1 FORZE AGENTI SU CARICHE IN MOTO Per molti secoli il magnetismo rimase separato dallo studio dei fenomeni elettrici. La svolta che avvicinò il magnetismo all’elettricità avvenne tra il 1819 e il 1820, per opera di H.C. Oersted (1777-1851), professore di fisica presso l’Università di Copenaghen. Durante un ciclo di lezioni sugli effetti termici delle correnti e sulla possibile influenza della corrente sugli aghi magnetici, si accorse che, nel caso in cui il filo e l’ago erano paralleli, la corrente deviava l’ago di una bussola. Si era provato che le correnti elettriche influivano sui magneti naturali. Nel prossimo capitolo studieremo i risultati essenziali dei lavori che parlano dell’influenza delle correnti sui magneti naturali (e tra di loro). Ora procederemo in maniera opposta e parleremo dell’influenza dei magneti naturali sulle cariche in moto e quindi sui fili percorsi da corrente. In altre parole, poiché la corrente elettrica può influire sui magneti, è ragionevole pensare che anche i magneti con il loro campo possano influire sulle correnti elettriche. Le correnti elettriche sono cariche in movimento e quindi ci aspettiamo che una forza prodotta dai magneti possa agire sulle cariche in moto. 2 La forza di Lorentz L’esperienza ha mostrato che su una carica Q, che si muove con velocità v in una regione in cui è presente il vettore induzione magnetica B, si esercita una forza data da F = Qv ∧ B (1) Il verso della forza dipende anche dal segno della carica Q. Tale forza è detta forza di Lorentz. La (1), come nel caso della forza di Coulomb per il campo elettrico, può essere presa come definizione di B. L’unità di misura di B è chiamata tesla (T ) ed è uguale ad una forza divisa per l’unità di carica e per la velocità: Ns Vs = 2 Cm m All’unità volt × secondo si dà il nome di weber (Wb). Allora B= 1 Wb = 1tesla (T ) m2 Un Tesla è una quantità molto elevata. Si pensi che il campo magnetico vicino alla superficie della Terra è 0, 5 · 10−4 T . Talvolta si usa il gauss (G) un’unità di misura presa in prestito dal Sistema CGS di Gauss: 1G = 10−4 T . Se nella stessa regione è presente anche un campo elettrico la forza totale agente sulla carica diventa: B= F = QE + Qv ∧ B 2.1 (1a) Esempi Mostriamo alcune applicazioni della forza di Lorentz: Esempio 1: La frequenza di ciclotrone. Si abbia un campo uniforme B ed una particella con carica Q, che si muove con velocità v in un piano ortogonale a B. Su di essa si eserciterà una forza magnetica che supporremo avere il verso disegnato in figura: La particella si muoverà su di una circonferenza e quindi la forza magnetica produrrà un’accelerazione centripeta che può essere subito determinata: QvB M ac = ovvero QvB v2 = R M da cui possiamo ricavare sia il raggio della circonferenza R= Mv QB (E1) sia la velocità angolare (unità di misura: radianti/s) v QB = R M sia la frequenza (unità di misura: giri/s) ωc = 2 (E2) ωc QB = (E3) 2π 2πM Tale frequenza è detta di ciclotrone e, come si vede, non dipende dalla velocità della particella carica. Allora, qualunque sia la velocità della particella essa si muoverà su di una circonferenza, il cui raggio dipende dalla velocità, ma la cui frequenza di rotazione è la stessa per tutte le velocità. Esempio 2: I selettori di velocità Nell’equazione che governa il moto di una particella carica Q immersa in un campo elettrico E e in un campo B, νc = dv = QE + Qv ∧ B (E4) dt manovrando sui valori dei due campi si può rendere nulla la forza agente sulla particella, in corrispondenza di un determinato valore della velocità. In tal caso M E = −v ∧ B (E5) e sulla particella che si muove, in un piano ortogonale a B, con una velocità il cui valore è E (E6) B non agirà alcuna forza. In altre parole, operando sui campi E e B si possono selezionare particelle con differenti valori delle velocità (quelle per le quali vale la (E6)), in quanto esse e solo esse si muoveranno indisturbate attraverso i due campi, mentre le altre saranno deviate. Esempio 3: Il moto in un campo magnetico uniforme. Risolveremo ora, con un maggior dettaglio, il problema del moto di una particella carica in moto in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo. Supponiamo di avere un campo B, uniforme e costante nel tempo diretto lungo l’asse z (B = Buz ) e di voler risolvere la seguente equazione: v= M dv = Qv ∧ B dt 3 (E7) Tale equazione può decomporsi nelle sue tre proiezioni lungo gli assi cartesiani: M dvx = vy BQ dt M dvy = −vx BQ dt M dvz =0 dt (E8) Notiamo immediatamente che la componente della velocità lungo l’asse z, cioè nella direzione del campo, è costante. Il moto della particella è uniforme nella direzione del campo, mentre è, come mostreremo, praticamente circolare uniforme, nel piano ortogonale alla direzione del campo. Per sostituzione diretta si può verificare che le equazioni per le altre due componenti della velocità siano vx (t) = A cos (ωt + φ) vy (t) = D sin (ωt + φ) (E9) dove q BQ 2 + v2 = v (E10) A = −D A = v0x 0y M Il valore di A dipende dal valore delle componenti iniziali della velocità lungo i due assi x ed y, cioè dal valore delle componenti della velocità nel piano ortogonale al campo B. Le soluzioni per le velocità possono essere integrate e si ottiene: ω = ωC ≡ x (t) = x0 + A sin (ω C t + φ) ωC y (t) = y0 + A cos (ω C t + φ) ωC (E11) Come annunciato, il moto nel piano ortogonale al campo magnetico è un moto circolare, con una frequenza pari alla frequenza di ciclotrone. Il raggio di tale circonferenza si trova facilmente. Quadrando le (m) si ha 2 (x (t) − x0 ) = A2 2 sin (ω C t + φ) ω 2C 2 (y (t) − y0 ) = A2 cos2 (ω C t + φ) ω 2C e sommando membro a membro si ottiene 2 2 (x (t) − x0 ) + (y (t) − y0 ) = A2 ω 2C da cui R= A v = ωC ωC che è il raggio di ciclotrone. In conclusione, il moto di una particella carica in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo è la composizione di un moto traslatorio uniforme nella direzione del campo e di un moto circolare uniforme nel piano ortogonale al campo. Tale moto è detto elicoidale e il passo dell’elica è L = vz T 4 dove vz è la componente della velocità nella direzione del campo e T il periodo del moto circolare nel piano ortogonale al campo. Esempio 4: Campi elettrici e magnetici incrociati. Supponiamo di avere, oltre ad un campo B uniforme e costante nel tempo, anche un campo elettrico E uniforme e costante nel tempo. L’equazione del moto, in questo caso, diventa dv = QE + Qv ∧ B dt Per risolverla useremo il seguente artifizio: ci porteremo in un differente sistema di riferimento, in moto rispetto al precedente (quello dal quale la velocità della particella in moto è v) con una velocità M E∧B (E12) B2 Rispetto a tale nuovo riferimento la velocità della particella in moto è V= v0 = v − E∧B B2 (E13) e la nuova equazione del moto diventa Q dv0 = qE + qv0 ∧ B + 2 [(E ∧ B) ∧ B] dt B Inoltre, poiché (a ∧ b) ∧ c = (a · c) b − (b · c) a, troviamo M (E ∧ B) ∧ B = B (B · E) − B 2 E (E14) (E15) e la (E14) diventa dv0 Q (E16) = Qv0 ∧ B + 2 B (B · E) dt B Nell’ipotesi che il campo elettrico e quello magnetico siano ortogonali, il secondo termine al secondo membro è nullo e si può scrivere M 5 dv0 = Qv0 ∧ B (E17) dt Nel nuovo sistema di riferimento il campo elettrico è scomparso. La (E17) è stata risolta nel precedente esempio. Assumiamo che il campo magnetico sia nella direzione dell’asse z e il campo elettrico