Pasqualetti incontri a Siena

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Volti di Dio e volti dell'uomo
in alcune canzoni italiane dagli anni Sessanta ad oggi.
Fabio Pasqualetti
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La musica ha sempre esercitato un importante ruolo nella cultura di ogni popolo, e
sembra che in origine fosse il linguaggio privilegiato per entrare in contatto con la divinità.
"Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime" affermava Nietzsche, e
Cioran gli faceva eco dicendo: "Chi non lo capisce istantaneamente non è mai vissuto
nell'intimità della musica. Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com'è dal
rimpianto del paradiso".
I giovani abitano costantemente i territori musicali e spesso ad essi affidano le loro
angosce, speranze e denunce. La canzone è certamente uno dei generi musicali più amati
dai giovani, e capita che, a volte, sia eletta a manifesto culturale e generazionale proprio
perché in essa i giovani riconoscono quello che vorrebbero dire, cantare, raccontare, urlare,
sentire, sognare, ecc.
"Dio è morto… Dio è risorto": gli anni Sessanta-Settanta
Gli anni Sessanta segnano per l'Italia il passaggio dalla situazione rurale a quella
industriale incarnato nel mito della macchina di massa. Nel '62 è indetto il Concilio
Vaticano II che segnerà un punto di svolta nella Chiesa Cattolica. Nel '63 arrivano i primi
45 giri dei Beatles dando il "la" a quella a quella realtà che già dieci anni prima aveva
sconvolto l'America, i giovani. Il 22 novembre del 1963 viene assassinato John F.
Kennedy, muore un simbolo. Il 3 aprile 1965 inizia lo sciopero generale nelle Università
italiane di professori e studenti. Nello stesso anno muore assassinato Malcom X. Nel 1966
nasce la prima comunità hippy in California. Nello stesso anno d. Milani è assolto
dall'accusa di apologia di reato per aver difeso l'obiezione di coscienza. Il 9 aprile 1966 il
Vaticano abolisce l'indice dei libri proibiti. Nel 1967 le occupazioni universitarie si
diffondono sul territorio Italiano. Nello stesso anno avviene il colpo di Stato in Grecia e
inizia la dittatura dei colonnelli. Il 1968 rappresenterà simbolicamente un punto di svolta
copernicano nella vita sociale italiana ed europea senza precedenti. Mi fermo a questa data
come convenzionalmente indicante l'inizio di un rapido mutamento della cultura, dei
costumi, della politica, della religione in Italia.
Facciamo tuttavia un breve passo indietro perché, come capita spesso con l'arte,
anche la musica anticipa ciò che gira nell'aria. Nel 1965 Guccini scrive la celeberrima
canzone Dio è morto sotto l’influenza della nuove tendenze teologiche sulla "Morte di
Dio", da una sua poesia "Le tecniche da difendere" e da "Urlo" di Allen Ginsberg. È
certamente una di quelle canzoni che si possono considerare un manifesto generazionale. Il
testo della canzone tratteggia iconicamente le problematiche che animavano l'immaginario
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dei giovani in quegli anni. Tripartita in denuncia, dichiarazione e speranza la canzone è
un inno fiducioso nella capacità delle nuove generazioni di costruire un mondo migliore.
Denuncia di quello che stava accadendo sotto gli occhi di un'Italia ancora troppo
addormentata e provinciale per capire cosa bolliva in pentola.
Ho visto / la gente della mia età andare via /lungo le strade che non portano mai a
niente, / cercare il sogno che conduce alla pazzia / nella ricerca di qualcosa che non
trovano / nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate, / dentro
alle stanze da pastiglie trasformate, / lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
/ essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà / e un dio che è morto, / ai bordi
delle strade dio è morto, / nelle auto prese a rate dio è morto, / nei miti dell'estate dio è
morto...
Dichiarazione, da parte di questa nuova generazione che si distacca e rifiuta un
malessere borghese e ipocrita che permeava gli ambienti istituzionali della politica, della
chiesa e della famiglia.
Mi han detto / che questa mia generazione ormai non crede / in ciò che spesso han
mascherato con la fede, / nei miti eterni della patria o dell'eroe / perché è venuto ormai
il momento di negare / tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, / una
politica che è solo far carriera, / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, /
l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto / e un dio che è morto, / nei
campi di sterminio dio è morto, / coi miti della razza dio è morto / con gli odi di partito
dio è morto...
Speranza, perché al contrario di ciò che il ritornello "dio è morto" possa far credere,
è una canzone in cui "Dio risorge" proprio nella volontà di questa nuova generazione. I
giovani vogliono sganciarsi da una realtà e stile di vita fatta di abitudini e paure, per
passare ad un modo di vivere fatto di scelte personali.
Ma penso / che questa mia generazione è preparata / a un mondo nuovo e a una
speranza appena nata, / ad un futuro che ha già in mano, / a una rivolta senza armi, /
perché noi tutti ormai sappiamo / che se dio muore è per tre giorni e poi risorge, / in
ciò che noi crediamo dio è risorto, in ciò che noi vogliamo dio è risorto, / nel mondo
che faremo dio è risorto...
Il dio che muore in questa canzone è il dio fantoccio usato spesso per mascherare
gli abusi e gli abomini dell'uomo, mentre quello che risorge, è quello che può risorgere
solo con gli uomini di "buona volontà".
Sono questi gli anni in cui i giovani iniziavano ad abbandonare le istituzioni alla
ricerca di un volto diverso di Dio. La Chiesa ancora stordita dal vento rinnovatore del
Vaticano II, non aveva saputo riconfigurarsi immediatamente con i nuovi corsi della storia,
e così mentre i documenti sollecitavano l'attenzione ai segni dei tempi, c'era chi gridava
allo scandalo e al sacrilegio per la messa beat di Marcello Giombini celebrata nel 1966
nell'Oratorio romano dei Padri Filippini, senza accorgersi che era iniziato il grande esodo
dei giovani dall'ombra del campanile alle piazze. Bisognerà aspettare il l'incontro dei
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giovani con il Giovanni Paolo II a Bologna del 1998 per riconciliare "apparentemente" la
musica giovanile con la Chiesa.
