Strumenti ideologico-culturali e le critiche allo sviluppo

Programmazione e gestione
delle politiche e dei servizi
sociali
Antropologia e sviluppo locale
Simone Ghezzi
[email protected]
06-6448-4883
U6-4121
Strumenti ideologico-culturali e le
critiche
Critiche esogene al sistema:
Teoria della modernizzazione;
Dependency Theory
World System Theory
Political Economy in antropologia
La critica post-moderna – una nuova agenda
radicale
Critiche endogene al sistema:
Putting People First
Teoria della modernizzazione
• L’idea di Roosvelt secondo cui la pace mondiale
avrebbe richiesto l’uguaglianza tra i popoli e che
questa, a sua volta, avrebbe implicato la libertà di
scambio tra di essi.
• Processo inarrestabile di decolonizzazione
(crollano gli imperi coloniali inglese, francese,
olandese e belga).
• La dottrina Truman: invece di coltivare l’idea
roosveltiana di un “mondo unico” (il blocco
comunista lo rendeva irrealizzabile), si persegue
l’idea di un “mondo libero”.
• Il point four del discorso che Harry S. Truman
tenne in occasione del suo insediamento alla Casa
Bianca, il 20 gennaio 1949, è comunemente inteso
come momento di inizio di una nuova epoca,
quella dello sviluppo e, di riflesso, del
sottosviluppo (Pag.45, Ventrone 2004).
• Da quel giorno, come qualcuno (Esteva) ha voluto
sottolineare non senza ironia, “circa 2 miliardi di
persone smisero di essere quello che erano, con
tutte le loro diversità, e furono ideologicamente
trasformate in una maggioranza di popoli
sottosviluppati e giudicati semplicemente nei
termini di una minoranza omogenea e limitata”.
• Il governo americano era convinto che l’Unione
Sovietica fosse determinata a competere con gli
USA cercando di minare l’influenza americana
partendo dalle “periferie sottosviluppate”.
• Era necessario assumere un atteggiamento più
propositivo e innovativo nei confronti dei paesi
economicamente arretrati (o emergenti).
• Dimostrare loro che lo sviluppo secondo linee
liberali e capitaliste [sviluppo –
industrializzazione – crescita] avrebbe potuto
alleviare la povertà e innalzare il tenore di vita
almeno con la stessa rapidità delle alternative
rivoluzionarie marxiste.
• Per evitare che questi nuovi stati cadessero
sotto l’influenza sovietica gli USA avevano
bisogno di un modello di sviluppo da offrire
loro in cambio di un appoggio politico e/o
militare.
• In questo contesto di crescente tensione e
ansietà la teoria della modernizzazione si
rivelò particolarmente attraente per i
pianificatori preoccupati di contenere
l’espansione rivoluzionaria.
• Questa teoria (o insieme di teorie) fu il risultato di
uno sforzo collettivo ad opera di un nutrito gruppo di
accademici finanziati generosamente sia dal governo
sia da fondazioni private (Carnegie Corporation; CIA;
Ford Foundation; MIT; Harvard; Stanford; etc.)
• Si crea un intreccio (di risorse umane e finanziarie)
tra alcune scienze sociali accademiche e vari tipi di
conoscenze e teorie che circolavano nel mondo della
politica dello sviluppo.
• Questo intreccio fece della modernizzazione
qualcosa di più di un modello teorico,
trasformandola progressivamente in un modello
politico-ideologico.
• Alcuni testi fondamentali per comprendere la
teoria della modernizzazione:
• W.W. Rostow (1960) The Stages of Economic
Growth (Rostow, economista del MIT, fu
consigliere presidenziale di Kennedy e
Johnson negli anni ’60). Egli sosteneva che
fosse necessaria la rimozione dei valori
tradizionali per permettere liberare le risorse
individuali e permettere così il take-off
dell’economia. Una volta iniziato, con l’aiuto di
investimenti esteri il processo di sviluppo non
si sarebbe fermato (self-sustaining growth).
• Stadio 1: in cui la stragrande maggioranza della popolazione
opera nel settore primario in un'economia di sussistenza e
autoconsumo, basata su rapporti di reciprocità e
ridistribuzione, imperniata da una cultura dominata dal
fatalismo e dal familismo amorale.
• Stadio 2: grazie a un notevole investimento di denaro (big
push) si passa al secondo, che è caratterizzato dalla crescita
massiccia dell'industrializzazione,
• Stadio 3: la quale in seguito viene a sua volta soppiantata
dalle attività terziarie in un contesto dominato da
un'economia integrata basata su legami di interdipendenza.
