malattia di wilson, zinco solfato alternativo a d

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MALATTIA DI WILSON, ZINCO SOLFATO
ALTERNATIVO A D-PENICILLAMINA IN PRIMA
LINEA
31 gennaio 2014
La D-penicillamina (DPA) e lo zinco solfato (ZS) sono entrambi efficaci nella maggior
parte dei pazienti affetti da malattia di Wilson (WD) sintomatica. Nessuno dei due
trattamenti appare chiaramente superiore rispetto all’altro. Pertanto lo ZS può essere
considerato una ragionevole alternativa alla DPA come terapia di prima linea. È la
conclusione di uno studio polacco pubblicato sull’European Journal of Neurology.
«La WD è una malattia metabolica ereditaria autosomica recessiva, caratterizzata da un
patologico accumulo di rame che danneggia i tessuti colpiti (principalmente fegato,
cervello e cornea)» ricordano gli autori della ricerca, sotto la guida di Anna Czlonkovska,
dell’Istituto di Psichiatria e Neurologia di Varsavia. «La sua presentazione clinica può
essere prevalentemente epatica o neuropsichiatrica».
«Un trattamento efficace si basa nell’indurre un bilancio negativo del rame» proseguono.
«Esistono due gruppi di agenti farmacologici: i chelanti del rame, come la DPA, che
inducono escrezione urinaria dell’elemento, e i sali di zinco, quale lo ZS, che diminuiscono
l’assorbimento intestinale del metallo e riducono la tossicità del rame nel corpo».
Anche se non sono stati condotti studi prospettici di confronto ”head-to-head” tra terapie
alternative – sottolineano i ricercatori - le linee guida attuali favoriscono chiaramente i
chelanti. «Gli studi precedenti erano però concentrati soprattutto sulla funzione epatica e
mancava un’attenta valutazione neurologica strutturata» aggiungono. «Alcuni centri,
come il nostro, hanno iniziato a utilizzare lo ZS come terapia di prima linea per la WD
sintomatica alla metà degli anni ‘80 e, dopo diversi anni, hanno riconosciuto in questa
molecola una ragionevole alternativa al chelanti».
La bassa incidenza e la presentazione eterogenea della malattia rendono molto difficile
l’esecuzione di un trial randomizzato controllato. «Per questo motivo abbiamo intrapreso
un’analisi basata sul registro dei pazienti su gruppi ben equilibrati, con endpoints comuni
per i pazienti sia epatici che neurologici, con lo scopo di confrontare l’andamento del
trattamento con DPA rispetto a ZS come terapia di prima linea in pazienti con nuova
diagnosi di WD».
In tutto, sono stati inclusi 143 pazienti consecutivi con diagnosi sintomatica di WD, in un
periodo compreso tra il gennaio 2005 e il dicembre 2009, poi seguiti fino al dicembre 2010.
La decisione riguardante la terapia di prima linea è stata presa individualmente, previa
discussione con il paziente. I medici non avevano chiara preferenza verso un farmaco
rispetto all'altro. I dati sono stati analizzati in sottogruppi con presentazione della malattia
prevalentemente neurologica (DPA=35; ZS=21) o epatica (DPA=36; ZS=51).
Secondo l'analisi di Kaplan-Meier, i pazienti WD neurologici con prescrizione di DPA
mostravano una probabilità di non continuare la stessa terapia di prima linea simile a
quella dei pazienti che ricevevano ZS (20% vs 24% alla fine del follow-up), con odds ratio
aggiustato (OR) di 0,9 (95% CI: 0,2-3,5). Nei pazienti WD epatici, questa probabilità era
significativamente superiore nel gruppo DPA (31% vs 12%; OR aggiustato 3,0; 95% CI: 0,99,9), in particolare nei primi 6 mesi.
Un peggioramento precoce si è verificato solo nei pazienti WD neurologici, senza
differenze tra i due gruppi di trattamento (35% vs 19%; OR: 2,8; 95% CI: 0,7-10,8). Un
miglioramento neurologico e la diminuzione degli enzimi epatici sono stati raggiunti con
frequenza simile nei due gruppi di trattamento. L’aderenza rispetto alla DPA è risultata
migliore nei pazienti epatici (97% vs 80%) rispetto a quelli neurologici (91% vs 81%).
Eventi avversi del farmaco si sono manifestati con maggiore frequenza con DPA (15% vs
3%). «A nostra conoscenza» affermano gli autori «questo è il primo studio su larga scala
che tenta un confronto ”head-to-head” tra DPA e ZS utilizzati come terapia di prima linea
per il WD, seguendo una strategia diagnostica e terapeutica uniforme per tutto il periodo
di osservazione».
«È difficile definire una strategia ottimale per il trattamento del WD, basata sull’evidenza
clinica, in quanto i pazienti sono di solito gestiti da diversi specialisti (epatologi, neurologi,
psichiatri e pediatri)» osservano i clinici. «Pertanto il trattamento di solito dipende dalla
politica del centro o dall'atteggiamento dei singoli medici curanti. Le attuali linee guida
dell'Associazione Europea per lo Studio del Fegato e soprattutto quelle dell’Associazione
americana per lo Studio delle Malattie del Fegato sono fortemente a favore dei chelanti del
rame». Queste linee guida, ricordano gli autori, «affermano che i chelanti del rame
dovrebbero essere la terapia di prima linea in tutti i pazienti sintomatici, mentre i sali di
zinco possono essere considerati nei soggetti in fase pre-sintomatica, nei pazienti con
sintomi neurologici o come terapia di mantenimento».
«Secondo i nostri risultati, la probabilità che i pazienti con WD caratterizzato da
manifestazioni prevalentemente neurologiche WD continueranno il medesimo farmaco di
prima linea, non dipende dal tipo di farmaco» sostengono Czlonkowska e colleghi.
«Invece i pazienti con WD prevalentemente epatico che sono in programma di utilizzare
DPA come farmaco di prima linea, hanno una maggiore probabilità di cambiare verso il
farmaco alternativo. E tale switch è causato dagli eventi avversi, che sono noti per essere
più frequenti durante il trattamento con DPA. In ogni caso, nessuno dei pazienti inclusi
nel trial ha sperimentato peggioramento epatico o richiesto un trapianto di fegato».
«L’analisi» proseguono gli autori «ha mostrato come i pazienti neurologici WD trattati in
prima linea con DPA possono essere potenzialmente più inclini a sperimentare un precoce
peggioramento. «Questo fenomeno è generalmente spiegato con la rapida mobilitazione di
rame dal fegato e la sua ridistribuzione ad altri tessuti, compreso il cervello. Ciò occorre in
particolare se i chelanti sono introdotti a dosi più alte. Pertanto, a causa del loro diverso e
più lento meccanismo d’azione, i sali di zinco possono sembrare più sicuri nei pazienti
neurologici WD».
Arturo Zenorini
Czlonkowska A, Litwin T, Karlinski M, et al. D-penicillamine versus zinc sulfate as firstline therapy for Wilson's disease. Eur J Neurol, 2014 Jan 21. [Epub ahead of print]
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