È ora di un nuovo consenso Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo Editore: Bretton Woods Project Autore: Peter Chowla Assistenti di ricerca: Juan O’Farrell, Callum Ward, Henrike Allendorf Traduzione di Irene Forcella Grafica: Carlo Dojmi di Delupis Stampato da Tipografia 5M Dicembre 2011 Si ringraziano, in ordine sparso, le persone seguenti per i loro validi commenti su questo rapporto: Stephen Spratt, Alex Cobham, Jesse Griffiths, Nuria Molina, Peter Wahl, Ondrej Kopecny, Antonio Tricarico e Sarah Anderson. Altri errori od omissioni sono da attribuirsi unicamente all’autore. Questo rapporto è stato finanziato da: Unione europea, CS Mott Foundation, Rockefeller Bros Fund ed un raggruppamento di ONG del Regno Unito. Il rapporto non è da intendersi come espressione delle opinioni dei soggetti finanziatori. Avviso sui diritti d’autore: Questo testo potrà essere usato liberamente, a condizione di citarne la fonte. Bretton Woods Project 33-39 Bowling Green Lane, London EC1R 0BJ, United Kingdom +44 (0)20 3122 0610 email: [email protected] web: http://www.brettonwoodsproject.org Il Bretton Woods Project è un programma di ActionAid (Ente di beneficenza riconosciuto n. 274467) Prefazione all’edizione italiana Dopo la mastodontica crisi finanziaria, e poi economica e sociale, che ha portato dal 2008 l’economia mondiale sull’orlo del collasso, si parla molto di regolamentazione finanziaria, anche se ad oggi ben poco è cambiato nel funzionamento speculativo della finanza mondiale. Diverse misure sono state proposte, da una tassa sulle transazioni finanziarie a una pesante ristrutturazione del sistema bancario, da una revisione dei requisiti patrimoniali delle banche alla regolamentazione del cosiddetto sistema bancario ombra incentrato sulle cartolarizzazioni e sull’utilizzo dei prodotti derivati. Tutte misure sensate, o quanto meno utili per iniziare a ridimensionare i mercati finanziari internazionali, oggi superiori di decine di volte al valore dell’economia reale del Pianeta. Ma ancora poco si discute, specialmente in Italia, di misure che sarebbero molto più efficaci e strutturali, quali ad esempio il controllo dei movimenti di capitali. Questa pubblicazione è una delle poche in italiano a portare luce su questa tematica cruciale in maniera didascalica e concreta. Il controllo dei movimenti di capitali è intimamente collegato alla gestione dei sistema monetario internazionale, ed entrambe le questioni ci riportano alla “madre di tutte le battaglie”. La sbornia liberista e monetarista, infatti, iniziò con la rottura del sistema di Bretton Woods nel 1971-73. Una data che forse segna l’inizio della cosiddetta globalizzazione di stampo liberista, ponendo fine al trentennio keynesiano, che ha caratterizzato il periodo di crescita economica più elevata nella storia moderna. All’inizio degli anni ‘70 il presidente americano Richard Nixon decise di porre fine al sistema monetario statico che collegava tutte le monete al dollaro e quindi alle riserve auree di Fort Knox. Non a caso dopo la decisione unilaterale di far fluttuare le monete di tutto il mondo e di non collegare più il dollaro all’oro fu una tappa inevitabile per la liberalizzazione dei movimenti di capitali a livello internazionale, spesso sotto il diktat del Fondo monetario internazionale nel caso dei Paesi più poveri. Il resto della storia della crescita dei mercati finanziari internazionali e dell’ascesa del capitalismo finanziario, culminata poi nel crollo della Lehman Brothers e nella crisi, la conosciamo. Perciò è cruciale tornare a spiegare che cosa significa controllare i movimenti di capitali, come questo può avvenire in pratica, quali sono le sue implicazioni macroeconomiche e quali opzioni esistono a livello nazionale, regionale e mondiale per intraprendere questa strada, ponendo termi- ne all’egemonia liberista e finanziaria. Finalmente anche il Fondo monetario internazionale ha rotto il tabù iniziandone a parlare, e addirittura consigliando questa misura nel caso della crisi finanziaria che ha colpito l’Islanda nel 2009. D’altronde la storia dà oggi ragione a chi, come la Cina e l’India, negli ultimi decenni hanno continuato a controllare i movimenti di capitali in entrata ed uscita, diventando così le due locomotive dell’economia mondiale. In ogni caso per uscire dagli squilibri globali che oggi caratterizzano l’economia mondiale è assolutamente necessario tornare ad attuare misure di controllo dei capitali insieme ad altri correttivi. Ma tornare a parlare di controllo dei movimenti di capitali è quanto mai urgente anche nel contesto della grave crisi finanziaria che colpisce oggi l’area euro. L’Unione Europea sin dalla sua nascita ha promosso la liberalizzazione dei movimenti di capitali. Oggi capiamo quanto questa sia stata una scelta sciagurata, specialmente se combinata con la creazione di una moneta comune senza una vera integrazione economica regionale. Gli speculatori possono attaccare indisturbati le economie dei paesi della periferia europea e quelli del “centro”, Germania in primis, beneficiano della libertà di esportare il proprio surplus finanziario in questi e altri paesi. Va aggiunto che tornare a controllare i capitali sarebbe utilissimo per ridurre l’evasione fiscale, nonché sarebbe uno strumento di grande aiuto qualora un paese debba ricorrere ad un default, o quanto meno ad una ristrutturazione del suo debito, evitando così un’ingente fuga di capitali dei ceti più ricchi. Il governo italiano dovrebbe in maniera previdente battersi quindi per un ritorno al controllo dei movimenti dei capitali, anche nel suo proprio interesse, vista la difficile situazione di finanza pubblica in cui versa. Lord Maynard Keynes, se fosse vivo, non crederebbe alla follia in cui ci siamo immersi fino al collo. Per lui tutto o quasi poteva essere liberalizzato a livello mondiale, con le ovvie precauzioni, ma non la finanza, perché questa era paragonabile ad una tigre, che una volta liberata, diventa quasi impossibile da catturare. Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi. I più grandi specu- latori ed attori finanziari non solo sono troppo grandi per fallire o addirittura troppo grandi per essere salvati dagli Stati, ma anche too big too jail, troppo grandi per essere imbrigliati, come aveva preconizzato Keynes. Tornare a controllare i movimenti di capitali sarebbe l’unico modo per addomesticare la tigre e riportare finalmente il genio della finanza dentro la lampada. Converrebbe a tutti: ai governi oggi incapaci di arginare la finanza globale, ai popoli che soffrono la crisi, all’ambiente ed alla giustizia sociale devastati dal profitto finanziario. Certo, non converrebbe a quelli che ci hanno portato sull’orlo del fallimento e hanno beneficiato enormemente dalla follia finanziaria degli ultimi decenni, ma di questo non vale la pena preoccuparsi. Cambiare si può, iniziando a controllare i capitali. Antonio Tricarico Roma, gennaio 2012 Sintesi Negli ultimi secoli, il mondo è oscillato tra processi di globalizzazione e “deglobalizzazione” del sistema finanziario, con risultati assai diversi. A seguito del crollo finanziario del 2008, si è tornati a discutere del ruolo dei flussi transfrontalieri di capitale, che possono avere effetti positivi o potenzialmente disastrosi. I paesi che hanno risentito maggiormente della crisi infatti sono stati quelli che avevano adottato le politiche con maggiore deregolamentazione e liberalizzazione dei flussi di capitale in entrata. Questo documento spiega gli svantaggi che le politiche di deregulation dei movimenti transfrontalieri di capitale comportano soprattutto per lo sviluppo e propone un’impostazione più pragmatica in materia di regolamentazione dei flussi finanziari attraverso la quale garantire stabilità e sviluppo. A partire dal 2009, molte economie emergenti e in via di sviluppo hanno aumentato il loro livello di regolamentazione e controllo sui flussi finanziari al fine di poter gestire le ondate improvvise di capitali provenienti dall’estero, in un momento in cui si assisteva a un crescendo di flussi di capitali sempre più volatili verso i paesi in via di sviluppo (PVS): infatti, nel 2010, i movimenti di capitali toccarono $1,095 trilioni, un valore secondo solo al record di $1,65 trilioni raggiunto nel 2007. L’esperienza ha provato che movimenti di denaro così rapidi e su questa scala si stanno rivelando sempre più problematici. I flussi di capitali comportano una serie di rischi, come quello legato alla Wall Street Foto Carlo Dojmi Attraverso un’analisi storica di lungo periodo, si nota che l’attuale regime di relativa facilità e libertà di movimento del denaro attraverso le frontiere senza regolamentazioni rappresenta l’eccezione piuttosto che la norma. La liberalizzazione dei flussi finanziari internazionali si dovrebbe considerare un intervento significativo e insolito, dato che la finanza ha sempre avuto prevalentemente una dimensione nazionale e regolamentata. valuta, alla possibilità di fuga, alla fragilità, al contagio e alla limitazione della sovranità nazionale. Nella letteratura economica, è ormai ampiamente condiviso che ondate e interruzioni improvvise dei flussi di capitali contribuiscono a generare crisi finanziarie e bancarie. Queste crisi non fanno solo notizia, ma hanno vaste ripercussioni negative sulla società. Le modalità di controllo dei flussi finanziari hanno delle ripercussioni su fattori quali la distribuzione della ricchezza, la povertà, il benessere dei bambini, il progresso economico delle donne e la disoccupazione. Questi effetti non si producono solo in tempo di crisi, in quanto anche le congiunture favorevoli possono causare problemi di disuguaglianza e deindustrializzazione. Infine, la piena liberalizzazione dei movimenti di capitali agevola anche l’elusione e l’evasione fiscale. Sul versante opposto, la storia economica mostra che seppure i paesi che si sono sviluppati con successo lo abbiano fatto usando capitali provenienti dall’estero, questi capitali non sono arrivati attraverso mercati di capitali totalmente liberalizzati. In generale, gli investimenti più auspicabili sono Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo III quelli di durata più lunga e con vantaggi o ricadute positive supplementari. Un controllo dei movimenti di capitali migliore e più concreto contribuirebbe anche alla riduzione degli squilibri macroeconomici su scala globale, in quanto ridurrebbe il bisogno di riserve in valuta estera e renderebbe i paesi più capaci di attuare le proprie politiche monetarie e fiscali in maniera indipendente e gestire ingenti flussi in entrata e in uscita. I PVS stanno già provando ad esercitare una maggiore influenza sugli aumenti dei flussi di capitali in entrata e vi è un ampio dibattito sull’efficacia degli strumenti attualmente in uso. Sia chiaro che nessuno strumento macroeconomico sarà mai quello perfetto. Infatti, seppure una regolamentazione dei movimenti di capitali possa riuscire ad allungare l’orizzonte temporale degli investimenti previsti e a cambiare la composizione dei flussi finanziari in entrata, vi sono esperienze discordanti sulla capacità di influire sui volumi dei flussi di capitali e sull’apprezzamento della valuta nazionale. Cina e India, con i loro vasti controlli sui movimenti di capitali, vantano due dei modelli di politica nazionale più efficaci e continuano ad annoverarsi tra le economie in più rapida crescita. Nel mondo, diversi paesi hanno adottato con successo un ventaglio di misure che va dalle limitazioni agli investimenti diretti esteri alle restrizioni sui cambi, passando per i controlli quantitativi sui capitali in entrata e i controlli su quelli in uscita, le imposte sugli afflussi di capitale, le regolamentazioni bancarie e i limiti all’emissione di derivati. Nonostante i gravi rischi sociali legati alla mancanza di regolamentazione dei flussi finanziari, le misure adottate a livello internazionale per gestire i movimenti di capitali sono disorganiche e non esiste un quadro di riferimento globale omnicomprensivo. La liberalizzazione diffusa dei mercati dei capitali a cui si è assistito nell’ultimo trentennio è stata incoraggiata da numerose pressioni internazionali provenienti da istituti quali il FMI, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, accordi bilaterali di commercio e di investimento, l’OCSE e l’UE. Queste istituzioni ostacolano fortemente l’applicazione più efficace di regolamentazioni concrete dei mercati dei capitali; inoltre, soprattutto nei paesi ricchi, vi sono gruppi di interesse con un rilevante peso politico che hanno convenienza nel cercare di impedire l’introduzione di queste regolamentazioni. IV È ora di un nuovo consenso La maggior parte delle regolamentazioni sui movimenti dei capitali vengono applicate unilateralmente mentre in alcuni paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, l’efficacia di questi strumenti è limitata. Eventuali effetti indesiderati interni possono essere affrontati attraverso politiche e investimenti pubblici mirati ad assicurare che l’intermediazione e le istituzioni finanziarie del paese soddisfino i bisogni dei meno abbienti e perseguano uno sviluppo sostenibile. Le ripercussioni dell’applicazione di queste regolamentazioni su paesi terzi appaiono modeste e si possono attenuare tramite un migliore coordinamento delle regolamentazioni a livello regionale. Tuttavia, sarebbe ancora più efficace se fossero i paesi ricchi ad adottare delle misure a riguardo, in modo da contrastare all’origine i rischi derivanti dai flussi di capitali. Questo significherebbe per esempio attuare una migliore regolamentazione finanziaria generale, anche se è bene concentrarsi sulle politiche specifiche riguardanti i flussi di capitali nei paesi di origine. Un maggiore coordinamento a livello regionale e internazionale sulla regolamentazione dei movimenti di capitali, e in particolare sull’applicazione delle norme, aiuterebbe i PVS ad affrontare il tema dei flussi di capitale in maniera più efficace. Infine, un più ambizioso accordo su scala globale potrebbe potenziare le tecniche di controllo dei flussi dei paesi di origine e di quelli di destinazione e dar loro coerenza reciproca. Un approccio più concreto alle politiche macroeconomiche e ai flussi finanziari transfrontalieri porterebbe beneficio ai paesi sviluppati e a quelli in via di sviluppo e aumenterebbe la stabilità. E’ ora di un nuovo consenso, un consenso a favore di politiche pragmatiche che portino i flussi finanziari a vantaggio della popolazione, specialmente nei PVS. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni, è chiaro che, nonostante la presenza di ostacoli imponenti, arrivare a una finanza utile allo sviluppo non è al di fuori della nostra portata. Le organizzazioni della società civile e i movimenti sociali possono esercitare pressioni determinanti per ottenere un cambiamento politico, ma la loro azione deve essere integrata da una nuova filosofia da parte dei protagonisti del mondo della finanza e dei legislatori. Nel breve periodo: Nel medio periodo: 1. I gruppi della società civile devono riconoscere che riformare i controlli dei flussi finanziari internazionali e la struttura del sistema finanziario internazionale è importante per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e pretendere il cambiamento. 5. I paesi ricchi e quelli in via di sviluppo 2. I decisori delle politiche nei PVS non dovrebbero temere la regolamentazione dei movimenti di capitali e dovrebbero pensare in modo più propositivo non solo ai benefici ma anche ai costi dei vari tipi di flussi di denaro. 3. IL FMI deve accettare che la regolamentazione dei mercati dei capitali è sempre auspicabile. Una volta accolto questo principio e mostrato un orientamento più pragmatico, può lavorare con i paesi e aiutarli a definire le tecniche migliori per il raggiungimento degli obiettivi prefissati nelle loro politiche. 4. I decisori politici e le istituzioni internazionali interessate devono creare un sistema internazionale di analisi e condivisione dei dati che li aiuti a monitorare sia i nuovi strumenti di regolamentazione dei flussi finanziari che quelli già in essere. devono coordinarsi per rimuovere gli ostacoli normativi generati da trattati di investimento e accordi di libero scambio. 6. I decisori politici dei PVS devono essere sollecitati, specialmente dai loro cittadini, a iniziare ad operare all’interno di sinergie regionali per coordinare le politiche di controllo dei movimenti di capitali. 7. I paesi ricchi devono avviare delle discussioni serie con i PVS, presso il FMI o altrove, su come i paesi di origine possano contribuire efficacemente alla stabilità dei flussi finanziari, migliorando le previsioni di sviluppo. 8. I trattati in essere, come quello di Lisbona nell’Unione europea – che sembra già avere bisogno di una rinegoziazione – vanno modificati per eliminare i requisiti di liberalizzazione dei movimenti di capitali. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo V Lista di acronimi AML/CFT Antiriciclaggio e contrasto del finanziamento del terrorismo APE Accordi di partenariato economico BIT Bilateral investment treaty (Trattato bilaterale per gli investimenti) CFIUS Comitato sull’Investimento Estero negli Stati Uniti ECLAC Commissione Economica per l’America Latina FIRB Foreign Investment Review Board (Commissione investimenti dall’estero) FMI Fondo Monetario Internazionale FTA Free Trade Agreement (Accordo di libero scambio) GATS General Agreement on Trade in Services (Accordo Generale sul Commercio di Servizi) IDE Investimento Diretto Estero IEO Independent Evaluation Office (Ufficio di Valutazione Indipendente) IIA International Investment Agreement (Accordo internazionale sugli investimenti) IOF Imposto sobre Operações Financeiras (Brasile) KIKO Knock-in, knock-out (contratto derivato su valuta) OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico OMC Organizzazione Mondiale del Commercio OSM Obiettivi di Sviluppo del Millennio PIL Prodotto Interno Lordo PVS Paesi in via di sviluppo UE Unione europea UNCTAD Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo URR Unremunerated Reserve Requirement (obbligo di deposito infruttifero) USA Stati Uniti d’America Sommario 1. Introduzione ............................................................................... 1 2. Contesto ...................................................................................... 4 Concetti schematici di macroeconomia in materia di movimenti di capitali 4 Storia recente del controllo dei movimenti di capitali .................................. 6 Tendenze dei flussi di capitali ......................................................................... 7 3. Grandi rischi, piccoli benefici .................................................. 10 La liberalizzazione aumenta i rischi di crisi finanziarie .............................. 11 Effetti socioeconomici della crisi finanziaria ................................................ 12 - Ripercussioni sulla distribuzione della ricchezza - Ripercussioni sull’infanzia - Ripercussioni di genere Anche i periodi di crescita hanno delle ripercussioni .................................. 15 - Diseguaglianza - Deindustrializzazione Evasione fiscale e problemi legati alla riservatezza .................................... 17 Potenziali vantaggi degli afflussi di capitali .................................................. 17 Controllo degli squilibri del commercio globale ........................................... 18 4. Efficacia dei controlli dei movimenti di capitali .................. 20 Panoramica generale ..................................................................................... Limitazioni delle partecipazioni straniere .................................................... Controlli tradizionali sui capitali in entrata .................................................. Regolamentazione dei deflussi di capitale ..................................................... Provvedimenti basati sui costi e sulle imposte .............................................. Misure di regolamentazione ........................................................................... 20 21 22 24 28 29 5. Ostacoli all’efficacia dei controlli sui movimenti di capitali 31 Controlli del FMI, condizionalità e consulenza ............................................. Organizzazione Mondiale del Commercio .................................................... Accordi bilateral ............................................................................................. Altri accordi multilaterali – Il Trattato di Lisbona e il codice OCSE ............. Gruppi di interesse politico ............................................................................ 31 33 34 35 36 6. L’approccio multilaterale o bilaterale .................................... 38 Iniziative unilaterali e conseguenze .............................................................. Politiche relative ai paesi d’origine ................................................................ Bisogno di soluzioni coordinate ..................................................................... Creazione di un sistema globale ..................................................................... 38 40 41 42 7. Raccomandazioni e conclusioni ............................................... 43 8. Note .............................................................................................. 45 Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo VII 1.Introduzione I movimenti di denaro su scala globale non sono un fenomeno nuovo. Le monete degli antichi romani, infatti, arrivarono perfino in India. Tuttavia, il denaro e i mercati non esistono in una condizione naturale, in assenza cioè di norme e regolamentazioni che traccino i confini della loro attività. Nell’era moderna, lo stato nazione si è assunto l’autorità e la responsabilità di porre dei limiti e definire i parametri di operatività della finanza. Negli ultimi secoli, il mondo è oscillato tra processi di globalizzazione e “deglobalizzazione” del sistema finanziario, con risultati assai diversi. Attraverso un’analisi storica di lungo periodo, si nota che l’attuale regime di relativa facilità e libertà di movimento del denaro attraverso le frontiere in assenza di regolamentazioni rappresenta l’eccezione piuttosto che la norma. La liberalizzazione dei flussi finanziari internazionali dovrebbe essere considerata un intervento insolito e significativo, in quanto la finanza è stata per lo più regolamentata e confinata al territorio nazionale. Il progetto di liberalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni, attinente a una certa corrente dell’economia teorica e fondato sulla fede nell’infallibilità dei mercati, considera la libertà di movimento dei flussi finanziari un evento normale, a dispetto di secoli di finanza regolamentata.1 La crisi finanziaria del 2008, invece, ha screditato le teorie su cui si reggeva l’impalcatura della nostra politica economica; lo stesso presidente della Financial services authority del Regno Unito, Lord Adair Turner, l’ha definita “la completa distruzione di una teoria economica e finanziaria predominante.”2 Le buone teorie possono e devono essere alla base delle opinioni 1 È ora di un nuovo consenso e delle scelte politiche; tuttavia, esse devono comunque mirare al conseguimento di risultati pratici e scopi concreti. A questo proposito, dobbiamo riflettere su quale sia l’obiettivo della finanza, che deve essere subordinata ai fini della società e non il contrario. Uno dei punti principali di discussione all’indomani del crac finanziario del 2008 è stato il ruolo della finanza internazionale, conosciuta sotto l’aspetto di flussi transfrontalieri di capitali. Questi flussi possono essere vantaggiosi ma anche produrre La liberalizzazione conseguenze devastanti. I paesi dei flussi finanziari ricchi lo dovrebbero sapere, dati i internazionali dovrebbe loro trascorsi, visto che in pasessere considerata un sato sono quasi sempre ricorsi a regolamentazioni sui movimenti intervento insolito e significativo, in quanto la di capitali. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale (FMI) fu finanza è stata per lo più istituito anche per contribuire al regolamentata e confinata controllo dei movimenti di capitali all’indomani della seconda al territorio nazionale. guerra mondiale. Riquadro 1. Quali sono gli strumenti di controllo dei movimenti di capitali? Il conto capitale è una voce della bilancia dei pagamenti che misura la variazione del patrimonio netto di un paese. È un conto finanziario che registra i flussi di denaro in entrata e in uscita dal paese per l’acquisizione di beni e non di merci. Vi sono svariati strumenti per controllare i flussi di capitali e la definizione “controllo sui capitali” abbraccia un enorme spettro di attività diverse, rendendo l’argomento alquanto confuso e astratto. Di seguito vi sono degli esempi rappresentativi di alcune forme di regolamentazione, in modo da facilitare la comprensione di questi strumenti: Controlli sulle società a partecipazione straniera e capitali azionari stranieri - Forse il metodo più naturale e immediato è quello di porre limiti direttamente sugli investimenti esteri: si tratta letteralmente di controlli governativi sui capitali o flussi finanziari che mirano a investire in un’economia. Questi controlli sono stati sempre usati nel corso della storia e hanno riguardato tutti i tipi di flussi: flussi di portafoglio, prestiti e investimenti diretti esteri. Ad esempio, quando la Cina iniziò ad aprirsi all’ingresso di capitali stranieri, mantenne l’obbligo per gli investimenti stranieri di formare una joint venture con un partner locale. Le restrizioni sulle società a totale partecipazione straniera sono rimaste in vigore fino al 1986.3 Obbligo di autorizzazioni governative agli investimenti dall’estero in alcuni settori - Piuttosto che istituire limiti generalizzati come sopra, alcuni paesi operano un sistema di controlli sulle partecipazioni estere solo in alcuni settori. Negli Stati Uniti, grazie a una legge del 19884, è attivo un meccanismo di controllo di qualsiasi investimento estero che “minacci di compromettere la sicurezza nazionale”, per cui il paese può esigere degli impegni ad attenuare le minacce alla sicurezza nazionale. Il semplice rischio di ottenere una bocciatura può far sì che un investitore straniero ritiri le sue proposte d’acquisto. Nel 2008, per esempio, il governo USA approvò l’acquisto di una società portuale da parte della società a capitale pubblico Dubai Ports World; tuttavia, le dichiarazioni apertamente ostili da parte di molti legislatori sono bastate a far sì che poco dopo l’impresa disinvestisse le sue attività americane.5 Limiti alle uscite dei capitali - Mentre gli esempi sopracitati riguardavano dei limiti alle entrate dei capitali e agli investimenti in entrata, alcuni paesi, quando non dispongono di molte riserve estere, cercano di fermare anche i flussi di capitale in uscita, solitamente attraverso controlli sulle transazioni in valuta estera e sulle esportazioni di valuta. Un esempio recente di questa politica viene dall’Islanda, dove nel 2008 la crisi bancaria e finanziaria svalutò la moneta nazionale, la corona. Nell’ambito dei provvedimenti per affrontare la crisi, furono introdotti vasti controlli sulla valuta estera, con il beneplacito del FMI.6 Obbligo di deposito infruttifero (fondi depositati presso la Banca Centrale a fronte di entrate di capitali) - È uno degli strumenti più conosciuti per cui si impone agli investitori stranieri di depositare presso la Banca Centrale l’equivalente di una determinata percentuale del loro investimento. Questo deposito non frutta interessi e viene restituito dopo un certo periodo. Rappresenta un costo aggiuntivo dell’investimento a causa della perdita di interessi e del blocco del deposito presso la Banca Centrale e ha quindi lo scopo di scoraggiare gli investimenti di breve termine. Tra il 1991 e il 1998, il Cile introdusse l’obbligo di un deposito infruttifero equivalente al 30% del valore dell’investimento per un periodo di un anno. Imposta sugli afflussi di capitale investiti in strumenti finanziari a breve termine - Mentre gli obblighi di deposito non procurano redditi allo stato, un’imposta diretta sugli afflussi di capitali può ugualmente ottenere l’effetto di alzare il costo dell’investimento e, allo stesso tempo, generare entrate. Di solito, si agisce imponendo una piccola imposta sui debiti esteri a breve come le acquisizioni di obbligazioni corporate o di crediti da parte di investitori esteri. Un esempio recente (il Riquadro 3 ne fornisce per una spiegazione esaustiva) ci è dato dall’imposta che il Brasile ha messo sugli investimenti esteri a breve, per cui inizialmente si imponeva agli afflussi di capitali a breve termine un’imposta del 2% sul valore dell’investimento. L’imposta fu poi aumentata al 6% alla fine del 2010 per poi tornare al 2% all’inizio del 2011. Limiti sui derivati su valuta emessi da banche nazionali - A causa della crescente complessità del sistema finanziario globale e della continua innovazione finanziaria, anche le regolamentazioni mirate ad evitare le crisi sono diventate inevitabilmente più complesse. Per moderare i rischi legati alla volatilità dei tassi di cambio, i paesi non devono solo pensare alle compravendite di valuta, ma devono anche prendere in considerazione i derivati su valuta, che sono praticamente delle scommesse finanziarie sulle variazioni dei prezzi delle valute. I derivati su valuta possono essere usati sia come una forma di assicurazione dalle variazioni dei tassi di cambio sia invece per speculare sulle variazioni dei tassi di cambio e dei tassi di interesse, esponendo le banche emittenti a forti rischi. Per arginare questo fenomeno, si possono introdurre delle regolamentazioni che limitino il volume totale di contratti derivati su valuta estera emessi dalle banche nazionali. La tredicesima economia del mondo, la Corea del Sud, ha attuato questa politica nel giugno 2010, limitando il volume dei contratti derivati su valuta estera al 50% dei capitali delle banche, con la speranza di limitare i debiti a breve denominati in valuta estera.7 Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo I movimenti di capitali sono stati tra i protagonisti della trasformazione delle economie dell’Asia orientale e in particolare della Cina, ma hanno anche svolto un ruolo deleterio nella crisi finanziaria asiatica di fine anni Novanta così come in molte altre crisi prima e dopo di essa. I paesi che sono andati peggio durante l’ultima crisi finanziaria sono stati quelli con i regimi maggiormente liberalizzati e deregolamentati. Mentre infatti gli investimenti a lungo termine di solito producono buoni risultati, le crisi invece sono riconducibili a hot money (liquidità molto mobili per investimenti a breve termine, ndt), sinonimo di speculazione finanziaria piuttosto che di investimenti. Questo rapporto illustra gli svantaggi che le politiche di deregulation dei movimenti transfrontalieri di capitali provocano soprattutto sullo sviluppo. Inoltre, esamina anche i potenziali vantaggi legati alla regolamentazione di questi flussi, a dispetto dei pareri di istituzioni internazionali quali il FMI e l’Organizzazione Mondiale del È ora di un nuovo consenso Commercio (OMC), a cui fanno eco Unione europea e governi di paesi ricchi, che la considerano nociva. Nuove intese sull’adozione di politiche più caute e pragmatiche rispetto ai movimenti di capitali e sulla loro attuazione possono favorire la stabilità finanziaria, la crescita sostenibile e lo sviluppo sociale. Prima di tutto, questo rapporto esaminerà le questioni teoriche per poi analizzare perché la libera circolazione dei capitali suscita preoccupazione. Quindi, considererà l’efficacia degli strumenti di controllo dei flussi di capitali e gli ostacoli normativi all’adozione di queste misure. Infine, considererà le implicazioni multilaterali e il bisogno di soluzioni internazionali concertate, per poi concludere con una serie di raccomandazioni. 2.Contesto A partire dalla seconda metà del 2009, sono stati sempre più numerosi i paesi in via di sviluppo (PVS) e le economie emergenti che hanno aumentato la regolamentazione e i controlli sugli afflussi di capitali per gestire le ondate di flussi provenienti dall’estero. Questo uso dei provvedimenti di controllo dei capitali sarebbe stato inimmaginabile solo una decina di anni fa; la crisi finanziaria del 2008, invece, ha portato a una ripresa del dibattito sul controllo della circolazione di capitali. Perché provvedimenti di questo tipo stanno nuovamente attraendo l’attenzione dei governi e quali sono le questioni teoriche e pratiche coinvolte? Concetti schematici di macroeconomia in materia di movimenti di capitali Il conto dei movimenti di capitale è, con il conto delle partite correnti, uno dei due principali componenti della bilancia dei pagamenti di un paese. Il conto corrente riflette i redditi netti di un paese, che derivano generalmente dal commercio di merci o dagli interessi sui prestiti, mentre il conto del capitale riflette le variazioni nette sul patrimonio di proprietà nazionale. Infatti, se uno straniero compra un bene, che sia reale come una fabbrica o finanziario come un’azione, questa transazione viene registrata sotto la voce di afflusso di capitale. Analogamente, se un cittadino del paese in questione acquista invece un bene in un paese straniero, la transazione viene registrata come un deflusso di capitale. Il riquadro 2 illustra i principali tipi di flussi di denaro registrati nel conto capitale. Riquadro 2. Categorie di flussi di capitale I flussi di capitali esteri si suddividono in flussi pubblici e privati. I regimi del conto capitale hanno rilevanza per quel che concerne i flussi di capitale privato, su cui si incentra questo documento. In generale, i flussi di capitale privato si possono suddividere in relazione al metodo e allo scopo del movimento. Di solito, il FMI distingue tra investimenti diretti esteri, investimenti di portafoglio, strumenti derivati e altri flussi privati, tra cui i prestiti bancari.8 L’investimento diretto estero (IDE) è una misura della proprietà di beni produttivi, quali fabbriche o terreni, da parte di stranieri. Si riferisce all’acquisizione di una “partecipazione di controllo” da parte di un’impresa in un paese in cui l’investitore non risiede. L’IDE è generalmente associato a partecipazioni di capitale a lungo termine in un’economia, che comporta il trasferimento di tecnologia e know-how. Gli investimenti di portafoglio si riferiscono all’acquisizione di azioni, obbligazioni, valuta o altri strumenti finanziari emessi da settori pubblici o privati di un paese diverso da quello di residenza dell’acquirente. Possono essere suddivisi in investimenti in azioni e in investimenti in titoli del debito, tipologie che presentano profili di rischio differenti. Spesso, ma non sempre, questo tipo di investimento ha una durata più breve e può generare rischi più elevati per l’economia del paese ricevente. Gli strumenti derivati sono contratti finanziari usati per la compravendita del rischio nei mercati finanziari. I loro prezzi e valori sono collegati a un altro strumento finanziario, a un indicatore o a una merce. Vi è flusso di capitale quando un investitore estero sottoscrive o acquista un contratto derivato emesso da un soggetto residente come, per esempio, un istituto finanziario locale. Dato che la compravendita di derivati avviene sui mercati finanziari, i rischi che generano sono simili a quelli degli investimenti di portafoglio. Inoltre, i derivati finanziari spesso sono usati per evitare i controlli sui movimenti di capitale esercitati sugli investimenti di portafoglio. Gli altri flussi sono tutti gli altri tipi di movimenti transnazionali, tra cui spesso spiccano per entità i prestiti concessi da banche commerciali straniere a contraenti pubblici o privati del paese interessato. Questi flussi, creando debito privato estero, rappresentano di per sé un rischio per l’economia del paese ricevente. Altri tipi di flussi sono depositi bancari, alcuni tipi di rimesse e crediti commerciali. Fonte: FMI, 2009. Vi è un’importante interazione tra il grado di apertura del conto dei movimenti di capitali di un paese e i suoi tassi di cambio e di interesse. Se, per esempio, vi è una totale apertura ai movimenti dei capitali, gli stranieri possono investire facilmente in obbligazioni di stato, usando denaro che potenzialmente possono aver preso in prestito in altre valute. Grazie al cosiddetto carry trade, ossia prendendo in prestito denaro in una valuta a basso tasso di interesse per poi investire in un’altra valuta che offre un alto tasso di interesse, gli investitori possono realizzare facili guadagni, creando però con questi flussi di denaro delle ripercussioni sulla domanda di valuta del paese destinatario, dato che si produrrà un innalzamento del valore della valuta mentre gli afflussi registreranno un’impennata. Se un paese con un alto tasso di interesse vuole mantenere stabile il suo tasso di cambio, al fine di, per esempio, di favorire gli investimenti a lungo termine nella produzione industriale per l’esportazione, dovrebbe rivedere al ribasso i propri tassi di interesse per attirare meno flussi. Tutto questo dimostra l’incapacità dei paesi di fare le tre cose insieme: mantenere un basso controllo sui movimenti di capitali, fissare un tasso di cambio e gestire i propri tassi di interesse in maniera indipendente sulla base dei bisogni dell’economia nazionale. Gli economisti Robert Mundell e Marcus Flemming vinsero il premio Nobel per aver creato nei primi anni Sessanta il modello di questo “trilemma”. Se, per esempio, una banca centrale decidesse di aumentare il tasso di interesse interno per raggiungere un obiettivo nazionale come l’abbattimento dell’inflazione, potrebbe incentivare flussi di investimenti finanziari a breve termine dall’estero, che saranno attratti dagli alti tassi di interesse. Questi afflussi porterebbero a un apprezzamento del valore della valuta, interferendo con l’obiettivo di ottenere un tasso di cambio stabile. In questo contesto, se un’economia vuole mantenersi aperta ai movimenti di capitali, il governo deve scegliere tra la volontà di ottenere un tasso di cambio stabile e l’obiettivo iniziale di fermare l’inflazione alzando i tassi di interesse. Una liberalizzazione totale dei movimenti di capitali, quindi, rende più difficile il ricorso ad altri strumenti macroeconomici che potrebbero servire a 5 È ora di un nuovo consenso tenere l’inflazione sotto controllo o a stimolare gli investimenti e le esportazioni. Alcuni analisti sostengono che la liberalizzazione dei movimenti di capitali produce investimenti efficaci su mercati diversi9;questa teoria, tuttavia, si basa su molte false supposizioni10. Come nell’ipotesi dell’efficienza del mercato11, si suppone che tutti i soggetti posseggono informazioni perfette sulle opportunità di investimento e sui relativi rischi in tutto il mondo. Chiaramente, invece, sono pochi gli investitori che dispongono di informazioni accurate, mentre la maggior parte di coloro che si muovono sui mercati degli investimenti lo fanno sulla base di informazioni false, di dritte, o dello slancio contingente delle quotazioni. Gli investitori, siano essi individui o istituzioni, tendono anche ad adottare comportamenti di herding, per cui seguono la tendenza di altri investitori a investire o disinvestire piuttosto che agire sulla base di informazioni circa il vero valore dell’investimento stesso. Altre preoccupazioni riguardano il rischio di contagio, per cui gli investitori non agiscono in modo prettamente razionale ma, per esempio, ritirano il loro investimento da un paese perché un altro paese in quella regione sta avendo dei problemi finanziari. Le crisi finanziarie più recenti ci dimostrano che, così come per le crisi finanziarie precedenti, i mercati non funzionano come teorizzano i principi dell’economia neoclassica e che ogni eventuale vantaggio derivante dall’apertura ai movimenti dei capitali svanisce nel contesto di una crisi finanziaria. I dati empirici raccolti nei decenni non contengono elementi convincenti che provino che la liberalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali sia mai stata associata ad alti livelli di crescita e ancor meno che essa possa generare una maggiore crescita.12 Nel 2003, l’allora capo del FMI Ken Rogoff sostenne che, data la mancanza di dati empirici chiari che dimostrassero il nesso tra liberalizzazione finanziaria e crescita, non si sarebbero dovute esercitare pressioni sui paesi affinché si aprissero totalmente ai movimenti di capitale con troppa rapidità.13 La Commissione sulla crescita, in uno studio su paesi ad elevata crescita, riconosce nel controllo dei flussi e dei settori finanziari un fattore comune delle econo- mie a crescita rapida.14 Il capitolo 3 illustrerà più dettagliatamente alcuni dei rischi e dei problemi legati ai flussi finanziari incontrollati. Storia recente del controllo dei movimenti di capitali Nel corso degli anni, si sono succedute teorie economiche sulla mobilità dei capitali e relative applicazioni pratiche molto diverse tra loro, anche se il dibattito pubblico su come uno stato debba porsi rispetto alla mobilità dei capitali ha interessato soprattutto la seconda metà del XX secolo. Gran parte della storia è stata caratterizzata dall’immobilità dei capitali, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti, a causa di limiti tecnologici quali la lentezza dei trasporti e i cambi di valuta non liquidabili. Solo il XVIII secolo vide grandi volumi di flussi transfrontalieri di capitali, in questo caso sotto forma di prestiti contratti da parte di stati sovrani a società di commercio olandesi e banche con sede ad Amsterdam.15 Ma la prima ondata di globalizzazione finanziaria cominciò solo nella seconda metà del XIX secolo, quando l’espansione dell’Impero britannico consentì agli investitori e alle banche con sede a Londra di iniziare a spostare la finanza in giro per il mondo. Alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento vi era una notevole mobilità di capitale, per la quale l’adozione del sistema monetario aureo ebbe un ruolo importante, in quanto facilitava i movimenti di beni.16 Nonostante quest’ondata di globalizzazione si concentrò prevalentemente sullo scambio di merci e sulla possibilità dei lavoratori di migrare da un paese all’altro, anche i flussi di capitale passavano le frontiere. Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 interruppe questa tendenza, così come la Grande Depressione, che rallentò considerevolmente i flussi finanziari internazionali, oltre che ridurre la mobilità del capitale.17 Le teorie keynesiane godettero di una grande popolarità dopo la Grande Depressione la nascita del sistema di Bretton Woods nel 1944. L’economista britannico John Maynard Keynes e la sua controparte statunitense condussero gran parte del lavoro preparatorio di analisi su cui si basarono gli accordi di Bretton Woods, che prevede- vano il controllo dei movimenti di capitali al fine di raggiungere la stabilità e rendere possibili politiche monetarie indipendenti.18 Prima della conferenza in cui si stabilì questo sistema, Keynes scrisse: “A mio parere, l’intera gestione dell’economia nazionale dipende dall’essere liberi di avere un tasso di interesse congruo senza doversi riferire ai tassi vigenti nel resto del mondo. I controlli sul capitale ne sono una conseguenza.”19 Gli accordi di Bretton Woods, nonostante la bocciatura della proposta avanzata da Keynes di istituire un’Unione Internazionale di Compensazione in modo da eliminare completamente i flussi finanziari transfrontalieri, istituirono tuttavia un regime di cambio controllato agganciato al dollaro statunitense e supervisionato dal FMI, oltre che regole sui movimenti di capitale. Questo sistema si rivelò notevolmente stabile, con poche crisi finanziarie20, in cui la stabilità dei tassi di cambio favoriva aumenti di produzione e di scambi commerciali. Esso fu però logorato dalla continua domanda internazionale di dollari statunitensi, che creava un deficit permanente della bilancia di pagamenti degli Stati Uniti. Sorse così il cosiddetto dilemma di Triffin, che prende il nome dall’economista belga Robert Triffin, per cui il desiderio di altri paesi di possedere riserve in dollari americani è destinato a subire un’inversione di rotta, dato che il costante deficit statunitense genera una perdita di fiducia nel dollaro.21 Questo sistema durò fino agli anni Settanta, quando gli Stati Uniti dichiararono l’inconvertibilità del dollaro in oro e iniziarono a liberalizzare i movimenti di capitale. Nel 1973, gli Stati Uniti abolirono i controlli sul capitale, seguiti nel corso degli anni Settanta da altri paesi industrializzati.22 La fine dell’ordine di Bretton Woods e la contemporanea apertura ai movimenti dei capitali furono causate da diversi fattori. Gli Stati Uniti avevano bisogno di importare più capitale per coprire le spese in disavanzo delle guerre nel sud-est asiatico e dei nuovi programmi sociali interni.23 Vanno poi considerati altri fattori quali l’innovazione finanziaria e l’elusione dei controlli. In Europa, le banche usavano in maniera sempre maggiore il dollaro statunitense e altre valute estere per depositi, prestiti e obbligazioni, Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 6 Figure 4.1. The Collapse and Recovery of Cross-Border Capital Flows Grafico 1. (Percent of aggregate GDP) Crollo e ripresa dei flussi di capitali transfrontalieri After an unprecedented rise during the run-up to the financial crisis and a (Percentuali del PIL aggregato) precipitous fall in its wake, international capital flows rebounded to both advanced and emerging market economies. in parte per evitare i controlli negli Stati Uniti. La concorrenza per accaparrarsi crescenti fette di mercato dei servizi finanziari globali spinse sia i governi che i loro alleati nei settori privati a esercitare pressioni per ulteriori liberalizzazioni.24 L’abolizione dei controlli sui capitali, tuttavia, possedeva anche una forte venatura ideologica, dato che i responsabili delle scelte politiche del Tesoro americano avevano una preparazione economica di stampo neoclassico ed erano consigliati da esponenti di spicco di queste teorie che, seppure non presentassero alcuna evidenza di efficacia, erano proposte come base delle scelte politiche.25 Così, mentre l’esperienza nel mondo reale, con le crescenti crisi finanziarie e l’irrazionalità dei mercati, ha dimostrato l’inadeguatezza delle teorie economiche neoclassiche per rappresentare la realtà, esse sono ancora ostinatamente vitali tra i decisori delle politiche.26 Negli anni Ottanta, la liberalizzazione dei movimenti di capitali fu estesa anche ai mercati emergenti. Alcuni PVS liberalizzarono i flussi finanziari, spinti dal desiderio di attrarre investimenti diretti dall’estero. Tutto ciò fu sostenuto anche da FMI, Banca Mondiale e accordi di commercio bilaterali, che concorsero ad abbattere i controlli sui capitali nei PVS nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Queste iniziative culminarono nel tentativo fallito del 1997 di portare il FMI a cambiare il proprio statuto, introducendo per i paesi membri l’opportunità di andare verso una completa liberalizzazione dei movimenti di capitali (si veda il Capitolo 5 per maggiori dettagli). Tuttavia, a parte alcune grandi eccezioni quali l’India e la Cina, alla fine degli anni Novanta, la maggior parte dei PVS avevano liberalizzato molti tipi di flussi finanziari e di investimenti esteri.27 Tendenze dei flussi di capitali In termini storici, il volume dei flussi di capitali ha raggiunto dimensioni notevoli negli ultimi cinque anni, con picchi per molti paesi e regioni nel 2007, appena prima della crisi finanziaria. La crisi portò a un crollo di flussi sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo, come mostra la tabella 1. I calcoli fatti dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) sui flussi non classificabili come IDE mostrano che, in termini nominali, i flussi raggiunsero un picco appena prima della crisi finan- 7 È ora di un nuovo consenso Investimenti esteri Foreign directdiretti investment Flussi di debito di portafoglio Portfolio debt flows Otherflussi government flows Altri governativi Total Totale totali lordi verso le Total Gross Inflows to Advanced 30 Flussi economie Economiesavanzate Flussi di equity portafoglio Portfolio equity di flows Flussi bancari altri privati Bank and otheredprivate flows Derivative flows Flussi di derivati Flussi totaliFlows nettitoverso le econo- 10.0 Total Net Advanced mie avanzate Economies 7.5 20 5.0 10 2.5 0 0.0 -10 -20 1980 -2.5 88 96 2004 08: 10: H1 H1 totali lordi verso le econoTotal Gross Inflows to Emerging 15 Flussi mie con Economies mercati emergenti Market 1980 88 96 2004 08: 10: H1 H1 -5.0 Total Net Emerging Flussi totaliFlows nettitoverso le econo- 10.0 mie con Economies mercati emergenti Market 7.5 10 5.0 5 2.5 0 0.0 -5 -10 1980 -2.5 88 96 2004 08: 10: H1 H1 1980 88 96 2004 08: 10: H1 H1 -5.0 Fonte: FMI (2011). World Economic Outlook: Tensions from the Sources: CEIC; Haver Analytics; IMF, Balance of Payments Statistics; national sources; two-speed recovery: Unemployment, commodities and capital and IMF staff calculations. Note: See Appendix 4.1 for a list of the economies included in the advanced and flows, aprile 2011. emerging market economy aggregates. Data are plotted on an annual basis until 2007 and on a semiannual basis thereafter (indicated by gray shading). Semiannual data are calculated as the sum of capital flows over the two relevant quarters divided by the sum of nominal GDP (both in U.S. dollars) for the same period. Total flows may not equal the sum of the individual components because of a lack of data on the underlying composition for some economies. ziaria globale (si veda il Grafico 2). La successiva inversione di tendenza dei flussi alla fine del 2008 fu complessivamente il fenomeno del suo genere più grande degli ultimi 20 anni, persino più grande di quelli registrati nel corso delle numerose crisi finanziarie di inizio millennio in Asia e America latina. Ed è ancora più preoccupante per i PVS che il FMI trovi che, negli ultimi venti anni, ci sia stato un progressivo aumento della volatilità dei flussi.28 In termini nominali, si è assistito a una ripresa dei flussi, ma in modo molto poco equilibrato. In termini aggregati, essi non sono tornati ai livelli massimi del 2007, ma alcuni paesi come il Brasile e la Turchia hanno registrato forti aumenti di flussi e successivamente, a settembre del 2011, grandi fughe. Secondo l’UNCTAD, nel 2010, i flussi di capitali verso i PVS superarono complessivamente i 1,095 trilioni di dollari, somma inferiore solo ai picchi raggiunti nel 2007, quando si toccarono 1,65 trilioni di dollari. Come si vede nella tabella 1, gli investimenti di portafoglio registrarono un’enorme volatilità e non sono ancora Tabella 1. Flussi di capitali verso i PVS (2007 - 2010) (Miliardi di dollari) 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Total 579 930 1,650 447 656 1,095 IDE 332 435 571 652 507 561 Investimenti di portafoglio 154 268 394 -244 93 186 Altri investimenti 94 228 686 39 56 348 IDE 57 % 47 % 35 % 146 % 77 % 51 % Investimenti di portafoglio 27 % 29 % 24 % -55 % 14 % 17 % Altri investimenti 16 % 2 5% 42 % 9% 9% 32 % 1 % del totale 1 La voce “Altri investimenti” comprende prestiti da parte di banche commerciali, prestiti ufficiali e crediti commerciali. Fonte: UNCTAD (2011). World Investment Report: Non-equity modes of international production and development, 26 luglio, http://www. unctad.org/Templates/webflyer.asp?docid=15189&intItemID=6018&lang=1&mode=downloads. Grafico 2. Flussi finanziari netti verso i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo (esclusi gli IDE) (Miliardi di dollari) Crisi messicana Crisi in Asia orientale, Brasile e Federazione Russa Crisi argentina Rumor sui tassi di interesse in Giappone Crisi finanziaria globale Fonte: UNCTAD 2011, Relazione su commercio e sviluppo (Trade and Development Report), su dati del FMI rientrati ai livelli antecedenti alla crisi, mentre invece gli IDE si mantengono più stabili. Il Grafico 3 indica che questa tendenza accomuna tutte le regioni, con gli IDE che restano molto più stabili e gli investimenti di portafoglio che invece mostrano una forte volatilità. Nel 2008, tutte le regioni assistettero a una diminuzione dei flussi, seguita poi da una ripresa. Nel 2011, si prevede che i flussi aumenteranno nuovamente ovunque tranne che nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, in cui numerosi paesi sono stati teatro di agitazioni politiche, con conseguente declino degli IDE e nuovi deflussi di investimenti di portafoglio e di altro tipo. Particolarmente degni di nota sono i volumi dei flussi verso l’Europa centrale e orientale, come mostra il Grafico 3. In questa regione, i flussi sono molto più alti in percentuale al PIL rispetto ad altre regioni e questo è in parte dovuto alla loro maggiore integrazione transfrontaliera con l’UE. Molte banche sono oggi proprietà di gruppi bancari controllanti dell’Europa occidentale, che forniscono capitale alle loro partecipate perché concedano prestiti a famiglie e attività commerciali della regione, spesso in valuta estera. L’inversione di tendenza di questi flussi registrata nel 2009, che appare alla voce ‘altri flussi finanziari privati’, spiega in parte perché, in molti paesi della regione, il settore bancario ha avuto problemi e perché vi è stata una maggiore sofferenza di famiglie e attività commerciali, che hanno perso l’accesso al credito o hanno visto lievitare il valore reale del loro debito a causa delle svalutazioni monetarie. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 8 Grafico 3. Flussi finanziari netti per regione Africa sub-sahariana (Percentuali del PIL aggregato) Investimenti diretti, netti Altri flussi finanziari, netti Flussi di portafoglio privati, netti Totale America latina Medio Oriente e Africa settentrionale Fonte: FMI 2011, International Financial Statistics Database 9 È ora di un nuovo consenso Europa centrale e orientale Asia in via di sviluppo 3.Grandi rischi, piccoli benefici Vi sono molte disquisizioni sulla politica economica, ma perché dovremmo dare la priorità al controllo dei movimenti di capitali piuttosto che ad altre questioni? Come dimostrato al Capitolo 2, i responsabili degli indirizzi politici hanno mostrato atteggiamenti altalenanti sull’opportunità della mobilità dei capitali. Nel frattempo, i flussi si sono allargati a dismisura, comportando un conseguente aumento dei rischi. Data la dimensione del settore finanziario e l’enormità dei flussi paragonati alle attività dell’economia reale, il movimento del denaro presenta tratti sempre più problematici. Questa sezione rileva questi problemi, soprattutto per i PVS e i loro cittadini. I potenziali svantaggi derivanti dalle crisi finanziarie, che sono spesso causate da speculazioni e da controlli inefficaci dei flussi di capitale, risultano essere seriamente dannosi, in quanto distruggono la ricchezza, lo sviluppo umano, la vita della gente e la coesione sociale. Al contempo, i possibili vantaggi derivanti da una buona regolamentazione dei flussi finanziari possono invece rivelarsi importanti. Gli accademici, i gruppi della società civile e i decisori politici criticano da tempo i fautori della liberalizzazione dei movimenti di capitali, colpevoli di non avere affrontato i rischi di queste liberalizzazioni e di avere ignorato la relazione tra l’apertura di un’economia ai flussi di capitali e le crisi finanziarie con le loro crescenti ripercussioni nefaste sulla società. In uno studio del 2010, il premio Nobel Joseph Stiglitz rivela gli effetti negativi delle liberalizzazioni totali dei movimenti di capitali sul benessere sociale: “Se si riuscisse ad imporre delle restrizioni sui flussi di capitali … allora, in generale, sarebbe auspicabile applicarle. Senza interruttori salvavita, alla liberalizzazione è da preferire nessuna liberalizzazione.”29 Nella tabella 2, presentiamo alcuni potenziali rischi e vantaggi legati ai flussi finanziari esteri. Non si tratta di un elenco completo, ma chiarisce alcune preoccupazioni che impongono di affrontare questa tematica. La professoressa di economia Ilene Grabel dell’Università di Denver individua cinque categorie diverse ma sovrapposte che riguardano i rischi legati ai flussi di capitale globali non regolamentati30: • Il rischio di cambio in un regime di libero movimento di capitali ha due dimensioni. Si riferisce all’esposizione di un paese alla speculazione valutaria ed al rischio di un crollo della valuta dovuto alle decisioni degli investitori di cedere le loro partecipazioni. • Il rischio di fuga indica improvvisi deflussi di capitale da un’economia dovuti al panico o a comportamenti di herding da parte degli investitori, con un conseguente crollo del valore dei beni investiti. Le fughe di capitali possono diventare profezie che si autorealizzano nel caso di crolli improvvisi di fiducia.. • Il rischio di fragilità si riferisce alla vulne- rabilità dei debitori e di un’economia verso il debito esterno. Spesso, il rischio di fragilità aumenta con l’uso di prestiti esteri a breve termine per finanziare investimenti a lungo termine. I cambiamenti delle condizioni potrebbero rendere difficile la restituzione del debito da parte dei debitori o il rinnovo del debito in scadenza a favore di un’economia. • Il rischio di contagio si riferisce agli impatti su di un paese di crisi finanziarie iniziate in altri paesi, attraverso l’integrazione finanziaria. Spesso, si tratta di versioni transfrontaliere dei comportamenti di herding o di panico da parte degli investitori, come si è visto nella crisi finanziaria asiatica. • Il rischio di sovranità limitata descrive i rischi per un governo di vedere limitata la propria capacità di avere politiche sociali ed economiche indipendenti a causa della liberalizzazione dei movimenti di capitali. Questo tema è associato al trilemma macroeconomico discusso al Capitolo 2. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 10 Tabella 2. Schema dei rischi e dei vantaggi potenziali dei diversi tipi di flussi (tipi di flussi che più di altri comportano rischi o vantaggi) Flussi a breve termine Flussi a lungo termine Rischi potenziali Interruzioni improvvise e inversioni di rotta dei flussi (investimenti di portafoglio, prestiti) Bolle speculative sui beni (IDE, investimenti di portafoglio, derivati) Indebitamento eccessivo (investimenti di portafoglio, prestiti, derivati) Asimmetria delle scadenze (investimenti di portafoglio, prestiti) Apprezzamento monetario e deindustrializzazione (tutti) Perdita di politiche monetarie indipendenti (investimenti di portafoglio, derivati) Estromissione dell’industria nazionale (IDE) Indebitamento eccessivo (prestiti, IDE) Perdita di controllo sulle risorse nazionali (IDE) Perdita di gettito fiscale da evasione / incentivi agli investimenti (IDE) Fuga di capitali attraverso il rimpatrio dei profitti (IDE) Vantaggi potenziali Maggiori disponibilità di credito (investimenti di portafoglio, prestiti) Copertura dei rischi (hedging) /assicurazioni contro la volatilità (derivati) Mercati finanziari più liquidi (investimenti di portafoglio) Trasferimento reale di risorse (IDE) Trasferimento di tecnologia (IDE) Occupazione (IDE) Filiere locali (IDE) Effetto dimostrativo (IDE) Maggiori disponibilità di credito (investimenti di portafoglio, prestiti) Questi rischi di crisi sono inquietanti e non sono semplicemente delle possibilità remote. Infatti, le crisi finanziarie legate alla liberalizzazione scoppiano con una frequenza preoccupante, con conseguenze devastanti. Inoltre, la liberalizzazione di flussi finanziari crea ulteriori problemi che non sono connessi alle crisi che possono conseguire. Persino i periodi di grande espansione presentano dei problemi. Visti questi rischi, sembrerebbero non esserci i presupposti per consentire gli influssi di capitali stranieri. Come discusso al Capitolo 2, la spinta verso la liberalizzazione è fondata su molti falsi presupposti. Al Capitolo 5, torneremo ad analizzare alcune spinte politiche che hanno continuato ad agire a favore della liberalizzazione. Vi sono tuttavia dei potenziali vantaggi legati ad alcuni tipi di flussi di capitali, soprattutto riguardo gli investimenti diretti esteri. Gli IDE non sono certo una panacea per lo sviluppo e presentano numerose difficoltà ma, se un paese desidera ricorrervi, è importante considerare le ripercussioni che potrebbero avere sui programmi per il controllo dei movimenti di capitali. 11 È ora di un nuovo consenso La liberalizzazione aumenta i rischi di crisi finanziarie Il Professor Carmen Reinhart e l’ex capo economista del FMI Kenneth Rogoff hanno analizzato oltre 800 anni di crisi finanziarie e bancarie nel loro libro del 2009 This Time is Different. Osservano che “un aspetto che accomuna i periodi antecedenti alle crisi bancarie è un sostanziale aumento degli afflussi di capitale”, per cui usano il termine “capital flow bonanza”. Riassumendo la loro ricerca sulla probabilità di un legame tra crisi e aumenti sostenuti di afflussi di capitale, concludono che “La maggior parte dei paesi (61%) registrano un’alta propensione verso una crisi bancaria intorno ai periodi di aumento degli afflussi; questa percentuale sarebbe ancora più alta se si aggiungessero i dati successivi al 2007.”31 Il messaggio di fondo è: “Periodi di alta mobilità internazionale di capitali hanno spesso generato crisi bancarie internazionali, che non si limitano a quelle famose degli anni Novanta, ma coprono l’intero corso della storia.”32 Esistono molti modi in cui dei flussi di capitali incontrollati possono contribuire allo scoppio di una crisi. Questi meccanismi sono ampiamente spiegati negli studi sulle crisi finanziarie e sulle loro modalità di insorgenza nel corso della storia. Sulla base della categorizzazione dei rischi discussa in precedenza, questi meccanismi comprendono: • L’improvvisa interruzione degli afflussi di capitali nel momento in cui un paese sviluppa un disavanzo del conto corrente; • L’improvvisa fuga di capitali dovuta a preoccupazioni sullo stato della bilancia dei pagamenti, con conseguente accelerazione della crisi; • Bolle speculative sui beni che si gonfiano per poi scoppiare, generando così una crisi bancaria; • L’indebitamento eccessivo da parte del settore privato, che porta a crisi bancarie; • L’irrazionalità degli investitori, che produce instabilità di mercato e profezie che si autorealizzano; oppure Percentuale di Paesi in situazione di crisi bancaria totale di tre anni Mobilità del capitale Basso Percentuale di Paesi in situazione di crisi bancaria totale di tre anni (percentuale) Alto Indice di mobilità del capitale Certamente, le crisi che coinvolgono i conti capitali non avvengono indipendentemente da altri fattori macroeconomici. Nella loro ampia analisi delle crisi che hanno colpito i PVS negli anni Novanta, il Professor Lord Eatwell dell’Università di Cambridge e il Professor Lance Taylor della New School University hanno riscontrato che il regime dei tassi di cambio incideva notevolmente sul decidere se fosse più o meno saggio aprire le economie nei mercati emergenti. “La privatizzazione del rischio tipica dei tassi di cambio fluttuanti richiede un mercato dei capitali liberalizzato. Questo connubio trasforma il tasso di cambio sia in un oggetto dotato di un’enorme potenzialità di guadagno (che costituisce un incentivo alla speculazione) che in un oggetto di paura (un rischio da coprire).”33 Essi spiegano inoltre che la straordinaria stabilità dell’era Bretton Woods dal 1945 al 1971 non sarebbe stata possibile senza la presenza di un regime di controllo dei movimenti di capitale. Grafico 4. Percentuale di Paesi con crisi bancarie Fonte: Reinhart et Rogoff, 2011 • La paura degli investitori che, nonostante la solidità dei fondamentali economici del paese interessato, sono spaventati dagli eventi economici in un paese terzo, provocando fenomeni di herding o effetti contagio. Le ricerche del FMI nei periodi post-crisi hanno rilevato crescenti collegamenti tra la volatilità dei flussi finanziari e le crisi economiche e finanziarie. Uno studio del FMI sostiene che gli “afflussi di capitale” – e in particolare alcuni tipi di passività – possono rendere un paese più vulnerabile a una crisi finanziaria. Un chiaro esempio è dato dalla contrapposizione tra i flussi di titoli di debito e quelli di capitale, laddove gli ultimi permettono una maggiore possibilità di ripartire i rischi tra creditore e debitore.”34 Lo studio sottolinea la potenziale utilità dei controlli sui capitali per il raggiungimento di una stabilità sia macroeconomica che finanziaria. Effetti socioeconomici della crisi finanziaria Questi rischi indicano che il controllo dei flussi di capitale sono molto di più di una semplice questione tecnico-economica. Dati i suoi effetti sulla stabilità finanziaria, questo è un argomento dalle vaste implicazioni sociali. Il controllo della mobilità dei capitali ha ripercussioni su distribuzione della ricchezza, povertà e disoccupazione, soprattutto quando le crisi sopraggiungono a causa di flussi finanziari non regolamentati. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 12 più marcato rispetto ai redditi delle fasce più Reinhart e Rogoff hanno anche analizzato le ricche. In alcuni paesi, poi, questo calo non fu conseguenze delle gravi crisi postbelliche su un generalizzato, anzi, alcuni settori della popolaziocampione oscillante da un minimo di 15 fino a un ne guadagnarono dalla crisi. In linea di massima, massimo di 23 paesi, valutandone diversi aspetti. quelli che ci rimettono di più sono i poveri e le Hanno riscontrato un “effetto profondo e duratufasce vulnerabili. ro” sui prezzi dei beni, sul PIL reale procapite e Uno studio sulle crisi finanziarie dell’America sull’occupazione. Mentre i prezzi dei beni e il PIL latina negli anni Novanta condotto dal professodiminuiscono per molti anni dopo lo scoppio delre di economia Nora Lustig, che allora prestava le crisi, i livelli di disoccupazione invece aumenservizio presso la Banca tano notevolmente. Inoltre, il Interamericana di Svilupdebito pubblico reale subisce “Le crisi in America latina e po, presenta dei dati duri: in media impennate dell’86% nei Caraibi tendono ad essere “Le crisi in America latitre anni dopo una crisi.35 na e nei Caraibi tendono accompagnate da maggiori ad essere accompagnate Un rapporto Unicef del dicemdisuguaglianze e l’effetto della da maggiori disuguabre 2010 che analizza gli effetti contrazione economica tende a glianze e l’effetto della sulla società della crisi messitrasformare sproporzionatamente contrazione economica cana del 1995 e di quella artende a trasformare sprogentina del 2001 ha rilevato dei quelle che prima erano plusvalenze porzionatamente quelle risultati disastrosi sul welfare in riduzione della povertà” che prima erano plusvain entrambi i paesi. In Messilenze in riduzione della co, i prezzi aumentarono del povertà. Le crisi, inoltre, 35%, mentre la produzione crollò di oltre 6 punti aumentano le diseguaglianze, dato che la succespercentuali per il solo 1995. I salari reali si absiva crescita economica non elimina le maggiori bassarono del 25-35% e la disoccupazione risultò diseguaglianze create durante una grave crisi quasi raddoppiata. Di conseguenza, la povertà economica.” 38 Citando i riscontri effettuati nella estrema crebbe dal 21% al 37% della popolazione regione, continua “Non è sempre stato il quintile tra il 1994 e il 1996, per poi rientrare nei livelli più povero della popolazione ad uscirne fortepre-crisi solo nel 2001-2002. Nello stesso periodo, mente danneggiato. In generale, a cadere sono la povertà moderata aumentò dal 43% al 62%.36 stati per la maggior parte i ceti medi mentre, in In Argentina, a seguito della crisi, nel 2002, il 58% molti paesi, la quota di reddito del 10% più ricco della popolazione scese al di sotto della soglia di è invece aumentata, a volte anche considerevolpovertà nazionale. “L’analisi mostra che i bambimente.”39 ni e i giovani ne furono particolarmente colpiti”, con il 75% di essi che vivevano in povertà. La Questo effetto non è circoscritto all’America disoccupazione crebbe dal 13% nel 1998 al 22% latina. Alcuni studi sull’Indonesia e sull’impatto nel maggio del 2002, con un ulteriore 22% della della crisi finanziaria che la colpì nel 1997 hanno popolazione argentina senza un impiego. 37 mostrato che le aree con la maggiore uguaglianza Ripercussioni sulla distribuzione della di reddito furono quelle in cui vi fu un aumento più marcato delle disuguaglianze40, e che le fasce ricchezza più penalizzate furono i poveri che abitavano nei Come si è visto per l’Argentina, le crisi financentri urbani.41Questo effetto non restò circoziarie accrescono la povertà, anche se possono scritto ai PVS. Infatti, uno studio preliminare su avere effetti non ugualmente distribuiti tra la Stati Uniti e Regno Unito condotto dall’Organizpopolazione. Il rapporto Unicef mostra che la zazione Internazionale del Lavoro concluse: “i distribuzione del reddito in Argentina fu meno risultati dimostrano che la crisi ha anche generaequa all’indomani della crisi, con un aumento to un aumento della disuguaglianza dei redditi, del coefficiente di Gini da 0,50 a 0,53. Nonostante sia perché i lavoratori a basso reddito sono stati la diminuzione generale dei redditi, quelli degli quelli maggiormente a rischio di perdere il loro strati più poveri si abbassarono in modo molto 13 È ora di un nuovo consenso lavoro sia anche perché i trasferimenti sociali sono solitamente più bassi dei guadagni percepiti in precedenza.”42 Anche la letteratura globale riscontra risultati simili. Un documento della Banca Mondiale che ha studiato 30 anni di recessioni in 72 paesi ha concluso che “la volatilità e soprattutto gli eventi negativi di grande entità (come, per esempio, le crisi macroeconomiche) hanno ripercussioni negative e durevoli sull’uguaglianza e sulla povertà, oltre a produrre cali di iscrizioni scolastiche.”43 I riscontri di uno studio preliminare condotto da ricercatori del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite su 25 paesi (sia ricchi che in via di sviluppo) che esaminava 100 anni di crisi hanno rilevato che “i casi in cui, a seguito di una crisi, vi era una tendenza all’aumento delle disuguaglianze erano la maggioranza.”44 Ripercussioni sull’infanzia La crisi finanziaria globale del 2008 ha anche avuto delle gravi ripercussioni sul benessere dei bambini e non solo nei paesi che si trovavano al centro della tempesta finanziaria. Caroline Harper e Nicola Jones della commissione di esperti dell’Overseas Development Institute evidenziano che, come indicano le ricerche in materia, le crisi si ripercuotono sui bambini attraverso “i tagli di spesa sui servizi sociali, l’aumento della disoccupazione e della sottoccupazione, il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’erosione del capitale sociale ed un ridotto accesso al credito. Gli effetti sull’infanzia passano anche attraverso le stesse famiglie, che stabiliscono come ripartire tempo e spese e cosa consumare (con cambiamenti soprattutto riguardo al cibo) oltre che decidere se togliere i figli da scuola o assumere altro lavoro, riducendo così il tempo dedicato all’accudimento dei bambini e portando all’aumento del lavoro minorile.”45 Uno studio degli effetti della crisi finanziaria del 2008 sui bambini di El Salvador fornisce dei dati interessanti sul modo in cui persino i paesi distanti dall’epicentro di una crisi possono subirne le conseguenze attraverso questi canali di trasmissione. Alla fine del 2008 “la probabilità di frequenza scolastica dei bambini di età compresa tra i 10 e i 16 anni è diminuita di 2,1 punti Bangladesh Foto ©Elena Cavassa percentuali. Per coloro che invece continuavano ad andare a scuola, la crisi si è palesata con un cambiamento della tipologia di scuola, con un aumento della probabilità di frequentare una scuola pubblica pari a 5 punti percentuali.”46 Le analisi riguardanti le crisi finanziarie precedenti nei PVS forniscono dati più preoccupanti. Riassumendo alcuni studi accademici su questi legami di causalità, un gruppo di ricercatori dell’Overseas Development Institute e dell’Università del Sussex hanno riscontrato in Messico un aumento della mortalità infantile dal 5% al 7% in solo un anno dopo la crisi finanziaria del 1995. Percentuali simili sono state registrate anche in Tailandia, in Indonesia e nelle province settentrionali dell’Argentina a seguito delle crisi finanziarie che le avevano interessate. Si sono inoltre avuti contraccolpi in altri ambiti quali l’alimentazione, la sanità, i risultati scolastici e la disoccupazione giovanile. 47 Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 14 Ripercussioni di genere Mentre è molto difficile provare un diverso impatto sulle donne delle politiche sulla mobilità dei capitali che sia direttamente ricollegabile al genere, si è invece studiato l’impatto di genere delle crisi finanziarie. Dato che le politiche legate ai movimenti di capitali incidono sulla crescita oltre che sulla frequenza delle crisi finanziarie, incidono anche su occupazione, redditi e altri fattori che presentano tutti una dimensione di genere.48 Vi è una forte evidenza empirica che dimostra che le crisi economiche e finanziarie hanno impatti differenziali sulle donne e sugli uomini. In particolare, un esame dei dati da parte degli economisti della Banca Mondiale ha notato un notevole impatto in ambiti quali la sanità e la mortalità infantile: “Mentre bambini e bambine beneficiano in egual misura degli shock positivi sul PIL procapite, gli shock negativi, invece, risul- tano molto più dannosi per le bambine che per i bambini.”49 Molti effetti non sono dovuti a semplici indicatori economici, come la percentuale di occupazione femminile, ma alle molteplici pressioni a cui sono sottoposte le donne in tempi di crisi finanziaria, tra cui la necessità di procurarsi entrate aggiuntive, spesso nel settore informale, mentre permane l’onere di svolgere i lavori domestici. Possono insorgere tensioni all’interno dei rapporti familiari e, con il diminuire dei redditi familiari, le donne possono trovarsi ad affrontare maggiori sacrifici per proteggere i figli dagli effetti della crisi.50 Questi dati sono stati confermati anche da una serie di studi di casi sulla crisi finanziaria asiatica, in cui la volatilità dei capitali è stata chiamata in causa tra i fattori scatenanti. “Le donne (e le famiglie con donne capofamiglia) sono state in linea di massima più colpite dalla disoccupazione e dagli effetti della crisi sui redditi in Corea, Malesia, Filippine e Tailandia.” Lo studio ha rilevato un maggiore aggravio delle attività salariate, un aumento di abusi e molestie sessuali sul posto di lavoro, maggiori violenze domestiche contro le donne e, in alcuni casi, una diminuzione delle iscrizioni scolastiche di bambine.51 Anche i periodi di crescita hanno delle ripercussioni È indiscutibile che i cicli che alternano fasi di espansione a fasi di contrazione dell’economia e della mobilità finanziaria portano povertà, disoccupazione e sofferenza. I cambiamenti repentini portano un’alta disoccupazione, un peggioramento degli indicatori sociali ed un’involuzione rispetto all’eliminazione della povertà e allo sviluppo umano, che si traduce in una mancata tutela dei diritti economici e sociali delle persone, soprattutto delle fasce vulnerabili. Non sono solo le contrazioni a causare problemi; le fasi di crescita, associate a rapidi afflussi di capitali, comportano altri tipi di problemi, in quanto spingono al rialzo i prezzi dei beni (sia sul mercato azionario che su quello immobiliare) e provocano un apprezzamento della valuta. Problemi che non dipendono dal potenziale crollo a cui il periodo di espansione potrebbe indurre. Sri Lanka 2001 Foto Carlo Dojmi 15 È ora di un nuovo consenso Diseguaglianza quanto la domanda di valuta locale sale mentre i flussi sono in piena espansione. Questo caso ricorda il “male olandese”, che descrive la situazione in cui si trovarono i Paesi Bassi negli anni Sessanta e Settanta a seguito della scoperta di bacini di gas sul loro territorio. La scoperta generò un aumento delle esportazioni e del valore della valuta locale, legato ai vasti afflussi di denaro che entravano nel paese a causa di queste esportazioni. Nonostante questo periodo di forte crescita delle esportazioni, i Paesi Bassi registrarono i loro livelli più bassi di produzione manifatturiera e conseguentemente La ricerca dimostra che, nei fatti, i I costi della 55 boom dei mercati azionari, se assocrescita sono legati di occupazione. Con l’apprezzamento della valuta nazionale, l’industria maniciati a politiche di liberalizzazione a un aumento delle fatturiera olandese diventò poco comdei mercati finanziari e dei movidisuguaglianze ed petitiva rispetto ad altri paesi e iniziò menti di capitali, portano vantaggi un processo di deindustrializzazione. solo a coloro che già si posizionano un’erosione della Mentre il caso olandese ebbe come nelle fasce di reddito più alte. Uno coesione sociale causa il forte afflusso di dollari generastudio condotto da economisti della to dall’esportazione di materie prime, lo Columbia University sugli effetti stesso accade quando grandi quantità di dollari della liberalizzazione dei movimenti di capitali o di altre valute estere affluiscono in un paese in in 11 paesi e che contiene dati precisi sulla distriun periodo di capital flow bonanza. buzione dei redditi, mostra che “a seguito di una liberalizzazione, la classe media ‘soffre’ mentre il Con la globalizzazione dei commerci, l’apprezceto superiore [il 20% della popolazione] ne trae zamento della valuta legato ad afflussi di capitali profitto”.52 Il processo di liberalizzazione finana breve termine può, nel giro di poco tempo, riziaria avviato in India nei primi anni Novanta ha durre drasticamente la base manifatturiera di un dimostrato di aver contribuito a generare magpaese. Una deindustrializzazione di questo tipo giori disuguaglianze invece di ridurle.53 non implica però una crescita rilevante dell’occupazione in altri settori, soprattutto non nel breve Il settore finanziario, acquistando potere, lo too medio termine, generando sia un calo dell’ocglie alle industrie manifatturiere, ai produttori di cupazione stabile che una minore capacità proaltri servizi e soprattutto al cittadino comune. In duttiva. La base manifatturiera di una paese non uno studio empirico sul livello di liberalizzazione si può ricostruire facilmente una volta che gli del conto capitale in vari paesi, il valore aggregaafflussi di capitali calano e il valore della valuta to del reddito nazionale destinato alla manodoritorna a livelli normali. Alla fine, quando per la pera scende con l’aumentare del livello di liberavaluta sopravvalutata da afflussi non sostenibili lizzazione, soprattutto nei paesi ad alto reddito. di capitali arriva l’inversione di tendenza, anche L’autore sostiene che “la mobilità dei capitali può in assenza di una crisi finanziaria vera e propria, produrre notevoli effetti negativi sul potere d’acla base manifatturiera è ormai svanita, lasciando quisto dell’intera classe lavoratrice” in quanto dietro di sé minore occupazione, minori esportafornisce ai datori di lavoro un maggiore potere zioni e minore attività economica complessiva.56 contrattuale, legato alla maggiore facilità con cui 54 possono minacciare di trasferirsi altrove. La preoccupazione legata alla deindustrializzazione è uno degli aspetti legati ai flussi di capitali Deindustrializzazione che gode di minore attenzione, dato che potrebbe I periodi di espansione, quando sono accompanon manifestarsi immediatamente, nonostante gnati da flussi finanziari non sostenibili, possopossa creare una serie di problemi economici.57 no generare un apprezzamento della valuta, in I costi della crescita sono legati a un aumento delle disuguaglianze ed un’erosione della coesione sociale. I momenti di espansione creano dei gruppi di interesse che possono falsare il concetto di bene pubblico perseguito da uno stato e piegarlo agli interessi di una piccola minoranza. In particolare, aumentando il peso degli interessi finanziari, essi riescono ad esercitare maggiori pressioni sui governi e finiscono con l’impossessarsi dei sistemi di regolamentazione. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 16 Evasione fiscale e problemi legati alla riservatezza più facile evitare di pagare le tasse sul reddito derivante dai propri beni se questi hanno un domicilio diverso da quello di residenza, specialmente se si tratta di un paradiso fiscale,” aggiungendo che questo rapporto tra flussi di capitali ed evasione fiscale “diventa tanto più rilevante quanto più liberalizzati sono i flussi finanziari.”61 Da qui le preoccupazioni che la liberalizzazione dei movimenti di capitali e dei flussi finanziari stia facilitando l’evasione fiscale. Un altro problema nodale connesso all’incapacità dei paesi di produrre un gettito fiscale sufficiente sono i flussi finanziari incontrollati e dichiarati solo in parte. Coloro che intendono evitare o evadere la tasse possono usare la liberalizzazione dei flussi finanziari per raggiungere i loro scopi con più facilità. Il volume di gettito fiscale perso è immenso; un rapporto dell’organismo di ricerca Global Financial Integrity del I ricercatori che lavorano gennaio 2011 stima che i PVS Già nel 1999, l’economista della per trovare come sconfiggere stanno perdendo somme di Banca Mondiale John Williamson l’evasione e l’elusione denaro sempre più ingenti. fiscale sostengono che la ammise che la liberalizzazione Mentre la stima per il 2006 dei movimenti di capitali avrebbe liberalizzazione dei movimenti oscillava tra 856 miliardi e finanziari ha bloccato uno potuto favorire il ricorso ai 1,06 trilioni di dollari, nel dei fattori più importanti 2008 la perdita andava da paradisi fiscali. della lotta all’evasione fiscale, 1,26 trilioni a 1,44 trilioni di ossia le semplici informazioni dollari.58 Anche i paesi ricchi sui flussi finanziari. Senza alcun dato sulla hanno registrato perdite, nonostante sia molto fonte, la destinazione, la proprietà o la finalità difficile avere delle stime globali. In un libro del di un flusso finanziario transfrontaliero, è 2004, l’ex uomo d’affari internazionale Raymond praticamente impossibile rendersi conto se si Baker pubblicò le sue conclusioni a seguito di tratta di evasione fiscale.62 otto anni di ricerca su evasione fiscale, fuga di capitali, riciclaggio di denaro e corruzione e stimò Potenziali vantaggi degli afflussi che i flussi transnazionali su scala globale amdi capitali montavano a una cifra che andava da 1,1 trilioni a 1,6 trilioni annui.59 I flussi di capitali, come tutti gli investimenti, comportano dei rischi. Tuttavia, la natura È difficile ottenere stime per ogni singolo transnazionale di alcuni flussi comporta rischi paese; una ricerca sindacale del Regno Unito aggiuntivi che vanno oltre quelli legati a progetti ha calcolato che il solo Regno Unito perde di investimento normali. È quindi importante quasi 25 miliardi di sterline (40 miliardi di bilanciare i rischi con i potenziali benefici. dollari) all’anno per colpa dell’elusione e della La storia economica dimostra che i paesi che si pianificazione fiscale, situazioni agevolate sono sviluppati con successo sono stati aiutati soprattutto dal libero movimento dei capitali da e da capitali stranieri, anche se questi ultimi verso conti off-shore e paradisi fiscali.60 non sono stati l’unico e neanche il principale fattore di successo. Come è stato spiegato al La soluzione migliore la potrebbe fornire un Capitolo 2, la Commissione sulla Crescita ha pieno accordo internazionale per lo scambio riscontrato che questi capitali stranieri non automatico di informazioni fiscali ed una arrivavano in economie completamente aperte. ritenuta di imposta obbligatoria sui beni Ci sono certamente alcuni movimenti di capitali detenuti all’estero, ma tutto questo non sembra che possono generare dei risultati positivi. essere di prossima realizzazione. Già nel Generalmente, sono da preferirsi investimenti di 1999, l’economista della Banca Mondiale John più lunga durata che forniscono benefici o effetti Williamson ammise che la liberalizzazione dei di ricaduta supplementari. Nelle categorie dei movimenti di capitali avrebbe potuto favorire il flussi di capitali descritte nel riquadro 2, l’IDE ha ricorso ai paradisi fiscali. Osservò che “è molto più probabilità di avere una durata più lunga e 17 È ora di un nuovo consenso portare maggiori benefici. Gli IDE sono stati oggetto di un’enorme quantità di pubblicazioni e analizzarle in questa sede va oltre gli obiettivi di questo lavoro. Molta letteratura celebra i benefici degli IDE nei PVS.63 Le riforme del ‘clima degli investimenti’ che mirano a rendere più facile le attività imprenditoriali soprattutto attraverso i confini sono state l’oggetto del rapporto Doing Business, la pubblicazione di punta della International Finance Corporation (IFC) della Banca Mondiale. Con le giuste condizioni e le giuste politiche, gli IDE potrebbero generare degli effetti positivi quali la diffusione di informazioni, gli effetti dimostrativi, il trasferimento di tecnologie, lo sviluppo delle filiere locali e l’apprendimento attraverso la pratica.64 Tuttavia, Dani Rodrik dell’Università di Harvard sostiene che i dati empirici a disposizione potrebbero anche non confermare la loro importanza.65 Bisogna chiarire che gli IDE possono implicare costi notevoli e che persino IDE stabili di lungo termine potrebbero avere delle implicazioni sull’industrializzazione, la bilancia dei pagamenti, la tassazione, l’occupazione e altri fattori macroeconomici.66 Per bilanciare questi fattori, è importante concentrarsi sulla qualità piuttosto che sulla quantità degli IDE.67 Per conseguire i possibili vantaggi legati agli IDE non è necessario aprire a qualsiasi tipo di investimento e neanche a qualsiasi tipo di IDE. Dato che la classificazione dei flussi non è perfetta e che quindi la distinzione tra gli IDE e i flussi di portafoglio può essere alquanto arbitraria, è importante essere selettivi. La selettività rispetto agli IDE può contribuire ad assicurare che essi rispettino le strategie nazionali di sviluppo, come accadde nel processo di industrializzazione nell’Asia orientale.68 Un’economia in cui i movimenti dei capitali siano totalmente liberalizzati rende impossibile effettuare una selezione degli IDE. D’altro canto, le regole sugli investimenti in entrata potrebbero dare impulso ai tipi di investimenti auspicati e disincentivare quelli troppo rischiosi o indesiderati per altri motivi. Controllo degli squilibri del commercio globale I flussi e gli squilibri finanziari discussi in precedenza non sono indipendenti dall’economia reale. I crescenti volumi di capitali hanno fatto conoscere al mondo commerci più intensi e maggiori disavanzi della bilancia commerciale. Questi disavanzi testimoniano che il consumo di importazioni in alcuni paesi, come gli stati Uniti e il Regno Unito, è stato costantemente più alto delle esportazioni. I conti correnti di questi paesi sono quindi in costante deficit. La situazione opposta caratterizza invece i paesi con avanzi di conto corrente, come la Germania, il Giappone e la Cina. Queste differenze sono finanziate con variazioni dei livelli delle riserve e dei flussi finanziari sul conto capitale. Si può concludere che i flussi di capitali sono strettamente connessi con i deficit commerciali di un paese. La capacità di alcuni paesi – e soprattutto degli Stati Uniti – di convivere con deficit enormi e persistenti – e con le relative eccedenze che hanno attratto la finanza entro i loro confini, hanno consentito loro di vivere al di sopra dei loro mezzi, sostenendo così la crescita sul credito piuttosto che attraverso risparmi e investimenti. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 18 Dall’altro canto, invece, i paesi emergenti e in via di sviluppo hanno mantenuto delle riserve prudenziali di dollari guadagnati vendendo prodotti agli Stati Uniti. Gli squilibri su scala globale sono stati una delle cause più importanti della crisi economica e finanziaria e continuano ad essere un problema serio. Sono molti i motivi per cui i PVS hanno accumulato queste riserve, tra cui, per esempio, la mancanza di meccanismi di coordinamento dei cambi, la posizione del dollaro in quanto valuta di riserva internazionale, gli insuccessi del FMI e il desiderio di assicurarsi contro le crisi finanziarie. In particolare, dopo aver visto il ruolo del FMI durante le crisi finanziarie asiatiche, la percezione da parte dei governanti dei PVS delle conseguenze politico-finanziarie negative a cui si può andare incontro rivolgendosi al FMI ha favorito accumuli di riserve.69 L’accumulo di queste riserve prudenziali è un fattore importante nell’insorgere degli squilibri globali. Se si pone un freno ai rischi legati ai flussi di capitali e alle interruzioni improvvise degli investimenti con relative inversioni di tendenza, i paesi avrebbero meno bisogno di grandi quantità di riserve. Gli squilibri globali sono anche causati da un eccessivo risparmio nei paesi in surplus e da risparmi insufficienti in quelli deficitari. Alcuni sostengono che i paesi in surplus, primo fra tutti la Cina, stanno manipolando i loro tassi di cambio per conservare i loro avanzi di bilancio, ma lo stesso ragionamento non è mai applicato a grandi paesi eccedentari come la Germania. Piuttosto che etichettare un paese come manipolatore di valuta, si possono mettere in campo degli strumenti e delle politiche di controllo dei flussi capaci di rallentare gli accumuli di riserve sia nei paesi eccedentari che in quelli deficitari. Ciò consentirebbe anche il miglior funzionamento di politiche monetarie e fiscali indipendenti, ossia mirate alle priorità nazionali. Questo è un punto cruciale per affrontare i problemi legati agli squilibri; i paesi con eccessi di risparmio hanno bisogno di applicare tutte le loro politiche macroeconomiche congiuntamente a politiche sociali per favorire un uso migliore del loro 19 È ora di un nuovo consenso surplus di risparmio, piuttosto che usarlo per finanziare il deficit statunitense. Inoltre, l’applicazione coordinata di tecniche di controllo della circolazione dei capitali potrebbe contribuire al controllo degli afflussi e dei deflussi di denaro da paesi quali gli Stati Uniti. Infatti, gli Stati Uniti, pur avendo grandi deflussi di capitali privati, vantano al contempo flussi in entrata ancora più ingenti, investiti soprattutto in quote del loro debito pubblico. Riprenderemo questi concetti al Capitolo 5, ma qui affermiamo che è possibile istituire incentivi e politiche volte all’attenuazione degli squilibri. 4.Efficacia dei controlli dei movimenti di capitali Alla luce di quanto illustrato nella sezione precedente sui rischi socioeconomici connessi alla mobilità incontrollata dei capitali e, di contro, sui potenziali vantaggi della regolamentazione di questi movimenti, cittadini e decisori delle politiche si dovrebbero chiedere cosa possono fare a riguardo. I possibili provvedimenti per il controllo dei movimenti di capitali, così importante per salvaguardare e aumentare il benessere delle popolazioni, meritano un’accurata riflessione. Questa sezione analizza l’efficacia di diversi regimi di controllo sulla circolazione dei capitali nel conseguire obiettivi a medio e lungo termine. I PVS stanno già cercando di esercitare più influenza sulla composizione e i volumi delle ondate di capitali in entrata, anche se si è sollevato un ampio dibattito sull’efficacia dei metodi usati e degli strumenti per prevenire le fughe di capitali. E’ chiaro che non esiste uno strumento macroeconomico perfetto né per liberalizzare un’economia né tantomeno per regolamentarla. Questa considerazione, tuttavia, non deve farci evitare questo argomento o sottrarci alle nostre responsabilità. Attraverso una visione chiara della situazione e decisioni pragmatiche, infatti, si può ottenere il pacchetto di strumenti più adatto al profilo di una data economia e di una situazione macroeconomica. Panoramica generale Un documento del FMI pubblicato nel 2010 analizza l’esperienza dei governi con regimi di controllo della circolazione dei capitali e osserva che “l’uso dei controlli sui capitali era visto come strumento per evitare alcuni dei contraccolpi più pesanti sulla crescita derivanti dalla fragilità finanziaria.” In particolare, gli autori osservano che, durante una crisi finanziaria, il PIL diminuiva meno velocemente nei paesi che già adottavano queste politiche. Il documento cita le tasse che il Brasile aveva imposto sul debito a breve termine e le politiche adottate dal Cile, dalla Colombia e dalla Tailandia, che hanno istituito l’obbligo di un deposito presso la Banca Centrale per ogni afflusso di capitale a breve termine.70 Un documento del 201171 curato da un altro dipartimento del FMI conferma che il controllo dei movimenti di capitale può essere efficace nello spostare la durata e la composizione dei flussi finanziari in entrata. Segnala poi dati discordanti riguardo alla riduzione del volume totale dei capitali in entrata e al contenimento dell’apprezzamento valutario. Vi sono dati discordanti in generale sull’efficacia dei controlli sui movimenti di capitale per arginare l’apprezzamento valutario. Uno dei problemi più grandi è che la letteratura di solito non valuta l’efficacia delle varie tecniche di controllo dei flussi di capitale per il raggiungimento di questi obiettivi. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 20 C’è inoltre da aggiungere che la letteratura empirica non parla molto dei cambiamenti del contesto normativo internazionale che potrebbero permettere ai vari regimi di controllo di raggiungere questi obiettivi. Per esempio, un coordinamento delle politiche di applicazione delle regole dovrebbe, come si afferma nella sezione successiva, portare a un miglioramento efficace dei controlli sugli apprezzamenti ingiustificati delle valute e sulle reazioni eccessive (overshooting) dei tassi di cambio. Limitazioni delle partecipazioni straniere negli Stati Uniti ed esigere impegni che possano attenuare le minacce alla sicurezza nazionale.73 Il semplice rischio di ottenere una bocciatura può far sì che un investitore straniero ritiri le sue proposte d’acquisto, come per esempio successe nel 2008 con la ditta Dubai Ports World. Un altro caso datato 2007 fu il tentativo di acquisizione di una società petrolifera statunitense relativamente piccola, la Unocal, da parte della terza società petroliera più grande della Cina, la China National Offshore Oil Corporation. L’offerta d’acquisto alla fine fu ritirata a causa dell’opposizione da parte dei media e degli organismi legislativi statunitensi, dimostrando che sussistono limiti agli investimenti esteri negli Stati Uniti che riguardano sia la sfera legale che quella delle pubbliche relazioni.74 Uno strumento di controllo dei movimenti di capitali particolarmente efficace è quello di porre dei limiti alla partecipazione di capitale straniero L’Australia mantiene una Commissione di valunelle attività di un paese, limiti che possono intazione degli investimenti dall’estero (Foreign Interessare sia le società quotate in borsa che ditte vestment Review Board, FIRB) ai sensi della legge private. Queste azioni, che rappresentano un del 1975 sulle acquisizioni straniere (Foreign controllo su quali flussi finanziari possono entraAcquisitions and Takeovers Act) che permette re in un paese, possono essere ispirati da diversi al governo di vietare gli investimenti di capitali principi, che vanno dalla sicurezza nazionale a stranieri se considerati “contrari all’interesse namotivi di ordine macroeconomico, passando per zionale”.75 Questo tipo di valutail sostegno ad alcune industrie Uno strumento di controllo zione è stata usata ultimamente strategiche nell’ambito di una per bloccare degli investimenti specifica politica industriale. dei movimenti di capitali da parte di società minerarie particolarmente efficace cinesi in alcune società minerarie Gli Stati Uniti attualmente usaè quello di porre dei limiti australiane. Nel 2009, l’Australia no regolarmente questo tipo di alla partecipazione di bloccò l’acquisizione di una parregolamentazione per evitare i tecipazione di controllo di Lynas trasferimenti della proprietà di capitale straniero nelle Corporation, operante nell’estraalcune specifiche attività sotto il attività di un paese zione di terre rare, da parte della controllo di imprese straniere. A China Non-Ferrous Metal Mining, tal fine, si avvalgono di normatiuna società mineraria a totale partecipazione ve concernenti la sicurezza nazionale, evitando pubblica. La FIRB impose all’impresa cinese di così di applicare i propri trattati di investimento limitare la sua partecipazione al 50%.76 (discussi nella sezione seguente). Con l’Emendamento Exon-Florio alla Legge omnibus sul Molte economie dell’Asia orientale, comprese la commercio e la concorrenza (Omnibus Trade and 72 Corea del Sud77 e Taiwan78, hanno usato questo Competitiveness Act) del 1988 , il Parlamento tipo di provvedimenti nell’ambito della loro podegli Stati Uniti ha imposto al Presidente statunilitica industriale per far sì che le loro economie tense di mantenere un meccanismo di controllo sviluppassero una vocazione industriale. Queste di qualsiasi investimento estero “minacci di strategie imitano comunque quelle che le ecocompromettere la sicurezza nazionale”. In base a nomie di paesi attualmente sviluppati usavano questa norma, il Comitato sull’Investimento Estedurante la loro fase di industrializzazione. Il ro negli Stati Uniti, formato da rappresentanti di professore di economia Ha-Joon Chang dell’Uni14 dipartimenti governativi del paese, ha facoltà versità di Cambridge ha studiato il percorso di indi valutare ogni investimento straniero in entrata 21 È ora di un nuovo consenso dustrializzazione di molti paesi che attualmente sono ricchi e ha riscontrato che “nelle prime fasi di sviluppo, i paesi attualmente sviluppati hanno sistematicamente attuato dei comportamenti discriminatori nei confronti degli investitori esteri. Hanno usato una serie di strumenti per costruire l’industria nazionale: i limiti sulle partecipazioni, i requisiti di prestazione sulle esportazioni, i trasferimenti di tecnologia o gli approvvigionamenti locali, l’insistenza sulla necessità di costituire delle joint venture con imprese locali e le barriere agli investimenti in attività già operative (investimenti brownfield) attraverso fusioni o acquisizioni.” 79 Ha-Joon Chang conclude che “solo quando l’industria nazionale raggiunge un certo livello di raffinatezza, complessità e competitività, i benefici offerti dalla mancanza di discriminazione e dalla liberalizzazione degli investimenti esteri sembrano superare i costi.” Controlli tradizionali sui capitali in entrata Come illustrato al Capitolo 2, i flussi di capitali furono regolamentati nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Ciò non volle dire che gli investitori di un paese non potevano investire in altri paesi, ma solo che vi era una regolamentazione che era stata posta in essere per far fronte ai rischi legati agli investimenti e al bisogno di gestire con prudenza la posizione macroeconomica del paese in questione. Nel periodo postbellico, vi erano numerosi strumenti di regolazione, tra cui spiccavano le restrizioni valutarie. Infatti, i commercianti di valuta estera dovevano essere registrati e fornire alle autorità dati sul volume delle transazioni, oltre a richiedere un’autorizzazione speciale se volevano acquistare quantità di valuta estera al di sopra di un certo limite. Per esempio, gli importatori e gli esportatori erano tenuti a mostrare le fatture riguardanti grandi transazioni che implicavano valute estere. In alcuni casi, furono adottati dei doppi sistemi di cambio, che prevedevano tassi di cambio diversi a seconda del tipo di transazione. Inoltre, spesso esistevano dei limiti quantitativi ai flussi di capitali in entrata, volti a contenere il volume totale di questi movimenti finanziari nell’economia nazionale. Toro di Arturo di Modica, Liberty Plaza, New York. Foto di Marie-Lan Nguyen (Flickr - licenza CC) In questo modo, si intendevano evitare accumuli insostenibili di eccedenze o disavanzi del conto corrente e del conto capitale, a cui le autorità non avrebbero potuto far fronte. Vi erano anche sistemi di approvazione che potevano limitare gli afflussi di capitali e richiedere delle licenze per poter investire. Una volta sviluppati i loro sistemi finanziari e i mercati azionari e obbligazionari interni, i paesi iniziarono anche a regolare la partecipazione degli investitori stranieri. Ciò valse soprattutto per gli investitori di portafoglio, che spesso erano grandi investitori istituzionali provenienti da paesi ricchi. 80 Le maggiori critiche a questo tipo di controlli era che creavano delle distorsioni nella distribuzione delle risorse e che erano comunque inefficaci, soprattutto nel prevenire crisi di bilancio o nel Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 22 Riquadro 3. Provvedimenti di fatto e di diritto A volte, i ricercatori possono avere difficoltà a stabilire esattamente cosa va classificato come regolamentazione dei movimenti di capitali e questo complica il tentativo di valutare empiricamente l’efficacia di tali misure. Infatti, mentre è facile individuare i provvedimenti tradizionali che comportavano restrizioni quantitative, vi sono una serie di altri provvedimenti usati nella consuetudine che non erano identificati formalmente come controlli sui capitali. Persino l’esistenza di una limitazione quantitativa potrebbe non bastare ad indicare l’importanza dei provvedimenti. Per sapere se ci si trova di fronte a un alto livello di restrizione, occorre confrontarlo con la grandezza dell’economia e con i precedenti volumi e le precedenti tendenze dei flussi. Inoltre, se in alcuni paesi vigevano dei controlli, gli investitori e le istituzioni finanziarie cercavano spesso di evitarli, rendendo tali provvedimenti meno efficaci. Di consuetudine, i ricercatori notavano se un paese aveva delle restrizioni valutarie, anche se attraverso questa modalità di valutazione binaria non si riusciva a distinguere una regolamentazione più morbida da misure più decise. Diversi ricercatori hanno provato a costruire indici per misurare la profondità di un provvedimento acquisendo i risultati di fatto oltre che i provvedimenti normativi.90 controllare la volatilità dei tassi di cambio. 81 Quando si parla dei tipi di controllo più problematici, quasi tutti i commentatori pensano soprattutto ai controlli valutari e ai doppi sistemi di cambio, sia quelli autorizzati ufficialmente che quelli del mercato nero. Infatti, la ricerca mostra che questi controlli sono stati oggetto di abusi ed usi impropri, mentre comportano alti costi in alcuni PVS.82 Tuttavia, non tutti i casi presentano le stesse problematiche e ci sono dati che mostrano che altri paesi, soprattutto quelli con grande capacità amministrativa e di applicazione delle normative nel settore finanziario, eseguono efficacemente controlli generalizzati sui capitali. Ciò è confermato da una recente valutazione dell’efficacia dei controlli sui capitali da parte del FMI, che ha riscontrato che “in Cina e India, paesi che mantengono controlli più estesi, i differenziali sui tassi di interesse restano alti e costanti nel tempo. Questa conclusione conferma la tesi che i controlli sono più efficaci nei paesi con più controllo sui flussi di capitali.”83 La Cina, l’economia in più rapida espansione del 23 È ora di un nuovo consenso mondo e che si appresta a diventare l’economia di gran lunga più grande al mondo, mantiene ancora uno dei più estesi regimi di controllo sugli afflussi di capitali. Seppure gli IDE non abbiano più l’obbligo di accedere attraverso delle joint venture, gli investimenti di portafoglio e di altro tipo sono soggetti a severi controlli e le transazioni valutarie sono ancora sottoposte a pesanti regolamentazioni. I non residenti non possono partecipare a fondi nazionali del mercato monetario o ai mercati dei derivati e possono solo investire in alcuni tipi di strumenti sui mercati azionari e obbligazionari.84 Secondo uno studio condotto da economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali, mentre la Cina ha avuto un forte aumento dei flussi finanziari transfrontalieri, ciò non ha comportato una minore efficacia dei controlli da parte dello stato. Anzi, “nonostante i controlli cinesi sui capitali non siano stati ineccepibili,” i ricercatori hanno riscontrato che “i controlli effettuati dalla Cina sui capitali restano sostanzialmente vincolanti. Ciò ha permesso alle autorità cinesi di mantenere un certo livello di autonomia monetaria di breve termine, nonostante il tasso di cambio fisso.”85 L’India, anch’essa una delle economia in più rapida espansione al mondo, mantiene ancora dei controlli sugli investimenti in entrata in numerosi settori oltre che sui flussi di portafoglio. Il settore bancario e quello distributivo sono ancora fondamentalmente chiusi agli investimenti dall’estero, nonostante vi siano proposte di aprire la distribuzione. Gli stranieri non possono acquistare debito pubblico e possono solo investire in azioni attraverso degli investitori istituzionali stranieri registrati.86 Mentre l’India sembra esercitare controlli più morbidi sui movimenti di capitali rispetto alla Cina, tanto che alcune ricerche hanno riscontrato una ridotta indipendenza della sua politica monetaria87, altri studi recenti hanno mostrato che il paese mantiene comunque una notevole indipendenza.88 L’ex governatore della Banca Centrale indiana YV Reddy ritiene che l’atteggiamento prudente e pragmatico adottato dalla sua banca nei confronti della liberalizzazione dei movimenti di capitali sia uno dei motivi fondamentali del buon andamento dell’India sia durante la crisi finanziaria asiatica degli anni Novanta che nella crisi finanziaria Manifestanti a Austurvöllur - Islanda La “Kitchenware revolution” in Islanda fu organizzata dal movimento sociale denominato “Raddir Fólksins”, guidato da Hördur Torfason. La protesta cominciò all’indomani del collasso del sistema bancario e della conseguente decimazione dell’economia islandese agli inizi di ottobre 2008. del 2008. Senza generalizzare sulla direzione dei controlli della mobilità dei capitali, Reddy sostiene che “un controllo appropriato dei movimenti di capitali è fondamentale sia per la crescita che per la stabilità.”89 Regolamentazione dei deflussi di capitale Come descritto in precedenza, la Cina e l’India conservano ancora dei programmi importanti di controllo dei movimenti di capitali. Questi programmi riguardano sia i flussi in entrata che quelli in uscita. Vi sono comunque molti altri paesi che tendono ad avere uno o più strumenti attivi e spesso si concentrano sul problema contingente. I paesi che si trovano a far fronte ad ondate di capitali naturalmente tenderanno verso un controllo degli afflussi, mentre invece quelli che rischiano improvvise fughe di capitali, soprattutto da parte dei residenti, potrebbero tentare di usare provvedimenti sui capitali in uscita. Questo tipo di controlli si registra più frequentemente nel corso di una crisi finanziaria per cercare di arginare la fuga dei depositi bancari verso altre giurisdizioni. Gli economisti Ethan Kaplan dell’Università della California Berkeley e Dani Rodrik dell’Università di Harvard Le manifestazioni si tennero ogni sabato dalla metà di ottobre 2008 fino alla fine di gennaio 2009 nella piazza Austurvöllur davanti all’Alþingishús, sede del Parlamento islandese. La protesta portò alle dimissioni del primo ministro islandese Geir Haarde e del suo governo il 26 gennaio 2009. (Fonte: Wikipedia) Foto: Oddur Benediktsson (Flickr, CC Share Alike - attribution) spiegano che “un paese si può trovare di fronte a comportamenti di panico da parte dei creditori, con una corsa alle riserve anche quando il paese ha dei fondamentali solidi. In questi casi, la sospensione temporanea della convertibilità dei capitali può fermare la fuga e concedere del tempo ai decisori delle politiche per adottare un’azione correttiva.”91 La risposta della Malesia alla crisi finanziaria asiatica della fine del 1998 rappresenta l’esempio più famoso di questi tipi di controllo. Il governo decretò il rimpatrio di tutta la valuta locale (il ringgit malese), regolamentò severamente le transazioni internazionali e offshore in ringgit, istituì per i malesi l’obbligo di autorizzazione per effettuare investimenti all’estero e chiese agli investitori stranieri sul mercato azionario interno di trattenere nel paese i proventi di qualsiasi vendita di titoli azionari per 12 mesi prima di rimpatriarli nel loro paese di origine.92 Kaplan e Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 24 Riquadro 4. Il caso del Brasile* Tra il 2008 e il 2011, gli investimenti a breve termine, noti come flussi di carry-trade, invasero il Brasile e gonfiarono artificialmente il valore del real, la valuta locale, mettendo in pericolo la competitività delle esportazioni industriali brasiliane. L’imposta sull’acquisto di titoli azionari e obbligazionari da parte di capitali esteri in vigore dal 2009 mira a ridurre i rischi legati a questi afflussi, in particolare i rischi di cambio, oltre che ad aumentare lo spazio per la politica monetaria. I dati indicano che questi controlli si sono dimostrati efficaci nel rallentare i flussi di capitale in entrata e nel ridurre l’apprezzamento valutario. L’improvvisa inversione di tendenza dei flussi verso metà settembre rappresenta un insegnamento sia sul perché è prudente agire in modo preventivo e sia sul controllo e il peso che può esercitare la politica macroeconomica. Liberalizzazione, crisi del 1998 e conseguenti strascichi Nei primi anni Novanta, il Brasile avviò la liberalizzazione del commercio e della finanza per stabilizzare i prezzi e, allo stesso tempo, creare un’economia di mercato. Nonostante le riforme riuscirono con successo a ridurre l’inflazione e attrarre investimenti, esse portarono anche all’aumento del disavanzo del conto corrente e a una maggiore volatilità finanziaria, che precipitò il paese nella crisi del 1998-99.104 L’apertura dell’economia, parallelamente agli alti tassi di interesse, attirarono capitali speculativi, che nel 1998 uscirono improvvisamente dal paese a causa dell’incertezza e del rischio di contagio generato dal default della Russia e dalla crisi finanziaria asiatica dello stesso anno. Questo improvviso deflusso di capitali accelerò la crisi finanziaria e obbligò il governo a lasciar fluttuare il real per evitare il completo prosciugamento delle proprie riserve estere. Nel 1999, il Brasile abbandonò il suo sistema di cambio * Questo riquadro si basa su Rompere lo stampo: Come l’America latina sta affrontando i flussi volatili di capitale. Per una descrizione dettagliata del caso di studio relativo al Brasile, si veda http://www.brettonwoodsproject.org/breakingthemould 25 È ora di un nuovo consenso “scorrevole” ma sostanzialmente fisso (crawling peg) e inaugurò una politica monetaria basata su obiettivi di inflazione (inflation targeting). La strategia brasiliana contribuì così a rendere stabile il livello generale dei prezzi e portò a una crescita costante, anche se più lenta rispetto ai paesi confinanti.105 Essa contribuì inoltre ad attirare ingenti quantità di investimenti esteri sia di breve che di lungo termine, aumentando l’esposizione del paese a choc esterni e in particolare ai rischi legati alla volatilità dei flussi di capitali. Tra il 2008 e il 2011, gli investimenti a breve termine, noti come operazioni di carry-trade, invasero il paese, approfittando degli alti tassi di interesse. Questi flussi gonfiarono artificialmente il valore del real, che si apprezzò del 46% rispetto