Bruno Pistoni consulente enogastronomico LA CARRUBA L’albero Il carrubo, pianta della famiglia delle leguminose, appartiene alla sottofamiglia delle cesalpinioidee, della famiglia delle Papilionacee, botanicamente è chiamato ceratonia siliqua: è un albero longevo, fruttifica dopo dieci anni di vita. Cinquanta anni è la sua età giusta, bello e maturo. Sempreverde, decorato di foglie pennate color petrolio, e piccoli fiori rossi, privi di petali, che arriva fino a 10-15 m. di altezza. Il tronco è tozzo, corto, spesso contorto, e spaccato in due fin dalla base. Il legno è molto duro e viene utilizzato per lavori di ebanisteria. La sua chioma, molto ombrosa e frondosa, è a forma di ombrello con i rami i cui estremi arrivano fino a terra. Non si sa con precisione quando il carrubo fu introdotto in Italia, ma è naturale pensare agli arabi (tramite la Spagna), perché essi gli diedero l’attuale nome. oggi se ne trovano esemplari sulle rive più calde della Liguria; lungo la costa tirrenica dal Lazio in giù; sulla costa adriatica a sud di Bari e nelle isole. Nella Sicilia sud-orientale è coltivato in terreni aridi e spesso consociato con mandorli ed olivi. Ma soprattutto cresce in terreni compatti, rocciosi, poveri di terra, somiglianti ad una steppa ed impossibili a coltivarsi: qui i carrubi, verdissimi e rigogliosi, offrono un paesaggio unico, forse il più caratteristico colturale della Sicilia. Non è infrequente infatti trovare carrubi giganteschi vegetissimi, uscire da uno spacco di roccia, dalla superficie nuda e levigata e che scotta sotto il sole: è incredibile il loro adattamento a condizioni che appaiono contrarie alla vita vegetativa. È comunque una pianta che predilige un clima molto caldo, essendo sensibile al freddo, alle gelate, ai venti freddi. La produzione mondiale del carrubo è localizzata per l’ottanta per cento nei Paesi mediterranei. Per la sua importanza si sta propagando nella California ed in altri paesi delle Americhe. In Italia il carrubo è quasi sconosciuto ed è del tutto irrisorio il suo sfruttamento; la moderna industria preferisce prodotti di sintesi in laboratorio, meno costosi, e non quelli naturali che ci offre madre-natura. Di questa pianta ne parlarono i latini Galeno e Plinio e ancor prima il greco Difilo di Sifno (De rebus naturalibus). Teofrasto ricorda che il carrubo era coltivato fin dall’antichità e lo descrive diffuso a Rodi, nell’Asia meridionale e in Sicilia. Ma nessuno, in verità, esaltò a sufficienza le virtù di questa pianta. I nomi Il nome carrubo (o carubo, carrùbio, carrùbbio) deriva certamente dall’arabo kharrub. Gli antichi greci indicavano quest’albero col termine di keratonia (dalla radice keras, cioè Per informazioni contatta: [email protected] - www.bruno-pistoni.it Bruno Pistoni consulente enogastronomico corno, per la forma del frutto che a volte assume) e che sarà poi ripetuto dai latini con i termini di ceration e ceratium (Columella – I sec. d.C.). Il termine botanico attuale, ceratonia siliqua, deriva quindi dal latino. Non ci è noto quando il termine ceration cominciò a sparire ed il carrubo assunse altri nomi nel tempo e nei vari dialetti dopo l’introduzione araba di questo termine. Questa radice è però rimasta in alcuni vernacoli come carubua in Liguria, caroboler nel Veneto, garrubo nella Calabria, carrua in Sicilia e garrota in Sardegna. Dall’antico “corno” dei greci troviamo ancora la parola dialettale cornola della Puglia e cornacchie della Toscana, dove si indicano così le carrube. Dall’antica parola latina vajana, che indicava il baccello, cioè il frutto del carrubo, troviamo ancora oggi guaianella in Lombardia, vaianella in Abruzzo, e la stessa vajana, in Sicilia, con la quale si designa indifferentemente la carruba o il baccello della fava. Ed è proprio al baccello della fava che in latino era detto siliqua, che spesso si accomuna l’indicazione del baccello della carruba, tant’è che ancora oggi la carruba è chiamata silimba in Sardegna e fava d’Egett in Emilia. Non possiamo infine tralasciare la parola lomento, che in diversi testi nella lingua italiana (e non dialettale) indica genericamente il frutto secco dirompente in vari acheni, ma anche specificatamente la carruba. in verità la parola lomento è in disuso e non è neanche stata “copiata” da alcun dialetto. Fuori d’Italia il carrubo è conosciuto con le parole carob (Inghilterra); caroube (Francia); johannis-brot (Germania); keci-boinuzu (Turchia). Le foglie Le foglie del carrubo sono tondeggianti, coriacee, dal margine liscio, e dal colore verde lucido intenso; si presentano a 4-5 coppie disposte simmetricamente sui rametti. Esse contengono delle forti dosi di sostanze tanniche e per questa particolarità sono sfruttate industrialmente, insieme alla corteccia, per la concia delle pelli. Ma, in erboristeria, sia le foglie che la corteccia, a causa delle proprietà astringenti del tannino vengono utilizzate per frenare le diarree intestinali. Il frutto I frutti del carrubo, quando sono ancora teneri e piccoli, si presentano come baccelli simili a quelli delle fave e sono detti anche silique. Si allungano fino a 10-15 cm. e con la maturazione, a giugno-luglio, assumono un colore marrone scuro; la