USBEK
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USBEK
Collana di traduzione di classici francesi.
Comitato scientifico
Paolo Carile
Asociation Italiques
Yves Hersant
École des Hautes Études en Sciences Sociales
OLYMPE DE GOUGES
Teatro
Introduzione, testo e note a cura di
Franca Zanelli Quarantini
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–5088–0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 2012
Per Laura
«Io sono la mia opera»
Olympe de Gouges
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INDICE
Introduzione
Bibliografia
La Commedia brillante
Prefazione a Il Matrimonio inatteso di Cherubino
Il Matrimonio inatteso di Cherubino
Prefazione non convenzionale
Prefazione a Molière a casa di Ninon o il Secolo dei
grandi Uomini
Molière a casa di Ninon o il Secolo dei grandi Uomini
Postfazione a Molière a casa di Ninon
o il Secolo dei grandi Uomini
Scene dal Teatro politico
Prefazione a La Schiavitù dei Neri
o il Naufragio fortunato
La Schiavitù dei Neri o il Naufragio fortunato
Riflessioni sugli Uomini Negri
Mirabeau ai Campi Elisi
I Democratici e gli Aristocratici o i Curiosi al Campo di Marte
La necessità del Divorzio
Prefazione a Il Convento o i Voti forzati
Il Convento o i Voti forzati
La Francia salvata o il Tiranno spodestato
Nota alla traduzione
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Introduzione
Parigi, rue Harlay, dicembre 1793.
Che il teatro e il senso della scena siano inseparabili dalla
personalità di Olympe de Gouges, lo dice anche la casa di rue Harlay
in cui visse negli ultimi anni: modesta e in disordine, eppure capace di
trasmettere emozioni e di parlare al posto di chi vi aveva abitato.
Proviamo allora a entrare in questa casa insieme al giudice di pace
Nicolas Thilly, che vi si recò pochi giorni dopo la morte della
scrittrice, ghigliottinata il 3 novembre 1793 in Place de la Concorde.
Il giudice Thilly, che aveva il compito di stendere l’inventario della
carte giacenti nell’abitazione della defunta,una volta entrato si trovò di
fronte un’impressionante quantità di manoscritti raccolti in pacchi,
scatole, involti di fortuna; e poi varia corrispondenza, libelli, volumi a
stampa, tutti a firma di un unico autore: Olympe de Gouges. Cominciò
a schedare una serie di pamphlets politici, rovistò tra vecchie lettere
raccolte in una carpetta di marocchino rosso; accanto trovò un altro
grosso pacco di manoscritti, contenenti parecchi testi politici e teatrali;
avvolti in uno strofinaccio, scoprì alcuni esemplari di un testo
ferocemente ostile alla Comédie-Française, una copia della commedia
intitolata L’uomo generoso (L’homme généreux), e in una borsa di tela
rinvenne, tra l’altro, due volumi delle Opere di Madame de Gouges
(Œuvres de Madame de Gouges), insieme alla pièce teatrale Molière a
casa di Ninon (Molière chez Ninon). Custoditi in una scatoletta, trovò
poi vari passaporti intestati alla scrittrice con una ricevuta del Monte
di Pietà, e per finire registrò la presenza, insieme a qualche lettera
d’amore, di molti manoscritti d’argomento politico e teatrale,
racchiusi in una grande scatola di legno ornata di crine sul coperchio.
Al termine dell’ispezione, la cifra complessiva dei testi da lui
inventariati superava di molto il centinaio.
Malgrado l’impersonalità dello stile, il verbale redatto dal giudice
di pace permette di immaginare la sua casa quando Olympe ne uscì
per avviarsi alle prigioni della Conciergerie: come in una scenografia
involontaria quelle stanze con pochi mobili e moltissima carta ispirano
una familiarità materica e quasi olfattiva con la donna che vi aveva
vissuto, lavorato, ricevuto amici e amanti; la stessa che esibiva come
un vanto la propria diversità descrivendosi così: «Spesso per le troppe
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Franca Zanelli Quarantini
idee mi perdo e fatico a ritrovarmi, perché nei miei scritti io seguo
solo la scuola della natura e come lei anch’io voglio essere irregolare,
bizzarra forse, ma sempre vera e semplice».
