuggito di mano a tutti e non sapremo mai la verità".20
La sentenza di secondo grado viene anch'essa criticata, essenzialmente per le
stesse ragioni, dagli esperti giudiziari e dagli editorialisti, che la giudicano
"un'altra sentenza di compromesso", una "terza via" che non cancella i moltissimi
dubbi e interrogativi. "Non vi è alcun motivo che spieghi l'atto colposo";
praticamente inutili sono risultate le nuove perizie, "che hanno fornito solo ipotesi
di compatibilità"; concordemente negativi sono i giudizi sulle testimonianze,
ritenute "insufficienti, incerte, contraddittorie", e soprattutto sui modi della loro
acquisizione. Sono stati sottovalutati il video shock e le intercettazioni, che invece
avrebbero dovuto essere "le chiavi di volta per arrivare alla decisione"; i testimoni
sono stati "irretiti, condizionati, minacciati con il sospetto o l'accusa di reticenza,
di favoreggiamento e addirittura di concorso in omicidio"; il racconto di alcuni tra
loro è "tardivo, incerto e strappato con le tenaglie".
6.
Le Perizie e gli accertamenti fattuali
6.1.
I residui di sparo
La ricostruzione faticosamente elaborata dagli inquirenti è partita da un
grossolano errore di fatto e di metodo. Sono state considerate "residui univoci di
sparo" particelle contenenti antimonio e bario, ma prive di piombo, richiesto
invece dai protocolli più aggiornati; e soprattutto non si è preventivamente
accertato quali elementi chimici contenesse l'innesco del proiettile. Solo nel
febbraio 1999, e poi nel novembre 2000 - rispettivamente 20 e 41 mesi dopo gli
arresti - i risultati delle perizie ordinate dalla Corte d'Assise e dalla Corte
d'Appello hanno fornito la certezza che la presenza di antimonio nelle particelle
esaminate non solo non garantiva, ma anzi escludeva che si trattasse di residui
dello sparo che aveva ucciso Marta Russo. C'è voluto ancora un anno perché la
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Corte di Cassazione riconoscesse, nella sentenza del dicembre 2001, questo
gravissimo errore iniziale, che è all'origine di tutte le successive deviazioni.
6.2.
La traiettoria del proiettile
Nelle indagini preliminari e nei processi di primo e secondo grado sono stati usati
metodi d'indagine sempre più complessi e sofisticati, per arrivare, 43 mesi dopo
gli arresti, alle sconsolate conclusioni dell'ultima perizia balistica: per identificare,
fra i tanti possibili, l'effettivo punto di partenza del colpo mortale bisognerebbe
conoscere le posizioni assunte dalla testa e dal busto della vittima al momento
dell'impatto, posizioni che purtroppo non sono desumibili da elementi di fatto
accertati. Questa realtà era evidente fin dall'inizio: è "scientificamente corretto"
ostinarsi per anni - due dei quali trascorsi dagli imputati in stato di detenzione - a
cercare una "certezza" che già si sapeva inesistente? L'alternativa era però una
sola: avere il coraggio di rinnegare un'indagine sbagliata in partenza.
6.3.
La provenienza del proiettile e quella del rumore
In questo caso, i risultati delle ricerche scientifiche più aggiornate sono confermati
dalla "comune esperienza" quotidiana: l'uomo non ha la capacità, di cui sono
invece dotate alcune specie animali, di individuare prontamente e con sicurezza la
provenienza di un rumore, specialmente se sordo, isolato e imprevisto. Per questa
ragione, tutti i tentativi di confermare la provenienza dello sparo dalla stanza 6
con dichiarazioni di testimoni - risultate comunque incerte e difformi tra loro non potevano portare a nessuna indicazione precisa.
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6.4.
La valutazione esatta dei tempi
Un tipico esempio dell'incredibile superficialità con cui sono state condotte le
indagini è dato dal fatto che nel primo interrogatorio-fiume della Lipari le furono
mostrati i tabulati telefonici del centralino dell'Università, le cui modalità di
registrazione sono diverse da quelle dei tabulati della Telecom; questi ultimi sono
stati acquisiti solo molti mesi dopo, quando il processo di primo grado era ormai
in fase avanzata. Per tutto quel tempo, si è continuato a discutere animatamente su
una versione dei fatti non rispondente alla realtà : quella secondo cui la Lipari,
dopo una prima telefonata dalla stanza 6 a casa di suo padre (ore 11.44), sarebbe
uscita dalla stanza e sarebbe stata per circa quattro minuti in giro per l'Istituto,
rientrando alle 11.48 nella stessa stanza per telefonare allo studio del padre. In
conformità di tale versione, l'8 agosto 1997 (tre mesi dopo i fatti) la Lipari,
essendo "arrivata a rammentare con certezza altri particolari, di cui adesso ho un
ricordo preciso", dichiara testualmente alla Digos: "Appena sono uscita dalla
stanza 6...ho visto due persone nel corridoio, venire da sinistra ... Una era un po'
indietro ed era sicuramente persona da me conosciuta...e diversa da Ferraro.
Anche se ho l'impressione che questa persona potrebbe essere Scattone, perché
aveva la sua fisionomia e, come detto, era una presenza abituale in Istituto,
tuttavia non lo posso affermare con certezza perché non l'ho guardato in faccia,
voglio dire non mi sono soffermata sul suo volto. Siamo certamente di fronte a un
essere straordinario: non viene riconosciuto "con certezza" dalla Lipari, che però
"sicuramente" lo conosce. L'acquisizione dei tabulati della Telecom (febbraio
1999), ha dimostrato in modo definitivo che le cose sono andate diversamente. La
prima telefonata della Lipari è iniziata alle 11.44.30 ed è terminata alle 11.44.46;
la seconda è iniziata alle 11.45.09, a soli 23 secondi dalla fine della prima: giusto
il tempo di formare il nuovo numero. Non c'è stato quindi nessun intervallo di
quattro minuti tra le due telefonate, nessuna uscita della Lipari dalla stanza 6 e
nessuna possibilità d'incontrare il singolare individuo da lei descritto. Del resto,
non è certamente questo l'unico caso in cui la Lipari applica le sue notevoli
capacità immaginative alle informazioni e ai suggerimenti forniti dagli inquirenti.
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6.5.
L'ora dello sparo
Un dato a cui le Corti giudicanti hanno dedicato molte cure è l'ora dello sparo,
fissata alle 11.42, "secondo più, secondo meno". L'ora dello sparo non può essere
esattamente definita mediante controlli incrociati, ma dev'essere in qualche modo
"calcolata". Essa ha subito una specie di "trascinamento" verso l'ora certa, stabilita
come si è visto dai tabulati Telecom, in cui ha avuto inizio la prima telefonata
della Lipari dalla stanza 6, e cioè le 11.44.30: poiché la Lipari ha dichiarato più
volte (con la conferma della Alletto) di aver formato il numero non appena entrata
nella stanza 6, si può ritenere che ciò sia avvenuto, "secondo più, secondo meno",
intorno alle 11.44.15. In un'intercettazione telefonica del 7 giugno 1997 la Lipari
dice candidamente: "[Gli inquirenti] dovrebbero... in pratica, talmente restringere i
tempi tra... tra lo sparo e la mia entrata in questa stanza, da costituirmi come prova
oggettiva". Insomma, tutti si danno da fare per rendere il più possibile vicini tra
loro l'istante dello sparo e quello dell'ingresso della Lipari. Il motivo è evidente:
c'è fra i due istanti un "tempo morto" inspiegabile. La Alletto dice che dopo lo
sparo nella stanza 6, in cui secondo l'accusa erano presenti quattro persone,
"cadde il gelo", "un gelo assoluto", e che "nessuno disse una parola": a cominciare
da lei, che più di chiunque altro avrebbe dovuto essere sorpresa da un fatto così
grave e imprevedibile, avrebbe dovuto avere immediatamente una qualche
reazione istintiva, chiedere spiegazioni sull'accaduto ... Niente di tutto ciò: tutti
fermi, tutti zitti. "Tempi morti" così prolungati non sono assolutamente credibili, e
basterebbero da soli a togliere ogni verosimiglianza ad una ricostruzione già per
tanti versi zoppicante.