C'era una forte voglia di cambiare "perché è venuto ormai il momento di negare /
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura". Tutto veniva rimesso in
discussione e Dio non poteva essere lasciato fuori dal processo.
Nel 1968 Fabrizio De André pubblicava Volume I e con la canzone Si chiamava
Gesù, si faceva interprete di un desiderio di scoperta del volto umano di Gesù, forse
stanchi di una sua sacralità abusata che l'aveva allontanato. Si legge, infatti, nel testo della
canzone: "Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazie e il perdono / di chi penso
non fu altro che un uomo / come Dio passato alla storia. L'aver fatto cadere la sua divinità
lo fa percepire ancora più sconvolgente e misterioso, in un certo senso "divino" "ma
inumano è pur sempre l'amore / di chi rantola senza rancore / perdonando con l'ultima
voce / chi lo uccide fra le braccia di una croce". De André percorrerà coerentemente
questa sua riflessione sul Gesù con nell'album "La buona Novella" 1970, dove come un
pittore impressionista tratteggerà un paesaggio di personaggi profondamente umani.
Venuto da molto lontano / a convertire gente e bestie / non si può dire non sia servito a
niente / perché prese la terra per mano/ vestito di sabbia e di bianco / alcuni lo dissero
santo / per altri ebbe meno virtù / si faceva chiamare Gesù
Non intendo cantare la gloria / né invocare la grazia e il perdono / di chi penso non fu
altro che un uomo / come Dio passato alla storia / ma inumano è pur sempre l'amore /
di chi rantola senza rancore / perdonando con l'ultima voce / chi lo uccide fra le
braccia di una croce
E per quelli che l'ebbero odiato / nel getzemani pianse l'addio / come per chi l'adorò
come Dio / che gli disse sia sempre lodato / per chi gli portò in dono alla fine / una
lacrima o una treccia di spine, / accettando ad estremo saluto / la preghiera e l'insulto e
lo sputo.
E morì come tutti si muore / come tutti cambiando colore / non di può dire che sia
servito a molto / perché il male dalla terra non fu tolto. / Ebbe forse un po' troppe virtù,
/ebbe un volto ed un nome: Gesù / Di Maria dicono fosse figlio / sulla croce sbiancò
come un giglio.
La nuova situazione culturale inizia a mettere in discussione il Dio dell'istituzione,
una religione incapace di dare risposte a ciò che sta succedendo.
Ricordiamo che a meno di quindici anni di distanza dalla Seconda Guerra
mondiale, le nuove generazioni stavano vivendo la "guerra fredda", l'incubo dell'atomica, e
la tragedia del Vietnam consumata sotto la benedizione di un connivente "dio" americano.
L'uccisione di Martin Luther King nel 1968 congelava il sogno di un'uguaglianza tra
bianchi e neri ancora lontana da raggiungere.
Da "il mio Dio" all' "Uno al di sopra del bene e del male": gli anni Ottanta.
Gli anni Settanta erano stati per molti aspetti anni caldi. Lotte giuste e terrorismo si
erano mescolati in una miscela ambigua e, alla fine, non più gestibile. Gli anni passavano e
il sogno di molti giovani si frangeva contro la realtà quotidiana di un paese e di una classe
dirigente che non cambiava rapidamente. Iniziavano gli anni della P2 e dell'edonismo
reaganiano. Gli anni Ottanta arrivarono velocemente e con sé portarono il riflusso. Era
come se di colpo fosse crollata tutta la tensione idealista e ottimista. Non c'era più voglia di
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lottare, e le nuove generazioni non sapevano bene per chi e per cosa avevano lottato le
precedenti.
Il rock dei primi anni settanta in Europa, marcatamente segnata dal rock sinfonico e
dal progressive, mostra un’immagine di musica ripiegata su se stessa, molto raffinata ma
anche molto autocompiacente. Bisognerà arrivare all’anno '77 che con la rivolta punk
riporterà sulla scena musicale e sociale una nuova generazione di arrabbiati e disillusi. Il
punk fu un fenomeno non facile da analizzare perché portò con se tutte le contraddizioni
che la cultura postmoderna iniziava a forgiare, ma certamente ebbe il pregio di ridare una
carica emotiva e sociale alla musica. Un riappropriamento dell’immediatezza comunicativa
del suono e della parola. Bisogna riconoscere che la maggioranza dei giovani preferì
passare dalle piazze alla pista chiusa e ammalianti della discoteca. La "Febbre del sabato
sera" è un fenomeno destinato a contaminare milioni di giovani che riscoprono la gioia del
ballo, dell’incontro, della differenziazione stilistica. In quel clima andò via via
sviluppandosi la cultura del vivere l'immediato "qui" e "adesso". Non è difficile incontrare
analisi di questi anni nelle quali i giovani sono catalogati come incapaci di incarnare ideali
e distanti dalla politica. Questi due atteggiamenti saranno destinati ad esasperarsi,
rischiando di essere valutati solo nella loro negatività se non si tenesse conto della
progressiva complessificazione della scena sociale e della deregolamentazione al livello
economico che instaurerà continua ascesa del consumo. La penetrante diffusione mediatica
e il moltiplicarsi delle agenzie di informazione ed educazione, non solo resero sempre più
articolata e pluralista la scena nella quale il giovane doveva crescere, ma, lo spinsero a
cercare nuove strategie per la ricerca e costruzione della propria identità.
Anche in questo periodo le chiese fanno sempre più fatica a stare al passo con i
tempi e i giovani prendono silenziosamente distanza dai gestori classici del sacro. Il
rapporto con Dio si svincola dalla mediazione istituzionale e si avvia su strade più
personali e sperimentali.
1980 Renato Zero pubblica "Tregua" un doppio album che tocca varie
problematiche del mondo dei giovani inclusa quella di Dio. In Potrebbe essere Dio, si può
intravedere uno spaccato del cambiamento dell’immagine di Dio. Riassumendo il percorso
fatto fin qui, si potrebbe dire che scompare il Dio sociale di Guccini, il Gesù fortemente
umano di De Andrè, ed emerge un'immagine di Dio che lo si può ritrovare come dice la
canzone: nel nostro "immenso io".
