- Campagna per la Riforma della Banca Mondiale

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È ora di un nuovo consenso
Regolamentare i flussi finanziari
per la stabilità e lo sviluppo
Editore: Bretton Woods Project
Autore: Peter Chowla
Assistenti di ricerca: Juan O’Farrell, Callum Ward, Henrike Allendorf
Traduzione di Irene Forcella
Grafica: Carlo Dojmi di Delupis
Stampato da Tipografia 5M
Dicembre 2011
Si ringraziano, in ordine sparso, le persone seguenti per i loro validi commenti su questo
rapporto: Stephen Spratt, Alex Cobham, Jesse Griffiths, Nuria Molina, Peter Wahl, Ondrej
Kopecny, Antonio Tricarico e Sarah Anderson. Altri errori od omissioni sono da attribuirsi
unicamente all’autore.
Questo rapporto è stato finanziato da: Unione europea, CS Mott Foundation,
Rockefeller Bros Fund ed un raggruppamento di ONG del Regno Unito. Il
rapporto non è da intendersi come espressione delle opinioni dei soggetti
finanziatori.
Avviso sui diritti d’autore: Questo testo potrà essere usato liberamente, a condizione di
citarne la fonte.
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Prefazione all’edizione italiana
Dopo la mastodontica crisi
finanziaria, e poi economica
e sociale, che ha portato dal
2008 l’economia mondiale
sull’orlo del collasso, si parla
molto di regolamentazione
finanziaria, anche se ad oggi
ben poco è cambiato nel
funzionamento speculativo
della finanza mondiale.
Diverse misure sono state proposte, da una
tassa sulle transazioni finanziarie a una pesante
ristrutturazione del sistema bancario, da una
revisione dei requisiti patrimoniali delle banche
alla regolamentazione del cosiddetto sistema
bancario ombra incentrato sulle cartolarizzazioni e sull’utilizzo dei prodotti derivati.
Tutte misure sensate, o quanto meno utili per
iniziare a ridimensionare i mercati finanziari
internazionali, oggi superiori di decine di volte al
valore dell’economia reale del Pianeta.
Ma ancora poco si discute, specialmente in Italia,
di misure che sarebbero molto più efficaci e
strutturali, quali ad esempio il controllo dei movimenti di capitali. Questa pubblicazione è una
delle poche in italiano a portare luce su questa
tematica cruciale in maniera didascalica e concreta.
Il controllo dei movimenti di capitali è intimamente collegato alla gestione dei sistema monetario internazionale, ed entrambe le questioni
ci riportano alla “madre di tutte le battaglie”.
La sbornia liberista e monetarista, infatti, iniziò
con la rottura del sistema di Bretton Woods nel
1971-73. Una data che forse segna l’inizio della
cosiddetta globalizzazione di stampo liberista,
ponendo fine al trentennio keynesiano, che ha
caratterizzato il periodo di crescita economica
più elevata nella storia moderna. All’inizio degli
anni ‘70 il presidente americano Richard Nixon
decise di porre fine al sistema monetario statico
che collegava tutte le monete al dollaro e quindi
alle riserve auree di Fort Knox. Non a caso dopo
la decisione unilaterale di far fluttuare le monete
di tutto il mondo e di non collegare più il dollaro
all’oro fu una tappa inevitabile per la liberalizzazione dei movimenti di capitali a livello internazionale, spesso sotto il diktat del Fondo monetario internazionale nel caso dei Paesi più poveri.
Il resto della storia della crescita dei mercati
finanziari internazionali e dell’ascesa del capitalismo finanziario, culminata poi nel crollo della
Lehman Brothers e nella crisi, la conosciamo.
Perciò è cruciale tornare a spiegare che cosa significa controllare i movimenti di capitali, come
questo può avvenire in pratica, quali sono le sue
implicazioni macroeconomiche e quali opzioni
esistono a livello nazionale, regionale e mondiale
per intraprendere questa strada, ponendo termi-
ne all’egemonia liberista e finanziaria. Finalmente anche il Fondo monetario internazionale ha
rotto il tabù iniziandone a parlare, e addirittura
consigliando questa misura nel caso della crisi
finanziaria che ha colpito l’Islanda nel 2009.
D’altronde la storia dà oggi ragione a chi, come la
Cina e l’India, negli ultimi decenni hanno continuato a controllare i movimenti di capitali in entrata ed uscita, diventando così le due locomotive
dell’economia mondiale. In ogni caso per uscire
dagli squilibri globali che oggi caratterizzano
l’economia mondiale è assolutamente necessario
tornare ad attuare misure di controllo dei capitali insieme ad altri correttivi.
Ma tornare a parlare di controllo dei movimenti
di capitali è quanto mai urgente anche nel contesto della grave crisi finanziaria che colpisce oggi
l’area euro. L’Unione Europea sin dalla sua nascita ha promosso la liberalizzazione dei movimenti
di capitali. Oggi capiamo quanto questa sia stata
una scelta sciagurata, specialmente se combinata
con la creazione di una moneta comune senza
una vera integrazione economica regionale.
Gli speculatori possono attaccare indisturbati
le economie dei paesi della periferia europea e
quelli del “centro”, Germania in primis, beneficiano della libertà di esportare il proprio surplus
finanziario in questi e altri paesi.
Va aggiunto che tornare a controllare i capitali
sarebbe utilissimo per ridurre l’evasione fiscale,
nonché sarebbe uno strumento di grande aiuto
qualora un paese debba ricorrere ad un default,
o quanto meno ad una ristrutturazione del suo
debito, evitando così un’ingente fuga di capitali
dei ceti più ricchi. Il governo italiano dovrebbe
in maniera previdente battersi quindi per un
ritorno al controllo dei movimenti dei capitali,
anche nel suo proprio interesse, vista la difficile
situazione di finanza pubblica in cui versa.
Lord Maynard Keynes, se fosse vivo, non crederebbe alla follia in cui ci siamo immersi fino al
collo. Per lui tutto o quasi poteva essere liberalizzato a livello mondiale, con le ovvie precauzioni,
ma non la finanza, perché questa era paragonabile ad una tigre, che una volta liberata, diventa
quasi impossibile da catturare. Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi. I più grandi specu-
latori ed attori finanziari non solo sono troppo
grandi per fallire o addirittura troppo grandi per
essere salvati dagli Stati, ma anche too big too
jail, troppo grandi per essere imbrigliati, come
aveva preconizzato Keynes. Tornare a controllare
i movimenti di capitali sarebbe l’unico modo per
addomesticare la tigre e riportare finalmente il
genio della finanza dentro la lampada. Converrebbe a tutti: ai governi oggi incapaci di arginare
la finanza globale, ai popoli che soffrono la crisi,
all’ambiente ed alla giustizia sociale devastati
dal profitto finanziario. Certo, non converrebbe a
quelli che ci hanno portato sull’orlo del fallimento e hanno beneficiato enormemente dalla follia
finanziaria degli ultimi decenni, ma di questo
non vale la pena preoccuparsi. Cambiare si può,
iniziando a controllare i capitali.
Antonio Tricarico
Roma, gennaio 2012
Sintesi
Negli ultimi secoli, il
mondo è oscillato tra
processi di globalizzazione
e “deglobalizzazione” del
sistema finanziario, con
risultati assai diversi.
A seguito del crollo finanziario del 2008, si è tornati
a discutere del ruolo dei flussi transfrontalieri di
capitale, che possono avere effetti positivi o potenzialmente disastrosi. I paesi che hanno risentito
maggiormente della crisi infatti sono stati quelli
che avevano adottato le politiche con maggiore
deregolamentazione e liberalizzazione dei flussi
di capitale in entrata. Questo documento spiega
gli svantaggi che le politiche di deregulation dei
movimenti transfrontalieri di capitale comportano
soprattutto per lo sviluppo e propone un’impostazione più pragmatica in materia di regolamentazione dei flussi finanziari attraverso la quale garantire stabilità e sviluppo.
A partire dal 2009, molte economie emergenti e in
via di sviluppo hanno aumentato il loro livello di
regolamentazione e controllo sui flussi finanziari
al fine di poter gestire le ondate improvvise di capitali provenienti dall’estero, in un momento in cui si
assisteva a un crescendo di flussi di capitali sempre
più volatili verso i paesi in via di sviluppo (PVS):
infatti, nel 2010, i movimenti di capitali toccarono
$1,095 trilioni, un valore secondo solo al record di
$1,65 trilioni raggiunto nel 2007.
L’esperienza ha provato che movimenti di denaro
così rapidi e su questa scala si stanno rivelando
sempre più problematici. I flussi di capitali comportano una serie di rischi, come quello legato alla
Wall Street Foto Carlo Dojmi
Attraverso un’analisi storica di lungo periodo, si
nota che l’attuale regime di relativa facilità e libertà di movimento del denaro attraverso le frontiere
senza regolamentazioni rappresenta l’eccezione
piuttosto che la norma. La liberalizzazione dei
flussi finanziari internazionali si dovrebbe considerare un intervento significativo e insolito, dato
che la finanza ha sempre avuto prevalentemente
una dimensione nazionale e regolamentata.
valuta, alla possibilità di fuga, alla fragilità, al contagio e alla limitazione della sovranità nazionale.
Nella letteratura economica, è ormai ampiamente
condiviso che ondate e interruzioni improvvise dei
flussi di capitali contribuiscono a generare crisi
finanziarie e bancarie. Queste crisi non fanno solo
notizia, ma hanno vaste ripercussioni negative sulla società. Le modalità di controllo dei flussi finanziari hanno delle ripercussioni su fattori quali la distribuzione della ricchezza, la povertà, il benessere
dei bambini, il progresso economico delle donne e
la disoccupazione. Questi effetti non si producono
solo in tempo di crisi, in quanto anche le congiunture favorevoli possono causare problemi di disuguaglianza e deindustrializzazione. Infine, la piena
liberalizzazione dei movimenti di capitali agevola
anche l’elusione e l’evasione fiscale.
Sul versante opposto, la storia economica mostra
che seppure i paesi che si sono sviluppati con successo lo abbiano fatto usando capitali provenienti
dall’estero, questi capitali non sono arrivati attraverso mercati di capitali totalmente liberalizzati.
In generale, gli investimenti più auspicabili sono
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
III
quelli di durata più lunga e con vantaggi o ricadute
positive supplementari. Un controllo dei movimenti di capitali migliore e più concreto contribuirebbe
anche alla riduzione degli squilibri macroeconomici su scala globale, in quanto ridurrebbe il bisogno
di riserve in valuta estera e renderebbe i paesi più
capaci di attuare le proprie politiche monetarie e
fiscali in maniera indipendente e gestire ingenti
flussi in entrata e in uscita.
I PVS stanno già provando ad esercitare una maggiore influenza sugli aumenti dei flussi di capitali
in entrata e vi è un ampio dibattito sull’efficacia
degli strumenti attualmente in uso. Sia chiaro che
nessuno strumento macroeconomico sarà mai
quello perfetto. Infatti, seppure una regolamentazione dei movimenti di capitali possa riuscire ad
allungare l’orizzonte temporale degli investimenti
previsti e a cambiare la composizione dei flussi finanziari in entrata, vi sono esperienze discordanti
sulla capacità di influire sui volumi dei flussi di capitali e sull’apprezzamento della valuta nazionale.
Cina e India, con i loro vasti controlli sui movimenti di capitali, vantano due dei modelli di politica
nazionale più efficaci e continuano ad annoverarsi
tra le economie in più rapida crescita. Nel mondo, diversi paesi hanno adottato con successo un
ventaglio di misure che va dalle limitazioni agli
investimenti diretti esteri alle restrizioni sui cambi,
passando per i controlli quantitativi sui capitali in
entrata e i controlli su quelli in uscita, le imposte
sugli afflussi di capitale, le regolamentazioni bancarie e i limiti all’emissione di derivati.
Nonostante i gravi rischi sociali legati alla mancanza di regolamentazione dei flussi finanziari, le
misure adottate a livello internazionale per gestire
i movimenti di capitali sono disorganiche e non
esiste un quadro di riferimento globale omnicomprensivo. La liberalizzazione diffusa dei mercati
dei capitali a cui si è assistito nell’ultimo trentennio è stata incoraggiata da numerose pressioni
internazionali provenienti da istituti quali il FMI,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio, accordi
bilaterali di commercio e di investimento, l’OCSE
e l’UE. Queste istituzioni ostacolano fortemente
l’applicazione più efficace di regolamentazioni
concrete dei mercati dei capitali; inoltre, soprattutto nei paesi ricchi, vi sono gruppi di interesse con
un rilevante peso politico che hanno convenienza
nel cercare di impedire l’introduzione di queste
regolamentazioni.
IV
È ora di un nuovo consenso
La maggior parte delle regolamentazioni sui movimenti dei capitali vengono applicate unilateralmente mentre in alcuni paesi, in particolare quelli
in via di sviluppo, l’efficacia di questi strumenti
è limitata. Eventuali effetti indesiderati interni
possono essere affrontati attraverso politiche e
investimenti pubblici mirati ad assicurare che
l’intermediazione e le istituzioni finanziarie del
paese soddisfino i bisogni dei meno abbienti e perseguano uno sviluppo sostenibile. Le ripercussioni
dell’applicazione di queste regolamentazioni su
paesi terzi appaiono modeste e si possono attenuare tramite un migliore coordinamento delle regolamentazioni a livello regionale.
Tuttavia, sarebbe ancora più efficace se fossero i
paesi ricchi ad adottare delle misure a riguardo, in
modo da contrastare all’origine i rischi derivanti
dai flussi di capitali. Questo significherebbe per
esempio attuare una migliore regolamentazione
finanziaria generale, anche se è bene concentrarsi sulle politiche specifiche riguardanti i flussi di
capitali nei paesi di origine. Un maggiore coordinamento a livello regionale e internazionale sulla
regolamentazione dei movimenti di capitali, e in
particolare sull’applicazione delle norme, aiuterebbe i PVS ad affrontare il tema dei flussi di capitale
in maniera più efficace. Infine, un più ambizioso
accordo su scala globale potrebbe potenziare le
tecniche di controllo dei flussi dei paesi di origine e di quelli di destinazione e dar loro coerenza
reciproca.
Un approccio più concreto alle politiche macroeconomiche e ai flussi finanziari transfrontalieri
porterebbe beneficio ai paesi sviluppati e a quelli
in via di sviluppo e aumenterebbe la stabilità. E’
ora di un nuovo consenso, un consenso a favore di
politiche pragmatiche che portino i flussi finanziari
a vantaggio della popolazione, specialmente nei
PVS. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni,
è chiaro che, nonostante la presenza di ostacoli
imponenti, arrivare a una finanza utile allo sviluppo non è al di fuori della nostra portata. Le
organizzazioni della società civile e i movimenti
sociali possono esercitare pressioni determinanti
per ottenere un cambiamento politico, ma la loro
azione deve essere integrata da una nuova filosofia
da parte dei protagonisti del mondo della finanza e
dei legislatori.
Nel breve periodo:
Nel medio periodo:
1. I gruppi della società civile devono
riconoscere che riformare i controlli
dei flussi finanziari internazionali e la
struttura del sistema finanziario internazionale è importante per raggiungere
gli obiettivi di sviluppo e pretendere il
cambiamento.
5. I paesi ricchi e quelli in via di sviluppo
2. I decisori delle politiche nei PVS non
dovrebbero temere la regolamentazione
dei movimenti di capitali e dovrebbero
pensare in modo più propositivo non
solo ai benefici ma anche ai costi dei
vari tipi di flussi di denaro.
3. IL FMI deve accettare che la regolamentazione dei mercati dei capitali è sempre
auspicabile. Una volta accolto questo
principio e mostrato un orientamento
più pragmatico, può lavorare con i paesi
e aiutarli a definire le tecniche migliori per il raggiungimento degli obiettivi
prefissati nelle loro politiche.
4. I decisori politici e le istituzioni internazionali interessate devono creare un
sistema internazionale di analisi e condivisione dei dati che li aiuti a monitorare sia i nuovi strumenti di regolamentazione dei flussi finanziari che quelli già
in essere.
devono coordinarsi per rimuovere gli
ostacoli normativi generati da trattati di
investimento e accordi di libero scambio.
6. I decisori politici dei PVS devono
essere sollecitati, specialmente dai
loro cittadini, a iniziare ad operare
all’interno di sinergie regionali per
coordinare le politiche di controllo dei
movimenti di capitali.
7. I paesi ricchi devono avviare delle
discussioni serie con i PVS, presso il
FMI o altrove, su come i paesi di origine
possano contribuire efficacemente
alla stabilità dei flussi finanziari,
migliorando le previsioni di sviluppo.
8. I trattati in essere, come quello di
Lisbona nell’Unione europea – che
sembra già avere bisogno di una
rinegoziazione – vanno modificati per
eliminare i requisiti di liberalizzazione
dei movimenti di capitali.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
V
Lista di acronimi
AML/CFT
Antiriciclaggio e contrasto del finanziamento del terrorismo
APE
Accordi di partenariato economico
BIT
Bilateral investment treaty (Trattato bilaterale per gli investimenti)
CFIUS
Comitato sull’Investimento Estero negli Stati Uniti
ECLAC
Commissione Economica per l’America Latina
FIRB
Foreign Investment Review Board (Commissione investimenti dall’estero)
FMI
Fondo Monetario Internazionale
FTA
Free Trade Agreement (Accordo di libero scambio)
GATS
General Agreement on Trade in Services (Accordo Generale sul Commercio di Servizi)
IDE
Investimento Diretto Estero
IEO
Independent Evaluation Office (Ufficio di Valutazione Indipendente)
IIA
International Investment Agreement (Accordo internazionale sugli investimenti)
IOF
Imposto sobre Operações Financeiras (Brasile)
KIKO
Knock-in, knock-out (contratto derivato su valuta)
OCSE
Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
OMC
Organizzazione Mondiale del Commercio
OSM
Obiettivi di Sviluppo del Millennio
PIL
Prodotto Interno Lordo
PVS
Paesi in via di sviluppo
UE
Unione europea
UNCTAD
Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo
URR
Unremunerated Reserve Requirement (obbligo di deposito infruttifero)
USA
Stati Uniti d’America
Sommario
1. Introduzione ............................................................................... 1
2. Contesto ...................................................................................... 4
Concetti schematici di macroeconomia in materia di movimenti di capitali 4
Storia recente del controllo dei movimenti di capitali .................................. 6
Tendenze dei flussi di capitali ......................................................................... 7
3. Grandi rischi, piccoli benefici .................................................. 10
La liberalizzazione aumenta i rischi di crisi finanziarie .............................. 11
Effetti socioeconomici della crisi finanziaria ................................................ 12
- Ripercussioni sulla distribuzione della ricchezza
- Ripercussioni sull’infanzia
- Ripercussioni di genere
Anche i periodi di crescita hanno delle ripercussioni .................................. 15
- Diseguaglianza
- Deindustrializzazione
Evasione fiscale e problemi legati alla riservatezza .................................... 17
Potenziali vantaggi degli afflussi di capitali .................................................. 17
Controllo degli squilibri del commercio globale ........................................... 18
4. Efficacia dei controlli dei movimenti di capitali .................. 20
Panoramica generale .....................................................................................
Limitazioni delle partecipazioni straniere ....................................................
Controlli tradizionali sui capitali in entrata ..................................................
Regolamentazione dei deflussi di capitale .....................................................
Provvedimenti basati sui costi e sulle imposte ..............................................
Misure di regolamentazione ...........................................................................
20
21
22
24
28
29
5. Ostacoli all’efficacia dei controlli sui movimenti di capitali 31
Controlli del FMI, condizionalità e consulenza .............................................
Organizzazione Mondiale del Commercio ....................................................
Accordi bilateral .............................................................................................
Altri accordi multilaterali – Il Trattato di Lisbona e il codice OCSE .............
Gruppi di interesse politico ............................................................................
31
33
34
35
36
6. L’approccio multilaterale o bilaterale .................................... 38
Iniziative unilaterali e conseguenze ..............................................................
Politiche relative ai paesi d’origine ................................................................
Bisogno di soluzioni coordinate .....................................................................
Creazione di un sistema globale .....................................................................
38
40
41
42
7. Raccomandazioni e conclusioni ............................................... 43
8. Note .............................................................................................. 45
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
VII
1.Introduzione
I movimenti di denaro su
scala globale non sono un
fenomeno nuovo. Le monete
degli antichi romani, infatti,
arrivarono perfino in India.
Tuttavia, il denaro e i mercati non esistono in
una condizione naturale, in assenza cioè di
norme e regolamentazioni che traccino i confini della loro attività. Nell’era moderna, lo stato
nazione si è assunto l’autorità e la responsabilità
di porre dei limiti e definire i parametri di operatività della finanza.
Negli ultimi secoli, il mondo è oscillato tra processi di globalizzazione e “deglobalizzazione” del
sistema finanziario, con risultati assai diversi.
Attraverso un’analisi storica di lungo periodo,
si nota che l’attuale regime di relativa facilità e
libertà di movimento del denaro attraverso le
frontiere in assenza di regolamentazioni rappresenta l’eccezione piuttosto che la norma.
La liberalizzazione dei flussi finanziari internazionali dovrebbe essere considerata un intervento insolito e significativo, in quanto la finanza
è stata per lo più regolamentata e confinata al
territorio nazionale. Il progetto di liberalizzazione che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni,
attinente a una certa corrente dell’economia
teorica e fondato sulla fede nell’infallibilità dei
mercati, considera la libertà di movimento dei
flussi finanziari un evento normale, a dispetto di
secoli di finanza regolamentata.1
La crisi finanziaria del 2008, invece, ha screditato le teorie su cui si
reggeva l’impalcatura della nostra
politica economica; lo stesso presidente della Financial services authority del Regno Unito, Lord Adair
Turner, l’ha definita “la completa
distruzione di una teoria economica e finanziaria predominante.”2
Le buone teorie possono e devono essere alla base delle opinioni
1
È ora di un nuovo consenso
e delle scelte politiche; tuttavia, esse devono
comunque mirare al conseguimento di risultati pratici e scopi concreti. A questo proposito,
dobbiamo riflettere su quale sia l’obiettivo della
finanza, che deve essere subordinata ai fini della
società e non il contrario.
Uno dei punti principali di discussione all’indomani del crac finanziario del 2008 è stato il
ruolo della finanza internazionale, conosciuta
sotto l’aspetto di flussi transfrontalieri di capitali. Questi flussi possono essere
vantaggiosi ma anche produrre
La liberalizzazione
conseguenze devastanti. I paesi
dei flussi finanziari
ricchi lo dovrebbero sapere, dati i
internazionali dovrebbe
loro trascorsi, visto che in pasessere considerata un
sato sono quasi sempre ricorsi a
regolamentazioni sui movimenti
intervento insolito e
significativo, in quanto la di capitali. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale (FMI) fu
finanza è stata per lo più
istituito anche per contribuire al
regolamentata e confinata controllo dei movimenti di capitali all’indomani della seconda
al territorio nazionale.
guerra mondiale.
Riquadro 1. Quali sono gli strumenti di controllo dei movimenti di capitali?