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CAPITOLO 3
VALUTAZIONE DEGLI ATTI DEL PROCESSO
Dichiarazioni rese da Maria Chiara Lipari alla Polizia ed al Pubblico MinisteroIntercettazioni telefoniche sull’utenza in uso alla Lipari e Tabulati Telecom ed Università
1.
Interrogatorio del 21 maggio 1997, ore 16.15-19.30
Nelle prime dichiarazioni rese da Maria Chiara Lipari alla Polizia ed al Pubblico
Ministero il 21 maggio, durante la prima seduta dell’interrogatorio che si è svolto
dalle ore 16.15 alle ore 19.30, a 12 giorni di distanza dall’omicidio di Marta
Russo, vi sono una serie di ricordi che vengono riferiti con una certa precisione e
sicurezza e che verranno confermati ripetutamente senza sostanziali modificazioni
negli interrogatori successivi, in varie telefonate ed in Corte d’Assise. La Lipari
ricorda ancora di essere andata nella sala di fronte a quella Assistenti per inviare il
fax, che non funzionava, di aver parlato di questo con il Dott. Basciu, Direttore
della Biblioteca, di aver provato a telefonare, ma senza ottenere risposta. Inoltre,
dice a Gabriella che avrebbe fatto una copia del fax che poi avrebbe spedito dallo
studio del padre. Mentre faceva la fotocopia Maria telefonava al collega Fiorini
con il quale ha parlato a telefono. Fiorini era a casa. La teste ricorda bene il
numero di telefono 33612989. Afferma poi: ‘se non ricordo male, subito dopo
sono entrata nella sala Assistenti per telefonare a mio padre che ha tre linee’.
Ricorda bene i tre numeri di telefono del padre e riferisce di avere digitato il
primo dei tre numeri, 35497419. Alla teste pare che nella sala Assistenti non vi
fosse nessuno.21
La maggior parte dei ricordi di questa prima seduta sono molto precisi e la teste li
racconta con relativa sicurezza senza partire da vaghe sensazioni. Per alcuni fatti
ricordati esistono prove oggettive. Il numero di telefono di Fiorini e quello dei tre
numeri del padre che è stato digitato, saranno confermati poco dopo dai tabulati
del centralino dell’Università e della Telecom messi a disposizione della Polizia e
del Pubblico Ministero. Della copia della lettera scritta al Prof. Biser esiste traccia
documentale allegata agli atti. Sembra che anche il fatto che il fax non fosse
funzionante trovi successivi riscontri. Questi ricordi verranno confermati con
21
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piccole non sostanziali modificazioni negli interrogatori successivi, in varie
registrazioni telefoniche ed in Corte d’Assise.
Si può pertanto affermare che questi ricordi, che appartengono alla memoria a
lungo termine, e cioè costituite da tracce di memoria che la Lipari ha conservato,
sono stati rievocati senza sforzo, senza dubbi e riserve, senza ricorrere a
ragionamenti, tentativi di associazioni, deduzioni e illazioni. Esse appartengono
pertanto al gruppo delle memorie relativamente affidabili. L’unica forma
dubitativa espressa dalla Lipari è se nella stanza Assistenti vi fosse qualcuno, e la
risposta è decisamente verso la negazione: ‘mi pare che nella sala Assistenti non
vi fosse nessuno’.
2.
Interrogatorio del 21 maggio 1997, inizio ore 22.30
Nella seconda seduta dell’interrogatorio del 21 maggio che inizia alle ore 22.00,
alla Lipari viene mostrato un tabulato delle telefonate in uscita dalla sala
Assistenti dal quale risultano due telefonate. La prima, delle ore 11.44, è
indirizzata all’abitazione del padre, della quale la teste non aveva avuto ricordo
nella seduta precedente. La teste ricorda ora senza dubbio che da casa ‘non ha
risposto nessuno’. Resta da chiarire come mai dal tabulato dell’Università risulta
che vi è stata risposta con uno scatto. L’altra, delle ore 11.48 al n. 35497419
corrisponde allo studio del padre. Di questa telefonata la Lipari aveva riferito nella
prima seduta a conferma che la teste aveva ricordato bene il numero
effettivamente digitato tra i tre possibili. Sul ricordo di aver effettuato
quest’ultima telefonata non emergono dubbi di affidabilità, ricordo confermato,
peraltro, dai tabulati.
Colpisce, invece, quanto accaduto nel cambiare il ricordo da una a due telefonate
dopo la presentazione del tabulato dell’Università sulle telefonate in uscita dalla
Sala Assistenti. Lo scarto temporale fra le due telefonate sarebbe stato di 4 minuti.
La prima telefonata a casa del padre (quella che la teste non aveva ricordato, e che
poi risulterà connessa ad immagini e sequenze di spiccata rilevanza) è delle ore
11.44, mentre la seconda (quella che la teste aveva ricordato nel primo
interrogatorio delle ore 16.15 specificandone la collocazione entro una dettagliata
rievocazione di fatti e circostanze) sarebbe iniziata alle ore 11.48.
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I tabulati Telecom che registrano l’inizio delle telefonate dimostrano che la
separazione tra le due telefonate non esiste. Ciò è confermato dal fatto che gli
orari delle 11.44 e delle ore 11.48 riportati nei tabulati dell’Università si
riferiscono alla fine delle due telefonate, la prima della durata di 16 secondi e la
seconda della durata di tre minuti e 38 secondi. Quindi, i quattro presunti minuti
d’intervallo tra le due telefonate sono stati spesi a telefonare e non ad uscire,
compiere un certo percorso nell’Istituto e rientrare per la seconda telefonata. Ciò
dimostra coi fatti che il ricordo della Lipari è stato influenzato dall’esterno. In
altre parole, la ricostruzione della Lipari, circa i fatti e le attività da collocare
nell’arco di tempo compreso fra le due telefonate è smentita ‘per tabulas’.
In conclusione, saldate le due telefonate in un contesto temporale senza una
percepibile soluzione di continuità diventa difficile immaginare come si siano
potute scorporare, nel corso del primo interrogatorio iniziato alle ore 16.15 del 21
maggio, quelle immagini, se non sollecitate almeno ipotizzate dall’inquirente: ‘mi
pare che nella sala assistenti non vi fosse nessuno’.
La teste, inoltre, esprime incertezza sulla presenza di altre eventuali persone
nell’aula Assistenti durante la prima telefonata: ‘non sono sicura se dentro vi fosse
qualche altro collega’. E poi: ‘… mi è sembrato che è uscito dalla stanza qualcuno
frettolosamente’. Alla teste sembra ancora di ricordare che qualcuno è uscito dalla
stanza ‘bofonchiando qualcosa’. Il dubbio rimane anche sull’identificazione della
voce: ‘forse ho riconosciuto la voce, ma non mi sento di dire chi fosse’.