Lo sviluppo viene quindi considerato come un processo
univoco, esportabile, lineare, caratterizzato da una crescita
continua e illimitata.
• Paradosso: si esige ai paesi “sottosviluppati” di avanzare
rapidamente, percorrendo in pochi anni un progresso che in
Europa durò secoli.
• T.W. Schultz (1964) Transforming Traditional Agricolture (un
trattato di teoria economica rigorosamente neoclassica
dedicata ai problemi dello sviluppo)
• La teoria della modernizzazione non rimane circoscritta
all’ambito dell’economia. Si diffonde anche in sociologia (per
esempio negli scritti di Merton, Parsons, e Smelser: modelli
valoriali e normativi, mobilità sociale, modelli di consumo,
modelli di comportamenti sociali, la trasformazione delle
funzioni delle istituzioni, per esempio la famiglia)
• e in psicologia sociale. Si pensi al libro di McClelland (1961)
The Achieving Society, dove si spiega in che modo i modelli
culturali ed educativi dell’infanzia esercitano una influenza
significativa sui modelli di comportamento nell’età adulta.
• Esaminando le fiabe per bambini, McClelland e il suo
gruppo di lavoro trovò differenze significative tra
paesi anglosassoni e paesi mediterranei.
• Nei primi compaiono fiabe sul modello di Peter Pan
(il bambino che si rende autonomo ed affronta con
successo la vita: modello di iniziativa personale e
autorealizzazione).
• Nei paesi mediterranei invece appaiono tipicamente
le fiabe sul modello di Pinocchio (il bambino che
lasciando casa diventa preda di un mondo
ingannevole e pericoloso dal quale si salva solo
tornando a casa: modello dell’obbedienza e della
famiglia).
• Le persone cresciute nel primo tipo di ambiente
sociale svilupperebbero i caratteri degli achievers,
orientati all’autonomia e all’auto-realizzazione
secondo un modello trasmesso dai genitori. Gli altri
invece riproducono un modello tradizionale e poco
propenso al rischio e al cambiamento.
• L’idea di base è che l’ignoranza (cioè la non
conoscenza di opportunità migliori) fosse causa della
povertà: rimuovendo la prima si sarebbero
automaticamente rimossi gli ostacoli allo sviluppo.
• Pochi tra gli anni Quaranta e Cinquanta mettevano in
dubbio la validità dei progetti di modernizzazione, che
richiedevano un costante apporto di capitali, di
risorse energetiche, di supervisione e di
manutenzione costante.
• La teoria della modernizzazione si consolida
anche in antropologia. Margaret Mead che fu
forse l’immagine pubblica più popolare
dell’antropologia degli anni sessanta
sosteneva che era sufficiente esporsi a modelli
di vita oggettivamente “migliori” per
incentivare il desiderio di progredire la propria
condizione sociale, nel senso che la
superiorità della tecnologia industriale è
talmente evidente che non necessita
ripensamenti.
• Anche Clifford Geertz viene coinvolto in progetti
ispirati alla teoria della modernizzazione. Nel 1952
si reca a Java insieme ad un gruppo di esperti gruppo interdisciplinare del MIT - composto da
economisti e altri scienziati sociali, che doveva
occuparsi della “modernizzazione” economica
dell’Indonesia. L’obiettivo è quello di trovare gli
elementi che possano innescare l’ “economic takeoff” sul modello elaborato di Rostow.
• Il 1952 è anche l’anno nel quale si pubblica il
journal accademico: Economic Development and
Cultural Change, dove gli esperti di varie discipline
si confrontano sul tema dello sviluppo e del
• I punti critici:
- dicotomia tra “moderno” (e progresso, efficienza) e
“tradizionale” (ciò che è antiquato, inefficiente);
soppressione dei saperi locali (che invece tendono alla
sostenibilità e all’equilibrio);
- orientamento allo sviluppo eurocentrico (tecnocratico) –
cioè lo sviluppo deve seguire le strade già percorse
dall’Occidente industrializzato (Europa e America
Settentrionale), ma ad una velocità più sostenuta.
• economia: crescita del prodotto pro-capite;
finanziamento di investimenti e progetti atti a
trasformare intere masse di contadini legati alla
sussistenza in salariati, capitalisti agrari e imprenditori
industriali;
• tecnologia: dalle tecniche semplici e tradizionali alle
tecniche complesse e moderne applicando la conoscenza
scientifica;
• agricoltura: dall’economia della sussistenza (prevalente) a
quella della produzione commerciale (prevalente).
