Artrite reumatoide

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CAPITOLO 76
Barbara Tolusso
Gianfranco Ferraccioli
© 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati.
Definizione ed epidemiologia
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica
autoimmune nella quale il sistema immune aggredisce
erroneamente i tessuti, provocando un’infiammazione
cronica nelle articolazioni in vari organi e parenchimi
che porta a distruggere le articolazioni e l’osso subcondrale se non adeguatamente trattata. Nell’ambito delle
malattie osteoarticolari e del tessuto connettivo, l’artrite
reumatoide (AR) è la malattia più severa per le strutture
osteoarticolari, per le complicanze extrarticolari, per le
comorbilità associate e il rischio di mortalità.
L’infiammazione determina iperplasia della membrana
sinoviale, che si comporta come un tessuto neoplastico
benigno e che erode progressivamente la cartilagine, l’osso
subcondrale e danneggia capsule, tendini e legamenti.
La membrana sinoviale è dunque un tessuto effettore del
danno infiammatorio ed erosivo.
Il tessuto sinoviale presenta iperplasia dei sinoviociti di
tipo B (fibroblasti) e accumulo progressivo di sinoviociti
di tipo A (macrofagi). Caratteristica comune, più o meno
spiccata, è l’infiltrato linfoide costituito da linfociti T, linfociti B, cellule dendritiche, mastociti e neoangiogenesi.
Si possono progressivamente formare sino a dieci strati
cellulari che rivestono e invadono la cartilagine.
L’AR colpisce lo 0,46% circa della popolazione adulta,
raramente è autolimitantesi, nella maggiore parte dei casi
è cronica disabilitante e talora è associata a manifestazioni
sistemiche. È una malattia presente in ogni regione geografica, che colpisce il sesso femminile più frequentemente di quello maschile (rapporto 3-4:1) e la cui prevalenza
aumenta con l’aumentare dell’età. Vi è un’importante
base genetica, dimostrata da un’associazione certa con
alleli del sistema maggiore di istocompatibilità di classe
II (HLA DR). Il sospetto di AR va posto ogni volta che una
o più articolazioni persistono tumefatte e dolenti per più
di 6 settimane.
Eziopatogenesi
L’eziologia non è nota, ma è certa la componente genetica che predispone da un lato alla risposta autoimmune
e dall’altro all’infiammazione tissutale. La combinazione
di una suscettibilità genetica con un evento (o eventi) ignoto determinante porta all’espressione clinica.
La concordanza dell’AR è risultata del 15% nei gemelli
monozigoti e del 4% nei gemelli dizigoti. I fattori genetici possono spiegare sino al 30-50% della suscettibilità
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Artrite
reumatoide
genetica. L’associazione più forte è certamente con il
gene HLA-DRB1, che definisce un gruppo di alleli di
classe II (gli alleli *0101, 0102, *0401, *0404, *0405)
del sistema maggiore di istocompatibilità strettamente
associati alla malattia nelle diverse popolazioni di varie
razze. Questi alleli condividono una sequenza aminoacidica (QKRAA) altamente conservata nella terza regione
ipervariabile della catena DRbeta1(DRB1). Questa sequenza è definita “epitopo condiviso o shared epitope
(SE)”. Questi epitopi determinano l’efficace presentazione di un peptide artrogenico (Ag) alle cellule T CD4+.
Il rischio relativo nei portatori dell’SE è di 4-5 volte. Più
recentemente altri polimorfismi genici si sono dimostrati
associati all’AR: un polimorfismo genico (SNP, Single
Nucleotide Polymorphism) nel gene del PTPN22 (proteina tirosina fosfatasi in cui vi è sostituzione di arginina
con triptofano in posizione 1858) è marcatore di rischio
di sviluppare AR. Il PTPN22 è un regolatore negativo
dell’attivazione T cellulare; un locus genico situato tra
OLIG3 (Oligodendrocyte Transcription Factor 3) e TNFAIP3 TNFAIP3 (Tumor Necrosis Factor Alpha-Induced
Protein 3) (sul cromosoma 6q); un aplotipo polimorfico
nel terzo introne di STAT4 (fattore di trascrizione che
trasmette il segnale indotto da varie citochine tra cui IL12 – interleuchina 12 – e IL-23 – interleuchina 23 –, e che
stimola la trascrizione di geni quale IFN␣-Interferon-␥ e
dunque infiammazione TH1) aumenta del 60% il rischio
rispetto a chi non è portatore della variante omozigote;
una variante del locus genico TRAF1-C5 (TNF Receptor
Associated Factor 1 e componente complementemica
C5) sul cromosoma 9, con due geni che conferiscono
un rischio aggiuntivo del 35% di sviluppare AR, soprattutto nei portatori di autoanticorpi. In questo contesto
genetico, in cui almeno 5 geni di suscettibilità (DRB1,
OLIG3/TNFAIP3, PTPN22, STAT4, TRAF1-C5) sono stati
identificati con certezza insieme a geni che controllano
la trascrizione di citochine, esplode il processo infiammatorio articolare, caratterizzato da infiltrato di cellule
infiammatorie (monociti, linfociti T, linfociti B, cellule
dendritiche, mastociti ecc.) che sintetizzano mediatori
della flogosi acuta e cronica, metalloproteinasi (MMP1collagenasi interstiziale, MMP3-stromelisina 1, MMP9gelatinasi B o collagenasi IV), fattori di crescita, neoangiogenesi ed edema.
Sin dalle prime fasi della malattia il tessuto sinoviale
presenta infatti tre caratteristiche che possono prevalere
l’una sull’altra a seconda del paziente e dell’articolazione
esaminata, come segue.
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Parte 13 - MALATTIE DELLE ARTICOLAZIONI
Iperplasia del lining sinoviale Il lining (lo strato di cellule che ricopre il tessuto sinoviale) diventa iperplastico
per tre ragioni:
• accumulo di sinoviociti di tipo A (monocitimacrofagi) di provenienza ematogena;
• ipertrofia dei sinoviociti di tipo B (fibroblasti);
• accumulo di cellule transizionali con caratteristiche
miste di tipo AB (o tipo C).