Successivamente dice: ‘adesso che faccio mente locale mi pare anche di ricordare
che la stanza non fosse vuota, non so spiegare quante persone vi fossero, ma non
ho avuto la sensazione del vuoto. Non mi pare ci fossero donne’. Poi ancora:
‘preciso che ho avuto la sensazione di un certo movimento’ ed infine ‘mi sembra
ci fosse Simari Andrea … persona diversa da quella che mi ha salutato
bofonchiando qualcosa’. La lunghezza dell’interrogatorio, i ricordi sotto forma di
sensazioni, l’emergere dei ricordi in maniera graduale da ‘non sono sicura se
dentro vi fosse qualcuno’, ‘non ho avuto le sensazione del vuoto’ fino a qualcuno
che bofonchia qualcosa e poi la presenza probabile di Simari, comunque persona
diversa, indicano chiaramente che la teste fa uno sforzo notevole di ricostruzione
del ricordo, che comunque rimane ancora molto incerto, ed è catalogabile come
memoria del tutto ricostruita e pertanto di dubbia affidabilità. Avvalora la
conclusione il contrasto fra tutte queste incertezze e le precise e sicure
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affermazioni del primo interrogatorio. La mancanza delle domande poste alla teste
durante l’interrogatorio non permettono di fare affermazioni sulla possibile
presenza di fenomeni di suggestione che, qualora presenti, avvalorerebbero
ulteriormente la detta conclusione. Più avanti vedremo che da varie telefonate e
dagli interrogatori in Corte d’Assise e per ammissione della stessa teste, fenomeni
di suggestione si sono effettivamente verificati. Nel resto dell’interrogatorio la
teste ricorda poi con precisione l’ora d’uscita dall’Istituto ed il ritorno alla
macchina alle ore 12.10. Interessante è l’affermazione di aver parlato con
Gabriella: ‘nei giorni successivi al nove maggio ho avuto modo di parlare
dell’accaduto con Gabriella che, almeno un paio di volte, mi ha detto: ha visto che
brutta cosa questa della ragazza, noi in quel momento stavamo lì a mandare il fax
e con il mio collega Fiorini’. Questo induce a pensare che l’identificazione di
Gabriella nella stanza Assistenti che verrà fatta nei successivi interrogatori, sia
attribuibile anch’essa a processi di memoria totalmente ricostruita, altrimenti la
teste avrebbe risposto: ‘Gabriella eravamo insieme nell’aula Assistenti!’.
3.
Interrogatorio del 22 maggio 1997
Dalle dichiarazioni della Lipari rese alla Polizia ed al Pubblico Ministero il 22
maggio con inizio alle ore 1.40, si evince che le sono state riformulate le stesse
domande delle due precedenti sessioni del 21 maggio. Esiste qualche incertezza
sull’ora degli spostamenti, incertezza peraltro già ammessa nel primo
interrogatorio e giustificata dal non portare l’orologio. Tale incertezza viene
ribadita in Corte d’Assise (udienza 14 luglio 1998): ‘… non ho molta
dimestichezza con le misure proprio, cioè non … non porto l’orologio da sempre,
… quindi non … non ho grossa dimestichezza con il tempo’. Nella sala cataloghi
ricorda senza dubbi la presenza di Liparota. Ricorda anche la presenza in
Segreteria di una studentessa mandata dal Prof. Cafaggi ed una telefonata a Laura
Schiuma, due eventi non riportati nei precedenti interrogatori. Si noti come la
memoria sia molto precisa sull’orario della telefonata alla Schiuma alle ore 10.50,
fatto che contrasta con le affermazioni precedenti di incertezza sugli orari visto
che non portava l’orologio e non aveva dimestichezza con il tempo. Siccome
l’orario delle 10.50 viene riferito come controllato sui tabulati, rimane pertanto
legittimo il dubbio che tale memoria sia stata influenzata da fenomeni di
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suggestione. La teste conferma anche le fotocopie del fax, l’incontro con il Dott.
Basciu per dirgli che il fax non funzionava. La conferma degli episodi già riportati
negli interrogatori precedenti avvalora l’affidabilità di tali ricordi. Così non è
invece nella seconda parte dell’interrogatorio del 22 maggio quando si tratta di
ricordare nuovamente i fatti avvenuti durante la telefonata delle 11.44 e
precisamente sulla presenza di altre persone nell’aula Assistenti. Il ricordo
continua a modificarsi in crescendo, segno evidente di un fenomeno di memoria
ricostruttiva. Quella che era la sensazione del non-vuoto, la quale era già
diventata la presenza di due persone, nessuna di sesso femminile, è ora diventa ‘la
presenza di due forse tre persone, una probabilmente di sesso femminile’. Si noti
che tutte le persone erano verso il centro della stanza alla sinistra della teste, e
nessuno vicino alla finestra, ricordo che verrà poi cambiato successivamente. La
ricostruzione va avanti con un ragionamento logico: ‘voglio precisare che si
trattava certamente di persone dell’Istituto, perché la mia attenzione non è stata
attratta dal fatto che si trattasse di presenze inusitate e quindi la sensazione (si noti
l’uso reiterato della parola sensazione) era che si trattasse di un fatto di assoluta
normalità’. La sensazione di assoluta normalità, tuttavia, contrasta con
affermazioni successive della stessa teste che riferirà di essere stata colpita dal
fatto inusitato della presenza di Liparota e della Alletto nella stanza dove essi non
andavano mai. Il ricordo ‘cresce’ e una delle persone viene identificata come
Liparota, mentre si riporta un’altra sensazione di aver visto Mancini. Da un altro
ragionamento emerge che ‘Liparota non può essere la persona che ha bofonchiato
“Ciao”, perché questi non mi dà del tu’. Il ricordo si arricchisce anche sulla
Alletto rannicchiata a terra tra il fax e la copiatrice con Liparota che le parla
all’orecchio. Ne segue un’altra ricostruzione di memoria con la presenza della
Alletto nell’aula Assistenti durante la telefonata delle 11.44. Dalla sensazione del
non-vuoto, all’assenza di presenze femminili, l’associazione Liparota-Alletto
porta all’identificazione della Alletto nella stanza con tutte le caratteristiche di una
memoria ricostruita per logica in forma deduttiva. Dunque, l’affermazione del 21
maggio ‘la mia attenzione non è stata attratta dal fatto che si trattasse di presenze
inusitate’diventa ora una presenza inusitata. Anche dall’interrogatorio della Lipari
del 22 maggio si evince che alcuni ricordi confermano pienamente le dichiarazioni
precedenti che avevamo giudicato affidabili, mentre per quanto riguarda
l’identificazione delle persone nell’aula Assistenti i ricordi presentano le
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caratteristiche di ricordi ricostruiti con aspetti di ragionamento, di deduzione e di
associazione. Pertanto, questi ricordi confermano il dubbio sulla loro affidabilità.
4.
Le telefonate
Sulla vaghezza dei ricordi iniziali e sulla loro graduale ricostruzione che si è
verificata durante gli interrogatori fino alla data del 22 maggio, esistono
documentazioni che si traggono da una serie di telefonate fatte dal 23 al 26
maggio prima del successivo interrogatorio che avverrà la sera dello stesso 26
maggio. Nella telefonata del 23 maggio (n. 002 delle ore 20.59) la teste dice al
padre: ‘neanche mi ricordo con precisione quanti erano’. La frase della teste
continua con ‘….ma so per certo che la cosa ha a che fare con quell’istituto perché
li conosco….’. Questa affermazione rivela una posizione di preconcetto verso tutti
i componenti dell’Istituto e fa ritenere che la teste sia polarizzata nella
ricostruzione dei ricordi verso uno schema mentale e logico precostituito e senza
caratteri di obiettività. ‘So di comportamenti strani anche nei giorni successivi’
dice ancora la teste (stessa telefonata). I colleghi dell’Istituto vengono
categoricamente classificati come vigliacchi ‘che non stanno pensando che questa
(Marta Russo) sta imputridendo sotto terra! Non vi è dunque dubbio che la teste
ha già in mente una soluzione del problema orientata in una ben determinata
direzione. Certamente per la teste la ricerca della verità va fatta nel suo Istituto
dove tutti, dal Prof. Romano, ai colleghi ed al personale non docente, sono degni
di sospetto. In altre parole la teste non ricorda, ma è sicura che i colpevoli siano lì
dentro e ciò non aiuta la ricostruzione obiettiva dei ricordi.
In una successiva telefonata (n. 008 del 24 maggio, ore 8.35) la teste dice al padre:
… ma se fosse quel calabrese, quel calabrese ci ha … veramente ci può avere …
proprio gli amici con le armi in casa in Calabria proprio sotto il cuscino … cioè
quindi questo diventa veramente un modo di scherzare, e ci hanno preso, ce lo
ripete anche quel Belfiore ad ogni … piè sospinto’ già troppo li ho aiutati perché
non mi ricordo, non posso puntare il dito contro una persona che non sono sicura
di aver visto’ Si noti che è proprio la Lipari ad affermare che Belfiore, Ispettore di
Polizia, mentre interroga, ad ogni piè sospinto insinua dubbi sui presunti
colpevoli.
