Bioterrorismo e impero Biotech di Ernesto Burgio Armi biologiche e

Bioterrorismo e impero Biotech
di Ernesto Burgio
Armi biologiche e guerra (infinita) al pianeta
Quella delle guerre biologiche moderne e del bioterrorismo è una storia paradossale e
contraddittoria. Prima di tutto perché tratta di guerre minacciate più che combattute:
anche perché se le si combattesse, le loro conseguenze sarebbero ugualmente
catastrofiche per tutti, aggressori e aggrediti. Il che ci deve tranquillizzare solo in parte:
il vero pericolo è, infatti, che una guerra biologica globale deflagri senza che si riesca a
impedirla, piuttosto che per la deliberata volontà di qualcuno. Poi perché si tratta di una
storia misteriosa, piena di coincidenze significative, come accade per molte storie che
valga realmente la pena di raccontare. Il punto nodale della storia è rappresentato da
un importante Trattato internazionale, che avrebbe dovuto fermare la corsa alla
creazione di arsenali di armi biologiche e che, fortemente voluto da un presidente
americano che non credeva alla catastrofica potenza di questo tipo di armamenti, è
stato demolito da due suoi successori, che erano stati costretti a riconoscerla. La prima
coincidenza significativa riguarda il momento in cui il primo presidente prese la
decisione di smantellare il programma americano per le guerre biologiche: proprio nei
giorni in cui, nei laboratori del suo paese, venivano messe a punto le tecnologie che lo
avrebbero messo in grado di produrre virus e altri microrganismi micidiali in quantità
praticamente illimitata. Un'altra misteriosa coincidenza concerne un ponderoso libroinchiesta sul bioterrorismo, che comparve nelle vetrine delle librerie newyorchesi
proprio nel giorno del più tremendo attacco terroristico di tutti i tempi e che divenne un
best-seller, mentre in tutta l'America si diffondeva il terrore per le lettere all'antrace.
L'ultima coincidenza significativa è quella di una nuova pandemia potenziale da virus
mutante, che si espande attraverso i continenti negli stessi drammatici giorni in cui gli
Stati Uniti decidono di dare inizio alla guerra preventiva contro uno stato sospettato di
essere la principale centrale del bioterrorismo mondiale. Ovviamente è molto difficile
dire se si è trattato solo di coincidenze...
"All'alba dell'11 settembre 2001 a Washington e a New York si preannunciava una
fresca giornata autunnale… alle otto e quarantotto del mattino quel mondo e le sue
rosee certezze sparirono in un inferno di fuoco… entro mezzogiorno le due torri errano
crollate, trasformandosi in una massa di macerie fumanti. Migliaia di persone erano
morte nel più devastante attacco terroristico che il mondo avesse mai visto." Sono le
prime righe della prefazione all'edizione italiana di un best-seller uscito nelle librerie
americane proprio in quel fatidico 11 settembre con un titolo profetico: Germs. Nel giro
di poche ore il libro balzò in testa alle classifiche di vendita, a causa dell'incredibile
coincidenza tra la sua uscita, l'attacco alle due torri e al Pentagono e il successivo bioattacco all'antrace, che colpì o minacciò diecine di cittadini americani uccidendone
cinque e terrorizzando l'intera nazione. A oltre due anni di distanza il mistero su quei
drammatici giorni è sempre più fitto: intorno al ruolo dell'intelligence e di importanti
settori istituzionali USA; all'identità degli attentatori e dei misteriosi studenti israeliani o
spie del Mossad che li pedinavano; alle speculazioni di borsa ai danni delle compagnie
aeree americane nei giorni precedenti; all'identità dei bio-untori all'antrace; alle vere
finalità perseguite dalle entità, certamente potenti e determinate, che hanno organizzato
tutto questo. Da allora si parla sempre di più di "stati canaglia" in possesso di armi di
distruzione di massa, di bioterrorismo, di armi chimiche, per legittimare campagne
militari e massacri (come quello, archiviato in fretta, del teatro di Mosca). Si parla e
riparla di antrace, di tossina botulinica, di vaiolo. E mentre su Baghdad piovono bombe,
da Hong Kong a Montreal scoppia un nuovo bio-allarme planetario, la SARS. Ma sono
davvero in pochi ad accorgersi dell'epidemia di suicidi e morti misteriose che colpisce la
comunità internazionale di esperti del settore. Sarebbe eccessivo parlare di strategia
della tensione globale? E' tempo di cercare qualche risposta alle molte domande che si
agitano nelle nostre coscienze. Che significato dobbiamo dare agli eventi drammatici
che hanno connotato fin qui in modo terrifico gli inizi di questo III millennio dell'era
cristiana? C'è un nesso che li lega e un fondamento in questi allarmi? C'è una regia
dietro a tutto questo? Dobbiamo credere a chi indica nel bioterrorismo il possibile fattore
scatenante di un incubo senza fine? Le armi biologiche sono davvero così pericolose, o
sono semplici spettri che qualcuno agita per avvantaggiarsi in vario modo del terrore
indotto, per legittimare la propria strategia di dominio, o anche soltanto per garantirsi
finanziamenti sempre più cospicui nel campo della difesa o della ricerca?
Il modo forse più semplice per rispondere all'ultima domanda consiste nel fornire alcune
cifre, che ci permettano di capire di cosa stiamo parlando. Secondo stime un po'
semplicistiche, ma attendibili, la potenzialità bio-distruttiva di un grammo di spore di
antrace è pari a quella di 700 grammi di plutonio da fissione, di 70 kilogrammi di gas
nervino, di 3 tonnellate di bombe al cluster. Se si accettano queste cifre, è evidente che
chiunque - presidente di paese imperialista e/o canaglia o Dottor Stranamore - affetto
da delirio di onnipotenza, e quindi dotato di scarsi freni inibitori e scrupoli di ordine
morale, decidesse di realizzare le proprie mire egemoniche, non potrebbe non tener
conto di questi dati, che ci dicono come, per ogni essere umano ucciso da un
bombardamento più o meno intelligente con bombe convenzionali, qualora si decidesse
di utilizzare spore di antrace (le più facili da costruire e le meno costose tra tutte le armi
di distruzione di massa), potrebbero morirne milioni (il rapporto in termini puramente
aritmetici sarebbe di 1:3.000.000). La domanda che sorge spontanea é a questo punto
la seguente: ma se le armi biologiche sono talmente potenti, come mai sono state
usate, così di rado?
