Domani Vol. 98, N. 11, Novembre 2007 Pagg. 548-552 Immigrazione e virus dell’epatite B in Italia. Stato attuale e prospettive Emilio Palumbo Riassunto. Questo lavoro vuole evidenziare, attraverso lo studio della letteratura, come il fenomeno immigratorio stia determinando l’ ingresso nel nostro paese di molti soggetti proveniente da zone, in particolare l’ Africa sub-sahariana, caratterizzate da una elevate endemia per HBV, con conseguente aumento della prevalenza dell’ infezione nel nostro territorio. Molti di questi soggetti potrebbero essere infetti da genotipi diverso dal D, diffuso in Italia, caratterizzati da una differente storia naturale e risposta alle comuni terapia antivirali, con la necessità, quindi, di un differente approccio clinico-terapeutico. Parole chiave. Epatite cronica, genotipi, HBV, immigrazione. Summary. Migratory phenomena and HBV infection in Italy. State-of-the-art and perspectives. This work underlines as many people arrive in our country by migratory phenomena and as many of them come by areas, particularly sub-saharian Africa, endemic for HBV infection. This could determine a higher prevalence of this infection in our area. The most part of subjects could be infected by a non-D genotype (genotype D is prevalent in Italy) characterized by a different natural history and response to antiviral therapies with the necessity of a different clinical and therapeutic approach. Key words. Chronic hepatitis, genotypes, HBV, immigration. Introduzione Tuttavia l’infezione da HBV è tuttora presente con andamento altamente endemico L’infezione da virus dell’epatite B (HBV) è difin molti paesi in via di sviluppo e l’Italia, fusa in tutto il mondo dove si stima vi siano circome del resto la maggior parte delle altre naca 400 milioni di portatori cronici di HBV. In bazioni occidentali, è attualmente interessata da se agli studi di prevalenza di HBsAg, si distinun flusso migratorio in rapida crescita che, per guono aree ad alta endemia (Sud Est asiatico, lo più, riguarda soggetti provenienti dall’Africa Africa sub-sahariana, bacino amazzonico), dove è sub-sahariana e dall’Est-Europa, altamente enriportata una prevalenza di HBsAg compresa tra demiche per HBV. 8% e 25%; aree ad endemia intermedia con una prevalenza compresa tra 2% e 7% (Est e Sud Europa, Russia, Giappone, India, Nord Africa, parte aree ad endemia interdell’America Centrale e media, è attualmente inSud America) ed aree a L’infezione da virus dell’epatite B, una delle infezioni virali più diffuse, può causare nelcluso tra i paesi a bassa bassa endemia come l’uomo un’epatite sia acuta che cronica. Esendemia3-7. l’Europa occidentale, il sa è ancora oggi un importante problema di Tale situazione sta deNord America e l’Austrasanità pubblica per le conseguenze della terminando l’ingresso di lia, dove la prevalenza persistente infezione virale rappresentate un numero sempre credei portatori cronici di dallo sviluppo di cirrosi e dal carcinoma 1,2 scente di soggetti infetti, HBsAg è <2% . epatocellulare. che, se non controllati, In base a recenti stupotrebbero modificare di, in Italia la prevalenza l’andamento epidemiolodi HBsAg nella popolagico dell’infezione e determinare un aumento dell’ zione generale è scesa al di sotto del 2% e perincidenza8-10. tanto il nostro paese, in passato inserito tra le Clinica Malattie Infettive, Università, Foggia. Pervenuto il 2 luglio 2007. E. Palumbo: Immigrazione e virus dell’epatite B in Italia. Stato attuale e prospettive Negli ambulatori di epatologia si osservano, infatti, con sempre maggior frequenza soggetti extracomunitari con infezione da HBV di tipo wildtype, associata all’epatite cronica HBeAg positiva, ormai rara nella popolazione autoctona. Inoltre, nei soggetti provenienti dai paesi extracomunitari, l’infezione è frequentemente sostenuta da un genotipo di HBV diverso dal genotipo D, che è presente in oltre il 95% dei soggetti italiani infetti. Il significato clinico dei genotipi è ancora poco chiaro, anche se vi è una crescente evidenza che possano influenzare la sieroconversione ad anti-HBe, la progressione della malattia e la risposta al trattamento. Il fenomeno immigratorio, quindi, oltre a rinvigorire il serbatoio di infezione da HBV, potrebbe portare lo specialista epatologo a confrontarsi con “nuove” infezioni da HBV, genotipo nonD, che potrebbero richiedere un approccio clinicoterapeutico diverso da quello comunemente utilizzato per i soggetti autoctoni. Il fenomeno immigratorio in Italia è stato caratterizzato nell’ ultimo quinquennio da una rapida crescita che va, secondo la stima del dossier 2004 della Caritas, da 85.337 ingressi