• industria: proletarizzazione della forza lavoro, impiego
più intensivo di macchinari (ad alto consumo energetico);
creazione di un mercato del lavoro;
• territorio: urbanizzazione. Dal villaggio come luogo
centrale di organizzazione della vita quotidiana in tutte
le sue sfaccettature alla diffusione ed espansione dei
centri urbani come luogo privilegiato delle relazioni
economico sociali (le metropoli del terzo mondo e le
formazioni di bidonvilles o favelas: Lima, San Paolo, Rio
De Janeiro, Bombay, Accra, Lagos ecc.);
- fase di dualismo temporaneo e transitorio (settore
tradizionale, arcaico poco produttivo vs. settore
economico dinamico in via di modernizzazione);
- Sviluppo = crescita? No: dobbiamo cominciare a pensare
in termini di sviluppo sociale e crescita associata a
cambiamenti socio-culturali (elemento sociale vs.
elemento economico; sviluppo economico non implica
crescita sociale)
La teoria della dipendenza (Dependency
Theory)
• La teoria della dipendenza si sviluppa
originariamente nei circoli intellettuali e
accademici di economisti, storici e sociologi in
America Latina.
• Si basa su una analisi critica dell’economia
presente in maniera egemone nella teoria
della modernizzazione
• Ci sono dei precursori, come il gruppo di lavoro
dell’ECLA (United Nations Economic Commission for
Latin America – Santiago del Cile - 1948) sotto la
guida di Raùl Prebisch. Da una prima fase di raccolta
di dati sulle economie latino-americane, si giunge ad
un periodo di studi intensivi sui singoli paesi
dell’America Latina con l’obiettivo di “programmare”
il loro futuro sviluppo economico mediante la
promozione di una cooperazione economica
attraverso la formazione di un mercato comune
latinoamericano.
• Profonda insoddisfazione nei confronti delle teorie
economiche neoclassiche – offrivano uno scarsissimo
contributo alla comprensione dei problemi di sviluppo dei
paesi periferici, ed anzi al contrario legittimavano nei fatti un
modello di sviluppo dannoso nei loro confronti.
• Convinzione che la asimmetria delle relazioni economiche fra
centro (tecniche avanzate di produzione capitalistica) periferia
(arretratezza tecnologico-organizzativa ed esportatrice di
materie prime verso i paesi centrali) fossero le cause del
mancato sviluppo delle periferie da un lato e dello sviluppo
dei paesi centrali dall’altro.
• Sviluppo e sottosviluppo sono strettamente interdipendenti
ed espressioni di un processo unico.
• La disparità tra centro e periferia si producono attraverso i
meccanismi del commercio internazionale.
• Formazione di economisti e sociologi critici.
• I teorici della dipendenza osservano come il periodo
di transizione stia diventando strutturale
(prolungamento ben oltre le previsioni) e che gli esiti
dello sviluppo sono modesti (e in alcuni casi
mostrano addirittura effetti devastanti, sull’ambiente
e sulle comunità).
• In contrapposizione alla teoria della modernizzazione
Gunder Frank e altri autori (Cardoso, Amin, Rodney)
propongono una visione alternativa, cioè il modello
di sottosviluppo come immagine riflessa della
modernizzazione. La contrapposizione tra moderno e
tradizionale viene sostituita dalla distinzione tra
centro e periferia. Il centro (metropoli) sfrutta la
periferia (i satelliti) invece di creare sviluppo.
• In che modo? Sottraendo plusvalore e le
materie prime possedute dai paesi poveri.
• Il successo economico e tecnologico del
centro (cioè dell’Occidente) è garantito
proprio dalla presenza di una periferia
sottosviluppata (ma che un tempo erano
grandi civiltà e potenze economiche regionali)
e sfruttabile dalla quale attingere per avere
mano d’opera e materie prime a basso costo.
• Il contatto con il modo di produzione
capitalistico (specialmente attraverso il
colonialismo) ha eroso le ricchezze e le risorse
di queste società e depauperato il loro
territorio. Ha prodotto un aumento della
ricchezza nelle società industriali
• Molte delle società “tradizionali” studiate
dagli antropologi non sono altro che un
prodotto del capitalismo stesso, una varietà
distinta di capitalismo “periferico”.
• Con il termine “imperialismo” (termine molto in
voga negli anni Sessanta e Settanta) si voleva
indicare la competizione economica tra società
industrializzate per il controllo delle risorse nelle
regioni non sviluppate.