Una prima risposta è d'obbligo. Le armi biologiche sono praticamente incontrollabili e
quindi estremamente pericolose; anche per chi le usa. Inoltre, a differenza di ogni altro
tipo di arma, possono propagarsi nello spazio e nel tempo teoricamente all'infinito. La
più potente bomba nucleare, l'agente chimico più tossico epervasivo hanno comunque
un loro raggio d'azione e una loro potenzialità inquinante, valutabili in anni o decenni e
in chilometri. Le armi biologiche no. Le grandi epidemie di peste nera, di influenza, di
aids illustrano perfettamente il problema: ogni volta che un microrganismo patogeno
comincia a circolare all'interno della biosfera, la durata della sua permanenza in essa e
il suo percorso sono assolutamente imprevedibili. Qualsiasi altro essere vivente - uomo,
ratto, insetto o microrganismo - può trasformarsi in vettore e condurlo ovunque (al limite
persino su altri pianeti, grazie al nostro intervento). Non ci soffermeremo per il momento
su questo punto, che pure si rivelerà fondamentale: per il momento ci è sufficiente
sottolineare che questa potenziale onnipervasività non contraddistingue i microrganismi
utilizzati a fini bellici, ma li accomuna a tutti gli esseri viventi, collegandosi alla loro (e
nostra) esigenza/tendenza a competere per sopravvivere. Il che rischia di complicare
maledettamente il problema. La seconda risposta è che qualche tentativo di usare
queste armi è stato fatto, anche in tempi recenti. Durante la seconda guerra mondiale,
ad esempio, i giapponesi si dimostrarono particolarmente efficienti in questo campo; e
pare che anche i tedeschi abbiano avuto un certo interesse per questo gioco al
massacro e che a farne le spese sia stato un discreto numero di cavie umane.
Affermare che i campi di concentramento giapponesi e germanici siano stati soprattutto
immondi laboratori di ricerca sarebbe eccessivo. In compenso ci sono pochi dubbi circa
il fatto che tra le decine di migliaia di criminali nazisti e nipponici prelevati da abili talentscout quali Henry Kissinger e Allen Dulles e condotti nei laboratori USA piuttosto che di
fronte ai tribunali militari pronti a giudicarli, ci fosse un discreto numero di scienziati ed
esperti in sterminio (come non ci sono dubbi -sia detto per inciso- circa il nesso
esistente tra le benemerenze acquisite dai succitati personaggi, e dai loro omologhi in
Italia, nello svolgimento di questo delicato compito e la loro successiva fortuna in campo
politico in senso lato). Il risultato di questa "contaminazione" fu il perfezionamento della
strategia americana in settori nevralgici: in primis nel campo delle armi di distruzione di
massa (nucleari, chimiche, biologiche), ma anche in quello dell'intelligence (e che tra gli
strateghi di molti episodi inquietanti della guerra fredda e della strategia della tensione
nel nostro paese fossero implicati i nazi-fascisti legati o vicini ai servizi segreti americani
non è più un mistero). In effetti Washington si era resa conto, nel corso della II guerra
mondiale, del proprio ritardo in questo campo e anche per questo motivo il presidente
Roosevelt aveva denunciato pubblicamente come "terribili e disumane le armi non
convenzionali dei nemici dell'America". Ma tanto giusto sdegno non durò molto e il
programma americano per la guerra biologica, partito con un certo ritardo nel 1942, fu
in grado di recuperare il tempo perduto, nell'immediato dopoguerra, anche grazie alla
preziosa collaborazione degli scienziati giapponesi della famigerata Unità 731, che
avevano disseminato la Cina di pulci portatrici del bacillo della peste. Come già nel
corso del Progetto Manhattan non mancarono le voci critiche. Theodor Rosebury, un
microbiologo veterano del programma per le armi biologiche, ne denunciò l'assoluta
incontrollabilità in un libro che fece scalpore. Ma gli sviluppi della guerra fredda e lo
scoppio della guerra di Corea fecero - secondo la famosa definizione di Oppenheimer,
lo scienziato simbolo del travaglio americano di quegli anni di fronte ai pericoli di una
tecnologia sempre più sofisticata applicata in campo militare - il gioco del diavolo: intere
città americane furono trasformate in giganteschi laboratori dove venivano liberati germi
ritenuti non patogeni, che puntualmente si rivelavano tutt'altro che innocui; migliaia di
coreani e cinesi, di campesinos colombiani e boliviani, di eskimesi e cubani furono
sterminati dai bacilli della peste e del colera e dal virus della dengue. Per una ventina di
anni di Guerra Fredda entrambi gli schieramenti seguitarono nel loro pericoloso gioco:
gli esperimenti in vitro e in vivo, su nemici e ignari cittadini, continuarono e furono messi
a punto batteri, virus e tossine sempre più micidiali. Di tanto in tanto qualche notizia
arrivava sui media e cominciarono a circolare romanzi e film di fantascienza in cui
congreghe di scienziati e generali paranoici riuscivano a impadronirsi di virus letali per
impossessarsi del governo del mondo. Poi accadde qualcosa, che avrebbe cambiato il
corso della storia. Presso i vertici politico-militari delle grandi potenze si fece strada
l'idea che la cosa più importante era mantenere costosa la guerra. Le armi biologiche
erano infatti sempre più pericolose e, tutto sommato, economiche. Se si fosse
permesso a tutti i paesi sottosviluppati del mondo di averle nei propri arsenali, gli
equilibri planetari sarebbero mutati. Ma per meglio capire quel che veramente accadde,
è utile ricordare come e perché americani e inglesi giunsero a quella che potrebbero
essere costretti, un giorno, a riconoscere come la più sciagurata delle scelte
strategiche.
LA BIOLOGICAL WEAPONS CONVENTION: BREVE STORIA DI UNA STRATEGIA
IMPERFETTA La decisione praticamente unilaterale da parte degli Stati Uniti di
smantellare, nel 1969, i propri programmi di guerra batteriologica, è ancora oggi
interpretata come uno dei non molti meriti indiscussi della prima amministrazione Nixon.