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Questa è una classica forma di suggestione che trova terreno fertile nella
memoria ricostruita a posteriori.
5.
Interrogatorio del 26 maggio 1997
Dal verbale dell’interrogatorio del 26 maggio 1997 che ha avuto inizio alle ore
22,40 risulta che poco prima vi era stato un sopralluogo nell’Istituto di Filosofia
del Diritto in presenza di Maria Chiara Lipari per aiutare a meglio ricostruire la
presunta scena dell’omicidio. La teste, di fronte ad una piantina del detto Istituto
ripete quanto ricorda di ciò che accadde il 9 maggio.
Vengo invece ad analizzare le dichiarazioni su quanto accaduto durante la
telefonata delle ore 11.44 fatta all’abitazione della madre. In seguito al
sopralluogo effettuato poco prima la teste aggiunge nuovi elementi che sono in
chiaro contrasto con quanto affermato nei precedenti interrogatori: ‘ho visto tre
persone nelle posizioni da me indicate questa sera in sede di sopralluogo. Come
ho indicato, una di esse, di sesso maschile, era sulla destra della stanza in
prossimità della finestra e certamente altri due erano verso il centro della stanza
leggermente sulla mia sinistra’. Il ricordo della posizione delle persone è mutato
ancora una volta. Infatti, nel primo interrogatorio del 21 maggio la teste non aveva
riferito nulla sull’episodio di avere visto persone nella sala Assistenti: ‘nella sala
Assistenti non c’era nessuno’, non avendo ricordato la prima delle due telefonate.
Anche nel secondo interrogatorio iniziato alle ore 22.00 del 21 maggio, quando è
risultato dai tabulati delle telefonate in uscita dalla sala Assistenti, che vi sono
state due telefonate, sulla prima delle ore 11.44 la test dichiara: ‘non sono sicura
se dentro vi fosse qualche altro collega’, versione che aveva poi gradualmente
modificato con ‘mi sembra che è uscito dalla stanza qualcuno frettolosamente’ e
poi ‘bofonchiando qualcosa’. Il ricordo è ancora mutato rispetto alla posizione
delle tre persone che durante il terzo interrogatorio del 22 maggio la teste riferisce
tutte alla sua sinistra. Altra mutazione del ricordo consiste nel fatto che sempre in
data 22 maggio la teste aveva dichiarato: ‘avevo la finestra di fronte che era
illuminata dall’esterno, ma non ho visto nessuno vicino ad essa’. Nel suo
crescendo di ricordi la teste ora identifica le due persone sulla sinistra come
Alletto e Liparota.
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La teste prosegue poi, nonostante la ricostruzione della scena dei manichini: ‘non
riesco invece a ricordare, per quanti sforzi faccia, la fisionomia della terza persona
di sesso maschile, che deve essere quella che mi ha salutato uscendo’. La frase
‘per quanti sforzi faccia’ è segno evidente della tendenza, che la teste esprime
ripetutamente
in
molte
occasioni,
a
ricordare
per
ricostruzione
ed
22
immaginazione.
6.
Interrogatorio del 27 maggio 1997
Nell’interrogatorio del 27 maggio la teste conferma alcuni ricordi che aveva
espresso il giorno precedente, ma che non sarebbero stati verbalizzati. Durante il
sopralluogo del giorno prima la teste aveva costatato di aver commesso un errore
nel ricordare la posizione della Alletto fra il fax e la copiatrice. In realtà invece
della copiatrice vi era uno schedario metallico. Evidentemente la teste
nell’evocare il ricordo di questo evento aveva commesso l’errore di richiamare
alla memoria un particolare che risaliva indietro nel tempo. Infatti, qualche tempo
addietro vi era stata un cambiamento nella posizione di questi arredi. Tale errore
si spiega con il fatto che la teste ha associato una memoria accumulata in un
periodo precedente con una memoria di una realtà più recente (gli arredi sono stati
effettivamente spostati). Tale errore può essere ritenuto fisiologico.
Sulla presenza di Ferraro la teste riferisce che quest’ultimo ‘è un più che assiduo
frequentatore dell’Istituto e quindi non posso dire se quel venerdì 9 maggio ci
fosse o no’. Poi prosegue ‘mi sembra di ricordare’ (si noti l’incertezza del ricordo
nel dire ‘mi sembra’) di aver scambiato con lui qualche battuta a proposito del
libro di Pattaro, ma di questo però non sono assolutamente in grado di dire nulla
di men che vago’. L’inaffidabilità del ricordo qui non richiede commenti, ma va
sottolineato come successivamente il ricordo cambierà.
Molto importante appare la successiva affermazione ‘… in uno dei verbali
precedenti ho fatto il nome di Mancini è stato perché uno dei funzionari della
Squadra Mobile me lo aveva suggerito come possibilità. Questa sconfessione di
un ricordo conferma quanto sospettato sopra e cioè che la teste sia stata vittima di
fenomeni suggestivi. D’altra parte a quell’epoca la possibile presenza di Mancini
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si incastrava meglio nell’album dei ricordi ed il pezzo del puzzle aveva un senso.
Aveva molto senso nell’ambito di quanto la teste aveva detto nell’interrogatorio
della seconda seduta del 21 maggio a proposito di Fiorini: ‘non ricordo bene se in
quell’occasione o in un’altra, mi ha detto più o meno sai che Mancini si occupava
di armi? Adesso che ci penso meglio, non sono del tutto certa che me lo ha detto
Fiorini. Io non ho mai saputo che il collega Mancini fosse un appassionato di
armi, ne ho sentito parlare solo in quella circostanza’.
7.
Confronto Lipari, Liparota Francesco e Liparota Fabio del 13 giugno
1997
La sera del 13 giugno alle ore 19.00 avviene il confronto fra Liparota Francesco,
Maria Chiara Lipari. In questo verbale la Lipari conferma le precedenti
dichiarazioni nelle quali individua la presenza della Alletto e di Liparota nella sala
Assistenti durante la telefonata delle ore 11.44 facendo anche riferimento ad un
parlottare tra Gabriella e Liparota.
A questo punto è importante ricordare che il 14 giugno vengono arrestati Liparota,
Ferraro e Scattone.
8.
Le telefonate
Il fatto che i ricordi della teste fossero di tipo ricostruttivo appare chiaramente
dalle stesse parole della Lipari in una telefonata a Elisabetta (telefonata n. 598 del
16 giugno ore 10.24): ‘ ho avuto interrogatori perché all’inizio non ricordavo,
perché non puoi distinguere un giorno dall’altro dall’altro facilmente’….’ad un
certo punto a me mi si sono proprio schiarite le idee, … ho ricostruito a posteriori’
… ho tirato fuori una certa … esasperata percettività’. La modalità di
ricostruzione ha un chiaro sapore psicoanalitico e la ricostruzione a posteriori dei
ricordi è dichiarata dalla stessa Lipari.
L’Ispettore Belfiore chiama Chiara Lipari a telefono (telefonata n. 606 del 16
giugno ore 14.11) chiedendole un colloquio per la necessità di altri chiarimenti
alla luce di nuovi fatti. La Lipari chiede: ‘ma insomma le prove ci sono
comunque’. La risposta di Belfiore: ‘e come no! … perché non ci dovrebbero
essere’. Dopo uno scambio di reciproche lodi e dandosi del tu, Belfiore dice:
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‘nella vita bisogna avere anche delle intuizioni…. l’espressione dei visi almeno …
riusciamo ad intuirlo’. L’insieme del contenuto della telefonata risulta un
incoraggiamento alla Lipari a proseguire sulla strada dei suoi ricordi. La forte
motivazione di Chiara a scoprire la verità per rendere giustizia alla vittima
dell’assassinio risulta chiaramente nelle parole della teste a Maria a proposito
della famiglia di Marta (telefonata n. 645 del 17 giugno ore 8.36): ‘alla famiglia
gli hanno detto quello che io ho fatto e loro si sono commossi, solo questo mi
interessa guarda’. Poi per giustificare il ritardo con cui ha ammesso la presenza di
Alletto e Liparota nell’aula Assistenti dice: ‘dopo ore e ore, ma non per reticenza,
proprio perché non mi ricordavo … finché non ti arriva una immagine visiva’ …
quindi per questo ore e ore, ma perché non mi veniva una immagine visiva … non
potevo essere sicura, mi sono andata … dovuta andare a ripescare la frase mentale
che mi sono detta … in un lampo, te ne dici miliardi al giorno, miliardi … di frasi
mentali … perché hai miliardi di stimoli.