Irregolare, bizzarra, vera e semplice, questa donna dall’identità
contrastata e inizialmente esitante, giorno dopo giorno si rafforza
nell’affermazione della sua duplice natura – «Sono donna e
autrice…» –, opponendo una resistenza non comune al silenzio con
cui da più parti si volle neutralizzarla. «La donna nasce libera e resta
uguale agli uomini per diritti» si legge all’art. I della sua
Dichiarazione dei diritti della donna (1791), mentre all’art. X il
contesto rivoluzionario le detta questo secondo conturbante appello:
«Nessuno deve essere perseguito per le sue opinioni. La donna ha il
diritto di salire sul patibolo; deve avere altresì quello di salire sulla
tribuna». Dei due diritti, la società le concesse solo il primo; l’altro,
Olympe se lo attribuì da sé, scrivendo contro.
Come ogni lascito estremo, quelle carte abbandonate nella casa di
rue Harlay ci riguardano: «Io ho previsto tutto e so che la mia morte è
inevitabile», scriveva nel suo Testamento (Testament politique
d’Olympe de Gouges), redatto nel giugno 1793; come se, più ancora
del corpo, il terrore della sparizione avesse investito l’opera – il
corpus – da tenere insieme e salvare oltre la vita. Ravvolta su se stessa
e legata con lo spago, la produzione di questa femme-auteur
compendia egregiamente la solitudine di un percorso creativo vissuto
all’insegna del coraggio, in cui l’identità e la scrittura, l’azione e
l’invenzione si radicano nel profondo di un’esperienza biografica al
femminile, concorrendo al progresso del pensiero collettivo e
imponendosi alla nostra ricezione come un evento umano forse non
ripetibile.
«È terribile dover deplorare chi si ama…»
Marie Gouze nasce a Montauban, nel sud della Francia, il 7
maggio 1748, da una coppia di piccoli commercianti. A questa origine
banale la voce pubblica e lei stessa sostituiscono presto una nascita
più romanzesca: Marie sarebbe il frutto degli amori della madre, Anne
Olympe, col marchese Jean-Jacques Le Franc de Pompignan, un
letterato di Montauban che per aver parlato con sussiego dei
philosophes finì la sua carriera pubblica sepolto sotto gli strali di
Introduzione
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Voltaire. Più tardi, nel romanzo autobiografico Memorie della signora
de Valmont (Mémoire de Madame de Valmont, 1784), usando nomi
fittizi l’autrice ripercorre la storia della propria nascita illegittima,
senza far mistero dell’affetto dimostratole nell’infanzia
dall’aristocratico padre; il quale, convolato poi a giuste nozze con una
damigella del suo rango, abbandonò madre e figlia infliggendo alla
futura autrice una ferita morale di cui molti scritti, anche teatrali,
portano la traccia.
«C’è chi dice che dovrei fare l’amore, e non scrivere libri...»
Sposata a sedici anni con un giovane che non ama e da cui ha un
figlio, vedova poco dopo, Marie si lega a un ricco commerciante,
Jacques Biétrix, e nel 1767 la coppia insieme al figlio parte per Parigi,
lasciando per sempre Montauban e la vita di provincia.
Bella, corteggiata, piena di verve meridionale e d’intraprendenza,
nella capitale Marie assapora per la prima volta la libertà. Oltre a
Biétrix ha numerosi amanti, tra cui forse lo stesso duca d’Orléans, il
futuro Philippe-Egalité. Quel che è certo è che il teatro e la letteratura
la attirano: senza una cultura alle spalle, abituata al dialetto di
Montauban più che al francese, con una scelta per più versi
sorprendente Marie decide di affermarsi come autrice. A segno di una
continuità affettiva declinata unicamente al femminile, assume il
nome della madre, modifica il cognome, diventa «Olympe de
Gouges» e si converte, a trentasei anni, da femme galante a
drammaturga e romanziera. Cambia le frequentazioni mondane, entra
nei circoli intellettuali, si lega all’influente marchesa de Montesson,
come lei appassionata di teatro, e al drammaturgo Louis-Sébastien
Mercier, che di lei elogerà spesso il talento e l’inventiva. Più tardi
Olympe dirà di sé: «La letteratura è stata per me una passione che
sfiora il delirio, una passione che mi ha costantemente occupata per
dieci anni della mia vita e che ha le sue inquietudini, i suoi allarmi, i
suoi tormenti, come l’amore».