Tanto più che, mentre nel 1972 Gran Bretagna e Stati Uniti furono i principali sponsor
della Convenzione sull'interdizione delle armi biologiche, nel luglio del 2002, nell'ambito
della generale operazione di smantellamento dell'architettura internazionale di sicurezza
avviata da G.W.Bush, il sottosegretario USA incaricato della lotta contro la
proliferazione respinse in blocco le proposte migliorative del trattato, avanzate dalla
Francia e da altri stati occidentali, affermando che queste andavano contro gli interessi
commerciali e di sicurezza americani, senza peraltro garantire un rallentamento nella
proliferazione delle armi biologiche. Solo un breve resoconto di quanto veramente
accadde può aiutarci a capire come anche in questo caso il giudizio morale e politico
intorno a queste due opzioni strategiche in apparenza radicalmente opposte non
dovrebbe essere formulato con troppa leggerezza. Erano gli anni della crisi americana
in Vietnam. Sotto la crescente pressione dell'opinione pubblica interna, seguita
all'offensiva del TET che aveva portato iVietcong fin dentro l'ambasciata americana di
Saigon, Nixon aveva dovuto accettare il dialogo con Hanoi. Il movimento pacifista era in
crescita tanto negli Usa (Allen Ginsberg, Bob Dylan, Joan Baez) che nella vecchia
Inghilterra (Bertrand Russel) e rischiava di avere un impatto culturale e politico
destabilizzante. Le armi di distruzione di massa erano ovviamente il principale oggetto
del contendere. A quel punto gli anglo-americani fecero un ragionamento machiavellico
che si sarebbe rivelato del tutto errato: per indebolire i paesi che, non essendo in grado
di produrre armi nucleari, per le quali è necessaria una tecnologia sofisticata e costosa,
avrebbero dovuto accontentarsi delle armi biologiche (già allora definite il "nucleare dei
poveri") sarebbe stato utile proporre una Convenzione internazionale per la messa al
bando delle stesse. A lanciare l'idea fu il premier inglese Harold Wilson, su
suggerimento dei suoi consiglieri ed esperti militari, convinti della scarsa affidabilità
delle armi biologiche e al contempo incapaci di riconoscerne le potenzialità. Nel
novembre del '69 ancheNixon seguì la linea di Londra e decise lo smantellamento
dell'intero programma americano per le guerre biologiche. I suoi sostenitori cercarono di
dimostrare che quella del presidente era stata una scelta morale, almeno in parte legata
alla campagna portata avanti sul Washington Post e presso vari comitati etici dal premio
Nobel Joshua Lederberg, il quale chiedeva da anni l'immediata sospensione di ogni
sperimentazione nel campo degli agenti patogeni, che avrebbe condotto rapidamente
l'umanità al genocidio. La verità è ben diversa: con ogni probabilità le parole dello
scienziato sarebbero cadute ancora una volta nel vuoto se Nixon non avesse condiviso
le analisi degli esperti anglo-americani circa lo scarso valore militare di quelle armi e
l'enorme superiorità, come deterrente, delle armi atomiche. Come ampiamente
dimostrato da Susan Wright, che a sostegno della sua tesi ricordava lo sprezzante
commento del presidente al suo portavoce, William Safire: If someone uses germs on
us, we'llnuke them". La scelta di Londra e Washington di promuovere la famosa
Biological Weapons Convention del 1972 ebbe insomma un solo scopo: il
perseguimento di una "asimmetria strategica" tra i pochi stati ricchi e potenti (nella lista
bisogna includere Israele, la cui capacità nucleare era stata da poco confermata dalla
CIA) in grado di proteggersi grazie al deterrente nucleare e i molti stati poveri e impotenti, privati anche del "nucleare dei poveri". A posteriori possiamo affermare che si
trattò di un errore colossale. Le armi biologiche sono indubbiamente poco controllabili;
ma, come detto, la loro potenza è spaventosa, superiore a quella di qualsiasi altra
arma. E mentre gli Stati Uniti abbandonarono, almeno in parte, questo settore, la
Convenzione del 1972 non ebbe gli effetti sperati, perché molti altri paesi, anche tra i
firmatari, decisero di agire in modo opposto. I russi, in particolare, aumentarono i loro
investimenti nel settore, organizzando negli anni settanta e ottanta almeno cinque
grandi impianti di produzione e impiegando nell'ambito del progetto segretoBiopreparat
diecine di migliaia di scienziati e di tecnici. Le conseguenze drammatiche di questa
situazione si manifestarono con la crisi dell'URSS. Se sul piano economico e politico
circa l'implosione dell'Impero sovietico (fine di un equilibrio bipolare; via libera alla
globalizzazione neo-liberista ecc.) sono possibili valutazioni diverse, in riferimento al
problema che stiamo trattando è fuor di dubbio che il crollo dell'URSS ebbe
conseguenze catastrofiche. La prima fu la diaspora di centinaia di scienziati e tecnici
sovietici che, impegnati per anni in Biopreparat, si trovarono improvvisamente nelle
condizioni di offrire la propria esperienza e competenza tecnica su un mercato nel quale
tali discutibili virtù erano molto richieste e apprezzate. La seconda fu la conseguente
diffusione di armi biologiche sofisticate e pericolose in una delle aree geografiche più
instabili del pianeta (comprendente in particolare alcuni paesi islamici e le repubbliche
ex-sovietiche) e in un territorio totalmente disastrato: l'esempio più emblematico di
questa catastrofe è oggi rappresentato dall'ex base segreta russa nell'isola di
Vorzozdenie, ormai praticamente congiunta alla costa di quello che una volta era il Lago
d'Aral e ridotta a una sorta di sarcofago pieno di spore di antrace e forse di bacilli di
morva, tularemia e peste e di virus del vaiolo e di altre malattie emorragiche che rettili e
ratti potrebbero disseminare sulla terra ferma. Anche la tanto pubblicizzata pericolosità
dell'Irak in questo campo ebbe, almeno in parte, le stesse origini. Ma con la fine della
guerra fredda e il crollo dell'Impero sovietico la strategia americana cambiò
radicalmente e in modo apparentemente paradossale. Iniziarono gli anatemi e le liste di
proscrizione degli "stati canaglia" sospettati, spesso a ragione, di detenere armi di
sterminio di massa; poi si passò alle ritorsioni economiche e alle minacce militari; infine
alla guerra preventiva. Un fatto è certo: gli esperti americani e anglosassoni dovettero
riconoscere i propri errori di valutazione e correre ai ripari. Eppure le amministrazioni
Clinton e Bush non fecero nulla per rafforzare la Convenzione per l'abolizione delle armi
biologiche, anzi fecero di tutto per boicottarla, impedendo, a chiunque cercasse di
migliorala e di rendere efficaci i controlli, di ottenere risultati tangibili. Come mai?
Qualche giorno prima del fatidico 11 settembre Judith Miller e gli altri autori del già
citato Germs avanzarono sul New York Times, una tesi interessante e, almeno in parte,
accettabile: gli Stati Uniti stavano cercando di recuperare il tempo perduto e avevano in
cantiere una nuova bomba vettore per materiale biologico, un ceppo di antrace
geneticamente modificato in modo da resistere a qualsiasi farmaco noto e altre chicche
dello stesso genere. La decisione di Bush di affossare in modo definitivo non solo la
Convenzione voluta da Nixon (dichiarandola inutile e pericolosa per la sicurezza degli
States) ma l'intera strategia preventiva nei confronti delle guerre biologiche, poteva
essere spiegata con il timore che la nuova strategia americana venisse scoperta.
L'articolo dellaMiller fece scalpore e contribuì al lancio del libro. Tanto più che nei giorni
seguenti a Manhattan scoppiò l'inferno e qualcuno si premurò di dimostrare all'America
e al mondo la potenza devastante nascosta in pochi nanogrammi di spore di antrace.
Microbiologi insigni negarono qualsiasi valore difensivo alle sperimentazioni genetiche
sull'antrace e molti accusarono Washington di voler utilizzare in modo strumentale le
minacce bio-terroristiche (del resto con ogni probabilità made in USA) per giustificare i
propri pericolosi progetti in nome di una strategia di difesa biologica del tutto
irrealizzabile. Eppure la tesi della Miller spiega solo in parte la nuova strategia di
Washington. Tanto più dopo che l'11 settembre ha cambiato ulteriormente il quadro
generale della situazione, costringendo non solo gli Stati Uniti, ma l'intera società civile
mondiale a scoprire la propria drammatica fragilità.
