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UNIVERSITA’ DI PISA
Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
PK/PD dei farmaci analgesici nel cane e nel gatto
Candidato: Shapira Sigal
Relatori: Prof. Soldani Giulio
Dott. Giorgi Mario
ANNO ACCADEMICO 2009-2010
‫אני רוצה להקדיש את התזי למישפחתי‬
‫ולחברי המיוחד יניב שקד )‪ (1969-2010‬שעזב בטרם עת‬
‫‪2‬‬
INDICE
RIASSUNTO/ABSTRACT
pag 10
CAPITOLO 1- IL DOLORE NEGLI ANIMALI
pag 11
NEL CANE E GATTO
pag 11
CAPITOLO 2 - I FARMACI ANTINFIAMMATORI
NON STEROIDEI
pag 14
FARMACOLOGIA DEI FANS
pag 15
FARMACOCINETICA
pag 19
ASSORBIMENTO
pag 19
DISTRIBUZIONE
pag 20
METABOLISMO
pag 21
ESCREZIONE
pag 22
I FARMACI
pag 22
PARACETAMOLO
pag 22
ACIDO ACETIL SALICILICO
pag 24
CARPROFENE
pag 26
COXIB
pag 28
CELECOXIB/ ROFECOXIB/ VALDECOXIB
pag 29
DERACOXIB
pag 29
FIROCOXIB
pag 30
3
ROBENACOXIB
pag 31
FLUNIXINA MEGLUMINA
pag 31
KETOPROFENE
pag 32
MELOXICAM
pag 34
FENILBUTAZONE
pag 36
PIROXICAM
pag 37
TEPOXALIN
pag 38
ACIDO TOLFENAMICO
pag 39
VEDAPROFENE
pag 40
CAPITOLO 2 – OPPIOIDI
pag 42
FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI
pag 44
AZIONE FARMACOLOGICA
pag 45
EFFETTI ANALGESICI
pag 46
EFFETTI SEDATIVI ED ECCITTATORI
pag 46
EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE
pag 46
EFFETTI SU SISTEMA RESPIRATORIO
pag 47
EFFETTI SU SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
pag 47
EFFETTI SU SISTEMA GASTRO-INTESTINALE
pag 48
EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO
pag 48
EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE
pag 48
4
EFFETTI A LIVELLO OCCULARE
pag 48
EFFETTI SUL VOMITO
pag 48
EFFETTI SU SISTEMA ENDOCRINO
pag 49
EFFETTI SU SISTEMA IMMUNITARIO
pag 49
EFFETTI METABOLICI
pag 49
TOLLERANZA E DIPENDENZA
pag 49
FARMACOCINETICA
pag 49
CONTROINDICAZIONI
pag 50
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEGLI OPPIOIDI
NEGLI ANIMALI
pag 50
EFFETTI COLLATERALI
pag 51
VIE DI SOMMINISTRAZIONE
pag 52
ENDOVENOSA/ INTRAMUSCOLARE/
SOTTOCUTANEA
pag 52
ORALE
pag 53
SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE
pag 53
ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE
pag 53
SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE
pag 53
I FARMACI
pag 54
BUTORFANOLO
pag 54
5
BUPRENORFINA
pag 55
FENTANILE
pag 57
IDROMORFONE
pag 58
MEPERIDINA
pag 60
METADONE
pag 60
MORFINA
pag 62
NALBUFINA
pag 63
OSSIMORFONE
pag 64
TRAMADOLO
pag 64
CAPITOLO 3 - ALFA 2 AGONISTI
pag 67
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
pag 67
SISTEMA CARDIOVASCOLARE
pag 68
SISTEMA RESPIRATORIO
pag 69
SISTEMA ENDOCRINO
pag 69
SISTEMA URINARIO
pag 70
SISTEMA GASTROENTERICO
pag 70
SANGUE
pag 70
UTERO
pag 70
OCCHIO
pag 71
6
VARIE
pag 71
ALFA 2 ANTAGONISTI
pag 71
I FARMACI
pag 71
MEDETOMIDINA
pag 71
XILAZINA
pag 74
ROMIFIDINA
pag 75
CAPITOLO 4 - ANTAGONISTI DEI RECETTORI
NMDA
pag 78
KETAMINA
pag 78
CHIMICA
pag 79
FARMACOCINETICA
pag 79
MECCANISMO D’AZIONE
pag 80
EFFETTI CLINICI SU VARI APPARATI
pag 81
SNC
pag 81
CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
pag 82
OCCHIO
pag 82
APPARATO RESPIRATORIO
pag 83
INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI
pag 83
SOVRADOSSAGGIO E TOSSICITA
pag 84
7
SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI
EPATICHE O RENALI
pag 85
SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE pag 85
CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA
pag 85
SOGGETTI AFFETTI DI EPILESSIA
pag 86
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE
pag 86
CAPITOLO 5 - ANESTETICI LOCALI
pag 88
MECCANISMO D’AZIONE
pag 88
POTENZA
pag 89
TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA
ANESTETICA
pag 89
SENSIBILITA AGLI ANESTETICI LOCALI
pag 89
I FARMACI
pag 90
PROCAINA
pag 90
TETRACAINA
pag 91
PRILOCAINA
pag 91
LIDOCAINA
pag 92
ETIDOCAINA
pag 93
8
MEPIVACAINA
pag 94
BUPIVACAINA
pag 95
ROPIVACAINA
pag 97
CAPITOLO 6 – BIBLIOGRAFIA
pag 99
9
RIASSUNTO
Parole chiave: dolore, analgesia, farmaci antinfiammatori non steroidei,
oppioidi, α2-agonisti, ketamina, anestetici locali, cane e gatto.
La gestione del dolore in campo veterinario si basa sulla terapia con farmaci
sistemici e/o locali. Le classi di farmaci più utilizzati contro il dolore sono: i
FANS, oppioidi, α2-agonisti, anestetici locali e farmaci non convenzionali come
la ketamina.
Questo lavoro descrive i principi farmacologici delle diverse classi di farmaci in
uso, focalizzando l’attenzione su i singoli farmaci.
ABSTRACT
Key words: pain, analgesia, NSAIDs, opioids, alpha2-agonists, ketamine, local
anaesthetics, dogs and cat.
Pain management in veterinary medicine is based on the therapy with systemic
and/or local drugs. The classes of drugs mostly used against pain are: NSAIDs,
opiods, α2-agonists, local anaesthetics and unconventional drugs such as
ketamine.
This work describes the pharmacological principles of the different classes of
drugs in use, focusing on the individual drugs.
10
IL DOLORE NEGLI ANIMALI
In assenza di comunicazione verbale, chi valuta il dolore negli animali si deve
basare su altre strategie per stabilire la natura e l’intensità dell’esperienza
dolorosa o nocicettiva. Un approccio consiste nel considerare i parametri
coinvolti nella valutazione di grandi gruppi come avviene nell’uomo, ma sempre
per la mancanza della comunicazione verbale, significa che la valutazione si
dovrà basare su delle strategie di osservazione. Queste strategie si suddividono
in quattro gruppi principali: in primo luogo, l’osservazione o la misura dei
parametri fisiologici quali la temperatura, il polso, l’alimentazione e la
respirazione possono essere utili. In secondo luogo, come viene modificato il
comportamento degli animali; questo strumento è ampiamente utilizzato e
potente, in particolare da medici esperti. In terzo luogo, la risposta fisica di
esacerbazione dello stimolo doloroso, con la palpazione o la manipolazione e la
risposta evocata. Infine l’alterazione del dolore presunto, con la terapia
analgesica. Considerando la complessità delle valutazioni interagenti e la
variabilità delle specie, sono state sviluppate una serie di scale analogiche visive
(VAS), ma sono sempre specie specifiche e spesso situazione specifiche
(Livingston, 2004).
CANE E GATTO
Nel cane, grazie alla stretta associazione con gli esseri umani e l’accesso alle
cure mediche, è una specie in cui le risposte del dolore sono state apprezzate, in
particolare quando i proprietari sono in sintonia e riescono a rilevare minime
variazioni nel comportamento, dell’appetito, perdita di peso, etc.
Le diverse condizioni del dolore (acuto, cronico e neuropatico) sono state
trattate. Infatti, con l’eccezione degli studi su animali di laboratorio, la maggiore
parte dei trattamenti e strategie di prevenzione del dolore sono state sviluppate
nel cane e gatto. Nel cane come negli uomini, le risposte al dolore sono
potenzialmente modificate in base all’ambiente. Infatti, un cane che soffre il
11
dolore post-chirurgico non presenterà gli stessi comportamenti come quelli che
avrà nella propria casa, questo ha portato allo sviluppo della prima VAS (Holton
& coll, 1998). Il concetto di VAS non è nuovo, ma la sua introduzione come
scala multifattoriale nel cane è stata un progresso significativo. Uno dei
problemi comuni di tutte le scale comportamentali è quello di quantificare il
dolore poiché la correlazione tra il grado di dolore, la frequenza cardiaca e
respiratoria, e le risposte comportamentali quali vocalizzazione o aggressività
come risposta alla palpazione, ogni correlazione sarà sempre imprecisa. La VAS
sviluppata da Holton fu la prima a fornire una stima, utilizzando una varietà di
fattori come una componente della valutazione. Per esempio, a ogni serie di
comportamenti e interazioni è stato assegnato un punteggio, questi poi sono stati
sommati, indicando il livello d’intervento analgesico richiesto. Questa VAS è
stata modificata per produrre una forma abbreviata nota come CMPS (composite
measure pain score), impiegato in ambito clinico di routine queste scale sono
state studiate per una risposta basata sulle descrizioni, delle interazioni con le
persone familiari, con le valutazioni degli aspetti del dolore. Tuttavia, è
importante notare che ci sono troppe variabili e ogni VAS può essere utilizzata
solo per una forma di dolore in una specie.
Cosi la “scala di Glasgow” vale solo per il dolore acuto nel cane, e altri indici
CMPS dovranno essere sviluppati per altri tipi di dolore e altre specie.
L’analisi al computer dei comportamenti associati al dolore, in particolare la
registrazione video, è stata estesa al cane. Due tecniche sono state avanzate
“observer” e “ethovision”. Queste due tecniche generalmente valutano l’attività
e il movimento, un'altra area d’avanzamento negli ultimi anni è stata l’uso di
tecniche di analisi computerizzate del passo, che sono utilizzate per monitorare
gli effetti benefici degli analgesici per il trattamento del dolore acuto e cronico
agli arti nel cane e gatto. Si comincia anche a comprendere le risposte al dolore
attraverso studi elettroencefalografici. La maggior parte della ricerca si basa sui
dati nel cane, mentre nel gatto sono stati fatti pochi studi. Infatti, per questo
12
motivo, almeno fino a tempi recenti erano spesso negati gli interventi analgesici
nel gatto per il motivo che il gatto potrebbe avere reazioni disforiche con l’uso
degli oppioidi, per la difficoltà del metabolismo dei FANS, che ha portato
all’aumento della suscettibilità alla tossicità. Studi recenti hanno cambiato un
po’ le cose e anche se il riconoscimento di stati del dolore nei gatti non ha
ancora ricevuto lo stesso livello d’attenzione del cane. Recentemente, hanno
sviluppato dei dispositivi per la misurazione della soglia termica e meccanica
nei gatti, che hanno consentito la quantificazione dell’efficacia degli analgesici
nel trattamento del dolore acuto, mentre studi sul dolore cronico sono stati
concentrati sulle condizioni cliniche analoghe alle situazioni umane, per stabilire
il mezzo per ridurre l’insorgenza del dolore severo e per la riduzione generale
del dolore cronico associato ad esempio alle condizioni artritiche. Diversi punti
d’interesse derivano dal comportamento osservato nei gatti afflitti dal dolore.
Infatti, i gatti tendono a nascondere dai padroni quando sentono dolore, questo
ovviamente ostacola il riconoscimento in questa specie. I gatti fanno le fusa
quando sentono dolore, in contrasto con le convinzioni di molti cioè che le fusa
sono sempre un segno di contentezza. I segni più evidenti, come in cani e la
maggior parte delle altre specie sono: vocalizzazione, zoppia, guardia,
inappetenza, riluttanza al movimento e atteggiamenti particolari. Tutta via se
l’animale si nasconde, probabilmente tutti questi indizi sono persi (Livingston,
2004).
I
farmaci
che
vengono
utilizzati
per
la
riduzione
del
dolore
clinicamente/sperimentalmente nel cane e nel gatto sono:
1) Gli antinfiammatori non steroidei (FANS).
2) Gli oppioidi.
3) Gli α2 agonisti.
4) La ketamina.
5) Gli anestetici locali.
13
I FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)
L’infiammazione è un complesso di eventi vascolari e cellulari che nell’insieme
costituiscono la risposta dell’organismo a qualsiasi danno di natura fisica,
chimica, biologica, o altro.
L’infiammazione per l’organismo ha un significato sia difensivo che offensivo,
e può compromettere la qualità della vita dell’individuo, per il dolore che a essa
si associa e/o per il danno tissutale che essa provoca.
Le molecole appartenenti a questa classe vengono classificati sulla base della
loro struttura chimica in:
acidi carbossilici
•
Derivati dell’acido salicilico: salicilato di sodio, acido acetil salicilico,
acetilsalicilato di lisina, diflunisal.
•
Derivati dell’acido propionico: ibuprofene, naproxene, carpofene,
ketoprofene, vedaprofene.
•
Acidi antanilici: acido tolfenamico, acido meclofenamico, acido
mefenamico.
•
Derivati dell’acido acetico: indometacina, sulindac (pro farmaco), eltenac,
etodolac, diclofenac, ketorolac, tolmetina.
•
Acidi amino nicotinici: flunixina meglumina.
•
Acidi chinolinici: cincofene.
Acidi enolici
•
Pirazolonici: fenilbutazone, dipirone, isopirina.
•
Oxicami: piroxicam, meloxicam, tenoxicam.