Fisiologicamente i sinoviociti di tipo A hanno una funzione macrofagica, i sinoviociti di tipo B una funzione secretoria. Nella fase di cronicità della malattia, l’iperplasia
può raggiungere uno spessore anche di dieci strati cellulari. È stato ipotizzato che alcune proteine di membrana
(caderina11 in particolare) siano cruciali nel consentire la
migrazione dei fibroblasti sulla cartilagine e la sua successiva erosione e distruzione. Va ricordato che i fibroblasti
reumatoidi esprimono TLR (Toll-Like Receptors) 2 e 4,
il cui legame attiva la sintesi di IL-8 (interleuchina 8) e
di TNF-␣ e la espressione di RANK-L (Receptor Activator
NF-kB ligando) che promuove la differenziazione osteoclastica e il riassorbimento osseo.
Infiltrato di cellule dell’infiammazione cronica Linfociti T e linfociti B, plasmablasti, plasmacellule, monociti,
cellule dendritiche, mast cells, rarissimi polimorfonucleati
che si accumulano in tre tipologie istologiche:
• sinovite diffusa, nella quale le cellule
dell’infiammazione sono sparse nel sublining;
• sinovite pseudofollicolare, nella quale le
cellule linfoidi T e B e le cellule dendritiche
dell’infiammazione cronica si accumulano in
strutture che assomigliano ai centri germinativi
del linfonodo;
• sinovite pseudogranulomatosa, nella quale piccoli
foci di necrosi fibrinoide sono delimitati da cellule
istiocito-macrofagiche e da cellule linfoidi T e B.
In ognuno di questi istotipi le cellule T che infiltrano il
sublining sono prevalentemente CD4 + Helper, i monocitimacrofagi presentano un’aumentata espressione di molecole HLA di classe II e le plasmacellule caratterizzano la
sinovite reumatoide nelle fasi di malattia sia iniziali sia
avanzate. È caratteristica comune a tutti i tipi di sinovite
reumatoide che i T linfociti iperesprimono sulla membrana CD40 ligando (membro della famiglia supergina dei
recettori per TNF-␣), ed è noto che legare il CD40 significa non solo far aumentare la sintesi di anticorpi dalle
B cellule, ma anche indurre citochine proinfiammatorie
quali IL-6, IL-8, TNF-␣ e IL-12. È stato altresì identificato
un nuovo subset di cellule che sintetizzano soltanto IL17 (le cosidette TH17), che ha un effetto potentemente
additivo a TNF-␣ e IL-1␤ nell’indurre condrolisi e osteoclastogenesi.
Angiogenesi È caratterizzata da neoformazione di capillari che possono essere iper-rappresentati nel sublining e
che possono essere circondati da cellule dell’infiammazione cronica, definendo un quadro simil-vasculitico. È
stato dimostrato che recettori tirosin-chinasici specifici
dell’endotelio (Tie-1 e Tie-2) che rappresentano ligandi
per angiopoietina 1 e 2 sono espressi a livello sia di lining
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sinoviale sia di cellule stromali. Tie-1 e Tie-2 sono fondamentali per l’angiogenesi sin dalle prime fasi dell’embriogenesi (Fig. 76.1).
Queste tre caratteristiche determinano iperplasia/ipertrofia,
edema e infiammazione del tessuto (si veda Fig. 76.1), che
assumono un aspetto macroscopico simile a un tessuto
simil-neoplastico benigno con aspetti di invasività, di aggressione verso la cartilagine che viene progressivamente
erosa, e di possibile penetrazione anche nell’osso subcondrale. Le cellule del tessuto sinoviale esprimono grandi
quantità di RNA messaggero codificante per enzimi che
degradano la matrice (aspartato-cistein-metallo e serinproteinasi), per citochine quali TNF-␣, IL-1␤, IL-6, IL-15,
IL-17, IL-18, GM-CSF che certamente giocano un ruolo
fondamentale. In particolare TNF-␣ e IL-1 sono considerate molecole pivotali, con l’IL-6 molecola immediatamente
reclutata per amplificare gli effetti della flogosi, indurre
osteoporosi, attivare l’osteoclastogenesi, amplificare la
risposta B linfoide. Il 40% delle cellule del lining sinoviale
reumatoide esprime TNF-␣ e il 20% esprime IL-1. Queste
due molecole sono in grado di indurre su altre cellule
chemiotassi, angiogenesi, aumento della permeabilità vascolare, produzione di proteinasi di matrice, reclutamento
e attivazione di linfociti T e B. Il TNF-␣, l’IL-6 e IL-17 sono
responsabili dell’effetto flogistico, I’IL-1␤ è invece maggiormente responsabile dell’effetto distruttivo, mediato
soprattutto del danno provocato dall’aumentata sintesi di
metalloproteinasi e dalla ridotta sintesi di proteoglicani.
Bloccare il TNF-␣ o l’IL-6 significa bloccare anche l’effetto
biologico di IL-1, ridurre le manifestazioni sistemiche, la
comparsa di manifestazioni extrarticolari e le comorbilità
della malattia (Fig. 76.2).
Autoimmunità
Circa il 70% dei pazienti con AR presenta autoanticorpi.
Si tratta del fattore reumatoide (FR) e degli anticorpi antipeptidi citrullinati (anti-CCP o ACPA, anti-vimentina
citrullinata ecc.). Altri autoanticorpi sono stati descritti
(ANA, RA33, Sa, BiP ecc.) a dimostrazione che la malattia
è certamente autoimmune e che le cellule B intervengono
pesantemente nell’espressione della malattia stessa. Queste ultime sono potenti cellule sia presentanti l’antigene
(APC, Antigen Presenting Cells) sia in grado di sintetizzare
autoanticorpi. Mentre l’FR è positivo in molte altre condizioni (infezione cronica da HCV, Sjögren, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, sarcoidosi, infezioni batteriche
e parassitarie ecc.), per cui è assolutamente aspecifico, gli
anti-CCP sono molto specifici (90% di specificità). Dunque un’artrite iniziale che presenta una positività per FR
e ACPA deve essere considerata un’AR.
Manifestazioni cliniche
Si presenta come un’infiammazione articolare a insorgenza subdola, con dolore, tumefazione, rigidità al movimento della o delle articolazioni al mattino, al momento
del risveglio e di durata > 30 min. Le articolazioni comunemente coinvolte in modo bilaterale e simmetrico (caratteristica tipica della malattia) sono: i polsi, le
metacarpo-falangee (in genere II-III MCF), le metatarsofalangee, le interfalangee prossimali (in genere II-III IFP).
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Capitolo 76 - ARTRITE REUMATOIDE
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Figura 76.1
Lining sinoviale
con tre o più
strati di cellule
e villi sinoviali
con abbondante
infiltrato linfoide
e presenza di
neoangiogenesi.
