ASFODELO Associazione di volontariato per l’educazione ambientale MONTE TIFATA (603m slm) Notizie storiche Basilica Benedettina di S. Angelo in Formis Notizie geomorfologiche; le cave Aspetti vegetazionali Itinerario 31 gennaio 2016 a cura di Giuseppina Moleta Tel. 0817145681 - 3490692869 E-mail: [email protected] homepage: http://assoasfodelo.altervista.org/ 1 NOTIZIE STORICHE Il monte Tifata, prende il nome dalla parola osca tifata che significa leccio, perchè i suoi pendii, nell'antichità, erano completamente ricoperti da boschi di lecci secolari e popolati da una ricca fauna di mammiferi di piccolo, medio e grosso taglio. In epoca romana fu sede di templi e santuari dedicati sia a divinità pagane che a santi cristiani: il tempio più antico fu dedicato a Diana Tifatina e quello edificato in tarda età repubblicana fu dedicato a Giove Tifatino. Tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo D. C. i Longobardi edificarono sulle rovine del tempio di Diana una chiesa dedicata all'Arcangelo San Michele, al quale erano molto devoti. Sulla sommità del monte, non si sa in quale epoca, fu costruito un santuario dedicato a Sant'Agata, patrona di Capua. Su una cima più bassa, denominata San Nicola fu costruita una chiesetta dedicata al santo e sulla cresta occidentale del monte sono ancora ben visibili i resti di un eremo che, nel medioevo, fu abitato da un eremita, poi proclamato santo. La posizione dominante su tutto il territorio circostante permette di comprendere facilmente perché Annibale, nel 215 A. C., installò sul M. Tifata un accampamento permanente per il controllo a vista di tutto l’Ager Campanus e, da qui, decise di far costruire l'omonimo ponte sul fiume Volturno. Anche i Sanniti, durante la II guerra sannitica avevano qui sistemato una linea di difesa che, però, non resistette agli attacchi dei Romani. Ma le vicissitudini della storiche del Tifata continuano: vi s’insediarono prima i Normanni, poi i monaci benedettini, poi i Borbone, poi Garibaldi; inoltre, durante la Seconda Guerra Mondiale ci fu una cruenta battaglia tra i tedeschi e le truppe alleate. BASILICA BENEDETTINA di S. ANGELO IN FORMIS La chiesa, dedicata a San Michele Arcangelo, sorge lungo il declivio occidentale del monte Tifata. Inizialmente nei documenti l'edificio è indicato come ad arcum Dianae ("presso l'arco di Diana"), ricordando che sorgeva al di sopra dei resti del tempio dedicato a questa divinità, mentre successivamente ci si riferisce ad esso con le denominazioni ad Formas, Informis o in Formis. L'interpretazione etimologica della nuova denominazione è controversa: da una parte l'ipotesi è che derivi dal termine latino forma ("acquedotto"), e che stia ad indicare la vicinanza di un condotto o di una falda; mentre dall’altra il termine si considera derivato dalla parola informis ("senza forma", e quindi "spirituale"). I resti del tempio romano furono rinvenuti nel 1877, e si è notato che la basilica ne ripercorre il perimetro, aggiungendo le absidi al termine delle navate. La prima costruzione della basilica si può far risalire all’epoca longobarda, sulla base dell'ampia diffusione del culto dell'arcangelo Michele presso i Longobardi alla fine del VI secolo. Al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938), la chiesa fu donata in un primo tempo ai monaci di Montecassino, che volevano costruirvi un monastero 2 ma, successivamente, fu tolta ai monaci e ridonata loro nel 1072 dal principe di Capua, Riccardo. L'allora abate Desiderio di Montecassino (il futuro papa Vittore III) decise di ricostruire la basilica (1072 - 1087) e ne rispettò ancora gli elementi architettonici di origine pagana. A lui si devono gli affreschi di scuola bizantinocampana che decorano l'interno e che costituiscono uno tra i più importanti e meglio conservati cicli pittorici dell'epoca nel sud Italia. Al XII secolo sono stati attribuiti il rifacimento del portico antistante la chiesa, con nuovi affreschi, e una ricostruzione del campanile in seguito ad un crollo. La facciata è preceduta da un porticato a cinque arcate ogivali di cui quella centrale, più alta, è realizzata con elementi marmorei di reimpiego. Le arcate sono sorrette da quattro fusti di colonna, due a destra in marmo cipollino e due a sinistra in granito grigio, con capitelli corinzi non pertinenti e diversi tra loro, e sorrette da altri elementi architettonici diversi riutilizzati in funzione di basi. Gli elementi di reimpiego provengono probabilmente da edifici facenti parte del santuario pagano. Il campanile, sulla destra della facciata, presenta il basamento costruito con blocchi di reimpiego, con inserito un fregio con decorazioni zoomorfe, e il secondo piano decorato da bifore. Dal portico, con quattro gradini marmorei, si accede all'interno, a pianta basilicale, senza transetto, con tre navate, ciascuna delle quali termina in un'abside. Le colonne che dividono le navate, con fusti di diverse varietà di marmi e capitelli corinzi, sono ugualmente di riutilizzo da edifici di epoca romana. In una miniatura che illustra i possedimenti dell'Abbazia di Montecassino, riferita alla donazione del 1072, la chiesa è rappresentata ad una sola navata e con il portico a tre archi, mentre il campanile si trova a sinistra della facciata. Nell'affresco dell'abside maggiore è raffigurato l'abate