nel 1997 ai 408.000 nel 2002. Attualmente, è possibile ipotizzare una presenza di immigrati regolari, ovvero con permesso di soggiorno, pari all’ incirca a 4.200.000 persone (4,2% della intera popolazione residente), oltre ad una quota di clandestini non facilmente quantificabile, ma certo molto elevata11. Si tratta in prevalenza di una immigrazione giovane, riguardante soprattutto soggetti provenienti dal continente africano e dai paesi dell’ Est-Europa, motivata soprattutto da problemi economici, mentre solo marginalmente l’Italia è interessata da ingressi per asilo politico e scarsamente rilevante è il numero di studenti stranieri. La maggior parte dei soggetti con regolare permesso di soggiorno (circa il 50%) risiede al nord, mentre solo il 15% si stabilizza nelle regioni meridionali, che per lo più rappresentano zone di transito per raggiungere le regioni settentrionali o altri paesi europei, in particolare Francia, Svizzera e Germania, dove è più facile trovare lavoro e che rappresentano, quindi, la mèta conclusiva del viaggio migratorio. Il crescente flusso di immigrati ha comportato una serie di problematiche sia di ordine socio-culturale sia di carattere igienico sanitario. Nello studio del profilo sanitario del migrante in Italia, notevole importanza è stata rivolta alle patologie infettive in genere ed al presunto rischio di patologie esotiche d’importazione. Tuttavia, se si analizzano le tipologie e le dimensioni delle forme infettive sia in casistiche ambulatoriali sia in quelle ospedaliere, risulta che la stragrande maggioranza è costituita da infezioni comuni, sostenute da germi di larga diffusione in Italia, con più frequente localizzazione a livello respiratorio, gastroenterico, cutaneo ed urogenitale. 549 Si tratta di patologie più strettamente correlate alle condizioni di povertà, di promiscuità abitativa ed alle precarie condizioni igienico-sanitarie in cui gli immigrati, almeno in una prima fase della loro storia migratoria (soprattutto da clandestini), sono costretti a vivere. Sono le stesse malattie infettive che i soggetti autoctoni possono contrarre nelle medesime condizioni di vita12,13. Ciò è confermato dai dati relativi alle malattie infettive diagnosticate in pazienti immigrati ospedalizzati dal 1990 al 2002 presso il reparto di Malattie Infettive degli Spedali Civili di Brescia e rappresentate per la stragrande maggioranza (oltre l’80% dei casi) da patologie gastro-intestinali, da forme cutanee di micosi superficiali e di ectoparassitosi come la scabbia, e da malattie infettive virali e batteriche banali, a carico soprattutto dell’ apparato respiratorio. Meno frequenti, invece, sono risultate le patologie infettive tropicali come la malaria ed alcune parassitosi intestinali, o le malattie contagiose come quelle sessualmente trasmesse (in primis l’infezione da HIV), la tubercolosi e le epatiti virali, con una netta prevalenza delle forme HBV-correlate, soprattutto tra i soggetti africani14. Quanto sopra dimostra che, contrariamente all’opinione comune, gli immigrati, al loro arrivo in Italia, sono persone sostanzialmente in buona salute, in ragione di una naturale selezione al momento della partenza. L’emigrazione può infatti considerarsi un processo selettivo in cui sono “i più forti tra i deboli” a tentare l’impresa. Tra i potenziali migranti, dal paese di origine partono quelli che sono in grado di sopportare non solo il costo economico, ma anche quello affettivo, psicologico e fisico del progetto. Si tratta, quindi, generalmente, di soggetti giovani, motivati, spesso istruiti, in grado di parlare ed apprendere più lingue, e, almeno apparentemente, sani15-17. Tuttavia, l’ assistenza sanitaria è un bisogno che non tarda a manifestarsi, così che gli immigrati, dopo un periodo di benessere relativamente lungo, diventano un gruppo di popolazione più vulnerabile dal punto di vista sanitario18, 19. Quando si parla dello stato di salute del soggetto immigrato al suo arrivo in Italia, si utilizza il termine “apparentemente sano”, poiché bisogna considerare che la stragrande maggioranza di questi soggetti proviene da zone altamente endemiche per alcune infezioni, soprattutto ad eziologia virale (in particolare la forma HBV-correlata), che per lungo periodo decorrono asintomatiche. Considerando la grave carenza di strutture sanitarie nei paesi di origine, è molto difficile che essi siano stati sottoposti ad esami ematochimici di screening e che, quindi, possano essere a conoscenza di essere portatori di eventuali infezioni croniche. In virtù di tali considerazioni, nelle nazioni occidentali caratterizzate da un elevato flusso migratorio, sono stati avviati studi epidemiologici, eseguiti per lo più a livello ospedaliero, per valutare la prevalenza di queste infezioni nella popolazione immigrata. 