10×
40×
L’infiammazione determina un altro sintomo caratteristico: la rigidità al risveglio nel momento di iniziare il movimento, che perdura anche più di un’ora. Tra le grandi
articolazioni possono essere colpite le spalle, le ginocchia,
le tibio-tarsiche, i gomiti e le coxo-femorali, con ampi
riflessi sulla compromissione funzionale. L’infiammazione artritica peggiora nelle settimane successive e diviene
francamente invalidante. Più raramente l’esordio è acuto
e rapidamente progressivo. Ancora più raramente l’artrite
è monolocalizzata (monoartrite). La fase acuta si esprime
anche con malessere generalizzato e astenia (stanchezza
nel fare cose usuali, prima sconosciuta dal paziente).
La storia “naturale” della malattia è inquadrabile in tre
fenotipi (o decorsi):
1. monociclico, ossia autolimitantesi, nel 10-15% dei
casi in un periodo variabile da alcuni mesi ad alcuni
anni, poi eventualmente recidivante;
2. lentamente progressivo, ossia con andamento
altalenante, lento ma progressivo danno strutturale
e progressiva comparsa di deformità strutturali e di
incapacità funzionale. Si osserva nel 70% dei casi;
3. progressivo, ossia ad andamento in rapida e costante
progressione. Si osserva nel 10-15% dei pazienti.
La diagnosi è ancora fondamentalmente clinica, nonostante l’utilità di alcuni test di laboratorio (fattore reumatoide, anticorpi anti-citrullina) ed è basata sulla cronicità
della sinovite, ossia persistente per più di 6 settimane e
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20×
20×
spesso bilaterale e simmetrica. Per una corretta classificazione dei malati di AR si usano i criteri elaborati nel 1987
dall’American College of Rheumatology (Tab. 76.1).
Se un paziente presenta almeno quattro di questi criteri
è possibile una diagnosi di artrite reumatoide con una
sensibilità del 91,2% e una specificità dell’ 89,3%. Occorre
considerare tuttavia che si tratta di criteri classificativi e
non diagnostici che sono stati sviluppati su pazienti con
malattia di lunga durata, con alcuni parametri (noduli,
erosioni) che riflettono uno stato di malattia avanzata e
non si prestano a una diagnosi precoce. Per individuare
precocemente i pazienti con AR, ossia per identificare la
malattia all’esordio e consentire l’inizio della terapia più
adatta (se possibile entro 3 mesi dall’esordio dei sintomi,
essendo il periodo più favorevole per bloccare l’evoluzione) devono essere presenti i seguenti sintomi (red flags):
• tre o più articolazioni tumefatte;
• dolorabilità di metacarpo-falangee e/o di metatarsofalangee alla pressione latero-laterale complessiva
(squeeze test) (Fig. 76.3);
• rigidità mattutina di almeno 30 min.
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Modalità di esordio
È fondamentale verificare subito dopo se vi sia positività
autoanticorpale (fattore reumatoide IgM e IgA, ACPA) e
se vi siano già erosioni marginali a carico delle articolazioni infiammate. La presenza all’esordio di erosioni e di
autoimmunità indentifica una malattia ad andamento
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Figura 76.2
Fattori e molecole
coinvolte nella
patogenesi
dell’AR.
Parte 13 - MALATTIE DELLE ARTICOLAZIONI
Fattori genetici:
DRB1, OLIG3/TNFAIP3, PTPN22,
STAT4, TRAF1-C5, PADI 4
Elementi regolatori
Geni citochine TNF-α, IL-1, IL-6, IL-17
Fattori ambientali:
Fumo: interagisce con DRB1
Agenti infettivi (peptidoglicani
di membrane batteriche, parvovirus,
EBV - Epstein Barr virus)
Stimolo antigenico
Reclutamento cellulare
(MO,T, B, DC, PC ecc.)
E-selectina
Adesione cellulare
all’endotelio e migrazione
Attivazione
ICAM, VCAM, Chemochine
Interazione cellulare
nel tessuto sinoviale
IL12, IFN-γ
Cellule β
come APC
TH1 o immunità
cellulo-mediata
TNF-α
IL-1
IL-6
IL-17
Infiammazione sinoviale
Infiammazione sistemica
Condrolisi ed
erosioni subcondrali
Manifestazioni
extrarticolari
Comorbilità
Effetti biologici dell’infiammazione nell’AR
Induce riassorbimento della cartilagine e dell’osso
Induce l’espressione di collagenasi e PgE2
Induce chemiotassi (IL-8)
Induce attivazione endoteliale
Induce attivazione T e cellule β
aggressivo sia sul piano del danno cartilagineo-osseo sia
sul versante clinico. Nella maggioranza dei casi (55-70%),
la malattia si manifesta in maniera graduale e insidiosa
con artralgie e con rigidità mattutina prolungata, cui
segue nel giro di settimane o mesi la comparsa di segni
di flogosi articolare. In alcuni pazienti l’impegno articolare può essere preceduto o accompagnato da sintomi
sistemici aspecifici quali astenia, febbre o febbricola, calo
ponderale, mialgie diffuse.
Nel 10-15% dei casi l’esordio è acuto e improvviso, con
sviluppo in pochi giorni di artrite franca. Il 15-20% dei
pazienti presenta un esordio subacuto, nel giro di alcune
settimane, spesso associato a sintomi sistemici.
Il pattern tipico è quello che coinvolge più articolazioni
contemporaneamente con distribuzione simmetrica (poliartrite simmetrica) e andamento centripeto, a partire in
genere dalle piccole articolazioni di mani e piedi per poi interessare successivamente le articolazioni più prossimali.
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L’artrite ha carattere aggiuntivo, tende a interessare nuove
articolazioni senza risoluzione del processo infiammatorio in
quelle precedentemente coinvolte, caratteristica che differenzia
l’AR dal reumatismo articolare acuto dove l’artrite ha carattere
sostitutivo. A volte l’esordio può essere mono- o oligoarticolare.
Meno comunemente l’artrite reumatoide si può manifestare
con un esordio simile alla polimialgia reumatica o con un
esordio palindromico (artrite che va e viene). Nell’esordio similpolimialgico il quadro iniziale è dominato da sintomi quali
dolore e rigidità ai cingoli scapolare e pelvico. La comparsa di
artrite franca può essere contemporanea o successiva; questa
forma colpisce più frequentemente i pazienti oltre i 60 anni di
età. L’esordio palindromico è caratterizzato da episodi di monoo oligoartrite che durano 2-3 giorni e si risolvono senza reliquati. Le sedi più colpite sono mani, polsi, ginocchia e spalle.