Il conto capitale è una voce della bilancia dei pagamenti
che misura la variazione del patrimonio netto di un paese. È un conto finanziario che registra i flussi di denaro
in entrata e in uscita dal paese per l’acquisizione di beni
e non di merci. Vi sono svariati strumenti per controllare
i flussi di capitali e la definizione “controllo sui capitali”
abbraccia un enorme spettro di attività diverse, rendendo l’argomento alquanto confuso e astratto. Di seguito
vi sono degli esempi rappresentativi di alcune forme di
regolamentazione, in modo da facilitare la comprensione
di questi strumenti:
Controlli sulle società a partecipazione straniera e
capitali azionari stranieri - Forse il metodo più naturale
e immediato è quello di porre limiti direttamente sugli
investimenti esteri: si tratta letteralmente di controlli
governativi sui capitali o flussi finanziari che mirano a
investire in un’economia. Questi controlli sono stati sempre usati nel corso della storia e hanno riguardato tutti
i tipi di flussi: flussi di portafoglio, prestiti e investimenti
diretti esteri. Ad esempio, quando la Cina iniziò ad aprirsi
all’ingresso di capitali stranieri, mantenne l’obbligo per
gli investimenti stranieri di formare una joint venture con
un partner locale. Le restrizioni sulle società a totale partecipazione straniera sono rimaste in vigore fino al 1986.3
Obbligo di autorizzazioni governative agli investimenti dall’estero in alcuni settori - Piuttosto che
istituire limiti generalizzati come sopra, alcuni paesi operano un sistema di controlli sulle partecipazioni estere
solo in alcuni settori. Negli Stati Uniti, grazie a una legge
del 19884, è attivo un meccanismo di controllo di qualsiasi investimento estero che “minacci di compromettere
la sicurezza nazionale”, per cui il paese può esigere degli
impegni ad attenuare le minacce alla sicurezza nazionale.
Il semplice rischio di ottenere una bocciatura può far sì
che un investitore straniero ritiri le sue proposte d’acquisto. Nel 2008, per esempio, il governo USA approvò
l’acquisto di una società portuale da parte della società a
capitale pubblico Dubai Ports World; tuttavia, le dichiarazioni apertamente ostili da parte di molti legislatori sono
bastate a far sì che poco dopo l’impresa disinvestisse le
sue attività americane.5
Limiti alle uscite dei capitali - Mentre gli esempi sopracitati riguardavano dei limiti alle entrate dei capitali e agli
investimenti in entrata, alcuni paesi, quando non dispongono di molte riserve estere, cercano di fermare anche i
flussi di capitale in uscita, solitamente attraverso controlli
sulle transazioni in valuta estera e sulle esportazioni
di valuta. Un esempio recente di questa politica viene
dall’Islanda, dove nel 2008 la crisi bancaria e finanziaria
svalutò la moneta nazionale, la corona. Nell’ambito dei
provvedimenti per affrontare la crisi, furono introdotti vasti controlli sulla valuta estera, con il beneplacito del FMI.6
Obbligo di deposito infruttifero (fondi depositati
presso la Banca Centrale a fronte di entrate di capitali) - È uno degli strumenti più conosciuti per cui si impone agli investitori stranieri di depositare presso la Banca
Centrale l’equivalente di una determinata percentuale del
loro investimento. Questo deposito non frutta interessi e
viene restituito dopo un certo periodo. Rappresenta un
costo aggiuntivo dell’investimento a causa della perdita di
interessi e del blocco del deposito presso la Banca Centrale e ha quindi lo scopo di scoraggiare gli investimenti
di breve termine. Tra il 1991 e il 1998, il Cile introdusse
l’obbligo di un deposito infruttifero equivalente al 30%
del valore dell’investimento per un periodo di un anno.
Imposta sugli afflussi di capitale investiti in strumenti finanziari a breve termine - Mentre gli obblighi
di deposito non procurano redditi allo stato, un’imposta
diretta sugli afflussi di capitali può ugualmente ottenere
l’effetto di alzare il costo dell’investimento e, allo stesso
tempo, generare entrate. Di solito, si agisce imponendo
una piccola imposta sui debiti esteri a breve come le
acquisizioni di obbligazioni corporate o di crediti da parte
di investitori esteri. Un esempio recente (il Riquadro 3 ne
fornisce per una spiegazione esaustiva) ci è dato dall’imposta che il Brasile ha messo sugli investimenti esteri a
breve, per cui inizialmente si imponeva agli afflussi di
capitali a breve termine un’imposta del 2% sul valore
dell’investimento. L’imposta fu poi aumentata al 6% alla
fine del 2010 per poi tornare al 2% all’inizio del 2011.
Limiti sui derivati su valuta emessi da banche nazionali - A causa della crescente complessità del sistema
finanziario globale e della continua innovazione finanziaria, anche le regolamentazioni mirate ad evitare le
crisi sono diventate inevitabilmente più complesse. Per
moderare i rischi legati alla volatilità dei tassi di cambio,
i paesi non devono solo pensare alle compravendite di
valuta, ma devono anche prendere in considerazione i
derivati su valuta, che sono praticamente delle scommesse finanziarie sulle variazioni dei prezzi delle valute. I derivati su valuta possono essere usati sia come una forma
di assicurazione dalle variazioni dei tassi di cambio sia
invece per speculare sulle variazioni dei tassi di cambio
e dei tassi di interesse, esponendo le banche emittenti
a forti rischi. Per arginare questo fenomeno, si possono
introdurre delle regolamentazioni che limitino il volume
totale di contratti derivati su valuta estera emessi dalle
banche nazionali. La tredicesima economia del mondo,
la Corea del Sud, ha attuato questa politica nel giugno
2010, limitando il volume dei contratti derivati su valuta
estera al 50% dei capitali delle banche, con la speranza di
limitare i debiti a breve denominati in valuta estera.7
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
I movimenti di capitali sono stati tra i protagonisti della trasformazione delle economie dell’Asia
orientale e in particolare della Cina, ma hanno
anche svolto un ruolo deleterio nella crisi finanziaria asiatica di fine anni Novanta così come
in molte altre crisi prima e dopo di essa. I paesi
che sono andati peggio durante l’ultima crisi
finanziaria sono stati quelli con i regimi maggiormente liberalizzati e deregolamentati. Mentre
infatti gli investimenti a lungo termine di solito
producono buoni risultati, le crisi invece sono
riconducibili a hot money (liquidità molto mobili
per investimenti a breve termine, ndt), sinonimo di speculazione finanziaria piuttosto che di
investimenti.
Questo rapporto illustra gli svantaggi che le politiche di deregulation dei movimenti transfrontalieri di capitali provocano soprattutto sullo
sviluppo. Inoltre, esamina anche i potenziali vantaggi legati alla regolamentazione di questi flussi,
a dispetto dei pareri di istituzioni internazionali
quali il FMI e l’Organizzazione Mondiale del
È ora di un nuovo consenso
Commercio (OMC), a cui fanno eco Unione europea e governi di paesi ricchi, che la considerano
nociva. Nuove intese sull’adozione di politiche
più caute e pragmatiche rispetto ai movimenti di
capitali e sulla loro attuazione possono favorire
la stabilità finanziaria, la crescita sostenibile e lo
sviluppo sociale.
Prima di tutto, questo rapporto esaminerà le questioni teoriche per poi analizzare perché la libera
circolazione dei capitali suscita preoccupazione.
Quindi, considererà l’efficacia degli strumenti di
controllo dei flussi di capitali e gli ostacoli normativi all’adozione di queste misure. Infine, considererà le implicazioni multilaterali e il bisogno
di soluzioni internazionali concertate, per poi
concludere con una serie di raccomandazioni.
2.Contesto
A partire dalla seconda
metà del 2009, sono stati
sempre più numerosi i paesi
in via di sviluppo (PVS)
e le economie emergenti
che hanno aumentato
la regolamentazione e
i controlli sugli afflussi
di capitali per gestire le
ondate di flussi provenienti
dall’estero.
Questo uso dei provvedimenti di controllo dei
capitali sarebbe stato inimmaginabile solo una
decina di anni fa; la crisi finanziaria del 2008,
invece, ha portato a una ripresa del dibattito sul
controllo della circolazione di capitali. Perché
provvedimenti di questo tipo stanno nuovamente
attraendo l’attenzione dei governi e quali sono le
questioni teoriche e pratiche coinvolte?
Concetti schematici di
macroeconomia in materia di
movimenti di capitali
Il conto dei movimenti di capitale è, con il conto
delle partite correnti, uno dei due principali componenti della bilancia dei pagamenti di un paese.
Il conto corrente riflette i redditi netti di un
paese, che derivano generalmente dal commercio di merci o dagli interessi sui prestiti, mentre
il conto del capitale riflette le variazioni nette
sul patrimonio di proprietà nazionale. Infatti,
se uno straniero compra un bene, che sia reale
come una fabbrica o finanziario come un’azione,
questa transazione viene registrata sotto la voce
di afflusso di capitale. Analogamente, se un cittadino del paese in questione acquista invece un
bene in un paese straniero, la transazione viene
registrata come un deflusso di capitale. Il riquadro 2 illustra i principali tipi di flussi di denaro
registrati nel conto capitale.
Riquadro 2. Categorie di flussi
di capitale
I flussi di capitali esteri si suddividono in flussi pubblici e privati. I regimi del conto capitale hanno rilevanza
per quel che concerne i flussi di capitale privato, su
cui si incentra questo documento. In generale, i flussi
di capitale privato si possono suddividere in relazione
al metodo e allo scopo del movimento. Di solito, il
FMI distingue tra investimenti diretti esteri, investimenti di portafoglio, strumenti derivati e altri flussi
privati, tra cui i prestiti bancari.8
L’investimento diretto estero (IDE) è una misura
della proprietà di beni produttivi, quali fabbriche o
terreni, da parte di stranieri. Si riferisce all’acquisizione di una “partecipazione di controllo” da parte di
un’impresa in un paese in cui l’investitore non risiede.
L’IDE è generalmente associato a partecipazioni di capitale a lungo termine in un’economia, che comporta
il trasferimento di tecnologia e know-how.
Gli investimenti di portafoglio si riferiscono all’acquisizione di azioni, obbligazioni, valuta o altri strumenti finanziari emessi da settori pubblici o privati
di un paese diverso da quello di residenza dell’acquirente. Possono essere suddivisi in investimenti in
azioni e in investimenti in titoli del debito, tipologie
che presentano profili di rischio differenti. Spesso,
ma non sempre, questo tipo di investimento ha una
durata più breve e può generare rischi più elevati per
l’economia del paese ricevente.
Gli strumenti derivati sono contratti finanziari usati
per la compravendita del rischio nei mercati finanziari. I loro prezzi e valori sono collegati a un altro
strumento finanziario, a un indicatore o a una merce.
Vi è flusso di capitale quando un investitore estero
sottoscrive o acquista un contratto derivato emesso
da un soggetto residente come, per esempio, un
istituto finanziario locale. Dato che la compravendita
di derivati avviene sui mercati finanziari, i rischi che
generano sono simili a quelli degli investimenti di
portafoglio. Inoltre, i derivati finanziari spesso sono
usati per evitare i controlli sui movimenti di capitale
esercitati sugli investimenti di portafoglio.
Gli altri flussi sono tutti gli altri tipi di movimenti
transnazionali, tra cui spesso spiccano per entità i
prestiti concessi da banche commerciali straniere a
contraenti pubblici o privati del paese interessato.
Questi flussi, creando debito privato estero, rappresentano di per sé un rischio per l’economia del paese
ricevente. Altri tipi di flussi sono depositi bancari,
alcuni tipi di rimesse e crediti commerciali.
Fonte: FMI, 2009.
Vi è un’importante interazione tra il grado di
apertura del conto dei movimenti di capitali di
un paese e i suoi tassi di cambio e di interesse.
Se, per esempio, vi è una totale apertura ai movimenti dei capitali, gli stranieri possono investire
facilmente in obbligazioni di stato, usando denaro che potenzialmente possono aver preso in
prestito in altre valute. Grazie al cosiddetto carry
trade, ossia prendendo in prestito denaro in una
valuta a basso tasso di interesse per poi investire in un’altra valuta che offre un alto tasso di
interesse, gli investitori possono realizzare facili
guadagni, creando però con questi flussi di denaro delle ripercussioni sulla domanda di valuta
del paese destinatario, dato che si produrrà un
innalzamento del valore della valuta mentre gli
afflussi registreranno un’impennata. Se un paese
con un alto tasso di interesse vuole mantenere
stabile il suo tasso di cambio, al fine di, per esempio, di favorire gli investimenti a lungo termine
nella produzione industriale per l’esportazione,
dovrebbe rivedere al ribasso i propri tassi di interesse per attirare meno flussi.
Tutto questo dimostra l’incapacità dei paesi di
fare le tre cose insieme: mantenere un basso
controllo sui movimenti di capitali, fissare un
tasso di cambio e gestire i propri tassi di interesse in maniera indipendente sulla base dei bisogni
dell’economia nazionale. Gli economisti Robert
Mundell e Marcus Flemming vinsero il premio
Nobel per aver creato nei primi anni Sessanta il
modello di questo “trilemma”. Se, per esempio,
una banca centrale decidesse di aumentare il
tasso di interesse interno per raggiungere un
obiettivo nazionale come l’abbattimento dell’inflazione, potrebbe incentivare flussi di investimenti finanziari a breve termine dall’estero,
che saranno attratti dagli alti tassi di interesse.
Questi afflussi porterebbero a un apprezzamento
del valore della valuta, interferendo con l’obiettivo di ottenere un tasso di cambio stabile. In
questo contesto, se un’economia vuole mantenersi aperta ai movimenti di capitali, il governo
deve scegliere tra la volontà di ottenere un tasso
di cambio stabile e l’obiettivo iniziale di fermare l’inflazione alzando i tassi di interesse. Una
liberalizzazione totale dei movimenti di capitali,
quindi, rende più difficile il ricorso ad altri strumenti macroeconomici che potrebbero servire a
5
È ora di un nuovo consenso
tenere l’inflazione sotto controllo o a stimolare
gli investimenti e le esportazioni.
Alcuni analisti sostengono che la liberalizzazione
dei movimenti di capitali produce investimenti
efficaci su mercati diversi9;questa teoria, tuttavia, si basa su molte false supposizioni10. Come
nell’ipotesi dell’efficienza del mercato11, si suppone che tutti i soggetti posseggono informazioni
perfette sulle opportunità di investimento e sui
relativi rischi in tutto il mondo. Chiaramente,
invece, sono pochi gli investitori che dispongono di informazioni accurate, mentre la maggior
parte di coloro che si muovono sui mercati degli
investimenti lo fanno sulla base di informazioni
false, di dritte, o dello slancio contingente delle
quotazioni. Gli investitori, siano essi individui o
istituzioni, tendono anche ad adottare comportamenti di herding, per cui seguono la tendenza di
altri investitori a investire o disinvestire piuttosto
che agire sulla base di informazioni circa il vero
valore dell’investimento stesso. Altre preoccupazioni riguardano il rischio di contagio, per cui
gli investitori non agiscono in modo prettamente
razionale ma, per esempio, ritirano il loro investimento da un paese perché un altro paese in
quella regione sta avendo dei problemi finanziari. Le crisi finanziarie più recenti ci dimostrano
che, così come per le crisi finanziarie precedenti, i mercati non funzionano come teorizzano i
principi dell’economia neoclassica e che ogni
eventuale vantaggio derivante dall’apertura ai
movimenti dei capitali svanisce nel contesto di
una crisi finanziaria.
I dati empirici raccolti nei decenni non contengono elementi convincenti che provino che la liberalizzazione dei mercati finanziari e dei capitali
sia mai stata associata ad alti livelli di crescita e
ancor meno che essa possa generare una maggiore crescita.12 Nel 2003, l’allora capo del FMI
Ken Rogoff sostenne che, data la mancanza di
dati empirici chiari che dimostrassero il nesso
tra liberalizzazione finanziaria e crescita, non si
sarebbero dovute esercitare pressioni sui paesi
affinché si aprissero totalmente ai movimenti di
capitale con troppa rapidità.13 La Commissione
sulla crescita, in uno studio su paesi ad elevata
crescita, riconosce nel controllo dei flussi e dei
settori finanziari un fattore comune delle econo-
mie a crescita rapida.14 Il capitolo 3 illustrerà più
dettagliatamente alcuni dei rischi e dei problemi
legati ai flussi finanziari incontrollati.
Storia recente del controllo dei
movimenti di capitali
Nel corso degli anni, si sono succedute teorie
economiche sulla mobilità dei capitali e relative applicazioni pratiche molto diverse tra loro,
anche se il dibattito pubblico su come uno stato
debba porsi rispetto alla mobilità dei capitali ha
interessato soprattutto la seconda metà del XX secolo. Gran parte della storia è stata caratterizzata
dall’immobilità dei capitali, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti, a causa di limiti tecnologici quali la lentezza dei trasporti e i cambi
di valuta non liquidabili. Solo il XVIII secolo vide
grandi volumi di flussi transfrontalieri di capitali, in questo caso sotto forma di prestiti contratti
da parte di stati sovrani a società di commercio
olandesi e banche con sede ad Amsterdam.15
Ma la prima ondata di globalizzazione finanziaria cominciò solo nella seconda metà del XIX
secolo, quando l’espansione dell’Impero britannico consentì agli investitori e alle banche con sede
a Londra di iniziare a spostare la finanza in giro
per il mondo. Alla fine dell’Ottocento e all’inizio
del Novecento vi era una notevole mobilità di capitale, per la quale l’adozione del sistema monetario aureo ebbe un ruolo importante, in quanto
facilitava i movimenti di beni.16 Nonostante
quest’ondata di globalizzazione si concentrò
prevalentemente sullo scambio di merci e sulla
possibilità dei lavoratori di migrare da un paese
all’altro, anche i flussi di capitale passavano le
frontiere. Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 interruppe questa tendenza, così
come la Grande Depressione, che rallentò considerevolmente i flussi finanziari internazionali,
oltre che ridurre la mobilità del capitale.17
Le teorie keynesiane godettero di una grande
popolarità dopo la Grande Depressione la nascita
del sistema di Bretton Woods nel 1944. L’economista britannico John Maynard Keynes e la sua
controparte statunitense condussero gran parte
del lavoro preparatorio di analisi su cui si basarono gli accordi di Bretton Woods, che prevede-
vano il controllo dei movimenti di capitali al fine
di raggiungere la stabilità e rendere possibili politiche monetarie indipendenti.18 Prima della conferenza in cui si stabilì questo sistema, Keynes
scrisse: “A mio parere, l’intera gestione dell’economia nazionale dipende dall’essere liberi di
avere un tasso di interesse congruo senza doversi
riferire ai tassi vigenti nel resto del mondo. I controlli sul capitale ne sono una conseguenza.”19
Gli accordi di Bretton Woods, nonostante la
bocciatura della proposta avanzata da Keynes di
istituire un’Unione Internazionale di Compensazione in modo da eliminare completamente
i flussi finanziari transfrontalieri, istituirono
tuttavia un regime di cambio controllato agganciato al dollaro statunitense e supervisionato dal
FMI, oltre che regole sui movimenti di capitale.
Questo sistema si rivelò notevolmente stabile,
con poche crisi finanziarie20, in cui la stabilità dei
tassi di cambio favoriva aumenti di produzione
e di scambi commerciali. Esso fu però logorato
dalla continua domanda internazionale di dollari
statunitensi, che creava un deficit permanente della bilancia di pagamenti degli Stati Uniti.
Sorse così il cosiddetto dilemma di Triffin, che
prende il nome dall’economista belga Robert
Triffin, per cui il desiderio di altri paesi di possedere riserve in dollari americani è destinato a
subire un’inversione di rotta, dato che il costante
deficit statunitense genera una perdita di fiducia
nel dollaro.21 Questo sistema durò fino agli anni
Settanta, quando gli Stati Uniti dichiararono
l’inconvertibilità del dollaro in oro e iniziarono
a liberalizzare i movimenti di capitale. Nel 1973,
gli Stati Uniti abolirono i controlli sul capitale,
seguiti nel corso degli anni Settanta da altri paesi
industrializzati.22
La fine dell’ordine di Bretton Woods e la contemporanea apertura ai movimenti dei capitali
furono causate da diversi fattori. Gli Stati Uniti
avevano bisogno di importare più capitale per
coprire le spese in disavanzo delle guerre nel
sud-est asiatico e dei nuovi programmi sociali
interni.23 Vanno poi considerati altri fattori quali
l’innovazione finanziaria e l’elusione dei controlli. In Europa, le banche usavano in maniera
sempre maggiore il dollaro statunitense e altre
valute estere per depositi, prestiti e obbligazioni,
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
6
Figure 4.1. The Collapse and Recovery of Cross-Border
Capital
Flows
Grafico
1.
(Percent of aggregate GDP)
Crollo e ripresa dei flussi di capitali
transfrontalieri
After an unprecedented rise during the run-up to the financial crisis and a
(Percentuali
del
PIL
aggregato)
precipitous
fall in its
wake,
international
capital flows rebounded to both advanced
and emerging market economies.
in parte per evitare i controlli negli Stati Uniti.
La concorrenza per accaparrarsi crescenti fette
di mercato dei servizi finanziari globali spinse
sia i governi che i loro alleati nei settori privati a
esercitare pressioni per ulteriori liberalizzazioni.24 L’abolizione dei controlli sui capitali, tuttavia, possedeva anche una forte venatura ideologica, dato che i responsabili delle scelte politiche
del Tesoro americano avevano una preparazione
economica di stampo neoclassico ed erano consigliati da esponenti di spicco di queste teorie che,
seppure non presentassero alcuna evidenza di
efficacia, erano proposte come base delle scelte
politiche.25 Così, mentre l’esperienza nel mondo
reale, con le crescenti crisi finanziarie e l’irrazionalità dei mercati, ha dimostrato l’inadeguatezza
delle teorie economiche neoclassiche per rappresentare la realtà, esse sono ancora ostinatamente
vitali tra i decisori delle politiche.26
Negli anni Ottanta, la liberalizzazione dei movimenti di capitali fu estesa anche ai mercati
emergenti. Alcuni PVS liberalizzarono i flussi
finanziari, spinti dal desiderio di attrarre investimenti diretti dall’estero. Tutto ciò fu sostenuto
anche da FMI, Banca Mondiale e accordi di commercio bilaterali, che concorsero ad abbattere i
controlli sui capitali nei PVS nel corso degli anni
Ottanta e Novanta. Queste iniziative culminarono
nel tentativo fallito del 1997 di portare il FMI a
cambiare il proprio statuto, introducendo per i
paesi membri l’opportunità di andare verso una
completa liberalizzazione dei movimenti di capitali (si veda il Capitolo 5 per maggiori dettagli).
Tuttavia, a parte alcune grandi eccezioni quali
l’India e la Cina, alla fine degli anni Novanta, la
maggior parte dei PVS avevano liberalizzato molti tipi di flussi finanziari e di investimenti esteri.27
Tendenze dei flussi di capitali
In termini storici, il volume dei flussi di capitali
ha raggiunto dimensioni notevoli negli ultimi
cinque anni, con picchi per molti paesi e regioni
nel 2007, appena prima della crisi finanziaria.
La crisi portò a un crollo di flussi sia nei paesi
ricchi che in quelli in via di sviluppo, come mostra la tabella 1. I calcoli fatti dalla Conferenza
delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo
(UNCTAD) sui flussi non classificabili come IDE
mostrano che, in termini nominali, i flussi raggiunsero un picco appena prima della crisi finan-
7
È ora di un nuovo consenso
Investimenti
esteri
Foreign directdiretti
investment
Flussi
di debito
di portafoglio
Portfolio
debt flows
Otherflussi
government
flows
Altri
governativi
Total
Totale
totali lordi
verso
le
Total Gross
Inflows
to Advanced
30 Flussi
economie
Economiesavanzate
Flussi
di equity
portafoglio
Portfolio
equity di
flows
Flussi
bancari
altri privati
Bank and
otheredprivate
flows
Derivative
flows
Flussi
di derivati
Flussi
totaliFlows
nettitoverso
le econo- 10.0
Total Net
Advanced
mie
avanzate
Economies
7.5
20
5.0
10
2.5
0
0.0
-10
-20
1980
-2.5
88
96
2004 08: 10:
H1 H1
totali lordi
verso
le econoTotal Gross
Inflows
to Emerging
15 Flussi
mie
con Economies
mercati emergenti
Market
1980
88
96
2004 08: 10:
H1 H1
-5.0
Total Net
Emerging
Flussi
totaliFlows
nettitoverso
le econo- 10.0
mie
con Economies
mercati emergenti
Market
7.5
10
5.0
5
2.5
0
0.0
-5
-10
1980
-2.5
88
96
2004 08: 10:
H1 H1
1980
88
96
2004 08: 10:
H1 H1
-5.0
Fonte:
FMI (2011). World Economic Outlook: Tensions from the
Sources: CEIC; Haver Analytics; IMF, Balance of Payments Statistics; national sources;
two-speed
recovery: Unemployment, commodities and capital
and IMF staff calculations.