14
Altri
•
Derivati del paraminofenolo: fenacetina, paracetamolo, acetanilide.
•
Sulfonanilidi: nimesulide.
•
Alcanoni: nabumetone.
L’attività antinfiammatoria dei FANS deriva principalmente dalla loro capacità
di inibire la sintesi e la liberazione delle prostaglandine, che hanno un ruolo
chiave nella genesi della sintomatologia clinica dell’infiammazione, soprattutto
come “amplificatori” degli effetti di altri mediatori che sono coinvolti nel
processo flogistico (bradichinina, istamina, citochine, etc.).
In medicina veterinaria esiste una grande differenza specie-specifica nei
meccanismi fisiopatologici dell’infiammazione e nella risposta immunitaria
(diversa sensibilità agli stimoli, variabilità del tipo e dell’intensità delle reazioni
a insulti di varia natura, diversa incidenza di patologie specifiche, etc.).
FARMACOLOGIA DEI FANS:
I FANS sono largamente utilizzati sia in medicina umana che veterinaria per la
loro efficacia nel produrre effetti antinfiammatori, analgesici ed antipiretici,
tuttavia sono responsabili, di ben noti effetti collaterali indesiderati (gastropatie,
nefropatie, turbe dell’emostasi, etc.), che costituiscono un importante limite al
loro potenziale terapeutico.
Il primo FANS di sintesi introdotto per l’uso terapeutico è stato il salicilato di
sodio, dal quale venne sintetizzato l’acido acetilsalicilico, meglio noto come
Aspirina®, che è il progenitore dei FANS moderni. Da allora sono stati
sintetizzati altri composti come i derivati pirazolonici (anni 40), l’indometacina
(anni 60), i derivati oxicamici (anni 80) che sono stati introdotti nella pratica
clinica nel tentativo di produrre un farmaco più efficace e sicuro dell’aspirina;
tuttavia nessuno di essi ha mai offerto particolari vantaggi in termini di
tollerabilità rispetto all’aspirina (Zizzadro & Belloli 2009).
15
Negli ultimi 15 anni, sono stati compiuti progressi significativi grazie alle
conoscenze acquisite in merito alla biologia degli enzimi ciclossigenasi (COX)
che rappresentano il principale bersaglio dell’azione dei FANS. Da ciò sono nati
i nuovi gruppi di FANS cosidetti “innovativi” (inibitori selettivi delle COX - 2),
che rispetto ai FANS “tradizionali, sembrano offrire potenziali vantaggi in
termini di efficacia e/o tollerabilità (soprattutto gastrica) anche se nessuno di
essi può essere considerato come il farmaco “ideale”.
Inoltre, i FANS selettivi, non possono sostituire i FANS tradizionali, ma la loro
introduzione ha ampliato le possibilità di scelta del farmaco più adatto per
ciascun tipo di paziente e di patologia.
I principali effetti terapeutici dei FANS sono: riduzione della febbre, riduzione
del dolore e dell’infiammazione. Queste proprietà derivano dalla capacità di
questi farmaci di inibire gli enzimi COX, che mediano la produzione delle
prostaglandine dall’acido arachidonico (Lees & Coll, 2004 a, b).
Recentemente sono state identificate due distinte isoforme di COX: la COX-1 e
la COX-2, prodotte da geni differenti (Warner & Mitchell, 2004).
Le COX-1 sono presenti in molteplici cellule dell’organismo, comprese le
piastrine, le cellule della mucosa gastro-intestinale, le cellule endoteliali e nel
rene. In questi tessuti, le COX-1 sono associate con l’attività fisiologica
dell’emostasi, come l’aggregazione delle piastrine (attraverso la sintesi di
trombossani A2) e con la secrezione gastrica e il bilancio elettrolitico del rene
(Warner & Mitchell, 2004).
La COX-2 è presente in basse concentrazioni nei monociti, nei macrofagi, nelle
cellule muscolari lisce, nei fibroblasti e nei condrociti, ma anche nei tessuti
come reni, cervello e sistema riproduttivo, giocando un ruolo cruciale nel
funzionamento di questi organi. Questa proteina viene indotta rapidamente da un
danno tissutale, dalle citochine, da fattori di crescita, da infezioni batteriche
presenti nei siti d’infiammazione (attraverso l’interleukina-1) e da neoplasie
16
come risposta ai mitogeni. Questa descrizione può sembrare troppo
semplicistica, dato che entrambe le COX sono note come costitutivamente
espresse e inducibili: ad esempio esiste l’evidenza che sia la COX-1 che la
COX-2 sono espresse nel SNC e in particolare nel midollo spinale, dove sono
coinvolte nel modulare il segnale nocicettivo dovuto a stati dolorosi neuropatici
ed infiammatori (Warner & Mitchell, 2004).
La maggior parte dei FANS agisce attraverso l’inibizione competitiva degli
enzimi COX, così che gli effetti risultino reversibili, una volta che le
concentrazioni plasmatiche del farmaco decrescono.
Fa però eccezione l’acido acetilsalicilico, che oltre all’inibizione competitiva,
blocca in modo irreversibile le COX acetilando un residuo di serina in
prossimità del sito attivo dell’enzima (Castella-Lawson & coll, 2001).
In questo modo per riattivare l’attività ciclossigenasica deve essere sintetizzato
un nuovo enzima; inoltre, le piastrine, non essendo capaci di sintetizzare nuovi
enzimi, sono responsabili del prolungato effetto anticoagulante del farmaco.
Altro esempio particolare è il paracetamolo, il cui meccanismo d’azione deve
essere ancora completamente chiarito, che svolge azioni antipiretiche e
analgesiche grazie all’inibizione delle COX a livello del SNC (Graham & Scott,
2005). È da sottolineare che questo farmaco, come tutti quelli coniugati al
glutatione, risulta estremamente tossico nel gatto, specie carente di questo
enzima.
Con lo sviluppo dei nuovi FANS, sono state identificate delle molecole che
inibiscono selettivamente la COX-2, apportando minimi effetti sulla COX-1
(Warner & Mitchell, 2004). Queste nuove molecole vengono usate nella pratica
clinica, dato che l’effetto terapeutico del farmaco è mediato principalmente
dall’inibizione della COX-2, evitando così gli effetti indesiderati apportati
dall’inibizione della COX-1 (danni renali e gastro – intestinali, inibizione della
funzione piastrinica).
17
Numerosi studi in vitro ed in vivo sono stati effettuati per valutare la selettività
d’inibizione dei vari FANS verso le due isoforme, COX-1 e COX-2.
Normalmente viene utilizzato il rapporto COX-1/COX-2: questo è stabilito
dividendo la concentrazione del farmaco che inibirà la COX-1 di un determinato
valore (normalmente 50%, IC50) con la concentrazione del farmaco che inibirà la
COX-2 della stessa entità.
In base a questo valore i FANS vengono classificati in:
1)Inibitori non selettivi delle COX (ratio=1) se risultano equi-potenti verso la
COX-1 e la COX-2 (IC50 cox-1=IC50 COX-2).
2)Inibitori
preferenziali
o
selettivi
della
COX-1
(ratio
<1
o<<1,
rispettivamente).
3)Inibitori preferenziali o selettivi della COX-2.
Valori elevati rappresentano una selettività verso la COX-2.
Sebbene siano stati condotti pochi studi nelle differenti specie, le prime evidenze
indicano che potrebbero esserci numerose specie – specificità nella selettività
COX-1/COX-2 di alcuni farmaci.
Il (R, S-) carprofene, risulta, ad esempio cox-2 selettivo nei cani (rapporto
COX 6,5) e gatti (5,5), mentre nei cavalli è praticamente non selettivo (1,9) ed
addirittura COX-1 selettivo, nell’uomo (0,02), (Brideau & coll, 2001).
Quindi è necessario effettuare studi farmacodinamici nelle specie in cui il
farmaco deve essere utilizzato, dato che la selettività del farmaco non può essere
estrapolata dai dati provenienti da altre specie.
Purtroppo, mentre in campo umano sono numerosi gli studi sulla selettività
COX, in campo veterinario, esistono pochissimi dati. Inoltre, oltre alla
differenza di specie che di per sé rappresenta un problema, anche il valore del
rapporto COX può variare in vivo rispetto al vitro per il sistema usato per
18
l’analisi e l’estrapolazione del dato che può dipendere da molti altri fattori quali
distribuzioni del farmaco e interazioni farmacodinamiche.
Infine è importante sottolineare che, anche se la COX-2 viene maggiormente
indotta in una determinata specie, può risultare costitutiva in un'altra, quindi per
ciascuna specie dovremmo conoscere la selettività COX e la fisiologia delle
COX nel distretto dove agisce il farmaco.
FARMACOCINETICA
La farmacocinetica dei FANS mostra degli aspetti più o meno comuni a tutte le
molecole, con alcune varietà legate ai singoli composti o più spesso a differenza
specie – specifica.
ASSORBIMENTO
Le formulazioni presenti in commercio sono per uso orale e per uso parenterale
(IM, SC, EV). Questi farmaci trovano un largo impiego nei carnivori domestici
e sono utilizzati soprattutto in caso di una terapia prolungata. In questi animali
l’assorbimento orale è generalmente rapido e completo per la combinazione di
tre fattori: il pKa, la liposolubilità ed il pH acido dello stomaco.
Infatti, i FANS per la maggior parte sono acidi deboli con valori di pKa
compresi tra 3 e 6; nello stomaco, questi farmaci, predominano nella forma
indissociata liposolubile che consente un rapido superamento delle membrane
cellulari della mucosa gastrica ed un lento abbandono dalla cellula al torrente
circolatorio dal momento che il pH intracellulare è leggermente alcalino.
Questo, fa si che ci sia un accumulo intracellulare ed una conseguente inibizione
completa dell’attività ciclossigenasica della cellula stessa. Tale comportamento
giustifica l’azione lesiva che i FANS esercitano sullo stomaco e sulla porzione
prossimale del duodeno. Inoltre, la fisiologia digestiva dei carnivori domestici,
rende questi animali ancora più sensibili all’azione lesiva dei FANS poiché a
livello gastrico il pH è acido e l’assunzione non continua di cibo, fa si che, tra un
pasto e l’altro, vadano incontro a uno svuotamento completo dello stomaco,
19
aumentando il rischio di esposizione diretta al farmaco (Zizzadro & Belloli,
2009).
DISTRIBUZIONE
Nel sangue, i FANS risultano legati alle proteine plasmatiche (>95%) e questo
legame si traduce in un limitato volume di distribuzione, cioè una scarsa
capacità di raggiungere i distretti extra-vasali, che però non costituisce un limite
al raggiungimento di una concentrazione efficace nel sito d’azione dal momento
che in un tessuto infiammato aumenta la permeabilità vasale e ciò permette alle
proteine plasmatiche di passare nei liquidi interstiziali.
Inoltre, in un tessuto infiammato, il pH è debolmente acido favorendo così la
forma indissociata e quindi la sua penetrazione nel focolaio flogistico, dove
viene intrappolato, raggiungendo una concentrazione sufficiente per inibire la
produzione delle prostaglandine.
Un altro problema legato al legame siero-proteico è rappresentato dalle possibili
interazioni con altri farmaci che si legano alle proteine plasmatiche.
La maggior parte dei FANS attraversa liberamente la placenta e la penetrazione
della barriera emato-encefalica è legata alle caratteristiche delle varie molecole.
Ad esempio: il paracetamolo è un farmaco non acido per cui ha uno scarso
legame con le proteine plasmatiche e questa proprietà gli consente una migliore
capacità di penetrare nel SNC.
METABOLISMO
I FANS sono eliminati dall’organismo attraverso processi di metabolismo che si
svolgono principalmente in sede epatica.
A livello epatico, i FANS possono andare incontro a reazioni di fase-1
(ossidazione, riduzione, idrolisi etc.) e/o a reazioni di fase-2 (coniugazione). La
predominanza di una via metabolica rispetto all’altra dipende dal singolo
composto e dalla specie animale.
20
In genere la via metabolica della fase-1 porta a formazioni di metaboliti inattivi.
Tuttavia, in alcuni casi, i metaboliti presentano un’attività farmacologica
residua, che può contribuire all’efficacia terapeutica (il fenilbutazone
metabolizzato diventa ossifenilbutazone: il salicilato, metabolita deacetilato
dell’acido acetilsalicilico, è privo di molti effetti tipici dell’Aspirina®).
In alcuni composti (sulindac e nabumetone), il metabolismo di fase-1 è
indispensabile per poter osservare l’effetto terapeutico, poiché, l’attività
farmacologica risiede principalmente nei metaboliti.
Esiste anche la possibilità che il metabolismo di fase-1 dia luogo a metaboliti
tossici come ad esempio il paracetamolo, la cui ossidazione determina la
formazione di un metabolita ad elevata epatotossicità.
Nella via metabolica di fase-2, nella maggiore parte dei casi, avviene la
coniugazione con l’acido glucuronico (glucuronoconiugazione), catalizzata
dall’enzima glucuronil-transferasi.
Il deficit di attività enzimatica (gatto) spiega alcuni importanti limiti all’impiego
di alcuni FANS (aspirina e paracetamolo) in questa specie animale.
ESCREZIONE
La principale via di eliminazione dei FANS è rappresentata dai reni, e il
passaggio nelle urine consegue ad un trasporto tubulare attivo o di filtrazione
glomerulare.
L’acidità delle urine dei carnivori domestici, favorisce il riassorbimento
tubulare,
rendendo
la
loro
eliminazione
più
lenta;
ne
deriva
che
l’alcalinizzazione delle urine rappresenta un utile metodo per accelerare
l’eliminazione di questi farmaci in caso di sovradosaggio e/o comparsa di effetti
tossici.
Nel cane i farmaci come naproxene, ibuprofene e indometacina, attraverso la
glucurono-coniugazione, vengono eliminati in massima parte per via biliare
21
subendo così il circolo enteroepatico, che spiega la loro lunga emivita in questa
specie animale.