9.
Confronto fra Alletto e Lipari del 13 giugno
Lo stesso giorno 13 giugno alle ore 20.30 vi è un confronto tra la Alletto e la
Lipari. Ambedue confermano le loro versioni precedenti, con la Alletto che
dichiara di non essere mai entrata nell’aula 6.
10.
Interrogatorio del 19 giugno 1997
Il giorno 19 giugno nell’Ufficio del Procuratore della Repubblica Aggiunto Italo
Ormanni, Maria Chiara Lipari conferma che quando entrò nella sala Assistenti
ebbe la sensazione (si noti ancora l’uso della parola sensazione) netta che vi
fossero più persone. Ma qui assistiamo ad un altro ricordo ancora diverso rispetto
ai precedenti. Infatti le persone aumentano di numero: ‘certo più di due: molto
probabilmente quattro’. Anche se la teste usa ‘probabilmente’ si conferma la
tendenza della teste a ricostruire.
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11.
Interrogatorio del 8 agosto 1997
Dopo quasi tre mesi dal primo interrogatorio e dopo quasi due mesi dall’ultimo, la
Lipari viene sentita nuovamente su propria richiesta per fornire ulteriori
particolari di interesse. Ed ecco infatti che dalla ‘memoria nascosta’ vengono
rielaborati altri ricordi. Ci tiene a dichiarare: ‘nelle precedenti verbalizzazioni,
vista l’estrema gravità dei fatti, ho riferito solo tutte quelle circostanze di cui
allora avevo un ricordo nitido e certo’. In realtà, anche questi ricordi sono
diventati nitidi con il passare del tempo. La teste continua: ‘Via via, riflettendo e
cercando di ricordare … sono arrivata a rammentare con certezza altri particolari
di cui adesso ho un ricordo preciso’. Ecco le novità. Mentre nella seconda seduta
del 21 maggio iniziata alle ore 22.00 la Lipari aveva detto: ‘non ho sentito alcun
rumore che possa somigliare ad uno sparo in tutto il periodo in cui sono rimasta
all’interno della stanza’, ora con la riflessione e cercando di ricordare, la versione
cambia in: ‘ho sentito un rumore sordo, un tonfo’. Altro nuovo ricordo: ‘altra
immagine che adesso ricordo con precisione è la figura di Salvatore Ferraro
all’interno della stanza 6. In particolare ho focalizzato l’espressione del suo volto,
che appena entrata era volto verso di me e, appena mi ha visto, si è voltato di
scatto verso la finestra. Era pallido. Subito dopo che l’ho visto è uscito dalla
stanza’. Ancora un mutamento di memoria: ‘ho avuto l’impressione (si noti l’uso
“ho avuto l’impressione” invece di “ho visto”) che non uscisse una sola persona
che mi ha salutato, ma due persone. Di questo ora sono certa.… per quanto
riguarda l’altra persona che è uscita con Ferraro .… non ho un ricordo nitido e
chiaro. Quando sono riuscita a ricostruire il ricordo ho avuto l’impressione
(ancora un’impressione) che potesse essere Scattone’.
Dall’analisi complessiva del verbale dell’8 agosto si evince una marcata tendenza
della teste a trasformare “sensazioni” in fatti certi e precisi, ricchi di particolari.
12.
Lo sparo
Nella seduta del 13 luglio il P.M. Ormanni chiede alla teste se prima di entrare
nell’aula Assistenti ha sentito qualcosa. La teste risponde: ‘… io me lo sono
ricordato molto tempo dopo … mi sono ricordata di aver sentito un colpo … era
come un botto insomma, questo però molto tempo dopo … è possibile definirlo un
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tonfo’.23 Tuttavia, il fatto più importante è l’aperta conferma, da parte della stessa
teste, della natura ricostruttiva del ricordo dello sparo che avviene varie settimane
dopo gli arresti e che la teste ha riferito alla Polizia per la prima volta il giorno 8
agosto, anche se alla teste sembra che il ricordo sia affiorato ‘ un paio di settimane
prima dell’8 agosto forse tre’: ‘… perché il rumore lo ricordo, ricordo di averlo
sentito varie settimane dopo gli arresti … dopo gli arresti’. La ricostruzione
avvenuta dopo due mesi dal fatto di qualcosa che a meno di due settimane dallo
stesso veniva negato senza incertezze, fa sospettare fortemente che non si tratti di
memoria distorta, ma di memoria del tutto impiantata a posteriori. Lo sforzo di
concentrazione riferito dalla teste in più occasioni non depone a favore
dell’affidabilità, ma a favore di una scarsissima, se non nulla affidabilità. Il fatto
che la teste cercasse il solo recupero visivo, non pensando a quello acustico,
sottolinea ancora di più di aver fatto uso della modalità del ricordo per
immaginazione.
13.
L’identificazione in aula Assistenti della persona dal viso pallido
Nella seduta del 13 luglio il P.M. Ormanni interroga la teste sui motivi per cui non
ha identificato subito la presenza dell’imputato Salvatore Ferraro. Ciò che qui
interessa sapere è se la memoria appartiene al tipo ricostruito e con notevole
fatica. La risposta è positiva da parte della stessa teste: ‘… ricostruire un ricordo
… c’è una grossa fatica, insomma, perché ricostruire la memoria, non ha niente,
cioè non ha niente di descrittivo proprio, non, proprio perché uno si deve
ricordare, quindi è tutta una ricostruzione e la ricostruzione è sotto la tua
responsabilità, ….’. Poi ‘Ferraro me lo sono ricordato in un lampo il sabato … il
sabato mattina’.
Il Presidente della Corte chiede se la voce di colui che ha detto “ciao Chiara” era
di Ferraro. Si noti che la Lipari aveva ricordato in precedenza che la voce era di
Mancini, ma poi aveva riconosciuto l’errore. Ora la risposta al Presidente è: ’la
voce era quella di Ferraro, insomma, … la voce che mi saluta dicendo: “ciao
Chiara”, era di Ferraro. In conclusione, la Lipari originariamente riconosce la
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voce del “ciao Chiara” in Mancini, poi riconosce l’errore, anche perché le è stato
suggerito da un funzionario della Squadra Mobile, poi riconosce la voce di
Ferraro ed infine ammette di essersi sbagliata. Quindi il ricordo è dedotto per
ragionamento.
14.
Il probabile riconoscimento di Scattone
Nella seduta del 13 luglio, a proposito della presenza delle persone nell’aula 6, il
P.M. Ormanni chiede alla teste: ‘lei in un verbale successivo, ha aggiunto … alle
presenze da lei già indicate, anche quella dell’imputato Scattone, successivamente
anche agli arresti effettuati dalla Procura della Repubblica, sa dirmi la ragione per
la quale fu fatta da lei questa precisazione successiva?’. Risposta della Lipari: ‘…
io avevo avuto anche prima degli arresti, il sospetto di avere visto Scattone, cioè
era un ricordo, però che aveva un ampio margine d’incertezza … perché non ci
avevo mai, diciamo posato lo sguardo, fissato lo sguardo sopra … però sono
ricordi che non hanno il carattere di certezza assoluta, perché io non ho posato lo
sguardo, anche qui su Scattone’.
Nella seduta del 14 luglio, sull’identificazione di Scattone la stessa Lipari non
esprime certezze ed anche quel poco che dice è riconducibile ad una faticosa
ricostruzione simile a quella documenta sopra. Inoltre, anche qui entrano in gioco
associazioni logiche. Scattone potrebbe essere una delle due persone uscite
dall’aula Assistenti. La Lipari esce dalla stessa stanza per andare verso la
segreteria ed incontra due persone. Quella sulla sinistra: ‘probabilmente era
Giovanni Scattone’. Per quanto riguarda l’identificazione di Scattone non ci sono
dubbi che, oltre al valore probabilistico con cui la teste tende all’identificazione,
permangono i margini d’incertezza di una memoria dichiaratamente e
completamente ricostruita.