«La Rivoluzione è in atto, e io la seguo con la tenerezza di una
madre…»
Nel 1788, con la Rivoluzione alle porte, in parallelo alla scrittura
teatrale e ai romanzi Olympe de Gouges inizia un’appassionata attività
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Franca Zanelli Quarantini
di opinionista politica. I suoi pamphlets, i suoi Progetti utili e salutari,
le sue lettere aperte – al popolo, al re, alla regina, alle donne tutte, e
più tardi a Marat, a Robespierre –, vengono diffusi per Parigi e spesso
è lei stessa ad affiggerli con le proprie mani agli angoli delle strade. A
volte si firma con pseudonimi, oppure si definisce «un animale senza
uguali», «né uomo né donna», ed è soprattutto la sua parte virile a
prevalere in questi interventi, dove la sfida aperta è quella contro il
potere maschile dei rappresentanti politici della Nazione.1 Nel 1791 il
suo manifesto protofemminista, la Dichiarazione dei diritti della
donna, che tanta eco ha avuto nei secoli successivi, è un’esplicita
messa in causa del mondo nuovo, fondato su «libertà, uguaglianza,
fraternità», ma da cui le donne, anche per loro colpa, sono escluse. Più
che difenderle, nel suo testo spesso l’autrice le arringa, le schiaffeggia,
le smaschera: «Le donne hanno fatto più male che bene. Schiavitù e
dissimulazione, ecco cosa toccò loro in sorte; ma tu svegliati, donna!
La campana della ragione sta suonando in tutto l’universo, riscopri i
tuoi diritti!...»
Inevitabilmente, la frenetica parabola rivoluzionaria tra il 1789 e il
’93 incide sull’andamento contrastato dei suoi scritti: partita da aperte
simpatie monarchiche, dopo la fuga della famiglia reale a Varennes
(giugno 1791) de Gouges passò all’esplicita condanna di Luigi XVI e
Maria Antonietta, sordi alle nuove istanze popolari; ma nell’inverno
1792, durante il processo al re, si oppose alla pena capitale, caldeggiò
l’esilio e perfino si offrì come avvocato difensore del monarca; fu
l’ennesima imprudenza cui si aggiunse, poco dopo, una serie di
pamphlets particolarmente aggressivi contro Robespierre, di cui
Olympe condannava la connivenza con i sanculotti, autori dei tragici
giorni del settembre 1792 – quando, con processi sommari, migliaia di
prigionieri vennero massacrati e la testa della principessa de Lamballe,
intima della regina, fu esibita per le strade di Parigi issata su una
picca. È l’inizio del Terrore, la fase più sanguinosa della Rivoluzione
contro cui Olympe oppone la sua utopistica idea di una rivoluzione
«cosparsa di fiori». A segnare la sua fine, nel 1793, è un pamphlet
intitolato Le tre urne o la salvezza della patria da parte di un
1
Si veda al riguardo Olympe de Gouges, La musa barbara. Scritti politici (17881793), a cura di F. Zanelli Quarantini, Milano, Medusa, 2009.
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viaggiatore volante (Les trois urnes ou le salut de la patrie par un
voyageur aérien), ove l’autrice propone alla Francia di scegliere con
regolari elezioni fra tre diverse forme di governo – repubblicano,
federale, monarchico. Accusata per questo e altri scritti «sovversivi»
di attentare alla sovranità popolare, «nel disprezzo delle leggi contro
chiunque proponga un'altra forma di governo diverso dal
repubblicano», dopo un processo-burla in cui le fu negato perfino un
avvocato – «Avete abbastanza spirito per sapervi difendere da sola»,
le fu risposto –, Olympe de Gouges è condannata a morte e
ghigliottinata dodici giorni dopo l’esecuzione di Maria Antonietta.
«Ho avuto in dono dalla natura il talento drammatico».