al dollaro tra la fine del 2008 e l’agosto del 2011 (si veda il grafico 4), minacciando la competitività delle esportazioni industriali brasiliane.106 Efficacia dei controlli sui movimenti di capitali Nell’ottobre del 2009, durante un’ondata di afflussi di capitali, il governo istituì un’imposta del 2% sugli acquisti di azioni e obbligazioni da parte di capitali esteri (successivamente chiamata IOF1, Imposto sobre Operações Financeiras) al fine di evitare l’apprezzamento ingiustificato della valuta locale. Il ministro delle Finanze Guido Mantega spiegò che la tassazione dei capitali esteri aveva come obiettivo la regolamentazione, non la generazione di profitti, e che mirava a bilanciare l’ingresso di capitali esteri nell’economia brasiliana e arrestare la scalata del real rispetto alle altre valute. Una volta annunciata e istituita la IOF1, si alleviarono anche le pressioni sul tasso di cambio.107 Ci si rese conto, però, che si era creato uno spazio per l’evasione e quindi, nel novembre del 2009, il governo introdusse una tassa dell’1,5% sulla vendita di depositi esteri nel paese, chiamata IOF2 per distinguerla dalla precedente. Nell’ottobre del 2010, il governo aumentò l’imposta IOF1 al 4%. Il Segretario del Tesoro Arno Augustin affermò che l’IOF si proponeva da un lato di dissuadere gli investitori di breve termine dallo speculare su un’eventuale volatilità dei tassi di cambio e dall’altro di attrarre gli investimenti a lungo termine. Tuttavia, tre settimane dopo, il governo dichiarò che questi provvedimenti non avevano ridotto abbastanza l’apprezzamento della valuta e quindi annunciarono un ulteriore aumento dell’IOF1 al 6%. Infine, a dicembre 2010, il governo decise di ridurre nuovamente questa imposta al 2% a partire da gennaio del 2011. Nella sua analisi statistica, Kevin Gallagher, professore all’Università di Boston, ha riscontrato che le tasse introdotte in Brasile nel 2009 e nel Grafico 5. Composizione degli afflussi di capitali esteri (%) Investimenti diretti esteri Investimenti di portafoglio esteri Altri investimenti esteri Fonte: Banco Central do Brasil Grafico 6. Brasile – Tasso di cambio effettivo del Real (indice, 2000=100) 1% tax on derivatives Fonte: Instituto de Pesquisa Econômica (IPEA) 2010 “sono correlate a livelli più bassi di apprezzamento valutario e a un rallentamento della velocità di apprezzamento.” Un altro dato è che i controlli sono riusciti a creare più spazio per la politica monetaria.108 È interessante notare, sempre grazie a Gallagher, come l’efficacia fosse maggiore quando l’IOF1 fu aumentata al 6%. Lo studioso afferma che questi dati coincidono con le affermazioni di alcuni amministratori di fondi, che si lamentavano che “l’attrattiva del carry trade era parecchio diminuita” dopo l’innalzamento della tassa al 6%, “specialmente per gli investitori che operavano su archi temporali minori di un anno.” prezzamento della valuta nell’ordine dell’1,2% circa”.110 Quando si affronta il tema delle tasse sui flussi di capitali in entrata, bisogna chiedersi se il tasso di questa imposta sia abbastanza elevato oppure se sarebbe il caso di innalzarlo ulteriormente. Nel contesto attuale, che vede l’ingresso di ingenti flussi di capitali e alti guadagni nel settore finanziario, appare improbabile che ulteriori regolamentazioni o imposte provochino problemi di bilancio o scarsità di capitali. Inoltre, gli investitori a breve termine continuano a ricevere incentivi e vantaggi troppo grandi per farsi scoraggiare da una tassa al 2%. Infatti, gli alti tassi di interesse sono Altre valutazioni iniziali corroborano accompagnati da esenzioni fiscali sui l’efficacia dei controlli. Nel luglio 2010, guadagni ricavati dai capitali esteri dopo aver concluso la sua consultache investono in debito pubblico.111 zione periodica a norma dell’Articolo Questi vantaggi, in vigore dal 2006, IV, il FMI dichiarò che la tassa istituita incentivano gli investimenti a breve nel 2009 aveva verosimilmente un termine. A questo punto, per valutare impatto sul rallentamento dei flussi di questi incentivi, sarebbe utile definire capitali in entrata.109 Analogamente, un quadro macroprudenziale geneEduardo Levy Yeyati e Andrea Kiguel, rale. ricercatori all’Università Torcuato Di Tella, hanno analizzato l’impatto Nel settembre del 2011, vi erano molti dell’IOF1 e hanno riscontrato che il riscontri di una persistente volatilità real brasiliano “si era deprezzato di dei flussi finanziari che entravano in circa 1,1% al momento dell’introduzio- Brasile. Alla fine dell’agosto del 2011, ne della tassa e di un ulteriore 0,9% il per frenare l’apprezzamento della giorno successivo, appena il provvedi- valuta, la Banca Centrale ridusse il suo mento fu digerito dai mercati, anche tasso di interesse di riferimento dello se questo effetto regredì parzialmente 0,5%. Questa mossa, parallelamente in seguito. In definitiva, la loro analisi all’aumentata incertezza economica indica che l’IOF ha portato a un deglobale causata dalla crisi dell’eurozo- na, generò un’improvvisa inversione dei flussi finanziari. Il mese successivo, il real subì un deprezzamento del 14% sul dollaro, spingendo la Banca Centrale ad intervenire per la prima volta dopo due anni per sostenere il valore della moneta invece che per mantenerlo a livelli più bassi.112 Il caso del Brasile mostra chiaramente come gli investimenti speculativi a breve termine possano destabilizzare un’economia e come, per contro, delle politiche pragmatiche possano contribuire ad isolare un paese dalla crisi. L’IOF è il risultato di un modello pragmatico che mira a ridurre le speculazioni valutarie e proteggere l’economia da choc esterni, affrontando al contempo le restrizioni imposte alla politica monetaria da un contesto di economie aperte. Queste tasse appaiono efficaci nell’allontanare flussi di breve termine indesiderati, mentre contribuiscono a rallentare ulteriori apprezzamenti del tasso di cambio e aumentare lo spazio per la politica monetaria. Inoltre, l’impatto destabilizzante di un’inversione repentina dei flussi finanziari come quella del settembre 2011 sarebbe stato indubbiamente più forte in assenza di regole. La preoccupazione principale dei decisori delle politiche e dei ricercatori riguarda l’impatto che la speculazione e l’apprezzamento della valuta potrebbero già aver avuto sulla capacità industriale e sull’occupazione. Recenti studi dell’IMF sui controlli dei capitali riconoscono il loro ruolo di sostegno alla stabilità del sistema finanziario ma, allo stesso tempo, non considerano nella loro analisi la stabilità del tasso di cambio reale. Una mancata attenzione verso questo fattore comporta numerosi rischi, soprattutto perché le ripercussioni negative di un apprezzamento del tasso di cambio sulla produzione e sull’occupazione possono manifestarsi gradualmente, ma quando lo fanno potrebbe già essere troppo tardi per tornare indietro. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 26 Rodrik, dopo aver esaminato una grande quantità di dati, suppongono che i controlli malesi furono efficaci nell’isolare il ringgit dalla speculazione per concedere un po’ di respiro alle politiche monetarie e fiscali e che inoltre permisero all’economia di riprendersi più velocemente rispetto a quanto avrebbe fatto se avesse chiesto un prestito al FMI.93 27 le banche “evitassero di usare la valuta estera presente nelle banche per qualsiasi transazione finanziaria di valuta.”95 Allora, il FMI sosteneva quei provvedimenti96 e, a una conferenza tenutasi nel 2011 per valutare l’impatto delle misure di contrasto alla crisi, il personale e i funzionari del FMI conclusero che “i controlli sui capitali erano necessari e sono attualmente considerati un utile supplemento agli strumenti politici.”97 All’epoca, il FMI guardò con sospetto le manovre della Malesia, affermando che avrebbero leso la fiducia degli investitori. L’Ufficio indipendente di valutazione del FMI (Independent Evaluation Office, IEO) nel 2005 preparò una rassegna dei comportamenti del Fondo nei confronti della liberalizzazione dei movimenti di capitali e considerò quattro esempi di controlli sui deflussi di capitale, osservando che il FMI non li aveva sostenuti in nessun modo, nonostante nei casi della Tailandia e della Russia non fossero misure ostili.94. Già nel 2008, invece, durante la profonda crisi bancaria islandese, il FMI, in alcuni casi, aveva iniziato a vedere le cose in modo diverso. Nel pacchetto di prestiti concesso all’Islanda, vi era praticamente il divieto di ogni deflusso di capitale e si istituirono controlli valutari che consentivano transazioni di valuta solo per le esportazioni e le importazioni prioritarie, come cibo e medicine. La Banca Centrale richiedeva delle relazioni giornaliere per assicurarsi che Nei casi della Malesia e dell’Islanda, le regolamentazioni dei flussi di capitali in uscita furono introdotte in un contesto di grande speculazione valutaria e grandi deflussi di denaro. Vi erano controlli più efficaci e poca evasione. Purtroppo, però, non è sempre così, come dimostrano i provvedimenti adottati dall’Argentina dopo la sua crisi finanziaria del 2001. Nel 2002, si istituirono una serie di controlli sulle transazioni estere da parte dei residenti, che si dimostrò efficace nel contesto di un nuovo quadro macroeconomico. Nel 2007, furono applicate regole più severe, che ebbero l’effetto di scoraggiare l’invio di denaro all’estero da parte di investitori istituzionali locali, anche se le fughe di capitali continuano ad essere una spina nel fianco per le autorità argentine, che puntano il dito soprattutto sul problema dell’evasione fiscale e sull’uso di paradisi fiscali e di giurisdizioni che garantiscono riservatezza da parte dei residenti.98 Occupy Wall Street Zuccotti Park, 1 Liberty Plaza, New York Foto Steve Minor (Flickr, CC Share Alike attribution) Uno delle questioni relative all’efficacia dei provvedimenti sui deflussi di capitali è l’applicazione delle regole. Tanto più le autorità riescono a regolare e monitorare le istituzioni finanziarie, tanto migliori saranno i risultati. Inoltre, i deflussi devono anche avere una destinazione, che significa che l’evasione delle regolamentazioni sui flussi di capitali in uscita implica un certo grado di connivenza da parte della giurisdizione ricevente. Queste situazioni potrebbero essere di natura criminale o potrebbero semplicemente voler dire che le autorità e le istituzioni finanziarie della giurisdizione di arrivo fanno finta di non vedere la fonte e l’eventuale carattere illegale dei flussi finanziari. Un’applicazione reciproca favorirebbe una minore evasione delle regole sui deflussi di capitali se la comunità internazionale si impegnasse ad operare in modo congiunto, così come è stato fatto per contrastare il riciclaggio di dena- È ora di un nuovo consenso Riquadro 5. I KIKO Il termine KIKO sta per knock-in, knock-out ed è un tipo di contratto derivato su valuta preparato su misura. Un derivato è un contratto finanziario il cui valore deriva dal valore di mercato di qualcos’altro, come ad esempio un bene o un prezzo e si può usare come strumento speculativo o per la copertura di un rischio. Un derivato su valuta permette all’acquirente di assicurarsi un tasso di cambio fisso e può, ad esempio, aiutare un esportatore a pianificare in anticipo e ridurre il rischio che deriverebbe dall’affrontare delle spese oggi nella valuta locale prima di avere degli introiti in valuta straniera in futuro. Comunque, i derivati con opzione KIKO, che furono venduti da banche della Corea del Sud a piccole e medie imprese nel periodo antecedente alla crisi finanziaria del 2008, assicurava solo contro l’apprezzamento o il deprezzamento delle valute all’interno di una serie concordata di limiti. Difatti, mentre in caso di un forte apprezzamento l’opzione si estingue, in caso di un forte deprezzamento, al contrario, le banche possono esigere ro e il finanziamento al terrorismo (norme AML/ CFT). In generale, i provvedimenti sugli afflussi di denaro possono essere efficaci nell’arginare la fuga di capitali in situazioni di emergenza, ma vi è spazio di azione per una migliore progettazione ed applicazione. Sarebbe ancora meglio adottare misure preventive che diminuirebbero il bisogno di ricorrere a regole sui capitali in uscita durante una crisi. Provvedimenti basati sui costi e sulle imposte Tra le misure più apprezzate per il controllo dei movimenti di capitali vi sono i provvedimenti basati sui costi o le imposte sui flussi finanziari. L’esempio migliore è rappresentato dall’obbligo di deposito infruttifero del Cile, attuato negli anni Novanta. Si ha un obbligo di deposito infruttifero quando un investitore straniero è tenuto a depositare una percentuale del valore del suo investimento in entrata presso la Banca Centrale, che non gli corrisponderà interessi sul suo deposito e che lo deterrà per un certo periodo di tempo. Nel caso del Cile, il deposito corrispondeva al 30% del capitale in entrata e restava presso la Banca Centrale per un anno. Il caso del Cile ha attratto più di una dozzina di studi economici approfonditi dal 1991, anno in che la ditta contraente venda loro una maggiore quantità di dollari rispetto a quella contrattata, con un conseguente rischio asimmetrico (downside risk) enorme per l’esportatore in caso di deprezzamento della valuta.115 Seppure prima della crisi si prevedeva un forte apprezzamento dello won coreano, alla fine del 2008, in soli quattro mesi, lo won fu deprezzato di oltre 50%,116 esponendo le imprese che avevano acquistato derivati KIKO a perdite enormi quando i contratti vennero a scadenza. Le perdite però non colpirono solo le imprese, che a volte acquistavano derivati senza neanche validi ordini di esportazione a loro sostegno. Infatti, quando alcune di queste imprese fallirono, alle banche rimasero in mano quei contratti, che spesso erano stati assicurati sui mercati internazionali in dollari statunitensi. Di conseguenza, le banche private rimasero esposte a rischi di cambio molto alti e imprevedibili a causa degli afflussi di capitale legati alla vendita del loro contratto. cui furono introdotti i controlli, conosciuti con il nome di encaje, che durarono fino al 1998. Nonostante vi siano delle piccole variazioni nei dati, la letteratura mostra che i controlli cileni furono efficaci nell’attenuare i flussi di investimenti a breve termine per favorire invece gli afflussi di maggiore durata.99 Un documento preparato da ex impiegati della Banca centrale cilena e da funzionari del FMI e pubblicato dalla Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL) sostiene che i controlli ebbero un effetto positivo, ma limitato. Aggiunge inoltre che i controlli “hanno contribuito a contrastare i fattori espulsivi, allargando il differenziale, scoraggiando i flussi netti di capitale in entrata, soprattutto quelli a breve termine, e ricavando un maggiore spazio per attuare delle politiche monetarie. Un’eliminazione precoce dell’encaje durante l’ondata di afflussi di capitali avrebbe attratto un volume ancora maggiore di capitali dall’estero, aggravando gli squilibri macroeconomici. Un’intensificazione dell’encaje, invece, avrebbe avuto un’efficacia marginale e limitata, per via dell’elusione e del limite imposto dagli afflussi di breve termine, già vicini allo zero.”100 Lo studio di altre tasse di questo tipo in Brasile, Colombia, Croazia, Malesia a Tailandia ha prodotto risultati simili, indipendentemente dal Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 28 e riducano le pressioni sul tasso di cambio reale (anche se qui i dati sono più contrastanti). I controlli sui capitali in entrata non sembrano ridurre il volume dei flussi netti (e quindi il bilancio di conto corrente)”.103 Misure di regolamentazione L’evoluzione delle varie limitazioni ai movimenti di capitali ha prodotto nuovi dispositivi di regolamentazione che si concentrano su alcuni specifici elementi di rischio del sistema finanziario. Come illustrato al Capitolo 2, quando i settori finanziari sono deregolamentati, sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo, scoppiano una serie di crisi finanziarie per via di meccanismi tra cui si annoverano le cosiddette asset bubble, bolle patrimoniali come quella di mercati immobiliari sopravvalutati che finiscono per scoppiare. In altri casi, le crisi sono causate da crolli di fiducia che si creano da soli, pur in presenza di saldi fondamenti economici. La deregolamentazione del settore finanziario e la completa mobilità dei capitali creano quindi un connubio che porta allo scoppio di crisi. Distretto finanziario di Toronto Foto: Sookie (Flickr - CC Share Alike Attribution) metodo usato per valutare la loro efficacia.101 Queste misure, che a volte sono paragonate a dossi stradali, contribuiscono a selezionare i flussi di capitali provenienti da fonti predisposte alla fuga, aumentando la stabilità e la qualità degli investimenti in entrata. In realtà, possono anche contribuire ad aumentare i flussi di investimenti stabili e a lungo termine dato che si prevede che in un paese che attua una gestione prudenziale dei flussi di capitale il tasso di cambio e gli altri rischi saranno più bassi.102 In un recente esperimento di analisi comparata sull’efficacia dei controlli dei movimenti di capitali in entrata secondo il modello cileno si sostiene che “sembra che i controlli sui capitali in entrata rendano le politiche monetarie più indipendenti, alterino la composizione degli afflussi 29 È ora di un nuovo consenso Dopo aver vissuto direttamente questi tipi di crisi, molti paesi stanno introducendo nuove misure di regolamentazione per contrastarne i rischi. Questi strumenti sono spesso definite “macroprudenziali”, per sottolineare che si tratta di misure prudenziali, per cercare di controllare i rischi, che hanno anche una portata macroeconomica, ossia non sono necessariamente mirate alla stabilità della singola banca o istituzione su cui vengono applicate. Dato che molta innovazione normativa in questo ambito ha avuto luogo solo a partire dal 2009, non ci sono ancora molti studi approfonditi rivolti all’applicazione di questi strumenti. E gli impatti a lungo termine non possono ancora essere valutati. Comunque, i dati raccolti fino ad oggi mostrano che queste misure possono essere efficaci per controllare alcuni rischi specifici. È importante sottolineare che queste misure hanno una portata più circoscritta di quelle discusse precedentemente, per cui alla fine hanno meno forza per modificare alcuni effetti macroeconomici come i tassi di cambio o le scadenze degli investimenti. Esse mirano più specificamente a far fronte ai rischi di stabilità finanziaria che emergono con l’aumento degli afflussi di capitali. Un documento preparato dal FMI sull’argomento evidenzia che “in generale, ci saranno una serie di rischi e nessun singolo strumento potrà essere la panacea di tutte le preoccupazioni nella maggior parte delle situazioni concrete,” e quindi aggiunge che “il più delle volte, ci sarà bisogno di pacchetti di strumenti, la cui composizione dovrà adattarsi al singolo paese.”113 finanziarie a volte cercano di evitare le regole e lo fanno soprattutto creando e mettendo sul mercato strumenti finanziari più esotici. Nel 2010/11, la Corea del Sud impose delle limitazioni specifiche sui derivati in valuta estera a causa del loro utilizzo eccessivo da parte di banche nazionali ed estere. Queste restrizioni derivarono in parte dal gran numero di compravendite di derivati in valuta estera con opzioni KIKO che, con lo scoppiare della crisi, mandarono in fallimento molte piccole e medie imprese (si veda il riquadro 5).117 Una delle misure usate più frequentemente sono i controlli dell’esposizione in valuta estera, che possono influenzare l’indebitamento in valuta estera o il volume di asset denominati in valuta estera. Mentre infatti le singole banche e aziende possono godere di incentivi per contrarre prestiti in valute estere grazie ai minori costi di finanziamento, il volume totale del debito in moneta estera proveniente da tutte le imprese nazionali potrebbe superare la capacità da parte dello stato di fornire garanzie o di rassicurare gli investitori sulla disponibilità di sufficienti riserve estere che possano coprire i prestiti in essere. Di conseguenza, si raccomanda ai governi di controllare questi rischi attraverso diversi tipi di limitazioni all’indebitamento in valuta estera. Nel giugno del 2010 intervenne la Banca Centrale coreana, limitando il volume dei contratti derivati in valuta estera al 50% del capitale sociale per le banche di proprietà locale. Furono inoltre poste delle restrizioni sull’uso di derivati anche alle banche di proprietà estera, ma stavolta con limiti molto più elevati, pari al 250% del capitale sociale, dato che le loro controllanti potevano coprire il rischio di cambio. In questo modo, la Corea sperava di arginare il debito a breve termine denominato in moneta straniera118 e, stando ai dati iniziali, sembra che ci sia riuscita.119 Queste restrizioni si possono attuare usando numerosi tipi di criteri prudenziali da applicare ad ogni singola istituzione finanziaria del paese come, ad esempio, le banche. Tra queste citiamo le regole sui debiti/crediti in valute estere, sulle vendite di titoli emessi localmente e denominati in moneta estera (compresi i derivati), sui conti bancari denominati in valuta estera e sull’intera esposizione in valuta estera. Uno studio condotto nel 2011 dal personale del FMI sull’efficacia di queste misure in 41 economie di mercato emergenti ha riscontrato che l’applicazione di queste misure contribuiva a limitare i livelli generali di debito in valuta estera di quelle economie e, conseguentemente, anche i rischi connessi a questo tipo di indebitamento.114 Naturalmente, la regolamentazione funziona solo se può essere applicata e questo implica che i paesi devono avere delle adeguate istituzioni di regolamentazione. Le banche e le altre istituzioni Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 30 5.Ostacoli all’efficacia dei controlli sui movimenti di capitali Nonostante la presenza di gravi rischi sociali (discussi al Capitolo 2), le norme internazionali sul controllo dei movimenti di capitali non hanno un carattere di uniformità e non esiste un quadro di riferimento globale onnicomprensivo. La grande apertura delle economie a cui si è assistito nell’ultimo trentennio è stata attuata sulla base di una serie di obblighi giuridici internazionali, quali il Codice di liberalizzazione dei movimenti di capitale dell’OCSE, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’Accordo Generale sugli Scambi di Servizi dell’OMC, passando per svariate migliaia di trattati di investimento bilaterali o regionali e accordi di libero scambio con capitoli dedicati agli investimenti. In questa sezione, esamineremo alcuni ostacoli di natura normativa a cui devono far fronte i paesi che vogliono applicare gli strumenti discussi al Capitolo 3. Tenere a mente questi ostacoli è indispensabile per riflettere su come l’architettura della finanza internazionale può cambiare per portare sviluppo. Controlli del FMI, condizionalità e consulenza Il FMI è stato uno dei principali sostenitori dei regimi di economia aperta. Il Fondo gode di un ampio mandato in materia di pagamenti in conto corrente, ossia sostanzialmente sul commercio di merci, mentre il suo ruolo in relazione ai conti dei capitali è molto meno preciso. Eppure, non solo ha posto le liberalizzazioni come condizione per avviare programmi di prestito, ma ha anche guidato il movimento di pensiero che ha promosso le liberalizzazioni degli anni Ottanta e Novanta. All’atto della sua costituzione, il FMI era 31 È ora di un nuovo consenso pieno di economisti che appoggiavano il sistema di Bretton Woods e credevano che il controllo dei movimenti di capitali avrebbe contribuito a portare stabilità nella finanza internazionale. Nel corso degli anni, invece, il carattere del Fondo è cambiato, con l’ingresso nel suo organico di un gruppo di sostenitori delle teorie descritte al Capitolo 2. Il principio che la liberalizzazione totale della mobilità dei capitali rappresentasse il miglior sistema possibile divenne parte integrante del pensiero dei funzionari del FMI.120 Alla fine degli anni Novanta, i vertici del FMI insieme a numerosi grandi azionisti tentarono di modificare lo statuto del Fondo e introdurvi un esplicito riferimento alla deregolamentazione dei movimenti finanziari. Questo orientamento, parte della tesi allora prevalente dell’infallibilità dei mercati deregolamentati, era appoggiato sia dai funzionari del Fondo che dai suoi maggiori azionisti, quali gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia.121 Questo tentativo fu fermato solo a causa delle terribili conseguenze della crisi finanziaria asiatica del 1997-8 e il successivo contagio ad altri mercati emergenti, che avevano dato più coraggio ai PVS nell’esprimere il loro dissenso alla manovra. Nonostante non si sia mai raggiunto un accordo in materia, il Fondo ha promosso la liberalizzazione delle economie nelle sue attività di supervisione e di prestito.122 Tutto questo è in contraddizione con lo spirito dell’Accordo istitutivo del FMI, che in realtà permette al Fondo di obbligare i paesi a controllare la circolazione dei capitali piuttosto che a liberalizzarla. L’Accordo istitutivo del FMI garantisce ai suoi membri il diritto di usare tecniche per il controllo dei capitali. Mentre il FMI richiede agli Stati membri di evitare restrizioni sui pagamenti correnti, ossia pagamenti che solitamente riguardano il commercio ordinario, essi devono anche cercare “di promuovere la stabilità, favorendo condizioni di base economiche e finanziarie ordinate e un sistema monetario che non provochi tensioni.”123 Vi è infatti un intero articolo dello statuto (l’Articolo VI), dedicato ai trasferimenti di capitali, che mostra chiaramente che il mandato del FMI prevede che il Fondo consigli e in alcuni casi addirit- (16 novembre 2009). Centinaia di contribuenti si riuniscono fuori degli uffici di Goldman Sachs a Washington per consegnare una lettera all’amministratore delegato, Lloyd Blankfein, chiedendogli di rinunciare ad incassare il suo bonus multi-milionario e ad utilizzare invece questi soldi per aiutare le centinaia di migliaia di famiglie che stanno subendo i pignoramenti. Washington, DC Foto 2009 Kate Thomas / SEIU (Flickr - CC Share Alike attribution) tura esiga dai paesi l’uso di controlli sui capitali al fine di impedire “deflussi di capitali ingenti o sostenuti”, ossia crisi finanziarie come quelle viste in molti mercati emergenti. Questo articolo vieta persino l’uso delle risorse del Fondo per finanziare questi deflussi e dichiara che se “lo Stato membro non esercita adeguati controlli, il Fondo può dichiararlo decaduto dal diritto di usare le proprie risorse.”124 Il FMI ha promosso la liberalizzazione delle economie e ha censurato, sia in pubblico che in privato, casi specifici di regolamentazione dei movimenti di capitali. La valutazione del ruolo del FMI condotta dall’Ufficio Indipendente di Valutazione nel 2005 rilevò che “Le analisi del FMI precedenti alla metà degli anni Novanta tendevano ad evidenziare i vantaggi che i PVS potevano trarre da un maggiore ingresso di flussi di capitali internazionali, mentre dedicavano relativamente meno attenzione agli eventuali rischi derivanti dalla volatilità dei capitali.” A partire dalla metà degli anni Novanta, le analisi del Fondo iniziarono chiaramente a raccomanda- re la liberalizzazione dei movimenti di capitali. Parallelamente alle iniziative di modifica dello statuto per dare al FMI un chiaro mandato di liberalizzazione oltre che giurisdizione sulle politiche dei movimenti di capitale dei paesi membri, i vertici e gli impiegati del Fondo ampliarono l’operatività dell’istituto su questioni di mobilità di capitali nelle consultazioni ex Articolo IV e nell’assistenza tecnica, con lo scopo di sostenere più attivamente le liberalizzazioni dei movimenti di capitali.”125 Durante le discussioni sul modo di aumentare la stabilità