15.
L’identificazione di Alletto e Liparota
Nella seduta del 14 luglio, l’Avv. Petrelli chiede alla teste: ‘lei riferì con certezza
che Liparota e Alletto erano presenti all’interno dell’Aula numero 6?’. La teste
risponde: ‘questi due nomi sono già nel verbale della notte … tra il 21 e 22
maggio, la mattina del 22 maggio … pretesi, però che tutte le espressioni
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probabilistiche le ho … lo ho infilate in quel verbale, cioè questo livello
subliminale che poi è “stato utilizzato”- tra virgolette- da chi …’. Il Presidente
chiede se oggi tali ricordi sono certi. La teste risponde: ‘si è formato il ricordo
visivo e … delle due persone in quella posizione, già anche se non … insomma,
ancora non l’avevo indicata con precisione, comunque di quelle due persone, del
fatto di averle viste eccetera. quando si tenta di ricostruire i ricordi, la nostra
mente va a cercare le varie componenti del ricordo, mettendole insieme secondo
uno schema che risponda a logiche le quali, tuttavia, non sempre permettono di
mettere insieme tracce vere di memoria, magari di altri eventi, ma tali tracce
possono essere anche il frutto di processi immaginativi. Questa tecnica di
ricostruzione ha portato la teste completamente fuori strada nell’identificare
Mancini, come ora vengo a commentare.
16.
L’errata identificazione di Mancini
Nel verbale del 22 maggio la Lipari afferma: ‘ho la sensazione di aver visto anche
Mancini’ (nell’aula Assistenti). Nel verbale del 27 maggio la teste dichiara:
‘confermo ancora che quando in uno dei verbali precedenti ho fatto il nome di
Mancini è stato perché uno dei funzionari della Squadra Mobile me lo ha
suggerito come possibilità, ma io non ci pensavo affatto’.
Ho fatto il nome di Mancini, però mai come ricordo visivo … una persona che
passa alle mie spalle e che mi dice “ciao Chiara”, quindi il primo ricordo relativo
a una voce, questa voce poteva essere … insomma ci fu un errore … non ho mai
avuto un ricordo visivo … il ricordo di averlo visto non è mai stato … non è mai
stato un ricordo, beh la sensazione … mi sarò sbagliata, perché effettivamente si
era parlato di Mancini varie volte quel pomeriggio e io non avevo ancora
ricostruito i movimenti la mattina uno ricostruisce anche, appunto, quello che si è
detto nel cervello, ricostruisce i movimenti, quindi collega un momento all’altro,
gli si schiarisce la memoria’.
Proviamo come in un manuale a fare l’ipotesi di una classica ricostruzione dei
ricordi a posteriori. La sicura convinzione che nell’Istituto c’è stato qualcuno che
ha sparato, Mancini è dell’Istituto, è uno che si occupa di armi, qualcuno della
Squadra Mobile suggerisce la possibilità di Mancini, la teste ha una forte
motivazione a fare giustizia ad una poveretta che sta marcendo sottoterra, presa
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dalla rabbia che in Istituto sono tutti vigliacchi ed omertosi, a partire da Direttore,
non vede Mancini nell’aula, ma riconosce la sua voce quando le passa vicino, alla
fine c’è una persona di troppo nell’aula Assistenti e si rende conto di aver
sbagliato.
17.
Le guerre sulla memoria
Come abbiamo visto nella prima parte di questa relazione, le informazioni relative
ad un evento che abbiamo immesso nel magazzino della memoria a lungo
termine, sono depositate in una miriade di frammenti sparsi in molteplici
microaree della corteccia cerebrale. Il ricordo consiste nel mettere insieme questi
frammenti secondo un ordine che dipende dal modello mentale che c’eravamo
costruiti in precedenza. Quando ci riferiamo ad eventi accaduti di recente, noi
ricordiamo molto bene e senza sforzo un certo numero di particolari, mentre per
altri potremmo o non ricordare od esprimere incertezze. A mano a mano che il
tempo passa, i ricordi tendono a sbiadire ed aumenta il numero d’incertezze fino
al punto in cui, in certi casi, potremmo aver dimenticato tutto. Il ricordare eventi
incerti o dimenticati implica uno sforzo di ricostruzione. Per i ricordi diretti che
non richiedono sforzo vi è una ragionevole garanzia d’affidabilità, anche se si
possono verificare distorsioni. D’altra parte, tutti abbiamo sperimentato su noi
stessi che talvolta nel descrivere un’esperienza vissuta, come ad esempio il pranzo
di un compleanno, ci sembra d’essere sicuri di ricordare un particolare che poi si
rivela sbagliato di fronte a prove come la fotografia di quel pranzo.
Ad esempio, la probabilità che un testimone oculare, in un confronto
all’americana, riconosca falsamente qualcuno, come la persona vista sulla scena
del crimine, può essere drammaticamente aumentata, ad esempio facendo
indossare ad uno dei sospettati abiti simili a quelli del vero colpevole. Si è inoltre
dimostrato che anche testimoni attenti ed esperti come poliziotti ed avvocati, sono
estremamente suscettibili a subire influenze di questo genere. Le sue ricerche
confermano le numerose prove che ‘l’identificazione da parte di testimoni oculari
è molto meno affidabile di quanto di solito pensino le giurie’.
Il fatto d’interesse nel giudicare l’affidabilità della memoria riguarda soprattutto i
ricordi ricostruiti a posteriori e questo assume un’importanza cruciale quando
questa ricostruzione parte da una mancanza totale o quasi di ricordo iniziale e gli
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eventi vengono ricostruiti lentamente. Qui si richiede un notevole sforzo. In altre
parole, il problema è se memorie completamente dimenticate abbiano lasciato una
traccia nel cervello e se sia possibile recuperarle completamente tramite
ricostruzione a posteriori e quanto tale ricordo risulti fedele ai fatti.
Gli eventi dimenticati (la memoria perduta) possono essere recuperati in vari
modi:
1) Tramite ricordi che riaffiorano alla mente spontaneamente sotto forma
di associazioni con altri eventi. L'evento che riaffiora alla mente sembra così
fedele da essere spesso rimemorizzato come sicuramente vero. Quasi tutti sono
convinti che ciò che riaffiora alla mente è qualcosa che avevano depositato nel
cervello e che sono riusciti a fare riemergere.
2) Tramite il colloquio con altre persone possiamo rievocare ciò che
ricordiamo ed arricchirlo con particolari che il nostro interlocutore sembra aiutare
a scoprire. Alcuni psicoterapeuti si ritengono in grado di dissotterrare memorie
nascoste tramite tecniche di associazioni libere, la descrizione di pensieri casuali o
sessioni di terapia di gruppo.
3) Il riportare la persona nel luogo dell'esperienza, confrontarla con altre
persone, sentire un odore, formulare domande, fornire un campionario di
immagini.
Una nutrita e crescente serie di studi di questi ultimi anni ci dicono chiaramente
che i ricordi completamente ricostruiti spesso si sono dimostrati completamente
falsi al rigore delle prove e che purtroppo anche se qualcosa di veramente
accaduto si può recuperare in questo modo, nella maggior parte dei casi la
memoria recuperata è altamente imprecisa, fuorviante o completamente falsa e
non fornisce nessuna garanzia di veridicità. Nel ricordo, a seconda del nostro
schema mentale immaginativo, si inserisce un certo numero di particolari che
fanno parte di un’altra esperienza oppure che sono completamente inventati.
Inoltre, il persistere nel tentativo di ricordare eventi incerti, sia da soli sia con
l’aiuto degli altri, porta inevitabilmente a ricordi sempre più inaccurati ed
inaffidabili ed alla fine si possono ricordare, talvolta assieme ad alcune cose vere,
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numerosi particolari di cose che non sono mai avvenute. E questo può avvenire in
perfetta buona fede.24
Nemmeno la certezza soggettiva del racconto fornisce una sufficiente garanzia.