Note: See
Appendix
4.1 for a list of the economies included in the advanced and
flows,
aprile
2011.
emerging market economy aggregates. Data are plotted on an annual basis until 2007 and
on a semiannual basis thereafter (indicated by gray shading). Semiannual data are
calculated as the sum of capital flows over the two relevant quarters divided by the sum of
nominal GDP (both in U.S. dollars) for the same period. Total flows may not equal the sum
of the individual components because of a lack of data on the underlying composition for
some economies.
ziaria globale (si veda il Grafico 2). La successiva
inversione di tendenza dei flussi alla fine del
2008 fu complessivamente il fenomeno del suo
genere più grande degli ultimi 20 anni, persino
più grande di quelli registrati nel corso delle
numerose crisi finanziarie di inizio millennio in
Asia e America latina. Ed è ancora più preoccupante per i PVS che il FMI trovi che, negli ultimi
venti anni, ci sia stato un progressivo aumento
della volatilità dei flussi.28
In termini nominali, si è assistito a una ripresa
dei flussi, ma in modo molto poco equilibrato. In
termini aggregati, essi non sono tornati ai livelli
massimi del 2007, ma alcuni paesi come il Brasile
e la Turchia hanno registrato forti aumenti di
flussi e successivamente, a settembre del 2011,
grandi fughe. Secondo l’UNCTAD, nel 2010, i flussi di capitali verso i PVS superarono complessivamente i 1,095 trilioni di dollari, somma inferiore
solo ai picchi raggiunti nel 2007, quando si toccarono 1,65 trilioni di dollari. Come si vede nella
tabella 1, gli investimenti di portafoglio registrarono un’enorme volatilità e non sono ancora
Tabella 1. Flussi di capitali verso i PVS (2007 - 2010)
(Miliardi di dollari)
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Total
579
930
1,650
447
656
1,095
IDE
332
435
571
652
507
561
Investimenti di portafoglio
154
268
394
-244
93
186
Altri investimenti
94
228
686
39
56
348
IDE
57 %
47 %
35 %
146 %
77 %
51 %
Investimenti di portafoglio
27 %
29 %
24 %
-55 %
14 %
17 %
Altri investimenti
16 %
2 5%
42 %
9%
9%
32 %
1
% del totale
1
La voce “Altri investimenti” comprende prestiti da parte di banche commerciali, prestiti ufficiali e crediti commerciali.
Fonte: UNCTAD (2011). World Investment Report: Non-equity modes of international production and development, 26 luglio, http://www.
unctad.org/Templates/webflyer.asp?docid=15189&intItemID=6018&lang=1&mode=downloads.
Grafico 2. Flussi finanziari netti verso i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo (esclusi gli IDE)
(Miliardi di dollari)
Crisi
messicana
Crisi in Asia orientale,
Brasile e Federazione
Russa
Crisi
argentina
Rumor sui tassi
di interesse
in Giappone
Crisi
finanziaria
globale
Fonte: UNCTAD 2011, Relazione su commercio e sviluppo (Trade and Development Report), su dati del FMI
rientrati ai livelli antecedenti alla crisi, mentre
invece gli IDE si mantengono più stabili. Il Grafico 3 indica che questa tendenza accomuna
tutte le regioni, con gli IDE che restano molto più
stabili e gli investimenti di portafoglio che invece
mostrano una forte volatilità. Nel 2008, tutte le
regioni assistettero a una diminuzione dei flussi,
seguita poi da una ripresa. Nel 2011, si prevede
che i flussi aumenteranno nuovamente ovunque
tranne che nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, in cui numerosi paesi sono stati teatro
di agitazioni politiche, con conseguente declino
degli IDE e nuovi deflussi di investimenti di portafoglio e di altro tipo.
Particolarmente degni di nota sono i volumi dei
flussi verso l’Europa centrale e orientale, come
mostra il Grafico 3. In questa regione, i flussi
sono molto più alti in percentuale al PIL rispetto
ad altre regioni e questo è in parte dovuto alla
loro maggiore integrazione transfrontaliera con
l’UE. Molte banche sono oggi proprietà di gruppi
bancari controllanti dell’Europa occidentale, che
forniscono capitale alle loro partecipate perché
concedano prestiti a famiglie e attività commerciali della regione, spesso in valuta estera.
L’inversione di tendenza di questi flussi registrata nel 2009, che appare alla voce ‘altri flussi
finanziari privati’, spiega in parte perché, in
molti paesi della regione, il settore bancario ha
avuto problemi e perché vi è stata una maggiore
sofferenza di famiglie e attività commerciali, che
hanno perso l’accesso al credito o hanno visto lievitare il valore reale del loro debito a causa delle
svalutazioni monetarie.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
8
Grafico 3.
Flussi finanziari netti per regione
Africa sub-sahariana
(Percentuali del PIL aggregato)
Investimenti diretti, netti
Altri flussi finanziari, netti
Flussi di portafoglio privati, netti
Totale
America latina
Medio Oriente e Africa settentrionale
Fonte: FMI 2011, International Financial Statistics Database
9
È ora di un nuovo consenso
Europa centrale e orientale
Asia in via di sviluppo
3.Grandi rischi, piccoli benefici
Vi sono molte disquisizioni
sulla politica economica,
ma perché dovremmo
dare la priorità al controllo
dei movimenti di capitali
piuttosto che ad altre
questioni?
Come dimostrato al Capitolo 2, i responsabili
degli indirizzi politici hanno mostrato
atteggiamenti altalenanti sull’opportunità della
mobilità dei capitali. Nel frattempo, i flussi
si sono allargati a dismisura, comportando
un conseguente aumento dei rischi. Data la
dimensione del settore finanziario e l’enormità
dei flussi paragonati alle attività dell’economia
reale, il movimento del denaro presenta tratti
sempre più problematici. Questa sezione rileva
questi problemi, soprattutto per i PVS e i loro
cittadini. I potenziali svantaggi derivanti dalle
crisi finanziarie, che sono spesso causate da
speculazioni e da controlli inefficaci dei flussi di
capitale, risultano essere seriamente dannosi,
in quanto distruggono la ricchezza, lo sviluppo
umano, la vita della gente e la coesione sociale.
Al contempo, i possibili vantaggi derivanti da
una buona regolamentazione dei flussi finanziari
possono invece rivelarsi importanti.
Gli accademici, i gruppi della società civile e i
decisori politici criticano da tempo i fautori della
liberalizzazione dei movimenti di capitali, colpevoli di non avere affrontato i rischi di queste
liberalizzazioni e di avere ignorato la relazione
tra l’apertura di un’economia ai flussi di capitali
e le crisi finanziarie con le loro crescenti ripercussioni nefaste sulla società. In uno studio del
2010, il premio Nobel Joseph Stiglitz rivela gli
effetti negativi delle liberalizzazioni totali dei
movimenti di capitali sul benessere sociale: “Se
si riuscisse ad imporre delle restrizioni sui flussi
di capitali … allora, in generale, sarebbe auspicabile applicarle. Senza interruttori salvavita, alla
liberalizzazione è da preferire nessuna liberalizzazione.”29
Nella tabella 2, presentiamo alcuni potenziali
rischi e vantaggi legati ai flussi finanziari esteri.
Non si tratta di un elenco completo, ma chiarisce
alcune preoccupazioni che impongono di affrontare questa tematica. La professoressa di economia Ilene Grabel dell’Università di Denver individua cinque categorie diverse ma sovrapposte
che riguardano i rischi legati ai flussi di capitale
globali non regolamentati30:
• Il rischio di cambio in un regime di libero
movimento di capitali ha due dimensioni. Si
riferisce all’esposizione di un paese alla speculazione valutaria ed al rischio di un crollo
della valuta dovuto alle decisioni degli investitori di cedere le loro partecipazioni.
• Il rischio di fuga indica improvvisi deflussi
di capitale da un’economia dovuti al panico
o a comportamenti di herding da parte degli
investitori, con un conseguente crollo del
valore dei beni investiti. Le fughe di capitali
possono diventare profezie che si autorealizzano nel caso di crolli improvvisi di fiducia..
• Il rischio di fragilità si riferisce alla vulne-
rabilità dei debitori e di un’economia verso
il debito esterno. Spesso, il rischio di fragilità
aumenta con l’uso di prestiti esteri a breve
termine per finanziare investimenti a lungo
termine. I cambiamenti delle condizioni potrebbero rendere difficile la restituzione del
debito da parte dei debitori o il rinnovo del
debito in scadenza a favore di un’economia.
• Il rischio di contagio si riferisce agli impatti
su di un paese di crisi finanziarie iniziate in
altri paesi, attraverso l’integrazione finanziaria. Spesso, si tratta di versioni transfrontaliere dei comportamenti di herding o di panico
da parte degli investitori, come si è visto nella
crisi finanziaria asiatica.
• Il rischio di sovranità limitata descrive i
rischi per un governo di vedere limitata la
propria capacità di avere politiche sociali
ed economiche indipendenti a causa della
liberalizzazione dei movimenti di capitali.
Questo tema è associato al trilemma macroeconomico discusso al Capitolo 2.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
10
Tabella 2. Schema dei rischi e dei vantaggi potenziali dei diversi tipi di flussi
(tipi di flussi che più di altri comportano rischi o vantaggi)
Flussi a breve termine
Flussi a lungo termine
Rischi potenziali
Interruzioni improvvise e inversioni di rotta dei
flussi (investimenti di portafoglio, prestiti)
Bolle speculative sui beni (IDE, investimenti di
portafoglio, derivati)
Indebitamento eccessivo (investimenti di portafoglio, prestiti, derivati)
Asimmetria delle scadenze (investimenti di portafoglio, prestiti)
Apprezzamento monetario e deindustrializzazione
(tutti)
Perdita di politiche monetarie indipendenti (investimenti di portafoglio, derivati)
Estromissione dell’industria nazionale (IDE)
Indebitamento eccessivo (prestiti, IDE)
Perdita di controllo sulle risorse nazionali (IDE)
Perdita di gettito fiscale da evasione / incentivi
agli investimenti (IDE)
Fuga di capitali attraverso il rimpatrio dei profitti
(IDE)
Vantaggi
potenziali
Maggiori disponibilità di credito (investimenti di
portafoglio, prestiti)
Copertura dei rischi (hedging) /assicurazioni
contro la volatilità (derivati)
Mercati finanziari più liquidi (investimenti di
portafoglio)
Trasferimento reale di risorse (IDE)
Trasferimento di tecnologia (IDE)
Occupazione (IDE)
Filiere locali (IDE)
Effetto dimostrativo (IDE)
Maggiori disponibilità di credito (investimenti di
portafoglio, prestiti)
Questi rischi di crisi sono inquietanti e non sono
semplicemente delle possibilità remote. Infatti,
le crisi finanziarie legate alla liberalizzazione
scoppiano con una frequenza preoccupante, con
conseguenze devastanti. Inoltre, la liberalizzazione di flussi finanziari crea ulteriori problemi che
non sono connessi alle crisi che possono conseguire. Persino i periodi di grande espansione
presentano dei problemi.
Visti questi rischi, sembrerebbero non esserci i
presupposti per consentire gli influssi di capitali
stranieri. Come discusso al Capitolo 2, la spinta
verso la liberalizzazione è fondata su molti falsi
presupposti. Al Capitolo 5, torneremo ad analizzare alcune spinte politiche che hanno continuato ad agire a favore della liberalizzazione.
Vi sono tuttavia dei potenziali vantaggi legati ad
alcuni tipi di flussi di capitali, soprattutto riguardo gli investimenti diretti esteri. Gli IDE non sono
certo una panacea per lo sviluppo e presentano
numerose difficoltà ma, se un paese desidera
ricorrervi, è importante considerare le ripercussioni che potrebbero avere sui programmi per il
controllo dei movimenti di capitali.
11
È ora di un nuovo consenso
La liberalizzazione aumenta
i rischi di crisi finanziarie
Il Professor Carmen Reinhart e l’ex capo economista del FMI Kenneth Rogoff hanno analizzato
oltre 800 anni di crisi finanziarie e bancarie nel
loro libro del 2009 This Time is Different. Osservano che “un aspetto che accomuna i periodi
antecedenti alle crisi bancarie è un sostanziale
aumento degli afflussi di capitale”, per cui usano
il termine “capital flow bonanza”.
Riassumendo la loro ricerca sulla probabilità di
un legame tra crisi e aumenti sostenuti di afflussi
di capitale, concludono che “La maggior parte dei
paesi (61%) registrano un’alta propensione verso
una crisi bancaria intorno ai periodi di aumento
degli afflussi; questa percentuale sarebbe ancora
più alta se si aggiungessero i dati successivi al
2007.”31
Il messaggio di fondo è: “Periodi di alta mobilità
internazionale di capitali hanno spesso generato
crisi bancarie internazionali, che non si limitano
a quelle famose degli anni Novanta, ma coprono
l’intero corso della storia.”32
Esistono molti modi in cui dei flussi di capitali
incontrollati possono contribuire allo scoppio di
una crisi. Questi meccanismi sono ampiamente
spiegati negli studi sulle crisi finanziarie e sulle loro modalità di insorgenza nel corso della
storia. Sulla base della categorizzazione dei
rischi discussa in precedenza, questi meccanismi
comprendono:
• L’improvvisa interruzione degli afflussi di capitali nel momento in cui un paese sviluppa
un disavanzo del conto corrente;
• L’improvvisa fuga di capitali dovuta a preoccupazioni sullo stato della bilancia dei pagamenti, con conseguente accelerazione della
crisi;
• Bolle speculative sui beni che si gonfiano
per poi scoppiare, generando così una crisi
bancaria;
• L’indebitamento eccessivo da parte del settore privato, che porta a crisi bancarie;
• L’irrazionalità degli investitori, che produce
instabilità di mercato e profezie che si autorealizzano; oppure
Percentuale di Paesi
in situazione di crisi bancaria
totale di tre anni
Mobilità del capitale
Basso
Percentuale di Paesi in situazione di crisi bancaria
totale di tre anni (percentuale)
Alto
Indice di mobilità del capitale
Certamente, le crisi che coinvolgono i conti capitali non avvengono indipendentemente da altri
fattori macroeconomici. Nella loro ampia analisi
delle crisi che hanno colpito i PVS negli anni Novanta, il Professor Lord Eatwell dell’Università di
Cambridge e il Professor Lance Taylor della New
School University hanno riscontrato che il regime
dei tassi di cambio incideva notevolmente sul decidere se fosse più o meno saggio aprire le economie nei mercati emergenti. “La privatizzazione
del rischio tipica dei tassi di cambio fluttuanti
richiede un mercato dei capitali liberalizzato.
Questo connubio trasforma il tasso di cambio sia
in un oggetto dotato di un’enorme potenzialità
di guadagno (che costituisce un incentivo alla
speculazione) che in un oggetto di paura (un
rischio da coprire).”33 Essi spiegano inoltre che la
straordinaria stabilità dell’era Bretton Woods dal
1945 al 1971 non sarebbe stata possibile senza la
presenza di un regime di controllo dei movimenti di capitale.
Grafico 4.
Percentuale di Paesi con crisi bancarie
Fonte: Reinhart et Rogoff, 2011
• La paura degli investitori che, nonostante la
solidità dei fondamentali economici del paese
interessato, sono spaventati dagli eventi economici in un paese terzo, provocando fenomeni di herding o effetti contagio.
Le ricerche del FMI nei periodi post-crisi hanno
rilevato crescenti collegamenti tra la volatilità dei
flussi finanziari e le crisi economiche e finanziarie. Uno studio del FMI sostiene che gli “afflussi
di capitale” – e in particolare alcuni tipi di passività – possono rendere un paese più vulnerabile
a una crisi finanziaria. Un chiaro esempio è dato
dalla contrapposizione tra i flussi di titoli di debito e quelli di capitale, laddove gli ultimi permettono una maggiore possibilità di ripartire i rischi
tra creditore e debitore.”34 Lo studio sottolinea la
potenziale utilità dei controlli sui capitali per il
raggiungimento di una stabilità sia macroeconomica che finanziaria.
Effetti socioeconomici della crisi
finanziaria
Questi rischi indicano che il controllo dei flussi di
capitale sono molto di più di una semplice questione tecnico-economica. Dati i suoi effetti sulla
stabilità finanziaria, questo è un argomento dalle
vaste implicazioni sociali. Il controllo della mobilità dei capitali ha ripercussioni su distribuzione
della ricchezza, povertà e disoccupazione, soprattutto quando le crisi sopraggiungono a causa di
flussi finanziari non regolamentati.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
12
più marcato rispetto ai redditi delle fasce più
Reinhart e Rogoff hanno anche analizzato le
ricche. In alcuni paesi, poi, questo calo non fu
conseguenze delle gravi crisi postbelliche su un
generalizzato, anzi, alcuni settori della popolaziocampione oscillante da un minimo di 15 fino a un
ne guadagnarono dalla crisi. In linea di massima,
massimo di 23 paesi, valutandone diversi aspetti.
quelli che ci rimettono di più sono i poveri e le
Hanno riscontrato un “effetto profondo e duratufasce vulnerabili.
ro” sui prezzi dei beni, sul PIL reale procapite e
Uno studio sulle crisi finanziarie dell’America
sull’occupazione. Mentre i prezzi dei beni e il PIL
latina negli anni Novanta condotto dal professodiminuiscono per molti anni dopo lo scoppio delre di economia Nora Lustig, che allora prestava
le crisi, i livelli di disoccupazione invece aumenservizio presso la Banca
tano notevolmente. Inoltre, il
Interamericana di Svilupdebito pubblico reale subisce
“Le crisi in America latina e
po, presenta dei dati duri:
in media impennate dell’86%
nei Caraibi tendono ad essere
“Le crisi in America latitre anni dopo una crisi.35
na e nei Caraibi tendono
accompagnate da maggiori
ad essere accompagnate
Un rapporto Unicef del dicemdisuguaglianze e l’effetto della
da maggiori disuguabre 2010 che analizza gli effetti
contrazione
economica
tende
a
glianze e l’effetto della
sulla società della crisi messitrasformare
sproporzionatamente
contrazione economica
cana del 1995 e di quella artende a trasformare sprogentina del 2001 ha rilevato dei quelle che prima erano plusvalenze
porzionatamente quelle
risultati disastrosi sul welfare
in riduzione della povertà”
che prima erano plusvain entrambi i paesi. In Messilenze in riduzione della
co, i prezzi aumentarono del
povertà. Le crisi, inoltre,
35%, mentre la produzione crollò di oltre 6 punti
aumentano
le
diseguaglianze,
dato che la succespercentuali per il solo 1995. I salari reali si absiva
crescita
economica
non
elimina
le maggiori
bassarono del 25-35% e la disoccupazione risultò
diseguaglianze create durante una grave crisi
quasi raddoppiata. Di conseguenza, la povertà
economica.” 38 Citando i riscontri effettuati nella
estrema crebbe dal 21% al 37% della popolazione
regione, continua “Non è sempre stato il quintile
tra il 1994 e il 1996, per poi rientrare nei livelli
più povero della popolazione ad uscirne fortepre-crisi solo nel 2001-2002. Nello stesso periodo,
mente danneggiato. In generale, a cadere sono
la povertà moderata aumentò dal 43% al 62%.36
stati per la maggior parte i ceti medi mentre, in
In Argentina, a seguito della crisi, nel 2002, il 58%
molti paesi, la quota di reddito del 10% più ricco
della popolazione scese al di sotto della soglia di
è invece aumentata, a volte anche considerevolpovertà nazionale. “L’analisi mostra che i bambimente.”39
ni e i giovani ne furono particolarmente colpiti”,
con il 75% di essi che vivevano in povertà. La
Questo effetto non è circoscritto all’America
disoccupazione crebbe dal 13% nel 1998 al 22%
latina. Alcuni studi sull’Indonesia e sull’impatto
nel maggio del 2002, con un ulteriore 22% della
della crisi finanziaria che la colpì nel 1997 hanno
popolazione argentina senza un impiego. 37
mostrato che le aree con la maggiore uguaglianza
Ripercussioni sulla distribuzione della
di reddito furono quelle in cui vi fu un aumento
più marcato delle disuguaglianze40, e che le fasce
ricchezza
più penalizzate furono i poveri che abitavano nei
Come si è visto per l’Argentina, le crisi financentri urbani.41Questo effetto non restò circoziarie accrescono la povertà, anche se possono
scritto ai PVS. Infatti, uno studio preliminare su
avere effetti non ugualmente distribuiti tra la
Stati Uniti e Regno Unito condotto dall’Organizpopolazione. Il rapporto Unicef mostra che la
zazione Internazionale del Lavoro concluse: “i
distribuzione del reddito in Argentina fu meno
risultati dimostrano che la crisi ha anche generaequa all’indomani della crisi, con un aumento
to un aumento della disuguaglianza dei redditi,
del coefficiente di Gini da 0,50 a 0,53. Nonostante
sia perché i lavoratori a basso reddito sono stati
la diminuzione generale dei redditi, quelli degli
quelli maggiormente a rischio di perdere il loro
strati più poveri si abbassarono in modo molto
13
È ora di un nuovo consenso
lavoro sia anche perché i trasferimenti sociali
sono solitamente più bassi dei guadagni percepiti
in precedenza.”42
Anche la letteratura globale riscontra risultati
simili. Un documento della Banca Mondiale che
ha studiato 30 anni di recessioni in 72 paesi ha
concluso che “la volatilità e soprattutto gli eventi
negativi di grande entità (come, per esempio, le
crisi macroeconomiche) hanno ripercussioni negative e durevoli sull’uguaglianza e sulla povertà,
oltre a produrre cali di iscrizioni scolastiche.”43
I riscontri di uno studio preliminare condotto da
ricercatori del Programma per lo Sviluppo delle
Nazioni Unite su 25 paesi (sia ricchi che in via di
sviluppo) che esaminava 100 anni di crisi hanno
rilevato che “i casi in cui, a seguito di una crisi, vi
era una tendenza all’aumento delle disuguaglianze erano la maggioranza.”44
Ripercussioni sull’infanzia
La crisi finanziaria globale del 2008 ha anche
avuto delle gravi ripercussioni sul benessere dei
bambini e non solo nei paesi che si trovavano al
centro della tempesta finanziaria. Caroline Harper e Nicola Jones della commissione di esperti
dell’Overseas Development Institute evidenziano che, come indicano le ricerche in materia, le
crisi si ripercuotono sui bambini attraverso “i
tagli di spesa sui servizi sociali, l’aumento della
disoccupazione e della sottoccupazione, il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’erosione del
capitale sociale ed un ridotto accesso al credito.
Gli effetti sull’infanzia passano anche attraverso
le stesse famiglie, che stabiliscono come ripartire
tempo e spese e cosa consumare (con cambiamenti soprattutto riguardo al cibo) oltre che decidere se togliere i figli da scuola o assumere altro
lavoro, riducendo così il tempo dedicato all’accudimento dei bambini e portando all’aumento del
lavoro minorile.”45
Uno studio degli effetti della crisi finanziaria
del 2008 sui bambini di El Salvador fornisce dei
dati interessanti sul modo in cui persino i paesi distanti dall’epicentro di una crisi possono
subirne le conseguenze attraverso questi canali
di trasmissione. Alla fine del 2008 “la probabilità
di frequenza scolastica dei bambini di età compresa tra i 10 e i 16 anni è diminuita di 2,1 punti
Bangladesh
Foto ©Elena Cavassa
percentuali. Per coloro che invece continuavano
ad andare a scuola, la crisi si è palesata con un
cambiamento della tipologia di scuola, con un
aumento della probabilità di frequentare una
scuola pubblica pari a 5 punti percentuali.”46
Le analisi riguardanti le crisi finanziarie precedenti nei PVS forniscono dati più preoccupanti.