sia diretto, rispetto al riferimento iniziale, lungo l’asse x. Allora, la soluzione del problema del moto, nel riferimento iniziale, diventa M x (t) = x0 + 3 A E sin (ω C t + φ) + t ωC B y (t) = y0 + A cos (ω C t + φ) ωC Il lavoro della forza di Lorentz Qualunque forza agente su una particella, quando ne provoca uno spostamento, compie un lavoro. Questo può essere positivo, negativo o nullo. Se il lavoro fatto lungo una traiettoria chiusa risulta nullo, normalmente si dice che la forza è conservativa. Ora, calcoleremo il lavoro fatto dalla forza di Lorentz su di una carica in moto, per mostrare che la condizione, perché una forza sia conservativa, è più stringente. Il lavoro infinitesimo fatto dalla forza di Lorentz su di una carica in moto con velocità dL = Qv ∧ B · dr Poiché la velocità e lo spostamento infinitesimo sono paralleli, il secondo membro è sempre nullo. Conclusione: il lavoro fatto dalla forza di Lorentz è sempre nullo; in altre parole, la forza di Lorentz non provoca alcuna variazione di velocità della particella carica. Se si calcola il lavoro lungo una traiettoria chiusa, si troverà che esso è nullo. Si potrebbe concludere che la forza di Lorentz sia conservativa. In realtà, nella definizione di forza conservativa deve essere aggiunta l’ipotesi che la forza sia dipendente solo dalle coordinate. Poiché, la forza di Lorentz dipende dalla velocità della particella, pur essendo nullo il lavoro lungo un percorso chiuso, manca a tale forza una condizione per poterla definire conservativa. 4 Forza agente su tratti di fili: seconda formula di Laplace Supponiamo di avere un filo metallico, percorso da una corrente I, posto in una regione in cui è presente un campo costante ed uniforme B. Sia L la lunghezza del filo ed δa la sua sezione trasversa. 6 Consideriamo un tratto di filo di lunghezza δl, in maniera tale che il campo B agente su ciascuna carica in movimento (la loro velocità è assunta costante ed uguale alla velocità di deriva), nel tratto considerato, sia costante (in modulo, direzione e verso e non dipenda dal tempo). Con queste precisazioni, possiamo dire che su ciascuna carica in moto, all’interno del tratto considerato, agisce la stessa forza di Lorentz e la forza totale agente su tutto il tratto di filo considerato sarà la somma delle forze che agiscono sulle singole cariche: Fδl = Qδl v ∧ B (2) Qδl = ρδaδl (3) dove Qδl è la carica totale delle cariche in moto, con velocità v, contenute nel tratto δl. Se ρ è la densità di cariche in moto, la carica totale contenuta nel tratto δl si può scrivere come Allora, Qδl v = ρδaδlv = jδaδl Nell’ipotesi che sia stazionaria, la corrente si può scrivere I = jδa e Qδl v = Iδl (4) dove la direzione e il verso della corrente sono state prese da δl. La forza magnetica esercitata da B sul tratto di filo diventa Fδl = Iδl ∧ B (5) che è nota come seconda formula di Laplace. Se il conduttore è rettilineo ed il vettore B è costante ed uniforme per l’intero tratto del filo, avremo: X Fδl = Il ∧ B (6) Fl = δl La (6) che chiameremo forza di Laplace del campo magnetico sui conduttori rettilinei percorsi da corrente, può essere usata per definire e misurare il campo B. Il campo di induzione magnetica B si misura in 7 [B] = 5 N Am L’azione magnetica su un circuito: il dipolo magnetico La forza di Laplace ci dice come il campo magnetico esercita la sua influenza su tratti di un filo. Ma un tratto di filo non costituisce un circuito. Per sapere la reale azione magnetica su di un filo percorso da corrente dobbiamo chiudere il filo e trasformarlo in circuito. Utilizzeremo come circuito una spira quadrata (circuito elementare a forma quadrata, sufficientemente piccolo