Dio diventa allora questa ricerca dentro di noi " se mai un dio non ce l'hai / io ti
presenterò il mio / dove abita io non saprei / magari in un cuore / in un atto d'amore / nel
tuo immenso io c'è dio / potrebbe essere dio".
Se c'era un dio da discutere / adesso non c'è più / sei troppo ingenuo da credere / che
un dio, sei tu / dio non sarà aritmetica / né parapsicologia / non sta nei falsi tuo simboli
/ nella pornografia / ti giochi dio al totocalcio / lo vendi per una dose / lo butti via in
una frase
lo cercherai in farmacia / pensi dio vada a petrolio / la fede non è un imbroglio/ e non
c'è dio sulla luna / ma in questa terra che trema / se mai non sarà dio / sarà ricostruire
/ se mai lo ritroverai
in un pensiero, in un desiderio / nel tuo immenso io / c'è dio / potrebbe essere dio / e
anch'io con te / cercherei nella paura una strada sicura / un'altra promessa magari la
stessa / dio /
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riporta dio dove nascerai / là dove morirai / riporta dio nella fabbrica / nei sogni più
avari che fai / ti giochi dio al totocalcio / lo vendi per una dose / lo butti via in una
frase / lo cercherai in farmacia / e dio non è un manifesto / la morte senza un pretesto /
la noia un altro veleno / la bocca di un altro squalo / se mai un dio non ce l'hai / io ti
presenterò il mio / dove abita io non saprei / magari in un cuore / in un atto d'amore /
nel tuo immenso io c'è dio / potrebbe essere dio / e tu al posto suo / ti tradiresti / ti
uccideresti / mi lasceresti senza un dio / se mai lo ritroverai / in un pensiero in un
desiderio / nel tuo delirio / nel tuo cielo / dio / dio
Il conto torna, le nuove generazioni, raccontate anche dalle indagini sociologiche,
credono sempre meno nella religione istituzionale e sono alla ricerca di qualcosa di più
personale e intimo. Da un volto di Dio definito e preciso dalle formule catechistiche, si
passa ad un volto di Dio indefinito, continuamente mutevole e personale. Dio certamente
non è morto ma il rapporto con lui sta radicalmente cambiando. David Lyon, nel suo libro
Gesù a Disneyland, parlando di come la spiritualità possa arrivare ad essere vista come un
aspetto del soggetto autonomo, cita Robert Wuthnow il quale afferma: “l’espressione
religiosa sta diventando sempre più il prodotto di biografie individuali”.
Non bisogna necessariamente guardare con negatività a questa maggiore
personalizzazione del rapporto con Dio. Dio è importante per le nuove generazioni, ma non
è più moralmente normativo nella modalità istituzionale voluta dalle chiese. L’ambito in
cui forse si coglie più vistosamente questa dissociazione è quello dei rapporti sessuali che
la normativa tradizione delle chiese definisce molto chiaramente, ma che i giovani
facilmente ignorano vivendo la propria sessualità con molta più libertà e disinvoltura.
Proseguendo questo viaggio a colpi di flash si arriva a cavallo gli anni Ottanta e
Novanta. Gradi eventi a livello internazionale e nazionale segnano questo periodo. Il 1989
segna l'evento storico della caduta del muro di Berlino. Tra la fine del 1990 e l'inizio del
1991 scoppia la guerra del Golfo. Il 31 dicembre 1991 cessa di esistere l'URSS e nasce la
CSI (Confederazione degli stati indipendenti). Nel 1994 scoppia la guerra in Ruanda oltre
mezzo milione di morti e nello stesso anno i soldati russi lasciano Berlino dopo
cinquant'anni. In Italia, esplode il caso "Mani pulite", inizia la fine della Prima repubblica,
e l'ascesa di Bossi e della Lega sono segni di un'Italia in crisi e in trasformazione. L'era
della globalizzazione avanza e i giovani sono sempre più una realtà e un prodotto a sé, le
nuove generazioni sono tele-videogiochi-dipendenti, sempre più distanti dalla politica e
sempre più eterogenei. Il panorama musicale offre uno spettro di gusti ampio e
diversificato tanto quanto sono ormai diversificati i pubblici giovanili. Parola d'ordine
dell’immaginario consumistico tra i giovani è: "Essere belli". Prosegue l’esasperazione
della cultura visiva, del look, dell’apparire.
Quel cammino di personalizzazione del rapporto con Dio non solo è uscito dalle
mura istituzionali ma ormai si integra e si mescola con altri aspetti di religioni diverse,
esotiche accentuando la dimensione del benessere. Il cammino iniziato con la New Age
negli anni Settanta da molti giovani americani e pubblicizzato da varie star del mondo
dello spettacolo, cinema e musica, diventa oggi un patrimonio popolare e molto più
complesso di quello che sembra apparire. Nell’Italia postmoderna proliferano cartomanti,
maghe e maghi d’ogni sorte e specie, pratiche di yoga, shiatsu e astrologia. Le televisioni
locali sono le cappelle virtuali delle nuove ritualità. È la dimensione affettiva che si
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accentua sempre di più. Fa parte dello stesso proliferare del consumismo che ha bisogno di
stabilire nuove relazioni con i prodotti.
Nel 1988 con la canzone E ti vengo a cercare dell'album "Fisiognomica", Battiato
sembra dar voce ad un certo modo di sentire Dio che si sta diffondendo in molti giovani.