Inoltre, un'altra conseguenza di questo fenomeno è l’esposizione prolungata
della mucosa enterica al farmaco, che spiega la frequente comparsa di ulcere
duodenali piuttosto che gastriche, quando si ha l’assunzione prolungata di questi
farmaci da parte del cane.
USI CLINICI
Per le loro proprietà farmacologiche, i FANS, trovano un largo impiego in tutte
le condizioni morbose.
I FARMACI
PARACETAMOLO
Questa molecola è uno dei farmaci più utilizzati in medicina umana nel trattare
il dolore lieve e stati febbrili, ma talvolta questo farmaco viene utilizzato anche
in altre specie (uso fuori etichetta).
In Italia, viene applicata nei trattamenti degli stati febbrili in suini affetti da
sindrome influenzale (Gabbrocet®).
Gatto
Questa molecola è controindicata per svariate ragioni.
In primo luogo l’indice terapeutico in questa specie è molto basso, già a 60
mg/kg provoca gravi effetti collaterali quali anoressia, vomito, depressione,
metaemoglobina ed anemia dei corpi di Heinz (Savides & Coll, 1984).
In secondo luogo, nei gatti, a dosi terapeutiche, il paracetamolo non mostra una
cinetica di eliminazione lineare, accumulandosi ed evidenziando effetti tossici
con somministrazioni ripetute.
22
Il T ½ nel gatto passa da 0,6 a 4,8 h, dopo dosaggi rispettivamente di 20 e 120
mg/kg (Savides & coll, 1984).
In terzo luogo, grazie alla scarsa capacità di glucuronare il farmaco per
l’eliminazione della molecola, viene sfruttata la via della solfatazione
(detossificate), che una volta saturata, si attiva un metabolismo del citocromo
P450 che produce un metabolita altamente reattivo denominato N-acetil-pbenzochinone-ammina che porta danni ossidativi (Allison & coll, 2000).
La comparsa di metaemoglobina è il sintomo più precoce di tossicità nel gatto,
può verificarsi anche una necrosi centro lobulare a livello epatico. In questa
specie animale il paracetamolo non sarebbe da utilizzare, anche se in letteratura
sono numerosi i casi di somministrazione accidentale o intenzionale del farmaco
(Finco & coll, 1975; Sundlof, 1990; Jones & coll, 1992; Villar & coll, 1998).
Cane
Nel cane per produrre gli stessi effetti tossici mostrati nel gatto sono necessari
dosaggi 5 volte superiori (300 mg/kg) (Savides & coll, 1984). I T ½ rimangono
costanti (1,2 ore) anche con dosaggi superiori a 200 mg/kg grazie ad una
glucuronazione epatica costante del farmaco. Comunque trattamenti prolungati
per 6 settimane (325 mg/die in cani di circa 7 kg) hanno mostrato variazioni
significative nei parametri ematici dei pazienti: metaemoglobinemia al 4,6%,
elevate attività sieriche di alanina transaminasi e fosfatasi alcalina, e
iperbilirubinuria (Harvey & coll, 1976). Ultimamente, in uno studio condotto da
Spiler & coll, (2005), il paracetamolo viene suggerito come farmaco
cardiovascolare per la riduzione di aree infartuate; ulteriori studi saranno
necessari per confermare questa nuova applicazione.
ACIDO ACETILSALICILICO
L’acido acetilsalicilico, largamente conosciuto come “aspirina”, viene
rapidamente idrolizzato per opera dell’esterasi ad acido salicilico, molecola
attiva ma con azione inferiore rispetto al farmaco parentale (Williams & coll,
23
1989). L’aspirina inibisce irreversibilmente le COX attraverso l’acetilazione
covalente di un residuo serinico (Patrono, 1989); per rigenerare le funzioni COX
in molti tessuti, nuovi enzimi devono quindi essere sintetizzati. Le piastrine però
non hanno la possibilità di rigenerare nuovo enzima e la funzione COX rimane
permanentemente inattivata in queste cellule. La clearance di questo farmaco è
regolata dalla coniugazione con glutatione e con glicina, ma esiste anche
un’eliminazione renale di farmaco non modificato (Davids & Westfall, 1972). In
Italia esistono numerose formulazioni per bovini, suini e pollame (Acido
acetilsalicilico 80% Dox-AL®; ASA 50®; Ascopir®; Ganadol®; Salicimix®)
indicato come antipiretico antinfiammatorio analgesico in tutti gli stati flogistici
compresi quelli sostenuti da virus e batteri, processi infiammatori e degenerativi
a carico dell’apparato muscolo scheletrico, forme reumatiche croniche ed acute,
nella terapia sintomatica dell’ipertermia di origine infettiva o di natura non
precisata. I tempi di sospensione sono nulli ma il farmaco non va somministrato
in galline ovaiole in ovodeposizione e in bovine il cui latte è destinato al
consumo alimentare.
Gatto
La farmacocinetica dell’aspirina nei gatti mostra una bassa clearance dell’acido
salicilico (4-5 ml/kg h) ed un prolungato tempo di emivita (22-45 ore) se
paragonato con altre specie (Davis, 1980; Parton & coll, 2000). Da ciò deriva
che la dose terapeutica da somministrare a questa specie è più bassa e gli
intervalli di dosaggio più lunghi che in altre specie animali. Questo farmaco è
stato il FANS più studiato per quanto riguarda la coagulazione ematica nei gatti,
allo scopo di trovare una dose di aspirina che prevenisse le trombosi associate
con cardiomiopatie e parassiti cardiaci (Dirofilaria immitis), senza risultare
tossica. La maggior parte degli studi, sebbene talvolta conflittuali, hanno
mostrato una modesta inibizione dell’aggregazione piastrinica alla dose di 20-25
mg/kg (Lascelles & coll, 2007). Al momento non esistono però studi che
24
valutano l’efficacia e la sicurezza dell’aspirina nel trattamento del dolore, febbre
ed infiammazione nel gatto.
Il dosaggio suggerito di norma in gatti contro dolore e febbre è di 10 mg/kg ogni
due giorni, mentre dosi da 10 a 25 mg/kg ogni 1-2 giorni potrebbero essere usate
contro i fenomeni flogistici avendo sempre cura di controllare la tossicità
gastrointestinale (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Nel cane l’aspirina mostra un volume di distribuzione variabile tra 0,4 e 0,6 l/kg.
La biodisponibilità varia con la casa produttrice altrettanto quanto con la
preparazione ed è compresa in un intervallo tra il 68 ed il 76% (Morton &
Knottenbelt, 1989). La dose necessaria per alleviare clinicamente varie zoppie
del cane sembra variare da 23 a 86 mg/kg due volte al giorno, con
concentrazioni plasmatiche variabili tra 71 e 281 µg/ml (Jezyk, 1983). La
variabilità nell’eliminazione del farmaco nelle varie specie suggerisce che un
monitoraggio del farmaco in corso di terapie prolungate può essere utile per
accertare il raggiungimento delle concentrazioni efficaci ed escludere quelle
tossiche >300µg/ml (Morton & Knottenbelt, 1989). Gli stessi ricercatori hanno
anche dimostrato una correlazione tra concentrazione plasmatica ed effetto
clinico: dopo somministrazioni di 25 mg/kg ogni 8 ore possiamo ipotizzare che
le concentrazioni plasmatiche si conservino efficaci. Anche gli effetti collaterali
a carico dell’apparato GI sembrano dose e preparazione dipendenti. Dosi di 25
mg/kg di aspirina semplice provocano nel cane erosioni della mucosa nel 50%
dei soggetti, mentre si verifica un minimo danno in animali che abbiano ricevuto
la stessa dose sottoforma di preparazioni tamponate o gastro-resistenti (Lipowitz
& coll, 1986).
CARPROFENE
Il carprofene è una miscela racemica degli enantiomeri R (-) e S (+) in rapporto
1:1. L’enantiomero S (+) sembra essere quello con maggiore attività (Lees &
25
coll, 2004b). In Italia è commercializzato come specialità veterinaria per cani e
gatti (Norocarp®; Rimadyl®), indicato nel trattamento dell’infiammazione e del
dolore nelle forme patologiche acute e croniche a carico degli apparati
muscolare e scheletrico (osteoartriti, etc). Può inoltre essere impiegato per la
terapia del dolore post-operatorio grazie alla sua ridotta tossicità renale.
Gatto
Taylor & coll, (1996) hanno suggerito che il carprofene causa una limitata
inibizione COX risolvendo l’aneddoto della sua riconosciuta buona sicurezza e
del susseguente largo uso in medicina veterinaria. Brideau & coll, (2001) hanno
indicato una preferenziale inibizione COX-2 nel sangue di gatto, mentre
Giraudel & coll, (2005) hanno evidenziato che questa selettività si perde con
l’aumentare della dose. Alle posologie consentite in Europa (4 mg/kg) è stata
valutata un’inibizione del 100% della COX-2 e del 44% della COX-1 (Giraudel
& coll, 2005).
Nei paesi dove è approvato come farmaco veterinario (Regno Unito, Francia,
Germania, Olanda, Italia, Belgio, Australia e Nuova Zelanda) questa molecola
viene indicata in casi di dolore post operatorio e somministrata per via
endovenosa e sottocutanea alla dose di 4 mg/kg. Questo farmaco riporta nei gatti
lievi effetti collaterali (comuni a tutti i FANS) ed un’ottima efficacia clinica. Il
carprofene in uno studio condotto su 30 gatti sottoposti ad ovarioisterectomia ha
prodotto una profonda e prolungata analgesia se comparato con la meperidina
(Lascelles & coll, 1995). Altri studi hanno confermato l’ottima analgesia del
carprofene nell’ovarioisterectomia comparandolo a buprenorfina e butorfanolo
(Mollenhoff & coll, 2005; Al-Gizawiy & Rude, 2004). Casi clinici di tossicità
da carprofene sono noti, ma sono generalmente associati a patologie
contemporanee e a somministrazioni prolungate della formulazione orale (Runk
& coll, 1999). Uno studio (Parton & coll, 2000) non ha però mostrato alcun
effetto collaterale a livello GI dopo singola dose di farmaco. Il carprofene non
sembra variare la funzionalità renale dato che i livelli di urea e creatinina non
26
risultano influenzati dalla combinazione di chirurgia, anestesia e posologia
analgesica (Lascelles & coll, 1995). Alcuni autori sottolineano comunque come
la dose che massimizza il margine di sicurezza e si mantiene clinicamente
efficace sia 1-2 mg/kg in dose singola (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Il carprofene è un farmaco di prima scelta in questa specie: si tratta di un
inibitore reversibile e selettivo della COX-2 con un buon profilo tossicologico
nel cane, con un’incidenza piuttosto bassa di effetti indesiderati sul tratto GI.
Nel cane mostra un assorbimento orale >90% con un’emivita di circa otto ore.
Sebbene sia in commercio come racemo, l’isomero S è circa 200 volte più
potente del suo enantiomero R. Uno studio sulla valutazione biofarmaceutica di
differenti formulazioni di carprofene (Schmitt & Guentert, 1990), indica dopo
somministrazione iv (100 mg/cane), un T½ 11,7 ore, un volume di distribuzione
compreso tra 0,12-0,22 l/kg ed una clearance di 0,017 l ora/kg. L’assorbimento
orale si è dimostrato più rapido della formulazione rettale, mentre la
biodisponibilità relativa del farmaco somministrato in supposte è risultata più
bassa del 20% rispetto alla soluzione somministrata per via orale. Dopo
somministrazione orale questo farmaco subisce una circolazione enteroepatica
enantioselettiva soltanto per l’enantiomero S (+) (Priymenko & coll, 1998) ed è
quindi importante la preventiva valutazione della funzionalità epatica e del pH
intestinale del paziente per prevenire importati variazioni nella biodisponibilità.
Clark & coll (2003) hanno dimostrato inoltre che la biodisponibilità della
somministrazione orale e sottocutanea sono uguali.
COXIB
Il termine coxib, spesso usato in letteratura, deve essere associato ad una
specifica classe di composti facente parte di una sottoclasse dei FANS come
riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e non a tutti i composti con
attività blanda sulla COX-1. Ad eccezione del lumiracoxib, tutti i farmaci con il
27
suffisso COXib portano una struttura triciclica ed un gruppo solfone o
solfonamidico; lumiracoxib ha invece una struttura biciclica. Questa struttura
chimica dona all’intera classe alta specificità d’azione, saturabilità e facile
reversibilità di legame. I COXib, come tutti i FANS, inibiscono la COX-2
apportando un blando effetto sulla COX-1. Frequentemente i termini COX-2
selettivo, COX-2 specifico o COX-2 preferenziale sono usati per descrivere
l’azione di alcuni FANS, ma ciò può trarre in confusione senza fornire il
rapporto di inibizione delle COX. In tutto il mondo, numerosi COXib sono stati
introdotti in medicina umana e numerosi altri sono in fase III di
sperimentazione. Questi composti includono 2 metil solfoni (rofecoxib ed
eterocoxib) ed i 2 solfonamidi (celecoxib e il più nuovo, di seconda generazione,
valdecoxib disponibile in forma iniettabile come parecoxib). Il più nuovo della
classe è però il lumiracoxib che rispetto agli altri COXib riporta un più breve
tempo di emivita e un’affinità maggiore per la COX-2.
Sebbene l’introduzione in medicina veterinaria di farmaci con scarsa influenza
sulla COX-1 abbia dato buoni risultati, non sono ancora stati completamente
eliminati gli effetti collaterali. Ultimamente per esempio, una nuova variante di
COX-1 è stata descritta ed è stata chiamata COX-3. Questo isoenzima è stato
isolato dalla corteccia celebrale di cane ed è inibito da paracetamolo, aspirina,
diclofenac ed ibuprofene. La sua sensibilità a questi farmaci potrebbe
parzialmente spiegare l’efficacia di queste molecole nel controllo della febbre e
del dolore. I futuri sviluppi di nuove classi di FANS selettivi sono adesso rivolte
alla COX-3.
