Dal Monastero delle Clarisse di Pignataro, la clausura che si apre all’amicizia: un ricordo di Elisabetta Rotoli. Un dono speciale Per Elisabetta … così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina: “Ah!” disse la volpe, La pedagogia del dolore “… Piangerò”. Oh, mio Dio, mio Dio, il mostro “La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “Io non ti volevo mi rode fibra dentro fibra, far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi” succhia globuli e linfociti, mi sottrae “È vero”, disse la volpe. “Ma piangerai!” disse il piccolo disonesto ogni ora principe. “È certo”, disse la volpe. dello spezzato mio tempo. Dentro “Ma allora che ci guadagni?”. le fauci un minuto, un minuto solo “Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”. è l’intero alfabeto del dolore, Provare a raccontare qualcosa dell’amicizia che mi lega tavolozza degli abissi, valzer ad Elisabetta non è facile, le parole non possono certo di ogni sorta di nero. esprimere l’affetto del cuore; tuttavia non ho voluto Non risparmia perdere quest’occasione per offrire anch’io un piccolo nessun supplizio la chemio sul mio corpo, contributo, quasi a voler restituire il tanto ricevuto da lei. tutte le lacrime le chiama agli attenti La cara Elisabetta aveva una speciale predilezione per la nella bufera della chemio e della radio, nostra Comunità, si sentiva fortemente sostenuta dalla il plotone del pianto disperde le sillabe, preghiera delle Sorelle e sempre ringraziava. Quando il i verbi vecchi – i nuovi han perso male le dava tregua e i globuli non erano troppo bassi, di necessità – dà smacco alle dita, alle gambe, tanto in tanto arrivava qui accompagnata da Marco e la ai neuroni . E’ qui, è in questo lago, oh Signore, domenica volentieri partecipava alla Santa Messa con nell’acqua di fuoco che tutta la famiglia. Più volte ho avuto la grazia di il furore del tormento assale incontrarla in parlatorio, di condividere con lei il travaglio i quartieri dell’anima e resto sola, della malattia, le paure, le speranze, i momenti esaltanti sola nell’imminenza del buio. per i successi della medicina e quelli sconfortanti delle Ma solo qui, qui nel quadrato del mio limite ricadute. Insieme abbiamo cercato di guardare il risvolto nella foresta delle ombre positivo di ogni cosa. La sorpresa più bella l’ho avuta per nel pallottoliere degli sguardi onesti il mio compleanno a fine ottobre: vedo la luce dell’infinito ha voluto “celebrare” il dono la luce di averti a me vicino , della mia vita! Lei che ormai oh mio buon Signore! vedeva sfuggirsi dalle mani la Giuseppe Rotoli sua, mi ha insegnato col gesto semplicissimo di un dono accompagnato da un bigliettino la preziosità dei giorni che ci è concesso di vivere, per nulla scontati … Ciò che mi rimane di Elisabetta e che al tempo stesso me la riporta frequentemente alla memoria è la profondità del suo sguardo interiore, quella capacità di sentire il respiro delle cose create e di aprirsi ad un “oltre”, quell’Oltre in cui oggi lei vive. Questo è per me il “colore del grano” di cui parla la volpe, ciò che ha reso e che rende Elisabetta speciale ai miei occhi. Il suo passaggio nella mia vita è stato come un seme prezioso, chiamato a portare frutto nell’oggi, e la sua sconvolgente partenza mi ha spinto ad una più seria e profonda riflessione sulla vita e sulla morte. Elisabetta la penso ora nella pace e nella gioia vera, nell’alto dei cieli ma anche accanto a me sulla terra, in Dio e quindi ovunque. E il dolore per il distacco si va trasformando pian piano in gratitudine, la gratitudine di chi sa di aver ricevuto un dono, un dono speciale. Foto di Mena Ventriglia Sr. Chiara Rosaria Sorella Povera Il logo di Ghibli cambia volto per ricordare Elisabetta Rotoli, il nostro grafico che ci ha lasciati il 2 gennaio. In memoria di te… Ma un’àncora non si allaccia al fondale del mare? Il suo compito non è l’apnea? Non indica forse un approdo, il porto, la tregua? E questa sul nostro logo perché allora ha sfidato il cielo e si allaccia, sfacciata, a una stella? Perché una volta, e forse ancora, i naviganti guardavano il cielo e le stelle per farsi guidare, come se la meta in terra la indicasse qualcosa che la terra non l’abitava, ma dall’alto la dominava tutta in uno sguardo. Noi lanciamo l’àncora alla nostra Elisabetta, amica indimenticabile e preziosa, che adesso ci guarda forse per la prima volta davvero, e ci sorride sbarazzina da un’amaca di nuvola, o da un trono di fresie. A lei avvinghiamo il nostro giornale, che era e rimane anche il suo, che non ha porti, non ha approdi, ma isole, persone – che poi sono la stessa cosa – da raggiungere, da descrivere, da abitare con impegno. Lei che ha trasfuso il suo entusiasmo nelle arterie della vita di chi l’ha conosciuta, che ha fatto del suo servizio alla Chiesa diocesana un impegno amorevole, svolto con dedizione e cura incomparabile, che ha reso la sua vita un capolavoro compiuto nel dettaglio, senza rinvii o indugi, nella fiduciosa adesione al bene, lei sia il nostro ammiraglio del cielo, la suggeritrice di progetti grandi, e ci renda come l’ago umile della bussola che non può far a meno di indicare il Nord, la meta, il Sogno, l’approdo, Dio. Elisabetta, solo per amore tuo vinceremo il dolore che ci vince, e se torneremo ad appassionarci alla vita sarà in nome tuo, e se ne faremo capolavoro, nonostante questa ostinata voglia di lasciar perdere tutto, sarà perché il tuo bene è più testardo della nostra tristezza. La tua Redazione