Le indagini sulla religiosità giovanile confermano l'apertura al trascendente ed anche un
certo ritorno alle istituzioni gestrici del sacro, ma con un atteggiamento critico e
indipendente. Si parla, infatti, di un modo d’essere religiosi "a la carte". Dio ha lasciato il
"tempio" probabilmente per non farvi più ritorno e quindi lo si va a cercare. Si cerca un
Dio con cui star bene. No al Dio della logica, delle formule, ma un Dio della relazione
anche se questa, come dice la canzone di Battiato, giunge ad essere "un rapimento mistico
e sensuale / mi imprigiona a te". Nella contraddizione tipica dei giovani che vivono "vite
spericolate", ritmate dalle notti dei sabato sera, c'è un anelito verso qualcosa di puro "al di
sopra del Bene e del Male". Per questo si mettono in cammino "E ti vengo a cercare /
anche solo per vederti o parlare / perché ho bisogno della tua presenza" ma ormai è una
ricerca che esce dai percorsi tradizionali della formazione istituzionale delle chiese. Gli
esperti di questi cambiamenti parlano di un passaggio da una "appartenenza per tradizione"
ad una religione, ad una "appartenenza per significato". In pratica si cerca un Dio "perché
sto bene con te / perché ho bisogno della tua presenza".
E ti vengo a cercare / anche solo per vederti o parlare / perché ho bisogno della tua
presenza / per capire meglio la mia essenza. / Questo sentimento popolare / nasce da
meccaniche divine / un rapimento mistico e sensuale / mi imprigiona a te. / Dovrei
cambiare l'oggetto dei miei desideri / non accontentarmi di piccole gioie quotidiane /
fare come un eremita / che rinuncia a sé.
E ti vengo a cercare / con la scusa di doverti parlare / perché mi piace ciò che pensi e
che dici / perché in te vedo le mie radici. / Questo secolo oramai alla fine / saturo di
parassiti senza dignità / mi spinge solo ad essere migliore / con più volontà. /
Emanciparmi dall'incubo delle passioni / cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male
/ essere un'immagine divina / di questa realtà. / E ti vengo a cercare / perché sto bene
con te / perché ho bisogno della tua presenza.
"Ognuno sceglie qual è il suo Dio": gli anni Novanta.
Arriviamo così agli anni novanta, dove il termine giovane ha subito una dilatazione
estrema a tal punto che rischiano di sparire come categoria specifica. Tuttavia se
consideriamo i giovani come quella fascia che va dai 15 ai 25 anni, questi giovani in
occidente sono sempre più il prodotto di una società ipertecnologica. Collegati
simbolicamente a cordoni ombelicali digitali, vivono l'esperienza della
deterritorializzazione e della virtualizzazione. Comunicano in chat-lines e si incontrano in
chat-rooms. La rete sta plasmando una nova generazione che sviluppa nuove capacità
comunicative e relazionali. Vivono simbiosi tra realtà e virtuale, bilocazioni multiple,
sradicamenti e contraddizioni culturali. Berger, Berger e Kellner volendo definire i
moderni li hanno definiti come “menti senza fissa dimora” che sembra esprimere bene
queste nuove generazioni sempre in atteggiamento migratorio. Tutto ciò non può non
influenzare anche il rapporto con Dio e la chiesa.
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Oggi " ognuno sceglie qual è il suo Dio, / Oggi che ognuno crede… ma a modo
suo", canta Silvia Salemi in W L'anima libera. Il primato della soggettività e della libertà è,
almeno nella cultura occidentale, un dato di fatto. Dimenticati ormai gli anni caldi della
contestazione, oggi "soffia un vento di spiritualità, / ed ogni uomo fa domande sull’aldilà"
e tuttavia ciò che conta è che " Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza
idee / Viva l’anima libera che segue la sua verità / che si ribella e se ne va / da qui / che
sceglie lei l’autorità / la religione in cui vorrà restare, sognare, volare". La rivendicazione
della propria libertà di scelta avviene forse paradossalmente in una società che in maniera
sottile sta organizzando sempre di più la nostra vita e le nostre scelte. Quasi
inconsciamente si alza il grido che almeno "Per questa voglia di vita eterna chiamata Dio"
l'"anima" possa scegliere liberamente. Dio, quindi, sembra essere l'ultima spiaggia della
libertà tradita da tante promesse sociali di libertà.
Oggi che ognuno sceglie qual è il suo Dio, / Oggi che ognuno crede… ma a modo suo. /
In questi anni che soffia un vento di spiritualità, / ed ogni uomo fa domande sull’aldilà /
Viva l’a… viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Stanchi dei grandi miti,
dei vecchi eroi / Un’era mistica si spalanca davanti a noi / E adesso tutti scegliamo un
credo che ci soddisfi l’io / Per questa voglia di vita eterna chiamata Dio / Viva l’a…
viva l’anima libera, che non muore più senza idee / Viva l’anima libera che segue la
sua verità / che si ribella e se ne va / da qui / che scegli lei l’autorità / la religione in
cui vorrà restare, sognare, volare / Alleluia, alleluia, alleluia / cercherà cambierà / e
troverà / la sua preghiera… / in questa nuova era / Viva l’a… viva l’anima libera, che
non muore più senza idee / Viva l’anima libera che si sceglierà le sue vie / Voglio
un’anima libera che segue la sua verità / La dimensione in cui vorrà restare / sognare /
volare
Siamo distanti da un Dio "qui con noi" che si sporca le mani, e anche se animata da
buoni sentimenti questa "anima libera" cerca le spiagge del suo benessere. Se è vero che il
rapporto con Dio deve nascere nelle libertà, è anche vero che la sfida lanciata dal Dio di
Gesù, quel Dio da amare nel prossimo, risuona come perenne sfida ad una cultura e una
società che esalta l'"io" e riduce spesso il "tu" a concorrente o oggetto di consumo. Anche
per Dio è difficile trovare una posto in una relazione ridotta a competizione.
Il "Signore dell'universo" Verso il nuovo millennio
Così mentre nel 1988 in Kosovo si consuma l'ennesima tragedia umana, e in varie
parti l'Africa continuano puntualmente miseria e guerra a colpire decine di miglia di
persone, i giovani dell'occidente europeo sperimentano le contraddizioni di una società
sempre più mediatica e virtuale. Da una parte questo mondo delle meraviglie tecnologiche
che fa inebriare di potenza coloro che controllano questi nuovi giocattoli. Dall'altra, per
molti giovani si profila sempre più il disagio di un futuro incerto, problematico. A questo si
deve aggiungere la fatica di imparare a vivere in una società multietnica e multiculturale.