Il periodo intercritico decorre asintomatico ed è variabile tra un
episodio e l’altro. Circa il 20-40% dei pazienti con reumatismo
palindromico può evolvere in artrite reumatoide.
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Capitolo 76 - ARTRITE REUMATOIDE
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Tabella 76.1 Criteri di classificazione dell’artrite reumatoide elaborati dall’American College of Rheumatology nel 1987
Criteri
1. Rigidità mattutina (presente
per almeno 6 settimane)
Definizione
Rigidità mattutina articolare, persistente per almeno 1 ora prima del massimo miglioramento
2. Artrite di tre o più aree articolari
(presente per almeno 6 settimane)
Contemporaneo interessamento artritico (tumefazione dei tessuti molli e/o versamento, non
soltanto ipertrofia ossea) di tre o più aree articolari, rilevato da un medico. Le 14 aree
considerate sono (destra e sinistra): IFP mani, MCF, polso, gomito, ginocchio, tibio-tarsica, MTF
3. Artrite alle articolazioni delle mani
(presente per almeno 6 settimane)
Almeno una delle aree articolari interessate deve essere rappresentata da polso,
MCF o IFP
4. Artrite simmetrica (presente
per almeno 6 settimane)
Interessamento contemporaneo delle stesse aree articolari di entrambe i lati del corpo (un
coinvolgimento bilaterale con simmetria non assoluta è ammesso per IFP, MCF, MTF)
5. Noduli reumatoidi
Noduli sottocutanei a livello di prominenze ossee, superfici estensorie o in regioni
iuxta-articolari, osservati da un medico
6. Fattore reumatoide sierico
Presenza di fattore reumatoide, con qualsiasi metodica che rilevi tale positività in
< 5% di soggetti normali di controllo
7. Segni radiografici
Segni radiografici tipici di artrite reumatoide con erosioni o sicura osteoporosi localizzata
o più marcata vicino alle articolazioni interessate
Obiettività muscolo-scheletriche
Le articolazioni colpite sono quelle diartrodiali dotate
di membrana sinoviale. L’interessamento è poliarticolare, bilaterale, simmetrico, aggiuntivo e ad andamento
centripeto. Nella quasi totalità dei casi sono interessate
le articolazioni delle mani, interfalangee prossimali (IFP)
e metacarpo-falangee (MCF) e i polsi, seguite come frequenza dalle metatarso-falangee (MTF) e IFP dei piedi,
ginocchia, caviglie.
Il dolore, sintomo tipico di ogni artrite, ha caratteristiche
infiammatorie (presente durante la notte e al risveglio, migliora con il movimento), è associato a rigidità articolare
più pronunciata al mattino o dopo inattività prolungata, della durata superiore a un’ora. I pazienti lamentano
debolezza e facile faticabilità, dovute alla presenza della
flogosi articolare nelle prime fasi e all’inattività in una fase
successiva. È tipica l’atrofia dei muscoli interossei della
mano. La tumefazione articolare è inizialmente espressione di un versamento articolare, in seguito di ipertrofia
sinoviale ed è potenzialmente reversibile. Se non viene
trattata o se è resistente alle terapie la tumefazione può
divenire persistente (panno sinoviale cronico) o essere
espressione della deformità articolare. La sinovite, il versamento articolare e la contrattura muscolare antalgica
determinano fin dall’inizio una limitazione funzionale dei
distretti interessati. Tale limitazione può divenire permanente in seguito all’instaurarsi delle deformità articolari
e dell’anchilosi ossea.
Mani È tipico l’interessamento della II e III MCF
e delle IFP, con tumefazione fusiforme. Le articolazioni interfalangee distali (IFD) vengono in genere
coinvolte nel 5-10% dei pazienti circa e in questi casi si deve distinguerle dall’osteoartrosi. Il persistere
della flogosi articolare e il progredire della malattia
possono determinare deformità articolari permanenti. Tra queste una delle più precoci e caratteristiche è la deviazione ulnare delle dita, detta a
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“colpo di vento”, quando la tumefazione a livello dorsale delle MCF determina la lussazione volare delle falangi
prossimali sulle ossa metacarpali, con stiramento e scivolamento laterale dei tendini estensori delle dita.
In fasi più avanzate si evidenziano deformità ancora più
tipiche della malattia:
• dita “a collo di cigno”, in cui si ha iperestensione
delle IFP e flessione delle IFD;
• dita ad asola o “en boutonnière”, con flessione delle
IFP e iperestensione di IFD (Fig. 76.4);
• pollice “a zeta” caratterizzato da flessione della prima
MCF e iperestensione di IF.
La mano “a gobba di dromedario” si verifica per la
sublussazione volare delle ossa metacarpali su quelle del
carpo. Queste ultime sono dunque spesso interessate con
sviluppo precoce di anchilosi.
MTP Squeeze-test
13
Figura 76.3
Squeeze test:
compressione
latero-laterale delle
metatarso-falangee.
Il dolore significa
sospetto fondato
di artrite delle
metatarso-falangee.
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Parte 13 - MALATTIE DELLE ARTICOLAZIONI
invalidanti. Le modificazioni conseguenti alla sinovite
delle MTF portano ad appianamento dell’arcata plantare, sublussazione plantare delle teste metatarsali e
progressiva deformità in valgismo dell’alluce, facendo
assumere al piede reumatoide la tipica conformazione
“triangolare”. Il coinvolgimento dei tendini flessori e
dell’estensore lungo delle dita porta alla caratteristica
deformità “a martello” delle dita dei piedi, dovuta a
iperestensione delle MTF e flessione delle IF. Un’altra causa di dolore al piede nei pazienti con AR è la
sindrome del tunnel tarsale dovuta a neuropatia da
compressione del nervo tibiale posteriore.
Figura 76.4
Deformità
“en boutonnière”
e “a collo
di cigno”.
Polsi Al polso si può osservare la sublussazione dorsale dell’estremità distale dell’ulna che può esitare in
rottura del tendine, con la mano che assume un aspetto
“benedicente”. Il segno del “tasto del pianoforte” è
la riduzione manuale temporanea della sublussazione distale dell’ulna. La tumefazione volare del polso
può determinare i sintomi della sindrome del tunnel
carpale.