CELECOXIB, ROFECOXIB, VALDECOXIB
Queste molecole sono farmaci COX-2 selettivi approvati per l’uso in medicina
umana. Non esistono preparazioni veterinarie commerciabili in Italia per questi
tre
principi
attivi. Il
rofecoxib
è
stato
ultimamente
sospeso
dalla
commercializzazione a causa di un sospetto aumento nel rischio di trombosi
cardiovascolare dopo terapie prolungate. Sebbene non approvati per gli animali,
28
la sicurezza di questi farmaci nell’uomo ha portato all’utilizzo off-label in altre
specie attraverso studi di efficacia e sicurezza in animali da compagnia (Moreau
& coll, 2005). Brideau & coll, (2001) saggiando e comparando la selettività di
numerosi FANS aspecifici e COX-2 selettivi in cani, gatti e cavalli concludono
che questa ultima classe di farmaci potrebbe provocare una più bassa incidenza
di effetti collaterali se confrontata con i classici FANS. Ulteriori studi
sperimentali su efficacia, sicurezza e farmacocinetica nelle singole specie si
rendono però necessari prima di intraprendere trattamenti clinici in specie
veterinarie. Ultimamente il parecoxib (Dynastat®) un profarmaco iniettabile del
valdecoxib ha dato ottimi risultati in medicina umana ed è ad i primi trials in
medicina veterinaria. La farmacodinamica in vivo sembra essere ottimale
(Kongara & coll, 2009), la cinetica è ai primi stadi di studio, e la dinamica ex
vivo ed in vitro deve essere ancora testata.
DERACOXIB
Sebbene non esistano ancora preparazioni farmaceutiche per la medicina
veterinaria in Italia,mentre è commercializzato in USA e Canada come
Deramaax®, il deracoxib è una molecola sulla quale negli ultimi anni sono stati
condotti alcuni studi in animali da compagnia (Cox & coll, 2005; Gassel & coll,
2006; Sennello & Leib, 2006). I dati più interessanti sembrano essere quelle sul
tempo di emivita (8,4 ore) nel gatto, risultato di 3 ore più prolungato rispetto a
quello riscontrato nel cane.
FIROCOXIB
Questo farmaco è stato recentemente approvato in Europa (in Italia Previcox®) e
negli USA per il trattamento del dolore derivante da osteoartriti nel cane (5
mg/kg) e nel cavallo (0,1 mg/kg solo USA).
29
Gatto
Molto scarse sono le informazioni in questa specie, sebbene sembri essere un
inibitore altamente COX-2 selettivo nei felini dopo una dose di 2 mg/kg iv o 3
mg/kg os (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Concentrazioni plasmatiche di firocoxib mantenute a regimi terapeutici sono
capaci di inibire la COX-2 con uno scarso impatto sulla COX-1 (McCann &
coll, 2005). La selettività COX-2 registrata risulta di 350/430 volte rispetto alla
COX-1. In studi clinici il firocoxib è risultato nel cane altamente efficace per il
controllo del dolore e dell’infiammazione associati con osteoartriti (Hanson &
coll, 2006; Pollmeier & coll, 2006; Ryan & coll, 2006). Inoltre lo zoppicamento
in cani con sinoviti sperimentalmente indotte trattati con firocoxib si è rilevato
minore rispetto al gruppo trattato con carprofene (McCann & coll, 2004). Studi
preliminari (28 giorni di trattamento) sulla tossicità GI del farmaco hanno dato
esito negativo; terapie più prolungate potrebbero comunque comportare il
verificarsi di ulcere duodenali (Steagall & coll, 2007). Ulteriori studi su terapie
prolungate con firocoxib non hanno mostrato nessun effetto collaterale a livello
GI, e dei parametri biochimici sierici od ematologici, suggerendo che il
dosaggio di 5 mg/kg per un mese nel cane sembra essere ben tollerato
(Mantovani & coll, 2007).
ROBENACOXIB
COX-2 selettivo (Onsior®) di ultima generazione. Indicato per il trattamento del
dolore e dell'infiammazione associati a chirurgia ortopedica o dei tessuti molli
nei cani e gatti.
Gatto
I dosaggi testati in questa specie attraverso il PK/PD modelling sono variati da
0,1 fino a 10 mg/kg (Giraudel & coll, 2009a). La concentrazione massima e stata
30
rilevata tra 1 e 1,5 ore. Il rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (32)
(Schmid & coll, 2010). La dose clinica è di 1 mg kg con un limite a 2,4 mg/kg.
Cane
Un intervallo di dosaggio da 0,25 a 4 mg/kg ha permesso una riduzione del
dolore e dell’infiammazione primaria e secondaria (Schmid & coll, 2010). Il
rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (19,8) (King & coll, 2010). Dopo
somministrazione SC la Cmax è rilevata ad 1 ora e le concentrazioni
plasmatiche rimangono sopra il limite di determinazione del metodo fino
all’ottava ora (Jung & coll, 2009). La dose clinica varia da 1-2 mg/kg al giorno.
FLUNIXINA MEGLUMINA
Derivato dell’acido nicotinico con forte effetto analgesico, utilizzato per
alleviare dolori altrimenti riducibili soltanto con oppiacei. Particolarmente
indicato nei dolori viscerali acuti associati a sindromi coliche. Viene inoltre
indicato in processi infiammatori in cui esiste una contro indicazione alla terapia
con i corticosteroidi. In Italia sono commercializzate diverse formulazioni iv ed
im specifiche per bovini, equini e suini (Alivios®, Finadyne®, Flogend®,
Flunamine®, Flunifen®, Flunixin®, Meflosyl®, Niglumine®).
Gatto
Questa molecola è ben assorbita dal tratto GI dei gatti e sottostà al fenomeno
della circolazione enteroepatica con conseguente biodisponibilità >100%
(McKellar & coll, 1991; Taylor & coll, 1994). Il tempo di emivita è risultato di
1-1,5 ore (con limite di determinazione di 0,25 µg/ml) e di 6,6 ore (con limite di
determinazione di 0,046 µg/ml). Il tempo di emivita potrebbe essere ridotto
bloccando il ricircolo enteroepatico. In studi sulla tossicità epatica è stato
evidenziato un incremento dell’alanina aminotransferasi (ALT) da 11,4 a 21,3
UI/l, suggerendo una possibile tossicità epatica causata da somministrazioni
croniche (Lascelles & coll, 2007).
31
Cane
Dopo somministrazione iv di 1,1 mg/kg in cani sani, l’emivita del farmaco è
risultata di 3,67 ore, la sua clearance di 0,064 l/h/kg ed il volume di
distribuzione di 0,18 l/kg (Hardie & coll, 1985). La flunixina sembra modulare
lo shock settico nel cane, infatti, dosi di 1,1 mg/kg bloccano la produzione di
prostaglandine I2 mentre dosi di 2,2 mg/kg aumentano il tempo di sopravvivenza
di cani in preda a shock settico (Hardie & coll, 1985). La tossicità, di solito a
carico del tubo GI, limita l’uso di questo farmaco nel cane a 2-3 giorni. Dosi
prolungate o 3-5 volte superiori a quelle consigliate determinano con certezza
disturbi GI (Luna & coll, 2007).
KETOPROFENE
Il ketoprofene è una molecola chirale avente due forme speculari enantiomeriche
R (-) e S (+) con farmacocinetiche diverse. Poiché è un potente inibitore delle
ciclossigenasi, ha forti proprietà antinfiammatorie, analgesiche ed antipiretiche.
Anche se non definitivamente certo l’efficacia ketoprofene è anche attribuita alla
sua abilità di inibire le lipossigenasi e la conseguente formazione di leucotrieni;
sembra anche possedere un’importante azione antagonista sulla bradichinina
(Williams & Upton, 1988). Il farmaco è commercializzato in Italia come
specialità per cani, gatti, equini, suini e bovini in compresse da 5, 10 e 20 mg in
soluzioni intramuscolo o sottocutanee (1 e 10%) (Findol®, Vet-Ketofen®).
Gatto
Utilizzato nel trattamento degli stati infiammatori e dolorosi del gatto con
particolare rilevanza in artriti, traumi lussazioni, distorsioni, ernie del disco ed
edemi. Particolarmente indicato anche nel trattamento degli stati febbrili. In gatti
con piressia 39,3°C il ketoprofene più antibiotici ha mostrato un migliore
recupero che in gatti somministrati solo con antibiotici (Glew & coll, 1996). In
uno studio su gatti ovarioisterectomizzati, la riduzione del dolore si è rilevata
sovrapponibile a quella riscontrata dopo 4-8 ore da trattamento con oppioidi
32
come meperidina e buprenorfina (Slingsby, 1997). Altri studi condotti sempre su
gatti ovarioisterectomizzati, hanno dimostrato invece la maggiore efficacia del
ketoprofene rispetto agli oppiacei (Slingsby & Waterman-Pearson, 1998; 2000).
Due casi di insufficienza renale sono stati riportati nel gatto ma dopo
somministrazioni 15 volte superiori a quelle normalmente utilizzate (Pages,
2005). Da una valutazione critica dei dati presenti in letteratura fino al 2007, i
dosaggi raccomandati sono 1 mg/ml (os o sc) per un massimo di 5 giorni o 2
mg/kg in singola somministrazione (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Rapidamente assorbito nel tratto GI riporta delle cinetiche simili dopo
somministrazione orale od intramuscolare, sebbene il dosaggio im dia una Cmax
più elevata (Schmitt & Guentert, 1990). È stato inoltre evidenziato che la
presenza di cibo nello stomaco non ne influenza la biodisponibilità.
Analogamente ad altri FANS questa molecola si lega per il 99% alle proteine
plasmatiche; bisogna quindi avere cura di prevenire politerapie con farmaci che
possono spiazzare il ketoprofene dalle proteine plasmatiche aumentandone
drasticamente la biodisponibilità. La sua metabolizzazione avviene per via
epatica con trasformazione in metaboliti inattivi e l’eliminazione per via urinaria
sottoforma di coniugato glucuronato. Ultimamente in questa specie è stata anche
riportata una possibile circolazione enteroepatica dovuta a fenomeni di picchi
plasmatici multipli a seguito di somministrazioni sia orali che iv (Granero &
Amidon, 2008). Studi sulla tossicità del ketoprofene in cani riportano che
somministrazioni multiple di dosi ridotte (0,25mg/kg) hanno rilevato danni da
leggeri a moderati sull’apparato GI, mentre non si sono verificati effetti sulle
funzioni renali ed omeostatica (Narita & coll, 2006).
MELOXICAM
Questo principio attivo è largamente biodisponibile dopo somministrazione
sottocutanea in numerose specie animali. La sua attività sembra essere rivolta
33
soprattutto a produrre un’inibizione maggiore della COX-2 rispetto alla COX-1
(Lees & coll, 2004a). In Italia è registrato come specialità per cani, gatti, equini,
bovini e suini (Metacam®) nell’attenuazione dell’infiammazione e del dolore nei
disturbi muscoloscheletrici sia acuti che cronici.
Gatto
La terapia nei gatti con questo farmaco viene di norma adottata come singola,
prevalentemente prima di interventi chirurgici. L’efficacia antipiretica del
meloxicam nel gatto è stata valutata come dose dipendente attraverso uno studio
sperimentale su modelli felini in dosi multiple iv (0,1 - 0,3 - 0,5 per 5 giorni). La
dose iv efficace è stata stimata come 0,3 mg/kg (Justus & Quirke, 1995). In un
altro studio dosi superiori di farmaco (4 mg/kg) sono state somministrate a gatti
anestetizzati, inducendo blandi effetti sulla pressione arteriosa e nessun effetto
sul flusso ematico, velocità cardiaca, tracciato ECG e volume respiratorio
(Engelhardt & coll, 1996). Valutazioni sull’efficacia clinica del meloxicam in
gatti con disordini locomotori dovuti al dolore (dose di attacco 0,3 mg/kg
seguita da 4 giorni a 0,1 mg/kg) hanno mostrato che non esiste una differenza
significativa se confrontati con dosaggi di ketoprofene ad 1 mg/kg per 5 giorni
consecutivi. Entrambi sono stati ben tollerati dagli animali evidenziando bassi
effetti collaterali. Il meloxicam ha mostrato una compliance maggiore grazie alla
sua migliore palatabilità (Lascelles & coll, 2001). Invece studi di confronto con
oppioidi (butorfanolo) hanno mostrato un’efficacia maggiore del FANS rispetto
al derivato oppioide, sebbene gli effetti collaterali si siano dimostrati
apparentemente sovrapponibili (Carroll & coll, 2005). Dato che non esistono
dati sulla tossicità indotta da trattamenti prolungati con meloxicam sarebbe
necessario non somministrare cronicamente questo farmaco. In studi
tossicologici in dose singola le BUN risultano diminuite, mentre le aspartato
aminotransferasi aumentate, lasciando inalterate la creatina e le ALT (Slingsby
& Waterman-Pearson, 2002). Alcuni autori dopo valutazione critica dei dati
presenti in letteratura raccomandano dosi di 0,1-0,2 mg/kg os o sc per il dolore
34
post operatorio seguita da dosaggi giornalieri di 0,05 mg/kg per 1-4 giorni;
ridurre poi la dose a 0,025 mg/kg ogni 24-48 ore e monitorare strettamente
l’animale per eventuali effetti collaterali (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Questo farmaco in cani sani mostra una cinetica molto lunga con concentrazioni
plasmatiche determinabili fino a 70 ore dopo il dosaggio; Tmax 8,5 ore, Cmax
0,82 µg/ml e T1/2 12-13 ore (Montoya & coll, 2004). Studi sull’efficacia del
meloxicam nell’attenuazione del dolore derivante da chirurgia ortopedica
dimostrano che questo farmaco è sicuro ed efficace se somministrato iv in dose
singola (0,2 mg/kg) prima dell’intervento (Deneuche & coll, 2004). Altri studi
attestano che l’efficacia clinica e gli effetti collaterali di singoli dosaggi di
meloxicam (0,2 mg/kg) sono uguali a quelli riscontrati con trattamento di
carprofene (4 mg/kg) (Arculus, 2004).