Riassumendo alcuni studi accademici su questi
legami di causalità, un gruppo di ricercatori
dell’Overseas Development Institute e dell’Università del Sussex hanno riscontrato in Messico
un aumento della mortalità infantile dal 5% al
7% in solo un anno dopo la crisi finanziaria del
1995. Percentuali simili sono state registrate
anche in Tailandia, in Indonesia e nelle province
settentrionali dell’Argentina a seguito delle crisi
finanziarie che le avevano interessate. Si sono
inoltre avuti contraccolpi in altri ambiti quali
l’alimentazione, la sanità, i risultati scolastici e la
disoccupazione giovanile. 47
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
14
Ripercussioni di genere
Mentre è molto difficile provare un diverso
impatto sulle donne delle politiche sulla mobilità
dei capitali che sia direttamente ricollegabile al
genere, si è invece studiato l’impatto di genere
delle crisi finanziarie. Dato che le politiche legate
ai movimenti di capitali incidono sulla crescita
oltre che sulla frequenza delle crisi finanziarie,
incidono anche su occupazione, redditi e altri
fattori che presentano tutti una dimensione di
genere.48
Vi è una forte evidenza empirica che dimostra
che le crisi economiche e finanziarie hanno
impatti differenziali sulle donne e sugli uomini.
In particolare, un esame dei dati da parte degli
economisti della Banca Mondiale ha notato un
notevole impatto in ambiti quali la sanità e la
mortalità infantile: “Mentre bambini e bambine
beneficiano in egual misura degli shock positivi
sul PIL procapite, gli shock negativi, invece, risul-
tano molto più dannosi per le bambine che per i
bambini.”49 Molti effetti non sono dovuti a semplici indicatori economici, come la percentuale
di occupazione femminile, ma alle molteplici
pressioni a cui sono sottoposte le donne in tempi
di crisi finanziaria, tra cui la necessità di procurarsi entrate aggiuntive, spesso nel settore informale, mentre permane l’onere di svolgere i lavori
domestici. Possono insorgere tensioni all’interno
dei rapporti familiari e, con il diminuire dei
redditi familiari, le donne possono trovarsi ad
affrontare maggiori sacrifici per proteggere i figli
dagli effetti della crisi.50
Questi dati sono stati confermati anche da una
serie di studi di casi sulla crisi finanziaria asiatica, in cui la volatilità dei capitali è stata chiamata
in causa tra i fattori scatenanti. “Le donne (e le
famiglie con donne capofamiglia) sono state in
linea di massima più colpite dalla disoccupazione
e dagli effetti della crisi sui redditi in Corea, Malesia, Filippine e Tailandia.” Lo studio ha rilevato
un maggiore aggravio delle attività salariate, un
aumento di abusi e molestie sessuali sul posto di
lavoro, maggiori violenze domestiche contro le
donne e, in alcuni casi, una diminuzione delle
iscrizioni scolastiche di bambine.51
Anche i periodi di crescita hanno
delle ripercussioni
È indiscutibile che i cicli che alternano fasi di
espansione a fasi di contrazione dell’economia e
della mobilità finanziaria portano povertà, disoccupazione e sofferenza. I cambiamenti repentini
portano un’alta disoccupazione, un peggioramento degli indicatori sociali ed un’involuzione
rispetto all’eliminazione della povertà e allo
sviluppo umano, che si traduce in una mancata
tutela dei diritti economici e sociali delle persone, soprattutto delle fasce vulnerabili. Non sono
solo le contrazioni a causare problemi; le fasi
di crescita, associate a rapidi afflussi di capitali,
comportano altri tipi di problemi, in quanto spingono al rialzo i prezzi dei beni (sia sul mercato
azionario che su quello immobiliare) e provocano un apprezzamento della valuta. Problemi
che non dipendono dal potenziale crollo a cui il
periodo di espansione potrebbe indurre.
Sri Lanka 2001 Foto Carlo Dojmi
15
È ora di un nuovo consenso
Diseguaglianza
quanto la domanda di valuta locale sale mentre
i flussi sono in piena espansione. Questo caso
ricorda il “male olandese”, che descrive la situazione in cui si trovarono i Paesi Bassi negli
anni Sessanta e Settanta a seguito della scoperta
di bacini di gas sul loro territorio. La scoperta
generò un aumento delle esportazioni e del valore della valuta locale, legato ai vasti afflussi di
denaro che entravano nel paese a causa di queste
esportazioni. Nonostante questo periodo di forte
crescita delle esportazioni, i Paesi Bassi registrarono i loro livelli più bassi di produzione manifatturiera e conseguentemente
La ricerca dimostra che, nei fatti, i
I costi della
55
boom dei mercati azionari, se assocrescita sono legati di occupazione. Con l’apprezzamento
della valuta nazionale, l’industria maniciati a politiche di liberalizzazione
a
un
aumento
delle
fatturiera olandese diventò poco comdei mercati finanziari e dei movidisuguaglianze
ed
petitiva rispetto ad altri paesi e iniziò
menti di capitali, portano vantaggi
un processo di deindustrializzazione.
solo a coloro che già si posizionano
un’erosione della
Mentre il caso olandese ebbe come
nelle fasce di reddito più alte. Uno
coesione sociale
causa il forte afflusso di dollari generastudio condotto da economisti della
to dall’esportazione di materie prime, lo
Columbia University sugli effetti
stesso accade quando grandi quantità di dollari
della liberalizzazione dei movimenti di capitali
o di altre valute estere affluiscono in un paese in
in 11 paesi e che contiene dati precisi sulla distriun periodo di capital flow bonanza.
buzione dei redditi, mostra che “a seguito di una
liberalizzazione, la classe media ‘soffre’ mentre il
Con la globalizzazione dei commerci, l’apprezceto superiore [il 20% della popolazione] ne trae
zamento della valuta legato ad afflussi di capitali
profitto”.52 Il processo di liberalizzazione finana breve termine può, nel giro di poco tempo, riziaria avviato in India nei primi anni Novanta ha
durre drasticamente la base manifatturiera di un
dimostrato di aver contribuito a generare magpaese. Una deindustrializzazione di questo tipo
giori disuguaglianze invece di ridurle.53
non implica però una crescita rilevante dell’occupazione in altri settori, soprattutto non nel breve
Il settore finanziario, acquistando potere, lo too medio termine, generando sia un calo dell’ocglie alle industrie manifatturiere, ai produttori di
cupazione stabile che una minore capacità proaltri servizi e soprattutto al cittadino comune. In
duttiva. La base manifatturiera di una paese non
uno studio empirico sul livello di liberalizzazione
si può ricostruire facilmente una volta che gli
del conto capitale in vari paesi, il valore aggregaafflussi di capitali calano e il valore della valuta
to del reddito nazionale destinato alla manodoritorna a livelli normali. Alla fine, quando per la
pera scende con l’aumentare del livello di liberavaluta sopravvalutata da afflussi non sostenibili
lizzazione, soprattutto nei paesi ad alto reddito.
di capitali arriva l’inversione di tendenza, anche
L’autore sostiene che “la mobilità dei capitali può
in assenza di una crisi finanziaria vera e propria,
produrre notevoli effetti negativi sul potere d’acla base manifatturiera è ormai svanita, lasciando
quisto dell’intera classe lavoratrice” in quanto
dietro di sé minore occupazione, minori esportafornisce ai datori di lavoro un maggiore potere
zioni e minore attività economica complessiva.56
contrattuale, legato alla maggiore facilità con cui
54
possono minacciare di trasferirsi altrove.
La preoccupazione legata alla deindustrializzazione è uno degli aspetti legati ai flussi di capitali
Deindustrializzazione
che gode di minore attenzione, dato che potrebbe
I periodi di espansione, quando sono accompanon manifestarsi immediatamente, nonostante
gnati da flussi finanziari non sostenibili, possopossa creare una serie di problemi economici.57
no generare un apprezzamento della valuta, in
I costi della crescita sono legati a un aumento
delle disuguaglianze ed un’erosione della coesione sociale. I momenti di espansione creano dei
gruppi di interesse che possono falsare il concetto di bene pubblico perseguito da uno stato e
piegarlo agli interessi di una piccola minoranza.
In particolare, aumentando il peso degli interessi
finanziari, essi riescono ad esercitare maggiori
pressioni sui governi e finiscono con l’impossessarsi dei sistemi di regolamentazione.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
16
Evasione fiscale e problemi legati
alla riservatezza
più facile evitare di pagare le tasse sul reddito
derivante dai propri beni se questi hanno
un domicilio diverso da quello di residenza,
specialmente se si tratta di un paradiso fiscale,”
aggiungendo che questo rapporto tra flussi di
capitali ed evasione fiscale “diventa tanto più
rilevante quanto più liberalizzati sono i flussi
finanziari.”61 Da qui le preoccupazioni che la
liberalizzazione dei movimenti di capitali e dei
flussi finanziari stia facilitando l’evasione fiscale.
Un altro problema nodale connesso all’incapacità
dei paesi di produrre un gettito fiscale sufficiente
sono i flussi finanziari incontrollati e dichiarati
solo in parte. Coloro che intendono evitare o evadere la tasse possono usare la liberalizzazione
dei flussi finanziari per raggiungere i loro scopi
con più facilità. Il volume di gettito fiscale perso è
immenso; un rapporto dell’organismo di ricerca
Global Financial Integrity del
I ricercatori che lavorano
gennaio 2011 stima che i PVS Già nel 1999, l’economista della
per trovare come sconfiggere
stanno perdendo somme di
Banca Mondiale John Williamson l’evasione e l’elusione
denaro sempre più ingenti.
fiscale sostengono che la
ammise che la liberalizzazione
Mentre la stima per il 2006
dei movimenti di capitali avrebbe liberalizzazione dei movimenti
oscillava tra 856 miliardi e
finanziari ha bloccato uno
potuto favorire il ricorso ai
1,06 trilioni di dollari, nel
dei fattori più importanti
2008 la perdita andava da
paradisi fiscali.
della lotta all’evasione fiscale,
1,26 trilioni a 1,44 trilioni di
ossia le semplici informazioni
dollari.58 Anche i paesi ricchi
sui flussi finanziari. Senza alcun dato sulla
hanno registrato perdite, nonostante sia molto
fonte, la destinazione, la proprietà o la finalità
difficile avere delle stime globali. In un libro del
di un flusso finanziario transfrontaliero, è
2004, l’ex uomo d’affari internazionale Raymond
praticamente impossibile rendersi conto se si
Baker pubblicò le sue conclusioni a seguito di
tratta di evasione fiscale.62
otto anni di ricerca su evasione fiscale, fuga di capitali, riciclaggio di denaro e corruzione e stimò
Potenziali vantaggi degli afflussi
che i flussi transnazionali su scala globale amdi capitali
montavano a una cifra che andava da 1,1 trilioni
a 1,6 trilioni annui.59
I flussi di capitali, come tutti gli investimenti,
comportano dei rischi. Tuttavia, la natura
È difficile ottenere stime per ogni singolo
transnazionale di alcuni flussi comporta rischi
paese; una ricerca sindacale del Regno Unito
aggiuntivi che vanno oltre quelli legati a progetti
ha calcolato che il solo Regno Unito perde
di investimento normali. È quindi importante
quasi 25 miliardi di sterline (40 miliardi di
bilanciare i rischi con i potenziali benefici.
dollari) all’anno per colpa dell’elusione e della
La storia economica dimostra che i paesi che si
pianificazione fiscale, situazioni agevolate
sono sviluppati con successo sono stati aiutati
soprattutto dal libero movimento dei capitali da e
da capitali stranieri, anche se questi ultimi
verso conti off-shore e paradisi fiscali.60
non sono stati l’unico e neanche il principale
fattore di successo. Come è stato spiegato al
La soluzione migliore la potrebbe fornire un
Capitolo 2, la Commissione sulla Crescita ha
pieno accordo internazionale per lo scambio
riscontrato che questi capitali stranieri non
automatico di informazioni fiscali ed una
arrivavano in economie completamente aperte.
ritenuta di imposta obbligatoria sui beni
Ci sono certamente alcuni movimenti di capitali
detenuti all’estero, ma tutto questo non sembra
che possono generare dei risultati positivi.
essere di prossima realizzazione. Già nel
Generalmente, sono da preferirsi investimenti di
1999, l’economista della Banca Mondiale John
più lunga durata che forniscono benefici o effetti
Williamson ammise che la liberalizzazione dei
di ricaduta supplementari. Nelle categorie dei
movimenti di capitali avrebbe potuto favorire il
flussi di capitali descritte nel riquadro 2, l’IDE ha
ricorso ai paradisi fiscali. Osservò che “è molto
più probabilità di avere una durata più lunga e
17
È ora di un nuovo consenso
portare maggiori benefici.
Gli IDE sono stati oggetto di un’enorme quantità
di pubblicazioni e analizzarle in questa sede
va oltre gli obiettivi di questo lavoro. Molta
letteratura celebra i benefici degli IDE nei PVS.63
Le riforme del ‘clima degli investimenti’
che mirano a rendere più facile le attività
imprenditoriali soprattutto attraverso i confini
sono state l’oggetto del rapporto Doing Business,
la pubblicazione di punta della International
Finance Corporation (IFC) della Banca Mondiale.
Con le giuste condizioni e le giuste politiche, gli
IDE potrebbero generare degli effetti positivi
quali la diffusione di informazioni, gli effetti
dimostrativi, il trasferimento di tecnologie, lo
sviluppo delle filiere locali e l’apprendimento
attraverso la pratica.64 Tuttavia, Dani Rodrik
dell’Università di Harvard sostiene che i dati
empirici a disposizione potrebbero anche
non confermare la loro importanza.65 Bisogna
chiarire che gli IDE
possono implicare costi
notevoli e che persino
IDE stabili di lungo
termine potrebbero
avere delle implicazioni
sull’industrializzazione,
la bilancia dei
pagamenti,
la tassazione,
l’occupazione
e altri fattori
macroeconomici.66
Per bilanciare questi
fattori, è importante
concentrarsi sulla qualità piuttosto che sulla
quantità degli IDE.67 Per
conseguire i possibili
vantaggi legati agli IDE
non è necessario aprire a qualsiasi tipo di investimento e neanche a qualsiasi tipo di IDE. Dato
che la classificazione dei flussi non è perfetta
e che quindi la distinzione tra gli IDE e i flussi
di portafoglio può essere alquanto arbitraria, è
importante essere selettivi. La selettività rispetto agli IDE può contribuire ad assicurare che
essi rispettino le strategie nazionali di sviluppo,
come accadde nel processo di industrializzazione
nell’Asia orientale.68 Un’economia in cui i movimenti dei capitali siano totalmente liberalizzati
rende impossibile effettuare una selezione degli
IDE. D’altro canto, le regole sugli investimenti in
entrata potrebbero dare impulso ai tipi di investimenti auspicati e disincentivare quelli troppo
rischiosi o indesiderati per altri motivi.
Controllo degli squilibri del
commercio globale
I flussi e gli squilibri finanziari discussi in
precedenza non sono indipendenti dall’economia
reale. I crescenti volumi di capitali hanno fatto
conoscere al mondo commerci più intensi e
maggiori disavanzi della bilancia commerciale.
Questi disavanzi testimoniano che il consumo di
importazioni in alcuni paesi, come gli stati Uniti
e il Regno Unito, è stato costantemente più alto
delle esportazioni. I conti
correnti di questi paesi
sono quindi in costante
deficit. La situazione
opposta caratterizza
invece i paesi con
avanzi di conto corrente,
come la Germania, il
Giappone e la Cina.
Queste differenze sono
finanziate con variazioni
dei livelli delle riserve
e dei flussi finanziari
sul conto capitale. Si
può concludere che i
flussi di capitali sono
strettamente connessi
con i deficit commerciali
di un paese.
La capacità di alcuni
paesi – e soprattutto degli Stati Uniti – di
convivere con deficit enormi e persistenti
– e con le relative eccedenze che hanno
attratto la finanza entro i loro confini, hanno
consentito loro di vivere al di sopra dei loro
mezzi, sostenendo così la crescita sul credito
piuttosto che attraverso risparmi e investimenti.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
18
Dall’altro canto, invece, i paesi emergenti e in
via di sviluppo hanno mantenuto delle riserve
prudenziali di dollari guadagnati vendendo
prodotti agli Stati Uniti. Gli squilibri su scala
globale sono stati una delle cause più importanti
della crisi economica e finanziaria e continuano
ad essere un problema serio.
Sono molti i motivi per cui i PVS hanno
accumulato queste riserve, tra cui, per esempio,
la mancanza di meccanismi di coordinamento
dei cambi, la posizione del dollaro in quanto
valuta di riserva internazionale, gli insuccessi
del FMI e il desiderio di assicurarsi contro
le crisi finanziarie. In particolare, dopo
aver visto il ruolo del FMI durante le crisi
finanziarie asiatiche, la percezione da parte
dei governanti dei PVS delle conseguenze
politico-finanziarie negative a cui si può
andare incontro rivolgendosi al FMI ha favorito
accumuli di riserve.69 L’accumulo di queste
riserve prudenziali è un fattore importante
nell’insorgere degli squilibri globali. Se si pone
un freno ai rischi legati ai flussi di capitali e alle
interruzioni improvvise degli investimenti con
relative inversioni di tendenza, i paesi avrebbero
meno bisogno di grandi quantità di riserve.
Gli squilibri globali sono anche causati da
un eccessivo risparmio nei paesi in surplus e
da risparmi insufficienti in quelli deficitari.
Alcuni sostengono che i paesi in surplus, primo
fra tutti la Cina, stanno manipolando i loro
tassi di cambio per conservare i loro avanzi
di bilancio, ma lo stesso ragionamento non
è mai applicato a grandi paesi eccedentari
come la Germania. Piuttosto che etichettare
un paese come manipolatore di valuta, si
possono mettere in campo degli strumenti e
delle politiche di controllo dei flussi capaci
di rallentare gli accumuli di riserve sia nei
paesi eccedentari che in quelli deficitari. Ciò
consentirebbe anche il miglior funzionamento
di politiche monetarie e fiscali indipendenti,
ossia mirate alle priorità nazionali. Questo è un
punto cruciale per affrontare i problemi legati
agli squilibri; i paesi con eccessi di risparmio
hanno bisogno di applicare tutte le loro politiche
macroeconomiche congiuntamente a politiche
sociali per favorire un uso migliore del loro
19
È ora di un nuovo consenso
surplus di risparmio, piuttosto che usarlo per
finanziare il deficit statunitense.
Inoltre, l’applicazione coordinata di tecniche di
controllo della circolazione dei capitali potrebbe
contribuire al controllo degli afflussi e dei
deflussi di denaro da paesi quali gli Stati Uniti.
Infatti, gli Stati Uniti, pur avendo grandi deflussi
di capitali privati, vantano al contempo flussi in
entrata ancora più ingenti, investiti soprattutto
in quote del loro debito pubblico. Riprenderemo
questi concetti al Capitolo 5, ma qui affermiamo
che è possibile istituire incentivi e politiche volte
all’attenuazione degli squilibri.
4.Efficacia dei controlli
dei movimenti di capitali
Alla luce di quanto
illustrato nella sezione
precedente sui rischi
socioeconomici connessi
alla mobilità incontrollata
dei capitali e, di contro,
sui potenziali vantaggi
della regolamentazione di
questi movimenti, cittadini
e decisori delle politiche si
dovrebbero chiedere cosa
possono fare a riguardo.
I possibili provvedimenti per il controllo dei
movimenti di capitali, così importante per salvaguardare e aumentare il benessere delle popolazioni, meritano un’accurata riflessione. Questa
sezione analizza l’efficacia di diversi regimi di
controllo sulla circolazione dei capitali nel conseguire obiettivi a medio e lungo termine.
I PVS stanno già cercando di esercitare più
influenza sulla composizione e i volumi delle
ondate di capitali in entrata, anche se si è sollevato un ampio dibattito sull’efficacia dei metodi
usati e degli strumenti per prevenire le fughe di
capitali. E’ chiaro che non esiste uno strumento
macroeconomico perfetto né per liberalizzare
un’economia né tantomeno per regolamentarla.
Questa considerazione, tuttavia, non deve farci
evitare questo argomento o sottrarci alle nostre
responsabilità. Attraverso una visione chiara della situazione e decisioni pragmatiche, infatti, si
può ottenere il pacchetto di strumenti più adatto
al profilo di una data economia e di una situazione macroeconomica.
Panoramica generale
Un documento del FMI pubblicato nel 2010
analizza l’esperienza dei governi con regimi di
controllo della circolazione dei capitali e osserva
che “l’uso dei controlli sui capitali era visto come
strumento per evitare alcuni dei contraccolpi
più pesanti sulla crescita derivanti dalla fragilità
finanziaria.” In particolare, gli autori osservano
che, durante una crisi finanziaria, il PIL diminuiva meno velocemente nei paesi che già adottavano queste politiche. Il documento cita le tasse che
il Brasile aveva imposto sul debito a breve termine e le politiche adottate dal Cile, dalla Colombia
e dalla Tailandia, che hanno istituito l’obbligo di
un deposito presso la Banca Centrale per ogni
afflusso di capitale a breve termine.70
Un documento del 201171 curato da un altro
dipartimento del FMI conferma che il controllo
dei movimenti di capitale può essere efficace
nello spostare la durata e la composizione dei
flussi finanziari in entrata. Segnala poi dati
discordanti riguardo alla riduzione del volume
totale dei capitali in entrata e al contenimento
dell’apprezzamento valutario. Vi sono dati
discordanti in generale sull’efficacia dei
controlli sui movimenti di capitale per arginare
l’apprezzamento valutario. Uno dei problemi più
grandi è che la letteratura di solito non valuta
l’efficacia delle varie tecniche di controllo dei
flussi di capitale per il raggiungimento di questi
obiettivi.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
20
C’è inoltre da aggiungere che la letteratura
empirica non parla molto dei cambiamenti
del contesto normativo internazionale che
potrebbero permettere ai vari regimi di controllo
di raggiungere questi obiettivi. Per esempio, un
coordinamento delle politiche di applicazione
delle regole dovrebbe, come si afferma nella
sezione successiva, portare a un miglioramento
efficace dei controlli sugli apprezzamenti
ingiustificati delle valute e sulle reazioni
eccessive (overshooting) dei tassi di cambio.