550 Recenti Progressi in Medicina, 98, 11, 2007 Per ciò che riguarda le epatiti virali, dati interessanti sulla popolazione immigrata presente in Italia sono stati forniti da uno studio multicentrico elaborato dalla SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e coordinato dalla Clinica di Malattie Infettive dell’ Università di Foggia, inerente la prevalenza di epatiti virali, sia acute che croniche, in una popolazione di immigrati ospedalizzati nel corso del 2002 presso 46 Unità Operative di Malattie Infettive distribuite su tutto il territorio italiano. Il disegno di questo studio prevedeva che tutti i soggetti immigrati ospedalizzati venissero sottoposti a test, indipendentemente dalla causa del ricovero, per HBsAg e anti-HCV. I risultati hanno evidenziato come, su 2255 soggetti, il 10,5% presentava una epatite, acuta o cronica, con una prevalenza dell’infezione da HBV (circa il 60% del totale, sia tra le forme acute che tra quelle croniche)20. Tale dato è risultato sovrapponibile ad altre esperienze simili presenti nella letteratura internazionale21-23. La prevalenza delle forme HBV-correlate rappresenta un dato contrastante con la realtà sanitaria del nostro paese in cui, ormai, le forme acute sono sporadiche, grazie alla attenta profilassi vaccinale, e quelle croniche sempre meno frequenti. L’elevata prevalenza di infezione da HBV nella popolazione immigrata è, quindi, probabilmente espressione di assente o incompleta profilassi vaccinale che per motivi diversi (per esempio: il costo dei vaccini) è ancora poco accessibile in molti paesi in via di sviluppo. In alternativa, gli immigrati possono essersi infettati in Italia, dove tuttora esiste una modesta circolazione del virus B. In questo studio multicentrico è stato difficile differenziare le epatiti contratte in patria da quelle acquisite in Italia, non essendo disponibile – al momento dell’ingresso – la sierologia per virus epatitici e presentando i vari pazienti un periodo variabile di permanenza (7 mesi-9 anni). Tuttavia, poiché il periodo medio di permanenza in Italia era di soli 9 mesi, si può ipotizzare che tutte le forme croniche siano state acquisite nel paese di origine. Al contrario, tutti i pazienti con diagnosi di epatite acuta B risiedevano in Italia da almeno sei mesi e pertanto, considerando il periodo di incubazione dell’epatite B, certamente tali forme rappresentavano infezioni de novo acquisite nel nostro Paese. L’elevata prevalenza di HBV riscontrata tra le giovani donne immigrate è risultata per lo più correlata alla trasmissione per via sessuale, in considerazione della diffusa piaga della prostituzione e del rifiuto delle pratiche contraccettive che caratterizzano alcuni gruppi etnici ed in particolare le popolazioni asiatiche (non a caso la maggior parte delle forme acute è stata riscontrata in donne cinesi). L’ altro dato rilevante, già presente in letteratura, riguarda la minor prevalenza delle forme HCVcorrelate, in contrasto con l’andamento epidemiologico. Lo studio ha dimostrato una maggiore prevalenza di infezione da HCV nei pazienti provenienti dall’Est Europa, in gran parte causata da tossicodipendenza per via endovenosa, e in minore misura all’impiego di sangue o derivati ematici infetti, o a manovre invasive eseguite con strumenti non adeguatamente sterilizzati. Sia nello studio SIMIT, sia in altri presenti in letteratura, la maggior parte dei pazienti con infezione cronica da HBV presentava forme di epatite cronica lieve o a moderata severità, mentre raramente sono state riscontrate cirrosi o sviluppo di epatocarcinoma. Tale dato potrebbe essere espressione della giovane età dei soggetti e della ridotta storia dell’infezione. Tenendo conto della elevata prevalenza dell’infezione da virus epatitici, in particolare da HBV, nella popolazione di immigrati, diverse strutture sanitarie hanno avviato un programma di screening, non solo negli ambulatori per immigrati o nelle strutture ospedaliere, ma anche nei Centri di prima accoglienza, al fine di limitare, per mezzo delle risorse profilattiche e terapeutiche disponibili, la possibilità di diffusione del contagio. Altro aspetto fondamentale riguarda l’ elevata eterogeneità genomica di HBV che deriva dall’impiego della trascriptasi inversa per la retrotrascrizione dell’RNA pregenomico24,25. Il confronto dell’intera sequenza degli isolati di HBV ha dimostrato una significativa divergenza di sequenza. Sulla base di una divergenza superiore all’8% nella sequenza