Secondo un’usanza all’epoca frequente anche tra le classi alte, la
nostra autrice si circondò di segretari, cui dettava i propri scritti; per
questo motivo qualcuno – tra cui, sembra, lo stesso Beaumarchais – la
accusò di analfabetismo e sparse la voce che i suoi drammi fossero
scritti da altri. Di rimbalzo, e incurante delle conseguenze delle sue
vivacissime reazioni, lei contrattacca e deride chi la osteggia;
consapevole delle proprie carenze culturali, ma fiera del suo talento e
delle sue qualità immaginative, («l’impronta naturale del genio è in
tutte le mie produzioni», afferma con l’enfatica convinzione che le è
propria), Olympe difende in questi termini la propria estetica del
naturel:
Qualcuno mi dirà che bisogna rinunciare a scrivere quando non
si possiede altro che un’immaginazione naturale, sempre
sgradita ai cosiddetti intenditori. Risponderò che al mondo tutto
è uscito dal seno dell’ignoranza, e che se le arti sono al punto in
cui sono lo devono unicamente al genio naturale. Il caso mi ha
privato di lumi in questo fulgido secolo. Io non so molto; in testa
ho solo poche nozioni ben chiare e una grande dimestichezza
con la scena. Il più grande rimprovero che mi si può fare è
quello di ignorare l’arte di scrivere con l’eleganza oggi richiesta;
ma non ci proverei nemmeno se pensassi che adottando quel
linguaggio potrei perdere la mia naturalezza. Forse mi
perdonerete, grazie alle novità che apporto, i miei errori di stile,
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Franca Zanelli Quarantini
le mie frasi più sensibili che eleganti, e tutto quello che nei miei
scritti respira verità.2
Questo rifiuto delle convenzioni può lasciare perplessi se collocato
nel tempo rivoluzionario, quando la scena teatrale conosceva una
libertà d’azione impensabile in pieno Ancien Régime. Accanto ai
generi tradizionali (tragedie, opéras-comique, vaudevilles), ne
nascevano altri, in sintonia coi tempi e più vicini ai gusti di un
pubblico eterogeneo, che cercava sulla scena il riflesso dell’agitata
realtà quotidiana: «drammi domestici», «patriottici», «storici», «della
vita parigina», «della vita privata», «della vita militare», «scene
buffe», e perfino «sanculotterie». Era un teatro per molti versi
sperimentale, con una nozione di bello assai fluttuante e un’unica
condizione da rispettare: quella di contribuire a rafforzare nel pubblico
le virtù civiche e morali, patriottiche e repubblicane.
«L’autore è una donna!…»
Il momento storico sembrerebbe più che mai propizio a Olympe de
Gouges, drammaturga e rivoluzionaria, che usa la scena come
un’immaginaria tribuna da cui parlare alle coscienze di libertà e di
virtù. Ma questa donna segnata dalla propria nascita illegittima ha un
carattere indomito, una personalità debordante, una creatività febbrile.
Inoltre è una grafomane e un’improvvisatrice, cui la «passione
ispirata» concede tempi di stesura sorprendenti: compone le sue pièces
in tre giorni, talvolta in sole ventiquattro ore. Infine, sogna per i propri
drammi non un qualsiasi teatro parigino, ma la Comédie-Française, il
tempio della tradizione teatrale francese. Tanta ambizione ovviamente
non piacque: in anni in cui un’identità pubblica era di norma negata
alla donna, specie se di animo e costumi liberi, la tendenza
all’ostentazione faceva di Olympe de Gouges un caso inquietante,
un’anomalia da arginare, una diversità da tacitare. Come di fatto
avvenne.
Nel 1784 l’autrice, che ha al suo attivo una trentina di drammi (di
cui solo tre sono giunti fino a noi),3 precedendo di quattro anni la
2
Prefazione a L’Uomo generoso (L’Homme généreux, 1785).
Introduzione
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creazione della «Società degli Amici dei Neri» voluta da Brissot e
Condorcet, propone alla Comédie-Française una pièce sulla schiavitù
dei neri, Zamor e Mirza o il naufragio fortunato (Zamor et Mirza ou
l’heureux Naufrage).4
La commedia, che per prima trattava in Francia il problema dello
schiavismo, aveva come protagonista un giovane nero, colpevole di un
omicidio d’onore, un po’ alla maniera degli eroi-paria cari al futuro
teatro romantico. Tanta novità non suscitò entusiasmo: sollecitata
dalla marchesa di Montesson, la Comédie-Française accettò a
malincuore la commedia «con correzioni», poi però non la mise in
scena. Dopo cinque anni di rinvii e perfino il rischio di un processo
per diffamazione – in una lettera Olympe paragonava gli attori della
Comédie a «una scuderia di cavalli recalcitranti» –, nel 1789 la pièce
fu messa finalmente in cartellone con un nuovo titolo, La Schiavitù dei
Neri o il Naufragio fortunato (L’Esclavage des Noirs ou l’heureux
Naufrage). Gli attori però, perplessi di fronte a un argomento tanto
spinoso, si rifiutarono di comparire in scena col volto tinto di nero e
imposero all’autrice (che alla fine accettò) di spostare
inverosimilmente l’azione della commedia in India e trasformare i
personaggi di colore in ‘selvaggi’.