Gomiti L’impegno del gomito si evidenzia con tumefazione delle fossette paraolecraniche e limitazione dolorosa dell’estensione articolare. In fase avanzata si osserva
anchilosi in flessione.
Spalle Le articolazioni delle spalle si presentano spesso
dolorabili alla mobilizzazione attiva e passiva e la presenza
di versamento articolare si rileva anteriormente al di sotto
dell’acromion. Nelle fasi evolute di malattia si può verificare rottura del tendine del capo lungo del bicipite, lassità
della cuffia dei rotatori, fino a rottura della cuffia stessa.
Anche L’interessamento dell’anca non è frequente,
ma quando compare è particolarmente severo e può
evolvere in anchilosi nel giro di pochi anni. Si manifesta subdolamente, con dolore all’inguine irradiato al
ginocchio o dolore alla natica e con range di movimento
inizialmente conservato. Va posta diagnosi differenziale con la coxartrosi e con l’osteonecrosi della testa
femorale.
Ginocchia A differenza dell’anca, il coinvolgimento del
ginocchio è frequente anche nelle fasi precoci ed è in genere facilmente rilevabile. La manovra del ballottamento
rotuleo consente di individuare la presenza di versamento
articolare e la palpazione a livello dei recessi sottoquadricipitali può fare rilevare la presenza di panno sinoviale,
che può portare alla formazione di cisti sinoviali a livello
del cavo popliteo (cisti di Baker). Le cisti di Baker possono
diventare tanto voluminose da limitare la funzionalità del
ginocchio o da determinare compressione sui vasi venosi
con formazione di edemi da stasi; l’aumento della pressione endoarticolare può portare alla rottura della cisti nei
piani fasciali dei muscoli del polpaccio, simulando una
tromboflebite acuta. Vanno quindi attentamente ricercate
mediante esame clinico ed eventualmente confermate con
l’ecografia.
Piedi L’interessamento delle articolazioni metatarsofalangee è spesso precoce e può evolvere in deformità
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Rachide cervicale Anche se non è frequentemente coinvolta dai processi flogistici dell’AR, la colonna cervicale è un bersaglio importante in corso
di AR per la severità dei possibili quadri clinici.
Particolarmente temibile è la sinovite dell’articolazione atlanto-odontoidea che può portare a erosioni del dente dell’epistrofeo e a lassità del legamento trasverso del dente. Le conseguenze possono essere una sublussazione posteriore e/o craniale con
compressione midollare. I sintomi più precoci della
sublussazione cervicale sono la rigidità e il dolore al
collo, in genere irradiato all’occipite.
Successivamente possono comparire sintomi neurologici
quali parestesie periferiche senza segni di compromissione
dei nervi periferici, quadri progressivi di tetraparesi spastica,
drop attack, disfagia, vertigini, disartria. Alcuni sintomi possono essere legati alla compressione delle arterie vertebrali.
In caso di sintomatologia a livello del rachide cervicale
con radiografia convenzionale negativa va richiesto lo
studio tramite risonanza magnetica (RM).
Raramente vi può essere interessamento delle articolazioni
sinoviali interapofisarie, delle articolazioni non sinoviali intersomatiche e distruzione osteocondrale delle articolazioni
disco-vertebrali.
Altre sedi Molto più raramente rispetto a quelle finora descritte sono coinvolte altre articolazioni quali
le temporo-mandibolari, le crico-aritenoidee, la manubrio-sternale, le sterno-claveari, la sinfisi pubica e la
porzione diartrodiale delle articolazioni sacro-iliache.
Manifestazioni pararticolari
Sono frequenti le tenosinoviti che si manifestano con
dolore durante i movimenti e dolorabilità ed eventuale
tumefazione lungo il decorso del tendine interessato. Le
tenosinoviti possono costituire anche il primo segno di
malattia e si localizzano più comunemente alla mano agli
estensori delle dita, all’estensore lungo del pollice e ai
flessori delle dita (quadro del “dito a scatto”); a livello del
polso possono coinvolgere l’estensore e il flessore ulnare
e radiale del carpo e in altre sedi la cuffia dei rotatori, il
tendine achilleo, il tibiale posteriore e il peroneale.
A volte si riscontrano noduli reumatoidi a livello delle
guaine tendinee che, pur non essendo particolarmente
dolorosi, possono causare difficoltà nello scivolamento
del tendine all’interno della guaina.
Si possono riscontrare inoltre borsiti, spesso a livello del
gomito (borsite olecranica), della spalla (sottoacromiale)
e dell’anca (trocanterica e dell’ileo-psoas).
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Capitolo 76 - ARTRITE REUMATOIDE
Manifestazioni extrarticolari
L’AR è una malattia sistemica e presenta molte manifestazioni extrarticolari. Le manifestazioni extrarticolari
sono molto variabili sia per severità sia per localizzazione e si possono riscontrare fino al 40-50% nei pazienti
che presentano una malattia di lunga durata. Pazienti
con manifestazioni extrarticolari hanno comunque un
aumentato rischio di mortalità, in particolare per cause
cardiovascolari. Fra i fattori predittivi di manifestazioni
extrarticolari sono stati indicati la positività del fattore
reumatoide, il sesso maschile, la presenza dei geni HLADR1 e DR4, il fumo di sigaretta e la disabilità precoce.
Cuore La malattia cardiovascolare rende ragione di 1:31:2 di tutte le cause di mortalità nei pazienti con AR. Essi
hanno infatti un significativo incremento di aterosclerosi,
scompenso cardiaco, infarto e vasculite. La pericardite
non è frequente clinicamente, ma raggiunge un’incidenza
fino al 50% al riscontro autoptico.
Polmone L’impegno polmonare nell’AR è frequente, così
come è un reperto frequente la pleurite, presente fino al
20% dei casi negli studi clinici e fino al 50% nei riscontri
autoptici. La pneumopatia nodulare si caratterizza per la
presenza di uno o più noduli reumatoidi nel contesto del
parenchima polmonare, generalmente asintomatici, a distribuzione periferica, con dimensioni da pochi millimetri
fino a 6-8 cm; raramente vanno incontro a escavazione (con
creazione di una fistola bronco-pleurica) o a calcificazione.