Ritornano surrettizie forme di nazionalismi, localismi e fondamentalismi.
Nella sfera religiosa si riflettono gli stessi fenomeni, così, da una parte, per molti
giovani diventa sempre più difficile capire le divisioni che regnano tra le religioni, e si
muovono con disinvoltura dall'una e l'altra come in un grande supermercato ci si sposta da
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un reparto all'altro. All'opposto, altri giovani ritornano a forme di culto esteriori che
sembravano ormai superate e dimenticate.
La cattolica Italia si trova davanti a nuove generazioni che non capiscono più
perché è importante essere cattolici, e quale sia la differenza tra essere cristiano e essere
buddista o altro ancora. Il problema è che gli interrogativi che la società solleva sono
sempre più complessi e frammentati e le risposte che le religioni istituzionalmente danno
non servono alla vita quotidiana della gente. Una pastorale e una catechesi che spesso
facilmente ignorano il sociale, il politico, l’affettivo e lo spirituale, riducendosi al
normativo e alla precettistica non riescono a dialogare con la gente e i loro problemi.
Jovanotti consciamente o inconsciamente fotografa questo squarcio di fine anni
novanta cantando "
O Signore dell’universo ascolta questo figlio disperso / che ha perso il filo che non sa
dov’è / e che non sa neanche più parlare con te / ho un Cristo che pende sopra il mio
cuscino / e un Buddha sereno sopra il comodino / conosco a memoria il Cantico delle
Creature / grandissimo rispetto per le mille sure del Corano / c’ho pure un talismano /
che m’ha regalato un mio fratello africano / e io lo so che tu da qualche parte ti riveli /
che non sei solamente chiuso dietro ai cieli / e nelle rappresentazioni umane di te / a
volte io ti sento in tutto quello che c’è / e giro per il mondo tra i miei alti e bassi / e
come pollicino lascio indietro dei sassi / sui miei passi per non dimenticare la strada
che ho percorso / fino ad arrivare qua e ora dove si va / adesso si riparte per un’altra
città ...
Voglio andare a casa LA CASA DOV’È ??? / la casa è dove posso stare in pace... (3
volte) con te / in pace con te ..."
Signore dei viaggiatori ascolta / questo figlio immerso nei colori / che crede che la luce
sia sempre una sola / che si distende sulle cose e le colora / di rosso di blu di giallo di
vita / dalle tonalità di varietà infinita / ascoltami / proteggimi / ed il cammino quand’è
buio illuminami / sono qua in giro per la città / e provo con impegno a interpretare la
realtà / cercando il lato buono delle cose / cercandoti in zone pericolose / ai margini di
ciò che è convenzione / di ciò che è conformismo / di ogni moralismo / yeahhh / e il
mondo mi assomiglia nelle sue contraddizioni / mi specchio nelle situazioni / e poi ti
prego / di rilevarti sempre in ciò che vedo / io so che tu mi ascolti / anche se a volte non
ci credo ...
Voglio andare a casa / LA CASA DOV’È / la casa è dove posso stare in pace ...
(2 volte) con te / in pace con te, in pace con te ...
Signore della mattina che bussa / sulle palpebre quando mi sveglio / mi giro e mi rigiro
sopra il mio giaciglio e poi / faccio entrare il mondo dentro me / e dentro al mondo
entro fino a notte / barriere confini paure serrature / cancelli dogane e facce scure /
sono arrivato qui attraverso mille incroci / di uomini di donne di occhi e di voci / il
gallo che canta e la città si sveglia / ed un pensiero vola giù alla mia famiglia / e poi si
allarga fino al mondo intero / e vola su, su in alto fino al cielo / il sole la luna e marte e
giove / saturno coi suoi nuovi anelli e poi le stelle nuove / e quelle anziane piene di
memoria / che con la loro luce hanno fatto la storia / gloria a tutta l’energia che c’è
nell’aria ...
Questa è la mia casa LA CASA DOV’È / la casa è dove posso portar pace ...
(3 volte) / io voglio andare a casa / LA CASA DOV’È la casa è dove posso stare in pace
con te / in pace con te ... questa è la mia casa ...
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Il nuovo Millennio: Dio nella nuova Babele.
L’inizio del nuovo millennio è stato segnato pesantemente e negativamente dal
lacerante massacro, ancora in atto, tra Israeliani e Palestinesi, dai fatti dell’11 settembre,
dalla guerra in Afganistan, dall’incubo del terrorismo globale, dai focolai di guerra che si
consumano soprattutto nei paesi poveri e quindi spesso dimenticati. Basta consultare il sito
http://www.warnews.it/ per rendersi conto di come la macchina della guerra stia facendo
continuamente stragi. A questo basterebbe aggiungere il fattore economico che spesso è
anche il fattore che decide il rialzarsi o il ricadere di una nazione. Il caso Argentina è ormai
un classico. All’interno di questi scenari viviamo la nostra vita in un occidente benestante e
viziato, ma con molte contraddizioni interne.
Contraddittorietà colta anche dal mondo della musica. A livello musicale, infatti, la
scena è controversa. Da una parte si registra un rinnovato impegno sotto la spinta dei
movimenti no global e i fatti dell’11 settembre. A livello internazionale gli inossidabili U2,
Manu Chao con …proxima estacion… esperanza quasi tautologicamente identificato con il
movimento no global, Bruce Springsteen con The rising ispirato alla tragedia delle Torri
Gemelle, e altri che riscoprono la voglia di cantare la storia e la lotta per un mondo
migliore. Anche in Italia c’è voglia di rinnovato impegno. Non sono più le canzoni degli
anni settanta politicamente identificabili con la sinistra classica, ma certamente c’è voglia
di sociale e politico. Daniele Silvestri con l’album Unò - Dué, Piero Pelù con U.D.S.