La sera della prima (28 dicembre 1789), fin dall’inizio la cabala dei
ricchi proprietari di schiavi e piantagioni oltreoceano disturbò lo
spettacolo con commenti ironici e vari brusii; poi, al secondo atto, una
voce gridò «L’autore è una donna!…» e il teatro fu sommerso da
fischi e risate. A partire da quella sera la Comédie-Française non
accettò più le pièces della nostra autrice, che decise di pubblicarle a
proprie spese ma con modalità tutte particolari, come tra poco si dirà.
«Che io sia al di sopra della mediocrità, lo dice il mio teatro».
La preoccupazione umanitaria, sociale e politica – in una parola,
rivoluzionaria – non impronta soltanto la sfortunata Schiavitù dei
3
Si tratta de Il Matrimonio inatteso di Cherubino (Le Mariage inattendu de
Chérubin, 1786), Il Filosofo ravveduto (Le Philosophe corrigé, 1787) e Molière a
casa di Ninon (Molière chez Ninon, 1788).
4
In Francia, la lotta per l’abolizione definitiva della schiavitù trionferà solo nel
1848.
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Franca Zanelli Quarantini
Neri; essa era già fortissima ne L’uomo generoso (L’homme
généreux,1786), ove l’autrice difende la necessità di soccorrere chi, in
prigione per debiti, non è in grado di sostenere la famiglia, e ne Il
Filosofo ravveduto (Le Philosophe corrigé, 1787), una commedia
sull’infedeltà coniugale, preparatoria a La necessità del Divorzio (La
nécessité du Divorce, 1790), dal piglio polemico e riformista. Dello
stesso anno è Il Convento o i Voti forzati (Le Couvent ou les Vœux
forcés), centrata sul tema all’epoca scottante delle vocazioni religiose
imposte alle figlie dai genitori. Su un registro più leggero sono Il
Matrimonio inatteso di Cherubino (Le Mariage inattendu de
Chérubin, 1784), un divertente sequel del Matrimonio di Figaro di
Beaumarchais, e Molière a casa di Ninon o il secolo dei grandi
Uomini (Molière chez Ninon ou le siècle des grands Hommes, 1787),
una commedia animata da un’instancabile volontà di ‘non finire’ e
suddivisa in molteplici momenti narrativi, ognuno dei quali sviluppa
un’azione, la conclude e accende al tempo stesso l’attesa per l’azione
successiva. Di fronte a questa curiosa modalità drammaturgica, inedita
al suo tempo, viene da pensare che l’autrice stia sperimentando una
tecnica già seriale che, con i dovuti aggiustamenti, secoli dopo farà la
fortuna della telenovela.
Insofferente rispetto al canone teatrale settecentesco, nelle
commedie ispirate a precisi eventi rivoluzionari l’autrice dà invece
libero corso a una spettacolarità ai limiti del temerario. Messa in scena
per due sole serate al Théâtre de la République nel gennaio 1793,
L’ingresso di Doumouriez a Bruxelles (L’entrée de Doumouriez à
Bruxelles, 1793) è una pièce repubblicana ambientata nella capitale
belga nei giorni dell’occupazione della città da parte del generale
Doumouriez, vincitore a Jemappes e Valmy; vi sono previsti ben
ventisei personaggi cui si aggiungono le masse dei soldati francesi e
prussiani chiamati a contrappuntare tre intrecci paralleli
(rivoluzionario, amoroso e burlesco) con una «action guerrière», ossia
una vera e propria azione di guerra, da compiere in scena. Questo
teatro aperto, fatto di masse in movimento con accompagnamento
musicale, se da un lato gareggia con le imponenti fêtes
révolutionnaires in auge in quegli anni, dall’altro anticipa
innegabilmente i maggiori drammi romantici – da Cromwell a
Introduzione
15
Lorenzaccio – il cui portato innovativo è anche il frutto di un
prodigalità visiva ai limiti dell’irrappresentabile.
Nel Mirabeau ai Campi Elisi (Mirabeau aux Champs-Elysées,
1791), rappresentato per una sola serata al Théâtre Favart pochi giorni
dopo la morte di Mirabeau, con l’espediente della nube di vapore che
sfuma in una dissolvenza incrociata, si schiude davanti agli occhi del
pubblico un mondo di ombre; e in quell’empireo le anime di Voltaire,
Rousseau, Montesquieu, Luigi XIV e di altri eletti discettano in attesa
del nuovo arrivato, Mirabeau appunto: che, una volta giunto tra i
grandi, ascolta con viva commozione il racconto del proprio
imponente funerale per bocca di un giovane, entusiasta testimone, a
sua volta asceso precocemente ai Campi Elisi… Come tacere, poi, tra
i personaggi in scena ne Gli Aristocratici e i Democratici o i Curiosi
al Campo di Marte, la coppia formata dal «Nonno Ambroise, cieco, e
Jacquot, il suo cane, entrambi aristocratici», perseguitati dai
rivoluzionari, in fuga per Parigi e digiuni da due giorni? Dalle
scenografie imponenti alla trouvaille amena, Olympe de Gouges ogni
volta vivifica un’azione drammatica dettata dall’urgenza degli eventi e
composta di getto, in poche ore.5
«Difendo la mia originalità».