• L’unico rimedio è la riallocazione delle risorse dal
centro alla periferia, per evitare che quest’ultima
continui a perdere la propria capacità di
sostenere la popolazione locale e che sia
costretta ad indebitarsi ulteriormente per
finanziare una crescita che non si realizza.
• Critiche alla dependency theory
1) Eccessivo pessimismo. Parecchie nazioni, quelle che
avevano consolidato i contatti con i paesi
industrializzati americani ed europei si sono
sviluppate nonostante la loro arretratezza
originaria: Giappone, Taiwan, Sud Corea.
2) Nega la possibilità di responsabilità endogene. Gli
ostacoli allo sviluppo interni al singolo stato sono
evidenti: crescita demografica troppo elevata,
carestie, controllo centralizzato dell’economia,
corruzione, valori tradizionali che ostacolano lo
sviluppo.
Teoria dell’economia-mondo o dei
sistemi mondiali (World-System
Theory)
• Immanuel Wallerstein pubblica nel 1974 The
modern World System il primo volume di
un’opera che avrà un’influenza notevole sulla
sociologia e sull’antropologia;
• E’ una risposta molto più complessa e
articolata nei confronti della teoria della
modernizzazione rispetto a quella formulata
dalla dependency theory.
• Egli osserva che il capitalismo si è imposto su altri sistemi
economici perché si è dimostrato il più efficace mezzo di
appropriazione del surplus di produzione.
• È un lungo processo che comincia in Europa nel XVI secolo
attraverso il compimento di quattro fasi specifiche:
– L’oro e l’argento estratto e sottratto in America viene
immesso nel mercato europeo – l’accumulazione di capitale
inizia.
– Questa si consolida tra il 1640 e il 1815. Il commercio tra
Africa ed Europa si intensifica.
– La rivoluzione industriale, affamata di materie prime per
produrre energia e merci, facilita ulteriormente il processo
di espansione capitalista.
– Dal 1917 il sistema si consolida. Colonialismo e postcolonialismo economico
• Nel momento in cui scrive, Wallerstein vede l’emergere di
un sistema capitalistico stratificato, con un centro
(l’Europa centrale, settentrionale e l’america), una
periferia (paesi in via di sviluppo e europa dell’est), e una
semiperiferia (Europa meridionale).
• Ogni zona è definita secondo la propria geografia, le
proprie organizzazioni politiche, le proprie forme di
controllo del mercato del lavoro e della produzione
economica.
• Tutte però sono collegate al centro attraverso uno
“scambio ineguale” (unequal exchange) che contribuisce
a creare accumulazione di capitale in un unico senso di
flusso .
• Chi si trova ad operare nel centro vive condizioni di vita
meno coercitive e più vantaggiose in quanto si trova ad
essere i beneficiari di questo scambio ineguale. Il centro è
fisicamente il centro dell’economia mondiale che riesce
ad esercitare il dominio economico su tutte le altre
regioni.
• A differenza dei teorici della dipendenza, Wallerstein
sostiene che in seguito a certe circostanze storiche (per
esempio la crisi mondiale degli anni ’30) alcune regioni
periferiche possono raggiungere una posizione più elevata
di controllo dell’economia e muoversi nella semiperiferia.
• In generale però, il centro mantiene un equilibrio
piuttosto stabile, a scapito di una periferia e semiperiferia
sulle quali sono scaricate le tensioni e le contraddizioni
del sistema.
• Nel complesso, però, Wallerstein sostiene che
siamo entrati in una fase in cui l’egemonia
degli Stati Uniti nel sistema-mondo capitalista
è entrata in crisi.
• Una evidente conseguenza di questa
tendenza, egli sostiene, è che l’ideologia della
modernizzazione ha perso completamente di
credibilità teorica.
• Ed auspica che venga finalmente messa da
parte.
• Critiche alla world-system theory.
• Una visione lineare della storia in cui l’Occidente è conserva il
ruolo di leadership e apre la strada dello sviluppo economico
alle nazioni del terzo mondo.
• Dall’Eurocentrismo alla centralità dell’Asia A. Gunder Frank:
ReOrient, 1998). L’economia globale è dominata dall’Asia almeno
fino al 1800 - 60 % della popolazione mondiale; 80% della
produzione mondiale (cessa con l’imperialismo coloniale
britannico e francese). Nuova centralità dell’Asia nel secondo
millennio.
• Chase-Dunn e T.D.Hall (1997) Rise and demise: comparing
world-systems. Ripensamento delle gerarchie mondiali.
Multicentered world-systems prima di arrivare ad un global
modern world-system. Flusso di informazioni, tecnologie.