L’uomo della strada, Francesco de Gregori con Giovanna Marini Il fischio del vapore,
Piazza Carlo Giuliani ragazzo è un CD con la collaborazione con i Modena City
Ramblers, 99Posse, Vito Rorro, Banda Bassotti, Daniele Sepe, Yo Yo Mundi, Africa
Unite, Meganoidi, Subsonica, Marco Chiavestrelli, Les Anarchistes, Mau Mau, Andrea
Sisti, Kevlar, Pierugo e Marika.
Dall’altra parte abbiamo il mondo della musica sempre più immerso nel look e nel
desiderio di divertimento. L’Espresso del 7 novembre fotografa le emergenti sex simbol
della canzone internazionale definendole: “Belle. Sensuali. Provocanti. È la carta vincente
delle nuove regine dell’industria discografica”. Shakera, Jennifer Lopez, Astanti, Britney
Spears, Mary J. Blige, Pink ecc… sono nomi forse poco noti al mondo adulto, ma che ai
giovani parlano di canzoni, stili, mode e trend. Il versante italiano di questa realtà del pop
ricco e famoso viene emulato dalla top ten di radice sanremese.
Dio dove sta in tutto ciò? Sabina Minardi nell’articolo Religione fai-da-te apparso
sull’Espresso del 24 ottobre riporta alcuni dati del quinto rapporto IARD su giovani e
religione dove si sostiene che “L’80 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 34 anni dichiara di
essere cattolico, ma di avere fiducia in credenze parallele; il 65 per cento ritiene che tutto
ciò che ci circonda abbia un’anima, piante e animali compresi; il 20 per cento sostiene che
dopo la morte l’anima si reincarnerà in un’altra forma di vita. Una moderna Babele.
Registrata ovunque. Nella cattolicissima Spagna, un’indagine condotta da “El Mundo”
rivela che, alla domanda: “Come sarebbe oggi Gesù Cristo?”, una larga parte di giovani tra
i 18 e i 29 anni risponde che il figlio di Dio non sceglierebbe di essere cattolico; un altro
studio dell’Università Complutense di Madrid mette in luce la crescita della religione nei
paesi islamici e il declino in quelli cattolici. E per la Christian Encyclopedia di David B.
Barrett e Todd M. Johnson (Oxford University Press) 16,5 milioni di persone ogni anno
lasciano il cristianesimo per altre religioni.”
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Anche se il quadro Italiano sembra reggere grazie alla figura carismatica del Papa e
della molteplice offerta cattolica, tuttavia l’attenzione e l’attrazione verso nuove forme di
religione non è minore. Non è difficile ormai sentire parlare di esperienze di fede meticce,
dove la contaminazione può essere vista come negativa o positiva a seconda di come si
consideri l’avventura della fede.
Segnaliamo una pubblicazione di canzoni del 2001 dal titolo Lettere Celesti,
raccolta che vuole, come dice il libretto che accompagna il CD, documentare come,
nell’ambito della canzone d’autore italiana, si sia affrontato il rapporto uomo
soprannaturale. In un certo senso, anche se con finalità diverse, è ciò che abbiamo tentato
di raccontare in questo piccolo viaggio nella canzone italiana come testimone
dell’evoluzione del volto dell’uomo e del suo rapporto con Dio.
È un viaggio parziale, incompleto e non dà ragione della complessità evoluzione
della situazione religiosa giovanile. Tuttavia, come più volte ho sostenuto all’interno dei
precedenti articoli, l’arte, e in particolare la musica con le sue canzoni, coglie e anticipa i
mutamenti in atto nella nostra cultura.
L'argomento meriterebbe approfondimenti e ampliamenti, per ora ci fermiamo
augurando soprattutto ad educatori, genitori e animatori di tenere sempre un orecchio e un
occhio aperto su questo meraviglioso e ambiguo mondo della musica, dove non si
troveranno certo le soluzioni ai problemi, ma si possono trovare spunti di riflessione e
punti di incontro per dialogare con le nuove generazioni che crescendo ci raccontano la
loro storia.
Una domanda provocatoria.
Non vi capita a volte di avere la sensazione che le canzoni che noi chiamano religiose
sembrano incapaci di emozionarci e di parlarci di Dio e dell’uomo, mentre a volte delle
canzoni che non hanno nessuna pretesa di essere religiose, suscitano in noi un senso
profondo del mistero di Dio e dell’uomo? Vi siete mai chiesti il perché?
Fabio Pasqualetti
Siti per il reperimento dei testi delle canzoni
Guccini: "Dio è morto" http://www.geocities.com/BourbonStreet/Square/6186/
De Andrè: "Si chiamava Gesù" http://www.freeweb.org/musica/DeAndre/
Zero: "Potrebbe essere Dio" http://www.zeromania.com/
Battiato: "E ti vengno a cercare" http://www.battiato.it/
Salemi: "W L'anima
Records:74321567402
libera"
testo
tratto
dall'album
Pathos
CD
BMG
Jovanotti: "Queta è la mia casa" http://www.geocities.com/Yosemite/Gorge/3085/
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Giovani, musica e mondo adulto: una sfida educativa
Queste pagine, fondamentalmente tratta dal mio libro Giovani e musica. Un
approccio educativo, aprono degli squarci su un panorama complesso e ampio. La
speranza è di offrire alcuni punti di riflessione attorno ad un tema caro a giovani ed
educatori.
Spesso genitori, animatori, catechisti e insegnanti comprendono l’importanza della
musica per i giovani, ma sono disorientati per la vastità, la complessità del fenomeno e la
velocità di cambiamento delle mode e delle tendenze. Si rendono conto che la musica non
è solo ascolto, ma piuttosto è stile di vita; è riflesso del modo di sentire in quel momento; è
codice per la cerchia di amici; è rito da celebrare insieme ad altri “fedeli” della stessa
“religione musicale”; è contesto sociale nel quale immergersi e trasformarsi; è un
laboratorio sperimentale della ricerca di identità; è una spazio per esprimere la propria
corporeità; è dimensione comunicativa per gli altri e per sé stessi; è un flusso liquido di
suoni nel quale immergersi e isolarsi dal resto del mondo; è un potente anestetico per
stordirsi nei momenti di dolore personale; è un eccitante per celebrare l’euforia della
propria giovinezza. È tutto questo e molto altro perché come, tutti i linguaggi, la musica si
racconta e ci racconta.