perfetta maturazione avviene però a settembre. Hanno la superficie esterna molto dura; la polpa è verdeambrata, carnosa, grassa, dolce ed aromatica. Il frutto una volta raccolto si conserva per molto tempo, man mano disseccandosi del poco umore acquoso che contiene. Le silique vengono utilizzate allo stato fresco, o secco, o passate leggermente al forno, come Per informazioni contatta: [email protected] - www.bruno-pistoni.it Bruno Pistoni consulente enogastronomico alimento (in minima parte); come foraggio (per la maggior parte); oppure per diverse utilizzazioni industriali. La carruba contiene dal 30 al 60% di zuccheri, il 4-8% di sostanze azotate. Ha quindi un alto valore nutritivo, calorico ed energetico; produce infatti oltre 150 calorie per 100 gr di polpa. Dalle carrube, macinate, si ricava una farina che viene utilizzata quale principale componente di certi farmaci antidiarroici dei lattanti; protettivi nelle infezioni intestinali, gastroenteriti, enteriti e coliti. È stato infatti accertato che le carrube assorbono le tossine delle infezioni intestinali, agendo contemporaneamente come antisettico sui virus e germi patogeni dell’intestino e come equilibratore della flora intestinale. Ma non basta, la farina del frutto del carrubo è utilizzata per la preparazione di alcuni sciroppi specifici decongestionanti, espettoranti, ed emollienti della gola e per profumare il vino scarno di caratteristiche (mescolata al mosto prima della fermentazione). Un tempo le carrube, frantumate, erano utilizzate quale materia prima per ricavare l’alcol, ottenuto dalla distillazione zuccherina, ed ancor prima, si impiegavano per ricavarne lo zucchero. Dalla polpa si estrae tannino puro, lignina, sostanze coloranti e polveri con alto potere addensante e gelatinizzante, utilizzato in pasticceria. I semi I semi del carrubo contenuti entro la polpa carnosa del frutto, sono di colore bruno scuro, durissimi, talmente duri che i vivaisti li tengono a bagno in acqua per molti giorni prima di seminarli nei vasi. È interessante soffermarci sul termine carate col quale questi semi vengono definiti nella lingua italiana. Questo nome deriva, prima dal greco keràtion, poi dall’arabo qirat, cioè “grano di carrubo” o anche “piccolo peso”, ma peso costante: infatti questi semi hanno la singolare caratteristica, appunto, di avere tutti ugual peso. Da questo termine carate si è poi originato l’altro più noto e famoso di carato che è l’unità di misura che rappresenta il numero di parti in oro, contenute in 24 parti di una lega: ne consegue che l’oro a 24 carati è purissimo; e ancora l’unità di peso delle pietre preziose (variabile da paese a paese); e infine la 24ª parte di un’oncia. I semi del carrubo sono ricchi di sostanze peptiche; macinati vengono ridotti a farina che verrà utilizzata in diversi modi. Nell’industria, ad esempio, questa farina è adoperata nella preparazione di prodotti dietetici a basso valore calorico, essendo ricca di proteine (estratti vegetali per brodo; farine speciali; eccetera). L’albume dei semi fornisce una sostanza gelatinosa usata come addensante per la preparazione dei gelati, biscotti, sciroppi e conserve, e mediante appropriati trattamenti, serve per la preparazione di prodotti per dare l’appretto ai tessuti. La farina dei semi di carrubo è molto adoperata per uso cosmetico: una buona manciata, se mescolata nell’acqua calda per il bagno, avrà effetto emolliente ed idratante sulle pelli Per informazioni contatta: [email protected] - www.bruno-pistoni.it Bruno Pistoni consulente enogastronomico aride e rinfrescante sulle pelli delicate ed infiammate. Dai semi si ottiene un altro tipo di farinaceo, un addensante ad altissima viscosità che ha la proprietà di assorbire acqua fino al 40%. È utilizzato nella preparazione di salse, carne in scatola, maionese, insaccati, formaggi, nella panificazione. In gelateria dona alle creme una struttura vellutata e uniforme scongiurando la formazione di cristalli di ghiaccio. Uso in cucina Come alimento, se ben matura e fresca, toglie la sete e lascia in bocca un piacevole aroma. Le carrube passate in forno diventano croccanti. Le “vecchie” caramelle di carrube, siciliane, ora oramai rare, si confezionavano preparando prima uno sciroppo di carrube (1 kg ben nettate, ben macinate e senza semi in 2 litri d’acqua); si fa cuocere a fuoco molto lento fino a quando si ottiene un decotto dolce e sciropposo, molto denso. Si unisce questo sciroppo ad ugual peso di zucchero, o miele, ed insieme si lasciano su fuoco lento fin quando si ottiene un caramello. Si rovescia il tutto su un piano di marmo, o piano liscio ben oliato, e si spiana il caramello fino a ridurlo ad uno spessore di pochi millimetri. Appena il composto è tiepido si taglia con il coltello in tanti piccoli quadratini: le caramelle che appena fredde e vetrificate, vengono avvolte in una tradizionale carta bianca, spessa, da pasticciere. Sono particolarmente indicate per schiarire la voce. Il grosso del mercato delle carrube è destinato al consumo animale (80%): mangimi, croccantini, integratori per cani, gatti, pastoni per equini, ovini, caprini, suini. Per informazioni contatta: [email protected] - www.bruno-pistoni.it