Recenti studi sulla permeabilità GI e sulla capacità assorbente della mucosa di
cane dimostrano che il meloxicam somministrato a dosi terapeutiche per 7 giorni
non influenza significativamente questi parametri (Craven & coll, 2007).
Viceversa un altro studio in cui viene sviluppato un trattamento fino a 90 giorni
con dosi di 0,1 mg/kg riporta una lieve frequenza di effetti GI, un incremento nel
tempo di sanguinamento e di coagulazione dopo 7 giorni (Luna & coll, 2007).
Un recente studio riporta inoltre reazioni cutanee ed oculari associate a
somministrazioni di meloxicam in un cane (Niza & coll, 2007). E’ quindi buona
norma monitorare strettamente eventuali effetti collaterali in cani con pregresse
patologie cutanee allergiche o cani trattati per alleviare il dolore cronico.
FENILBUTAZONE
Questa sostanza è commercializzata in Italia sottoforma di formulazione iv, im,
gel, granuli, polvere e pasta per cavalli (Bute®, Afibutazone®, Fenilbutazone®).
Indicato in soggetti sportivi per tutti i processi dolorifici ed infiammatori, dovuti
a traumi e accompagnati da tumefazioni. Il prodotto non deve essere
35
somministrato a cavalli allevati a scopo alimentare. In ogni caso i cavalli
sportivi potranno essere destinati all’alimentazione umana dopo 180 giorni
dall’ultima somministrazione.
Gatto
Sebbene non registrato per questa specie, questa molecola è stata utilizzata nei
gatti, ma un’alta incidenza di effetti tossici ne suggerisce un’estrema
precauzione nel suo impiego. Secondo alcuni studi il 100% di gatti trattati con
dose giornaliera di 44 mg/kg diviene anoressico dopo 2-3 giorni e l’80% di essi
muore dopo 2-3 settimane. La tossicità si manifesta primariamente a carico del
midollo osseo ed è caratterizzata da una ridotta produzione di eritroblasti oltre
che da una possibile interferenza sulla maturazione degli elementi della serie
mieloide. Si rilevano anche tossicità GI, epatotossicità e nefrotossicità (Carlisle
& coll, 1968).
Cane
Nonostante l’uso del fenilbutazone sia autorizzato da parte del FDA con
formulazioni orali nel cane, poche sono le informazioni che si hanno su tale uso.
Apparentemente il cane tollera meglio dell’uomo questo farmaco. Il
fenilbutazone riporta un breve tempo di emivita 3-6 ore (Zech & coll, 1993).
Questo farmaco viene spesso utilizzato illegalmente per ridurre i dolori articolari
in cani sportivi (Mills & coll, 1995).
PIROXICAM
Questa molecola è utilizzata in Italia (Flogostil® collirio) in cani e gatti affetti da
stati
infiammatori
oculari,
reazioni
flogistiche
post-traumatiche,
cheratocongiuntiviti di natura allergica o da agenti chimici o fisici e
mantenimento della midriasi intra-operatoria. Negli ultimi anni questo farmaco
viene utilizzato in associazione con antitumorali per la sua possibile azione
antiangiogenetica, apportando una riduzione nei dosaggi dei chemioterapici
(terapia metronomica).
36
Gatto
Il piroxicam è ben assorbito per via orale nel gatto (80%) e sembra essere ben
tollerato alla dose di 0,3 mg/kg. La sua emivita di 13 ore fa presupporre una
singola somministrazione giornaliera e sembra dovuta ad una circolazione
enteroepatica.
Cane
Se somministrato alla dose di 0,3 mg/kg a cani beagle riporta un’emivita di 40
ore, un volume di distribuzione di 0,29 l/kg, ed una clearance di 0,0066 l/ora. La
sua biodisponibilità orale si attesta intorno al 100% con una Cmax di circa 3 ore
(Galbraith & McKellar, 1991). Sebbene la DL50 nel cane sia superiore a 700
mg/kg, in soggetti trattati con 1 mg/kg al giorno possono verificarsi lesioni
gastriche e necrosi delle papille renali; lievi fenomeni di tossicità (GI od
emorragie) possono verificarsi anche a seguito di dosi di 0,3 mg/kg a giorni
alterni (Knapp & coll, 1992).
TEPOXALIN
Molecola classificata come inibitore sia della COX-1 e COX-2 che della 5
lipoosigenasi. E’ indicato in Italia nel cane (Zubrin®) per la riduzione
dell’infiammazione o sollievo del dolore associati a patologie muscolo
scheletriche acute o croniche.
Gatto
Farmaco non approvato per l’uso nel gatto; non esistono informazioni sulla sua
efficacia, sulla sicurezza o tossicità in questa specie (Lascelles & coll, 2007).
Cane
Il tepoxalin viene assorbito rapidamente (Tmax di circa 2 ore) dopo
somministrazione orale nel cane. Alla dose terapeutica di 10 mg/kg, la Cmax di
tepoxalin è 1,08 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto a basso
37
contenuto lipidico, 1,19 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto ad
elevato contenuto lipidico e 0,58 µg/ml a digiuno. L’assorbimento di tepoxalin è
quindi facilitato durante la somministrazione a stomaco pieno (Homer & coll,
2005). Tepoxalin viene in larga parte convertito nel suo metabolita acido potente
inibitore della ciclossigenasi prolungando l’attività del composto immodificato.
Nel cane, le concentrazioni plasmatiche del metabolita acido sono più elevate di
quelle del farmaco immodificato. Non si rileva accumulo di tepoxalin o del suo
metabolita acido dopo somministrazione ripetuta, a diversi dosaggi. Tepoxalin
ed i suoi metaboliti sono fortemente legati alle proteine plasmatiche, in misura
superiore al 98%. Tepoxalin ed i suoi metaboliti sono escreti nelle feci (99%)
(Agnello & coll, 2005). La sua somministrazione in singola dose o per dieci
giorni prima dell’intervento chirurgico non sembra influenzare il tempo richiesto
per indurre l’anestesia nel paziente (Matthews & coll, 2007).
In seguito del trattamento può manifestarsi vomito o diarrea. Occasionalmente
può comparire anche eritema e alopecia, ed i tipici effetti indesiderati associati
ai FANS quali vomito, feci molli/diarrea, sangue nelle feci, ridotto appetito e
letargia. Alla comparsa di tali effetti indesiderati, il trattamento dovrebbe essere
interrotto immediatamente. In rari casi, in particolare in cani anziani o con
ipersensibilità al principio attivo, questi effetti indesiderati possono essere gravi
o fatali. Nel corso di uno studio clinico, l’incidenza di reazioni gastrointestinali
(diarrea/vomito) è stata del 10% (Knight & coll, 1996). Il tepoxalin non deve
essere somministrato in associazione ad altri farmaci antiinfiammatori non
steroidei o corticosteroidi. Altri FANS, diuretici, anticoagulanti o altri farmaci
che possiedono un forte legame con le proteine plasmatiche possono competere
per tale legame, causando effetti potenzialmente tossici. La somministrazione
orale di 30 mg/kg di p.c. ed oltre di tepoxalin (sovradosaggio) è associata a feci
scolorite, di colore variabile da bianco a giallo, risultato del farmaco non
assorbito. Il sovradosaggio da FANS è caratterizzato da: vomito, feci
soffici/diarrea, presenza di sangue nelle feci, riduzione dell’appetito e letargia.
In caso di sovradosaggio sospendere la terapia. Se si sospetta sanguinamento
38
gastrointestinale, somministrare protettori della mucosa gastrica. Se il vomito
continua, somministrare farmaci anti-emetici. Controllare frequentemente
l’ematocrito. Somministrare fluidi per via endovenosa e, se necessario,
trasfondere sangue intero.
ACIDO TOLFENAMICO
L'acido tolfenamico (acido N- (2-metil-3-clorofenil) antranilico) è un farmaco
antinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente al gruppo dei fenamati.
L'acido tolfenamico esercita un'attività antinfiammatoria, analgesica ed
antipiretica. L'attività antinfiammatoria dell'acido tolfenamico è dovuta
principalmente ad un’inibizione della ciclossigenasi e, conseguentemente, ad
una riduzione della sintesi di prostaglandine e trombossani, che sono importanti
mediatori del processo infiammatorio. Viene venduta in Italia come specialità
per cani e gatti e per suini e bovini (Tolfedine®). La possibilità di una sua
eventuale selettività COX-1/COX-2 sembra essere legata alla specie animale.
Gatto
Nel gatto, l'assorbimento dell'acido tolfenamico è molto rapido, sia in seguito
alla somministrazione parenterale che orale. Dopo la somministrazione
parenterale di 4 mg/kg di acido tolfenamico la Cmax di 3,9 µg/ml viene
raggiunta in circa 1ora (Tmax), mentre la somministrazione della stessa dose
singola per os, dà luogo, dopo circa 1 ora (Tmax) dalla somministrazione, a
concentrazione massima pari a 5,6 µg/ml. L’efficacia del farmaco in questa
specie è stata poco studiata: esiste un solo studio in cui l’acido tolfenamico
sembra avere la stessa efficacia di altri FANS quali caprofen, ketoprofen e
meloxicam (Slingsby & Waterman-Pearson, 2000).
Cane
Nel cane, l'acido tolfenamico risulta rapidamente assorbito qualunque sia la via
di somministrazione. Dopo somministrazione di 4 mg/kg di acido tolfenamico
39
per via parenterale (sottocutanea o intramuscolare), la massima concentrazione
plasmatica (Cmax) di circa 4 µg/ml (sc) e 3 µg/ml (im), viene raggiunta in 2 ore,
mentre dopo somministrazione orale unica della stessa dose, la concentrazione
massima plasmatica (Cmax) di 4 µg/ml è raggiunta in circa 1 ora. Quando la
stessa dose di acido tolfenamico viene somministrata durante il pasto, Cmax è
dell'ordine di 2-3 µg/ml. Queste variazioni sono da imputare ad un rilevante
circolo enteroepatico della molecola in oggetto.
VEDAPROFENE
Sostanza attiva nella riduzione dell’infiammazione ed alleviamento del dolore
associati
ad
affezioni
muscolo
scheletriche
ed
a
traumi.
In
Italia
commercializzata come specialità per cani (Quadrisol®).
Gatto
Esiste un solo studio dell’efficacia del vedaprofene in gatti somministrato alla
dose di 0,5 mg/kg a seguito di ovarioisterectomia (Hoorspool & coll, 2001). Gli
autori indicano che i gatti trattati con il farmaco (n=142) hanno riacquistato un
comportamento ed appetito normale più velocemente di quelli trattati con il
placebo
(n=160). L’incidenza
di
effetti
a livello
GI non
è
stata
significativamente differente tra i due gruppi attestandosi sul 5-7%. Non
esistono dati pubblicati riguardo a sicurezza e tossicità del vedaprofene nel gatto
e nessuna dose od intervallo di dosaggio è stato stabilito. in seguito di ciò, l’uso
di questo farmaco non può essere ancora esteso alla razza felina.
Cane
Formulazione
gel
dell’infiammazione
per
e
la
somministrazione
riduzione
del
orale
dolore.
per
il
controllo
Presenta
un’elevata
biodisponibilità orale ed un elevatissimo legame con le proteine plasmatiche
(solo 0,01% sembra rimanere libero) che ne determina una cinetica molto
prolungata con tempo di emivita tra le 12-17 ore (Hoeijmakers & coll, 2005).
40
Studi di somministrazioni ripetute per 14 giorni indicano che non c’è accumulo
di farmaco somministrandolo una volta al giorno alle dosi terapeutiche
(Hoeijmakers & coll, 2005). In un recente studio sulla valutazione del controllo
del dolore nelle laminiti nel cane il vadeprofene sembra avere la stessa efficacia
del firocoxib, ma superiore al carprofene (Hazewinkel & coll, 2008).
41
OPPIOIDI
Gli oppioidi sono dei peptidi naturali, di sintesi o semisintetici che hanno effetti
morfino-simile. I farmaci oppiacei esplicano i loro effetti, legandosi ai recettori
specifici presenti in tutto il sistema nervoso centrale e periferico.
I recettori oppioidi sono parte integrante delle vie nervose discendenti che
modulano la trasmissione dello stimolo dolorifico nel midollo spinale e nel
sistema nervoso centrale (SNC).
La stimolazione di zone specifiche della corteccia, del talamo e del tronco
cerebrale, provoca la liberazione degli oppioidi endogeni nei siti presinaptici del
neurone nocicettivo primario nel midollo spinale. Il legame tra gli oppioidi e i
loro specifici recettori impedisce la liberazione dei neurotrasmettitori eccitatori
(sostanza P e glutammato) dai terminali afferenti presinaptici.
Sono stati identificati dei recettori specifici per gli oppioidi nel cervello, nel
midollo spinale, nelle strutture del sistema nervoso autonomo (SNA), nel plesso
mesenterico del tratto gastro-intestinale, nel rene, nei vasi deferenti, nel
pancreas, negli adipociti, nei linfociti, nel surrene, ecc. A tali recettori si legano
in modo più o meno profondo gli oppioidi endogeni, rappresentati da quattro
famiglie:
Le β-endorfine, le encefaline, le dinorfine e le endomorfine.
Le β-endorfine si trovano in alte concentrazioni nell’ipofisi e nelle regioni
mediali, basale ed arcuata dell’ipotalamo. Le β-endorfine si trovano anche al di
fuori del SNC come ad esempio nell’intestino tenue, nella placenta e nel plasma.