Dopo il fiasco de La Schiavitù dei Neri l’autrice si confermò nella
necessità di un’agguerrita presa di parola, da attuarsi attraverso la
pubblicazione tempestiva della sua intera opera teatrale: un’impresa
che la rovinò finanziariamente e in cui è la condizione di scrittrice,
drammaturga, polemista e figlia illegittima a reclamare il riscatto. Non
agli occhi di pochi, ma dell’intero «genere umano».
Quando la posta è alta – in questo caso, il riconoscimento
universale –, le strategie discorsive possono a loro volta sconfinare in
territori incogniti. L’autrice infatti non si limitò a stampare il suo
teatro nella forma originaria: cercò tra le sue carte le lettere che
avevano scandito il suo sofferto rapporto con la Comédie-Française, e
5
Ciò non dispose in suo favore la maggior parte dei critici del tempo: L’ingresso
di Doumouriez…, per esempio, fu giudicata da Guénégaud «una mostruosità […] al
di sotto di un’analisi appena approfondita»; piacque invece a Louis-Sébastien
Mercier, che la definì «una commedia alla Shakespeare, un genere non ancora
adottato dai francesi».
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Franca Zanelli Quarantini
ritrovò perfino gli appunti relativi ai Bollettini segreti in cui gli attori
esprimevano il loro giudizio sulle commedie in lettura, decidendo la
sorte delle stesse. Per rendere pubblica la tortuosa verità dei suoi
contatti con l’onnipotente teatro, le lettere e i Bollettini andarono a
confluire nelle lunghe, talvolta lunghissime Prefazioni e Postfazioni
d’accompagnamento alle commedie: ove Olympe de Gouges,
parlando ovviamente alla prima persona, dà corso alle sue accorate
proteste di donna-autrice respinta dal potere maschile.
Per l’epoca, svelare il mistero di quei bollettini e di quelle riunioni
– con i più celebri attori dell’epoca raccolti in conclave in una stanza
della Comédie-Française – fu un atto di sfida davvero dissacrante, che
più tardi suggerì a un illustre comédien del tempo, Fleury, questa
battuta velenosa: «A una certa donna, che è anche autrice, la signora
de Gouges, regalerei volentieri un paio di rasoi». Non si contano gli
appellativi inventati per diffamarla nel corso di due secoli: Retif de la
Bretonne la inserì sbrigativamente nella «Lista delle prostitute di
Parigi», i Goncourt la definirono una «sfrontata», una «squilibrata»,
Michelet si limitò a vedere benevolmente in lei una «pazza eroica»,
altri «una baccante», qualcuno perfino un «caso di possessione». In
nessun caso la sua opera teatrale viene presa nella dovuta
considerazione. Oggi invece, che la prospettiva è diversa, questi
inconsueti paratesti d’accompagnamento mettono a disposizione del
lettore una sorta di seconda pièce, godibile quanto la commedia cui si
accompagna e forse di più, perché registrata – per così dire – dal vivo.
Così facendo, inoltre, l’autrice ribalta i convenzionali paradigmi
della comunicazione letteraria. Senza distinguere tra centralità e
margini, tra testo e paratesto, le sue dilaganti Prefazioni e Postfazioni
spostano il peso del messaggio dall’oggetto letterario in senso stretto –
il testo teatrale, provvisto anche tipograficamente di un inizio e una
fine – a un flusso di parola debordante e spesso inarrestabile: pagine in
margine ove tra digressioni, aggressioni, smascheramenti e
immersioni nel privato emerge la vera storia della tempestosa carriera
letteraria di una donna del secondo Settecento. Esclusa dalla scena e
invisa agli attori, questa drammaturga decisa ad affermare «la libera
comunicazione dei pensieri e delle opinioni», non poteva che costruire
il proprio discorso di denuncia sui margini – soglia simbolica per le