Dal giorno in cui la massima potenza del pianeta ha dovuto riconoscere la propria
vulnerabilità di fronte alla disperata e lucida follia di un gruppo di kamikaze; in cui il
mondo intero è stato costretto ad ammettere che persino il più mastodontico arsenale
bellico della storia si rivelerebbe inutile, qualora un pugno di terroristi ben organizzati
decidesse di colpire al cuore le città americane, disseminando nelle affollate subways
delle ore di punta qualche manciata di polverina carica di spore; in cui la stessa
rappresentazione collettiva degli equilibri planetari e dell'intera storia dell'uomo è
cambiata… non sarebbe stato logico attendersi che Bush tornasse sui suoi passi,
riconoscendo che la salvezza del pianeta passa necessariamente per una
Convenzione, sottoscritta da tutti i paesi e dotata di controlli rigorosi e capillari da parte
di ispettori internazionali? Ma Washington, ancora una volta, segue una linea
totalmente diversa. La Convenzione e i protocolli non vengono più neppure citati nei
documenti ufficiali e qualsiasi trattativa diplomatica, qualsiasi regime fondato su controlli
internazionali vengono accantonati e sostituiti da una strategia politico-militare
durissima, fatta di minacce, di ritorsioni, di bombe. Come mai? Quella di Washington è
soltanto la logica orgogliosa della superpotenza convinta di avere diritto al dominio del
mondo e decisa a non rinunciare a un tenore di vita insostenibile e fondato su strategie
economico-politiche non più accettate dal resto del mondo? E ancora: è mai possibile
che Bush e i falchi del Pentagono intendano puntare su una sorta di "worlwide biological
arms race", di sfida all'ultimo virus che potrebbe distruggere l'intero pianeta, come
sembra sostenere la Miller? Per rispondere a queste domande può essere utile
rileggere quella che è a tutt'oggi forse l'analisi più lucida delle "origini
geopolitiche" e
delle successive vicissitudini della Convenzione del 1972: quella di Susan Wright. La
sua ricostruzione dei continui cambiamenti di strategia, da parte di Washington, è infatti
estremamente rigorosa e va dritta al cuore del problema: partendo dall'intuizione che è
necessario tornare a quei fatali anni '69-72, laWright capisce infatti che c'è qualcosa
che non funziona, che non può funzionare nella stessa Convenzione e che questo
qualcosa ha a che vedere con la difficoltà di distinguere tra usi difensivi e offensivi delle
ricerche sui microrganismi e, almeno a partire dagli anni '80, con gli enormi interessi
economici collegati al nuovo settore delle biotecnologie genetiche. La Convenzione,
infatti, autorizzava lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di agenti biologici patogeni
"se utilizzati per la produzione di mezzi difesa quali vaccini, terapie speciali, tute
preventive." Inoltre, non erano previste procedure e strumenti di controllo. Quando poi,
nel 1995, i firmatari della Convenzione decisero di negoziare un protocollo di verifica e
controllo, si scontrarono con ostacoli insuperabili, messi in atto dall'amministrazione
Clinton, che aveva dovuto cedere alle pressioni delle industrie biotecnologiche e
farmaceutiche. Infine la nuova amministrazione Bush, il 25 luglio 2001, respinse in toto
il protocollo, definendolo "non solo inefficace, ma pericoloso per la sicurezza nazionale
americana". Ma chi volesse realmente capire cosa sia cambiato nei 30 anni che
separano la Convention, così fortemente voluta da Nixon, dal suo definitivo sabotaggio
da parte di Clinton e Bush dovrebbe tornare a quei fatidici anni per un'altra ragione.
Proprio in quegli anni infatti, nel silenzio dei laboratori della nazione più potente del
mondo, si ponevano le basi di una rivoluzione tecnologica che avrebbe inciso in modo
drammatico sulla nostra storia.
UNA RIVOLUZIONE GRAVIDA DI CONSEGUENZE Abbiamo cercato di dimostrare che
il programma politico di Wilson e Nixon era basato su una valutazione del tutto errata
delle potenzialità delle armi biologiche ed ebbe conseguenze catastrofiche. A parziale
giustificazione dei due uomini politici bisogna però ammettere che il giudizio circa la
scarsa affidabilità ed efficacia di queste armi terribili era in quegli anni piuttosto diffuso,
persino tra i maggiori esperti mondiali, anche perché le tecniche di sperimentazione
erano ancora rudimentali. Quello che i poco lungimiranti ideatori dell'asimmetria
strategica nel campo degli armamenti non potevano sapere, è che proprio in quegli
stessi anni e proprio nei laboratori americani, si stava realizzando la rivoluzione
tecnologica che avrebbe sconvolto il mondo della genetica e fornito agli scienziati gli
strumenti necessari a trasformare innocui microrganismi in microscopiche bombe
intelligenti, più potenti di qualsiasi altra arma mai costruita. Proprio nel 1969 fu scoperta
la DNA polimerasi RNA dipendente, che di lì a qualche anno sarebbe diventata famosa,
quale principale arma del virus dell'Aids, col nome di trascrittasi inversa: l'enzima che
consente al genoma di un RNA-virus di riprodursi a partire dal DNA, con un
meccanismo speculare a quello, descritto da Watson e Crick, e considerato fino ad
allora l'irrefutabile dogma centrale della moderna genetica. Appena un anno dopo, nel
1970, furono isolati il primo enzima di restrizione, una sorta di forbice biologica prodotta
dai batteri per tagliare le molecole di DNA riconosciute come estranee, e la DNA ligasi,
un enzima in grado di formare legami covalenti tra due frammenti di DNA. I biotecnologi
di tutto il mondo si trovarono così d'un sol colpo a loro disposizione i principali strumenti
di lavoro per quel vero e proprio taglia-incolla che è l'ingegneria genetica. Da quel
momento migliaia di scienziati seri e di apprendisti stregoni poterono manipolare e
modificare con una certa precisione il codice stesso della vita. Nacquero così i
cosiddetti OGM: virus, batteri e organismi superiori "artificiali", cioè non prodotti da un
processo antico di miliardi di anni e regolato da naturalissimi meccanismi di feed-back,
ma privi di qualsiasi interazione regolatrice con gli altri esseri viventi, impegnati in un
complesso processo di co-evoluzione, cooperazione e competizione per la vita. Ma
quando, di lì a poco, Stanley Cohen e Charles Boyer produssero in vitro la prima
molecola chimerica di DNA, non furono in molti a capire l'enorme portata e la
pericolosità dell'evento. Non è facile dimostrare quale peso abbia avuto, anche in
questo senso, l'errata valutazione delle potenzialità delle armi biologiche da parte dei
vertici politico-militari anglo-americani. Difficile sarebbe, per contro, sopravvalutare il
peso dei fattori economici. Se é vero, infatti, che alcuni scienziati, memori di quanto
avvenuto 30 anni prima col progetto Manhattan, proposero uno stop deciso alle
sperimentazioni, col fine dichiarato di indagare più a fondo circa la possibile pericolosità
delle nuove tecniche di manipolazione genetica, è altrettanto innegabile che la loro
consapevole prudenza fu ben presto soppiantata dalla curiosità scientifica, e dalla
prospettiva di enormi profitti. Nulla illustra meglio questo rapido cambio di rotta della
vicenda personale del premio Nobel Paul Berg, il quale fu tra i primi a proporre una
