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ARTE A ROMA IN ETA’ REPUBBLICANA.
Le ricerche archeologiche più recenti hanno confermato sia sul palatino che a Pratica di Mare
(nei pressi dell’antica Lavinium) 1’esistenza di ruderi appartenenti ad una civiltà risalente ad un
periodo compreso tra il IX e il V secolo. Più che nel ricercare conferme all’antica tradizione liviana,
questi resti hanno apportato nuovi elementi a documentazione dei rapporti con la civiltà medio-italica. Roma subì sostanzialmente 1’influenza e il predominio culturale e manifatturiero sia
degli Etruschi, sia delle colonie greche campane, come attestano alcune celebri opere come il
“Bruto” capitolino, la “1upa” (Museo dei Conservatori) e la “Cista Ficoroni”, attribuita ad un
maestro attivo nel napoletano (1’urna del III sec. a.C. reca 1’iscrizione “Dindia Macolnia fileai
dedit/ Novios Plautios med Romai fecid”).
I primi segni di un indirizzo culturale diverso si cominciano ad intravedere con la guerra
contro Taranto (272 a.C.) e Reggio (270 a.C.) e poi definitivamente a partire dalla distruzione di
Corinto e dall’asservimento della Grecia a provincia romana (146 a.C.), quando vengono portati a
Roma come bottino di guerra una quantità enorme di statue e oggetti d’arte e un numero consistente
di artisti in condizioni di schiavitù. Cosi, fino al periodo imperiale, i romani continuarono a considerare le arti figurative come un’occupazione da schiavi, pur apprezzandole, e a mantenere
nell’anonimato gli artisti. I nomi che ci sono pervenuti dagli elenchi delle associazioni artigiane (ad
esempio Stephanos, Pasiteles, Menelaos, Archesilaos, per citare i più ricorrenti), rivelano un netto
predominio di artisti di etnia greca.
I romani ereditarono, perciò, dell’arte greca gli epigoni dell’Ellenismo con una propensione
a considerare le immagini dipinte e scolpite in termini soprattutto profani, decorativi e a fini di
collezionismo privato (da ricordare il celebre episodio di Verre, governatore di Sicilia sotto Silla); in
architettura i romani assimilano la tendenza ad armonizzare i singoli edifici in una complessa
scenografia urbana.
Roma contribuì, quindi, ad espandere il linguaggio figurativo ellenico sulle quattro sponde
del Mediterraneo ma al tempo stesso ne mutò radicalmente la concezione estetica. Innanzitutto la
storia romana è contrassegnata dalla continua e progressiva integrazione di etnie diverse sotto
1’egida del “mos maiorum” e presenta, perciò, un’intrinseca vocazione eclettica, in cui permangono
come dominanti da una parte la civiltà medio-italica attraverso la tradizione etrusca, dal1’altra quella
greca. Inoltre sia la concezione religiosa che quella politica dei Romani vertono sulla celebrazione
del “mos maiorum”, sulla permanenza storica del culto della “gens” che legittima le forme rituali e il
rinnovamento delle istituzioni statali. Del resto già nell’arte etrusca ed italica in generale si è
osservato come la figura umana non fosse tanto considerata in armonia proporzionale col cosmo,
quanto per 1’imponenza del gesto. Cosi 1’arte per i Romani non esprime la continuazione ideale
della natura ma la grandezza dell’opera umana sulla storia (Gombrich).
Non è un caso, infatti, se i Romani si espressero al meglio e in modo più originale in architettura: con le strade, gli acquedotti, la costruzione di nuove città e attraverso sventramenti e tagli di
pendii, deviazioni del corso dei fiumi, essi esprimevano concretamente la presa di possesso di un
territorio nella modificazione del suo paesaggio e nella messa in opera delle costruzioni più
emblematiche che contrassegnavano gli usi e i costumi di quella società (Argan). Grande importanza
rivestirà nell’architettura romana la conoscenza delle tecniche edilizie. Tuttavia il senso pratico
innato li spingeva verso soluzioni di sorprendente semplicità. Ereditati dagli Etruschi la tecnica e
1’uso dell’arco, ne sviluppano lo spazio in profondità creando un soffitto voltato a botte. Con 1’uso
delle centine (impalcature lignee curve come le carenature delle barche) viene creata una volta a
crociera derivante dall’incrocio di due volte a botte. Lo spazio coperto dalla volta diviene così una
cellula architettonica modulare espandibile sia in largo, in lungo, sia in altezza, in una varietà infinita
di soluzioni e di tipologie edilizie, pubbliche e private. Gli stili di origine greca perdono il loro valore
statico e con esso i Romani perdono quell’unione inscindibile di funzione e decorazione che era
magistralmente presente nel tempio. Addossata all’arco la semicolonna, sormontata da capitelli
tuscanici, ionici, corinzi o compositi sovrapposti verticalmente su piani crescenti, assolve ora ad una
valenza esclusivamente ornamentale.
Come in Etruria così a Roma gli edifici si vennero a creare su precedenti costruzioni in legno
e gli spazi al coperto su luoghi di frequentazione addirittura secolare. Tra i templi più antichi si
annoverano quello dedicato alla triade capitolina (Giove-Giunone-Minerva) sul Campidoglio (forse
costruito da Vulca) del 509 a.C. Vengono in seguito quelli extra-moenia di largo Argentina (il
“tempio C” in ordine tuscanico tetrastilo pseudo-periptero del IV secolo; il “tempio A” in ordine
corinzio periptero con 6x9 colonne della fine del II secolo a.C.; il “tempio D” esastilo e pseudo-periptero corinzio, dello stesso periodo; il “tempio H” corinzio e a tholos del 100 a.C.); più
recenti e in seguito ripetutamente ristrutturati sono nel Foro Boario il tempio di Vesta, a tholos e in
stile corinzio, e il tempio della Fortuna Virile, tetrastilo pseudo-periptero e ionico, entrambi del I sec.
a.C. Uno dei periodi di più intensa ristrutturazione urbanistica avvenne sotto Silla, in un periodo di
restaurazione nobiliare che spinse all’esaltazione monumentale di edifici dal valore storico decisivo,
come il “Tabularium” (78 a. C.) alle pendici del Campidoglio, sede dell’archivio di Stato. Ai tempi
di Pompeo, risale la prima costruzione di un teatro interamente costruito in pietra (55 a.C.), dove per
la prima volta si riscontra 1’uso dello “opus reticolatum”. L’edificio più significativo, però, fu senza
dubbio la “basilica”, intesa, secondo lo spirito romano, come un prolungamento al coperto degli
spazi aperti (Argan). Da Tito Livio sappiamo che verso il 210 a.C. iniziò nel Foro repubblicano, a
seguito di un incendio, una fase di intense ristrutturazioni che videro la piazza del “comitium”,
ornata con le colonne rostrate realizzate con le navi catturate ad Anzio nel 338 a.C. a conclusione
della guerra contro le popolazioni del Lazio, progressivamente circondata da Basiliche sui quattro
lati: iniziando dalla più antica ad est si trovava la basilica Fulvia ristrutturata e rinominata come
“Aemilia” nel 179 a.C.; sull’altro lato a ovest venne costruita la basilica “Sempronia” (169 a.C.),
ristrutturata al tempo di Cesare e rinominata come “Iulia” (55 a.C.); furono inoltre costruite la
basilica “Opimia” (121 a.C.) e la basilica “Porcia”, attualmente non riconoscibili per le successive
stratificazioni di edifici.
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