Spesso sono le semi-periferie dove avvengono i cambiamenti
più significativi e più velocemente.
• Non riesce a spiegare per quale motivo i
rapporti commerciali ed economici in generali
tra paesi industrializzati e non-industrializzati
devono essere contrassegnati necessariamente
da relazioni di sfruttamento. E sempre vero?
• Non tiene conto del fatto che il capitalismo si è
diffuso generando notevoli sacche di resistenza
tra le popolazioni.
• Il capitalismo dell’economia mondo non è
omogeneo, come Wallerstein sembra suggerire,
e quindi ci sono varie traiettorie di sviluppo.
Political economy in antropologia
• Si parte dall’impianto della world system
theory, alla quale però si fa notare che i temi
di analisi sono di natura esclusivamente
economica, e vengono omessi i fattori noneconomici, come quelli culturali, per esempio.
• Eric Wolf: Europe and the people without
History (1982)
• Sidney Mintz: Sweetness and Power. The Place
of sugar in Modern History (1985).
• L’oggetto di studio non è il capitalismo in sé,
quanto la reazione delle popolazioni ad esso, i
fenomeni di resistenza sociale.
• Le società e le loro pratiche sono analizzate
- in relazione al contesto più ampio nel quale
esse operano;
- storicamente, come prodotto di politiche
sociali, economiche, processi culturali
formatisi nel corso dei secoli.
• Fattori sociali e culturali e la loro interazione
con l’economia:
• l’impatto delle culture locali sulle attività
economiche di tipo capitalista ha prodotto un
mosaico complesso di capitalismi locali;
• la ricerca etnografia è un metodo di indagine
molto utile, anzi, fondamentale, per
individuare ed analizzare tali variazioni locali e
le eventuali forme di resistenza e di
rinegoziazione nei confronti dell’espansione
del capitalismo.
• Le nuove questioni per gli antropologi furono:
1)Come articolare la storia locale con la storia
mondiale spostandosi dal contesto locale a
quello regionale, nazionale, globale.
2)Come comprendere la differenziazione e la
variabilità all’interno di una realtà capitalista
pervasiva e totalizzante?
• Interazione tra regioni in cui domina un modo
di produzione non capitalista e quelle in cui
domina un modo di produzione capitalista
• Distinzione tra un mercato mondiale
capitalista (economia di mercato globalizzata –
circolazione delle merci) e modo di
produzione locale delle merci non
necessariamente basato sul monopolio dei
mezzi di produzione e lavoro salariato.
• (Nel 1700 per esempio domina ancora una
economia mercantile e non industriale
capitalista).
I prodotti-merce visti in un’ottica di sistemamondo. L’impatto sulle popolazioni locali.
• Prodotti agricoli e di allevamento:
- Riso, grano, carne (Argentina, USA, Australia),
banane, ananas, noci di cocco.
• Prodotti per uso industriale:
- Olio di palma, caucciù, cotone.
• Stimolanti:
- Zucchero, caffè, tè, cacao, (oppio), tabacco.
• Minerali preziosi
- Oro, diamanti
•
-
Si riflette su:
mercato dei prodotti tipici delle piantagioni;
Chi li consuma;
Come si consumano;
Chi li produce;
Come si producono;
Collegare i luoghi di produzione con i luoghi di
consumo
- Difficile comprendere appieno il commercio di
alcuni di questi prodotti senza prendere in
considerazione le trasformazioni sociali ed
economiche del capitalismo
• Siamo di fronte ad una presa di coscienza da
parte di tutti questi autori delle questioni
complesse che mettono in relazione
l’economia globale e le economie locali, ma
non c’è uno specifico intento a intervenire
direttamente sulle questioni
pratiche/applicative dello sviluppo. Lo si
osserva dall’esterno, molto criticamente, ma
senza la capacità di elaborare strategie di
intervento. Almeno fino a quando non si
creano le condizioni “ideali” => istituzioni
pronte a recepire queste analisi in maniera
Putting people first
• In Putting People First (1985) Cernea sviluppa un concetto
tanto scontato oggi quanto “estraneo” alle politiche di
sviluppo fino alla fine degli anni Settanta.
• Cernea propone un modus operandi controcorrente:
• Perchè la Banca Mondiale persegue obiettivi spesso destinati
al fallimento? Domandiamoci prima che cosa fa: Realizza
progetti finalizzati al trasferimento tecnologico e investe
enormi quantità di capitali in infrastrutture. Dunque persegue
obiettivi di sviluppo attraverso l’ingente iniezione di capitali.