Limitazioni delle partecipazioni
straniere
negli Stati Uniti ed esigere impegni che possano
attenuare le minacce alla sicurezza nazionale.73
Il semplice rischio di ottenere una bocciatura
può far sì che un investitore straniero ritiri le sue
proposte d’acquisto, come per esempio successe
nel 2008 con la ditta Dubai Ports World. Un altro
caso datato 2007 fu il tentativo di acquisizione di
una società petrolifera statunitense relativamente piccola, la Unocal, da parte della terza società
petroliera più grande della Cina, la China National Offshore Oil Corporation. L’offerta d’acquisto
alla fine fu ritirata a causa dell’opposizione da
parte dei media e degli organismi legislativi statunitensi, dimostrando che sussistono limiti agli
investimenti esteri negli Stati Uniti che riguardano sia la sfera legale che quella delle pubbliche
relazioni.74
Uno strumento di controllo dei movimenti di capitali particolarmente efficace è quello di porre
dei limiti alla partecipazione di capitale straniero
L’Australia mantiene una Commissione di valunelle attività di un paese, limiti che possono intazione degli investimenti dall’estero (Foreign Interessare sia le società quotate in borsa che ditte
vestment Review Board, FIRB) ai sensi della legge
private. Queste azioni, che rappresentano un
del 1975 sulle acquisizioni straniere (Foreign
controllo su quali flussi finanziari possono entraAcquisitions and Takeovers Act) che permette
re in un paese, possono essere ispirati da diversi
al governo di vietare gli investimenti di capitali
principi, che vanno dalla sicurezza nazionale a
stranieri se considerati “contrari all’interesse namotivi di ordine macroeconomico, passando per
zionale”.75 Questo tipo di valutail sostegno ad alcune industrie
Uno
strumento
di
controllo
zione è stata usata ultimamente
strategiche nell’ambito di una
per bloccare degli investimenti
specifica politica industriale.
dei movimenti di capitali
da parte di società minerarie
particolarmente efficace
cinesi in alcune società minerarie
Gli Stati Uniti attualmente usaè quello di porre dei limiti
australiane. Nel 2009, l’Australia
no regolarmente questo tipo di
alla partecipazione di
bloccò l’acquisizione di una parregolamentazione per evitare i
tecipazione di controllo di Lynas
trasferimenti della proprietà di
capitale straniero nelle
Corporation, operante nell’estraalcune specifiche attività sotto il
attività di un paese
zione di terre rare, da parte della
controllo di imprese straniere. A
China Non-Ferrous Metal Mining,
tal fine, si avvalgono di normatiuna società mineraria a totale partecipazione
ve concernenti la sicurezza nazionale, evitando
pubblica. La FIRB impose all’impresa cinese di
così di applicare i propri trattati di investimento
limitare la sua partecipazione al 50%.76
(discussi nella sezione seguente). Con l’Emendamento Exon-Florio alla Legge omnibus sul
Molte economie dell’Asia orientale, comprese la
commercio e la concorrenza (Omnibus Trade and
72
Corea del Sud77 e Taiwan78, hanno usato questo
Competitiveness Act) del 1988 , il Parlamento
tipo di provvedimenti nell’ambito della loro podegli Stati Uniti ha imposto al Presidente statunilitica industriale per far sì che le loro economie
tense di mantenere un meccanismo di controllo
sviluppassero una vocazione industriale. Queste
di qualsiasi investimento estero “minacci di
strategie imitano comunque quelle che le ecocompromettere la sicurezza nazionale”. In base a
nomie di paesi attualmente sviluppati usavano
questa norma, il Comitato sull’Investimento Estedurante la loro fase di industrializzazione. Il
ro negli Stati Uniti, formato da rappresentanti di
professore di economia Ha-Joon Chang dell’Uni14 dipartimenti governativi del paese, ha facoltà
versità di Cambridge ha studiato il percorso di indi valutare ogni investimento straniero in entrata
21
È ora di un nuovo consenso
dustrializzazione di molti paesi che attualmente
sono ricchi e ha riscontrato che “nelle prime fasi
di sviluppo, i paesi attualmente sviluppati hanno
sistematicamente attuato dei comportamenti discriminatori nei confronti degli investitori esteri.
Hanno usato una serie di strumenti per costruire
l’industria nazionale: i limiti sulle partecipazioni,
i requisiti di prestazione sulle esportazioni, i trasferimenti di tecnologia o gli approvvigionamenti
locali, l’insistenza sulla necessità di costituire
delle joint venture con imprese locali e le barriere
agli investimenti in attività già operative (investimenti brownfield) attraverso fusioni o acquisizioni.” 79 Ha-Joon Chang conclude che “solo quando
l’industria nazionale raggiunge un certo livello di
raffinatezza, complessità e competitività, i benefici offerti dalla mancanza di discriminazione e
dalla liberalizzazione degli investimenti esteri
sembrano superare i costi.”
Controlli tradizionali sui capitali
in entrata
Come illustrato al Capitolo 2, i flussi di capitali
furono regolamentati nel periodo successivo alla
seconda guerra mondiale. Ciò non volle dire che
gli investitori di un paese non potevano investire
in altri paesi, ma solo che vi era una regolamentazione che era stata posta in essere per far fronte ai rischi legati agli investimenti e al bisogno di
gestire con prudenza la posizione macroeconomica del paese in questione.
Nel periodo postbellico, vi erano numerosi
strumenti di regolazione, tra cui spiccavano le
restrizioni valutarie. Infatti, i commercianti di
valuta estera dovevano essere registrati e fornire
alle autorità dati sul volume delle transazioni,
oltre a richiedere un’autorizzazione speciale
se volevano acquistare quantità di valuta estera al di sopra di un certo limite. Per esempio,
gli importatori e gli esportatori erano tenuti a
mostrare le fatture riguardanti grandi transazioni che implicavano valute estere. In alcuni casi,
furono adottati dei doppi sistemi di cambio, che
prevedevano tassi di cambio diversi a seconda
del tipo di transazione. Inoltre, spesso esistevano
dei limiti quantitativi ai flussi di capitali in entrata, volti a contenere il volume totale di questi
movimenti finanziari nell’economia nazionale.
Toro di Arturo di Modica, Liberty Plaza, New York.
Foto di Marie-Lan Nguyen (Flickr - licenza CC)
In questo modo, si intendevano evitare accumuli
insostenibili di eccedenze o disavanzi del conto
corrente e del conto capitale, a cui le autorità
non avrebbero potuto far fronte. Vi erano anche
sistemi di approvazione che potevano limitare gli
afflussi di capitali e richiedere delle licenze per
poter investire. Una volta sviluppati i loro sistemi
finanziari e i mercati azionari e obbligazionari
interni, i paesi iniziarono anche a regolare la
partecipazione degli investitori stranieri. Ciò
valse soprattutto per gli investitori di portafoglio,
che spesso erano grandi investitori istituzionali
provenienti da paesi ricchi. 80
Le maggiori critiche a questo tipo di controlli era
che creavano delle distorsioni nella distribuzione
delle risorse e che erano comunque inefficaci,
soprattutto nel prevenire crisi di bilancio o nel
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
22
Riquadro 3. Provvedimenti di
fatto e di diritto
A volte, i ricercatori possono avere difficoltà a
stabilire esattamente cosa va classificato come
regolamentazione dei movimenti di capitali e
questo complica il tentativo di valutare empiricamente l’efficacia di tali misure. Infatti, mentre è
facile individuare i provvedimenti tradizionali che
comportavano restrizioni quantitative, vi sono
una serie di altri provvedimenti usati nella consuetudine che non erano identificati formalmente
come controlli sui capitali. Persino l’esistenza di
una limitazione quantitativa potrebbe non bastare
ad indicare l’importanza dei provvedimenti. Per
sapere se ci si trova di fronte a un alto livello di
restrizione, occorre confrontarlo con la grandezza
dell’economia e con i precedenti volumi e le precedenti tendenze dei flussi.
Inoltre, se in alcuni paesi vigevano dei controlli,
gli investitori e le istituzioni finanziarie cercavano
spesso di evitarli, rendendo tali provvedimenti
meno efficaci. Di consuetudine, i ricercatori notavano se un paese aveva delle restrizioni valutarie,
anche se attraverso questa modalità di valutazione binaria non si riusciva a distinguere una regolamentazione più morbida da misure più decise.
Diversi ricercatori hanno provato a costruire indici
per misurare la profondità di un provvedimento
acquisendo i risultati di fatto oltre che i provvedimenti normativi.90
controllare la volatilità dei tassi di cambio. 81
Quando si parla dei tipi di controllo più problematici, quasi tutti i commentatori pensano
soprattutto ai controlli valutari e ai doppi sistemi
di cambio, sia quelli autorizzati ufficialmente che
quelli del mercato nero. Infatti, la ricerca mostra
che questi controlli sono stati oggetto di abusi
ed usi impropri, mentre comportano alti costi in
alcuni PVS.82 Tuttavia, non tutti i casi presentano
le stesse problematiche e ci sono dati che mostrano che altri paesi, soprattutto quelli con grande
capacità amministrativa e di applicazione delle
normative nel settore finanziario, eseguono efficacemente controlli generalizzati sui capitali. Ciò
è confermato da una recente valutazione dell’efficacia dei controlli sui capitali da parte del FMI,
che ha riscontrato che “in Cina e India, paesi che
mantengono controlli più estesi, i differenziali
sui tassi di interesse restano alti e costanti nel
tempo. Questa conclusione conferma la tesi che i
controlli sono più efficaci nei paesi con più controllo sui flussi di capitali.”83
La Cina, l’economia in più rapida espansione del
23
È ora di un nuovo consenso
mondo e che si appresta a diventare l’economia
di gran lunga più grande al mondo, mantiene
ancora uno dei più estesi regimi di controllo sugli
afflussi di capitali. Seppure gli IDE non abbiano
più l’obbligo di accedere attraverso delle joint
venture, gli investimenti di portafoglio e di altro
tipo sono soggetti a severi controlli e le transazioni valutarie sono ancora sottoposte a pesanti
regolamentazioni. I non residenti non possono
partecipare a fondi nazionali del mercato monetario o ai mercati dei derivati e possono solo
investire in alcuni tipi di strumenti sui mercati
azionari e obbligazionari.84 Secondo uno studio
condotto da economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali, mentre la Cina ha avuto un
forte aumento dei flussi finanziari transfrontalieri, ciò non ha comportato una minore efficacia
dei controlli da parte dello stato. Anzi, “nonostante i controlli cinesi sui capitali non siano stati
ineccepibili,” i ricercatori hanno riscontrato che
“i controlli effettuati dalla Cina sui capitali restano sostanzialmente vincolanti. Ciò ha permesso
alle autorità cinesi di mantenere un certo livello
di autonomia monetaria di breve termine, nonostante il tasso di cambio fisso.”85
L’India, anch’essa una delle economia in più
rapida espansione al mondo, mantiene ancora dei controlli sugli investimenti in entrata in
numerosi settori oltre che sui flussi di portafoglio. Il settore bancario e quello distributivo sono
ancora fondamentalmente chiusi agli investimenti dall’estero, nonostante vi siano proposte di
aprire la distribuzione. Gli stranieri non possono
acquistare debito pubblico e possono solo investire in azioni attraverso degli investitori istituzionali stranieri registrati.86 Mentre l’India sembra
esercitare controlli più morbidi sui movimenti
di capitali rispetto alla Cina, tanto che alcune
ricerche hanno riscontrato una ridotta indipendenza della sua politica monetaria87, altri studi
recenti hanno mostrato che il paese mantiene
comunque una notevole indipendenza.88 L’ex governatore della Banca Centrale indiana YV Reddy
ritiene che l’atteggiamento prudente e pragmatico adottato dalla sua banca nei confronti della
liberalizzazione dei movimenti di capitali sia uno
dei motivi fondamentali del buon andamento
dell’India sia durante la crisi finanziaria asiatica
degli anni Novanta che nella crisi finanziaria
Manifestanti a Austurvöllur - Islanda
La “Kitchenware revolution” in Islanda fu organizzata dal movimento sociale
denominato “Raddir Fólksins”, guidato da Hördur Torfason. La protesta cominciò
all’indomani del collasso del sistema bancario e della conseguente decimazione
dell’economia islandese agli inizi di ottobre 2008.
del 2008. Senza generalizzare sulla direzione dei
controlli della mobilità dei capitali, Reddy sostiene che “un controllo appropriato dei movimenti
di capitali è fondamentale sia per la crescita che
per la stabilità.”89
Regolamentazione dei deflussi
di capitale
Come descritto in precedenza, la Cina e l’India
conservano ancora dei programmi importanti
di controllo dei movimenti di capitali. Questi
programmi riguardano sia i flussi in entrata che
quelli in uscita. Vi sono comunque molti altri
paesi che tendono ad avere uno o più strumenti attivi e spesso si concentrano sul problema
contingente. I paesi che si trovano a far fronte
ad ondate di capitali naturalmente tenderanno
verso un controllo degli afflussi, mentre invece
quelli che rischiano improvvise fughe di capitali,
soprattutto da parte dei residenti, potrebbero
tentare di usare provvedimenti sui capitali in
uscita. Questo tipo di controlli si registra più
frequentemente nel corso di una crisi finanziaria per cercare di arginare la fuga dei depositi
bancari verso altre giurisdizioni. Gli economisti
Ethan Kaplan dell’Università della California Berkeley e Dani Rodrik dell’Università di Harvard
Le manifestazioni si tennero ogni sabato dalla metà di ottobre 2008 fino alla fine di
gennaio 2009 nella piazza Austurvöllur davanti all’Alþingishús, sede del Parlamento
islandese. La protesta portò alle dimissioni del primo ministro islandese Geir Haarde e
del suo governo il 26 gennaio 2009. (Fonte: Wikipedia)
Foto: Oddur Benediktsson (Flickr, CC Share Alike - attribution)
spiegano che “un paese si può trovare di fronte
a comportamenti di panico da parte dei creditori, con una corsa alle riserve anche quando il
paese ha dei fondamentali solidi. In questi casi,
la sospensione temporanea della convertibilità
dei capitali può fermare la fuga e concedere del
tempo ai decisori delle politiche per adottare
un’azione correttiva.”91
La risposta della Malesia alla crisi finanziaria
asiatica della fine del 1998 rappresenta l’esempio
più famoso di questi tipi di controllo. Il governo decretò il rimpatrio di tutta la valuta locale
(il ringgit malese), regolamentò severamente le
transazioni internazionali e offshore in ringgit,
istituì per i malesi l’obbligo di autorizzazione per
effettuare investimenti all’estero e chiese agli
investitori stranieri sul mercato azionario interno di trattenere nel paese i proventi di qualsiasi
vendita di titoli azionari per 12 mesi prima di
rimpatriarli nel loro paese di origine.92 Kaplan e
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
24
Riquadro 4.
Il caso del Brasile*
Tra il 2008 e il 2011, gli investimenti
a breve termine, noti come flussi
di carry-trade, invasero il Brasile e
gonfiarono artificialmente il valore del
real, la valuta locale, mettendo in pericolo la competitività delle esportazioni
industriali brasiliane. L’imposta sull’acquisto di titoli azionari e obbligazionari da parte di capitali esteri in vigore
dal 2009 mira a ridurre i rischi legati
a questi afflussi, in particolare i rischi
di cambio, oltre che ad aumentare lo
spazio per la politica monetaria. I dati
indicano che questi controlli si sono
dimostrati efficaci nel rallentare i flussi di capitale in entrata e nel ridurre
l’apprezzamento valutario. L’improvvisa inversione di tendenza dei flussi
verso metà settembre rappresenta un
insegnamento sia sul perché è prudente agire in modo preventivo e sia
sul controllo e il peso che può esercitare la politica macroeconomica.
Liberalizzazione, crisi del 1998
e conseguenti strascichi
Nei primi anni Novanta, il Brasile avviò la liberalizzazione del commercio
e della finanza per stabilizzare i prezzi
e, allo stesso tempo, creare un’economia di mercato. Nonostante le riforme
riuscirono con successo a ridurre
l’inflazione e attrarre investimenti,
esse portarono anche all’aumento
del disavanzo del conto corrente e a
una maggiore volatilità finanziaria,
che precipitò il paese nella crisi del
1998-99.104
L’apertura dell’economia, parallelamente agli alti tassi di interesse,
attirarono capitali speculativi, che nel
1998 uscirono improvvisamente dal
paese a causa dell’incertezza e del rischio di contagio generato dal default
della Russia e dalla crisi finanziaria
asiatica dello stesso anno. Questo improvviso deflusso di capitali accelerò
la crisi finanziaria e obbligò il governo
a lasciar fluttuare il real per evitare il
completo prosciugamento delle proprie riserve estere. Nel 1999, il Brasile
abbandonò il suo sistema di cambio
*
Questo riquadro si basa su Rompere lo
stampo: Come l’America latina sta affrontando i flussi volatili di capitale. Per una
descrizione dettagliata del caso di studio relativo al Brasile, si veda http://www.brettonwoodsproject.org/breakingthemould
25
È ora di un nuovo consenso
“scorrevole” ma sostanzialmente fisso
(crawling peg) e inaugurò una politica
monetaria basata su obiettivi di inflazione (inflation targeting).
La strategia brasiliana contribuì così a
rendere stabile il livello generale dei
prezzi e portò a una crescita costante,
anche se più lenta rispetto ai paesi
confinanti.105 Essa contribuì inoltre
ad attirare ingenti quantità di investimenti esteri sia di breve che di lungo
termine, aumentando l’esposizione
del paese a choc esterni e in particolare ai rischi legati alla volatilità dei
flussi di capitali. Tra il 2008 e il 2011,
gli investimenti a breve termine,
noti come operazioni di carry-trade,
invasero il paese, approfittando degli
alti tassi di interesse. Questi flussi
gonfiarono artificialmente il valore
del real, che si apprezzò del 46%
rispetto al dollaro tra la fine del 2008
e l’agosto del 2011 (si veda il grafico
4), minacciando la competitività delle
esportazioni industriali brasiliane.106
Efficacia dei controlli sui
movimenti di capitali
Nell’ottobre del 2009, durante un’ondata di afflussi di capitali, il governo
istituì un’imposta del 2% sugli acquisti
di azioni e obbligazioni da parte di
capitali esteri (successivamente chiamata IOF1, Imposto sobre Operações
Financeiras) al fine di evitare l’apprezzamento ingiustificato della valuta
locale. Il ministro delle Finanze Guido
Mantega spiegò che la tassazione dei
capitali esteri aveva come obiettivo la
regolamentazione, non la generazione
di profitti, e che mirava a bilanciare
l’ingresso di capitali esteri nell’economia brasiliana e arrestare la scalata
del real rispetto alle altre valute. Una
volta annunciata e istituita la IOF1,
si alleviarono anche le pressioni sul
tasso di cambio.107 Ci si rese conto,
però, che si era creato uno spazio per
l’evasione e quindi, nel novembre del
2009, il governo introdusse una tassa
dell’1,5% sulla vendita di depositi
esteri nel paese, chiamata IOF2 per
distinguerla dalla precedente.
Nell’ottobre del 2010, il governo
aumentò l’imposta IOF1 al 4%. Il
Segretario del Tesoro Arno Augustin
affermò che l’IOF si proponeva da un
lato di dissuadere gli investitori di breve termine dallo speculare su un’eventuale volatilità dei tassi di cambio e
dall’altro di attrarre gli investimenti a
lungo termine. Tuttavia, tre settimane
dopo, il governo dichiarò che questi
provvedimenti non avevano ridotto
abbastanza l’apprezzamento della
valuta e quindi annunciarono un ulteriore aumento dell’IOF1 al 6%. Infine,
a dicembre 2010, il governo decise di
ridurre nuovamente questa imposta
al 2% a partire da gennaio del 2011.
Nella sua analisi statistica, Kevin
Gallagher, professore all’Università
di Boston, ha riscontrato che le tasse
introdotte in Brasile nel 2009 e nel
Grafico 5. Composizione degli afflussi di capitali esteri (%)
Investimenti diretti esteri
Investimenti di portafoglio esteri
Altri investimenti esteri
Fonte: Banco Central do Brasil
Grafico 6. Brasile – Tasso di cambio effettivo del Real (indice, 2000=100)
1% tax on
derivatives
Fonte: Instituto de Pesquisa Econômica (IPEA)
2010 “sono correlate a livelli più
bassi di apprezzamento valutario e
a un rallentamento della velocità di
apprezzamento.” Un altro dato è che
i controlli sono riusciti a creare più
spazio per la politica monetaria.108 È
interessante notare, sempre grazie
a Gallagher, come l’efficacia fosse
maggiore quando l’IOF1 fu aumentata
al 6%. Lo studioso afferma che questi
dati coincidono con le affermazioni
di alcuni amministratori di fondi, che
si lamentavano che “l’attrattiva del
carry trade era parecchio diminuita”
dopo l’innalzamento della tassa al 6%,
“specialmente per gli investitori che
operavano su archi temporali minori
di un anno.”
prezzamento della valuta nell’ordine
dell’1,2% circa”.110
Quando si affronta il tema delle tasse
sui flussi di capitali in entrata, bisogna
chiedersi se il tasso di questa imposta sia abbastanza elevato oppure se
sarebbe il caso di innalzarlo ulteriormente. Nel contesto attuale, che vede
l’ingresso di ingenti flussi di capitali
e alti guadagni nel settore finanziario, appare improbabile che ulteriori
regolamentazioni o imposte provochino problemi di bilancio o scarsità
di capitali. Inoltre, gli investitori a
breve termine continuano a ricevere
incentivi e vantaggi troppo grandi per
farsi scoraggiare da una tassa al 2%.
Infatti, gli alti tassi di interesse sono
Altre valutazioni iniziali corroborano
accompagnati da esenzioni fiscali sui
l’efficacia dei controlli. Nel luglio 2010, guadagni ricavati dai capitali esteri
dopo aver concluso la sua consultache investono in debito pubblico.111
zione periodica a norma dell’Articolo
Questi vantaggi, in vigore dal 2006,
IV, il FMI dichiarò che la tassa istituita incentivano gli investimenti a breve
nel 2009 aveva verosimilmente un
termine. A questo punto, per valutare
impatto sul rallentamento dei flussi di questi incentivi, sarebbe utile definire
capitali in entrata.109 Analogamente,
un quadro macroprudenziale geneEduardo Levy Yeyati e Andrea Kiguel,
rale.
ricercatori all’Università Torcuato
Di Tella, hanno analizzato l’impatto
Nel settembre del 2011, vi erano molti
dell’IOF1 e hanno riscontrato che il
riscontri di una persistente volatilità
real brasiliano “si era deprezzato di
dei flussi finanziari che entravano in
circa 1,1% al momento dell’introduzio- Brasile. Alla fine dell’agosto del 2011,
ne della tassa e di un ulteriore 0,9% il per frenare l’apprezzamento della
giorno successivo, appena il provvedi- valuta, la Banca Centrale ridusse il suo
mento fu digerito dai mercati, anche
tasso di interesse di riferimento dello
se questo effetto regredì parzialmente 0,5%. Questa mossa, parallelamente
in seguito. In definitiva, la loro analisi all’aumentata incertezza economica
indica che l’IOF ha portato a un deglobale causata dalla crisi dell’eurozo-
na, generò un’improvvisa inversione
dei flussi finanziari. Il mese successivo, il real subì un deprezzamento del
14% sul dollaro, spingendo la Banca
Centrale ad intervenire per la prima
volta dopo due anni per sostenere il
valore della moneta invece che per
mantenerlo a livelli più bassi.112
Il caso del Brasile mostra chiaramente
come gli investimenti speculativi a
breve termine possano destabilizzare un’economia e come, per contro,
delle politiche pragmatiche possano
contribuire ad isolare un paese dalla
crisi. L’IOF è il risultato di un modello pragmatico che mira a ridurre le
speculazioni valutarie e proteggere
l’economia da choc esterni, affrontando al contempo le restrizioni imposte
alla politica monetaria da un contesto
di economie aperte. Queste tasse appaiono efficaci nell’allontanare flussi
di breve termine indesiderati, mentre
contribuiscono a rallentare ulteriori
apprezzamenti del tasso di cambio
e aumentare lo spazio per la politica
monetaria. Inoltre, l’impatto destabilizzante di un’inversione repentina dei
flussi finanziari come quella del settembre 2011 sarebbe stato indubbiamente più forte in assenza di regole.