Infatti il meccanismo usato per recuperare il ricordo comporta l'impianto di
strutture nuove prese da altre esperienze o da suggerimenti esterni. Pertanto, la
memoria recuperata non può essere usata come prova in fatti seri ed impegnativi.
Per quanto riguarda la testimonianza della Lipari, i ricordi forniti nel primo
interrogatorio del 21 maggio che si è concluso alle ore 19.30, si possono
classificare come memorie che corrispondono ad eventi realmente accaduti e per i
quali sono state fornite prove come il colloquio con il Prof. Romano e la Castiglia,
la stesura della lettera al Prof. Biser, il tentativo di spedizione del fax, la telefonata
con Fiorini eccetera. La Lipari sembra averli ricordati con relativa precisione e
prontezza senza elementi di dubbio. Esiste, tuttavia, la possibilità che in questo
tipo di ricordo, che nel complesso offre un alto grado di affidabilità, si siano
inseriti alcuni elementi di distorsione. Alla categoria di memorie interamente
recuperate appartiene l’identificazione delle persone che la Lipari dice di aver
visto nell’aula Assistenti durante la telefonata delle ore 11.44. Questi ricordi,
infatti, partono dal nulla e vengono gradualmente ricostruiti nei quasi tre mesi
successivi. Qui si tratta di memorie che sono state interamente ricostruite a
posteriori senza un iniziale nucleo centrale di ricordo. Esse sono state ottenute con
un intenso sforzo di ricostruzione, come ha ammesso ripetutamente la stessa
Lipari.
Come risulta dall’intera documentazione nei ricordi della Lipari si parte dal nulla
o talvolta dal subliminale, da sensazioni vaghe che poi diventano meno vaghe e
che infine con ‘lampi’ diventano certezze ricche di dettagli e di interpretazioni: ‘io
sentivo le cose … ma con la certezza che fossero vere …
Il ricordare improvvisamente attraverso ‘lampi’ è comune nella cultura della
psicoanalisi. Tuttavia, tali improvvisi ricordi ricchi di particolari, come un viso
con tutte le sue espressioni, è difficilmente riconciliabile con la neurofisiologia dei
ricordi. Come ho già sottolineato nella prima parte di questo lavoro, i ricordi di
eventi passati sono evocati con un alto grado di imprecisione, in quanto nel nostro
24
Loftus E. (1997) Come si creano i falsi ricordi. Le Scienze (Edizione italiana di Scientific
American).
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cervello non rimane una fotografia di ciò che abbiamo visto, ma tante tracce
disperse in varie aree cerebrali che vengono poi riunificate, ed è proprio in questo
processo di riunificazione che si formano ricordi non ricchi di particolari.
Nell’indurre falsi ricordi, sono molto importanti le pressioni ed i suggerimenti
esterni. La stessa Lipari ha espresso molto spesso sensazioni ed impressioni
soggettive e ha poi dichiarato condizionamenti e suggerimenti da parte della
Squadra Mobile e di altri inquirenti. Anche l’aver avuto telefonate e colloqui
privati con agenti investigativi per riparlare dei fatti può contribuire al
convincimento del ricordo.
In conclusione, gli eventi relativi all’identificazione delle persone nell’aula
Assistenti sono di fatto una saga di ricordi emersi lentamente e con fatica dal
nulla, sono stati ottenuti con enorme sforzo ricostruttivo, con notevoli
condizionamenti esterni e spesso sotto forma di lampi improvvisi. Pertanto, essi
vanno considerati altamente inaffidabili, anche se la Lipari appare in perfetta
buona fede ed all’ansiosa ricerca della verità.
18.
Da omicidio colposo a omicidio volontario e viceversa
Abbiamo visto me, fin dall'inizio delle indagini, l'ipotesi dell'omicidio
colposo domina e guida l'attività degli inquirenti, inquirenti e questurini la
prospettano ai tre arrestati, come unica via di scampo. Oltre ad essere meno
allarmante di altre possibilità, l'ipotesi dell'omicidio colposo rappresenta una
tipica soluzione di compromesso, capace di accontentare un po' tutti: i presunti
colpevoli se la caverebbero con poco, gli inquirenti verrebbero encomiati e
promossi, le Autorità sarebbero soddisfatte delle loro preziose esternazioni,
l'opinione pubblica si sentirebbe finalmente liberata da un tremendo incubo, e
forse anche la famiglia Russo finirebbe con l'accettare l'idea del caso fortuito.
Gli inquirenti confidavano che almeno uno dei tre arrestati per salvarsi da guai
peggiori, accusasse gli altri (o se stesso) di aver sparato un colpo per sbaglio. L'11
giugno lo dice chiaramente alla Alletto il P.M. La Speranza: "Mio interesse è
quello di ridimensionarla, questa cosa: perché [altrimenti] qua rimane in piedi un
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omicidio doloso ... fatto a una ragazza". "Una volta che questi [gli arrestati] si
vedono contestata una cosa [l'omicidio] e capiscono che raccontando i fatti come
stanno ne possono anche uscire ..., [questi confessano]. Per omicidio colposo non
si arresta più nessuno!". "Tanto, noi possiamo provare a farlo, questo gioco ...
perché questo non è che deve confessare di avere ammazzato la madre ... quindi
rischia poco".
Ma l'aspettativa degli inquirenti andrà delusa: l'unico ad assecondarla, atterrito
dalla prospettiva del carcere, sarà, nel pomeriggio del 16 giugno, Liparota, che
però il giorno dopo si affretterà a ritrattare le sue incongrue accuse, ribadendo poi
efficacemente tale ritrattazione nel processo di primo grado.25
Infatti, poiché alla fine nessuno dei tre "confessa", la cosa non si risolve né
"subito", né "abbastanza facilmente", e gli accusatori sono costretti a inseguire
altre ipotesi, che però risulteranno tutte insostenibili: l'omicidio nato "dal delirio
di onnipotenza", il "delitto gratuito" il "gioco di ruolo", il "delitto perfetto". In
conformità di tali avventurose ipotesi, nella richiesta di rinvio a giudizio Scattone,
Ferraro e Liparota sono stati imputati di concorso in omicidio volontario: i primi
due avrebbero organizzato e attuato un "delitto perfetto", per sperimentare quello
che essi stessi avrebbero teorizzato durante un seminario di Logica giuridica,
risultato poi inesistente. Tale imputazione viene smentita, oltre che dalla sua
intrinseca assurdità, dalle deposizioni in aula dei docenti responsabili del corso di
Logica giuridica e dei seminari di Filosofia del Diritto; dovrebbe quindi
scomparire dal processo, ma per tutti e tre gli imputati il capo d'accusa rimane,
quello di concorso in omicidio volontario: salvo ad essere derubricato, già nella
sentenza di primo grado, in quelli di omicidio colposo semplice per Scattone e di
favoreggiamento per Ferraro, mentre Liparota viene addirittura assolto. In
Appello, Scattone è condannato ancora per omicidio colposo, ma aggravato dalla
previsione dell'evento, mentre Ferraro è condannato per favoreggiamento, stavolta
insieme a Liparota. Data la mancanza di qualsiasi movente plausibile per un
omicidio volontario, si torna così - dopo anni di indebita detenzione in carcere, di
indagini viziate da gravi errori e anomalie, di perizie disattese e inutilmente
replicate, di dibattimenti in gran parte puramente virtuali - ai "buoni consigli" dati
da inquirenti e questurini ai tre arrestati nella lunga notte sul 15 giugno 1997:
25
www.zibaldoni.it
69
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"Dite che è stato un incidente". Se allora avessero accettato di mentire, se fossero
stati, come molti hanno pensato e come qualcuno ha scritto, "un po' più furbi", se
la sarebbero cavata tutti e tre "subito" e "abbastanza facilmente"; avendo invece
detto la verità, si sono ritrovati, più di cinque anni dopo, in un'aula di tribunale.
19.