Nulla di male in questo, il problema, semmai, risiede nel fatto
che questa istituzione ignora il ruolo delle organizzazioni
sociali locali e delle popolazioni locali, le quali si ritrovano a
subire il progetto.
• Invece, affinché i progetti possano avere più successo, si deve
fare in modo che abbiano l’appoggio della popolazione locale.
• Alla società civile locale va riconosciuto un ruolo
cruciale e determinante. Non come attore passivo,
bensì come agente attivo. Poiché è la popolazione locale
ad essere fruitrice delle infrastrutture e tecnologie, deve
innazi tutto essere in grado di apprenderle e di
assorbirle.
• Un conto è semplicemente acquisire e trasferire
tecnologia (es. in agricoltura, nell’industria), un altro
invece è far sì che questa nuova tecnologia venga
incorporata nel contesto sociale specifico e preesistente. Spesso è necessario adottare nuovi modelli
organizzativi per utilizzarla, e per internalizzare il
cambiamento tecnologico.
• Bisogna ripensare non soltanto a cosa fare, ma anche al
come fare e con chi.
• Come tradurre in azioni concrete questo
“Putting people first” ed evitare che rimanga
soltanto uno slogan?
• Disbursement, sensitivity analysis, rate of
return, cost benefit.
• The loan package è il “means”;
• The development project è il “end-product”.
• Project cycle model (preparazione/stesura del
progetto; valutazione/analisi; giudizio;
esecuzione; funzionamento autonomo;
valutazione finale).
• Per ciascuna di queste fasi deve inserirsi una
conoscenza sociale specifica (proveniente
dalla popolazione locale), mediata
dall’antropologo o dal sociologo in modo tale
da rendere ogni fase funzionale, compresa,
accettata e realizzata.
• In pratica si deve tenere conto delle differenze
culturali, e delle strutture sociali esistenti e
delle interazioni tra cultura e ambiente.
• La popolazione come major stakeholder e non
come recipient.
• Il ricorso alla social knowledge (comprensione sociale
delle popolazioni locali)
• Ricerca costante di strumenti per aumentare l’efficacia
degli interventi
maggior disponibilità/apertura della World Bank a
considerare nuovi approcci non economici nella
realizzazione di progetti per lo sviluppo.
Necessità di reclutare esperti provenienti da discipline
sociologiche e antropologiche, il cui contributo deve
essere offerto in tutte le fasi del ciclo progettuale
(Project cycle model)
Prima di allora invece il personale era esclusivamente
selezionato sulla base di competenze specifiche
tecnico-scientifiche (ingegneri, geologi, agronomi, ecc)
ed economico-finanziarie.
• Coinvogimento delle popolazioni indigene (a
partire dal 1982)
• Collaborazione con ONG locali (coinvolgimento
delle organizzazioni della società civile)
• Critica 1: tutte queste specificità innovative guidate
da buoni propositi devono trasformare un progetto
in un investimento con un ritorno “positivo”
economico-finanziario (linguaggio
“econometrico”).
• Critica 2: To Learn by doing ----- advancing by
forgetting what they have learned => es. I saperi
locali (rappresentazioni popolari, saperi settoriali,
di genere) non vengono attualizzati, mobilitati e
• L’esempio dei “bisogni”:
• Lo sviluppo deve essere perseguito per
soddisfare i bisogni della popolazione.
• A chi spetta il compito di definire quali siano
questi bisogni? (la popolazione locale!)
• Che cos’è un bisogno?
• Chi definisce i bisogni di chi? Chi parla e a
quale titolo può rappresentare anche i
bisogni di qualcun altro?
• Come si manifesta un bisogno?
• Come si formula la domanda agli interlocutori
locali?
• Per es. la domanda “Di che cosa hai bisogno”? 1)
Contiene già nella domanda una implicita risposta
che si modula secondo il tipo di bisogno che
l’interlocutore è disposto a soddisfare; 2): che
esistono da qualche parte dei bisogni da
soddisfare. In teoria potrebbe non avere bisogno di
nulla, se avesse bisogno di qualcosa si attiverebbe
in maniera autonomia e unilaterale.
• Spesso l’identificazione del bisogno è una
procedura “retorica” che permette di legittimare
attraverso le parole della popolazione locale (o di
un settore di essa) i progetti che i planners avevano
La partecipazione degli
antropologi/sociologi
• Antagonista – mantenersi lontano
dall’intervento diretto nei progetti di sviluppo.