e rigido da avere, la superficie che esso racchiude, un unico versore). Si abbia, allora, una spira quadrata rigida, percorsa da corrente I, con i lati paralleli agli assi x ed y, immersa in una regione dello spazio in cui sia presente il campo B, supposto costante ed uniforme in tutto lo spazio dove è presente la spira e diretto lungo la direzione positiva dell’asse x (B = Bux ). Suddividiamo il calcolo della forza agente su tutta la spira in quattro parti, tante quanti sono i lati della spira. Numeriamoli come in Figura. Nei tratti 1 e 3 la corrente è parallela (o antiparallela) al campo, quindi non si esercita alcuna forza sulle cariche in moto che costituiscono la corrente in tali tratti. Possiamo dire che sui tratti 1 e 3 del filo non si esercita, da parte del campo, alcuna forza. Nei due tratti rimanenti avremo invece: F2 = Il2 ∧ B = IlBuy ∧ ux = −IlBux ∧ uy = −IlBuz F4 = Il4 ∧ B = −IlBuy ∧ ux = IlBux ∧ uy = IlBuz Queste due forze sono uguali ma di segno opposto. 8 Sebbene la forza totale sia nulla, poiché le due forze non agiscono lungo la stessa retta di azione (agiscono su due rami differenti del circuito), vi sarà una coppia che tenderà a far ruotare la spira intorno al suo centro. Possiamo dire che l’azione del campo magnetico su una spira non è una forza ma un momento di una coppia. Il momento della coppia non dipende dal polo rispetto al quale è calcolato e risulta uguale al prodotto dell’intensità della forza per il braccio (che in questo caso è uguale alla lunghezza di un lato della spira). Allora, il momento della coppia agente sulla spira sarà: τ = Il2 B (7) Tale momento si può pensare costituito da due quantità: la corrente per l’area della spira (Il2 ) ed il campo B. Se aggiungiamo a Il2 il versore nella direzione dell’asse z (cioè ortogonale alla superficie piana determinata dalla spira) potremo definire un nuovo vettore, dI , che chiameremo momento di dipolo magnetico: dI = Il2 uz 9 (8) In generale, il momento di dipolo sarà il prodotto di una corrente per un’area orientata. Direzione e verso sono determinati dal verso della corrente e dalla regola della mano destra usata per orientare le aree. Allora, l’azione del campo magnetico sulla spira è pari al momento di una coppia e la sua espressione si potrà scrivere, in termini vettoriali, come segue: τ = dI ∧ B (9) Le dimensioni del momento di dipolo magnetico sono quelle di una corrente per un’area (Nel SI si misura in ampère metro quadro): [dI ] = Am2 Come agisce il momento della coppia? Se la spira avesse la direzione del suo momento nella direzione del campo (in questo caso la spira sarebbe nel piano yz) il momento sarebbe nullo (posizione di equilibrio della spira). Se si discosta da tale posizione, il momento della coppia tenderà a far assumere alla spira un orientamento perpendicolare al campo magnetico: la spira si gira in modo da allineare dI con B. Se la spira fosse ancorata in modo appropriato (per esempio per il suo centro) essa, allontanata dalla posizione di equilibrio, oscillerebbe intorno a tale posizione fino a quando non la raggiungerebbe. Possiamo generalizzare il precedente risultato e dire che l’azione del campo magnetico, uniforme e costante, su di un circuito elementare di forma qualsiasi è pari al momento di una coppia, che si ottiene come prodotto vettoriale tra il momento di dipolo magnetico, associato al circuito, ed il campo magnetico. In definitiva, l’azione magnetica sulle cariche in moto è riconducibile ad una forza (quella di Lorentz), ma l’azione magnetica su circuiti è sempre un momento e l’elemento caratterizzante il circuito è il momento di dipolo magnetico. In altre parole, l’azione dei campi magnetici sui circuiti è più simile all’azione elettrica sui dipoli elettrici, che non all’azione elettrica su cariche elettriche. Questa similarità sarà analizzata in maggior dettaglio nei complementi. 