nucleotidica completa, HBV può essere classificato in 8 distinti genotipi indicati con le lettere A-H. Oltre ai genotipi, è nota l’esistenza di differenti sottotipi o determinanti antigenici di HBsAg. In aggiunta al determinante “a”, comune a tutti i tipi di HBsAg, sono noti i determinanti mutualmente esclusivi d/y e w/r. In base alla presenza di tali determinanti, l’HBV è stato classificato in 4 sierotipi o sottotipi adw, adr, ayw, ayr (aa 122, aa 160), indipendenti dal genotipo. I genotipi di HBV presentano una peculiare distribuzione geografica: il genotipo A predomina negli Stati Uniti, nel Nord Europa e in Sud Africa; i genotipi B e C prevalgono nei paesi del Sud-Est asiatico; il genotipo D prevale nei paesi del bacino del Mediterraneo, nei paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia meridionale; il genotipo F prevale nei paesi dell’America del Sud; il genotipo G in Francia e Stati Uniti. Il genotipo E è caratteristico di tutta l’ Africa subsahariana, mentre il genotipo H, l’ultimo ad essere identificato, sembra essere ristretto ad alcune zone dell’America centrale, in Recenti studi presenti in letteratura hanno particolare al Messico25, 26. evidenziato come la distinzione tra i diversi La differente distribugenotipi non rappresenta solo una curiosità zione geografica dei diverepidemiologica, ma ha anche un importansi genotipi è probabilmente impatto dal punto di vista sia clinico che te correlata con i processi terapeutico. Infatti vi sono evidenze che gedi migrazione o di coloniznotipi differenti possono influenzare la stozazione che hanno sempre ria naturale e la risposta alla terapia. caratterizzato la storia dell’uomo. E. Palumbo: Immigrazione e virus dell’epatite B in Italia. Stato attuale e prospettive Ad esempio, la diffusione del genotipo D in molte zone dell’America centrale riflette il fenomeno di colonizzazione di queste zone da parte della popolazione spagnola, in cui tale genotipo è altamente diffuso. I flussi immigratori che stanno investendo nell’ultimo decennio i paesi occidentali potrebbero aver determinato, almeno in parte, una variazione della già conosciuta distribuzione geografica dei differenti genotipi, anche nella popolazione autoctona. Studi asiatici hanno evidenziato che il genotipo C, rispetto al B, è caratterizzato da una più frequente e rapida evoluzione in cirrosi e da una maggiore incidenza di epatocarcinoma, mentre il genotipo B presenta una più frequente e rapida sieroconversione HBeAg/anti-HBe. Il genotipo C è associato ad una minore risposta alla terapia interferonica ed ad una più frequente e precoce comparsa di mutanti YMDD in corso di trattamento con lamivudina 27-32 . Sulla scia di questi risultati, anche in Europa sono stati avviati studi analoghi, che hanno focalizzato l’attenzione sui genotipi A e D, i più diffusi nel continente. Anche queste ricerche, pur non evidenziando differenze significative per quanto riguarda la storia naturale dell’infezione, hanno mostrato come il genotipo A risponde meglio al trattamento interferonico ed è caratterizzato da una più frequente comparsa di mutanti in corso di trattamento con lamivudina. Nei pazienti infettati dal genotipo D, invece, la comparsa dei mutanti YMDD è meno frequente, ma più precoce in corso di trattamento rispetto al genotipo A33. La determinazione del genotipo di HBV, al momento, non è di alcuna utilità nella pratica clinica, in quanto nel nostro paese il genotipo D è presente in oltre il 95% dei soggetti autoctoni infetti34. Tuttavia, il crescente numero di immigrati HBsAg positivi potrebbe portare all’introduzione di nuovi genotipi. Prospettive In conclusione, possiamo affermare come il fenomeno immigratorio potrebbe determinare anche nel nostro territorio non solo un aumento della prevalenza dell’infezione da HBV, ma anche l’introduzione di nuovi genotipi del virus, caratterizzati da storia naturale e risposta terapeutica differenti. ■ Ciò potrebbe rendere necessario il confronto con “nuove” forme di epatite cronica HBV-correlata, che potrebbero richiedere un differente approccio clinico-terapeutico rispetto a quello comunemente indicato per la popolazione autoctona infetta. ■ Ulteriori studi sono necessari per meglio valutare la consistenza del fenomeno infezione da HBV nella popolazione immigrata ma, soprattutto, per meglio studiare il ruolo dei differenti genotipi di HBV sulla storia naturale dell’infezione e sulla risposta ai differenti presidi terapeutici attualmente utilizzabili. 551 Bibliografia 1. Lee WM. Hepatitis B virus infection. N Engl J Med 1997; 337: 1733-45. 2. Maddrey WC. 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