La preoccupazione principale dei decisori delle politiche e dei ricercatori
riguarda l’impatto che la speculazione
e l’apprezzamento della valuta potrebbero già aver avuto sulla capacità
industriale e sull’occupazione. Recenti
studi dell’IMF sui controlli dei capitali
riconoscono il loro ruolo di sostegno
alla stabilità del sistema finanziario
ma, allo stesso tempo, non considerano nella loro analisi la stabilità del
tasso di cambio reale. Una mancata attenzione verso questo fattore
comporta numerosi rischi, soprattutto
perché le ripercussioni negative di un
apprezzamento del tasso di cambio
sulla produzione e sull’occupazione
possono manifestarsi gradualmente,
ma quando lo fanno potrebbe già essere troppo tardi per tornare indietro.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
26
Rodrik, dopo aver esaminato una grande quantità di dati, suppongono che i controlli malesi
furono efficaci nell’isolare il ringgit dalla speculazione per concedere un po’ di respiro alle
politiche monetarie e fiscali e che inoltre permisero all’economia di riprendersi più velocemente
rispetto a quanto avrebbe fatto se avesse chiesto
un prestito al FMI.93
27
le banche “evitassero di usare la valuta estera
presente nelle banche per qualsiasi transazione
finanziaria di valuta.”95 Allora, il FMI sosteneva
quei provvedimenti96 e, a una conferenza tenutasi nel 2011 per valutare l’impatto delle misure di
contrasto alla crisi, il personale e i funzionari del
FMI conclusero che “i controlli sui capitali erano
necessari e sono attualmente considerati un utile
supplemento agli strumenti politici.”97
All’epoca, il FMI guardò con sospetto le manovre
della Malesia, affermando che avrebbero leso la
fiducia degli investitori. L’Ufficio indipendente
di valutazione del FMI (Independent Evaluation
Office, IEO) nel 2005 preparò una rassegna dei
comportamenti del Fondo nei confronti della
liberalizzazione dei movimenti di capitali e
considerò quattro esempi di controlli sui deflussi
di capitale, osservando che il FMI non li aveva
sostenuti in nessun modo, nonostante nei casi
della Tailandia e della Russia non fossero misure
ostili.94. Già nel 2008, invece, durante la profonda
crisi bancaria islandese, il FMI, in alcuni casi,
aveva iniziato a vedere le cose in modo diverso.
Nel pacchetto di prestiti concesso all’Islanda,
vi era praticamente il divieto di ogni deflusso
di capitale e si istituirono controlli valutari che
consentivano transazioni di valuta solo per le
esportazioni e le importazioni prioritarie, come
cibo e medicine. La Banca Centrale richiedeva
delle relazioni giornaliere per assicurarsi che
Nei casi della Malesia e dell’Islanda, le regolamentazioni dei flussi di capitali in uscita furono
introdotte in un contesto di grande speculazione
valutaria e grandi deflussi di denaro. Vi erano
controlli più efficaci e poca evasione. Purtroppo,
però, non è sempre così, come dimostrano i provvedimenti adottati dall’Argentina dopo la sua
crisi finanziaria del 2001. Nel 2002, si istituirono
una serie di controlli sulle transazioni estere da
parte dei residenti, che si dimostrò efficace nel
contesto di un nuovo quadro macroeconomico.
Nel 2007, furono applicate regole più severe, che
ebbero l’effetto di scoraggiare l’invio di denaro all’estero da parte di investitori istituzionali
locali, anche se le fughe di capitali continuano ad
essere una spina nel fianco per le autorità argentine, che puntano il dito soprattutto sul problema
dell’evasione fiscale e sull’uso di paradisi fiscali e
di giurisdizioni che garantiscono riservatezza da
parte dei residenti.98
Occupy Wall Street Zuccotti Park, 1 Liberty Plaza, New York
Foto Steve Minor (Flickr, CC Share Alike attribution)
Uno delle questioni relative all’efficacia dei provvedimenti sui deflussi di capitali è l’applicazione
delle regole. Tanto più le autorità riescono a regolare e monitorare le istituzioni finanziarie, tanto
migliori saranno i risultati. Inoltre, i deflussi devono anche avere una destinazione, che significa
che l’evasione delle regolamentazioni sui flussi di
capitali in uscita implica un certo grado di connivenza da parte della giurisdizione ricevente.
Queste situazioni potrebbero essere di natura
criminale o potrebbero semplicemente voler dire
che le autorità e le istituzioni finanziarie della
giurisdizione di arrivo fanno finta di non vedere
la fonte e l’eventuale carattere illegale dei flussi
finanziari. Un’applicazione reciproca favorirebbe
una minore evasione delle regole sui deflussi di
capitali se la comunità internazionale si impegnasse ad operare in modo congiunto, così come
è stato fatto per contrastare il riciclaggio di dena-
È ora di un nuovo consenso
Riquadro 5. I KIKO
Il termine KIKO sta per knock-in, knock-out ed è un
tipo di contratto derivato su valuta preparato su
misura. Un derivato è un contratto finanziario il cui
valore deriva dal valore di mercato di qualcos’altro,
come ad esempio un bene o un prezzo e si può
usare come strumento speculativo o per la copertura di un rischio. Un derivato su valuta permette
all’acquirente di assicurarsi un tasso di cambio
fisso e può, ad esempio, aiutare un esportatore
a pianificare in anticipo e ridurre il rischio che
deriverebbe dall’affrontare delle spese oggi nella
valuta locale prima di avere degli introiti in valuta
straniera in futuro.
Comunque, i derivati con opzione KIKO, che furono
venduti da banche della Corea del Sud a piccole
e medie imprese nel periodo antecedente alla
crisi finanziaria del 2008, assicurava solo contro
l’apprezzamento o il deprezzamento delle valute
all’interno di una serie concordata di limiti. Difatti, mentre in caso di un forte apprezzamento
l’opzione si estingue, in caso di un forte deprezzamento, al contrario, le banche possono esigere
ro e il finanziamento al terrorismo (norme AML/
CFT). In generale, i provvedimenti sugli afflussi
di denaro possono essere efficaci nell’arginare la
fuga di capitali in situazioni di emergenza, ma vi
è spazio di azione per una migliore progettazione
ed applicazione. Sarebbe ancora meglio adottare
misure preventive che diminuirebbero il bisogno
di ricorrere a regole sui capitali in uscita durante
una crisi.
Provvedimenti basati sui costi
e sulle imposte
Tra le misure più apprezzate per il controllo dei
movimenti di capitali vi sono i provvedimenti
basati sui costi o le imposte sui flussi finanziari.
L’esempio migliore è rappresentato dall’obbligo
di deposito infruttifero del Cile, attuato negli anni
Novanta. Si ha un obbligo di deposito infruttifero
quando un investitore straniero è tenuto a depositare una percentuale del valore del suo investimento in entrata presso la Banca Centrale, che
non gli corrisponderà interessi sul suo deposito e
che lo deterrà per un certo periodo di tempo. Nel
caso del Cile, il deposito corrispondeva al 30%
del capitale in entrata e restava presso la Banca
Centrale per un anno.
Il caso del Cile ha attratto più di una dozzina di
studi economici approfonditi dal 1991, anno in
che la ditta contraente venda loro una maggiore
quantità di dollari rispetto a quella contrattata, con
un conseguente rischio asimmetrico (downside
risk) enorme per l’esportatore in caso di deprezzamento della valuta.115
Seppure prima della crisi si prevedeva un forte
apprezzamento dello won coreano, alla fine del
2008, in soli quattro mesi, lo won fu deprezzato di
oltre 50%,116 esponendo le imprese che avevano
acquistato derivati KIKO a perdite enormi quando i
contratti vennero a scadenza. Le perdite però non
colpirono solo le imprese, che a volte acquistavano
derivati senza neanche validi ordini di esportazione
a loro sostegno. Infatti, quando alcune di queste
imprese fallirono, alle banche rimasero in mano
quei contratti, che spesso erano stati assicurati sui
mercati internazionali in dollari statunitensi. Di
conseguenza, le banche private rimasero esposte a
rischi di cambio molto alti e imprevedibili a causa
degli afflussi di capitale legati alla vendita del loro
contratto.
cui furono introdotti i controlli, conosciuti con il
nome di encaje, che durarono fino al 1998. Nonostante vi siano delle piccole variazioni nei dati,
la letteratura mostra che i controlli cileni furono
efficaci nell’attenuare i flussi di investimenti a
breve termine per favorire invece gli afflussi di
maggiore durata.99
Un documento preparato da ex impiegati della
Banca centrale cilena e da funzionari del FMI e
pubblicato dalla Commissione Economica per
l’America Latina (CEPAL) sostiene che i controlli
ebbero un effetto positivo, ma limitato. Aggiunge inoltre che i controlli “hanno contribuito a
contrastare i fattori espulsivi, allargando il differenziale, scoraggiando i flussi netti di capitale
in entrata, soprattutto quelli a breve termine, e
ricavando un maggiore spazio per attuare delle
politiche monetarie. Un’eliminazione precoce
dell’encaje durante l’ondata di afflussi di capitali
avrebbe attratto un volume ancora maggiore
di capitali dall’estero, aggravando gli squilibri
macroeconomici. Un’intensificazione dell’encaje,
invece, avrebbe avuto un’efficacia marginale e
limitata, per via dell’elusione e del limite imposto dagli afflussi di breve termine, già vicini allo
zero.”100
Lo studio di altre tasse di questo tipo in Brasile, Colombia, Croazia, Malesia a Tailandia ha
prodotto risultati simili, indipendentemente dal
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
28
e riducano le pressioni sul tasso di cambio reale
(anche se qui i dati sono più contrastanti). I controlli sui capitali in entrata non sembrano ridurre il volume dei flussi netti (e quindi il bilancio di
conto corrente)”.103
Misure di regolamentazione
L’evoluzione delle varie limitazioni ai movimenti
di capitali ha prodotto nuovi dispositivi di regolamentazione che si concentrano su alcuni specifici
elementi di rischio del sistema finanziario. Come
illustrato al Capitolo 2, quando i settori finanziari
sono deregolamentati, sia nei paesi ricchi che in
quelli in via di sviluppo, scoppiano una serie di
crisi finanziarie per via di meccanismi tra cui
si annoverano le cosiddette asset bubble, bolle
patrimoniali come quella di mercati immobiliari
sopravvalutati che finiscono per scoppiare. In
altri casi, le crisi sono causate da crolli di fiducia
che si creano da soli, pur in presenza di saldi
fondamenti economici. La deregolamentazione
del settore finanziario e la completa mobilità dei
capitali creano quindi un connubio che porta allo
scoppio di crisi.
Distretto finanziario di Toronto
Foto: Sookie (Flickr - CC Share Alike Attribution)
metodo usato per valutare la loro efficacia.101
Queste misure, che a volte sono paragonate a
dossi stradali, contribuiscono a selezionare i flussi di capitali provenienti da fonti predisposte alla
fuga, aumentando la stabilità e la qualità degli
investimenti in entrata. In realtà, possono anche
contribuire ad aumentare i flussi di investimenti
stabili e a lungo termine dato che si prevede che
in un paese che attua una gestione prudenziale
dei flussi di capitale il tasso di cambio e gli altri
rischi saranno più bassi.102
In un recente esperimento di analisi comparata sull’efficacia dei controlli dei movimenti di
capitali in entrata secondo il modello cileno si
sostiene che “sembra che i controlli sui capitali in
entrata rendano le politiche monetarie più indipendenti, alterino la composizione degli afflussi
29
È ora di un nuovo consenso
Dopo aver vissuto direttamente questi tipi di crisi, molti paesi stanno introducendo nuove misure
di regolamentazione per contrastarne i rischi.
Questi strumenti sono spesso definite “macroprudenziali”, per sottolineare che si tratta di
misure prudenziali, per cercare di controllare i
rischi, che hanno anche una portata macroeconomica, ossia non sono necessariamente mirate
alla stabilità della singola banca o istituzione su
cui vengono applicate. Dato che molta innovazione normativa in questo ambito ha avuto luogo
solo a partire dal 2009, non ci sono ancora molti
studi approfonditi rivolti all’applicazione di questi strumenti. E gli impatti a lungo termine non
possono ancora essere valutati. Comunque, i dati
raccolti fino ad oggi mostrano che queste misure
possono essere efficaci per controllare alcuni
rischi specifici.
È importante sottolineare che queste misure hanno una portata più circoscritta di quelle discusse
precedentemente, per cui alla fine hanno meno
forza per modificare alcuni effetti macroeconomici come i tassi di cambio o le scadenze degli
investimenti. Esse mirano più specificamente
a far fronte ai rischi di stabilità finanziaria che
emergono con l’aumento degli afflussi di capitali.
Un documento preparato dal FMI sull’argomento
evidenzia che “in generale, ci saranno una serie
di rischi e nessun singolo strumento potrà essere la panacea di tutte le preoccupazioni nella
maggior parte delle situazioni concrete,” e quindi
aggiunge che “il più delle volte, ci sarà bisogno di
pacchetti di strumenti, la cui composizione dovrà
adattarsi al singolo paese.”113
finanziarie a volte cercano di evitare le regole e
lo fanno soprattutto creando e mettendo sul mercato strumenti finanziari più esotici. Nel 2010/11,
la Corea del Sud impose delle limitazioni specifiche sui derivati in valuta estera a causa del loro
utilizzo eccessivo da parte di banche nazionali
ed estere. Queste restrizioni derivarono in parte
dal gran numero di compravendite di derivati in
valuta estera con opzioni KIKO che, con lo scoppiare della crisi, mandarono in fallimento molte
piccole e medie imprese (si veda il riquadro 5).117
Una delle misure usate più frequentemente sono
i controlli dell’esposizione in valuta estera, che
possono influenzare l’indebitamento in valuta
estera o il volume di asset denominati in valuta
estera. Mentre infatti le singole banche e aziende
possono godere di incentivi per contrarre prestiti
in valute estere grazie ai minori costi di finanziamento, il volume totale del debito in moneta
estera proveniente da tutte le imprese nazionali
potrebbe superare la capacità da parte dello stato
di fornire garanzie o di rassicurare gli investitori
sulla disponibilità di sufficienti riserve estere
che possano coprire i prestiti in essere. Di conseguenza, si raccomanda ai governi di controllare
questi rischi attraverso diversi tipi di limitazioni
all’indebitamento in valuta estera.
Nel giugno del 2010 intervenne la Banca Centrale
coreana, limitando il volume dei contratti derivati in valuta estera al 50% del capitale sociale
per le banche di proprietà locale. Furono inoltre
poste delle restrizioni sull’uso di derivati anche
alle banche di proprietà estera, ma stavolta con
limiti molto più elevati, pari al 250% del capitale
sociale, dato che le loro controllanti potevano
coprire il rischio di cambio. In questo modo, la
Corea sperava di arginare il debito a breve termine denominato in moneta straniera118 e, stando ai
dati iniziali, sembra che ci sia riuscita.119
Queste restrizioni si possono attuare usando
numerosi tipi di criteri prudenziali da applicare
ad ogni singola istituzione finanziaria del paese
come, ad esempio, le banche. Tra queste citiamo
le regole sui debiti/crediti in valute estere, sulle
vendite di titoli emessi localmente e denominati
in moneta estera (compresi i derivati), sui conti
bancari denominati in valuta estera e sull’intera
esposizione in valuta estera. Uno studio condotto
nel 2011 dal personale del FMI sull’efficacia di
queste misure in 41 economie di mercato emergenti ha riscontrato che l’applicazione di queste
misure contribuiva a limitare i livelli generali di
debito in valuta estera di quelle economie e, conseguentemente, anche i rischi connessi a questo
tipo di indebitamento.114
Naturalmente, la regolamentazione funziona
solo se può essere applicata e questo implica che
i paesi devono avere delle adeguate istituzioni di
regolamentazione. Le banche e le altre istituzioni
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
30
5.Ostacoli all’efficacia dei
controlli sui movimenti di capitali
Nonostante la presenza di
gravi rischi sociali (discussi
al Capitolo 2), le norme
internazionali sul controllo
dei movimenti di capitali
non hanno un carattere
di uniformità e non esiste
un quadro di riferimento
globale onnicomprensivo.
La grande apertura delle economie a cui si è
assistito nell’ultimo trentennio è stata attuata
sulla base di una serie di obblighi giuridici
internazionali, quali il Codice di liberalizzazione
dei movimenti di capitale dell’OCSE, il Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea e
l’Accordo Generale sugli Scambi di Servizi
dell’OMC, passando per svariate migliaia di
trattati di investimento bilaterali o regionali
e accordi di libero scambio con capitoli
dedicati agli investimenti. In questa sezione,
esamineremo alcuni ostacoli di natura normativa
a cui devono far fronte i paesi che vogliono
applicare gli strumenti discussi al Capitolo 3.
Tenere a mente questi ostacoli è indispensabile
per riflettere su come l’architettura della finanza
internazionale può cambiare per portare
sviluppo.
Controlli del FMI,
condizionalità e consulenza
Il FMI è stato uno dei principali sostenitori dei
regimi di economia aperta. Il Fondo gode di un
ampio mandato in materia di pagamenti in conto
corrente, ossia sostanzialmente sul commercio
di merci, mentre il suo ruolo in relazione ai conti
dei capitali è molto meno preciso. Eppure, non
solo ha posto le liberalizzazioni come condizione per avviare programmi di prestito, ma ha
anche guidato il movimento di pensiero che ha
promosso le liberalizzazioni degli anni Ottanta e
Novanta. All’atto della sua costituzione, il FMI era
31
È ora di un nuovo consenso
pieno di economisti che appoggiavano il sistema
di Bretton Woods e credevano che il controllo
dei movimenti di capitali avrebbe contribuito a
portare stabilità nella finanza internazionale. Nel
corso degli anni, invece, il carattere del Fondo
è cambiato, con l’ingresso nel suo organico di
un gruppo di sostenitori delle teorie descritte al
Capitolo 2. Il principio che la liberalizzazione
totale della mobilità dei capitali rappresentasse il
miglior sistema possibile divenne parte integrante del pensiero dei funzionari del FMI.120
Alla fine degli anni Novanta, i vertici del FMI
insieme a numerosi grandi azionisti tentarono
di modificare lo statuto del Fondo e introdurvi
un esplicito riferimento alla deregolamentazione
dei movimenti finanziari. Questo orientamento,
parte della tesi allora prevalente dell’infallibilità
dei mercati deregolamentati, era appoggiato sia
dai funzionari del Fondo che dai suoi maggiori
azionisti, quali gli Stati Uniti, il Regno Unito e
la Francia.121 Questo tentativo fu fermato solo a
causa delle terribili conseguenze della crisi finanziaria asiatica del 1997-8 e il successivo contagio
ad altri mercati emergenti, che avevano dato più
coraggio ai PVS nell’esprimere il loro dissenso
alla manovra.
Nonostante non si sia mai raggiunto un accordo
in materia, il Fondo ha promosso la liberalizzazione delle economie nelle sue attività di supervisione e di prestito.122 Tutto questo è in contraddizione con lo spirito dell’Accordo istitutivo del
FMI, che in realtà permette al Fondo di obbligare
i paesi a controllare la circolazione dei capitali
piuttosto che a liberalizzarla. L’Accordo istitutivo
del FMI garantisce ai suoi membri il diritto di
usare tecniche per il controllo dei capitali. Mentre il FMI richiede agli Stati membri di evitare
restrizioni sui pagamenti correnti, ossia pagamenti che solitamente riguardano il commercio
ordinario, essi devono anche cercare “di promuovere la stabilità, favorendo condizioni di base
economiche e finanziarie ordinate e un sistema
monetario che non provochi tensioni.”123
Vi è infatti un intero articolo dello statuto (l’Articolo VI), dedicato ai trasferimenti di capitali, che
mostra chiaramente che il mandato del FMI prevede che il Fondo consigli e in alcuni casi addirit-
(16 novembre 2009). Centinaia di contribuenti si riuniscono fuori degli uffici di
Goldman Sachs a Washington per consegnare una lettera all’amministratore delegato,
Lloyd Blankfein, chiedendogli di rinunciare ad incassare il suo bonus multi-milionario e
ad utilizzare invece questi soldi per aiutare le centinaia di migliaia di famiglie che stanno
subendo i pignoramenti. Washington, DC
Foto 2009 Kate Thomas / SEIU (Flickr - CC Share Alike attribution)
tura esiga dai paesi l’uso di controlli sui capitali
al fine di impedire “deflussi di capitali ingenti
o sostenuti”, ossia crisi finanziarie come quelle
viste in molti mercati emergenti. Questo articolo
vieta persino l’uso delle risorse del Fondo per
finanziare questi deflussi e dichiara che se “lo
Stato membro non esercita adeguati controlli,
il Fondo può dichiararlo decaduto dal diritto di
usare le proprie risorse.”124
Il FMI ha promosso la liberalizzazione delle
economie e ha censurato, sia in pubblico che in
privato, casi specifici di regolamentazione dei
movimenti di capitali. La valutazione del ruolo
del FMI condotta dall’Ufficio Indipendente di
Valutazione nel 2005 rilevò che “Le analisi del
FMI precedenti alla metà degli anni Novanta
tendevano ad evidenziare i vantaggi che i PVS
potevano trarre da un maggiore ingresso di flussi
di capitali internazionali, mentre dedicavano
relativamente meno attenzione agli eventuali
rischi derivanti dalla volatilità dei capitali.” A
partire dalla metà degli anni Novanta, le analisi
del Fondo iniziarono chiaramente a raccomanda-
re la liberalizzazione dei movimenti di capitali.
Parallelamente alle iniziative di modifica dello
statuto per dare al FMI un chiaro mandato di
liberalizzazione oltre che giurisdizione sulle politiche dei movimenti di capitale dei paesi membri,
i vertici e gli impiegati del Fondo ampliarono
l’operatività dell’istituto su questioni di mobilità
di capitali nelle consultazioni ex Articolo IV e
nell’assistenza tecnica, con lo scopo di sostenere
più attivamente le liberalizzazioni dei movimenti
di capitali.”125
Durante le discussioni sul modo di aumentare la
stabilità finanziaria mondiale dopo la crisi globale del 2008, il FMI ridefinì il suo ruolo riguardo
ai controlli sui movimenti finanziari. Nonostante
i numerosi documenti del Fondo che dichiarano
l’utilità delle regolamentazioni dei movimenti di
capitali, il quadro delle politiche presentato dal
FMI nel febbraio del 2011 era esageratamente
prudente riguardo l’opportunità e la tempistica
di provvedimenti di controllo dei movimenti
finanziari. Il Fondo consigliava di lasciare questi
provvedimenti come ultima opzione, una volta
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
32
sforzo maggiore per attenuare lo stigma verso
la regolamentazione dei flussi di capitali e salvaguardare la capacità dei paesi di istituire delle
regolamentazioni dei movimenti finanziari per
prevenire e alleviare le crisi.”127
Organizzazione Mondiale
del Commercio
esauriti tutti gli altri strumenti di politica macroeconomica.126 I PVS però hanno dei bisogni interni che devono avere la precedenza sul bisogno di
farvi defluire le ricadute delle politiche finanziarie dei paesi ricchi.
I professori Stephany Griffith-Jones e José Antonio Ocampo, entrambi dell’Università della
Columbia e Kevin Gallagher dell’Università
di Boston hanno pubblicato un documento di
analisi in cui si auspica un approccio alternativo. Riassumendo le discussioni di una task force
indipendente sul controllo dei flussi di capitali di
cui faceva parte anche il vice governatore della
Banca Centrale indiana Rakesh Mohan, gli autori sostengono che le prescrizioni del FMI “non
rappresentano dei buoni consigli per molti PVS”
e che invece i controlli sui movimenti di capitali
“dovrebbero essere considerati un aspetto essenziale del pacchetto di politiche macroeconomiche
di un paese e non semplicemente provvedimenti
di emergenza.” Il documento propone una serie
di linee guida per l’uso di questi controlli e invita
il FMI e altri organismi globali a “compiere uno
33
È ora di un nuovo consenso
Anche le trattative presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) hanno un notevole
influsso sulle politiche di regolamentazione dei
movimenti di capitale, a causa di accordi già in
essere e trattative future. L’OMC, infatti, ha un
Accordo Generale sul Commercio dei Servizi
(GATS), siglato nel 1995, che si occupa del commercio di attività immateriali. L’Articolo XI del
GATS impone ai membri di astenersi dall’imporre restrizioni ai trasferimenti e ai pagamenti
internazionali per transazioni correnti relative
agli impegni specifici assunti. Il GATS conteneva
inoltre una tabella di marcia per la liberalizzazione dei servizi finanziari con l’obiettivo di
deregolamentare gli scambi di servizi finanziari
attraverso i confini nazionali. L’OMC chiese così
ai paesi membri di assumere degli impegni sulla
liberalizzazione che comportavano automaticamente una maggiore liberalizzazione dei movimenti di capitali in quanto il paese interessato
doveva necessariamente permettere l’ingresso di
investimenti esteri ai fini di un loro ‘insediamento’ nel paese. Nella fattispecie, questo implica
l’insediamento di un istituto finanziario come, ad
esempio, una banca.128
Dato che gli impegni presi sulla base del GATS si
attengono a un trattato, diventa difficile modificarli quando dovesse sorgere la necessità. Secondo Chakravarthi Raghavan, esperto di trattative
commerciali presso il SUNS (South-North Development Monitor, Osservatorio sullo Sviluppo
Nord-Sud), “Nel migliore dei casi, la strada indicata dal GATS prevede un percorso progressivo
verso la convertibilità del conto capitale, ma ogni
fase di questo processo diventa irreversibile.”129
Non tutti i paesi hanno liberalizzato gli scambi di
servizi finanziari, mentre alcuni lo hanno fatto
senza aver previsto sufficienti protezioni o esenzioni, come per esempio nel settore previden-
ziale130, mentre i paesi ricchi premono per una
maggiore liberalizzazione.131Si teme inoltre che
una disposizione dell’allegato sui servizi finanziari dell’Accordo, sia alquanto ambigua quando
prevede la possibilità di adottare “provvedimenti
a titolo prudenziale”. Infatti, poi si precisa che
“Ove tali provvedimenti non siano conformi alle
disposizioni dell’Accordo, essi non vengono utilizzati come mezzi per eludere gli impegni o gli
obblighi che l’Accordo pone a carico dei membri.”132
oltre 50 anni e attualmente se ne contano oltre
2.800.135 Essi completano vari altri tipi di accordi
internazionali sugli investimenti (IIA), tra cui gli
accordi di libero scambio (FTA) con capitoli dedicati agli investimenti. Il numero totale di accordi
IIA ha superato i 6.000.136 Essi sono accordi esecutivi sulle norme che regolano gli investimenti
e sono vincolanti per i due paesi che li siglano.