10 Per determinare il verso del momento magnetico associato ad una spira, si usa la regola della mano destra (dovuta ad Ampère): Se le dita seguono la corrente che circola nella spira, il pollice indicherà il verso del momento magnetico. Se le spire sono N , parallele ed immerse nello stesso campo B omogeneo ed uniforme, il momento di dipolo magnetico sarà dato da dI = N Il2 ua 5.1 (10) Campo magnetico su aghi magnetici Comportamento analogo a quello della spira si riscontra per un ago magnetico immerso in un campo magnetico. Si può associare, ad ogni ago magnetico, un momento magnetico dM che è una grandezza che dipende solo dall’ago magnetico, la sua direzione e verso va dal polo sud a quello nord, ed anche per esso si trova sperimentalmente che l’azione del campo sul magnete si riduce all’azione di un momento torcente la cui espressione è τ ∝ dM ∧ B (11) La similarità tra ago magnetico e spira percorsa da corrente fu individuata da Ampère ed è nota come teorema di equivalenza di Ampère. 5.2 Esempi Ora mostrremo alcuni esempi di azioni magnetiche su spire percorse da correnti Esempio 1: 6 Il segno dei portatori di carica nei metalli Stabiliamo se è importante sapere, per la corretta applicazione della forza di Laplace sui conduttori, il segno delle cariche in moto. Supponiamo che le cariche 11 in moto siano quelle positive e siano dirette lungo l’asse x: Inoltre, lungo l’asse y sia diretto il campo B. In tal caso, la forza di Lorentz agente su ciascuna carica, e quindi sull’intero conduttore, è diretta lungo l’asse z. Supponiamo ora che le cariche in moto siano le cariche negative (questa è la realtà). Esse si muoveranno ancora lungo l’asse x, ma nel verso negativo. Tuttavia, poiché il segno della carica delle particelle è cambiato, la forza di Lorentz su ciascuna carica, e quindi su tutto il conduttore, sarà ancora diretta lungo la direzione positiva dell’asse z. In conclusione, non ha importanza la determinazione del segno delle cariche in moto, per la corretta applicazione della forza di Laplace. In altre parole, dalla conoscenza dell’azione dei campi magnetici esterni sui conduttori filiformi, non è possibile stabilire il segno dei portatori di carica nei conduttori. Possiamo, allora, dire che il vettore uv indica il verso della corrente I, senza alcuna altra precisazione (anche se il moto reale è opposto al verso convenzionale della corrente). 12 7 Effetto Hall Una corrente elettrica in un conduttore equivale al moto di cariche elettriche al suo interno. Queste cariche, essendo microscopiche, non sono visibili. Si pone allora il problema di determinare il loro segno e la loro densità. Oggi sappiamo che le cariche in moto sono gli elettroni ma nel secolo scorso non si conosceva la loro natura. Nel 1879 Edwin Hall elaborò un esperimento per determinare sia il segno delle cariche in moto che la loro densità di carica. Supponiamo di avere un conduttore non più filiforme ma a forma di parallelepipedo come in figura Assumiamo che la corrente fluisca nella direzione dell’asse x. Inoltre, il conduttore sia immerso in un campo B diretto lungo la direzione dell’asse y. Non conoscendo il segno delle cariche in moto analizziamo cosa accade ad una carica di segno positivo e ad una di segno negativo in moto nel conduttore. Poiché la corrente fluisce in direzione dell’asse x, una carica positiva si deve muovere lungo tale direzione. Dal momento che la corrente è costante possiamo scrivere I = nqvδa (12) dove n è la densità numerica