In altre parole si preferisce evitare un
coinvolgimento diretto nel processo di
pianificazione e di implementazione dello
sviluppo. => incapacità a comprendersi, visioni
molto distanti tra gli antropologi da un lato e
istituzioni internazionali quali la World Bank e
il FMI.
• Riluttante – Tra gli anni 70 e 80 nasce la new
applied anthropology che si concentra su
tematiche inerenti la salute, l’ambiente,
l’istruzione, i diritti umani. Un certo numero di
giovani antropologi non hanno accesso al
mondo accademico (riduzione di posti) e
trovano lavoro presso altre istituzioni, società
di consulenza, di beneficienza, di aiuto
comunitario, agenzie internazionali, ecc.
• l’abbandono della teoria della
modernizzazione e la diffusione della teoria
della dipendenza
• Il paradigma teorico di mutamento sociale e culturale
in voga richiede l’intervento dell’antropologo e del
sociologo in quanto studiosi in grado di penetrare la
realtà locale instaurando un rapporto diretto con i
diretti interessati.
• Coinvolgimento attivo. Lavorando sul campo diventano
praticamente “mediatori culturali”, tra i locali e le
istituzioni dei pianificatori, spesso gli antropologi si
trasformano in attivisti ed estremi difensori dei diritti
delle minoranze e dei gruppi marginalizzati dai
movimenti globali di trasformazione economica e dal
post-colonialismo. Si mantiene un approccio
fortemente critico nei confronti dei planners
(pianificatori) e si promuove lo sviluppo partecipativo.
• Due grossi cambiamenti nella retorica dello sviluppo:
• 1) La diffusione delle teorie marxiste critiche che
indicarono come obsoleto il paradigma della
modernità.
• - Divisione strutturale fra Nord e Sud del mondo;
• - Il comportamento economico delle popolazioni del
“sud” non è irrazionale, bensì razionale e tradizionale;
• - Le tecnologie espresse dal sapere locale e le
istituzioni locali dei paesi in via di sviluppo devono
essere viste come risorse e strategie adattive e non
ostacoli da rimuovere/sopprimere. La cultura di una
comunità, insomma, non può essere vista come un
ostacolo allo sviluppo o causa di povertà.
• I piani di intervento locale funzionano soltanto se
• 2) Critica post-moderna alle teorie sulla
globalizzazione e sullo sviluppo, in quanto mero
prodotto di una razionalità occidentale che oppone
schemi di trasformazione economica, politica e
sociale a contesti incompatibili con essi.
• Necessità di agire in un contesto di post-sviluppo e
critica post-moderna;
• Retorica dello sviluppo che riproduce indicatori e
classificazioni arbitrari (per es. La recente
classificazione operata dalla Banca Mondiale nelle 6
regioni mondiali in via di sviluppo che comprendono
un totale di 152 paesi con realtà socio-economiche
non paragonabili, ma che per necessità pratica di
pianificazione rimangono inseriti in tali
raggruppamenti arbitrari).
La critica post-moderna – una
nuova agenda radicale
•
•
Tutti i rapporti sociali sono anche rapporti di
genere. Quindi il genere assume una propria
dignità empirica, tanto quanto l’etnicità, la
classe, il ruolo, il potere, l’età ecc.
Approccio anti-positivista: il linguaggio della
scienza è un linguaggio di oppressione e di
potere
•
•
•
le pratiche classiche di ricerca vengono
messe in discussione (ipotesi, prove dei dati
empirici, conferma o rigetto delle ipotesi
ecc.), e non sono più trattate come pratiche
fondamentali assiomatiche.
La neutralità del ricercatore o l’oggettività
del metodo scientifico vengono contestate.
Non solo non sono raggiungibili, ma non
sono neanche desiderabili.
La ricerca deve promuovere gli interessi delle
classi subalterne e delle donne.
• L’approccio scientifico viene messo in discussione. E’ un
“modello di arroganza”. Produce modelli astratti e predittivi,
genera ordine all’interno di uno schema classificatorio. La
visione post-moderna della cultura promuove invece la
complessità in continua trasformazione, la variazione e
l’autonomia individuale che genera una multivocalità e una
frammentarietà di posizioni culturali.
• Metodologia qualitativa ha il sopravvento su quella
quantitativa;
• La storia di vita e il metodo biografico vengono riscoperti e
dominano la scena. Questo metodo meglio di altri riesce a
dare voce agli individui che non hanno una posizione sociale
riconosciuta come importante. Mediante la storia di vita, la
storia sociale ruota intorno al narratore che ne diventa il
protagonista; non è più l’individuo, quindi, a dover ruotare
intorno alla storia degli eventi.