Va posta particolare attenzione alla diagnosi differenziale
con processi infettivi tubercolari o fungini e con neoplasie,
che a volte richiede un esame bioptico. La sindrome di
Caplan è una forma di pneumopatia nodulare osservata
nei lavoratori esposti a polveri di silice, asbesto, carbone.
L’interstiziopatia polmonare è una delle manifestazioni
extrarticolari più severe. Presenta fini crepitii all’auscultazione, un quadro di impegno interstiziale o reticolare
alla radiografia del torace e alla tomografia computerizzata (TC), una riduzione della diffusione del monossido di
carbonio alle prove di funzionalità respiratoria. Il lavaggio
bronco-alveolare può mostrare un elevato numero di neutrofili o di linfociti con impegno radiologico lieve o prove
funzionali normali. I pazienti fumatori sono soggetti a
maggiore rischio di sviluppare fibrosi. Raramente si verifica
la progressione di una polmonite interstiziale verso una
forma di bronchiolite obliterante, con insufficienza respiratoria a esito infausto. Altra complicanza poco frequente
è l’ipertensione polmonare secondaria ad arterite dei vasi
polmonari.
Osteoporosi e fratture Il rischio di osteoporosi è due
volte superiore rispetto ai soggetti di controllo. È stato
dimostrato un incremento di fratture a 5 anni del 37% e
circa un terzo di tutte le donne con AR sviluppano fratture
nell’arco di 5 anni. I fattori di rischio dimostrati sono: il
sesso femminile, la durata della malattia, le terapia steroidea, l’entità della disabilità accumulata e l’età.
Cute I noduli reumatoidi si sviluppano in genere a livello sottocutaneo sulle superfici estensorie o sottoposte
a maggiore pressione, come i gomiti e gli avambracci, il
sacro, la nuca, le dita, il tendine d’Achille, sono di con-
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sistenza duro-elastica e adesi ai tessuti sottostanti. Istologicamente sono caratterizzati da una zona centrale di necrosi fibrinoide circondata da fibroblasti e da una capsula
di collagene. La vasculite cutanea è la manifestazione più
frequente della vasculite reumatoide e si può manifestare
con porpora, ulcere cutanee, infarti periungueali, rash
cutanei e raramente lesioni necrotiche distali che possono
evolvere in gangrena.
Rene Le complicanze renali in corso di AR sono in genere secondarie all’utilizzo di farmaci (nefrite interstiziale da
FANS, nefrite membranosa da sali d’oro e penicillamina)
o all’amiloidosi. Raramente si ha un coinvolgimento renale primitivo con quadri istologici di glomerulonefrite
mesangiale e occasionalmente di glomerulonefrite necrotizzante focale, in particolare in pazienti con vasculite
disseminata.
Sistema nervoso Le manifestazioni più comuni sono a
livello del sistema nervoso periferico, in particolare con
sindromi da compressione dei nervi, causate dall’edema
infiammatorio o dalla sinovite (sindrome del tunnel carpale), quadri di polineuropatia sensitiva distale, in genere
lievi, da vasculite dei vasa nervorum, e quadri più severi
di mononeurite multipla, di tipo misto sensitivo-motorio,
sostenuti da vasculite necrotizzante.
Molto più raro, ma spesso ad andamento sfavorevole,
è l’impegno del sistema nervoso centrale che può dare
ictus, convulsioni, encefaliti, meningiti dovute a processi
vasculitici o alla formazione di noduli reumatoidi.
Occhio Alcuni pazienti, spesso con altre severe manifestazioni extrarticolari, sviluppano episcleriti, scleriti o molto
raramente cheratite periferica ulcerativa o vasculite dei vasi
retinici. L’episclerite è un’infiammazione superficiale della
sclera che causa arrossamento e dolore. La sclerite è invece
un’infiammazione profonda, dovuta probabilmente a vasculite, che provoca dolore intenso, lacrimazione e fotofobia. Altre forme sono la scleromalacia, caratterizzata da un
processo granulomatoso con progressivo assottigliamento
della sclera ed evidenza di colorazione scura della coroide
(se i noduli si ulcerano portano a perforazione dell’occhio
con scleromalacia perforans), e la sclerite nodulare necrotizzante con formazione di noduli reumatoidi che possono
andare incontro a necrosi. Le più comuni manifestazioni
oculari sono la xeroftalmia e la cheratocongiuntivite secca che, associate alla xerostomia, possono esprimere una
sindrome di Sjögren secondaria.
Muscoli La debolezza muscolare è un sintomo comune nei pazienti affetti da AR e può riguardare i gruppi
muscolari contigui all’infiammazione articolare o essere
generalizzata. Nella maggior parte dei casi non si associa
a dolorabilità muscolare ed è secondaria all’ipotrofia muscolare conseguente al non uso o alla miopatia da utilizzo
prolungato di steroide. Occasionalmente alcuni pazienti
possono avere un dolore muscolare acuto, simile al dolore
ischemico, in caso di severe riacutizzazioni della malattia.
È stata descritta anche una forma di vera e propria miosite,
con rialzo degli enzimi muscolari, alterazioni elettromiografiche e infiltrati infiammatori perivascolari e perimisiali
con necrosi muscolare all’esame istologico.
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Parte 13 - MALATTIE DELLE ARTICOLAZIONI
Figura 76.5
Le frecce indicano
la presenza di
erosioni marginali
“a morso di topo”.
Dunque il tessuto sinoviale produce i mediatori che possono attivare pesantemente gli osteoclasti. Questo spiega
perché il tessuto sinoviale possa addirittura infiltrarsi
all’interno delle lesioni erosive.
Manifestazioni ematologiche Nei pazienti con AR è
spesso presente un’anemia normocromica-normocitica e
in un subset compare un’anemia ipocromica-microcitica
con bassa ferritina da carenza marziale. L’anemia da malattia cronica è dovuta all’effetto delle citochine TNF-␣ e
IL-1␤ che inibiscono l’utilizzazione del ferro e riducono
la produzione di precursori eritroidi. Qualora vi siano alti
livelli di IL-6 invece vi sarà aumento della sintesi di epcidina, proteina che riduce l’assorbimento di ferro dal duodeno, altera il rilascio di ferro dai macrofagi e dunque rende
impossibile il rifornimento di ferro ai precursori eritroidi.