delle cariche in moto, q la loro carica, v la loro comune velocità costante, e δa è la sezione trasversa (la base) del nostro conduttore. In particolare, δa = ld dove l è la larghezza del conduttore mentre d è lo spessore. Allora, una carica positiva si muove lungo l’asse x con velocità v data da v= I nqδa (13) Poiché la carica è in moto in un campo magnetico B, su di essa si esercita la forza di Lorentz la cui intensità è F = qvB 13 (14) La direzione e il verso sono quelle dell’asse z: le cariche positive tenderanno ad accumularsi sulla faccia ortogonale alla direzione positiva dell’asse z (e quelle negative, sulla faccia ortogonale alla direzione negativa dell’asse z ). Se invece le cariche in moto sono negative, la direzione della velocità sarà lungo l’asse x ma nel verso negativo. La forza di Lorenz agente sulle cariche è ancora data dalla (3) ed essendo cambiato sia il segno delle cariche che quello delle velocità, la sua direzione e verso saranno ancora quelli dell’asse z positivo: le cariche negative tenderanno ad accumularsi sulla faccia ortogonale alla direzione positiva dell’asse z (e quelle positive sulla faccia ortogonale alla direzione negativa dell’asse z ). Allora, se le cariche in moto sono positive, un voltmetro, collegato alle due faccie del conduttore, segnalerebbe che la faccia superiore è a potenziale maggiore di quella inferiore, viceversa nel caso in cui le cariche in moto siano quelle negative. La semplice polarità del potenziale darà il segno delle cariche in moto. Ma come valutare questo potenziale? Le cariche, siano esse positive o negative, non si accumulano indefinitivamente ma solo fino a quando il campo elettrico, EH , detto di Hall, generato dalle cariche che si accumulano, non generi una forza sulle stesse cariche tale da uguagliare la forza di Lorentz che le ha deviate e costrette ad accumularsi. Cioé, l’accumulazione avviene fino a che non vale la seguente uguaglianza: qEH = qvB (15) Al campo EH corrisponde una differenza di potenziale ∆VH , detta di Hall, tra le facce superiore ed inferiore del conduttore, il cui valore è ∆VH = EH d ovvero ∆VH = vBd Sostituendo l’espressione (14) di v nella (16) si ha 14 (16) ∆VH = BI nql (17) All’inverso della densità di carica dei portatori, CH = 1 nq (18) si dà il nome di costante di Hall. La (17) la possiamo riscrivere come BI (19) l Dal segno della costante di Hall desumiamo la natura delle cariche in moto e dal suo valore, nota la carica elettrica, deduciamo la densità numerica delle stesse. Si evince che l’effetto Hall può essere utilizzato per determinare il campo B da misure di potenziale di Hall: ∆VH = CH B= 8 l ∆VH = k∆VH CH I (20) Complementi: Circuito in moto in un campo B uniforme e costante Vogliamo studiare il moto generale di un circuito in un campo magnetico uniforme e costante. Vedremo che è conveniente partire dalla determinazione del lavoro necessario a spostare tale circuito da una configurazione iniziale ad una finale. Il motivo è che tale lavoro dipenderà solo dalla configurazione iniziale e finale. Ovvero, sarà possibile associare ad ogni configurazione del circuito un’energia potenziale magnetica. Supponiamo di spostare un circuito, percorso da una corrente I , in un campo di induzione magnetica B, uniforme e costante Per conoscere il lavoro che stiamo compiendo possiamo uguagliarlo con quello che farebbe la forza di Laplace per spostare lo stesso circuito. Poiché il campo B esercita su di un tratto di circuito una forza data da dF = Idl ∧ B (C1) possiamo calcolare il nostro lavoro come se fosse fatto da tale forza. Poiché lo spostamento infinitesimo che subisce il circuito non è legato alla velocità di alcuna particella