Riassumendo
I dati forniti dagli inquirenti alle persone interrogate e le ipotesi da loro formulate
non hanno trovato riscontri nella realtà:
1. Le perizie sui residui di sparo ordinate dalle Corti d'Assise e d'Appello
hanno dimostrato in modo inequivocabile che le particelle trovate a suo tempo
sulla finestra della stanza 6, sugli indumenti e nelle borse degli imputati non sono
in alcun modo ricollegabili con il proiettile letale
2. Data l'assoluta impossibilità di provare l'omicidio volontario, nelle tre
sentenze di condanna è stata accolta l'ipotesi dell'omicidio colposo, alla ricerca di
un compromesso che non ha convinto nessuno, come dimostrano i giudizi
nettamente negativi di tutti gli esperti e gli editorialisti.
3. L'enorme mole di "carte" riguardanti la Lipari, primo motore delle
successive "testimonianze" della Alletto, di Liparota e di sua madre, non ha
prodotto, come ha dovuto riconoscere la stessa sentenza d'Appello, nessun valido
indizio a carico di Giovanni Scattone. Questi è stato inserito nelle indagini
all'ultimo momento, per sopperire alla comprovata incapacità di sparare del già
sospettato Ferraro: con Scattone si è proceduto per esclusione e per supposizioni,
anziché in base ad elementi oggettivi. Lo dimostra il fatto che prima del suo
arresto la Lipari, la Alletto, Liparota, la Villella e la Olzai non lo hanno mai
menzionato nelle loro intercettazioni e dichiarazioni: non c'è un solo documento,
un solo dato di fatto, una sola denuncia tempestiva e spontanea, insomma una sola
vera prova contro Giovanni Scattone. Non possono infatti considerarsi
"testimonianze valide" né quella inesistente della Lipari; né quella della Alletto,
irrimediabilmente viziata nella sua genesi e inverosimile e contraddittoria nei
contenuti; né quella accusatoria di Liparota, altrettanto forzata ed esplicitamente
ritrattata due volte.
4. A parte ogni altra argomentazione, non si comprende come mai
Giovanni Scattone abbia potuto smarrire improvvisamente la ragione e compiere
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un atto così insensato e gratuito, per tornare immediatamente dopo a una perfetta
normalità e rimanervi per i successivi cinque anni. Senza un movente plausibile e
dimostrabile, sono prive di senso le elucubrazioni con le quali si pretenderebbe di
stabilire se chi spara abbia o no, nel preciso istante in cui preme il grilletto,
"l'intenzione di uccidere qualcuno". "Non c'è nessuna prova che dalla finestra
della stanza 6 sia partito il colpo che ha ucciso Marta Russo", hanno detto e
ribadito i periti”.
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CONCLUSIONI
All'indomani della sentenza definitiva sul caso Marta Russo, 16 dicembre
2003, non ci dovrebbero essere molti dubbi. In totale, circa trenta magistrati si
sono espressi in merito a questa colpevolezza. In trenta, tra primo grado, appello,
cassazione. Una sentenza che si regge su tre testimoni oculari, la confessione di
Liparota (confermata dalla madre), un imponente insieme di indizi gravi, precisi e
concordanti, a cominciare dai tentativi di trovare alibi che non c'erano, eccetera.
Certo, non tutto è chiaro. Per esempio, la Alletto, testimone ritenuta attendibile in
tre gradi di giudizio, ha anche detto che nell'aula c'era un quarto uomo, di cui non
ha distinto le sembianze. Non sappiamo dunque tutta la verità, ma sappiamo che
certamente intimidazioni e omertà ci sono state. Basti pensare a quegli impiegati e
docenti che hanno tentato di sbugiardare la Alletto, sostenendo che tante sue
dichiarazioni erano del tutto inventate. Evidentemente i magistrati hanno ritenuto
la Alletto credibile; dunque hanno riconosciuto l'esistenza di una diffusa omertà,
che coinvolge non soltanto Liparota, ma tante altre persone, talmente potenti da
creare una diffusa e schiacciante copertura dell'omicidio. 26
Non sono stati condannati soltanto Ferraro e Scattone, ma, in un certo
senso, quella parte della università italiana che aveva fatto muro contro la
condanna e che era scesa fin nelle aule di tribunale a contrastare i magistrati con
insigni professori e avvocati. I dubbi sulla condanna definitiva, la volontà di
nascondere o minimizzare omertà e intimidazioni che hanno accompagnato il
delitto, sono motivati o da ingenuità o da corresponsabilità. Rivendicare giustizia
per Marta è rivendicare giustizia contro tutte le complicità mafiose, omertose,
criminali che esistono nell'università italiana e nella società italiana. Rivendicare
giustizia per Marta è rivendicare giustizia per tutte le persone che lavorano
onestamente nell'università italiana e nella società italiana.27
6 anni a Scattone per omicidio colposo, 4 a Ferraro e 2 a Liparota per
favoreggiamento. E' la sentenza del processo d'appello bis per la morte di Marta
Russo: ancora una volta la corte d'Assise d'appello di Roma ritiene che Giovanni
26
www.misteriditalia.com
http://criminologia.advcom.it
27
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Scattone, con la complicità di Salvatore Ferraro e Francesco Liparota, sia il
responsabile della morte di Marta Russo, la studentessa di 19 anni uccisa da un
colpo di pistola alla testa la mattina del 9 maggio 1997 mentre passeggiava in un
vialetto dell'università «La Sapienza». Il processo d'appello bis ha anche interdetto
per sempre Scattone dai pubblici uffici: interdizione che per Ferraro è di cinque
anni. La corte ha sostanzialmente accolto l'impianto accusatorio del pm Antonio
Marini, che ha dichiarato: «Non ci sono dubbi: gli assassini di Marta Russo sono
loro».
Personalmente sono sempre stata dell’opinione che, proprio per i metodi
seguiti nell’indagine che hanno fatto terra bruciata delle testimonianze e delle
prove, sarà molto difficile arrivare a una verità assoluta. Quindi temo che, resterà
sempre un’ombra su questo processo: probabilmente non sapremo mai con
assoluta certezza se i due condannati sono innocenti o meno. Per quanto mi
riguarda, ho sempre ritenuto e continuo a ritenere che le prove, soprattutto per
come sono state raccolte, non sono sufficienti per considerarli colpevoli.
A me sembra che anche cose piccole e più o meno innocenti, di certo molto
private, e ancora più certamente non rilevanti, abbiano avuto in tutta la vicenda
uno spazio smisurato, ad uso e consumo del pubblico, dell'audience e della tiratura
dei giornali. Una persona, è innocente quando non ha commesso il fatto, e non
solo quando è integerrima. Le simpatie e le antipatie o i giudizi morali andrebbero
tenuti bene alla larga. Troppi sono i punti oscuri dell'accusa; non sono ne
colpevolista ne innocentista, però ho avuto l'impressione che il caso sia stato
trattato in modo troppo superficiale e concentrato più sulla pressione fatta dai
mass media, dall'opinione pubblica, che sulla ricerca della verità. Stiamo parlando
di un'arma del delitto che non si è mai trovata, di testimonianze contraddittorie, di
un unico possibile movente che è stato completamente distrutto (perché la tesi del
delitto perfetto, per innumerevoli motivi, non stava in piedi) ... stiamo parlando
omertà presunta e smentita, di interrogatori condotti con metodi da Santa
Inquisizione ... stiamo parlando insomma del ragionevole dubbio.
L'articolo 27 della costituzione parla di "presunzione di innocenza", che non
vuol dire soltanto "innocenza fino all'ultimo grado del processo", ma "innocenza
fino a prova contraria". E qui, sebbene ci sia una sentenza definitiva, non c'è uno
straccio di prova che sia veramente contraria.
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Mesi e mesi di carcere, le loro fotografie ovunque con la didascalia "assassini",
due famiglie provate da un dolore difficile da raccontare. Parenti e amici trascinati
in un incubo. Due carriere irrimediabilmente distrutte, due reputazioni rovinate
per sempre, due vite drammaticamente segnate.
Concludo questo mio lavoro con un ragionevole dubbio:
E SE FOSSERO INNOCENTI?
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www.zibaldoni.it
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