Ne consegue anemia da carenza marziale. Raramente l’AR
si presenta con splenomegalia e leucopenia (in particolare
neutropenia), ulcere cutanee distali, linfoadenomegalia, positività dell’FR ad alto titolo, anticorpi antinucleo
(ANA) ad alto titolo, epatomegalia, trombocitopenia,
febbre e infezioni ricorrenti e una particolare leucosi con
espansione degli LGL (Large Granular Lymphocytes). La
sindrome di Felty presenta un rischio molto elevato (circa
40 volte) di incidenza di linfoma non-Hodgkin.
Esami strumentali
Il marchio dell’AR è l’erosione articolare, che si manifesta là dove la membrana sinoviale riveste l’articolazione
ossia il versante più esterno, marginale. È detta a “morso
di topo” (Fig. 76.5). Tali erosioni richiedono un’attivazione osteoclastica non controllata e le molte evidenze
sperimentali hanno portato a concludere che l’equilibrio
fondamentale è quello tra fattore attivante gli osteoclasti
(detto RANK-L: receptor activator of NF-kB ligand) e inibitore (OPG: osteoprotegerina) degli osteoclasti. I linfociti T
che infiltrano il tessuto sinoviale e i fibroblasti esprimono
abbondantemente RANK-L. Nell’ambito delle citochine la
IL-1 è la più potente induttrice di RANK-L; meno attivi ma
sinergici con IL-1 sono TNF-␣ e IL-17 (interleuchina 17).
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Imaging La prima indagine strumentale da eseguire è
la radiografia delle mani e dei piedi. Nelle prime settimane della malattia si può osservare tumefazione delle
parti molli (tessuto sinoviale), osteopenia periarticolare
e riduzione dell’interlinea articolare, ma è improbabile
osservare erosioni.
Altrettanto immediato deve essere l’esame ecografico,
con power Doppler, che dimostrerà la presenza di versamento intrarticolare, di panno proliferante e di eventuale
angiogenesi. L’ecografia può evidenziare anche erosioni
marginali.
La TC è invece particolarmente dimostrativa del danno
osseo già instaurato e dell’avvenuta distruzione delle cartilagini.
La RM con eventuale mezzo di contrasto è utile, soprattutto quando l’ecografia non è possibile, per dimostrare
l’infiammazione sinoviale con versamento intrarticolare
e l’edema dell’osso subcondrale dove si instaura l’osteopenia periarticolare e dove eventualmente comparirà
l’erosione dell’articolazione.
L’indagine strumentale riveste una tale importanza per
due ragioni:
1. perché l’erosione è uno dei fattori prognostici più
pesanti per la comparsa di nuove erosioni;
2. perché è il marcatore più importante di malattia
progressiva, invalidante e dunque impone una
terapia aggressiva al fine di spegnere la malattia.
Esami di laboratorio
Gli esami di laboratorio per la diagnosi di artrite reumatoide (Tab. 76.2) devono servire a chiarire tre aspetti
fondamentali:
1. la fase di attività infiammatoria sistemica;
2. l’interessamento sistemico della malattia
(interessamento ematologico, renale, epatico
soprattutto);
3. l’autoimmunità presente nel singolo paziente.
L’infiammazione viene monitorata con la misura della
VES (velocità di eritrosedimentazione), del livello di PCR
(proteina C reattiva), del livello di fibrinogeno. La valutazione delle varie comorbilità passa attraverso la misura
dei livelli di HDL (High Density Lipoprotein) che tendono
sotto l’effetto dell’infiammazione a diminuire, di LDL
(Low Density Lipoprotein) che tendono ad aumentare
così come i livelli di colesterolo totale. L’impegno ematologico passa attraverso la valutazione emocromocitometrica, dei livelli di emoglobina e di ferritina. La flogosi
cronica produce anche una piastrinosi che raggiunge
livelli medio-bassi. L’esame del sedimento urinario e i
test di colestasi e di citonecrosi epatica sono di routine.
Un rilievo fondamentale è lo studio dell’autoimmunità
con la ricerca della presenza del fattore reumatoide IgM
(FR) e degli anticorpi anti-peptidi citrullinati (ACPA). La
loro presenza rappresenta uno dei fattori prognostici più
importanti.
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Capitolo 76 - ARTRITE REUMATOIDE
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Tabella 76.2 Esami di laboratorio per la diagnosi di artrite reumatoide
Proteina C reattiva (PCR)*
Tipicamente aumentata oltre i 5 mg/L; utilizzata per monitorare la fase di attività di malattia
Velocità di sedimentazione (VES)*
Tipicamente aumentata oltre i 28 mm/l’ora; utilizzata per monitorare l’attività di malattia
Emoglobina (Hb)*
Diminuita. Media intorno a 10 g/dL. È un’anemia ipocromica-normocitica oppure
ipocromica-microcitica a bassa ferritina
Piastrine*
Sono aumentate come espressione della flogosi sistemica nelle poliartriti progressive
Globuli bianchi*
Possono essere aumentati, soprattutto nei fumatori. Sono diminuiti in corso
di sindrome di Felty (neutrofili < 1500/mm3)
Immunoglobuline
Ipergammaglobulinemia nei pazienti con autoimmunità e manifestazioni extrarticolari
Sedimento urinario*
La presenza di urine alcaline più volte deve far escludere una nefropatia tubulare (acidosi
tubulare). La microematuria deve far escludere una nefropatia mesangiale
Test di danno epatico*
ALT (GPT), fosfatasi alcalina, ␥GT di solito normali. Un loro innalzamento deve imporre
l’esclusione soprattutto di pregresse infezioni virali (HCV, HBV). Se la fosfatasi alcalina
è elevata nelle persone anziane bisogna escludere una osteomalacia
Fattore reumatoide (FR)*
Presente in circa il 70% dei casi. È un fattore prognostico importante di malattia erosiva
Anti-CCP*
È il marcatore più specifico. Si associa a prognosi severa e a malattia erosiva
ANA*
Positivi nel 30-40% dei casi, diretti contro proteine istoniche. Il loro significato nell’AR
è ancora indefinito. Un titolo elevato (> 1/320) deve indurre a ipotizzare un’artrite
in connettivite sistemica.
Esami necessari al momento della diagnosi differenziale iniziale.
*
Terapia
La terapia di ogni forma di artrite si basa su quattro
obiettivi:
1. ridurre il dolore, controllando e spegnendo
il processo infiammatorio;
2. bloccare il processo distruttivo delle strutture
articolari, dunque ottenere la remissione della
malattia;
3. ridurre la comparsa di comorbilità (per esempio, cardiopatia aterosclerotica, osteoporosi secondaria);
4. impedire la perdita della capacità lavorativa.