Le encefaline sono largamente distribuite in aree del SNC che ricevono
afferenze nocicettive come l’amigdala, globo pallido, striato, ipotalamo, tronco
encefalico e lamina I, II e V delle corna ventrali del midollo spinale, inoltre, le
42
encefaline sono presenti anche nel sistema nervoso periferico come nei gangli
periferici, nel SNA e nella midollare del surrene.
Le dinorfine sembrerebbero distribuite lungo altre aree del SNC che sono
implicate nella nocicezione: PAG, sistema limbico, talamo e lamina I e V delle
corna ventrali del midollo spinale.
Le endomorfine si trovano negli strati superficiali delle corna dorsali del
midollo spinale, nel nucleo spinale del trigemino, nel nucleo ambiguo, nei nuclei
talamici, nell’ipotalamo, nell’amigdala.
I recettori specifici per gli oppioidi sono: i recettori mu (µ), recettori kappa
(κ), recettori delta (δ), e i recettori sigma (σ), sono stati ipotizzati alcuni
sottotipi recettoriali.
Ai recettori mu, di cui ne sono stati identificati due sottotipi, si legano di
preferenza le β-endorfine, sono numerosi nelle aree dell’elaborazione centrale
nocicettive ne sono stati identificati due sottotipi e sembra che mediano
l’analgesia sopraspinale e spinale, l’euforia, la depressione respiratoria, la miosi,
la bradicardia, l’ipotermia e la dipendenza fisica.
I recettori delta a cui si legano le encefaline, producono: eccitazione,
ipercinesia,
euforia
e
allucinazione,
analgesia
periferica,
depressione
respiratoria, midriasi, mediano e potenziano l’analgesia provocata dagli agonisti
µ che sembra quello implicato nella mediazione del recettore. I recettori kappa
a cui si legano prevalentemente le dinorfine risultano coinvolti nell’analgesia
spinale e sovraspinale, nella miosi, modesto stato di sedazione, disforia, un certo
grado di depressione respiratoria e di effetti stimolanti vasomotori.
I recettori sigma non sembrano essere strettamente correlati con l’analgesia
(Della Rocca, 2009).
I recettori µ e δ si possono trovare sulle stesse cellule, mentre i recettori κ non
possono coesistere con nessun altro recettore.
43
La stimolazione dei recettori µ, κ e δ inibiscono l’attività dell’adenil ciclasi, con
conseguente diminuzione dell’AMPc.
I recettori κ e δ svolgono le loro attività anche con l’aumento della conduttanza
al K+ e la riduzione dell’ingresso di Ca++ nella cellula, azioni responsabili della
loro marcata inibizione sulla trasmissione nervosa, inibiscono la liberazione
presinaptica di neurotrasmettitori.
Gli oppioidi endogeni possiedono una discreta capacità di legame e sono stati
identificati come i ligandi fisiologici di questi recettori.
Gli oppioidi endogeni variano non solo per la loro affinità nei confronti dei
recettori, ma anche per la loro efficacia.
FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI
Grazie alla loro efficacia, buon margine di sicurezza e adattabilità, gli oppioidi
sono i farmaci di prima scelta nella cura del dolore acuto e cronico in molte
specie animali e nell’uomo.
Gli oppioidi di sintesi possono agire come agonisti nei confronti di alcuni tipi
recettoriali e come antagonisti o agonisti parziali nel confronto di altri.
Alcune molecole come il butorfanolo possono essere classificate come agonisteantagoniste riportando un effetto massimale (detto anche effetto tetto o soffitto),
altre come brupenorfina si comportano come agonisti parziali ed altri come
antagonisti, questo comportamento degli oppioidi può giustificare il complicato
quadro farmacologico che deriva dalla loro somministrazione. E pertanto gli
oppioidi possono essere classificati in tre principali classi:
1) agonisti puri: questo gruppo include i farmaci morfino-simili, in grado di
legarsi prevalentemente ai recettori µ, anche se mostrano una certa affinità
anche ai recettori κ e δ.
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I farmaci appartenenti a questo gruppo sono: morfina, meperidina, fentanil,
ossimorfone, etorfina, carfentanil, codeina, e metadone.
2) agonisti parziali e agonisti – antagonisti: a questa categoria appartengono i
farmaci che mostrano azioni miste, cioè comportandosi come agonisti nei
confronti di certi tipi di recettori e come antagonisti nei confronti di altri, oppure
rivelano solo una debole e limitata attività agonista.
I farmaci agonisti – antagonisti come ad esempio la pentazocina, la nalorfina e
la nalbufina agiscono come agonisti nei confronti dei recettori κ e come
antagonisti quando si legano ai recettori µ.
Il butorfanolo si comporta da agonista verso i recettori κ e δ e come antagonista
nei confronti del recettore µ.
La buprenorfina è un agonista parziale nei confronti dei recettori µ, e come
antagonista nei confronti dei recettori κ.
3) Gli antagonisti vengono definiti come quegli oppiacei che occupano il
recettore ma non attivano la trasduzione del segnale, cioè non provocano alcun
effetto, ma in realtà è più coretto considerarli come agonisti molto deboli,
perché possono manifestare effetti a dosaggi altissimi.
Gli oppiacei appartenenti a questa categoria sono: il naloxone, il naltrexone e la
diprenorfina, la cui azione è rivolta soprattutto verso i recettori µ e in maniera
assai limitata verso i recettori δ e κ (Della Rocca 2009).
AZIONE FARMACOLOGICA:
I principali effetti sono rivolti verso il SNC e al tratto gastro – intestinale, anche
se numerosi altri effetti di minore rilievo possono riguardare molti altri organi.
Generalmente la morfina viene considerata come la molecola rappresentativa
poiché gli effetti da essa provocati a carico dei diversi sistemi ed apparati, sono
riprodotti anche dagli altri farmaci del gruppo.
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EFFETTI ANALGESICI
Gli effetti analgesici degli oppioidi possono essere spiegati per la loro
interazione con i recettori oppioidi che sono localizzati su afferenze primarie
posti sui tessuti periferici dolenti, su neuroni nocicettivi del midollo spinale ed a
livello talamico (vie ascendenti), nonché su neuroni del mesencefalo (PAG) e
del bulbo (vie discendenti) tutti implicati nella modulazione del dolore, anche
altri recettori oppioidi sono posti in altre strutture del sistema nervoso possono
essere coinvolti nel modificare la reattività al dolore come nelle strutture
limbiche, nell’ipotalamo, nella corteccia cerebrale, etc...
La loro azione si spiega dall’inibizione della trasmissione degli impulsi
nocicettivi attraverso le corna dorsali del midollo spinale e nella soppressione
dei riflessi nocicettivi spinali, ma anche dall’attivazione di vie inibitorie
discendenti che sfruttano i sistemi di neurotasduzione serotoninici e
noradrenalinici.
L’azione sopraspinale presumibilmente è svolta a livello del sistema limbico,
potrebbe essere il responsabile della riduzione della componente affettiva del
dolore.
EFFETTI SEDATIVI ED ECCITATORI
In tante specie animale, gli oppioidi, causando un’azione depressiva a carico
della corteccia cerebrale, determinando effetti sedativi che all’aumentare della
dose, si traduce in perdita della coscienza (cane, scimmia, uccelli, conigli, etc).
In altri, soprattutto nel gatto e negli animali zootecnici (cavallo, maiale, bovino,
pecora e capra), dopo la somministrazione degli oppioidi, possono comparire
fenomeni di ipereccitazione spesso dose dipendenti.
EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE
La somministrazione degli oppioidi causa variazione della temperatura corporea
a seconda della specie animale:
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Nel coniglio, cane e scimmia causa ipertermia, mentre nel gatto bovino, cavallo
e capra causa ipotermia.
Questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che gli oppioidi stimolano la
liberazione di 5-idrossitriptamina da neuroni serotoninergici dell’ipotalamo, e
quest’ultima stimola i neuroni sensibili al caldo e\o inibisce quelli sensibili al
freddo.
L’attivazione dei neuroni sensibili al caldo stimola la termo-dispersione, mentre
l’inibizione di quelli sensibili al freddo deprime la termoproduzione, entrambe
cooperano a causare l’ipotermia.
EFFETTI SUL SISTEMA RESPIRATORIO
Tutti gli oppioidi, in particolare quelli attivi su i recettori µ e δ, determinano
depressione respiratoria, causata dall’inibizione del centro respiratorio nel bulbo
e nell’encefalo, con conseguente riduzione della frequenza respiratoria e della
risposta alla stimolazione da parte dell’anidride carbonica.
Un sovradosaggio acuto di oppioidi può provocare la morte appunto per la
depressione respiratoria.
EFFETTI SUL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO
Gli effetti a carico del sistema cardiocircolatorio mediati dagli oppioidi, sono
causati sia da un’azione centrale che periferica.
A livello periferico si osserva una vasodilatazione causata dal rilascio
d’istamina, mentre a livello centrale, sembra che gli agonisti dei recettori µ,
esercitano un effetto inibitorio sui centri che regolano l’attività cardiaca, mentre
gli agonisti dei recettori κ mostrano un effetto stimolante sul centro
cardiocircolatorio.
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EFFETTI SUL SISTEMA GASTRO-INTESTINALE
Gli oppioidi aumentano il tono muscolare a livello degli sfinteri e riduce la
motilità di molti tratti gastroenterici, determinando un rallentamento dello
svuotamento gastrico e del transito intestinale, molto evidente a livello del
grosso intestino cui segue un eccessivo assorbimento di liquidi dal materiale
fecale che porta alla formazione di feci compatte difficilmente evacuabili.
EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO
Gli oppioidi svolgono azione antidiuretica stimolando la secrezione di ADH,
con ritenzione urinaria che consegue all’azione inibitoria sulla muscolatura
liscia vescicale.
EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE
Questo effetto è alla base per l’impiego di alcuni oppioidi come farmaci
antitussigeni, anche se la loro azione non è ancora conosciuta.
EFFETTI A LIVELLO OCULARE
La stimolazione dei recettori µ e κ situati a livello del nucleo oculomotore, causa
la costrizione pupillare – miosi, tal effetto si riscontra in tutte le specie animali
che sono sottoposte all’azione sedativa degli oppioidi, mentre nelle specie
animale che gli oppioidi esercitano un’azione eccitatoria è più frequente
riscontrare la dilatazione pupillare – midriasi.
EFFETTI SUL VOMITO
Gli oppioidi agiscono, stimolando il centro del vomito chemoreceptor trigger
zone (CTZ), inducendo il vomito. L’oppioide usato a questo scopo è
l’apomorfina.
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EFFETTI SUL SISTEMA ENDOCRINO
La morfina causa aumento della secrezione di prolattina (PLT) e di ormone
antidiuretico (ADH), mentre diminuisce la secrezione di gonadotropine e ACTH
con conseguente inibizione degli ormoni steroidei gonadici e surrenali.
EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO
Gli oppioidi esercitano effetti immunosoppressivi, con un meccanismo non
ancora del tutto chiarito.
EFFETTI METABOLICI
Gli oppioidi esercitano effetti iper-glicemizzanti, causati dalla mobilizzazione
del glicogeno epatico e tessutale.
TOLLERANZA E DIPENDENZA
La tolleranza agli oppioidi, che si traduce in un aumento della dose necessaria a
produrre un dato effetto, è comune a tutti gli oppioidi e si sviluppa rapidamente
a prescindere dal tipo di recettore implicato dal legame.
La dipendenza dagli oppioidi è un fenomeno di scarsa evenienza negli animali,
poiché raramente sono sottoposti a trattamenti prolungati.
La dipendenza si manifesta con l’improvvisa interruzione del farmaco con la
sindrome da astinenza, alla cui base si è ipotizzato un meccanismo di feed back
che inibisce la sintesi di oppioidi endogeni, quando i recettori sono occupati da
un oppioide esogeno morfino-simile; la sospensione improvvisa può mascherare
la mancanza della sintesi endogena.
FARMACOCINETICA
Gli oppioidi sono ben assorbiti se somministrati per via sottocutanea,
intramuscolare ed endovenosa; alcuni anche per via orale (metadone).
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Hanno un notevole effetto di primo passaggio epatico. Sono fortemente legati
alle proteine plasmatiche e perciò ben distribuiti. Gli oppioidi attraversano la
placenta e passano nel latte.
Vengono metabolizzati a livello epatico, idrossilati e coniugati con l’acido
glucoronico, molti di essi vengono N-demetilati.
L’eliminazione degli oppioidi è attraverso le urine, mentre, la parte non
coniugata viene eliminata con: bile, saliva, lacrime ed il respiro.
CONTROINDICAZIONI
È sconsigliato l’uso degli oppioidi in animali che manifestano le seguenti
alterazioni: uremia \ tossiemia, convulsioni e shock traumatico.
VALUTAZIONE
DELL’EFFICACIA
DEGLI
OPPIOIDI
NEGLI
ANIMALI
Questi farmaci sono ampiamente utilizzati nella pratica clinica nella gestione del
dolore, ma sebbene sembrino efficaci, è molto difficoltoso determinare
scientificamente il dolore nelle specie animali. Non esistono “punteggi” del
dolore validati, e spesso la sua valutazione è basata sulla modificazione del
comportamento. Sono stati usati molti sistemi di punteggio (Robertson, 2005
a,b) ma a causa delle variabilità inter-osservatore e l’uso di differenti sistemi è
difficile paragonare gli studi.