finanziaria mondiale dopo la crisi globale del 2008, il FMI ridefinì il suo ruolo riguardo ai controlli sui movimenti finanziari. Nonostante i numerosi documenti del Fondo che dichiarano l’utilità delle regolamentazioni dei movimenti di capitali, il quadro delle politiche presentato dal FMI nel febbraio del 2011 era esageratamente prudente riguardo l’opportunità e la tempistica di provvedimenti di controllo dei movimenti finanziari. Il Fondo consigliava di lasciare questi provvedimenti come ultima opzione, una volta Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 32 sforzo maggiore per attenuare lo stigma verso la regolamentazione dei flussi di capitali e salvaguardare la capacità dei paesi di istituire delle regolamentazioni dei movimenti finanziari per prevenire e alleviare le crisi.”127 Organizzazione Mondiale del Commercio esauriti tutti gli altri strumenti di politica macroeconomica.126 I PVS però hanno dei bisogni interni che devono avere la precedenza sul bisogno di farvi defluire le ricadute delle politiche finanziarie dei paesi ricchi. I professori Stephany Griffith-Jones e José Antonio Ocampo, entrambi dell’Università della Columbia e Kevin Gallagher dell’Università di Boston hanno pubblicato un documento di analisi in cui si auspica un approccio alternativo. Riassumendo le discussioni di una task force indipendente sul controllo dei flussi di capitali di cui faceva parte anche il vice governatore della Banca Centrale indiana Rakesh Mohan, gli autori sostengono che le prescrizioni del FMI “non rappresentano dei buoni consigli per molti PVS” e che invece i controlli sui movimenti di capitali “dovrebbero essere considerati un aspetto essenziale del pacchetto di politiche macroeconomiche di un paese e non semplicemente provvedimenti di emergenza.” Il documento propone una serie di linee guida per l’uso di questi controlli e invita il FMI e altri organismi globali a “compiere uno 33 È ora di un nuovo consenso Anche le trattative presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) hanno un notevole influsso sulle politiche di regolamentazione dei movimenti di capitale, a causa di accordi già in essere e trattative future. L’OMC, infatti, ha un Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS), siglato nel 1995, che si occupa del commercio di attività immateriali. L’Articolo XI del GATS impone ai membri di astenersi dall’imporre restrizioni ai trasferimenti e ai pagamenti internazionali per transazioni correnti relative agli impegni specifici assunti. Il GATS conteneva inoltre una tabella di marcia per la liberalizzazione dei servizi finanziari con l’obiettivo di deregolamentare gli scambi di servizi finanziari attraverso i confini nazionali. L’OMC chiese così ai paesi membri di assumere degli impegni sulla liberalizzazione che comportavano automaticamente una maggiore liberalizzazione dei movimenti di capitali in quanto il paese interessato doveva necessariamente permettere l’ingresso di investimenti esteri ai fini di un loro ‘insediamento’ nel paese. Nella fattispecie, questo implica l’insediamento di un istituto finanziario come, ad esempio, una banca.128 Dato che gli impegni presi sulla base del GATS si attengono a un trattato, diventa difficile modificarli quando dovesse sorgere la necessità. Secondo Chakravarthi Raghavan, esperto di trattative commerciali presso il SUNS (South-North Development Monitor, Osservatorio sullo Sviluppo Nord-Sud), “Nel migliore dei casi, la strada indicata dal GATS prevede un percorso progressivo verso la convertibilità del conto capitale, ma ogni fase di questo processo diventa irreversibile.”129 Non tutti i paesi hanno liberalizzato gli scambi di servizi finanziari, mentre alcuni lo hanno fatto senza aver previsto sufficienti protezioni o esenzioni, come per esempio nel settore previden- ziale130, mentre i paesi ricchi premono per una maggiore liberalizzazione.131Si teme inoltre che una disposizione dell’allegato sui servizi finanziari dell’Accordo, sia alquanto ambigua quando prevede la possibilità di adottare “provvedimenti a titolo prudenziale”. Infatti, poi si precisa che “Ove tali provvedimenti non siano conformi alle disposizioni dell’Accordo, essi non vengono utilizzati come mezzi per eludere gli impegni o gli obblighi che l’Accordo pone a carico dei membri.”132 oltre 50 anni e attualmente se ne contano oltre 2.800.135 Essi completano vari altri tipi di accordi internazionali sugli investimenti (IIA), tra cui gli accordi di libero scambio (FTA) con capitoli dedicati agli investimenti. Il numero totale di accordi IIA ha superato i 6.000.136 Essi sono accordi esecutivi sulle norme che regolano gli investimenti e sono vincolanti per i due paesi che li siglano. Comunque, dato che solitamente contengono clausole della nazione più favorita, i provvedimenti di un BIT o di altri IIA che si applicano a un dato paese saranno estesi a tutti i paesi con cui sussiste un accordo. Nelle discussioni tenutesi in seno all’attuale tornata di negoziati commerciali, i paesi ricchi Questi accordi di solito conhanno presentato i cosiddetti tengono dei provvedimenti a ‘temi di Singapore’, ossia dei I trattati bilaterali per gli favore della libertà dei paganuovi argomenti che volevano investimenti (BIT) di solito menti correnti e dei movimenti includere nei negoziati. Tra di di capitale al fine di agevolare essi vi era il tema relativo al contengono dei provvedimenti gli investimenti e rassicurare commercio e agli investimenti, a favore della libertà dei gli investitori. I trattati riguarcaldeggiato dai paesi ricchi e in pagamenti correnti e dei dano sia i capitali in entrata particolare da quelli europei. movimenti di capitale al fine che quelli in uscita, offrendo I negoziati avrebbero dovuto protezione sia agli investimenti trattare come e quando libera- di agevolare gli investimenti e in entrata che al rimpatrio dei lizzare gli investimenti esteri, rassicurare gli investitori profitti verso l’estero. Concon un conseguente impegno tengono anche meccanismi da parte di tutti i paesi membri applicativi che consentono agli dell’OMC su come ridurre le investitori di sottoporre eventuali controversie barriere agli investimenti, ivi comprese le recon i governi a un arbitrato vincolante per far strizioni ai movimenti di capitali. I PVS, però, si rispettare gli obblighi derivanti dal trattato. Inolopposero alla discussione di questi temi all’intertre, dato che di solito ci vogliono 10 anni perché no dei negoziati commerciali e questo disaccordo un recesso diventi effettivo, questi trattati sono fu uno dei motivi alle origini del fallimento dei difficili da trasgredire. I BIT americani sono tra i negoziati di Cancun del 2003.133 Nonostante i PVS si siano opposti al tentativo di inserire questi arpiù completi e rigorosi che ci siano e contengono gomenti nell’ordine del giorno, vi è il rischio che provvedimenti forti contro la regolamentazione questi temi possano ripresentarsi nelle prossime dei movimenti di capitali.137 tornate di negoziati. Gli attivisti, invece, hanno sostenuto che si doveva permettere ai paesi di Alla fine del gennaio 2011, oltre 250 economisti recedere dagli impegni sottoscritti nell’ambito inviarono una lettera al governo statunitense, del GATS.134 esprimendo preoccupazione “riguardo l’entità delle restrizioni applicate ai controlli sui capitali nei trattati USA in materia di commercio e Accordi bilaterali di investimenti “. La lettera recita che “data la severità della crisi finanziaria globale e dei suoi Se gli ostacoli politici presenti nel GATS e nella strascichi, le nazioni avranno bisogno di tutti consulenza del FMI in materia di politiche finangli strumenti a loro disposizione per prevenire ziarie sono notevoli, essi sono probabilmente e attenuare le crisi finanziarie. … Ricerche più meno rigorosi di quelli contenuti negli accordi recenti rivelano un crescente consenso riguardo bilaterali in materia di investimenti. I trattati l’opportunità di includere le tecniche per il conbilaterali per gli investimenti (BIT) esistono da Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 34 trollo dei capitali all’interno di quelle ‘scrupolose misure macro-prudenziali’ auspicate dai leader del G-20 al vertice di Seul.”138 I BIT e gli FTA sono particolarmente problematici per il numero elevato di accordi siglati e perché i paesi coinvolti non possono modificarne i provvedimenti.139 Altri accordi multilaterali – Il Trattato di Lisbona e il codice OCSE Esistono anche accordi multilaterali che mirano ad imporre la liberalizzazione dei movimenti di capitali, con conseguenze potenzialmente pericolose sia per i paesi sviluppati che per quelli in via di sviluppo. L’accordo multilaterale Nella UE, il recente Trattato di Lisbona ha traavente efficacia esecutiva più usato è il Trattato sferito la competenza sugli accordi per gli invedi Lisbona dell’Unione europea. L’Articolo 63 stimenti ad istituzioni regionali europee. Questo impone la libera circolazione dei capitali su tutto vuol dire che, dal dicembre del 2009, gli stati il territorio dell’Unione e vieta agli Stati membri dell’Unione europea non devono più negoziaqualsiasi restrizione ai movimenti di capitali re i singoli BIT con altri paesi e che gli accordi anche con paesi terzi.145 Naturalmente, la crisi verranno invece trattati a livello centrale.140 Al bancaria scoppiata nel 2008 e poi diventata una momento, nell’Unione circolano ancora pareri vera e propria crisi finanziaria nel 2011 è stata discordanti sulle modalità di attuazione di questo influenzata da questo provvedimento. Durante la passaggio di competenze e vi sono dubbi riguarcrisi del 2011, la Grecia ha visto enormi quantità do lo status dei trattati già in essere.141 Nell’Uniodi capitali defluire dalle proprie banche.146 Paesi ne Europea, il tema degli investimenti è incluso come la Grecia all’interno dell’eurozona non sempre più frequentemente negli acpossono adottare misure per arginacordi di libero scambio negoziati con re la fuga di capitali dai mercati dei Una volta intrapreso PVS, denominati accordi di partenacrediti o dalle banche sui loro terririato economico (APE) se interessano il percorso della tori. Oltre ai numerosi problemi che paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). deregolamentazione, attualmente affliggono l’eurozona, A questo proposito, sono stati lancia- è molto difficile i provvedimenti contenuti nel Tratti allarmi riguardo l’inserimento di tato di Lisbona rendono più difficile tornare indietro impegni precisi che vieterebbero ai l’adozione di eventuali misure per paesi che siglano questi accordi con affrontare la crisi. l’UE di esercitare controlli sui movimenti di capitali.142 L’OCSE fu creata nel 1961 e contestualmente i paesi membri aderirono a un Codice di liberalizUn’analisi dell’accordo di partenariato economizazione dei movimenti di capitale.147 Il codice non co tra l’Unione europea e gli stati dei Caraibi del è un trattato e quindi non implica gli stessi tipi di CARIFORUM rivela che le parti “si impegnano a obblighi del Trattato di Lisbona, ma crea certanon imporre alcuna restrizione alla libera cirmente l’aspettativa che i paesi OCSE liberalizzino colazione dei capitali relativamente agli investitotalmente i movimenti dei capitali. Il codice non menti diretti e alla liquidazione e al rimpatrio di impone un’immediata liberalizzazione, ma la detti capitali e di ogni utile che ne derivi. Così, gli fissa come traguardo finale, tracciando un perAPE, come molti degli accordi di libero scambio corso che i paesi membri devono seguire. L’OCSE Nord-Sud, promuovono la massima apertura, afferma di applicare il codice attraverso la “presderegolamentazione e liberalizzazione dei flussi sione dei pari”.148 Alcuni flussi finanziari a breve 143 finanziari.” Partendo da questo esempio di termine erano comunque rimasti fuori dal codice politica commerciale europea, la ricercatrice fino al 1989, quando il governo francese smise di Myriam Vander Stichele conclude che “queste opporsi alla liberalizzazione generalizzata e la si norme impediscono ai paesi di avere la flessibiincluse nel codice, facendo sì che praticamente lità necessaria per evitare una crisi finanziaria tutti i flussi finanziari tra i paesi OCSE circolasseo per prendere provvedimenti durante una crisi ro liberamente.149 finanziaria.”144 35 È ora di un nuovo consenso Per i paesi che li hanno sottoscritti, sarebbe difficile discostarsi dal Codice OCSE o dal Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona in particolare non consente all’UE di prendere in considerazione nuove norme concrete di stabilità finanziaria o regolamentazioni dei movimenti di capitali a favore di quei paesi europei e dei PVS che subiscono l’impatto di movimenti di capitali su larga scala. grandi vantaggi dalla speculazione e dalla volatilità generata da questa tendenza verso flussi finanziari volatili e incontrollati. È altresì vero che molti paesi beneficiano dei complessi meccanismi attraverso cui si muovono i flussi transfrontalieri. I regimi fiscali vantaggiosi di alcune giurisdizioni, come ad esempio alcune parti degli Stati Uniti e paesi come il Lussemburgo e i Paesi Bassi, prosperano grazie all’abolizione delle regole sui flussi finanziari internazionali. Gruppi di interesse politico All’indomani della crisi finanziaria del 2009, vi furono molte perplessità riguardo alle regole finanziarie vigenti negli Stati Uniti e nel Regno Unito e al loro utilizzo da parte degli organi di controllo. Difatti, gli organismi di sorveglianza del settore finanziario accoglievano ciecamente le tesi, i modelli e le preferenze dei soggetti controllati (regulatory capture).153 Analogamente, si è assistito anche al fallimento dell’operato di istituzioni internazionali responsabili di controllare l’applicazione della regolamentazione finanziaria. L’ufficio interno di valutazione del FMI affermò che il lavoro delle istituzioni nel periodo precedente alla crisi fu “ostacolato da un forte pensiero di gruppo, da una soggezione intellettuale e da un’attitudine mentale che non credeva nella possibilità di una crisi finanziaria nelle grandi economie avanzate, il tutto accompagnato da un’impostazione analitica inadeguata.”154 Cosa ha fatto sì che le istituzioni sopracitate adottassero queste politiche? Molti studiosi hanno analizzato queste politiche a livello internazionale e hanno riscontrato una tendenziale convergenza, influenzata dall’evoluzione della composizione, delle idee e dell’azione strategica del personale delle istituzioni di riferimento.150 Inoltre, l’effetto delle crisi nelle bilance dei pagamenti offre opportunità di grandi cambiamenti di politica che altrimenti potrebbero non aver avuto luogo. Per i potenziali beneficiari della liberalizzazione dei movimenti di capitali, queste crisi rappresentano l’opportunità di allearsi con leader politici che cercano soluzioni rapide, come ad esempio afflussi di investimenti per risanare un deficit di bilancio.151 Tuttavia, una volta intrapreso il percorso della deregolamentazione, è molto difficile tornare indietro. Gli ostacoli normativi descritti in precedenza servono a impedire il ritorno alle politiche di prima. Le loro origini sono simili e sono da ricercare nell’economia politica dei paesi più potenti. Sottrarre gli strumenti concreti di regolamentazione dalle mani dei decisori politici avvantaggia una serie di piccoli gruppi di interesse non rappresentativi nei paesi ricchi, oltre che alcuni gruppi di interesse nei paesi in via si sviluppo.152 Quindi, non c’è da sorprendersi se gli Stati Uniti e il Regno Unito guidarono il movimento globale per impedire ai decisori politici di usare questi strumenti concreti ed efficaci. Questi paesi sono le sedi dei maggiori centri finanziari, che esercitano una grande influenza sulla politica. Sia Wall Street che la City di Londra hanno ottenuto L’economista indiana Jayati Ghosh sostiene che un simile fenomeno di regulatory capture si ebbe rispetto ai flussi finanziari transnazionali. Descrive come le potenti istituzioni finanziarie degli Stati Uniti e del Regno Unito fossero costantemente alla ricerca di nuove opportunità di guadagno e, quando i mercati finanziari dei paesi sviluppati si ritrovarono con crescenti liquidità e minori rendimenti sul capitale, cercarono di espandersi nei mercati emergenti.155 Questa tendenza si diffuse tra i paesi ricchi nel corso degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Allo scoppio della crisi asiatica del 1997, i paesi che sarebbero entrati a far parte del Gruppo dei 20 erano praticamente tutti orientati verso una liberalizzazione dei movimenti di capitali e dei settori finanziari. Solo l’India e la Cina, i due paesi più grandi per popolazione, avevano mantenuto dei controlli importanti. E comunque persino l’India era coin- Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 36 volta in un programma di liberalizzazione che sembrava dovesse riallinearla con gli altri paesi che sarebbero entrati nel G20. o giurisdizioni che garantiscono la riservatezza. Ci si dovrà scontrare anche con vari gruppi di interesse, tra cui quello del settore finanziario, che esige la deregolamentazione per ottenere vantagOra, invece, orientamenti dei governi di vari gi individuali e che di solito non paga i costi delle paesi potrebbero spostare gli attuali equilibri. crisi finanziarie grazie ai “salvataggi” offerti dai L’Argentina, ad esempio, ha eseguito una totale suoi alleati al governo. I cittadini dei paesi ricchi inversione di rotta a seguito della crisi finanpotranno contrastare queste pressioni iniziando ziaria del 2001, lasciando da parte le sue rigide a chiedere con forza ai loro governi di smettere posizioni teoriche per assumere un atteggiamendi dare priorità agli interessi finanziari rispetto a to più pragmatico che le ha permesso di ritornaquelli della società. Le loro richieste di maggiore re a crescere e proseguire regolamentazione andranno a sulla strada della riduzione favore sia della loro economia Le potenti istituzioni finanziarie della povertà.156 La Corea del nazionale che di quella dei PVS. degli Stati Uniti e del Regno Seppure sussistano degli ostacoSud e il Brasile ebbero delle Unito sono costantemente alla li politici all’adozione di regole crisi di bilancio al passaggio concrete, i PVS non devono del millennio. Sulla base ricerca di nuove opportunità di attendere che si formino iniziadell’esperienza dell’ultima guadagno e, quando i mercati crisi finanziaria, quando nel tive coordinate su scala globale. finanziari dei paesi sviluppati si 2008 assistettero nuovamenritrovano con crescenti liquidità te a repentine interruzioni e inversioni di rotta degli e minori rendimenti sul capitale, afflussi di capitale, oggi adot- cercano di espandersi nei mercati tano con decisione criteri emergenti. più pragmatici, esprimendo scetticismo rispetto al dogma dell’intoccabilità dei flussi finanziari. Un simile scetticismo è stato anche espresso da altri grandi mercati emergenti e da molti PVS minori. Quando i decisori politici dei PVS mettono come priorità la stabilità e lo sviluppo del loro paese rispetto ai desideri degli investimenti mobili dall’estero, possono iniziare a collaborare per reintrodurre delle regole di buon senso. Vista la validità dell’evidenza empirica e intellettuale a sostegno di atteggiamenti cauti e pragmatici, il consenso di cui godono le istanze di liberalizzazione è minore di quanto si possa credere. Naturalmente, le politiche di regolamentazione dei flussi finanziari si scontreranno con una forte opposizione da parte degli interessi del settore finanziario. Si faranno avanti altri oppositori, come ad esempio i ceti abbienti dei PVS, che hanno sfruttato la tendenza a deregolamentare completamente i movimenti di capitali per spostare il loro patrimonio verso paradisi fiscali 37 È ora di un nuovo consenso 6. L’approccio multilaterale o bilaterale Uno dei problemi più evidenti è che i flussi finanziari hanno ormai un livello di internazionalizzazione ed ubiquità tale (come descritto al Capitolo 2) che risulta difficile immaginare una transizione verso un sistema più regolamentato. Consapevoli degli enormi rischi legati all’apertura di un’economia e dei potenziali vantaggi che assicurerebbe la regolamentazione (Capitolo 2), quasi tutte le misure presentate al Capitolo 3 trovano un’applicazione unilaterale. Naturalmente, questi strumenti potrebbero avere un’efficacia limitata in alcuni paesi e il loro uso provocherebbe delle conseguenze sia per il paese interessato che per gli altri paesi integrati nel sistema finanziario internazionale. In questa sezione, si sostiene che un maggiore coordinamento a livello internazionale accompagnato dalla rimozione degli ostacoli discussi al Capitolo 5 aiuterebbe i PVS a far fronte ai flussi finanziari in modo più efficace. Iniziative unilaterali e conseguenze Le iniziative unilaterali sono state sacrificate per decenni al perseguimento dogmatico della liberalizzazione. La crisi finanziaria, invece, ha riportato in auge questi strumenti, il cui impiego comporta comunque delle conseguenze. Potrebbero infatti prodursi degli effetti interni indesiderati, come la riduzione del credito disponibile, mentre gli speculatori e altri investitori trasferirebbero semplicemente i loro investimenti su altri paesi, territori o settori. Innanzitutto, è importante riconoscere che quando si tratta di flussi internazionali di capitali non esiste una parità di condizioni tra le varie economie coinvolte. Infatti, mentre molti paesi a Foto Michael Daddino (licenza CC Share Alike, Flickr) reddito medio hanno vissuto per decenni periodi di abbondanza di capitali, per i paesi a basso reddito, invece, gli aumenti di afflussi di capitali privati sono un fenomeno abbastanza recente. Il grado di volatilità di questi afflussi non ha tenuto conto della dimensione di queste economie e, trascurando questo aspetto, ha generato delle crisi.157 I paesi a basso reddito e le economie meno grandi non hanno la stessa capacità di mettere in atto delle regolamentazioni dei movimenti di capitali. Ciò può essere dovuto a questioni di capacità amministrativa oppure alla struttura stessa del sistema finanziario nazionale. Per esempio, i paesi con un sistema bancario a partecipazione prevalentemente straniera avranno molte più difficoltà nell’introdurre e far rispettare provvedimenti prudenziali per gestire i rischi derivanti dalla mobilità dei flussi finanziari. In particolare, nelle piccole economie di molti PVS, alcuni dei provvedimenti più lievi e calibrati discussi al Capitolo 3 potrebbero facilmente venire schiacciati da volumi nominalmente contenuti di capitali provenienti dai paesi ricchi. La potenza di fuoco finanziaria dei ricchi investitori internazionali è infatti smisuratamente più grande delle contromisure a disposizione di molti paesi. L’attuazione di nuove misure di controllo dei movimenti di capitali potrebbe inoltre generare degli effetti collaterali indesiderati. Nei PVS dove Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 38 vigono controlli sugli afflussi di capitale, si è riscontrata infatti una minore disponibilità di credito per le attività più piccole158,, a cui comunque si può ovviare facendo ricorso ad altri strumenti a disposizione dei governi. Istituzioni finanziarie statali o finanziate dallo stato possono usare il loro bilancio per favorire la concessione di linee di credito ad alcune imprese facenti parti di settori specifici o aventi determinate dimensioni. Molti paesi sviluppati hanno già varato numerose politiche in materia di prestiti alle imprese minori come per esempio l’accordo del Project Merlin159 con gli istituti bancari del settore privato per il sostegno delle piccole imprese. Analogamente, istituzioni di sviluppo per il finanziamento del settore privato come la Società finanziaria internazionale della Banca mondiale (SFI) o la Banca europea per gli investimenti offrono prestiti alle banche nei PVS che successivamente potranno essere destinati a finanziare le piccole imprese. Non è stato accertato che l’effetto collaterale delle tecniche unilaterali di controllo dei capitali sia di spostare la totalità dei flussi finanziari su altri paesi. Nel caso degli strumenti basati sui prezzi, come le imposte introdotte in Brasile, alcuni flussi continueranno comunque ad affluire. Alcuni di essi diventeranno flussi a lungo termine o IDE piuttosto che flussi di portafoglio, oppure si trasformeranno in altri strumenti per potere aggirare i controlli. Un’altra fetta di questo volume di capitali resterà nel paese di origine e sarà dirottata su altri veicoli di investimento. Un’altra porzione, infine, sarà probabilmente fatta deviare su un paese terzo. Alcuni economisti potrebbero definirli effetti di ricaduta degli strumenti di controllo adoperati. Questa sarebbe una rappresentazione ingiusta, in quanto le misure di controllo dei movimenti finanziari nascono generalmente come risposta agli effetti di ricaduta delle politiche adottate nei paesi da cui provengono i flussi. Spesso, le politiche adottate nei paesi di origine dei flussi finanziari internazionali in un quadro di rallentamento economico in qualche modo stimolano la mobilità del capitale, attraverso per esempio bassi tassi di interesse o un alleggerimento quantitativo (che praticamente significa “creare 39 È ora di un nuovo consenso moneta”). Altri motivi di queste politiche potrebbero essere una volontà di portare avanti la deregolamentazione o altre modifiche nell’ambito delle politiche finanziarie. Anche questi iniziative sono prese in modo unilaterale e spesso senza considerare le possibili conseguenze a livello internazionale. Gli ultimi dati empirici forniti dal FMI rivelano che i potenziali effetti di ricaduta delle politiche di controllo dei flussi su paesi terzi sono limitati. Infatti, mentre in alcuni casi i flussi si espandono verso paesi confinanti, in altri casi essi diminuiscono.160 Nel settembre del 2011 è uscito il primo Consolidated spillover report del FMI (Relazione consolidata sugli spillover, ndt), che analizza gli effetti generati sulle altre economie da parte delle politiche di cinque importanti economie a livello planetario: gli Stati Uniti, la Cina, il Regno Unito, l’eurozona e il Giappone. Il documento riconosce che una stretta della politica monetaria statunitense (attraverso per esempio l’innalzamento dei tassi di interesse) “invertirebbe l’aumento degli afflussi di capitali e valuta verso i mercati emergenti” che, detto in altri termini, vuol dire che la disinvolta politica monetaria degli Stati Uniti ha contribuito a generare quei flussi monetari.161 Un’altra ricerca empirica del FMI rileva che “l’influenza della politica monetaria nelle più grandi economie avanzate sui tassi di interesse mondiale indica che queste economie possono avere notevoli effetti sui flussi di capitale [verso le economie di mercato emergenti].”162 Da questa dissertazione risultano esserci due possibilità per far fronte in modo più efficace alla volatilità e alla rischiosità dei flussi di capitali. Le misure unilaterali hanno certamente una loro funzione, ma presentano anche dei limiti. La prima opzione sarebbe allora di affrontare la volatilità e i rischi connessi ai flussi finanziari alla fonte. Una seconda opzione, invece, sarebbe di mettere in campo nei paesi di destinazione delle soluzioni coordinate, in modo da aumentarne l’efficacia. La via più efficace, in fin dei conti, potrebbe nascere da un’unione delle due opzioni, specialmente se si concertassero attraverso degli accordi sottoscritti da tutti i soggetti coinvolti. Politiche relative ai paesi d’origine Dato che i flussi hanno origine in poche giurisdizioni – si pensi che nel 2010 gli Stati Uniti, l’eurozona e il Regno Unito da soli generarono il 70% dei deflussi totali163– le politiche adottate in questi paesi meritano particolare attenzione. I politici dei principali PVS, tra cui i ministri delle finanze di Sudafrica, India e Brasile, hanno chiesto a gran voce che ci fosse una più ampia discussione sulle politiche adottate nei paesi di origine.164 Alla fine, il Consiglio esecutivo del FMI