Per raggiungere il primo scopo servono i farmaci
antinfiammatori non steroidei (FANS) e steroidei
(cortisonici); per il secondo è necessario utilizzare
farmaci che modificano il decorso della malattia,
distinti in piccole molecole (DMARDs-SM, Disease
Modifying Anti-Rheumatic Drugs Small Molecules)
o farmaci biologici (DMARDs-BT, Disease Modifying
Anti-Rheumatic Drugs Biological Therapies).
Per il terzo obiettivo è necessaria la riabilitazione
articolare-neuromuscolare ed eventualmente la chirurgia ortopedica.
FANS e cortisonici
I FANS possono agire come COX1 inibitori e/o come
COX2 inibitori (ciclossigenasi di tipo 1 e 2), essendo
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in grado di esercitare un’inibizione sia su COX1 sia
su COX2. I COX1 sono molto efficaci ma potenzialmente tossici per l’apparato gastroenterico (possono
provocare gastrite erosiva e ulcera). A livello renale
sia i COX1 sia i COX2 possono provocare riduzione
del filtrato glomerulare, ritenzione idrosalina, eventualmente nefrite interstiziale con insufficienza renale acuta. Possono causare ipertensione, ischemia
coronarica con infarto e possono scatenare asma.
Ovviamente questo deve significare attenzione assoluta alla somministrazione nei pazienti che sono
già portatori di comorbilità e nei pazienti anziani
(> 65 anni). I COX1 più utilizzati sono: indometacina (25-150 mg/die), naprossene (250-1000 mg/
die), diclofenac (25-150 mg/die), piroxicam (20 mg/
die), ibuprofene (600-1800 mg/die), nimesulide (100400 mg/die), ketoprofene (50-200 mg/die). I COX2
inibitori più utilizzati sono: etoricoxib (60-120 mg/
die), celecoxib (200-400 mg/die).
L’uso dei cortisonici è invece fondamentale nella
maggioranza dei pazienti, in quanto sono efficaci
antinfiammatori e sono potenzialmente in grado
di ridurre la progressione del danno erosivo e strutturale. Purtroppo sono gravati da molteplici effetti
collaterali (tra i più frequenti: diabete, cataratta, ipertensione, osteoporosi, miopatia, disturbi del sistema
nervoso centrale, aumento ponderale). Il dosaggio
massimo giornaliero deve essere di 0,1-0,2 mg/kg/
die in equivalenti di prednisone al mattino alle ore 8,
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Parte 13 - MALATTIE DELLE ARTICOLAZIONI
per risparmiare quanto più possibile l’asse ipotalamoipofisi-surrene. Sono utilissimi anche per infiltrazioni locali a livello di polsi, ginocchia, articolazioni
metacarpo-falangee, tibio-tarsiche ecc. da effettuarsi
possibilmente sotto guida ecografia.
I DMARDs-SM sono invece farmaci che intervengono
sul sistema immunitario per risettarlo e dunque rallentare e spegnere la malattia flogistica autoimmune.
I farmaci da utilizzare sono: clorochina (CHL 4 mg/
kg/die) e idrossiclorochina (OHC 6 mg/kg/die) nelle
forme lievi; methotrexate (MTX 0,1-0,3 mg/kg una
volta la settimana con incremento graduale), leflunomide (LF 10-20 mg/die), sulfasalazina (SSZ 20-40 mg/
kg/die con incremento graduale), ciclosporina A (CsA
2,5-4 mg/kg/die) nelle forme più aggressive e severe.
Gli effetti collaterali più importanti a seconda del
farmaco sono: tossicità epatica, ematologia, ipertensione, riduzione del filtrato glomerulare, aumento
del rischio infettivo.
I DMARDs-BT sono invece farmaci sintetizzati con
l’ingegneria genetica (anticorpi monoclonali chimerici o umani, o recettori solubili coniugati con
immunoglobuline) diretti contro proteine chiave
dell’infiammazione reumatoide (per esempio, TNF-␣
e linfotossina ␤, IL-1, IL-6, molecola co-stimolatoria delle cellule T come CTLA4) oppure molecole di
membrana di cellule direttamente implicate come
le cellule B (target la molecola CD20). Quelli attualmente in commercio sono: infliximab, anticorpo
monoclonale chimerico murino-umano IgG1, antiTNF-␣ (3 mg/kg secondo uno schema specifico i.v.);
etanercept, proteina di fusione del recettore solubile
p75 del TNF coniugato a Fc di IgG1 (25 mg/biw 2 volte
la settimana o 50 mg/w s.c.); adalimumab, anticorpo
monoclonale umano anti-TNF-␣ (40 mg/bw ogni 2
settimane o 40 mg ogni settimana s.c.); abatacept,
proteina di fusione che comprende il dominio
extracellulare del CTLA-4 (proteina transmembrana
inibitoria delle T cellule) legato con IgG1 (10 mg/kg
i.v. mensile); anakinra, antagonista umano del recettore della interleuchina 1-r-metHuIL-Ra (100 mg/s.c./
die); rituximab, anticorpo monoclinale chimerico
murino-umano con IgG1 umana (500-1000 mg giorni
1 e 15 i.v. soltanto). Tutti dovrebbero essere utilizzati
in combinazione con MTX. Gli effetti collaterali più
frequenti sono: riattivazione di infezioni croniche o
latenti, tossicità ematologica, aumento del rischio di
neoplasia (linfomi o tumori solidi).
È necessario ridurre le comorbilità; le più frequenti
sono l’osteoporosi secondaria (OP) e la patologia cardiovascolare (CVD). L’OP è secondaria sia alla malattia infiammatoria sia alla terapia steroidea. Dunque in
ogni paziente ove sia previsto un programma di terapia steroidea per più di 3 mesi va iniziata la profilassi
per l’osteoporosi, soprattutto se la paziente è in postmenopausa, dopo monitoraggio densitometrico.
Le terapie fisica e occupazionale sono importanti per
mantenere mobilità e funzionalità, per migliorare la
forza, la resistenza e l’efficienza cardiovascolare. Integrante è l’uso di strumenti di supporto ergonomici,
l’educazione posturale e la protezione articolare.
L’intervento chirurgico-ortopedico si impone laddove
la terapia medica fallisca e l’articolazione non sia
più in grado di reggere le sollecitazioni e lo stress del
movimento con compromissione della qualità della
vita giornaliera.
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