La musica ci racconta
Voler comprendere il problema del rapporto fra musica e giovani presuppone il
comprendere che la musica non è qualcosa di specificatamente rivolto ai giovani. La storia
dell’uomo potrebbe essere riletta alla luce della storia della musica, dei suoi strumenti,
delle sue composizioni. Un aspetto importante è prendere coscienza del fatto che la musica
interpreta e canta la vita personale e sociale della nostra esperienza umana. Nella sua forma
canzone e nel misterioso connubio tra musica e parole, essa assume una forza particolare
capace di creare un legame affettivo con l’ascoltatore. I primi amori adolescenziali sono
spesso stati sigillati da una particolare canzone o brano musicale che, ascoltati in un
particolare momento, assumono un particolare significato che va al di là della qualità
musicale di quella canzone o di quel brano musicale. La musica, con le sue canzoni, marca
la fase giovanile in modo del tutto particolare, è come se in quel periodo operasse un
inprinting speciale. A sua volta diventa però linguaggio di espressione dei giovani e in
questa prospettiva possiamo dire che se è vero che la musica parla ai giovani, è anche vero
che la musica parla dei giovani. Simon Frith, sociologo e musicologo inglese, sostiene che
per un giovane il “parlare di musica” sia un modo per parlare di sé. La musica, al di là
delle competenze che un giovane o una persona possano avere è qualcosa che comunica a
più livelli. Anche quando un giovane apparentemente si esprime in modo superficiale, in
merito ad un brano musicale o ad un genere, dicendo: “mi piace, o non mi piace”, questo
modo di esprimersi, se analizzato attentamente, nasconde una serie di giudizi valoriali,
comunicativi, relazionali ed estetici molto complessi. Alla luce di questi processi, la
musica diventa un fattore importante per un educatore o un genitore, proprio perché
linguaggio e spazio di espressione del sé dei giovani e può, quindi, diventare porta di
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accesso al dialogo, al confronto, alla condivisione, alla comprensione, a tutto ciò che
dovrebbe entrare in gioco in una attività educativa e formativa.
La musica veicola modelli comportamentali
Sin dagli anni ‘30 l’industria dello star system aveva capito che le star, siano esse
della musica o del cinema, erano modelli capaci di veicolare abitudini di consumo. In
particolare la loro forza sta nel fatto che, pur con le dovute differenze, sono imitabili nel
modo di vestire, nel modo di pettinarsi o tagliare i capelli, nel modo di atteggiarsi, ecc. La
musica prodotto e marketing di se stessa, è capace però di veicolare allo stesso tempo
molti altri prodotti. Tuttavia, e per fortuna, la musica non è solo un prodotto commerciale:
è, come già detto, linguaggio, stile di vita, spazio comunicativo, per cui, se da una parte
può essere ridotta a merce, dall’altra per la sua natura trascende il suo stato e diventa
simbolo, rito e mito per la comunità giovanile. Questo è vero a tal punto da poter sferrare,
nei suoi stili e contenuti, un feroce attacco allo stesso sistema che la produce. Negli anni
‘80, con la comparsa di MTV, la musica si è corredata anche di un apparto comunicativo
che ha influenzato maggiormente la cultura del visivo, la cultura dell’estetica del corpo. La
crescete coscienza del proprio corpo e dell’abito come linguaggi che comunicano ha
modificato anche i comportamenti dei fan. Per capire in modo palese ciò che sto dicendo,
basterebbe guardare il concerto di Woodstock ‘69, ponendo attenzione al comportamento
del pubblico durante le performance musicali, e poi guardare Woodstock ‘94, sempre
ponendo attenzione al modo in cui il pubblico si comporta. Non c’è paragone tra i fan di un
concerto degli anni ‘60 e quelli degli anni ‘90. Questi ultimi hanno una maggiore
consapevolezza della propria immagine in rapporto sia all’evento che stanno vivendo sia ai
media che lo trasmettono e sanno mettersi davanti ad una videocamera con disarmante
disinvoltura che, in alcuni casi, tende all’esibizionismo. Sanno di essere parte integrante
dello spettacolo. Gli educatori devono essere coscienti di questi meccanismi. Allo stesso
tempo le generazioni di oggi sono così sature di proposte commerciali che le star e gli idoli
proposti sono sempre più fragili, di rapida ascesa, ma anche di facile tramonto.
C’è spazio per Dio nella musica dei giovani?
La musica, come tutta l’arte in generale, è capace di raccontare l’uomo nelle sue
speranze, paure, preoccupazioni, desideri e in tutto ciò che concerne il senso profondo
della vita, della morte, dell’amore. Tutto questo avviene in contesti sociali che cambiano e
quindi cambiano anche i linguaggi e le immagini che essi producono. Dio, nel bene e nel
male, è anche lui oggetto delle nostre narrazioni. La canzone per alcuni aspetti è un luogo
privilegiato perché in pochi minuti racconta storie della relazione tra l’uomo e Dio. Nella
musica che ascoltano i giovani, Dio non occupa il primo posto, ma in questo caso è
interessante vedere come la canzone italiana, attraverso i suoi autori, abbia percepito e
descritto i cambiamenti a livello culturale del rapporto tra l’uomo e Dio dagli anni ‘60 ad
oggi. Non è difficile intravedere come si sia passati dal Dio di Gesù, il Gesù storico
presente in varie canzoni degli anni ‘60, ad un Dio progressivamente più soggettivo degli
anni ‘70, al Dio intimo e sincretico degli anni ‘80, per giungere al Dio personalizzato e
globale degli anni ‘90 spesso plasmato in base ai propri sentimenti. Questo è stato
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l’andamento rilevato anche dai rapporti delle analisi sociologiche sulla religione effettuate
in questi anni. Dio oggi non fa più problema come lo faceva negli anni ‘60, ma è anche
vero che non è più il Dio di Gesù Cristo e non appartiene nemmeno più ad una chiesa o ad
una religione: è un “qualcosa o qualcuno” che trascende e a cui ci si rivolge nei modi più
impensati. Liberato da rigide formule, Dio è diventato piuttosto “liquido”, per usare un
categoria presa a prestito da Bauman, anche Lui frutto postmoderno di una cultura
pluralista e complessa.