moratoria sulla ricerca genetica, organizzò il famoso convegno di Asilomar (1975), nel
corso del quale un nutrito gruppo di scienziati cercò di stabilire un rigido protocollo di
sicurezza per le ricerche biotecnologiche e finì con il dar vita alla Genientech (1976), la
prima azienda biotech di successo. Da quel momento la legge del profitto condizionò
pesantemente le strategie di ricerca e le scelte normative in una materia in cui a
decidere avrebbero dovuto essere soltanto la coscienza e la responsabilità verso l'altro,
l'ambiente, le generazioni future. Quando arrivarono i primi brevetti concernenti gli
esseri viventi (1980), fu chiaro che fermare la sperimentazione bio-genetica sarebbe
stata un'impresa disperata. Gli scienziati più coscienziosi continuarono a invocare
trattati e convenzioni in grado di impedire quantomeno lo splicing di geni finalizzato alla
produzione di nuove armi batteriologiche;ma fu evidente a tutti che si trattava di
un'impresa donchisciottesca. In primis per i due motivi segnalati dalla Wright: la
difficoltà di distinguere tra usi offensivi e difensivi della ricerca biotecnologica e l'enorme
business derivante dalla rivoluzione biotech. Ma anche e soprattutto per la quasi
impossibilità di porre un confine netto tra la ricerca biotech finalizzata alla messa a
punto di vaccini e di altri importanti presidi terapeutici e le sue applicazioni in campo
militare. A questo punto le cose si complicavano maledettamente: fu infatti evidente che
la Convenzione del 1972, o meglio qualsiasi trattato che avesse voluto impedire le
guerre biologiche, per essere realmente efficace, avrebbe dovuto imporre limiti, regole e
controlli all'intera ricerca nel campo dell'ingegneria genetica. E questo rischiava di
interferire con gli enormi interessi economici che le multinazionali avevano nel settore;
con i programmi di ricerca più avanzati in campo bio-medico; con le esigenze di
segretezza propri degli establishment politico-militari. E' solo a questo punto che
comincia a chiarirsi l'apparentemente paradossale capovolgimento di strategia avvenuto
ai vertici politico militari della massima potenza planetaria. Rispetto a Nixon, a Wilson e
agli esperti militari di allora, i successivi inquilini della Casa Bianca e del Pentagono
furono costretti a riconoscere il notevole ritardo degli States in questo campo e a
correre ai ripari. La tesi della Miller a proposito delle nuove ricerche su microrganismi
geneticamente modificati e strumenti sofisticati per il loro utilizzo bellico o terroristico si
inserisce bene in questo quadro, anche se andrebbe riferita a una fase precedente. Ma
soprattutto Clinton, Bush e i loro consiglieri avevano ormai capito perfettamente che
nessuna Convenzione avrebbe impedito a "stati canaglia" e terroristi, di puntare sulle
uniche armi in grado di destabilizzare l'Impero; che i controlli in questo campo
sarebbero non solo inaccettabili per migliaia di laboratori di ricerca e per le
multinazionali che hanno investito miliardi di dollari in questo settore, ma praticamente
impossibili, visto che la produzione del "nucleare dei poveri" non richiede particolari
strutture (un bioreattore per la costruzione di germi micidiali ha dimensioni
estremamente ridotte, al punto che potrebbe essere trasportato in un furgone); che
persino un singolo terrorista solitario o un folle potrebbero mettere in ginocchio gli
States, vista la facilità con cui è oggi possibile acquistare (per corrispondenza!)
microrganismi patogeni e indurre in essi micidiali modifiche. La dottrina Bush della
guerra preventiva, così mirabilmente esposta nell'ormai famosoThe National Security
Strategy of the United States of America del settembre 2002 e persino l'attuale III
guerra del Golfo potrebbero essere valutate in modo più corretto, alla luce di questi dati:
oltre che come l'arrogante diktatpolitico-militare dell'Impero colpito al cuore, come una
quasi necessità strategica. E' come seBush si fosse trovato nelle condizioni di dover
ripetere -e non soltanto ai cosiddetti stati canaglia e ai possibili terroristi o pazzi che
potrebbero colpire l'America con l'arma più subdola e potente, ma a tutto il mondo- la
minaccia espressa 33 anni prima da Nixon: "if you'll usegerms against us, we'llnuke
you". Ma tra la ruvida minaccia verbale di Nixon e quella, ancora più violenta, perché
accompagnata dalle bombe, di G.W. Bush esiste una differenza fondamentale: se la
prima esprimeva la posizione di un potente, convinto di avere il coltello dalla parte del
manico e di poterlo utilizzare per intimidire i nemici dell'America, quelle di Bush
rischiano di rivelarsi minacce del tutto prive di senso, verso un Nemico infinitamente più
potente, elusivo, pervasivo e refrattario a qualsiasi tipo di potere politico o militare.
Siamo così giunti all'ultimo mistero.
BIO-TERRORE E SARS Settembre 2001: il terrore piomba su New York mentre una
mano assassina confeziona e spedisce missive di morte all'antrace. Difficile pensare a
una semplice coincidenza. Ma a tutt'oggi nessuno ha offerto una ricostruzione
accettabile dei fatti. Marzo 2003: americani e inglesi bombardano e invadono l'Iraq,
mentre un misterioso virus killer dilaga in estremo oriente, raggiunge il Nord America,
minaccia l'intero pianeta. Apparentemente in questo secondo caso è ancora più difficile
trovare un nesso tra i due eventi. Ma è proprio così? Nei giorni in cui il misterioso virus
mutante che è causa della SARS sembrava destinato a estendersi a tutto il pianeta,
esperti e uomini politici di tutto il mondo si prodigarono a gettare acqua sul fuoco e,
soprattutto, a negare recisamente qualsiasi accostamento tra Aids e SARS. Come mai?
E' evidente che se il fine primo fosse stato davvero quello di impedire il dilagare
dell'epidemia, sarebbe stato meglio diffondere l'allarme e consolidare il "cordone
sanitario" intorno ai mega-focolai di partenza. Se questo non è accaduto è soltanto per
un motivo: The show should go on. O piuttosto: The global business should go on.
Abbiamo già sottolineato il probabile ruolo svolto dalla Big Pharma e dalle imprese
biotech nel cambiamento di strategia che avrebbe indotto gli USA a boicottare la
Convention del 1972. Nel caso della SARS (e dell'Aids) il problema è analogo: se le
guerre biologiche non possono essere fermate perché comandano la Big Pharma e la
Monsanto, le epidemie rischiano di dilagare perché comandano le Corporations in
genere. Ma politici ed esperti, nel negare tanto recisamente il parallelismo posto da
molti "profani" tra Aids e SARS, hanno torto anche sul piano scientifico. E non soltanto
perché, se l'Aids è stata la prima pandemia della storia e uno deisimboli-chiave della
patologia della globalizzazione (o piuttosto la metafora di una globalizzazione in sé
patologica), la SARS rischia di diventare la seconda. Ma anche perché in entrambi i
casi all'origine del dramma potrebbe esserci stato un incidente analogo: la fuoriuscita
accidentale di virus ricombinanti o comunque ingegnerizzati da qualche laboratorio.
Torniamo ai primi anni '80: alle origini, tuttora misteriose, dell'AIDS. Come si ricorderà
già allora i sovietici accusarono gli Stati Uniti di essere i veri responsabili dell'epidemia.