Comunque, dato che solitamente contengono
clausole della nazione più favorita, i provvedimenti di un BIT o di altri IIA che si applicano a
un dato paese saranno estesi a tutti i paesi con
cui sussiste un accordo.
Nelle discussioni tenutesi in seno all’attuale
tornata di negoziati commerciali, i paesi ricchi
Questi accordi di solito conhanno presentato i cosiddetti
tengono dei provvedimenti a
‘temi di Singapore’, ossia dei
I trattati bilaterali per gli
favore della libertà dei paganuovi argomenti che volevano
investimenti
(BIT)
di
solito
menti correnti e dei movimenti
includere nei negoziati. Tra di
di capitale al fine di agevolare
essi vi era il tema relativo al
contengono dei provvedimenti
gli investimenti e rassicurare
commercio e agli investimenti, a favore della libertà dei
gli investitori. I trattati riguarcaldeggiato dai paesi ricchi e in
pagamenti correnti e dei
dano sia i capitali in entrata
particolare da quelli europei.
movimenti di capitale al fine
che quelli in uscita, offrendo
I negoziati avrebbero dovuto
protezione sia agli investimenti
trattare come e quando libera- di agevolare gli investimenti e
in entrata che al rimpatrio dei
lizzare gli investimenti esteri,
rassicurare gli investitori
profitti verso l’estero. Concon un conseguente impegno
tengono anche meccanismi
da parte di tutti i paesi membri
applicativi che consentono agli
dell’OMC su come ridurre le
investitori di sottoporre eventuali controversie
barriere agli investimenti, ivi comprese le recon i governi a un arbitrato vincolante per far
strizioni ai movimenti di capitali. I PVS, però, si
rispettare gli obblighi derivanti dal trattato. Inolopposero alla discussione di questi temi all’intertre, dato che di solito ci vogliono 10 anni perché
no dei negoziati commerciali e questo disaccordo
un recesso diventi effettivo, questi trattati sono
fu uno dei motivi alle origini del fallimento dei
difficili da trasgredire. I BIT americani sono tra i
negoziati di Cancun del 2003.133 Nonostante i PVS
si siano opposti al tentativo di inserire questi arpiù completi e rigorosi che ci siano e contengono
gomenti nell’ordine del giorno, vi è il rischio che
provvedimenti forti contro la regolamentazione
questi temi possano ripresentarsi nelle prossime
dei movimenti di capitali.137
tornate di negoziati. Gli attivisti, invece, hanno
sostenuto che si doveva permettere ai paesi di
Alla fine del gennaio 2011, oltre 250 economisti
recedere dagli impegni sottoscritti nell’ambito
inviarono una lettera al governo statunitense,
del GATS.134
esprimendo preoccupazione “riguardo l’entità
delle restrizioni applicate ai controlli sui capitali nei trattati USA in materia di commercio e
Accordi bilaterali
di investimenti “. La lettera recita che “data la
severità della crisi finanziaria globale e dei suoi
Se gli ostacoli politici presenti nel GATS e nella
strascichi, le nazioni avranno bisogno di tutti
consulenza del FMI in materia di politiche finangli strumenti a loro disposizione per prevenire
ziarie sono notevoli, essi sono probabilmente
e attenuare le crisi finanziarie. … Ricerche più
meno rigorosi di quelli contenuti negli accordi
recenti rivelano un crescente consenso riguardo
bilaterali in materia di investimenti. I trattati
l’opportunità di includere le tecniche per il conbilaterali per gli investimenti (BIT) esistono da
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
34
trollo dei capitali all’interno di quelle ‘scrupolose
misure macro-prudenziali’ auspicate dai leader
del G-20 al vertice di Seul.”138
I BIT e gli FTA sono particolarmente problematici
per il numero elevato di accordi siglati e perché i
paesi coinvolti non possono modificarne i provvedimenti.139
Altri accordi multilaterali –
Il Trattato di Lisbona e il codice
OCSE
Esistono anche accordi multilaterali che mirano
ad imporre la liberalizzazione dei movimenti
di capitali, con conseguenze potenzialmente
pericolose sia per i paesi sviluppati che per
quelli in via di sviluppo. L’accordo multilaterale
Nella UE, il recente Trattato di Lisbona ha traavente efficacia esecutiva più usato è il Trattato
sferito la competenza sugli accordi per gli invedi Lisbona dell’Unione europea. L’Articolo 63
stimenti ad istituzioni regionali europee. Questo
impone la libera circolazione dei capitali su tutto
vuol dire che, dal dicembre del 2009, gli stati
il territorio dell’Unione e vieta agli Stati membri
dell’Unione europea non devono più negoziaqualsiasi restrizione ai movimenti di capitali
re i singoli BIT con altri paesi e che gli accordi
anche con paesi terzi.145 Naturalmente, la crisi
verranno invece trattati a livello centrale.140 Al
bancaria scoppiata nel 2008 e poi diventata una
momento, nell’Unione circolano ancora pareri
vera e propria crisi finanziaria nel 2011 è stata
discordanti sulle modalità di attuazione di questo
influenzata da questo provvedimento. Durante la
passaggio di competenze e vi sono dubbi riguarcrisi del 2011, la Grecia ha visto enormi quantità
do lo status dei trattati già in essere.141 Nell’Uniodi capitali defluire dalle proprie banche.146 Paesi
ne Europea, il tema degli investimenti è incluso
come la Grecia all’interno dell’eurozona non
sempre più frequentemente negli acpossono adottare misure per arginacordi di libero scambio negoziati con
re la fuga di capitali dai mercati dei
Una volta intrapreso
PVS, denominati accordi di partenacrediti o dalle banche sui loro terririato economico (APE) se interessano il percorso della
tori. Oltre ai numerosi problemi che
paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). deregolamentazione,
attualmente affliggono l’eurozona,
A questo proposito, sono stati lancia- è molto difficile
i provvedimenti contenuti nel Tratti allarmi riguardo l’inserimento di
tato di Lisbona rendono più difficile
tornare indietro
impegni precisi che vieterebbero ai
l’adozione di eventuali misure per
paesi che siglano questi accordi con
affrontare la crisi.
l’UE di esercitare controlli sui movimenti di capitali.142
L’OCSE fu creata nel 1961 e contestualmente i
paesi membri aderirono a un Codice di liberalizUn’analisi dell’accordo di partenariato economizazione dei movimenti di capitale.147 Il codice non
co tra l’Unione europea e gli stati dei Caraibi del
è un trattato e quindi non implica gli stessi tipi di
CARIFORUM rivela che le parti “si impegnano a
obblighi del Trattato di Lisbona, ma crea certanon imporre alcuna restrizione alla libera cirmente l’aspettativa che i paesi OCSE liberalizzino
colazione dei capitali relativamente agli investitotalmente i movimenti dei capitali. Il codice non
menti diretti e alla liquidazione e al rimpatrio di
impone un’immediata liberalizzazione, ma la
detti capitali e di ogni utile che ne derivi. Così, gli
fissa come traguardo finale, tracciando un perAPE, come molti degli accordi di libero scambio
corso che i paesi membri devono seguire. L’OCSE
Nord-Sud, promuovono la massima apertura,
afferma di applicare il codice attraverso la “presderegolamentazione e liberalizzazione dei flussi
sione dei pari”.148 Alcuni flussi finanziari a breve
143
finanziari.” Partendo da questo esempio di
termine erano comunque rimasti fuori dal codice
politica commerciale europea, la ricercatrice
fino al 1989, quando il governo francese smise di
Myriam Vander Stichele conclude che “queste
opporsi alla liberalizzazione generalizzata e la si
norme impediscono ai paesi di avere la flessibiincluse nel codice, facendo sì che praticamente
lità necessaria per evitare una crisi finanziaria
tutti i flussi finanziari tra i paesi OCSE circolasseo per prendere provvedimenti durante una crisi
ro liberamente.149
finanziaria.”144
35
È ora di un nuovo consenso
Per i paesi che li hanno sottoscritti, sarebbe
difficile discostarsi dal Codice OCSE o dal Trattato
di Lisbona. Il Trattato di Lisbona in particolare
non consente all’UE di prendere in considerazione nuove norme concrete di stabilità finanziaria
o regolamentazioni dei movimenti di capitali a
favore di quei paesi europei e dei PVS che subiscono l’impatto di movimenti di capitali su larga
scala.
grandi vantaggi dalla speculazione e dalla volatilità generata da questa tendenza verso flussi
finanziari volatili e incontrollati. È altresì vero
che molti paesi beneficiano dei complessi meccanismi attraverso cui si muovono i flussi transfrontalieri. I regimi fiscali vantaggiosi di alcune
giurisdizioni, come ad esempio alcune parti degli
Stati Uniti e paesi come il Lussemburgo e i Paesi Bassi, prosperano grazie all’abolizione delle
regole sui flussi finanziari internazionali.
Gruppi di interesse politico
All’indomani della crisi finanziaria del 2009, vi
furono molte perplessità riguardo alle regole
finanziarie vigenti negli Stati Uniti e nel Regno
Unito e al loro utilizzo da parte degli organi di
controllo. Difatti, gli organismi di sorveglianza
del settore finanziario accoglievano ciecamente le tesi, i modelli e le preferenze dei soggetti
controllati (regulatory capture).153 Analogamente,
si è assistito anche al fallimento dell’operato di
istituzioni internazionali responsabili di controllare l’applicazione della regolamentazione finanziaria. L’ufficio interno di valutazione del FMI
affermò che il lavoro delle istituzioni nel periodo
precedente alla crisi fu “ostacolato da un forte
pensiero di gruppo, da una soggezione intellettuale e da un’attitudine mentale che non credeva
nella possibilità di una crisi finanziaria nelle
grandi economie avanzate, il tutto accompagnato
da un’impostazione analitica inadeguata.”154
Cosa ha fatto sì che le istituzioni sopracitate
adottassero queste politiche? Molti studiosi
hanno analizzato queste politiche a livello internazionale e hanno riscontrato una tendenziale
convergenza, influenzata dall’evoluzione della
composizione, delle idee e dell’azione strategica
del personale delle istituzioni di riferimento.150
Inoltre, l’effetto delle crisi nelle bilance dei pagamenti offre opportunità di grandi cambiamenti
di politica che altrimenti potrebbero non aver
avuto luogo. Per i potenziali beneficiari della
liberalizzazione dei movimenti di capitali, queste crisi rappresentano l’opportunità di allearsi
con leader politici che cercano soluzioni rapide,
come ad esempio afflussi di investimenti per
risanare un deficit di bilancio.151
Tuttavia, una volta intrapreso il percorso della
deregolamentazione, è molto difficile tornare
indietro. Gli ostacoli normativi descritti in precedenza servono a impedire il ritorno alle politiche
di prima. Le loro origini sono simili e sono da
ricercare nell’economia politica dei paesi più
potenti. Sottrarre gli strumenti concreti di regolamentazione dalle mani dei decisori politici
avvantaggia una serie di piccoli gruppi di interesse non rappresentativi nei paesi ricchi, oltre
che alcuni gruppi di interesse nei paesi in via si
sviluppo.152
Quindi, non c’è da sorprendersi se gli Stati Uniti
e il Regno Unito guidarono il movimento globale
per impedire ai decisori politici di usare questi
strumenti concreti ed efficaci. Questi paesi sono
le sedi dei maggiori centri finanziari, che esercitano una grande influenza sulla politica. Sia
Wall Street che la City di Londra hanno ottenuto
L’economista indiana Jayati Ghosh sostiene che
un simile fenomeno di regulatory capture si
ebbe rispetto ai flussi finanziari transnazionali.
Descrive come le potenti istituzioni finanziarie
degli Stati Uniti e del Regno Unito fossero costantemente alla ricerca di nuove opportunità di guadagno e, quando i mercati finanziari dei paesi
sviluppati si ritrovarono con crescenti liquidità
e minori rendimenti sul capitale, cercarono di
espandersi nei mercati emergenti.155 Questa tendenza si diffuse tra i paesi ricchi nel corso degli
anni Settanta, Ottanta e Novanta. Allo scoppio
della crisi asiatica del 1997, i paesi che sarebbero
entrati a far parte del Gruppo dei 20 erano praticamente tutti orientati verso una liberalizzazione
dei movimenti di capitali e dei settori finanziari.
Solo l’India e la Cina, i due paesi più grandi per
popolazione, avevano mantenuto dei controlli
importanti. E comunque persino l’India era coin-
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
36
volta in un programma di liberalizzazione che
sembrava dovesse riallinearla con gli altri paesi
che sarebbero entrati nel G20.
o giurisdizioni che garantiscono la riservatezza.
Ci si dovrà scontrare anche con vari gruppi di interesse, tra cui quello del settore finanziario, che
esige la deregolamentazione per ottenere vantagOra, invece, orientamenti dei governi di vari
gi individuali e che di solito non paga i costi delle
paesi potrebbero spostare gli attuali equilibri.
crisi finanziarie grazie ai “salvataggi” offerti dai
L’Argentina, ad esempio, ha eseguito una totale
suoi alleati al governo. I cittadini dei paesi ricchi
inversione di rotta a seguito della crisi finanpotranno contrastare queste pressioni iniziando
ziaria del 2001, lasciando da parte le sue rigide
a chiedere con forza ai loro governi di smettere
posizioni teoriche per assumere un atteggiamendi dare priorità agli interessi finanziari rispetto a
to più pragmatico che le ha permesso di ritornaquelli della società. Le loro richieste di maggiore
re a crescere e proseguire
regolamentazione andranno a
sulla strada della riduzione
favore sia della loro economia
Le potenti istituzioni finanziarie
della povertà.156 La Corea del
nazionale che di quella dei PVS.
degli Stati Uniti e del Regno
Seppure sussistano degli ostacoSud e il Brasile ebbero delle
Unito sono costantemente alla
li politici all’adozione di regole
crisi di bilancio al passaggio
concrete, i PVS non devono
del millennio. Sulla base
ricerca di nuove opportunità di
attendere che si formino iniziadell’esperienza dell’ultima
guadagno e, quando i mercati
crisi finanziaria, quando nel
tive coordinate su scala globale.
finanziari dei paesi sviluppati si
2008 assistettero nuovamenritrovano con crescenti liquidità
te a repentine interruzioni
e inversioni di rotta degli
e minori rendimenti sul capitale,
afflussi di capitale, oggi adot- cercano di espandersi nei mercati
tano con decisione criteri
emergenti.
più pragmatici, esprimendo
scetticismo rispetto al dogma
dell’intoccabilità dei flussi
finanziari. Un simile scetticismo è stato anche espresso
da altri grandi mercati emergenti e da molti PVS
minori.
Quando i decisori politici dei PVS mettono come
priorità la stabilità e lo sviluppo del loro paese
rispetto ai desideri degli investimenti mobili
dall’estero, possono iniziare a collaborare per
reintrodurre delle regole di buon senso. Vista la
validità dell’evidenza empirica e intellettuale a
sostegno di atteggiamenti cauti e pragmatici, il
consenso di cui godono le istanze di liberalizzazione è minore di quanto si possa credere.
Naturalmente, le politiche di regolamentazione
dei flussi finanziari si scontreranno con una forte
opposizione da parte degli interessi del settore
finanziario. Si faranno avanti altri oppositori,
come ad esempio i ceti abbienti dei PVS, che
hanno sfruttato la tendenza a deregolamentare completamente i movimenti di capitali per
spostare il loro patrimonio verso paradisi fiscali
37
È ora di un nuovo consenso
6. L’approccio multilaterale o bilaterale
Uno dei problemi più
evidenti è che i flussi
finanziari hanno
ormai un livello di
internazionalizzazione
ed ubiquità tale (come
descritto al Capitolo 2) che
risulta difficile immaginare
una transizione verso un
sistema più regolamentato.
Consapevoli degli enormi rischi legati all’apertura di un’economia e dei potenziali vantaggi che
assicurerebbe la regolamentazione (Capitolo 2),
quasi tutte le misure presentate al Capitolo 3 trovano un’applicazione unilaterale. Naturalmente,
questi strumenti potrebbero avere un’efficacia limitata in alcuni paesi e il loro uso provocherebbe
delle conseguenze sia per il paese interessato che
per gli altri paesi integrati nel sistema finanziario
internazionale. In questa sezione, si sostiene che
un maggiore coordinamento a livello internazionale accompagnato dalla rimozione degli ostacoli
discussi al Capitolo 5 aiuterebbe i PVS a far fronte
ai flussi finanziari in modo più efficace.
Iniziative unilaterali e conseguenze
Le iniziative unilaterali sono state sacrificate per
decenni al perseguimento dogmatico della liberalizzazione. La crisi finanziaria, invece, ha riportato in auge questi strumenti, il cui impiego comporta comunque delle conseguenze. Potrebbero
infatti prodursi degli effetti interni indesiderati,
come la riduzione del credito disponibile, mentre
gli speculatori e altri investitori trasferirebbero
semplicemente i loro investimenti su altri paesi,
territori o settori.
Innanzitutto, è importante riconoscere che
quando si tratta di flussi internazionali di capitali non esiste una parità di condizioni tra le varie
economie coinvolte. Infatti, mentre molti paesi a
Foto Michael Daddino (licenza CC Share Alike, Flickr)
reddito medio hanno vissuto per decenni periodi di abbondanza di capitali, per i paesi a basso
reddito, invece, gli aumenti di afflussi di capitali
privati sono un fenomeno abbastanza recente. Il
grado di volatilità di questi afflussi non ha tenuto conto della dimensione di queste economie e,
trascurando questo aspetto, ha generato delle crisi.157 I paesi a basso reddito e le economie meno
grandi non hanno la stessa capacità di mettere in
atto delle regolamentazioni dei movimenti di capitali. Ciò può essere dovuto a questioni di capacità amministrativa oppure alla struttura stessa
del sistema finanziario nazionale. Per esempio, i
paesi con un sistema bancario a partecipazione
prevalentemente straniera avranno molte più
difficoltà nell’introdurre e far rispettare provvedimenti prudenziali per gestire i rischi derivanti
dalla mobilità dei flussi finanziari. In particolare,
nelle piccole economie di molti PVS, alcuni dei
provvedimenti più lievi e calibrati discussi al Capitolo 3 potrebbero facilmente venire schiacciati
da volumi nominalmente contenuti di capitali
provenienti dai paesi ricchi. La potenza di fuoco
finanziaria dei ricchi investitori internazionali è
infatti smisuratamente più grande delle contromisure a disposizione di molti paesi.
L’attuazione di nuove misure di controllo dei
movimenti di capitali potrebbe inoltre generare
degli effetti collaterali indesiderati. Nei PVS dove
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
38
vigono controlli sugli afflussi di capitale, si è riscontrata infatti una minore disponibilità di credito per le attività più piccole158,, a cui comunque
si può ovviare facendo ricorso ad altri strumenti
a disposizione dei governi. Istituzioni finanziarie
statali o finanziate dallo stato possono usare il
loro bilancio per favorire la concessione di linee
di credito ad alcune imprese facenti parti di
settori specifici o aventi determinate dimensioni.
Molti paesi sviluppati hanno già varato numerose politiche in materia di prestiti alle imprese
minori come per esempio l’accordo del Project
Merlin159 con gli istituti bancari del settore privato per il sostegno delle piccole imprese. Analogamente, istituzioni di sviluppo per il finanziamento del settore privato come la Società finanziaria
internazionale della Banca mondiale (SFI) o
la Banca europea per gli investimenti offrono
prestiti alle banche nei PVS che successivamente
potranno essere destinati a finanziare le piccole
imprese.
Non è stato accertato che l’effetto collaterale delle
tecniche unilaterali di controllo dei capitali sia
di spostare la totalità dei flussi finanziari su altri
paesi. Nel caso degli strumenti basati sui prezzi, come le imposte introdotte in Brasile, alcuni
flussi continueranno comunque ad affluire. Alcuni di essi diventeranno flussi a lungo termine
o IDE piuttosto che flussi di portafoglio, oppure
si trasformeranno in altri strumenti per potere
aggirare i controlli. Un’altra fetta di questo volume di capitali resterà nel paese di origine e sarà
dirottata su altri veicoli di investimento. Un’altra
porzione, infine, sarà probabilmente fatta deviare su un paese terzo.
Alcuni economisti potrebbero definirli effetti di
ricaduta degli strumenti di controllo adoperati.
Questa sarebbe una rappresentazione ingiusta,
in quanto le misure di controllo dei movimenti
finanziari nascono generalmente come risposta
agli effetti di ricaduta delle politiche adottate
nei paesi da cui provengono i flussi. Spesso, le
politiche adottate nei paesi di origine dei flussi
finanziari internazionali in un quadro di rallentamento economico in qualche modo stimolano
la mobilità del capitale, attraverso per esempio bassi tassi di interesse o un alleggerimento
quantitativo (che praticamente significa “creare
39
È ora di un nuovo consenso
moneta”). Altri motivi di queste politiche potrebbero essere una volontà di portare avanti la deregolamentazione o altre modifiche nell’ambito
delle politiche finanziarie. Anche questi iniziative sono prese in modo unilaterale e spesso senza
considerare le possibili conseguenze a livello
internazionale.
Gli ultimi dati empirici forniti dal FMI rivelano
che i potenziali effetti di ricaduta delle politiche
di controllo dei flussi su paesi terzi sono limitati.
Infatti, mentre in alcuni casi i flussi si espandono
verso paesi confinanti, in altri casi essi diminuiscono.160
Nel settembre del 2011 è uscito il primo Consolidated spillover report del FMI (Relazione consolidata sugli spillover, ndt), che analizza gli effetti
generati sulle altre economie da parte delle
politiche di cinque importanti economie a livello
planetario: gli Stati Uniti, la Cina, il Regno Unito,
l’eurozona e il Giappone. Il documento riconosce
che una stretta della politica monetaria statunitense (attraverso per esempio l’innalzamento
dei tassi di interesse) “invertirebbe l’aumento
degli afflussi di capitali e valuta verso i mercati
emergenti” che, detto in altri termini, vuol dire
che la disinvolta politica monetaria degli Stati
Uniti ha contribuito a generare quei flussi monetari.161 Un’altra ricerca empirica del FMI rileva
che “l’influenza della politica monetaria nelle più
grandi economie avanzate sui tassi di interesse
mondiale indica che queste economie possono
avere notevoli effetti sui flussi di capitale [verso
le economie di mercato emergenti].”162
Da questa dissertazione risultano esserci due
possibilità per far fronte in modo più efficace
alla volatilità e alla rischiosità dei flussi di capitali. Le misure unilaterali hanno certamente una
loro funzione, ma presentano anche dei limiti.
