Virus: vis, roboris Si discute da anni del cambiamento antropologico e sociale dovuto all’introduzione del computer e soprattutto alla successiva diffusione della comunicazione via web. Internet come nuovo strumento tecnologico rappresenta un’estensione del nostro corpo, delle nostre possibilità operative e più in generale una esteriorizzazione della nostra mente. Tuttavia anche a questo nuovo corpo ibrido di carne e macchina, biologia e informatica che tendiamo a credere infallibile nella sua parte tecnologica, corrispondono determinate “malattie”. Non è un caso che alla massiccia diffusione del computer negli anni ‘80 e di Internet negli anni ‘90 abbia corrisposto l’introduzione della parola virus nel campo dell’informatica. Accanto all’ansia per la recente diffusione del terribile e ancora discusso virus dell’AIDS, è emersa in quegli anni anche la paura per le intrusioni di software “maligni” in grado di danneggiare il sistema operativo dei computer. 0100101110101101.ORG e [epidemiC], Biennale.py, 2001 Riflettendo su queste tematiche, sorge spontanea una riflessione sulle caratteristiche che accomunano i virus biologici a quelli informatici. La rete telematica e interattiva di Internet ha posto le basi per la creazione di un sistema diffuso, basato sulla comunicazione e sulla creazione di comunità web. Se consideriamo come punto in comune tra biologia e informatica il concetto di sistema, quindi la sfera tecnologica come un ecosistema di corpi macchina che vivono agendo, elaborando e trasmettendo informazioni, possiamo altresì notare come il virus informatico viva e operi attraverso alcuni meccanismi simili a quelli del virus biologico. Se i virus hanno, in quanto esseri viventi, una propria evoluzione che permette loro di adattarsi ai cambiamenti biologici degli esseri che li ospitano, anche i virus informatici, che attaccano i nuovi corpi macchina, stanno scrivendo una propria storia evolutiva che corre parallelamente a quella della tecnologie informatiche. I primi virus dei computer ad esempio potevano trasmettersi solo attraverso un “contagio” provocato da un contatto diretto della macchina con un hard disk infetto che fungeva da trasportatore, come per esempio un floppy disk. Con la diffusione di internet, parti di codice di programmazione più evolute iniziarono a sfruttare la rete per potersi diffondere, fino all’evoluzione dal virus al worm. Il worm, (letteralmente verme) un tipo di malware che nell’accezione comune continuiamo a chiamare virus, si diffonde da macchina a macchina come il virus classico, ma in aggiunta ha la possibilità di autoreplicarsi all’interno del computer, così come il virus biologico può, in alcuni casi, inserire il proprio genoma in quello della cellula ospitante in modo da potersi replicare. I virus, in entrambi i casi vivono solo in relazione all’esistenza di un sistema ospitante del quale devono utilizzare alcuni componenti strutturali ad essi mancanti. Altra parabolica analogia sul tema, è considerare gli uomini come virus della Terra: gli insediamenti umani si attaccano alla superficie terrestre così come i virus si ancorano alla membrana cellulare per sfruttarne le capacità produttive. Interferendo con il sistema che ci nutre e creando danni biologici, non siamo in grado di restituire nella stessa misura vantaggi al corpo ospitante. Ugualmente abbiamo perso il ruolo necessario all’ecosistema nel quale siamo nati e siamo dunque associabili alle categorie degli esseri viventi parassitari e dei malware informatici. Di virus parla l’intervento dal quale questo articolo prende spunto, “Unpredictable Legacies: Viral Games in the Networked World”, di Roberta Buiani, ricercatrice ed insegnante nella York University di Toronto. Roberta Buiani nota come il termine virale sia molto flessibile e utilizzato oggi in relazione ad alcune attività umane che sono definite “virali”. Parla di video virali, ad esempio, in relazione al fenomeno dei video autoprodotti che vengono ogni giorno caricati in siti internet come You Tube con il solo scopo di diffonderli, in maniera virale appunto, in tutto il mondo. Oppure ricorda come per definire determinate strategie pubblicitarie, si parli di marketing virale laddove si sfrutta la capacità propria dei virus di infiltrarsi, mimetizzarsi e fondersi con gli elementi dei loro ospiti. Per portare un recente esempio di marketing virale che esula un po’ da quello che è l’ormai noto significato di questo termine, si può prendere la notizia, riportata dalla rivista PC Word Italia di febbraio, riguardante l’azione svolta da un’addetta stampa di diversi siti commerciali. Questa, spacciandosi per giornalista di Le Monde sotto il falso nome di Rachel Bekerman e frequentando un noto sito di social network, Facebook, ha accolto intorno a sé un numerosissimo pubblico di giornalisti ai quali faceva visitare i siti per i quali lavorava. Mimetizzandosi tra i giornalisti e celando i suoi veri scopi, la “Bekerman” ha sfruttato a proprio vantaggio le possibilità offerte dalla comunità on line più frequentata del mondo attuando una vera e propria azione virale. Immagini di virus da: www.gettyimage.com/creative/royaltyfree Anche se il termine virus (dal latino vis, forza, intesa nella sua accezione distruttrice) generalmente ha una connotazione negativa, virale può tuttavia essere anche un comportamento che ha finalità positive. Può rappresentare anche un modo per agire diversamente all’interno di un dato sistema, sfruttandone quelli che sono i suoi percorsi prefissati e avendo un obiettivo diverso da quello del sistema in questione. Ciò può significare affrontare in maniera creativa o critica una situazione che solo se agita con una nuova strategia può essere capita, svelata e magari migliorata. Penso ad esempio alle azioni virali compiute nel campo della net.art e della software art con opere come downJones SendMail, un programma creato nel 2002 dal gruppo [epidemiC], autore nel 2001 del manifesto sul valore estetico del codice del virus informatico, Virii Virus Viren Viry. O a Biennale.py, “virus artistico” creato in collaborazione con il collettivo di artisti 0100101110101101.ORG e diffuso in occasione della 49esima Biennale di Venezia. Possiamo considerare virus anche le performance artistiche che si infiltrano in un determinato contesto strutturato e istituzionalizzato, sfruttandone le logiche di funzionamento, mimetizzandosi in esse e colpendo laddove la struttura ha dei punti deboli per realizzare un’idea creativa. Penso allora alle diverse azioni artistiche degli 01.ORG e, ancora prima, penso anche al tiro giocato al cuore di una rilevante parte del sistema dell’arte contemporanea, dai due autori del poco conosciuto Complotto di Tirana, che, adottando una strategia di mimesi con i meccanismi del suddetto sistema, sono riusciti a svelarne il funzionamento in modo inappellabile. Martina Coletti D’ARS year 48/nr 193/spring 2008