L'accusa fu poi smentita e ritrattata. Con ogni probabilità si trattava di un'accusa
infondata, ma non peregrina. Probabilmente l'Hiv non è il disgraziato prodotto di
esperimenti finalizzati alla messa a punto di una tremenda arma biologica; all'origine
dell'epidemia potrebbe esserci la slatentizzazione (magari occorsa durante le
sperimentazioni per la produzione di un vaccino) di un virus rimasto nascosto per
millenni nel genoma di una scimmia. Tanto più che non si tratta dell'unicoretroviruskiller comparso sulla scena in quegli stessi anni (si pensi al Marburg e all'Ebola) che
avrebbe appunto come serbatoio naturale le scimmie. Già allora illustri scienziati
sottolinearono il possibile nesso tra le biotecnologie genetiche e la comparsa di nuovi
virus patogeni. Era soltanto un caso che questi virus fossero comparsi (o ameno
fossero divenuti patogeni per l'uomo), negli stessi anni in cui venivano messe a punto
gli strumenti e le tecniche adatte a riconoscerli e a costruirli? Ed è soltanto un caso, se
da quando gli esperimenti su virus e altri vettori genetici sono di routine nei laboratori di
tutto il mondo, le malattie da "nuovi virus" sono diventate un problema drammatico ed
enormemente sottovalutato ? A pochi giorni dallo scoppio della SARS, la grande
"biotecnologa pentita" Mae Wan Ho, citando uno studio, recentemente pubblicato sul
Journal of Virology e concernente la creazione di nuovi ceppi ricombinanti di
coronavirus, ha sottolineato con forza la pericolosità di simili manipolazioni, oggi di
routine in migliaia di laboratori, in grado di creare in pochi minuti milioni di particelle
virali mai esistite nei quattro miliardi di anni di evoluzione che ci hanno preceduto e in
grado di "saltare" da un ospite all'altro. Ma le critiche diMae Wan Ho a questo tipo di
esperimenti vanno bene al di là del problema contingente dell'origine della SARS: sotto
accusa è ingegneria genetica in quanto "tecnologia finalizzata a trasferire
orizzontalmente i geni tra specie non destinate a incrociarsi tra loro". Come a dire che i
pericoli per l'intera biosfera, non derivano da un cattivo uso delbiotech, e cioè dal
bioterrorismo e dalle guerre biologiche, ma da una tecnologia che infrange
deliberatamente le barriere specie-specifiche che la Natura ha costruito a difesa delle
singole specie viventi. La SARS esemplifica perfettamente questo genere di pericoli. In
special modo se si crede alla "storiella cinese" del ricercatore-veterinario che, cercando
di metter a punto un vaccino contro una infezione aviaria (dei polli) si sarebbe infettato
con un virus ricombinante a RNA (quindi fortemente instabile) della famiglia dei
coronavirus, divenuto patogeno per l'uomo e lo avrebbe trasmesso al cognato, al
personale di un albergo, alle infermiere di un ospedale e così via. Ma se sul piano etico
e politico il fatto che tanto all'origine della SARS chedell'Aids ci sarebbe un incidente,
piuttosto che un attacco bio-terroristico o un esperimento di guerra biologica, può
essere rassicurante, sul piano igienico-sanitario il discorso è esattamente opposto. Se
le prime pandemie da virus mutanti fossero frutto di un programma strategico
mostruoso, sarebbe terribile; ma se tutto questo è, come sembra, il risultato di una
tecnologia diffusa in tutto il pianeta e ingovernabile, la situazione è assai più grave. Se a
questo punto cercassimo di tratteggiare due possibili modelli epidemiologici per Aids e
SARS, ci troveremmo a dover sottolineare alcune somiglianze e differenze significative:
a favorire la lenta diffusione pandemica dell'Aids, ad esempio, sono state la bassa
contagiosità, il lungo periodo di incubazione e di asintomaticità dei portatori, la lenta e
inesorabile progressione distruttiva del virus nei confronti dei sistemi difensivi
dell'organismo umano. Per quanto concerne la SARS il discorso sarebbe almeno in
parte diverso, trattandosi di un virus più contagioso, probabilmente più aggressivo, ma
in fin dei conti meno devastante: almeno in base ai dati clinici fin qui registrati, dai quali
si potrebbe indurre una mortalità oscillante tra il 4 e il 10%. Bisogna però sottolineare
che trattandosi di un virus ricombinante è possibile che la sua tendenza a mutare
determini l'emergere di mutanti più aggressivi che potrebbero dar vita a quadri clinici più
gravi e peggiorare il quadro epidemiologico già preoccupante. Ma il paragone tra Aids e
SARS dovrebbe soprattutto esser visto in relazione al futuro: alla possibilità di impedire
alla SARS di divenire la seconda pandemia/endemia globale. In questo senso
bisognerebbe chiedersi prima di tutto: cosa non ha funzionato nella prevenzione
dell'Aids (non si dimentichi che in pochi annil'Hiv ha infettato almeno 60 milioni di
persone e che l'epidemia procede alla velocità di un contagio ogni 5"). La risposta
sarebbe abbastanza facile: non si è riusciti a controllare il rapido processo di degrado
sociale e morale che ha colpito le metropoli del III mondo e le periferie urbane del Nord
del pianeta, alimentato dai circuiti criminali legati al grande business delle armi, del
narcotraffico, della prostituzione. E anche su questo piano è evidente come rifiutarsi di
riconoscere i punti di contatto tra le due situazioni non abbia senso, se è vero che in
entrambi i casi il problema rischia di diventare drammatico e irrimediabile perché il
Business globale nelle sue due componenti, sempre più interconnesse, legale e
criminale, deve andare avanti.
LA BIO-GUERRA BIOLOGICA GLOBALE Ma per avere un quadro sufficientemente
completo della situazione, dobbiamo fare un ulteriore passo avanti e prendere in esame
un aspetto se possibile ancora più inquietante: quello che potremmo definire la guerra
(biologica) globale al pianeta. Nel suo famoso The Biotech Century Jeremy Rifkin
sottolinea come la caratteristica fondamentale che distingue le armi biologiche - formate
da virus, batteri, funghi e protozoi - da tutte le altre sia la loro tendenza, connessa alla
loro stessa natura di esseri viventi, a diffondere nella biosfera, occupando nicchie vitali
e a colonizzare altri esseri viventi utilizzandoli come propri vettori. Il discorso di Rifkin è
quasi perfetto. Ma contiene una inesattezza, minima ma significativa. Tra gli agenti
patogeni più importanti utilizzati o messi a punto per le guerre biologiche ci sono, come
visto, i virus. Il fatto è che i virus non sono esseri viventi a tutti gli effetti, ma frammenti
incapsulati di codice genetico: mine genetiche vaganti dall'origine incerta e alla perenne
ricerca di esseri viventi da colonizzare. La caratteristica invasività e la tendenza a
parassitare la vita, propria delle armi biologiche, non è quindi legata soltanto al fatto di
essere costituite da esseri viventi, ma al fatto di essere veicoli di un codice genetico!