In studi sperimentali, gli oppioidi sono stati valutati usando diversi stimoli
dannosi e misurando i cambiamenti nella soglia allo stimolo doloroso prima e
dopo la somministrazione del farmaco. Sebbene questa sia una misura
antinonocicettiva e questi stimoli non rappresentino il dolore clinico, queste
pratiche sono risultati utili per misurare l’intensità e la durata dell’effetto
prodotto dagli oppioidi e per studiare le differenze cinetiche/dinamiche nelle
diverse vie di somministrazione. I modelli includono stimolazioni termiche
(Dixon & coll, 2002), meccaniche (Dixon & coll, 2007), elettriche (Duke & coll,
50
1994a) e viscerali (Sawyer & Rech, 1987). Un’altra metodica è stata quella di
calcolare la concentrazione minima alveolare (MAC) di un agente anestetico
inalato. Questo è un metodo indiretto che si basa sul fatto che la tecnica
coinvolta nello stimolo doloroso indotto nell’animale anestetizzato provoca una
riduzione nella MAC dopo somministrazione dell’analgesico (Ilkiw & coll,
1997; Ilkiw & coll, 2002; Pypendop & coll, 2006a). La valutazione degli
oppioidi con quest’ultima metodica porta però a dati contrastanti tra cani e gatti
(Ilkiw & coll, 2002).
EFFETTI COLLATERALI
La “credenza” è quella che gli oppioidi causino la così detta “morfino-mania”
soprattutto nella specie felina. Questa paura di provocare eccitazione
nell’animale ha reso riluttanti alcuni medici all’utilizzo degli oppioidi. Alcuni
reports conferiscono, infatti, questo comportamento ma dopo somministrazioni
di dosi estremamente elevate (20 mg/kg) (Joel & Arndts, 1925; Fertziger & coll,
1974). Studi più recenti dimostrano che il comportamento con dosi appropriate
si traduce nel gatto a una lieve euforia con fusa, rotolamento e impastamento
con le zampe anteriori (Robertson & Taylor, 2004). Un’unica eccezione è
segnalata con il butorfanolo che porta a un comportamento disforico (Lascelles
& Robertson, 2004).
Gatto
In alcuni casi dopo somministrazioni di oppioidi, morfina (Clark & Cumby,
1978), meperidina (Booth & Rankin, 1954), alfentanile (Ilkiw & coll, 1997),
idromorfone (Posner & coll, 2007) può verificarsi ipertermia. Gli oppioidi
causano una marcata midriasi in questa specie che può portare i soggetti a
sbattere contro oggetti non visti. E’ consigliato manipolare l’animale con
lentezza ed evitare la luce intensa. Vomito nausea e salivazione sono comuni
con morfina e idrocodone ma rari dopo somministrazioni di butorfanolo,
buprenorfina, meperidina e metadone (Dixon & coll, 2002; Robertson & coll,
51
2003a; Robertson & coll, 2003b). L’incidenza di questi effetti è anche
imputabile alla via di somministrazione; la somministrazione sc di idromorfone,
per esempio, riporta una più alta incidenza che con la via im o iv (Robertson &
coll, 2003b).
Importanti sembrano anche essere gli effetti intestinali: la stasi intestinale
sembra essere dovuta sia al dolore che all’effetto additivo degli oppioidi.
Trattamenti sistemici sembrano essere responsabili di questo effetto e della
perdita dell’appetito (Sparkes & coll, 1996). Preparazioni in cerotti a lento
rilascio sembrerebbero invece non apportare questa sintomatologia.
Cane
A dosi cliniche è stata osservata sedazione, vomito e stasi intestinale. Tutti gli
effetti di sovradosaggi degli oppioidi sono facilmente risolti con il naloxone (la
buprenorfina richiede dosaggi più elevati del naloxone e agisce solo
parzialmente). La morfina può apportare rilascio d’istamina. Bradicardia e
depressione respiratoria potrebbero manifestarsi e per questo che è bene
monitorare i pazienti in cui viene indotta l’anestesia (Wagner, 2002; Perkowski
& Wetmore, 2006)
VIE DI SOMMINISTRAZIONE
ENDOVENOSA, INTRAMUSCOLARE E SOTTOCUTANEA
In ambito ospedaliero sono le tre vie più comunemente utilizzate. Alcuni studi
che paragonano la somministrazione di oppioidi somministrati tramite iniezioni
iv e im, mostrano che la via di somministrazione influenza le variabili
farmacocinetiche (Taylor & coll, 2001).
ORALE
Questa via di somministrazione non ha ricevuto molta attenzione nella pratica
clinica sia per la nota difficoltà di somministrare pillole (soprattutto in gatti),
52
vuoi per l’elevato effetto di primo passaggio che riduce drasticamente le
concentrazioni plasmatiche dei principi attivi.
SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE
Questi sistemi permettono un approccio al dolore interessante grazie alla
minima manipolazione dell’animale e al costante trasporto di farmaco evitando i
picchi plasmatici dovuti a somministrazioni intermittenti in bolo. Nonostante il
loro vasto utilizzo e la promozione delle ditte farmaceutiche, le formulazioni
transdermali sono state supportate scientificamente nel cane negli ultimi anni,
mentre nel gatto esistono ancora pochi studi (Robertson & coll, 2005a).
ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE
A causa dell’uso limitato della via orale per i motivi prima descritti, è stata
studiata la via transmucosale. Alcuni studi indicano che questa via già
largamente utilizzata nell’uomo può essere efficace anche in specie animali
quali cane e gatto, con una biodisponibilità del 100% (buprenorfina) (Robertson
& coll, 2003a; Robertson & coll, 2005b.)
SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE
Numerosi oppioidi, morfina, buprenorfina, fentanil, meperidina, tramadolo e
metadone, vengono somministrati attraverso questa via (Duke & coll, 1994a;
Pypendop & coll, 2006a; Tung & Yaksh, 1982; Golder & coll, 1998; Duke &
coll, 1994b; Jones, 2001; Troncy & coll, 2002; Wetmore & Glowaski, 2000). La
morfina è l’oppioide che ha mostrato in cani e gatti, maggiore intensità e durata
d’azione e riduzione di effetti collaterali (Troncy & coll, 2002).
53
FARMACI
BUTORFANOLO
Specialità medicinale veterinaria commercializzata in Italia approvata per il
cavallo (Dolorex®). Di norma è indicato nel trattamento del dolore associato a
torsione, compressione, colica spastica e timpanica e dolore post-parto.
Gatto
Quest’oppioide è un µ antagonista, che produce analgesia attraverso la sua
azione agonista sul recettore κ. Recentemente la sua efficacia analgesica è stata
rivalutata nei cani e nei gatti (Wagner, 1999). Viene di norma usato nei gatti in
Nord America alle dosi di 0,1-0,4 mg/kg (Dohoo & Dohoo, 1996). Questa
molecola esibisce un effetto massimale oltre il quale non produce più nessuna
analgesia (Lascelles & Robertson, 2004). Il butorfanolo è efficace nel dolore
viscerale ma non in quello somatico (Sawyer & Rech, 1987). Sia le esperienze
cliniche che gli studi sperimentali, indicano che il butorfanolo ha una breve
azione (<90 minuti) (Lascelles & Robertson, 2004; Wagner, 1999; Robertson &
coll, 2003a) e richiede numerose dosi per mantenere la sua efficacia. Dati
recenti stabiliscono che la somministrazione im è la più efficace nei gatti
(Johnson & coll, 2007). Quest’oppioide non viene quindi indicato nei
trattamenti di dolore somatico e viscerale, ma potrebbe essere una buona scelta
nel dolore acuto viscerale, ad esempio associato a cistiti od enteriti.
Cane
La via di somministrazione nel cane alla dose di 0,25 mg/kg non sembra
influenzare la farmacocinetica di quest’oppioide (Pfeffer & coll, 1980). Il tempo
di emivita sì e rilevato di 1,60 ore, la clearance di 3,45 l/kg/ora, ed il volume di
distribuzione di 7,96 l/kg. Quest’oppioide è stato approvato nel 1982 come
antitussivo nel cane dalla FDA. In uno studio sul dolore viscerale indotto è stato
54
dimostrato che l’efficacia analgesica di dosaggi da 0,025 a 0,4 mg/kg iv cresce
con la dose somministrata. Una leggera sedazione è stata osservata a tutte le dosi
esaminate mentre non è stato rilevato nessun effetto collaterale rilevante
(Houghton & coll, 1991). Un altro studio sul dolore viscerale ha evidenziato le
stesse caratteristiche viste in precedenza, ma ha inoltre rivelato che il tempo di
permanenza dell’analgesia varia da 23 a 53 minuti. L’unico effetto collaterale
registrato è un aumento nella frequenza cardiaca alla dose di 0,8 mg/kg iv
(Sawyer & coll, 1991).
BUPRENORFINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia, mentre esistono
preparazioni europe (Vetanalgesic®).
Gatto
La buprenorfina è l’oppioide più utilizzato nella pratica clinica dei piccoli
animali nel Regno Unito (Lascelles & coll, 1999) dove è commercializzata una
preparazione approvata per il gatto, ma è anche estesamente utilizzato nel resto
dell’Europa, Australia e Sud Africa (Watson & coll, 1996; Joubert, 2001). Nei
gatti quest’oppioide è stato studiato dopo somministrazione im, iv e
transmucosale (Robertson & coll, 2003a; Johnson & coll, 2007; Robertson &
coll, 2005; Robertson & coll, 2003b). Dosi im di 0,01 mg/kg provocano una
lenta analgesia con una durata d’azione variabile tra 4 e 12 ore (Robertson &
coll, 2003a). Alla dose di 0,02 mg/kg dopo somministrazione im la soglia
termica è stata incrementata da 35 minuti a 5 ore (Johnson & coll, 2007).
L’assorbimento transmucosale è stato identificato come completo (100%)
(Robertson & coll, 2005b; Robertson & coll, 2003b). Il pH della bocca dei gatti
tra 8 e 9 potrebbe aumentare l’assorbimento e ciò potrebbe spiegare la
differenza di biodisponibilità mostrata dalle altre specie aventi pH orale neutro
(Robertson & coll, 2005b). Nessuna differenza evidenziata nel raggiungimento
(entro 30 minuti), tempo di picco (90 minuti) e durata dell’analgesia (6 ore)
55
quando 0,02 mg/kg di buprenorfina vengono somministrati per via
transmucosale od im in gatti (Robertson & coll, 2003b). In studi clinici la
buprenorfina ha mostrato produrre una migliore analgesia della morfina in gatti
sottoposti a procedure ortopediche (Stanway & coll, 2002), si è dimostrata
migliore all’ossimorfone in casi di sterilizzazione (Dobbins & coll, 2002) ed ha
assicurato efficacia analgesica più prolungata della meperidina (Slingsby &
Waterman-Pearson, 1998). Quest’oppioide ha raramente causato casi di vomito
o disforia, e non è mai stato associato a casi d’ipertermia (Niedfeldt &
Robertson, 2006). In medicina umana esiste un cerotto trasdermico per il rilascio
della buprenorfina; una volta testato nel gatto, le concentrazioni plasmatiche dei
soggetti si sono rilevate alquanto variabili e nessuna analgesia è stata dimostrata
dopo un trattamento di 4 giorni (Murrell & coll, 2007).
Cane
Quest’oppioide è uno dei pochi oppioidi registrati per l’uso veterinario (cane) in
UK. Esso è un parziale agonista µ e per questo il suo uso è meno controllato
dalla legislazione inglese rispetto agli agonisti puri come la petidina. Questa
molecola è una delle più utilizzate nella pratica clinica analgesica nel Regno
Unito (Capner & coll, 1999). Questo farmaco viene impiegato per
premeditazioni anestetiche o sedazioni in associazione a farmaci sedativi come
l’acepromazina: potenzia l’effetto sedativo (Taylor & Herrtage, 1986) ed
aumenta quello anestetico (Heard & coll, 1986; Webb & O’Brien 1988). Il suo
uso è anche apprezzato nel dolore postoperatorio o per provocare analgesia
efficace dalle 6 alle 12 ore (Brodbelt & coll, 1997; Smith & Kwang-An Yu,
2001). Dato che è un agonista parziale ed ha un effetto “tetto”, non è indicato
nel dolore severo: infatti, in cani dopo toracotomia, la bupivacaina
somministrata per via intrapleurica (1,5 mg/kg) ha fornito una migliore
analgesia della buprenorfina (10 µg/kg) (Conzemius & coll, 1994). Si è inoltre
dimostrato un farmaco di prima scelta nel dolore post operatorio, grazie alla sua
56
lunga durata d’azione e ai suoi scarsi effetti collaterali (Garrett & Chandran,
1990).
FENTANILE
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
Il fentanile un potente agonista puro µ ad azione breve, è somministrato
clinicamente a velocità d’infusione costante (Lamont, 2002), sebbene non
esistano dati sul suo profilo farmacocinetico dopo questa via di dosaggio nel
gatto. In uno studio specifico sui gatti, dopo somministrazione iv di 10 mg/kg
l’analgesia è comparsa velocemente (< 5 minuti) ed è scomparsa dopo 110
minuti senza presentare fenomeni di salivazione, eccitamento e vomito
(Robertson & coll, 2005b). In questo studio è stata dimostrata la stretta
correlazione tra le concentrazioni plasmatiche del farmaco e l’effetto analgesico,
concludendo che concentrazioni > di 1,07 ng/ml provocano un’analgesia
efficace. Questi dati sono molto simili a quelli riportati per il cane (Robinson &
coll, 1999) e per l’uomo (Gourlay & coll, 1988). Questa concentrazione
potrebbe essere il punto di partenza per formulare una più razionale infusione a
velocità costante e raggiungere validati protocolli d’infusione nel gatto.
Cerotti transdermici al fentanile sono stati usati nel dolore postoperatorio nei
gatti (Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000; Glerum & coll, 2001). La
concentrazione plasmatica di fentanile si è dimostrata variabile tra i soggetti
(Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000) e in uno studio su 6 gatti la
concentrazione non ha mai raggiunto 1 ng/ml (Lee & coll, 2000). I fattori che
possono influenzare le concentrazioni plasmatiche sono la taglia del cerotto
comparato al peso del gatto, la permeabilità della pelle e la temperatura
corporea. In pazienti critici, l’ipotermia, l’ipovolemia e la diminuita perfusione
capillare possono diminuire l’assorbimento. In gatti normotermici si sono
rilevati livelli plasmatici maggiori (1,83 ng/ml) paragonati a gatti ipotermici
57
(0,59 ng/ml) (Pettifer & Hosgood, 2003). L’uso di farmaci in formulazioni
trasdermiche è divenuto molto popolare in medicina veterinaria, sebbene
manchino studi scientifici mirati (Marks & Taboada, 2003). Il fentanile in
formulazione di organogel non è stato assorbito attraverso la pelle rasata del
collo dei gatti alla dose di 30 mg/kg, quindi queste formulazioni non possono
essere raccomandate (Robertson & coll, 2005a).