Musica e ballo
Un altro aspetto della musica e di ciò che le gira attorno e che di solito crea
problema a genitori ed educatori: il ballo e la discoteca. Il problema principale è capire il
ruolo della danza nella ritualità umana come elemento costitutivo della comunità. Bisogna
ricordarci della riscoperta del corpo da parte della cultura occidentale negli anni ‘50
sull’onda della nascita del rock’n’roll, per poi cercare di capire il successo delle discoteche
durante gli anni ‘70, fino ad arrivare ai rave party, veri “santuari” dei trend trasgressivi in
cui musica, ballo, droghe, alcol e luci laser compongo un cocktail micidiale capace di
offrire uno sballo totale. E, se nel giudizio complessivo, le discoteche rimangono
certamente luoghi di divertimento e di evasione bisogna chiedersi, come educatori, perché
ci sia tanto bisogno di evadere e da che cosa o da chi. Cosa costringe un giovane a mal
sopportare la quotidianità e cercare a tutti i costi lo sballo? Forse come dice la canzone di
Jovanotti La linea d’ombra, nel cuore di ogni giovane c’è l’attesa di qualcuno che gli offra
“un incarico di responsabilità”. Si tende sempre ad avere un giudizio benevolo verso lo
spettacolo, ma quando la cultura stessa diventa spettacolo, quando la politica diventa
spettacolo, allora lo spettacolo stesso agisce più da guardiano del sonno della coscienza
collettiva, anziché da coscienza critica nei confronti del potere.
L’educatore rabdomante
Un educatore che è attento all’altro, al giovane che ha davanti, non lo giudica per
come gli appare, ma cerca strade per poterlo incontrare. L’educatore è un rabdomante che
sente, percepisce, intuisce e ha la certezza che qualcosa di importante e di grande esiste nel
cuore di ogni giovane. Il rabdomante sente in “profondità”, è pronto a scommettere, là
dove nessuno vorrebbe scommettere nemmeno un centesimo, che si possa trovare qualcosa
di buono in ciò che sembra perduto. Questo lo può fare quell’educatore che coltiva in sé la
certezza che in ogni persona, a volte in modo recondito, c’è sempre un anelito vero e
sincero alla vita, alla voglia di crescere, alla voglia di cercarne il senso profondo, alla
voglia di donarsi e di partecipare alla costruzione di un mondo migliore.
Il rabdomante educatore non è un naïve, sa che deve essere accettato dal suo
interlocutore, sa che il viaggio deve essere fatto insieme, sa che può indicare la stella
polare e che questa non è lui, sa che durante il cammino ci si stanca, ci si stufa, e tuttavia il
rabdomante educatore può fare il cammino perché anche lui, grazie a qualcun altro, l’ha
già fatto prima. Non si tratta di essere degli arrivati, si tratta di aver fatto esperienza e
durante questa esperienza aver sviluppato degli atteggiamenti.
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Atteggiamento nei confronti della vita. L’educatore deve aver risposto alle grandi
domande delle vita prima di poter pretendere di rispondere a quelle che i giovani gli
porranno. È importante capire che non possiamo comunicare ciò che non siamo.
Atteggiamento di presenza e di ascolto. Per quanto le tecnologie della rete oggi
permettano contatti a distanza, se si vuole condividere la vita si deve avere il coraggio di
“spendere” del tempo stando insieme. Una relazione educativa ha bisogno di tempo
condiviso, non siamo applicazioni che si aprono e chiudono con un click del mouse, non
siamo dei post da giudicare in base al “mi piace” o “non mi piace”.
Atteggiamento di incarnazione e di comunione di vita. Incarnarsi non vuol dire
diventare uguali. Si tratta di riconoscere nell’altro una persona che, anche se differente da
me, è una occasione di incontro e di crescita. Più l’educatore ha una ricchezza interiore,
culturale, sociale, esistenziale, politica, più sarà in grado di poter offrire una possibilità di
confronto.
Per quanto riguarda più specificatamente la musica, una cosa importante da
ricordare è che la musica per i giovani è discriminante. Se a una giovane piace Gigi
D’Alessio, difficilmente piacerà Caparezza. Sono due mondi opposti, sono due modi di
pensare e vivere non solo la musica, ma la vita, il mondo, la politica, la religione. Questo
non necessariamente vuol dire che uno sia meglio dell’altro, sono indicatori di esperienze
di vita diverse e di immaginari diversi, di compagnie diverse. Capita spesso che un giovane
cambiando giro di amici (anche in questo caso per varie ragioni che dovrebbero essere
appurate) cambi gusti: nel modo di vestire, nel modo di comportarsi e quindi nel genere di
musica che ascolterà.
La musica – come il cinema, il romanzo, la moda e l’arte in senso più generale –
ha la capacità di percepire, ordinare, chiarire, intensificare e interpretare gli eventi della
vita riproponendoli in modo coinvolgente e avvincente. Tutti possiamo raccontare cosa ci
capita ogni giorno, ma c’è sempre qualcuno che riesce a raccontarlo in modo più
emblematico, capace di essere la storia di molti e allo stesso tempo la nostra e quindi
l’unica per chi l’ascolta.
Un educatore dovrà essere un attento osservatore di ciò che capita nella vita e nella
cultura, non solo per il suo bene, ma come condizione necessaria per poter instaurare un
rapporto significativo con i giovani, sviluppando un linguaggio che usa parole che
sappiano parlare qui e ora.
Fabio Pasqualetti, Giovani e musica. Una prospettiva educativa, Roma, LAS, 2012
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