Comunque Rifkin ha ben chiari i rischi di tutto ciò, quando parla di un inquinamento
genetico planetario che potrebbe produrre pandemie mortali in grado di distruggere su
vasta scala le piante, gli animali e la stessa vita umana; e di un futuro scenario nel
quale stati e potentati economici e/o criminali/terroristici si fronteggino e competano per
il controllo del pianeta, utilizzando virus e altri microrganismi geneticamente modificati
per colpire le risorse alimentari o le stesse popolazioni. Tutto questo potrebbe apparire
eccessivo. Il fatto è che non si tratta di uno scenario fantascientifico, ma attuale. E
questo non soltanto perché, come visto, diecine di "nuovi" virus e di altri microrganismi
divenuti patogeni per l'uomo a causa di manipolazioni genetiche accidentali o volontarie
circolano già per le nostre città e mietono milioni di vittime; non soltanto perché negli
ultimi decenni gli attacchi bio-agro-terroristici finalizzati a colpire le economie e a
indebolire le popolazioni rivali o nemiche non sono stati infrequenti; ma per un dato di
fatto ancora più semplice e innegabile: se ciò che rende più invasive e pericolose di
tutte le altre le armi biologiche, e in particolare i virus g.m. é il loro essere semplici
frammenti di codice genetico circolanti e, quindi, la loro capacità di parassitare gli esseri
viventi, di competere con essi e, in taluni casi, di inserirsi nel loro genoma
modificandolo, è evidente che l'inquinamento genetico del pianeta, da parte di centinaia
di varietà di organismi geneticamente modificati (Ogm) è già in atto da anni e
rappresenta una vera guerra non dichiarata all'intera biosfera. Un pericolo immenso,
forse il maggiore pericolo mai corso dall'umanità e del tutto non prevedibile, almeno in
tempi brevi, che fa di noi -per citare una definizione particolarmente icastica, cara a
Gianni Tamino- "le cavie inconsapevoli di un esperimento senza ritorno"
IMPERO BIOTECH o WORLWIDE BIOLOGICAL ARMS RACE ? L'intero discorso fatto
fin qui può essere riassunto in questi termini: nessuno può oggi affermare con sicurezza
che gli effetti e i prodotti delle biotecnologie con finalità sulla carta "buone" non si
rivelino, specie nel medio-lungo periodo, altrettanto pericolose di quelle con finalità
"cattive". E questo sia per quanto concerne le cosiddette "biotecnologie rosse",
destinate ad applicazioni in campo medico e farmacologico in genere (produzione di
farmaci, vaccini, vettori genetici, animali geneticamente modificati per xenotrapianti),
che per quanto concerne le "biotecnologie verdi", finalizzate a ottenere miglioramenti in
campo agro-alimentare. E questo non solo per la facilità con cui si possono verificare
incidenti di percorso più o meno imprevedibili (vedi Aids, SARS e, più in generale,
creazione di virus ricombinanti o slatentizzazione di (retro)virus patogeni negli ultimi
decenni), ma anche per l'intrinseca pericolosità di queste tecnologie (specialmente per
ciò che concerne i vettori, gli xenotrapianti e la diffusione nell'ambiente di OGM in
genere). Tra i tanti scenari catastrofici che sono stati immaginati negli ultimi anni da
parte dei numerosi critici della globalizzazione neoliberista, intesa come modello
sistema di sviluppo economico, politico, tecnologico e culturale in senso lato imposto
dal Nord del mondo al resto del pianeta più o meno recalcitrante, ce ne sono - per
quanto concerne il tema delle guerre biologiche in senso lato - almeno tre che
andrebbero tenuti in debita considerazione. Il primo scenario è quello, descritto dalla
Miller, della "worldwide biological arms race": di un pianeta caratterizzato da una
geopolitica stravolta, incentrata su una folle corsa alle armi di sterminio di massa più
sofisticate e terribili e sul sogno demoniaco del definitivo possesso dell'arma biologica
più letale e del suo antidoto; da strategie mediatiche finalizzate a indurre nelle
coscienze dei cittadini una condizione di terrore subliminale e costante; da un'economia
drogata e distorta dai giganteschi costi dei programmi di difesa biologica e di controllo
militare e sanitario capillare del territorio. La grande quantità e varietà di micidiali agenti
patogeni geneticamente modificati, presenti nei laboratori di diecine di paesi (molti dei
quali facenti parte della famosa lista degli stati canaglia, accusati di ospitare,
proteggere, addestrare e utilizzare terroristi), rende questo scenario ormai poco
probabile: la strada quasi obbligata non è quella della messa a punto di armi biologiche
più o meno potenti, ma piuttosto quella di trovare un accordo che permetta il controllo di
una situazione esplosiva. Il secondo scenario è quello definito da Mae Wan Ho "Impero
Biotech": un mondo orwelliano in cui "multinazionali senza volto controllano ogni
aspetto della (nostra) vita, dal cibo che mangiamo ai bambini che mettiamo al mondo" e
fondato sulla promessa del perfezionamento continuo della specie e dei singoli individui
mediante micro-interventi di terapia genica mirata o di sostituzione di tessuti e organi
danneggiati (o semplicemente invecchiati) con pezzi di ricambio ottenuti da colture di
cellule staminali provenienti dal sangue del cordone ombelicale o da cellule fetali,
prelevate alla nascita o durante la gestazione di ogni futuro individuo e conservate in
apposite banche. Ma anche sull'uso sempre più diffuso di animalitransgenici: ratti,
conigli, scimpanzé e mucche trasformati in veri e propri laboratori chimici viventi per la
produzione di farmaci e di altre molecole utili, e soprattutto maiali, migliaia,
possibilmente milioni di maiali, trasformati in donatori di tessuti e organi "umanizzati"
per quello che è il sogno di ogni trapiantologo che si rispetti: lo xenotrapianto, ove non
si riesca, superati alcuni residui scrupoli di ordine morale, a far divenire routine la
clonazione parziale o produzione di replicanti per ogni singolo neonato (previo blocco
dell'organogenesi cerebrale, onde impedire l'eventuale formazione o discesa dell'anima,
nell'ipotesi che una simile entità metafisica esista e necessiti di una sua sede corporea)
da utilizzare in futuro come fonte di organi e tessuti perfettamente identici e compatibili.
Il tutto nell'ambito di una "Nuova Creazione", una sorta dineo-biosfera sempre più
artificiale, popolata di organismi creati in laboratorio, selezionati per fini di profitto e
brevettati: una realtà povera (sul piano biologico) e quindi fragile, squilibrata e priva di
quei fondamentali meccanismi di autoregolazione e feed-back che ne hanno garantito
per miliardi di anni l'esistenza e l'evoluzione.
Jeremy Rifkin dichiarò una ventina di anni
fa che se si fosse permesso a poche diecine di multinazionali impegnate nel Biotech di
acquisire con i brevetti il controllo del patrimonio genetico delle specie viventi, l'intera
geopolitica del XXI secolo sarebbe cambiata. Pochi capirono allora le parole di Rifkin.
Oggi possiamo affermare che se si permetterà ad alcune migliaia di individui speculatori valutari, grandi azionisti e managers delle cosiddette Life Science Industries
(termine Orwelliano, utilizzato dalle corporations genetico-industriali per definire se
stesse) - di acquisire in tal modo il controllo della biosfera, vivremo in una sorta di Stato
Globale totalitario-tecnocratico nel quale le nostre coscienze e il nostro inconscio
saranno perfettamente controllati da chi gestisce i grandi canali dell'in-formazione
mediatica e i nostri corpi gestiti da chi avrà su di noi potere di vita e di morte. Ma esiste
anche un terzo scenario, che è tutto sommato quello più probabile, anzi in buona
misura già concretamente realizzato e includente gli altri due. La globalizzazione
neoliberista è essenzialmente imposizione a tutto il pianeta di un modello-sistema di
vita, quello occidentale, fondato sul profitto e sullo sfruttamento intensivo delle risorse
energetiche, ambientali in senso lato, alimentari. Si può parlare di imposizione perché
chi non accetta il Sistema dominante rimane escluso dal circuito e muore.