La prima opzione sarebbe allora di affrontare
la volatilità e i rischi connessi ai flussi finanziari
alla fonte. Una seconda opzione, invece, sarebbe
di mettere in campo nei paesi di destinazione
delle soluzioni coordinate, in modo da aumentarne l’efficacia. La via più efficace, in fin dei conti,
potrebbe nascere da un’unione delle due opzioni,
specialmente se si concertassero attraverso degli
accordi sottoscritti da tutti i soggetti coinvolti.
Politiche relative ai paesi d’origine
Dato che i flussi hanno origine in poche giurisdizioni – si pensi che nel 2010 gli Stati Uniti,
l’eurozona e il Regno Unito da soli generarono
il 70% dei deflussi totali163– le politiche adottate
in questi paesi meritano particolare attenzione.
I politici dei principali PVS, tra cui i ministri
delle finanze di Sudafrica, India e Brasile, hanno
chiesto a gran voce che ci fosse una più ampia
discussione sulle politiche adottate nei paesi
di origine.164 Alla fine, il Consiglio esecutivo del
FMI ha affrontato l’argomento nel novembre del
2011, ma sul tavolo vi era solo qualche debole
tentativo di trovare una soluzione.
Il FMI ha rilevato che le politiche macroeconomiche – soprattutto quelle monetarie – e la regolamentazione del settore finanziario nei paesi
ricchi hanno delle ricadute importanti sui flussi
di capitali verso i PVS. Si è inoltre evidenziato
che non è solo la dimensione dei flussi ad esserne intaccata, ma anche la loro rischiosità. Eppure, dopo avere appreso i dati, il FMI, nel complesso, non ha proposto ai paesi ricchi di adottare
provvedimenti importanti, limitandosi invece a
un commento retorico: “Le autorità prudenziali
nazionali dovrebbero tenere a mente i rischi
connessi alle attività finanziarie transfrontaliere
e le istituzioni nelle loro giurisdizioni dovrebbero prepararsi ad adottare delle misure per farvi
fronte.”165 Tuttavia, il Consiglio esecutivo del FMI
non ha preso l’iniziativa di chiedere ai paesi
ricchi di valutare attivamente l’impatto delle loro
scelte di politica monetaria sui PVS. E così, mentre il Consiglio esecutivo del FMI è stato concorde
sull’utilità di una migliore regolamentazione
finanziaria nei paesi ricchi, il FMI deve ancora
proporre delle specifiche politiche di attenuazione dei rischi.166
Come trattato al Capitolo 4, gli strumenti di controllo dei movimenti finanziari possono riguardare sia i capitali in entrata che quelli in uscita.
I paesi sviluppati, che rappresentano la fonte di
questi flussi potrebbero per esempio applicare
alcuni strumenti sui deflussi di capitale dalla
propria giurisdizione. I professori Stephany
Griffiths-Jones e Kevin Gallagher asseriscono che
questi sarebbero addirittura benefici per l’econo-
mia statunitense.167 Vi sono dei precedenti a questo riguardo, anche se in un contesto finanziario
molto diverso da quello di oggi. Infatti, negli anni
Sessanta, gli Stati Uniti introdussero un’imposta
di perequazione degli interessi per cercare di
arginare la fuga di capitali. La misura, adottata
nel 1963, è stata in vigore per 11 anni ed ha tassato l’acquisto sia di debito che di partecipazioni
avvenuto in guirisdizioni straniere168.
Un’imposta sui deflussi non è comunque l’unica
misura da applicare ai capitali in uscita: i paesi
ricchi potrebbero anche istituire una specie di
obbligo di deposito infruttifero, che costituirebbe
un’imposta indiretta.
Nell’ambito delle politiche di regolamentazione
finanziaria, vi sono anche molte altre possibilità.
Per esempio, si potrebbero mettere dei controlli sull’esposizione in valuta estera degli istituti
finanziari, come cercò di fare la Corea del Sud
adottando delle regole prudenziali. Dato che le
istituzioni finanziarie con base negli Stati Uniti
ma che operano su scala mondiale sono coinvolte
in un modo o nell’altro in una grande percentuale dei flussi di capitali, l’introduzione di questo
provvedimento negli Stati Uniti potrebbe generare grandi vantaggi per i PVS. Gli strumenti di
regolamentazione finanziaria attualmente al
vaglio nei paesi ricchi, come ad esempio gli indici
di leva finanziaria o gli indici di liquidità, potrebbero anche essere modificati per disincentivare
i deflussi a breve termine e premiare invece gli
investimenti produttivi a lungo termine, capaci
di generare sviluppo sostenibile. Questi provvedimenti dovrebbero essere improntati al contrasto dei flussi speculativi a breve termine e alla
promozione di investimenti a lungo termine nei
PVS che non posseggono grandi capitali.
Dato che gli Stati Uniti e il Regno Unito, sedi dei
centri finanziari più avanzati al mondo, ultimamente non hanno attuano provvedimenti sui movimenti di capitali in uscita, bisognerebbe impegnarsi ad elaborare e perfezionare le norme per
evitare una facile evasione di queste. Ciò farà temere l’abbassamento della competitività di quello che, soprattutto in paesi quali il Regno Unito, è
ormai un settore molto importante dell’economia
nazionale in termini di proventi da esportazione.
Queste preoccupazioni, provenienti da specifici
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
40
gruppi di interesse, si potranno superare grazie
coordinamento delle politiche a livello regionale
all’intervento di soggetti di quel paese che siano
sembra un buon punto di partenza.
motivati dall’interesse pubblico.
Tutte le misure dovranno essere elaborate in
Realizzando degli accordi regionali per il coordinamento di strumenti di controllo omologhi da
collaborazione con i PVS per accertarsi che non
usare sull’intera regione, si aumenterebbe anche
causino problemi dovuti alla riduzione di investil’efficacia degli strumenti stessi. L’ulteriore vanmenti che invece sono necessari. Questo lavoro
congiunto dovrebbe svolgersi all’interno di uno
taggio di un quadro regionale è che spesso esistospazio di discussione che goda della fiducia di
no già istituzioni che possono ospitare le tratentrambe le parti e che sia gestito in modo equo,
tative per il coordinamento di queste politiche.
democratico, trasparente e responsabile. La
Un esempio tra tutti viene dall’Asia orientale,
diminuzione dei movimenti di capitali privati
dove l’Associazione dei Paesi del sud-est asiatico
che potrebbe manifestarsi a seguito della rego(ASEAN) più il Giappone, la Corea e la Cina, che
lamentazione dei flussi nei paesi di
hanno dato vita a una formazione
origine potrebbe essere compensachiamata ASEAN+3, ha preso dei
È necessario avere un
ta da interventi di finanza pubblica
provvedimenti per migliorare la
maggiore coordinamento cooperazione finanziaria a livello
migliori per qualità ed erogazione.
Oltre a rispettare i propri impegni
regionale e globale sulle regionale 169. Il lavoro fatto ridi aiuto, i paesi ricchi potrebbero
guardo l’istituzione di un fondo di
politiche riguardanti
sostenere l’espansione di reti nazioriserva regionale che isoli i paesi
i flussi finanziari e il
nali e regionali di banche di svilupmembri dalla crisi e la creazione
po a partecipazione pubblica. Come controllo dei movimenti
di un mercato obbligazionario reper i programmi di aiuto, anche
gionale è il primo passo verso una
di capitali
molte di queste banche hanno bisoconcreta cooperazione finanziaria
gno di riforme radicali dei loro asregionale. Lo spazio ASEAN+3 può
setti di politica e di governance per
anche essere usato per coordinare
garantire che gli investimenti vadano davvero a
norme comuni.
soddisfare i bisogni delle fasce povere e vulnerabili rispettando altresì la sostenibilità ambientaQuesto esempio di azione concertata non è di
le. Tuttavia, visti i guasti del mercato osservati al
facile attuazione nell’ambito della politica fiCapitolo 2, è anche ragionevole pensare di ricornanziaria internazionale, come testimonia la
rere alla finanza pubblica per riparare le falle
tendenza a deregolamentare per attrarre inveche si potrebbero creare nel tentativo di gestire
stimenti esteri.170 Capitalizzando la fiducia che
meglio l’imprevedibilità della finanza privata.
hanno guadagnato spazi quali l’ASEAN+3, si
potrebbero cambiare radicalmente le condizioni
in modo da consentire ai PVS di mettere in atto
Bisogno di soluzioni coordinate
degli strumenti concreti. In America latina, oltre
Le politiche adottate sia nei paesi di origine
mercato comune del Mercosur, si stanno creando
che in quelli di destinazione dei flussi potrebuna serie di organi regionali, tra cui un accorbero produrre degli effetti non voluti non solo
do di messa in comune di riserve ed una nuova
a livello nazionale ma a volte anche di portata
banca di sviluppo regionale. La realizzazione di
internazionale. Diventa quindi necessario avere
una cooperazione regionale attraverso questo
un maggiore coordinamento regionale e globatipo di istituzioni potrebbe iniziare imparando
le sulle politiche riguardanti i flussi finanziari
e mettendo in comune le rispettive esperienze.
e il controllo dei movimenti di capitali. Le crisi
Ci vorrebbe tuttavia un approccio più ambizioso
finanziarie precedenti insegnano che il contagio
mirato ad evitare gli effetti di ricaduta (spillover)
è spesso un fenomeno regionale. Analogamente,
indesiderati e a consentire anche ai paesi più
anche gli investitori istituzionali e gli speculatori
piccoli, che potrebbero non avere abbastanza
a volte operano sulla base di mandati di investiforza per agire da soli, di trarre vantaggio dalle
mento di carattere regionale. Per questi motivi, il
politiche di controllo dei movimenti di capitali.
41
È ora di un nuovo consenso
Nell’ambito di questo assetto, ci potrebbe essere
un organismo regionale per negoziare e concordare le misure da adottare in maniera congiunta,
che ricalchi ad esempio le modalità di determinazione collettiva delle tariffe all’interno di un’unione doganale. Per quanto riguarda le imposte
sui flussi in entrata, i gettiti provenienti da queste imposte potrebbero essere ripartiti sulla base
delle formule usate dalle unioni doganali.
Un altro aspetto da considerare è il coordinamento internazionale e interregionale, per il quale il
FMI sembrerebbe lo spazio più logico; tuttavia,
il Fondo non gode della fiducia di molti PVS che
hanno avuto delle esperienze negative negli
scorsi decenni. Una riforma della governance del
FMI che comprenda anche le modalità di selezione dei suoi vertici aumenterebbe la fiducia e la
possibilità di usarlo come luogo di coordinamento degli strumenti di controllo dei movimenti di
capitali. Le esperienze degli scorsi cinque anni
hanno rivelato una mancanza di volontà da parte
dei paesi ricchi di rinunciare al controllo del governo del FMI, ma i continui sviluppi geopolitici
a livello globale e le crisi finanziarie che stanno
travolgendo l’Europa rendono più probabili riforme più rapide.171
Creazione di un sistema globale
Bisogna prendere in considerazione la realizzazione di un accordo coordinato globale sulle
tecniche per il controllo dei movimenti di capitali
che comprenda anche i relativi regimi attuativi.
Non è un obiettivo irrealizzabile, dato che questo
sistema fu approvato a Bretton Woods nel 1944.
Si deve giungere a un accordo soprattutto per garantire in modo più efficace l’applicazione degli
strumenti di controllo attraverso la condivisione
di informazioni e interventi congiunti sui trasgressori. Vi è una forte volontà di reprimere il
riciclaggio di denaro e contrastare i finanziamenti al terrorismo, come testimoniano i programmi
AML/CFT varati all’inizio del secolo. Tentativi
simili dovrebbero riguardare i flussi finanziari
che cercano di evadere le restrizioni normative
in vigore nei paesi di origine e di destinazione.
Si tratta infatti di veri e propri reati finanziari
con concrete conseguenze sociali e dovrebbero
essere trattati come tali.
Un primo passo in questa battaglia contro l’evasione sarebbe un notevole miglioramento dei
dati sui flussi finanziari. Attualmente, vi sono
pochissimi dati comparabili sui flussi finanziari
e i criteri di raccolta e condivisione delle informazioni sono pessimi. I paesi ricchi stanno già
sperimentando la raccolta e lo scambio di dati
per rintracciare le proprietà dei loro residenti
allo scopo di imprimere un giro di vite all’evasione fiscale. La Direttiva EU sulla tassazione dei
redditi da risparmio, per esempio, è la più vasta
iniziativa multilaterale per condividere informazioni sui flussi finanziari, nella fattispecie depositi bancari.172
La disponibilità di dati in tempo reale sui flussi
transfrontalieri di capitale per ridurre i rischi di
volatilità merita di essere considerata una buona
pratica da adottare in tutti i paesi.
Un più ambizioso accordo su scala globale potrebbe potenziare le tecniche di controllo dei
flussi dei paesi di origine e di quelli di destinazione e dar loro coerenza reciproca.173 Ciò richiede
certamente ampi negoziati ed un’intesa a livello
internazionale, ma va affrontato prima piuttosto
che poi. I gruppi di interesse dei paesi ricchi che
hanno tratto vantaggio dalla liberalizzazione
osteggeranno con forza qualsiasi accordo del genere; ci sarà quindi bisogno della mobilitazione
di soggetti orientati all’interesse pubblico quali la
società civile e le ONG per sostenere una nuova
intesa globale. Questo accordo potrà instaurarsi
all’interno di un nuovo e più vasto assetto economico globale che affronti problemi quali la
cattiva gestione dell’economia mondiale174, gli
squilibri globali, l’asimmetria dei sistemi monetari internazionali e la persistente elusione ed
evasione fiscale175.
Vi sono molti argomenti a sostegno di questo
nuovo sistema, incluso quello dei vantaggi per i
cittadini d’Europa e di altri paesi ricchi, ma esso
va letto soprattutto in chiave di sviluppo. Le politiche finanziarie nei paesi ricchi devono essere
coerenti con gli obiettivi di sviluppo e devono
dimostrare solidarietà con le popolazioni più
povere e vulnerabili.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
42
7.Raccomandazioni e conclusioni
Un atteggiamento
pragmatico verso la politica
macroeconomica e i flussi
finanziari transfrontalieri
porterebbe vantaggi sia ai
PVS che ai paesi sviluppati,
aumentando inoltre la
stabilità.
Questa pubblicazione ha mostrato quanto siano
aumentati i volumi e la volatilità dei flussi di
capitali e ha illustrato gli enormi rischi che essi
rappresentano per i paesi, dove possono scatenare crisi finanziarie dalle gravi ripercussioni
economiche e sociali.
I movimenti di capitali possono essere controllati attraverso diversi strumenti già collaudati.
I paesi hanno bisogno dello spazio politico per
attuare queste misure, ma anche di assistenza
per prevenire la loro evasione e calibrarle affinché siano idonee alle proprie esigenze e al perseguimento degli obiettivi nazionali di sviluppo.
Esistono tuttavia difficoltà e ostacoli politici che
non si annulleranno da soli, data la presenza di
interessi costituiti. I cittadini devono pretendere
l’intervento dei loro governi. Le organizzazioni
della società civile e i movimenti sociali possono
esercitare pressioni determinanti per ottenere
un cambiamento politico. Bisogna che anche
coloro che operano responsabilmente nel settore
finanziario si organizzino per sostenere queste
rivendicazioni. I politici, poi, devono rendersi
conto che il loro futuro politico dipende dalla
prevenzione delle crisi e devono agire di conseguenza.
Nel breve periodo:
1. I gruppi della società civile devono riconoscere che riformare i controlli dei flussi
finanziari internazionali e la struttura
del sistema finanziario internazionale è
importante per raggiungere gli obiettivi di
sviluppo e pretenderne il cambiamento. Il
43
È ora di un nuovo consenso
Occupy London, foto Luca Manes
cambiamento delle strategie non è un semplice esercizio tecnocratico ma ha rilevanza
politica. Seppure il sistema attuale presenti
grandi difetti, vi sono interessi particolaristici
che ne traggono vantaggio e che sono capaci
di esercitare forti pressioni per impedirne il
cambiamento. Le riforme saranno possibili
solo grazie alle pressioni provenienti dalla
società.
2. I decisori delle politiche nei PVS non dovrebbero temere la regolamentazione dei
movimenti di capitali e dovrebbero pensare in modo più propositivo non solo ai benefici ma anche ai costi dei vari tipi di flussi di denaro. Bisogna abbandonare il vecchio
paradigma che prevede di fare qualsiasi cosa
serva ad attirare capitali mobili dall’estero e
adottare criteri più equilibrati e pragmatici.
Ogni paese dovrebbe elaborare delle politiche macroeconomiche relative ai movimenti
dei capitali consone ai bisogni interni, mantenendo la consapevolezza delle loro potenziali
implicazioni a livello internazionale.
3. IL FMI deve accettare che la regolamentazione dei mercati dei capitali è sempre
auspicabile. Una volta accolto questo
principio e mostrato un orientamento più
pragmatico, può lavorare con i paesi e
aiutarli a definire le tecniche migliori per
il raggiungimento degli obiettivi prefissati
nelle loro politiche. Il Fondo non dovrebbe
prevedere l’adozione di misure di controllo
dei movimenti di capitali come ultima risorsa, dopo aver già preteso riduzioni di spesa
o cambiamenti della politica monetaria. I
bisogni interni dei PVS devono avere la precedenza sul bisogno di farvi defluire le ricadute
delle politiche finanziarie dei paesi ricchi.
Una vera riforma del FMI lo metterebbe in
condizioni di operare sia con i paesi di origine che con quelli di destinazione dei flussi.
4. I decisori politici e le istituzioni internazionali interessate devono creare un
sistema internazionale di analisi e condivisione dei dati che li aiuti a monitorare
sia i nuovi strumenti di regolamentazione
dei flussi finanziari che quelli già in essere. Questo sistema si potrebbe improntare al
modello AML/CFT e dovrebbe funzionare in
modo automatico e trasparente. Per far sì che
i dati siano utili, bisognerà raccogliere maggiori informazioni sulla vera fonte, lo scopo
e il beneficiario dei flussi, in modo anche da
integrare le azioni di contrasto all’evasione e
all’elusione fiscale.
Nel medio periodo:
5. I paesi ricchi e quelli in via di sviluppo
devono coordinarsi per rimuovere gli
ostacoli normativi generati da trattati di
investimento e accordi di libero scambio.
Ciò richiederà ai paesi firmatari la disponibilità a rinegoziare questi accordi per garantire
a tutti i paesi la possibilità di adottare delle
politiche prudenziali che li aiutino a conseguire i loro obiettivi di sviluppo e prevenire
le crisi finanziarie. Si potranno stipulare nuovi accordi o rafforzare dei punti di quelli già
esistenti per garantire la possibilità di adottare strumenti di controllo dei movimenti di
capitali. Bisogna interrompere le richieste di
liberalizzazione dei servizi finanziari in sede
dei negoziati della OMC e decidere congiuntamente di ritirare le richieste di liberalizzazione dei servizi finanziari attualmente contenute anche nell’allegato sui servizi finanziari
dell’Accordo GATS, in modo da permettere
ai paesi di perseguire più liberamente delle
politiche prudenziali.
6. I decisori politici dei PVS devono essere
sollecitati, specialmente dai loro cittadini,
a iniziare ad operare all’interno di sinergie regionali per coordinare le politiche
di controllo dei movimenti di capitali. In
America latina e in Asia, si sono già mossi i
primi passi con i fondi di riserva regionali.
Questo aspetto dovrebbe essere considerato
un completamento naturale delle politiche
del settore.
7. 7. I paesi ricchi devono avviare delle
discussioni serie con i PVS, presso il FMI o
altrove, su come i paesi di origine possano
contribuire efficacemente alla stabilità dei
flussi finanziari, migliorando le previsioni
di sviluppo. I paesi di origine dei flussi devono rapidamente mettere in atto delle misure
concordate.
8. I trattati in essere, come quello di Lisbona nell’Unione europea – che sembra già
avere bisogno di una rinegoziazione – vanno modificati per eliminare i requisiti di
liberalizzazione dei movimenti di capitali.
Questo non vuol dire ripristinare da un giorno all’altro i controlli sui capitali; dovrebbe
intendersi come una misura precauzionale in
modo che, in caso di bisogno, i paesi possano
avere a loro disposizione un ampio ventaglio
di politiche prudenziali macroeconomiche.
La precarietà dei sistemi finanziari ha messo
in pericolo il benessere delle persone in tutto il
mondo, specialmente negli ultimi cinque anni,
con conseguenze drammatiche sulla popolazione povera ed emarginata. Dietro questi sistemi
finanziari vi sono normative che istituzionalizzano la deregolamentazione della circolazione
di denaro nel mondo, nonostante non sia stato
provato che questa mobilità produca vantaggi per
la popolazione mentre invece è stato ampiamente
provato che aumenta i rischi di crisi. È quindi ora
di un nuovo consenso, un consenso a favore di
politiche pragmatiche che portino i flussi finanziari a vantaggio della popolazione, specialmente
nei PVS. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi
anni, è chiaro che, nonostante la presenza di ostacoli imponenti, arrivare a una finanza utile allo
sviluppo non è al di fuori della nostra portata.
Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo
44
8. Note
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L’emendamento Exon–Florio (50 U.S.C. app 2170) è una legge
varata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1988 secondo la quale
il Presidente degli Stati Uniti deve valutare qualsiasi investimento che potrebbe coinvolgere la sicurezza nazionale. L’amministrazione USA ha un Comitato sugli investimenti esteri
negli Stati Uniti (CFIUS) che effettua valutazioni e fa raccomandazioni. http://uscode.house.gov/uscode-cgi/fastweb.exe?getdo
c+uscview+t49t50+3035+6++(50 U.S.C. app 2170)
Si veda Cox, J, 2008-2009, « Regulation of Foreign Direct
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Si veda, ad esempio, Dell’Ariccia G et al, 2008, Reaping the
Benefits of Financial Globalization, IMF Occasional Paper 264,
Washington DC, Fondo Monetario Internazionale.
Per un’altra breve panoramica dei problemi relativi a queste
supposizioni si veda Eichengreen B et al, 1999, Liberalizing
Capital Movements: Some Analytical Issues, Economic Issues 17,
Washington DC: Fondo Monetario Internazionale, p. 3-6.
La teoria dell’efficienza del mercato, formulata inizialmente
da Eugene Fama, si riferiva ai mercati azionari e non agli investimenti transfrontalieri, anche se i principi restano gli stessi.
Si veda Fama E, 1970, “Efficient Capital Markets: A Review of
Theory and Empirical Work”, Journal of Finance, Volume 25,
numero 2, maggio 1970, p 383-417.
Una rassegna completa della letteratura è disponibile in
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incentrata sugli effetti della povertà, si veda Cobham A, 2001,
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È ora di un nuovo consenso
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C’è disaccordo su quale gruppo avesse guidato questo tentativo. Chwieroth ritiene che fossero stati principalmente gli Stati
Uniti ed i funzionari del FMI, mentre Abdelal sostiene che i più
decisi fossero i vertici del Fondo e soprattutto il suo amministratore delegato, di nazionalità francese. Infine, durante le
loro conversazioni con l’autore di questo rapporto ex funzionari del Tesoro britannico hanno affermato di essere stati loro
dietro questa manovra. Per ulteriori dettagli, si veda Chwieroth
J, 2010, op cit; Abdelal R, 2007, Capital Rules: the construction of
global finance, Harvard University Press.
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Per approfondimenti sulle politiche e le proposte del FMI, si
vedano gli articoli del Bretton Woods Project: “IMF nostalgia:
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