•
Il colonialismo ha creato una situazione in
cui le minoranze e i popoli oppressi non
hanno mai avuto la possibilità di parlare per
se stessi, con la propria voce. Ora ci sono le
condizioni perché questa situazione possa
finalmente cambiare.
•
•
Approccio dialogico e polivocale (o polifonico) nei
confronti del soggetti studiati. L’antropologo
avendo messo in discussione la propria autorità, si
raffronta con i suoi informatori/soggetti come suoi
pari. Il risultato finale della ricerca diventa dunque
opera di una moltitudine di autori partecipanti:
l’antropologo di cui udiamo la propria voce nel
testo, e i nativi/informatori, la cui voce non era mai
stata presente nel testo etnografico, mentre ora lo
è.
Vi è uno sdoppiamento della scrittura, perché sia
l’etnografo che l’informatore vengono narrati in
prima persona, in forma di dialogo, dove ciascuno
ha il proprio spazio e la propria voce.
• Come si traduce tutto questo in termini di
critica alle politiche dello sviluppo?
• Alternative di sviluppo (partecipativo,
sostenibile, partnernariato, nuova
governance)
• Alternative allo sviluppo (soluzioni
trasformative provenienti dalla comunità
locale, dalle conoscenze e saperi locali e
indigeni) – Arturo Escobar e James Ferguson
• La World Bank and il FMI sono visti come mere istituzioni di
potere, portatrici di interessi alteri rispetto a quelli che invece
si propongono di difendere;
• l’organizzazione scientifica dello sviluppo è fallimentare, ed ha
un impatto distruttivo. La burocratizzazione della
pianificazione, espressione tipica di questa organizzazione
scientifica, è la maggiore di queste forze oppressive.
• Le popolazioni del sud sono costrette a conformarsi ad un
paradigma che li rende poi complici della propria condizione
di oppressi.
• Affrancarsi dalla logica di mercato, oppressiva e sterile e non
assoggettarsi alla supponente arroganza di chi nutre nei
confronti delle popolazioni “ai margini” un atteggiamento
subdolamente razzista.
• Compito degli antropologi:
• occuparsi del modo in cui le istituzioni dello
sviluppo (ONG incluse) contruiscono il proprio
campo di pensiero e di azione (la retorica del
discorso);
• Il modo in cui gli operatori che interagiscono con
queste istituzioni si adeguano all’apparato di
potere e alla sua retorica,
• Per esempio: quando, in quanto cultural brokers,
traducono la realtà del locale in un linguaggio
tecnocratico estraneo (si riproduce una
asimmetria di potere del tutto analoga a quella
instauratasi nel periodo coloniale);
• Per es.: quando si adottano certe pratiche e si
utilizzano certi termini in maniera acritica:
sviluppo sostenibile. Soddisfare i bisogni di una
generazione senza intaccare quelli delle
generazioni successive. I bisogni rimangono
piuttosto vaghi; quale è il senso della
sostenibilità per tecnocrati che non hanno
tempo di operazionalizzare innovazioni
concettuali come questa, ma che continuano a
ragionare in termini di consumo, crescita, PIL
ecc.?; e che vivono in una società che promuove
uno stile di vita non-sostenibile?
• Quali indicatori misurano lo “sviluppo” dei paesi?
• Human Development Index (developed by the United
Nations Development Programme at the start of the
1990s): Per capita GDP, life expectancy, measure of
educational attainment (vedi anche: Human
development reports).
• Gini coefficient; Gender Parity Index; Gender-related
Development Index; Gender Empowerment Measure;
Physical quality-of-life index; Child Development Index;
Human Poverty Index
• Atri indici alternativi: Happy Planet Index; Gross national
happiness; Democracy Index; Freedom House; Genuine
Progress Indicator.
• Chi definisce questi indicatori? Una organizzazione
Riflessioni critiche sullo sviluppo
• Sviluppo: crescita e progresso? Cambiamento sociale,
crescita economica? Sviluppo stardardizzato e oggettivo
oppure diversificato e autonomo?
• Concetto darwiniano: evoluzione = sviluppo
• Concetto durkheimiano: transizione della società, da
tradizionale a moderna.
• Sviluppo = sistema di esercizio del potere altamente
organizzato che costituisce uno strumento di dominio
delle potenze coloniali e neo-coloniali Occidentali
esercitato sui paesi economicamente più poveri.
• Sviluppo partecipativo e sviluppo sostenibile: sono