microscopica (ricordiamo che le particelle cariche del circuito si muovono con una velocità media costante pari alla velocità di deriva) indicheremo lo spostamento infinitesimo con dR, 15 il lavoro compiuto dalla forza magnetica sarà: dL = I (dl ∧ B) · dR (C2) (dl ∧ B) · dR = (dR ∧ δl) · B (C3) Ma Notiamo che qui, a differenza del caso della forza di Lorentz, il prodotto misto è diverso da zero, in ogni caso, perché lo spostamento dR non ha mai la direzione della corrente e quindi anche delle cariche. Come si evince dalla figura, dR ∧ dl = d2 aua (C4) rappresenta l’area elementare "spazzata", nel suo spostamento infinitesimo, dall’elemento infinitesimo di circuito dl. Allora, (dl ∧ B) · dR = B · ua d2 a = dΦ (B) (C5) esprime il flusso infinitesimo di B attraverso tale area. Notiamo che misurandosi B in W b/m2 (o tesla), il flusso di B attraverso una superficie si misura in weber. Si può scrivere: dL = IdΦ (B) (C6) dove tale flusso è positivo se B e ua formano un angolo acuto, ovvero se la terna dR, dl, B è sinistrorsa. Passiamo, ora, al calcolo del lavoro fatto dal campo per spostare di un tratto infinitesimo tutto il circuito. 16 Sommando tutti i lavori elementari, relativi ai vari dl che costituiscono il circuito, troviamo: dL = IdΦ∆a (B) (C7) dove dΦ∆a (B) rappresenta il flusso del campo B attraverso l’area ∆a, spazzata dall’intero circuito nel suo spostamento infinitesimo. Per finire, possiamo calcolare il lavoro fatto dal campo in uno spostamento dell’intero circuito da una configurazione iniziale ad una finale. Troveremo che L (i → f ) = IΦa (B) (C8) dove ora Φa (B) rappresenta il flusso del campo B attraverso la superficie spazzata dall’intero circuito nel suo spostamento finito dalla configurazione iniziale a quella finale. Il precedente risultato è molto difficile da utilizzare praticamente, perché presuppone la conoscenza di tutte le modifiche che subisce il circuito dalla configurazione iniziale a quella finale. In realtà, questa difficoltà può essere superata, trasformando il flusso al secondo membro in una differenza tra due flussi, uno 17 legato al circuito nella configurazione iniziale e l’altro legato alla configurazione finale. Per fare ciò, chiudiamo la superficie spazzata con altre due superfici: una che abbia per contorno il circuito nella posizione iniziale ed una che abbia per contorno il circuito nella posizione finale. Anticipiamo (ne discuteremo) in un prossimo capitolo un’importante proprietà del campo B sintetizzata da I d2 aB · ua = 0 (C9) cioè che il flusso del campo B attraverso una qualunque superficie chiusa è sempre nullo (non ci sono né sorgenti né pozzi nel campo B). Applicando la precedente proprietà alla superficie chiusa appena costruita, si può scrivere Φa (B) + Φai (B) + Φaf (B) = 0 ovvero Φa (B) = −Φai (B) − Φaf (B) (C10) e il lavoro precedentemente calcolato diventa £ ¤ L (i → f ) = I −Φai (B) − Φaf (B) (C11) Il lavoro non dipende dal percorso che compie il circuito ma solo dalla sua configurazione nella posizione iniziale e finale. In particolare, dipende dal flusso del campo magnetico attraverso una qualunque superficie che abbia per cortorno il circuito nella posizione iniziale e finale. Ma ora sorge un problema per i versi delle due superfici ai ed af . Nel calcolo precedente non vi era ambiguità perché avevamo adoperato una superficie 18 chiusa e il flusso era, in entrambi i casi, uscente da essa. Ora i circuiti, nella posizione iniziale e finale fanno da contorno a superfici aperte e sappiamo che in tal caso dobbiamo usare la regola di percorrenza, lungo il verso della corrente. Ricordando che il verso della corrente è quello di dl , vediamo subito che mentre il