Generalmente si sottolineano gli aspetti economici, politici, etici della globalizzazione e
si sottovalutano quelli relativi all'impatto ambientale e sanitario che sono potenzialmente
catastrofici. Abbiamo già visto che in questo senso globalizzazione significa diffusione
rapida e potenzialmente planetaria (pandemica) di virus e di altri patogeni, ma anche di
organismi geneticamente modificati che inesorabilmente e sempre più rapidamente
trasformano l'intero ecosistema e rischiano di interferire pesantemente con lo stesso
processo di evoluzione delle specie. Ma esiste un altro aspetto della globalizzazione più
"fisiologico" e misconosciuto: quello della "bioinvasione globale". La globalizzazione dei
commerci e dei traffici implica infatti il trasporto quotidiano di migliaia di specie di insetti,
pesci, mammiferi e microrganismi attraverso i continenti, senza nessun rispetto per un
equilibrio di un ecosistema formatosi in miliardi di anni e, in particolare, per quelle
barriere naturali costituite da montagne, fiumi, correnti marine che hanno permesso il
graduale formarsi di ecosistemi che venendo a contatto tra loro con lenta progressività
hanno formato quello che chiamiamo biosfera, un insieme di migliaia di specie in fragile,
miracoloso equilibrio. Nel giro di pochi decenni abbiamo travolto queste barriere. Basti
pensare alle acque di zavorra delle navi scaricate nei porti di tutto il mondo che portano
con sé migliaia di specie ittiche diverse e alloctone, che invadono territori nuovi
travolgendo ogni equilibrio e mettendo a repentaglio la stessa biodiversità. Gli Ogm (e
tra questi i virus ricombinanti prodotti in laboratorio) sono dunque la punta dell'iceberg,
ma rappresentano l'aspetto più pericoloso del gioco: perché per produrli ildemiurgobiotecnologo va nel cuore delle cellule e lo modifica, forzando le stesse barriere
genetiche specie-specifiche, accelerando in modo esponenziale il processo appena
descritto. Le Life Science Industries, la Big Pharma e le grandi corporations in genere
hanno investito miliardi di dollari nel biotech, nella convinzione che gli scienziati abbiano
ormai le conoscenze, gli strumenti e i mezzi necessari a trasformare la biosfera e la
società mondiale a propria immagine e somiglianza. Il programma era ed è quello di
mettere le mani sul codice stesso della vita, per correggerne i "difetti" e giungere ad una
nuova creazione "perfetta", cioè adattata alle nostre o meglio alle loro esigenze: un
progetto demiurgico o piuttosto luciferino, che ha il suo strumento chiave, dotato di
chiare valenze simboliche nel Progetto Genoma. Tutto questo potrebbe essere descritto
come un vero e proprio "delirio di onnipotenza". Ma è importante sottolineare che non si
tratta "soltanto" di un problema etico o, se si preferisce, metafisico, ma anche di un
enorme flop scientifico. Proprio il Progetto Genoma sta infatti rivelando la vanità di
questi sogni. Perché il codice della vita si sta rivelando estremamente più complesso e
comunque diverso dal modello che esattamente cinquanta anni fa, il 25 aprile del 1953,
misero a punto Watson e Crick, e che ci si ostina a insegnare tale e quale nelle scuole e
nelle università di tutto il mondo e ad usare come base teorica dei pericolosi
esperimenti degli ingegneri della vita e di troppi apprendisti stregoni. Il risultato di tutto
questo è che, da progetto di bio-dominio globale, il progetto dei biotech-scientists e
delle corporations (sempre più strettamente collegati tra loro, visto che sono sempre più
numerosi gli uomini di scienza che siedono nei consigli di amministrazione delle Life
Science Industries) rischia di trasformarsi in una global-bio-war combattuta, come
dicevamo, da un nemico infinitamente più sfuggente, elusivo, pervasivo di quello contro
il quale G.W. Bush e i falchi del Pentagono hanno deciso di muovere le loro pesanti
armate: un esercito di organismi geneticamente modificati che, messo punto in migliaia
di laboratori, distribuito in ospedali, farmacie, supermercati e mercati dei sei continenti
sta colonizzando il pianeta. Bioterroristi e Masters of (Bio)Wars sono certamente ancora
in grado di giocare un ruolo importante nel Grand (Bio)-Guignol che rischia di mettere
fine alla storia. Ma potrebbero anche rivelarsi superflui.
Post Scriptum Per evitare che simili, apocalittici scenari lascino nel lettore l'impressione
di un'analisi troppo fantascientifica, è forse il caso di tornare alla cronaca, nerissima di
questi ultimi giorni. Al misterioso "suicidio" di David Kelly: uno tra i massimi esperti
mondiali in materia di bioterrorismo; consulente anziano dell'Unscom dal 1994 al 1999;
testimone chiave di uno dei più importanti scandali spionistici dei nostri giorni;
notoriamente critico nei confronti del Governo e dei Servizi di Sua Maestà in relazione
al tema controverso delle armi di sterminio irakene. Ciò che più colpisce di fronte a
questo ennesimo mistero è il silenzio dei media riguardo al dato più incontrovertibile e
inquietante: Kelly è solo l'ultimo di una lunga serie di esperti inbio-wars morti nei quasi
2 anni che ci separano dall'11 settembre e dai giorni dell'antrace. Il primo della lista è un
biologo cellulare americano ucciso il 12 novembre 2001 da quattro uomini, a colpi di
mazza da baseball. Il secondo un immunologo -forse il più noto della lista, perché la sua
equipe aveva annunciato, pochi giorni prima dello scoppio del caso antrace, la scoperta
di un gene che rende i topi resistenti al bacillo- scomparso appena 4 giorni dopo e
ritrovato cadavere in circostanze misteriose (20 12 01). Il terzo (21 11 01) un
microbiologo russo, già coinvolto per Biopreparat in esperimenti su antrace, peste
bubbonica, tularemia, vaiolo. Il quarto (10 12 01) un biologo americano accoltellato in
Virginia da un gruppo di satanisti. Il quinto (14 12 01) un biologo australiano. E così via
per un totale di una quindicina (c'è chi ne conta 12, chi addirittura 18) di esperti in
guerre biologiche misteriosamente scomparsi in questo breve lasso di tempo. Si tratta
di un mistero ancora poco indagato e compreso. E' indubbio che la prima e più semplice
ipotesi che viene formulata in simili casi è che questi signori sapessero o avessero
capito troppo e non fossero sufficientemente controllabili da parte dei loro governi. Ma
questo significa che tornano a galla alcune tra le ipotesi più inquietanti: quella milleriana
di una "international microbial race" alla ricerca dell'agente patogeno più micidiale e
specifico (geneticamente selezionato e dotato di antidoto); quella delle nuove pandemie
virali e della SARS in particolare come esperimenti propedeutici a una I Guerra
Biologica mondiale…