ha affrontato l’argomento nel novembre del 2011, ma sul tavolo vi era solo qualche debole tentativo di trovare una soluzione. Il FMI ha rilevato che le politiche macroeconomiche – soprattutto quelle monetarie – e la regolamentazione del settore finanziario nei paesi ricchi hanno delle ricadute importanti sui flussi di capitali verso i PVS. Si è inoltre evidenziato che non è solo la dimensione dei flussi ad esserne intaccata, ma anche la loro rischiosità. Eppure, dopo avere appreso i dati, il FMI, nel complesso, non ha proposto ai paesi ricchi di adottare provvedimenti importanti, limitandosi invece a un commento retorico: “Le autorità prudenziali nazionali dovrebbero tenere a mente i rischi connessi alle attività finanziarie transfrontaliere e le istituzioni nelle loro giurisdizioni dovrebbero prepararsi ad adottare delle misure per farvi fronte.”165 Tuttavia, il Consiglio esecutivo del FMI non ha preso l’iniziativa di chiedere ai paesi ricchi di valutare attivamente l’impatto delle loro scelte di politica monetaria sui PVS. E così, mentre il Consiglio esecutivo del FMI è stato concorde sull’utilità di una migliore regolamentazione finanziaria nei paesi ricchi, il FMI deve ancora proporre delle specifiche politiche di attenuazione dei rischi.166 Come trattato al Capitolo 4, gli strumenti di controllo dei movimenti finanziari possono riguardare sia i capitali in entrata che quelli in uscita. I paesi sviluppati, che rappresentano la fonte di questi flussi potrebbero per esempio applicare alcuni strumenti sui deflussi di capitale dalla propria giurisdizione. I professori Stephany Griffiths-Jones e Kevin Gallagher asseriscono che questi sarebbero addirittura benefici per l’econo- mia statunitense.167 Vi sono dei precedenti a questo riguardo, anche se in un contesto finanziario molto diverso da quello di oggi. Infatti, negli anni Sessanta, gli Stati Uniti introdussero un’imposta di perequazione degli interessi per cercare di arginare la fuga di capitali. La misura, adottata nel 1963, è stata in vigore per 11 anni ed ha tassato l’acquisto sia di debito che di partecipazioni avvenuto in guirisdizioni straniere168. Un’imposta sui deflussi non è comunque l’unica misura da applicare ai capitali in uscita: i paesi ricchi potrebbero anche istituire una specie di obbligo di deposito infruttifero, che costituirebbe un’imposta indiretta. Nell’ambito delle politiche di regolamentazione finanziaria, vi sono anche molte altre possibilità. Per esempio, si potrebbero mettere dei controlli sull’esposizione in valuta estera degli istituti finanziari, come cercò di fare la Corea del Sud adottando delle regole prudenziali. Dato che le istituzioni finanziarie con base negli Stati Uniti ma che operano su scala mondiale sono coinvolte in un modo o nell’altro in una grande percentuale dei flussi di capitali, l’introduzione di questo provvedimento negli Stati Uniti potrebbe generare grandi vantaggi per i PVS. Gli strumenti di regolamentazione finanziaria attualmente al vaglio nei paesi ricchi, come ad esempio gli indici di leva finanziaria o gli indici di liquidità, potrebbero anche essere modificati per disincentivare i deflussi a breve termine e premiare invece gli investimenti produttivi a lungo termine, capaci di generare sviluppo sostenibile. Questi provvedimenti dovrebbero essere improntati al contrasto dei flussi speculativi a breve termine e alla promozione di investimenti a lungo termine nei PVS che non posseggono grandi capitali. Dato che gli Stati Uniti e il Regno Unito, sedi dei centri finanziari più avanzati al mondo, ultimamente non hanno attuano provvedimenti sui movimenti di capitali in uscita, bisognerebbe impegnarsi ad elaborare e perfezionare le norme per evitare una facile evasione di queste. Ciò farà temere l’abbassamento della competitività di quello che, soprattutto in paesi quali il Regno Unito, è ormai un settore molto importante dell’economia nazionale in termini di proventi da esportazione. Queste preoccupazioni, provenienti da specifici Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 40 gruppi di interesse, si potranno superare grazie coordinamento delle politiche a livello regionale all’intervento di soggetti di quel paese che siano sembra un buon punto di partenza. motivati dall’interesse pubblico. Tutte le misure dovranno essere elaborate in Realizzando degli accordi regionali per il coordinamento di strumenti di controllo omologhi da collaborazione con i PVS per accertarsi che non usare sull’intera regione, si aumenterebbe anche causino problemi dovuti alla riduzione di investil’efficacia degli strumenti stessi. L’ulteriore vanmenti che invece sono necessari. Questo lavoro congiunto dovrebbe svolgersi all’interno di uno taggio di un quadro regionale è che spesso esistospazio di discussione che goda della fiducia di no già istituzioni che possono ospitare le tratentrambe le parti e che sia gestito in modo equo, tative per il coordinamento di queste politiche. democratico, trasparente e responsabile. La Un esempio tra tutti viene dall’Asia orientale, diminuzione dei movimenti di capitali privati dove l’Associazione dei Paesi del sud-est asiatico che potrebbe manifestarsi a seguito della rego(ASEAN) più il Giappone, la Corea e la Cina, che lamentazione dei flussi nei paesi di hanno dato vita a una formazione origine potrebbe essere compensachiamata ASEAN+3, ha preso dei È necessario avere un ta da interventi di finanza pubblica provvedimenti per migliorare la maggiore coordinamento cooperazione finanziaria a livello migliori per qualità ed erogazione. Oltre a rispettare i propri impegni regionale e globale sulle regionale 169. Il lavoro fatto ridi aiuto, i paesi ricchi potrebbero guardo l’istituzione di un fondo di politiche riguardanti sostenere l’espansione di reti nazioriserva regionale che isoli i paesi i flussi finanziari e il nali e regionali di banche di svilupmembri dalla crisi e la creazione po a partecipazione pubblica. Come controllo dei movimenti di un mercato obbligazionario reper i programmi di aiuto, anche gionale è il primo passo verso una di capitali molte di queste banche hanno bisoconcreta cooperazione finanziaria gno di riforme radicali dei loro asregionale. Lo spazio ASEAN+3 può setti di politica e di governance per anche essere usato per coordinare garantire che gli investimenti vadano davvero a norme comuni. soddisfare i bisogni delle fasce povere e vulnerabili rispettando altresì la sostenibilità ambientaQuesto esempio di azione concertata non è di le. Tuttavia, visti i guasti del mercato osservati al facile attuazione nell’ambito della politica fiCapitolo 2, è anche ragionevole pensare di ricornanziaria internazionale, come testimonia la rere alla finanza pubblica per riparare le falle tendenza a deregolamentare per attrarre inveche si potrebbero creare nel tentativo di gestire stimenti esteri.170 Capitalizzando la fiducia che meglio l’imprevedibilità della finanza privata. hanno guadagnato spazi quali l’ASEAN+3, si potrebbero cambiare radicalmente le condizioni in modo da consentire ai PVS di mettere in atto Bisogno di soluzioni coordinate degli strumenti concreti. In America latina, oltre Le politiche adottate sia nei paesi di origine mercato comune del Mercosur, si stanno creando che in quelli di destinazione dei flussi potrebuna serie di organi regionali, tra cui un accorbero produrre degli effetti non voluti non solo do di messa in comune di riserve ed una nuova a livello nazionale ma a volte anche di portata banca di sviluppo regionale. La realizzazione di internazionale. Diventa quindi necessario avere una cooperazione regionale attraverso questo un maggiore coordinamento regionale e globatipo di istituzioni potrebbe iniziare imparando le sulle politiche riguardanti i flussi finanziari e mettendo in comune le rispettive esperienze. e il controllo dei movimenti di capitali. Le crisi Ci vorrebbe tuttavia un approccio più ambizioso finanziarie precedenti insegnano che il contagio mirato ad evitare gli effetti di ricaduta (spillover) è spesso un fenomeno regionale. Analogamente, indesiderati e a consentire anche ai paesi più anche gli investitori istituzionali e gli speculatori piccoli, che potrebbero non avere abbastanza a volte operano sulla base di mandati di investiforza per agire da soli, di trarre vantaggio dalle mento di carattere regionale. Per questi motivi, il politiche di controllo dei movimenti di capitali. 41 È ora di un nuovo consenso Nell’ambito di questo assetto, ci potrebbe essere un organismo regionale per negoziare e concordare le misure da adottare in maniera congiunta, che ricalchi ad esempio le modalità di determinazione collettiva delle tariffe all’interno di un’unione doganale. Per quanto riguarda le imposte sui flussi in entrata, i gettiti provenienti da queste imposte potrebbero essere ripartiti sulla base delle formule usate dalle unioni doganali. Un altro aspetto da considerare è il coordinamento internazionale e interregionale, per il quale il FMI sembrerebbe lo spazio più logico; tuttavia, il Fondo non gode della fiducia di molti PVS che hanno avuto delle esperienze negative negli scorsi decenni. Una riforma della governance del FMI che comprenda anche le modalità di selezione dei suoi vertici aumenterebbe la fiducia e la possibilità di usarlo come luogo di coordinamento degli strumenti di controllo dei movimenti di capitali. Le esperienze degli scorsi cinque anni hanno rivelato una mancanza di volontà da parte dei paesi ricchi di rinunciare al controllo del governo del FMI, ma i continui sviluppi geopolitici a livello globale e le crisi finanziarie che stanno travolgendo l’Europa rendono più probabili riforme più rapide.171 Creazione di un sistema globale Bisogna prendere in considerazione la realizzazione di un accordo coordinato globale sulle tecniche per il controllo dei movimenti di capitali che comprenda anche i relativi regimi attuativi. Non è un obiettivo irrealizzabile, dato che questo sistema fu approvato a Bretton Woods nel 1944. Si deve giungere a un accordo soprattutto per garantire in modo più efficace l’applicazione degli strumenti di controllo attraverso la condivisione di informazioni e interventi congiunti sui trasgressori. Vi è una forte volontà di reprimere il riciclaggio di denaro e contrastare i finanziamenti al terrorismo, come testimoniano i programmi AML/CFT varati all’inizio del secolo. Tentativi simili dovrebbero riguardare i flussi finanziari che cercano di evadere le restrizioni normative in vigore nei paesi di origine e di destinazione. Si tratta infatti di veri e propri reati finanziari con concrete conseguenze sociali e dovrebbero essere trattati come tali. Un primo passo in questa battaglia contro l’evasione sarebbe un notevole miglioramento dei dati sui flussi finanziari. Attualmente, vi sono pochissimi dati comparabili sui flussi finanziari e i criteri di raccolta e condivisione delle informazioni sono pessimi. I paesi ricchi stanno già sperimentando la raccolta e lo scambio di dati per rintracciare le proprietà dei loro residenti allo scopo di imprimere un giro di vite all’evasione fiscale. La Direttiva EU sulla tassazione dei redditi da risparmio, per esempio, è la più vasta iniziativa multilaterale per condividere informazioni sui flussi finanziari, nella fattispecie depositi bancari.172 La disponibilità di dati in tempo reale sui flussi transfrontalieri di capitale per ridurre i rischi di volatilità merita di essere considerata una buona pratica da adottare in tutti i paesi. Un più ambizioso accordo su scala globale potrebbe potenziare le tecniche di controllo dei flussi dei paesi di origine e di quelli di destinazione e dar loro coerenza reciproca.173 Ciò richiede certamente ampi negoziati ed un’intesa a livello internazionale, ma va affrontato prima piuttosto che poi. I gruppi di interesse dei paesi ricchi che hanno tratto vantaggio dalla liberalizzazione osteggeranno con forza qualsiasi accordo del genere; ci sarà quindi bisogno della mobilitazione di soggetti orientati all’interesse pubblico quali la società civile e le ONG per sostenere una nuova intesa globale. Questo accordo potrà instaurarsi all’interno di un nuovo e più vasto assetto economico globale che affronti problemi quali la cattiva gestione dell’economia mondiale174, gli squilibri globali, l’asimmetria dei sistemi monetari internazionali e la persistente elusione ed evasione fiscale175. Vi sono molti argomenti a sostegno di questo nuovo sistema, incluso quello dei vantaggi per i cittadini d’Europa e di altri paesi ricchi, ma esso va letto soprattutto in chiave di sviluppo. Le politiche finanziarie nei paesi ricchi devono essere coerenti con gli obiettivi di sviluppo e devono dimostrare solidarietà con le popolazioni più povere e vulnerabili. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 42 7.Raccomandazioni e conclusioni Un atteggiamento pragmatico verso la politica macroeconomica e i flussi finanziari transfrontalieri porterebbe vantaggi sia ai PVS che ai paesi sviluppati, aumentando inoltre la stabilità. Questa pubblicazione ha mostrato quanto siano aumentati i volumi e la volatilità dei flussi di capitali e ha illustrato gli enormi rischi che essi rappresentano per i paesi, dove possono scatenare crisi finanziarie dalle gravi ripercussioni economiche e sociali. I movimenti di capitali possono essere controllati attraverso diversi strumenti già collaudati. I paesi hanno bisogno dello spazio politico per attuare queste misure, ma anche di assistenza per prevenire la loro evasione e calibrarle affinché siano idonee alle proprie esigenze e al perseguimento degli obiettivi nazionali di sviluppo. Esistono tuttavia difficoltà e ostacoli politici che non si annulleranno da soli, data la presenza di interessi costituiti. I cittadini devono pretendere l’intervento dei loro governi. Le organizzazioni della società civile e i movimenti sociali possono esercitare pressioni determinanti per ottenere un cambiamento politico. Bisogna che anche coloro che operano responsabilmente nel settore finanziario si organizzino per sostenere queste rivendicazioni. I politici, poi, devono rendersi conto che il loro futuro politico dipende dalla prevenzione delle crisi e devono agire di conseguenza. Nel breve periodo: 1. I gruppi della società civile devono riconoscere che riformare i controlli dei flussi finanziari internazionali e la struttura del sistema finanziario internazionale è importante per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e pretenderne il cambiamento. Il 43 È ora di un nuovo consenso Occupy London, foto Luca Manes cambiamento delle strategie non è un semplice esercizio tecnocratico ma ha rilevanza politica. Seppure il sistema attuale presenti grandi difetti, vi sono interessi particolaristici che ne traggono vantaggio e che sono capaci di esercitare forti pressioni per impedirne il cambiamento. Le riforme saranno possibili solo grazie alle pressioni provenienti dalla società. 2. I decisori delle politiche nei PVS non dovrebbero temere la regolamentazione dei movimenti di capitali e dovrebbero pensare in modo più propositivo non solo ai benefici ma anche ai costi dei vari tipi di flussi di denaro. Bisogna abbandonare il vecchio paradigma che prevede di fare qualsiasi cosa serva ad attirare capitali mobili dall’estero e adottare criteri più equilibrati e pragmatici. Ogni paese dovrebbe elaborare delle politiche macroeconomiche relative ai movimenti dei capitali consone ai bisogni interni, mantenendo la consapevolezza delle loro potenziali implicazioni a livello internazionale. 3. IL FMI deve accettare che la regolamentazione dei mercati dei capitali è sempre auspicabile. Una volta accolto questo principio e mostrato un orientamento più pragmatico, può lavorare con i paesi e aiutarli a definire le tecniche migliori per il raggiungimento degli obiettivi prefissati nelle loro politiche. Il Fondo non dovrebbe prevedere l’adozione di misure di controllo dei movimenti di capitali come ultima risorsa, dopo aver già preteso riduzioni di spesa o cambiamenti della politica monetaria. I bisogni interni dei PVS devono avere la precedenza sul bisogno di farvi defluire le ricadute delle politiche finanziarie dei paesi ricchi. Una vera riforma del FMI lo metterebbe in condizioni di operare sia con i paesi di origine che con quelli di destinazione dei flussi. 4. I decisori politici e le istituzioni internazionali interessate devono creare un sistema internazionale di analisi e condivisione dei dati che li aiuti a monitorare sia i nuovi strumenti di regolamentazione dei flussi finanziari che quelli già in essere. Questo sistema si potrebbe improntare al modello AML/CFT e dovrebbe funzionare in modo automatico e trasparente. Per far sì che i dati siano utili, bisognerà raccogliere maggiori informazioni sulla vera fonte, lo scopo e il beneficiario dei flussi, in modo anche da integrare le azioni di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale. Nel medio periodo: 5. I paesi ricchi e quelli in via di sviluppo devono coordinarsi per rimuovere gli ostacoli normativi generati da trattati di investimento e accordi di libero scambio. Ciò richiederà ai paesi firmatari la disponibilità a rinegoziare questi accordi per garantire a tutti i paesi la possibilità di adottare delle politiche prudenziali che li aiutino a conseguire i loro obiettivi di sviluppo e prevenire le crisi finanziarie. Si potranno stipulare nuovi accordi o rafforzare dei punti di quelli già esistenti per garantire la possibilità di adottare strumenti di controllo dei movimenti di capitali. Bisogna interrompere le richieste di liberalizzazione dei servizi finanziari in sede dei negoziati della OMC e decidere congiuntamente di ritirare le richieste di liberalizzazione dei servizi finanziari attualmente contenute anche nell’allegato sui servizi finanziari dell’Accordo GATS, in modo da permettere ai paesi di perseguire più liberamente delle politiche prudenziali. 6. I decisori politici dei PVS devono essere sollecitati, specialmente dai loro cittadini, a iniziare ad operare all’interno di sinergie regionali per coordinare le politiche di controllo dei movimenti di capitali. In America latina e in Asia, si sono già mossi i primi passi con i fondi di riserva regionali. Questo aspetto dovrebbe essere considerato un completamento naturale delle politiche del settore. 7. 7. I paesi ricchi devono avviare delle discussioni serie con i PVS, presso il FMI o altrove, su come i paesi di origine possano contribuire efficacemente alla stabilità dei flussi finanziari, migliorando le previsioni di sviluppo. I paesi di origine dei flussi devono rapidamente mettere in atto delle misure concordate. 8. I trattati in essere, come quello di Lisbona nell’Unione europea – che sembra già avere bisogno di una rinegoziazione – vanno modificati per eliminare i requisiti di liberalizzazione dei movimenti di capitali. Questo non vuol dire ripristinare da un giorno all’altro i controlli sui capitali; dovrebbe intendersi come una misura precauzionale in modo che, in caso di bisogno, i paesi possano avere a loro disposizione un ampio ventaglio di politiche prudenziali macroeconomiche. La precarietà dei sistemi finanziari ha messo in pericolo il benessere delle persone in tutto il mondo, specialmente negli ultimi cinque anni, con conseguenze drammatiche sulla popolazione povera ed emarginata. Dietro questi sistemi finanziari vi sono normative che istituzionalizzano la deregolamentazione della circolazione di denaro nel mondo, nonostante non sia stato provato che questa mobilità produca vantaggi per la popolazione mentre invece è stato ampiamente provato che aumenta i rischi di crisi. È quindi ora di un nuovo consenso, un consenso a favore di politiche pragmatiche che portino i flussi finanziari a vantaggio della popolazione, specialmente nei PVS. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni, è chiaro che, nonostante la presenza di ostacoli imponenti, arrivare a una finanza utile allo sviluppo non è al di fuori della nostra portata. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 44 8. Note 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 45 Chwieroth J, 2010, Capital ideas: the IMF and the rise of financial liberalization, Princeton University Press. Turner A, 2009, “How to tame global finance”, Prospect, No. 162, agosto 2009, http://www.prospectmagazine co.uk/2009/08/ how-to-tame-global-finance/. Tseng W e H Zebregs, 2002, “Foreign Direct Investment in China: Some Lessons for Other Countries”, Documento programmatico di discussione del FMI PDP/02/3,Fondo Monetario Internazionale, febbraio 2002, http://www.imf.org/external/ pubs/ft/pdp/2002/pdp03.pdf L’emendamento Exon–Florio (50 U.S.C. app 2170) è una legge varata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1988 secondo la quale il Presidente degli Stati Uniti deve valutare qualsiasi investimento che potrebbe coinvolgere la sicurezza nazionale. L’amministrazione USA ha un Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS) che effettua valutazioni e fa raccomandazioni. http://uscode.house.gov/uscode-cgi/fastweb.exe?getdo c+uscview+t49t50+3035+6++(50 U.S.C. app 2170) Si veda Cox, J, 2008-2009, « Regulation of Foreign Direct Investment after the Dubai Ports Controversy: Has the U.S. Government Finally Figured out How to Balance Foreign Threats to National Security without Alienating Foreign Companies», Journal of Corporate Law, vol. 34, No.293, disponibile all’indirizzo http://heinonline.org/HOL/LandingPage?collection=journ als&handle=hein.journals/jcorl34&div=9. Anderson C, «Iceland Gets Help to Recover From Historic Crisis», IMF Survey, 2 dicembre 2008, http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2008/int111908a.htm. Banca di Corea, «New Macro-Prudential Measures to Mitigate Volatility of Capital Flows», giugno 2010, http://www.bok.or.kr/ attach/eng/626/2010/07/1279098418045.pdf. FMI, 2009, Balance of Payments and International Investment Position Manual, 6th edition, Washington, Fondo Monetario Internazionale, http://www.imf.org/external/pubs/ft/bop/2007/ bopman6.htm. Si veda, ad esempio, Dell’Ariccia G et al, 2008, Reaping the Benefits of Financial Globalization, IMF Occasional Paper 264, Washington DC, Fondo Monetario Internazionale. Per un’altra breve panoramica dei problemi relativi a queste supposizioni si veda Eichengreen B et al, 1999, Liberalizing Capital Movements: Some Analytical Issues, Economic Issues 17, Washington DC: Fondo Monetario Internazionale, p. 3-6. La teoria dell’efficienza del mercato, formulata inizialmente da Eugene Fama, si riferiva ai mercati azionari e non agli investimenti transfrontalieri, anche se i principi restano gli stessi. Si veda Fama E, 1970, “Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work”, Journal of Finance, Volume 25, numero 2, maggio 1970, p 383-417. Una rassegna completa della letteratura è disponibile in Kose M et al, 2006, “Financial Globalization: A Reappraisal, Documento di lavoro FMI WP/06/189. Per un’altra valutazione incentrata sugli effetti della povertà, si veda Cobham A, 2001, “Capital Account Liberalisation and Poverty”, in Go with the Flows? Capital Account Liberalisation and Poverty, Bretton Woods Project, 5 aprile 2011, http://www.brettonwoodsproject. org/art-16038. Prasad E, K Rogoff, S Wei, M Kose, 2003, Effects of Financial Globalization on Developing Countries: Some Empirical Evidence, Fondo Monetario Internazionale, Documento occasionale 220, settembre 2003. Commissione per la crescita e lo sviluppo, 2008, The Growth Report: Strategies for Sustained Growth and Inclusive Development, Banca Mondiale, disponibile all’indirizzo: http://www. growthcommission.org È ora di un nuovo consenso 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. Braudel F, 1992, Civilization and Capitalism, 15th-18th Century: The perspective of the world, University of California Press, pp. 241-8. Obstfeld, M e A Taylor, 2004, Global Capital Markets. Integration, Crisis and Growth, Cambridge University Press. Obstfeld, M e A Taylor, 1998,“The Great Depression as a Watershed: International Capital Mobility over the Long Run”, in The Defining Moment: The Great Depression and the American Economy in the Twentieth Century, M Bordo, C Goldin e E White (eds), University of Chicago Press. Eichengreen B, 2008, Globalizing capital: a history of the international monetary system, Princeton University Press. Keynes JM, 1980, Collected Works, Vol. XXV, p. 149, citato in Helleiner E., 1994, States and the Reemergence of Global Finance, Ithaca: Cornell University Press. Reinhart C e K Rogoff, 2009, This Time is Different, Oxford: Princeton University Press. Triffin, R, 1960, Gold and the Dollar Crisis: The future of convertibility, Yale University Press. Eichengreen 2008, op cit. Odell, J, 1982, US International Monetary Policy: Markets, Power, and Ideas as Sources of Change, Princeton University Press. Eatwell J e L Taylor, 2000, Global Finance at Risk, Cambridge: Polity Press. Si veda: Chwieroth J, 2010, Capital ideas: the IMF and the rise of financial liberalization, Princeton University Press, p.141-142; Helleiner E, (1994). States and the reemergence of global finance: from Bretton Woods to the 1990s, Cornell University Press; e Dam K (1982), The Rules of the Game: Reform and Evolution in the International Monetary System. University of Chicago Press, 1982. Quiggin J, 2010, Zombie Economics: How Dead Ideas Still Walk among Us, Princeton University Press. Williamson J e M Mahar, 1998, “A Survey of Financial Liberalization”, Essays in International Finance, n. 211, Princeton University. FMI, 2011, Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows—Background Paper, IMF Policy Paper, 21 ottobre, p. 35, http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2011/102111.pdf. Stiglitz, J, 2010, “Contagion, Liberalization, and the Optimal Structure of Globalization”, Journal of Globalization and Development, vol. 1, no. 2, p 38. Grabel I, 2000, “Identifying Risks, Preventing Crisis: Lessons from the Asian Crisis”, Journal of Economic Issues, vol. 34, no. 2, giugno. Reinhart C e K Rogoff, 2009, This Time is Different, Oxford: Princeton University Press, p.157-8. Reinhart C e K Rogoff, 2009, op cit, p. 156. Eatwell J e L Taylor, 2000, Global Finance at Risk, Cambridge Polity Press, p. 54. Ostry, J, et al., 2010, Capital Inflows: The Role of Controls, IMF Staff Position Note 10/04, Fondo Monetario Internazionale, 19 febbraio 2010, Washington, DC. Reinhart C e K Rogoff , 2009, op cit, Pereznieto, P, 2010, Including Children in Policy Responses to Previous Economic Crises: The Case of Mexico’s 1995 Peso Crisis and Argentina’s 2002 Convertibility Crisis, Documento di lavoro di politica sociale ed economica UNICEF, dicembre, pp. 10, http://www.unicef.org/socialpolicy/files/Impact_of_Econ_ Shocks_Mexico_and_Argentina(3).pdf. Pereznieto, 2010, op cit, pp. 10 Lustig N, 2000, “Crises and the Poor: Socially Responsible Macroeconomics”, Economía, Vol. 1, No. 1, Fall, pp. 1-30. Lustig N, 2000, op cit, citazione da Lustig, Nora (ed.), 1995, 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. Coping with Austerity: Poverty and Inequality in Latin America, The Brookings Institution, Washington, D.C. Ravallion M e M Lokshin, 2007, Lasting Impacts of Development and Cultural Change, vol 56, no 1, pp. 27-56. Friedman J e J Levinsohn, 2002, “The Distributional Impact of Indonesia’s Financial Crisis on Household Welfare,” World Bank Economic Review, vol 16, no 3, pp. 397-424 Fiorio C e C Saget, 2010, “Reducing or aggravating inequality? Preliminary findings from the 2008 financial crisis”, Documento di lavoro dell’OIL n. 95, aprile, Organizzazione Internazionale del Lavoro, http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/--dgreports/---integration/documents/publication/wcms_145082. pdf. Calderón C e E L Yeyati, 2009, Zooming in: From Aggregate Volatility to Income Distribution, Documento di lavoro di ricerca sulle politiche 4895, Banca mondiale, aprile, http://www-wds. worldbank.org/external/default/WDSContentServer/IW3P/IB/20 09/04/06/000158349_20090406142645/Rendered/PDF/WPS4895. pdf. Atkinson