segno usato per il circuito nella posizione iniziale è coincidente con il verso corretto che si ottiene con la nuova regola, il segno nella configurazione finale è opposto a quello che si ottiene con la regola di percorrenza del bordo. Dobbiamo, allora, cambiare di segno al flusso attraverso la superficie che ha per contorno il circuito nella posizione finale. Pertanto, convenendo di adottare il verso di orientazioni delle superfici, il risultato (C11) sarà modificato in: £ ¤ L (i → f ) = I Φaf (B) − Φai (B) (C12) Il lavoro fatto dal campo B dipende solo dai flussi concatenati con la configurazione iniziale e finale del circuito e non dalle posizioni intermedie che assume il circuito stesso, cioè dal suo moto attraverso lo spazio. Ciò suggerisce la possibilità di introdurre una funzione energia potenziale associata ad ogni configurazione del circuito nel modo seguente: al circuito in una certa configurazione A, si associa un’energia potenziale magnetica pari al lavoro che il campo magnetico compierebbe per portare il circuito dalla configurazione A ad una 0, di riferimento per tutte UA ≡ −IΦA (B) + cost. (C13) dove ΦA (B) rappresenta il flusso attraverso una qualunque superficie che abbia per contorno il circuito nella posizione 1. In particolare, la costante arbitraria potrebbe essere posta, per esempio, uguale a zero in corrispondenza di una configurazione del circuito per il quale il flusso concatenato sia nullo. Esempio: Possiamo pensare alla spira quadrata già discussa in precedenza ( si faccia riferimento alla figura seguente) 19 Nella posizione rappresentata in figura il flusso di B attraverso la spira è nullo. Possiamo, quindi, sceglierla come posizione di riferimento (vedremo che è anche una posizione di equilibrio) e scrivere che U1 ≡ −IΦa1 (B) (C14) che esplicitata diventa U1 = −I Z δA B · ua d2 a dove δA è la superficie della spira. Avremo ancora Z U1 = −IB · ua d2 a = −IB · ua δA δA Introducendo il momento di dipolo magnetico della spira dI = ua δAI si ottiene U = −dI · B (C15) L’energia potenziale magnetica associata ad un circuito immerso in un campo magnetico uniforme e costante non dipende dalla posizione del circuito nello spazio ma solo dal suo momento di dipolo magnetico. Questo risultato è molto simile a quello già trovato per un momento di dipolo elettrico in un campo elettrico uniforme e costante: U = −dQ · E (C16) Ritorniamo alla (C15). Abbiamo mostrato, in un precedente paragrafo che la forza risultante sulla spira era nulla. Poiché la forza agente sulla spira è il gradiente dell’energia potenziale cambiato di segno, la (C15) ci conferma il valore nullo della forza risultante sulla spira. Sul circuito però potrà agire una coppia diversa da zero (come abbiamo già avuto modo di osservare). Se il circuito è libero di muoversi entro il campo magnetico, tenderà ad assumere una posizione cui corrisponda l’energia potenziale minima, ovvero il flusso concatenato massimo, come abbiamo già visto nell’esempio della spira. Sia gli amperometri che i galvanometri si fondano su tale principio, infatti sono costituiti da circuiti che quando sono percorsi da corrente, sono soggetti ad una coppia il cui momento si può calcolare derivando l’energia potenziale rispetto all’angolo di rotazione: ∂U1 ∂Φa1 (B) =I (C17) ∂θ ∂θ Nel caso della spira, indichiamo con θ l’angolo che, in generale, il momento di dipolo magnetico forma con il campo. L’energia potenziale si scrive τ =− 20 U = −dI B cos θ La derivata rispetto a θ ci darà τ =− ∂U = dI B sin θ ∂θ Possiamo allora scrivere τ = dI ∧ B (C18) Analogo risultato è stato ottenuto per il dipolo elettrico in un campo elettrico uniforme e costante τ = dQ ∧ E 21 (C19)