Desiderio che offre il modellino della chiesa: qui il campanile è ancora raffigurato a sinistra, ma l’edificio presenta tre navate. La miniatura dovrebbe quindi rappresentare la chiesa come era al momento della donazione di Riccardo, mentre l'affresco dell'abside raffigurerebbe i lavori fatti compiere da Desiderio di Montecassino. La posizione del campanile a sinistra, della chiesa, diversa da quella attuale, ha fatto ipotizzare una sua ricostruzione in seguito ad un crollo, probabilmente nell'ambito dei lavori condotti nel XII secolo. Il ciclo di affreschi è attribuibile alla ricostruzione della chiesa ad opera dell'abate Desiderio, come testimonia il suo ritratto nell'abside della chiesa con il nimbo quadrato (utilizzato per distinguere i personaggi viventi), mentre offre a Cristo il modello della chiesa, e l'epigrafe sul portale d'ingresso. La decorazione inoltre è confrontabile con miniature realizzate nello scriptorium dell'abbazia di Monte Cassino. Il programma decorativo occupa le navate, le absidi e la controfacciata. NOTIZIE GEOMORFOLOGICHE: LE CAVE Appartenente alla catena dell'antiappennino campano, il massiccio carbonatico dei monti Tifatini, delimitato a nord dal fiume Volturno, che lo separa dall'appennino sannita, va dalla collina di Sant’Jorio, fino a Cancello Scalo. 3 Degrado paesaggistico, scempio ambientale, distruzione fisica del territorio sono le profonde ferite lasciate dalle attività estrattive del calcare, ancora in atto in piccola parte, nonostante le battaglie delle Associazioni ambientaliste e dei Comitati civici; esistono dissesti superficiali e profondi nelle aree di cava ed esterni ad esse e una situazione idrogeologica tutta da verificare mentre pochi sono stati gli interventi di ripristino o di recupero e si è sempre in attesa dell’istituzione del Parco urbano dei Colli Tifatini. ASPETTI VEGETAZIONALI Tranne per qualche tratto di quello che resta dell’antico bosco di lecci, lungo il percorso si rinvengono prevalentemente piante arbustive tipiche della Macchia mediterranea: cisti, ginestre, euforbie, corbezzoli e soprattutto splendidi cespugli di mirto. Il MIRTO o MORTELLA (Myrtus communis, fam. Mirtacee) è un arbusto sempreverde con corteccia rosea e foglie opposte, coriacee, sessili e con lamina lanceolata o ellittica (8-11 mm per 20-24). È’ uno dei componenti principali della Macchia e cresce soprattutto lungo le coste, in ambienti caldi e aridi. Il suo areale comprende quasi tutte le coste mediterranee, sia quelle europee che quelle dell'Africa settentrionale, mentre a oriente si estende dall'Asia minore fino alla Mesopotamia. Fiorisce da luglio ad agosto con fiori solitari dai cinque petali bianco-latte. I frutti sono bacche subsferiche nere sormontate dal calice persistente. Il mirto è un arbusto molto aromatico per l'elevato contenuto in terpeni delle sue foglie; anche i fiori sono molto odorosi. Le bacche hanno un sapore aromaticoresinoso e per questo motivo vengono utilizzate per aromatizzare l'acquavite. Tutte le parti della pianta possono essere utilizzate per ricavarne l'olio essenziale (acqua di mirto) adoperato in profumeria. Il mirto era una pianta sacra presso i Persiani, che alimentavano i fuochi sacrificali con il suo legno; gli ebrei la utilizzavano invece per la confezione di corone funerarie. Nella mitologia pagana era anche simbolo di amore e di felicità; era consacrata a Venere: il suo nome, infatti, era il nome di una fanciulla che voleva gareggiare con Venere in bellezza e la dea, offesa, la trasformò in un arbusto. Era impiegata per adornare are e rustici archi trionfali; con i suoi fiori virginali si intessevano le corone che circondavano la fronte alle novelle spose; inoltre, nel Senato romano, per chiedere la parola si alzava un ramo di mirto. ITINERARIO Si parte nei pressi della Basilica di S. Angelo in Formis da P.zza della Rimembranza (100m slm): un sentiero, segnato dal CAI, sale dolcemente a tornanti e, in circa 30’, giunge ad un pianoro con ruderi e strane strutture dette ”letti di Garibaldi” (secondo gli abitanti del posto si tratterebbe di postazioni militari). Da qui il sentiero s’inerpica, a tratti scivoloso per fango, e raggiunge, in altri 4 30’, il valico tra il Monte dei Lupi (460m) con una croce e il M. S. Nicola (560m). Ci si dirige verso quest’ultimo raggiungendo, incirca 20’, i resti della Cappella di San Nicola, sorta probabilmente sulla cappella di S. Agata, la Santa eremita che aveva elevato il monte Tifata a luogo di preghiera e meditazione, e, in altri 20’, la cima del monte Tifata (603 m slm), individuata da un tabellone bianco, messo dai militari come riferimento. Panorama incantevole: a nord, le piane di S. Vito e della Fagianeria attraversate dalle sinuose anse del fiume Volturno; a sud l'intera pianura di Terra di Lavoro con, in lontananza, il Vesuvio, Monte Faito e le isole di Capri e Ischia Inizia un lungo ma splendido sentiero di cresta che, passando per il Tempio di Giove, sito archeologico d’epoca romana (526m), aggira la cima del M. Marmolelle (411m) e scende verso il monte Sommacco (392m); in circa 90’ si raggiunge un capanno di caccia e, da qui, un comodo sentiero scende, in circa 30’ al Resort S. Leucio (via Maria Sofia di Baviera), presso il Distributore Verna Oil sulla SS 87. Dislivello in salita e in discesa: m 500 5