AB e S Morelli, 2011, “Economic Crises and Inequality”, Documento di ricerca dei rapporti sullo sviluppo umano 2011/06, novembre, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, http://origin-hdr.undp.org/en/reports/global/hdr2011/ papers/HDRP_2011_06.pdf. Harper C e N Jones, 2011, “Impacts of Economic Crises on Child Well-being”, Development Policy Review, 2011, Vol 29, No 5, 5 agosto 2011, p.513. Duryea S e M Morales, 2011, “Effects of the Global Financial Crisis on Children’s School and Employment Outcomes in El Salvador”, Development Policy Review, vol 29, no 5, 5 agosto 2011, pp. 527-46. Harper C e al, 2011, “Children’s Well-being: Policy Lessons from Past and Present Economic Crises”, Development Policy Review, vol 29, no 5, 5 agosto 2011, pp. 621-41. Singh A e A Zammit, 2000, “International Capital Flows: Identifying the Gender Dimension”, World Development, 2000, vol 28, n. 7, pp 1249-1268. Sabarwal S, N Sinha, e M Buvinic, 2011, “How Do Women Weather Economic Shocks? What We Know”, Economic Premise n. 46, gennaio, Banca mondiale, http://siteresources.worldbank. org/INTPREMNET/Resources/EP46.pdf. Per una discussione sui canali di trasmissione della crisi finanziarie alle donne si veda Antonopoulos R, 2009, “The Current Economic and Financial Crisis: A Gender Perspective”, Documento di lavoro n. 562, The Levy Economics Institute of Bard College, maggio, http://www.levyinstitute.org/pubs/wp_562.pdf. Knowles J, E Pernia e M Racelis, 1999, “Social Consequences of the Financial Crisis in Asia”, Banca di Sviluppo Asiatico, Documento dello staff economico n. 60, novembre, http://www.adb. org/Documents/EDRC/Staff_Papers/ESP060.pdf. Das M e S Mohapatra, 2003, “Income inequality: the aftermath of stock market liberalization in emerging markets”, Journal of Empirical Finance, vol 10, no 1-2, febbraio 2003, pp 217-248 Ang JB, 2010, “Finance and Inequality: The Case of India”, Southern Economic Journal, vol. 76, no. 3, gennaio, pp. 738-761. Jayadev A, 2003, “Capital account openness and the labour share of income”, Cambridge Journal of Economics, vol 31, no 3, pp 423-443. Il ‘male olandese’ è descritto in Corden, W M e J. Neary, 1982, “Booming Sector and De-Industrialization in a Small Open Economy,” Economic Journal, vol 92, dicembre 1982, pp. 825-848. Magud N e S Sosal, 2010, “When and Why Worry About Real Exchange Rate Appreciation? The Missing Link between Dutch Disease and Growth”, IMF Working Paper WP/10/271, Fondo Monetario Internazionale, dicembre 2010, http://www.imf.org/ external/pubs/ft/wp/2010/wp10271.pdf. Frenkel, R, 2011, “Presentation by Roberto Frenkel at the joint 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. Brazilian Ministry of Finance and International Monetary Fund (IMF) High Level Conference on Managing Capital Flows in Emerging Markets”, Rio de Janeiro, Brasile, 26-27 maggio 2011, http://www.imf.org/external/np/seminars/eng/2011/rio/ pdf/rf.pdf. Kar D e K Curcio, 2011, Illicit Financial Flows from Developing Countries: 2000-2009, Global Financial Integrity, gennaio 2011, http://www.gfip.org/storage/gfip/documents/reports/IFF2010/ gfi_iff_update_report-web.pdf. Baker R, 2004, Capitalism’s Achilles Heel: Dirty Money and How to Renew the Free-Market System, Wiley. Trades Union Congress, 2008, The Missing Billions: The UK Tax Gap, 29 febbraio 2008, http://www.tuc.org.uk/touchstone/Missi ngbillions/1missingbillions.pdf. Williamson, J, “Whether And When To Liberalize Capital Account And Financial Services”, Organizzazione Mondiale del Commercio, Staff Working Paper ERAD-99-03, Settembre 1999, http://www.wto.org/english/res_e/reser_e/erad-99-03.doc. Meinzer M, 2010, Automatic Tax Information Exchange, Tax Justice Briefing, Tax Justice Network, settembre 2010, http:// www.taxjustice.net/cms/upload/pdf/AIE_100926_TJN-Briefing-2. pdf. Si veda, per esempio, Banca Mondiale, 1985, World Development Report 1985: International Capital and Economic Development, New York: Oxford University Press, http://www-wds. worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB /2000/12/13/000178830_98101911111997/Rendered/PDF/multi_page.pdf. OCSE, 2002, Foreign Direct Investment for Development: Maximising Benefits, Minimising Costs, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, http://www.oecd.org/ dataoecd/47/51/1959815.pdf. Si veda Rodrik D, 1999, The New Global Economy and Developing Countries: Making Openness Work. Overseas Development Council; and Rodrik D, 2007, One Economics, Many Recipes: Globalization, Institutions, and Economic Growth, Princeton University Press. Woodward D, 2003, Financial Effects Of Foreign Direct Investment In The Context Of A Possible WTO Agreement On Investment, TWN Trade & Development Series 21, Third World Network. Kumar N, 2002, Globalization and the Quality of Foreign Direct Investment, New Delhi: Oxford University Press. Lall S, 1995, “Industrial strategy and policies on foreign direct investment in East Asia”, Transnational Corporations, Vol 4, No 3, dicembre, http://www.unctad.org/en/docs/iteiitv4n3a2_ en.pdf. Per una discussione sul fallimento del FMI che ha generato un maggior desiderio di assicurarsi autonomamente, si veda: Kapur D et R Webb, 2007, “Beyond the IMF”, G-24 Discussion Paper Series No. 43, febbraio 2007, http://www.g24.org/pbno1. pdf Ostry, J, et al., 2010, Capital Inflows: The Role of Controls, IMF Staff Position Note 10/04, Fondo Monetario Internazionale, 19 febbraio 2010, Washington, DC. Habermeier, K, A Kokenyne e C Baba, 2011, The Effectiveness of Capital Controls and Prudential Policies in Managing Large Inflows, IMF Staff Discussion Note 11/14, agosto 2011, http:// www.imf.org/external/pubs/ft/sdn/2011/sdn1114.pdf Il testo completo della legge è disponibile all’indirizzo: http:// uscode.house.gov/uscode-cgi/fastweb.exe?getdoc+uscview+t4 9t50+3035+6++(50 U.S.C. app 2170) Si consulti il sito CFIUS http://www.treasury.gov/resourcecenter/international/Pages/Committee-on-Foreign-Investmentin-US.aspx He W e M Lyles, 2008, “China’s outward foreign direct investment”, Business Horizons, vol 51, pp 485-91. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 46 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 47 Il testo completo della legge e successive modifiche è disponibile su: http://www.comlaw.gov.au/Details/C2010C00074. Scott J, 2009, “China Non-Ferrous Barred From Taking Control of Lynas”, Bloomberg, 24 septembre 2009, accesso il 21 novembre 2011 al sito: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=ne wsarchive&sid=aqHyQn1kkeOo. Amsden A, 1992, Asia’s next giant: South Korea and late industrialization, Oxford University Press. Wade, R, 1990, Governing the market: economic theory and the role of government in East Asian industrialization, Princeton University Press. Chang HJ, 2004, “Regulation of Foreign Investment in Historical Perspective”, The European Journal of Development Research, vol.16, no.3, autunno 2004, pp.687-715. Una più approfondita descrizione dei diversi tipi di provvedimenti è disponibile in Ariyoshi A, et al, 2000, Capital Controls: Country Experiences with Their Use and Liberalization, Documento occasionale FMI 190, Fondo Monetario Internazionale, 17 maggio 2000, http://www.imf.org/external/pubs/ft/op/op190/ index.htm. Per alcuni esempi delle molte illustrazioni di questi costi, si veda: Bakker A, 1996, The liberalization of capital movements in Europe, Kluwer Academic Publishers; o Guitian M, 1997, “Capital account liberalization: Bringing policy into line with reality”, in Capital Controls, Exchange Rates, and Monetary Policy in the World Economy, S Edwards (ed), Cambridge University Press. Si vedano gli studi di caso in: Kiguel M, J S Lizondo e S O’Connell (eds.), 1997, Parallel Exchange Rates in Developing Countries, Macmillan Press. Habermeier K, A Kokenyne, e C Baba, 2011, The Effectiveness of Capital Controls and Prudential Policies in Managing Large Inflows, Nota di riflessione interna del FMI, SDN/11/14, Fondo Monetario Internazionale, 5 agosto 2011. Per una descrizione più completa del regime cinese di regolamentazione dei movimenti di capitali si veda: Yu Y, 2009, The Management of Cross-Border Capital Flows and Macroeconomic Stability in China, TWN Global Economy Series 14, Third World Network, http://www.twnside.org.sg/title2/ge/ge14.pdf. Ma G e R McCauley, 2008, “Efficacy Of China’s Capital Controls: Evidence From Price And Flow Data”, Pacific Economic Review, vol. 13, No. 1, pp 104 - 23. Per una breve panoramica del regime indiano di regolamentazione dei movimenti di capitali si veda Prasad E, 2008. “Some New Perspectives on India’s Approach to Capital Account Liberalization,” Brookings Papers on Economic Activity, Economic Studies Program, The Brookings Institution, vol. 5(1), pp 125-178; per maggiori approfondimenti, si veda il discorso del vice governatore della Banca Centrale indiana: Thorat, U, 2010, «Indian perspective on banking regulation», ”, Discorso del vice governatore, Reserve Bank of India, febbraio 8, 2010, Mumbai http://www.rbi.org.in/scripts/BS_SpeechesView.aspx?id=482. Hutchinson M et al, 2010, “Indian Capital Control Liberalization: Evidence from NDF Markets”, MPRA Paper No. 21771, 30 marzo 2010, http://mpra.ub.uni-muenchen.de/21771/1/MPRA_ paper_21771.pdf. Buigut S e V Rao, 2011, ““International Financial Integration of the Indian Money Market”, International Journal of Economics and Finance, Vol. 3, No. 4, settembre 2011, pp 170-80. Reddy YV, 2010, India and the Global Financial Crisis: Managing Money and Finance, Anthem Press, p. 280. Per una discussione sull’argomento, si veda Chinn e Ito, 2008, “A New Measure of Financial Openness”, Journal of Comparative Policy Analysis, Volume 10, Issue 3, settembre 2008, p. 309 - 322. . Prr alcuni indici, si veda Quinn, Dennis, 1997, “The correlates of change in international financial regulation,” American Political Science Review, vol 91, no 3, pp 531-551; e È ora di un nuovo consenso 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. Schindler, Martin, 2009, “Measuring Financial Integration: A New Data Set,” IMF Staff Papers, Vol. 56, No. 1, pp. 222–38. Kaplan E e D Rodrik, 2002 “Did the Malaysian Capital Controls Work?”, in Preventing Currency Crises in Emerging Markets, S Edwards e J Frankel (eds), University of Chicago Press. Magud N e C Reinhart, “Capital Controls: An Evaluation”, Working Paper 11973, National Bureau of Economic Research, http://www.nber.org/papers/w11973. Kaplan E e D Rodrik, 2002, op cit. Independent Evaluation Office, 2005, The IMF’s Approach to Capital Account Liberalization, Fondo Monetario Internazionale, http://www.ieo-imf.org/ieo/files/completedevaluations/0420 2005report.pdf. Sedlabanki Islands, 2008, “Temporary modifications in currency outflow”, 10 ottobre 2008, http://www.sedlabanki.is/ lisalib/getfile.aspx?itemid=6493. FMI, 2008, “Iceland: Request for Stand-By Arrangement”, IMF Staff Report, 25 novembre 2008, http://www.imf.org/external/ pubs/ft/scr/2008/cr08362.pdf. FMI, 2011, “Iceland’s Unorthodox Policies Suggest Alternative Way Out of Crisis”, studio FMI, 3 novembre, http://www.imf. org/external/pubs/ft/survey/so/2011/CAR110311A.htm. Per un più ampio studio delle regole sui movimenti di capitale in Argentina, si veda O’Farrell, J, 2011, Breaking the Mould: How Latin America is coping with volatile capital flows, Bretton Woods Project e Latindadd, dicembre 2011, http://www.brettonwoodsproject.org/breakingthemould. Si veda ad esempio, De Gregorio, J., S Edwards e R. Valds, 2000, “Controls on Capital Inflows: Do They Work?,” Journal of Development Economics, Vol. 3 No. 1, pp. 59-83. Le Fort e Lehmann, 2003, “The unremunerated reserve requirement and net capital flows: Chile in the 1990s”, CEPAL Review, vol. 81, pp. 33-64, http://www.eclac.cl/publicaciones/ xml/4/20704/lcg2216iLeFortLehmann.pdf. Si vedano i riferimenti per questi paesi in Habermeier K, A Kokenyne, et C Baba, 2011, The Effectiveness of Capital Controls and Prudential Policies in Managing Large Inflows, IMF Staff Discussion Note, SDN/11/14, Fondo Monetario internazionale, 5 agosto 2011. Palley T, 2005, “Chile’s Unremunerated Reserve Requirement: Capital Controls as a Screening Tool”, Investigación Económica, vol LXIV, no 251, febbraio/marzo, pp. 32-52, http://www. thomaspalley.com/docs/articles/international_markets/chilean_reserve.pdf. Magnud N, C Reinhart e K Rogoff, 2011, “Capital Controls: Myth And Reality - A Portfolio Balance Approach”, NBER Working Paper 16805, Febbraio, http://www.nber.org/papers/w16805. Gottschalk, R, 2000, Sequencing Trade and Capital Account Liberalisation: The Experience of Brazil in the 1990s, Occasional Paper, UNCTAD/UNDP, UNCTAD/EDM/Misc. 132, settembre, http://www.unctad.org/en/docs/poedmm132.en.pdf. Abeles, M. e Borzel, M., 2010, El Regimen bajo presión: los esquemas de metas de inflación en Brasil, Chile, Colombia y Perú durante el boom de los precios internacionales de las materias primas, Documento de Trabajo Nº 31, settembre, CEFID-AR, http://www.cefid-ar.org.ar/documentos/DTN31_2010.pdf. Arbache, J., 2010, Comments on Capital Control, Carnegie Endowment for International Peace, Maggio 4, 2010, Washington, DC..; e Abeles, M. e Borzel, M., 2010, El Regimen bajo presión: los esquemas de metas de inflación en Brasil, Chile, Colombia y Perú durante el boom de los precios internacionales de las materias primas, Documento di lavoro Nº 31, settembre 2010, CEFID-AR. Gallagher, K., 2011, Regaining Control? Capital Controls and the Global Financial Crisis, Working paper series 250, Political Economy Research Institute, http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_201-250/WP250.pdf. Gallagher K, 2011, op cit. 109. FMI, 2010, “IMF Executive Board Concludes 2010 Article IV 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. Consultation with Brazil”, Public Information Notice (PIN) No. 10/111, 5 agosto 2010, Fondo Monetario Internazionale, http:// www.imf.org/external/np/sec/pn/2010/pn10111.htm Levy-Yeyati, E. e A Kiguel, 2009, Quantifying the effect of a Tobin tax: The case of the Brazilian IOF, Emerging Markets Research, Barclays Capital, November 19, 2009. Amante A, M Araujo e S Jeanneau, 2007, “The search for liquidity in the Brazilian domestic government bond market”, BIS Quarterly Review, giugno, pp. 69-82. Leahy J, 2011, “Brazil fights rearguard action in currency war”, Financial Times, 26 settembre 2011, http://www. ft.com/cms/s/0/70dac96c-e85e-11e0-8f05-00144feab49a. html#axzz1fcJPWFus. Ostry e al., 2011, Managing capital inflows: What tools to use?, IMF Staff Discussion Note, SDN/11/06, Fondo Monetario Internazionale, 5 aprile 2011. Ostry et al, 2010, Capital Inflows: The Role of Controls, IMF Staff Position Note 10/04, Fondo Monetario Internazionale, 19 febbraio 2010, Washington, DC. Comitato sul sistema finanziario globale, 2009, “Capital flows and emerging market economies”, Documenti del Comitato sul sistema finanziario globale n. 33, Banca dei Regolamenti Internazionali, gennaio, http://www.bis.org/publ/cgfs33.pdf. I calcoli dell’autore si basano su dati forniti da XE, http://www. xe.com/currencycharts/?from=USD&to=KRW&view=5Y. Dodd R, 2009, “Exotic Derivatives Losses in Emerging Markets: Questions of Suitability, Concerns for Stability”, luglio, http:// financialpolicy.org/kiko.pdf; Kim IJ e Y Rhee, 2009, “Global Financial Crisis and the Korean Economy”, Seoul Journal of Economics, Vol. 22, No. 2., http://s-space.snu.ac.kr/bitstream/10371/67699/1/sje_22_2_145.pdf Banca di Corea, 2010, “New Macro-Prudential Measures to Mitigate Volatility of Capital Flows”, giugno, http://www.bok.or.kr/ attach/eng/626/2010/07/1279098418045.pdf. Gallagher, K., 2011, Regaining Control? Capital Controls and the Global Financial Crisis, Working paper series 250, Political Economy Research Institute, http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_201-250/WP250.pdf. Chwieroth J, 2010, Capital ideas: the IMF and the rise of financial liberalization, Princeton University Press, p.141-142 C’è disaccordo su quale gruppo avesse guidato questo tentativo. Chwieroth ritiene che fossero stati principalmente gli Stati Uniti ed i funzionari del FMI, mentre Abdelal sostiene che i più decisi fossero i vertici del Fondo e soprattutto il suo amministratore delegato, di nazionalità francese. Infine, durante le loro conversazioni con l’autore di questo rapporto ex funzionari del Tesoro britannico hanno affermato di essere stati loro dietro questa manovra. Per ulteriori dettagli, si veda Chwieroth J, 2010, op cit; Abdelal R, 2007, Capital Rules: the construction of global finance, Harvard University Press. Independent Evaluation Office, 2005, The IMF’s Approach to Capital Account Liberalization, Washington: Fondo Monetario Internazionale. FMI Articles of Agreement, Art IV, Sec 1 (ii), http://www.imf. org/external/pubs/ft/aa/index.htm. Accordo istitutivo del Fondo Monetario Internazionale, Art VI, Sec 1, http://www.imf.org/external/pubs/ft/aa/index.htm. Independent Evaluation Office (2005). The IMF’s Approach to Capital Account Liberalization, Washington: Fondo Monetario Internazionale, p. 57. Per approfondimenti sulle politiche e le proposte del FMI, si vedano gli articoli del Bretton Woods Project: “IMF nostalgia: debate on capital account liberalisation all over again?”, Bretton Woods Update No. 74, 17 febbraio 2011, http://www.brettonwoodsproject.org/art-567523; “The long road to nowhere? Disputes on the global financial architecture”, Bretton Woods 127. 128. 129. 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. Update No. 75, 5 aprile 2011, http://www.brettonwoodsproject. org/art-567922; “Brazil, India spurn IMF capital controls framework”, Bretton Woods Update No. 76, 13 giugno, 2011, http:// www.brettonwoodsproject.org/art-568564. Gallagher K, S Griffiths-Jones e J A Ocampo, 2011, “Capital Account Regulations for Stability and Development: A New Approach”, Issues in Brief No. 22, Novembre, The Frederick S Pardee Center for the Study of the Longer-Range Future, Boston University, http://policydialogue.org/files/publications/ Gallagher_Griffith-Jones_Ocampo_2011_Issues_in_Brief_No_22. pdf. UNCTAD, 2004, International Investment Agreements: Key Issues, Vol I, UNCTAD/ITE/IIT/2004/10, p 266, http://www.unctad. org/Templates/Download.asp?docid=5724&lang=1&intItem ID=2322. Raghavan C, 2002, “GATS may result in irreversible capital account liberalization”, Third World Economics, No. 275, 15-28 février, http://www.twnside.org.sg/title/twe275d.htm. Vander Stichele M, 2004, Critical Issues in the Financial Industry, Update 04/2005, Chapitre 6, SOMO, http://somo.nl/publications-en/Publication_415/at_download/fullfile. Tucker T e L Wallach, 2009, “No Meaningful Safeguards for Prudential Measures in World Trade Organization’s Financial Service Deregulation Agreements”, Public Citizen, Settembre, p. 8. Gallagher K, 2010, “Policy Space to Prevent and Mitigate Financial Crises in Trade and Investment Agreements”, G-24 Discussion Paper Series No. 58, maggio, Nazioni Unite, http:// www.g24.org/Publications/Dpseries/dps58.html. Mehta P e N Nanda, 2007, “The future of Singapore issues”, in Developing countries and global trade negotiations, L Crump e SJ Maswood (eds), Taylor e Francis. Anderson S, 2009, Policy Handcuffs in the Financial Crisis, Institute for Policy Studies, http://www.ips-dc.org/reports/policy_handcuffs_in_the_financial_crisis. UNCTAD, 2011, World Investment Report 2011, Genève. UNCTAD, 2011, op cit. Gallagher K, 2010, “Policy Space to Prevent and Mitigate Financial Crises in Trade and Investment Agreements”, G-24 Discussion Paper Series No. 58, maggio 2010, Nazioni Unite, http://www.g24.org/Publications/Dpseries/dps58.html. Disponibile su http://www.ase.tufts.edu/gdae/policy_research/ CapCtrlsLetter.pdf Anderson S, 2009, Policy Handcuffs in the Financial Crisis, Institute for Policy Studies, http://www.ips-dc.org/reports/policy_handcuffs_in_the_financial_crisis. Bungenberg M, “Going Global? The EU Common Commercial Policy After Lisbon”, European Yearbook of International Economic Law, 2010, Volume 1, Part 1, pp. 123-151. Maes M, 2011, “While the EU member states insist on the status quo, the European Parliament calls for a reformed European investment policy”, Investment Treaty News, International Institute for Sustainable Development, http://www.iisd.org/ itn/2011/07/01/while-the-eu-member-states-insist-on-the-statusquo-the-european-parliament-calls-for-a-reformed-europeaninvestment-policy/. ActionAid, Christian Aid e Oxfam, 2008, “The EU’s approach to Free Trade Agreements: Investment”, EU FTA Manual: Briefing 1, febbraio, http://www.actionaid.org.uk/doc_lib/fta_briefings. pdf. Third World Network, 2009, “EU EPAs: Economic and Social Development Implications - the case of the CARIFORUM-EC Economic Partnership Agreement”, febbraio, http://www.twnside. org.sg/title2/par/CARIFORUM.Feb09.doc. Vander Stichele M, 2008, “The facilitating framework for free investment and capital”, The Cornerhouse briefing paper, http://www.tni.org/archives/archives/stichele/facilitatingframework.pdf. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo 48 145. Consiglio dell’Unione Europea, 2008, “Consolidated versions of 146. 147. 148. 149. 150. 151. 152. 153. 154. 155. 156. 157. 158. 159. 160. 161. 162. 49 the Treaty on European Union and the Treaty on the functioning of the European Union”, Document 6655/08, 15 avril 2008, http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/08/st06/st06655. en08.pdf. Chaffin J e K Hope, “Greeks’ worst fear is run on banks”, Financial Times, 2 novembre 2011. OCSE, 2002, Forty Years’ Experience with the OECD Code of Liberalisation of Capital Movements, http://www.oecd.org/ dataoecd/7/16/44784048.pdf Sito OCSE, http://www.oecd.org/daf/investment/codes, accesso del 29 novembre 2011. Abdelal R, 2007, Capital Rules: the construction of global finance, Harvard University Press, p. 11. Chwieroth J, 2010, Capital ideas: the IMF and the rise of financial liberalization, Princeton University Press. Numerosi studi di caso su questo fenomeno si possono trovare in Haggard S e S Maxfield, 1995, “The political economy of financial internationalization in the developing world”, dicembre 1995, p 35-68 ; e Martinez-Diaz L, 2009, International Organization, vol. 50, dicembre, pp 35-68; and Martinez-Diaz L, 2009, Globalizing in Hard Times: The Politics of Banking-Sector Opening in the Emerging World, Cornell University Press. Per una discussione sulle basi teoriche di questo ragionamento si veda Frieden J e R Rogaowski, 1996, “The impact of the international economy of national policies: An analytical overview”, in Internationalization and Domestic Politics, R Keohane e H Milner (eds), New York: Cambridge University Press, pp. 25-47. Per un’analisi del fenomeno di regulatory capture negli Stati Uniti si veda Canova T, 2009, “Financial Market Failure as a Crisis in the Rule of Law: From Market Fundamentalism to a New Keynesian Regulatory Model” Harvard Law & Policy Review Vol. 3. Independent Evaluation Office, 2011, IMF performance in the run up to the financial and economic crisis, Fondo Monetario Internazionale, http://www.ieo-imf.org/ieo/pages/IEOPreview. aspx?img=i6nZpr3iSlU%3d&mappingid=dRx2VaDG7EY%3d. Ghosh J, 2005, “The Economic and Social Effects of Financial Liberalization: A Primer for Developing Countries”, DESA Working Paper No. 4, ST/ESA/2005/DWP/4, Naciones Unidas, ottobre. Per una più approfondita discussione sulla regolamentazione dei movimenti di capitali in Argentina, si veda O’Farrell, J, 2011, Breaking the Mould: How Latin America is coping with volatile capital flows, Bretton Woods Project and Latindadd, décembre, http://www.brettonwoodsproject.org/breakingthemould. Bhinda N e M Martin, 2009, Private Capital Flows to Low Income Countries: Dealing with Boom and Bust, Debt Relief International, novembre, http://www.fpc-cbp.org/files/en/open/ Publications/FPC%20CBP%20Series%20No%202.pdf. Si veda ad esempio Forbes K, 2007, “One cost of the Chilean capital controls: Increased financial constraints for smaller traded firms”, Journal of International Economics, Vol 71, N. 2, aprile 2007, pp 294-323. HM Treasury, “Project Merlin - Banks’ statement”, 9 febbraio 2011, http://www.hm-treasury.gov.uk/d/bank_agreement_090211.pdf. FMI, Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows, IMF Policy Paper, 13 ottobre 2011, http://www.imf.org/external/np/ pp/eng/2011/101311.pdf. FMI, Consolidated Spillover Report: Implications from the Analysis of the Systemic-5, 11 luglio 2011, http://www.imf.org/ external/pp/longres.aspx?id=4584. FMI, Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows, IMF Policy Paper, 13 ottobre 2011, p. 11, http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2011/101311.pdf. È ora di un nuovo consenso 163. FMI, Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows, IMF 164. 165. 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 174. 175. Policy Paper, 13 ottobre 2011, p. 7, http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2011/101311.pdf. Si veda Bretton Woods Project, “Global battle for control of money: IMF flounders amid economic warfare”, Bretton Woods Update, No. 73, 29 novembre 2010, http://www.brettonwoodsproject.org/capitalflows73; Bretton Woods Project 2011, “Brazil, India spurn IMF capital controls framework”, Bretton Woods Update, No. 76, 13 giugno 2011, http://www.brettonwoodsproject.org/capitalflows76. FMI, Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows, IMF Policy Paper, 13 ottobre 2011, p. 30, http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2011/101311.pdf. FMI, “IMF Executive Board Discusses the Multilateral Aspects of Policies Affecting Capital Flows”, Public Information Notice (PIN) No. 11/143, Fondo Monetario Internazionale, 29 novembre 2011, http://www.imf.org/external/np/sec/pn/2011/pn11143. htm. Griffiths-Jones S e K Gallagher, 2011, “Curbing Hot Flows to Protect the Real Economy”, Economic & Political Weekly, vol xlvI, no 3, 15 gennaio, http://www.ase.tufts.edu/gdae/Pubs/rp/ Griffith-Jones_GallagherEPWJan11.pdf. Congresso degli Stati Uniti, 1963, “The Interest Equalization Tax Act of 1963”, (H.R. 8000), disponibile sul sito http://www. archive.org/details/theinterestequal1064unit. Sohn I, 2006, “East Asia’s Counterweight Strategy: Asian Financial Cooperation and Evolving International Monetary Order”, G24, settembre, http://www.g24.org/Publications/ResearchPaps/ sohn0906.pdf. Si veda, ad esempio: Singh A et A Zammit, 2004, “Labour Standards and the ‘Race to the Bottom’: Rethinking Globalization and Workers’ Rights from Developmental and Solidaristic Perspectives”, Oxford Review of Economic Policy, vol 20, no 1, pp. 85-104; Mehmet O et A Tavakoli A, 2003, “Does Foreign Direct Investment Cause a Race to the Bottom?”, Journal of the Asia Pacific Economy, vol 8, no 2, giugno, pp. 133-156; e Dorsch, M, F McCann, e E McGuirk, 2011, “Foreign Investment, Regulation and Democracy: Another Race to the Bottom?”, 15 febbraio 2011, http://www.csae.ox.ac.uk/conferences/2011EDiA/papers/700-Dorsch.pdf. Bretton Woods Project, « Lettre ouverte sur la réforme institutionnelle du FMI par des organisations de la société civile européenne », 17 luglio 2006, http://www.brettonwoodsproject. org/art-539161 Tax Justice Network, Directive européenne sur la fiscalité de l’épargne, Tax Justice Briefing, Tax Justice Network, marzo 2008. http://www.taxjustice.net/cms/upload/pdf/European_ Union_Savings_Tax_Directive_March_08.pdf. Griffiths-Jones S e K Gallagher, “Curbing Hot Flows to Protect the Real Economy”, Economic & Political Weekly, vol xlvI, no 3, 15 janvier 2011, http://www.ase.tufts.edu/gdae/Pubs/rp/GriffithJones_GallagherEPWJan11.pdf. Wahl P, 2010, The Stress Test for Global Financial Governance, World Economy Ecology & Development, http://www2.weedonline.org/uploads/wahl_2010_global_governance.pdf. Merckaert J e C Nelh, L’économie Déboussolée, Comité Catholique contre la Faim et le Développement, 7 dicembre 2010, http://ccfd-terresolidaire.org/e_upload/pdf/ed_110110_bd.pdf.