Cane
Nel cane il fentanile presenta una rapida eliminazione e per mantenere
concentrazioni plasmatiche efficaci è di norma richiesta un’infusione lenta: 0,30,7 µg/kg/minuto sembrano le dosi efficaci, ma uno studio recente mostra che
anche dosi più basse (0,15 µg/kg/minuto dopo un bolo di 10 µg/kg) possono
apportare concentrazioni plasmatiche risultate efficaci in altre specie (Sano &
coll, 2006). Negli ultimi anni hanno preso piede i cerotti transdermici che hanno
dimostrato una buona efficacia (Kyles & coll, 1996), sebbene si sia rilevata una
durata dell’effetto analgesico più breve che non nell’uomo. In cani sottoposti a
ovarioisterectomia (Kyles & coll, 1998) l’efficacia analgesica apportata da
cerotti di fentanile è stata la stessa di quella prodotta dall’ossimorfone, ma
apportando una minore sedazione. In altri casi in cui venivano reclutati cani
sottoposti ad interventi chirurgici maggiori (Robinson & coll, 1999) i cerotti di
fentanile si sono mostrati efficaci come la morfina somministrata per via
epidurale.
IDROMORFONE
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
L’idromorfone è divenuto molto popolare in medicina veterinaria grazie alla sua
economicità e viene indicato in questa specie in dosi di utilizzo tra 0,05-0,2
mg/kg (Pettifer & Dyson, 2000). La relazione tra dose e risposta analgesica è
58
stata studiata nei gatti dopo dosaggio iv: a dosi tra 0,025 e 0,05 mg/kg c’è una
leggera analgesia di breve durata (Wegner & Robertson, 2007), a dosi di 0,1
mg/kg c’è un significativo incremento nell’analgesia fino a 7 ore (Wegner &
Robertson, 2007; Wegner & coll, 2004). La via di somministrazione ha un
considerevole effetto sulla qualità e durata dell’analgesia e degli effetti
indesiderati. La via iv sembra quella che a parità di dose produce analgesia di
maggiore intensità e durata e minori effetti avversi (Robertson & coll, 2003b).
L’incidenza di ipertermia nei gatti (Niedfeldt & Robertson, 2006; Posner & coll,
2007) ha limitato l’uso di questo farmaco in medicina veterinaria.
Cane
Anche nel cane questo farmaco
è risultato una buona
alternativa
all’ossimorfone, apportando una valida analgesia durante e dopo l’intervento
chirurgico (Pettifer & Dyson, 2000), una buona sedazione (Smith & coll, 2001)
e grazie alla sua economicità ed efficacia. La durata d’azione dell’idromorfone
somministrato iv alla dose di 0,1 mg/kg e stata ipotizzata superiore alle 5 ore
(Machado & coll, 2006). In un recente studio dosi terapeutiche di idromorfone
(0,1 e 0,2 mg/kg) sono state somministrate a cani sani consci e paragonate con
quelle di morfina (0,5 e 1,0 mg/kg): tutti i cani trattati hanno manifestato profusa
salivazione, 4 su 5 neuroeccitazione, e nessuno vomito o defecazione.
L’idromorfone ha rivelato rispetto alla morfina minimi rilasci di istamina
responsabile della vasodilatazione ed ipotensione (Guedes & coll, 2007). Il suo
utilizzo può essere combinato con quello dell’acepromazina (0,02-0,05 mg/kg)
per l’uso in giovani soggetti. Questa combinazione apporta un’eccellente
sedazione e controllo chimico (Pettifer & Dyson, 2000). In pazienti critici che
non tollerano depressione cardiovascolare si può utilizzare l’associazione
idromorfone (0,05-0,2 mg/kg iv somministrato lentamente) e diazepam (0,02
mg/kg iv) è importante fare attenzione a non miscelare i due farmaci nella stessa
siringa perché può avvenirne la precipitazione. Un recente studio ha dimostrato
come l’incapsulazione di idromorfone in liposomi riesce a prolungare, dopo
59
somministrazione sc, le concentrazioni plasmatiche efficaci (> 4,0 ng/ml, basata
su dati umani) fino a 96 ore, suggerendo un utilizzo di questa nuova
formulazione nelle analgesie di lunga durata nel cane (Kukanich & coll, 2007).
MEPERIDINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
La meperidina viene somministrata soltanto attraverso la via im o sc per
fenomeni eccitativi riscontrati dopo somministrazione iv. In studi clinici (3,3-10
mg/kg im) il farmaco sembra essere efficace, con una rapida comparsa
dell’analgesia, ma una breve durata d’azione (Balmer & coll, 1998, Lascelles &
coll, 1995). Altri studi suggeriscono che alla dose di 5 mg/kg la sua durata
d’azione sia inferiore ad 1 ora (Dixon & coll, 2002).
Cane
Questo oppioide viene utilizzato nel cane per via im per la medicazione
preanestetica a dosi variabili tra 2,5 e 6,5 mg/kg (Soma, 1971). La dose
preanalgesica raccomandata per il cane è 5-10 mg/kg per via im. L’analgesia
dura circa 45 minuti. La via sottocutanea è sconsigliata perché dolorosa e quella
iv deve essere praticata lentamente per evitare il collasso cardiovascolare. La
meperidina viene assorbita velocemente dopo somministrazione orale, ma viene
velocemente inattivata dall’effetto di primo passaggio epatico: piccole quantità
si possono ritrovare immodificate nelle urine, mentre a dosi più elevate subisce
demetilazione. Il metabolita che si forma è caratterizzato da un’azione
analgesica minore ma un’attività convulsivante maggiore (Ritschel & coll,
1987.)
METADONE
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
60
Gatto
Il metadone è un agonista oppioide sintetico ma ha anche una considerevole
attività come antagonista deI recettori glutammato N-Metil-D-Aspartato
(NMDA). Viene estensivamente utilizzato con buon successo nell’uomo nella
cura da dolore derivante da tumori, e sindromi dolorose difficili come il dolore
neuropatico (Bruera & Sweeney, 2002; Colvin & coll, 2006). Questo farmaco è
ideale per la terapia “a casa” dato che riporta una buona biodisponibilità orale e
un lungo tempo di emivita. Nel gatto la farmacocinetica di questo oppioide non
è stata ancora valutata. Il metadone è stato studiato in gatti come racemato
(Steagall & coll, 2006) e comparato con il levometadone in casi clinici di dolore
postoperatorio (Rohrer Bley & coll, 2004; Mollenhoff & coll, 2005). Il racemato
se somministrato alla dose di 0,2 mg/kg sc incrementa la soglia termica a 1-3 ore
e la soglia meccanica a 45-60 minuti dopo la somministrazione (Steagall & coll,
2006). Altri dosaggi e vie di somministrazione non sono stati studiati usando
questo modello. Il metadone racemato (0,6 mg/kg im) ed il levometadone (0,3
mg/kg im) somministrati prima di interventi chirurgici apportarono un’efficace
analgesia valutata sulla base del comportamento e sulla palpazione del taglio
chirurgico in gatti dopo ovarioisterectomia senza mostrare effetti collaterali
respiratori o cardiovascolari (Rohrer Bley & coll, 2004).
Cane
Nei cani il profilo farmacocinetico del metadone è molto diverso da quello
dell’uomo riportando una scarsa biodisponibilità orale, una rapida clearance ed
un breve tempo di emivita (Colvin & coll, 2006). In medicina veterinaria il
metadone è consigliato per la medicazione preanestetica, specialmente quando
sono usati i barbiturici (Cronheim & Ehrlich, 1950). La combinazione
dell’azione analgesica dell’oppioide (1,1 mg/kg sc) con l’effetto ipnotico del
barbiturico consente una soddisfacente anestesia chirurgica con una minima
tossicità. Per indurre analgesia il metadone può essere somministrato per via sc
o im in un intervallo compreso tra 1,1 e 5,5 mg/kg. Le dosi letali 50 nel cane
61
sono state riportate 75 mg/kg os, 50 mg/kg sc e 26 mg/kg iv (Wolven & Archer,
1976).
MORFINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
La morfina è stata largamente utilizzata nei gatti ed i dosaggi di 0,1-0,2 mg/kg
sono ormai riconosciuti efficaci e non causare effetti collaterali (Lascelles &
Waterman, 1997). Sia in studi clinici (Lascelles & Waterman, 1997) che
sperimentali (Robertson & coll, 2003) il raggiungimento dell’azione è lento. La
morfina sembra essere meno attiva nel gatto rispetto al cane: questo sembra
legato alla limitata produzione del suo metabolita principale la morfina 6glucuronide (Taylor & coll, 2001) che contribuisce all’azione analgesica della
molecola parentale nell’uomo (Murthy & coll, 2002). Questo metabolita è stato
trovato solo in 3 di 6 gatti trattati per via endovenosa e non è stato rilevato dopo
dosaggio im (Taylor & coll, 2001). Ciò potrebbe giustificare il fatto che nel
gatto sono richieste dosi più alte di morfina visto lo scarso supporto
nell’analgesia del metabolita.
Cane
La morfina è importante per le pratiche chirurgiche nel cane in quanto allevia il
dolore, facilita la manipolazione del soggetto durante l’anestesia locale e
consente di ridurre la dose di anestetico necessaria a produrre l’anestesia
chirurgica. L’effetto massimale si ha dopo 30-45 minuti dall’iniezione sc,
mentre l’effetto analgesico può perdurare per più di 2 ore. Le dosi sc
raccomandate per la medicazione preanestetica variano da 0,1 a 2 mg/kg. Nel
cane, a scopo di induzione dell’anestesia si raccomanda una dose di 0,25 mg/kg
sc (Garrett & Gürkan, 1978; Hug & coll, 1981). Contemporaneamente alla
morfina si somministra anche atropina per controllare gli effetti parasimpatici
(scialorrea e ipersecrezioni bronchiali). Da utilizzare con cautela per
62
l’esecuzione del parto cesareo nel cane poiché provoca depressione della
funzione respiratoria nel feto (Priano & Vatner, 1981). Ultimamente è stata
anche proposta una formulazione in granuli a rilascio modificato che ha
mostrato un’ottima biodisponibilità e la possibilità di ottenere un’efficacia e
duratura analgesia se somministrata una volta al giorno (Nakamura & coll,
2007).
NALBUFINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
Questo oppioide è considerato come un agonista-antagonista e sebbene sia stato
largamente utilizzato in passato, oggi non è quasi più applicato nella pratica
clinica felina. Usando stimoli elettrici per provocare lo stimolo doloroso, dosi da
0,75 a 1,5 mg/kg iv non si sono dimostrate efficaci nel gatto (Sawyer& Rech,
1987); nel dolore viscerale, invece, dosi di 3,0 mg/kg iv si sono dimostrate
efficaci con una durata di circa 3 ore, più corta di quella provocata dal
butorfanolo un altro agonista antagonista (Sawyer & Rech, 1987).
Cane
Clinicamente la nalbufina sembra produrre analgesia in cani alle dosi di 10
mg/kg, ma non così profonda come con gli oppioidi agonisti puri. Clinicamente
non produce un’evidente sedazione e se somministrata per via endovenosa non
produce eccitazione degli animali (Lester & coll, 2003). E’ estremamente utile
ed economica se somministrata come antagonista per gli agonisti oppioidi alla
dose di 0,1-0,2 mg/kg iv o im (Mills & coll, 1990). Nel cane presenta un lungo
tempo di emivita di 7-8 ore. Se somministrata per via orale viene velocemente
metabolizzata tramite effetto di primo passaggio, ma anche la somministrazione
rettale ha una scarsa biodisponibilità (Aungst & coll, 1985).
63
OSSIMORFONE
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
Gatto
Oppioide largamente utilizzato per molti anni negli USA (Dobbins & coll, 2002;
Teppema & coll, 2003). Uno studio riporta che nel dolore viscerale indotto, la
combinazione ossimorfone-butorfanolo produce un’analgesia maggiore che
quella prodotta dai singoli farmaci, e viene ulteriormente aumentata
dall’aggiunta
di
acepromazina
(Briggs
&
coll,
1998).
Clinicamente
l’ossimorfone non sembra essere associato ad effetti avversi quali ipertermia,
vomito, nausea od effetti comportamentali.
Cane
Quando usato da solo l’ossimorfone è poco efficace come preanestetico data la
lentezza con cui compaiono i suoi effetti depressati (Palminteri, 1963). Molto
efficace invece nell’uso combinato con barbiturici. Bisogna usare cautela a non
miscelare i due farmaci nella stessa siringa per prevenirne la precipitazione.
Le dosi iv, im o sc di ossimorfone approvate dalla FDA per il cane vanno da
0,75 a 4,0 mg in range di peso corporeo compreso tra 1 e 50 kg (Heidrich &
Kent, 1985). Per alleviare i dolori postoperatori le dosi consigliate nel cane sono
di 0,1 mg/kg ogni 24 ore.
TRAMADOLO
Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani (Altadol®). Utilizzato
in terapia sintomatica degli stati dolorosi acuti e cronici di diverso tipo (ad es.
stati dolorosi indotti da interventi diagnostici e chirurgici).
Gatto
Sebbene non sia classificato come un vero oppioide esercita un debole effetto
sul recettore µ, ma interagisce anche con le vie monoaminergiche spinali di
64
inibizione del dolore. Quando usato nei gatti il tramadolo può mostrare effetti
quali euforia, pupille dilatate, e sedazione. L’azione oppioide del tramadolo nel
gatto può essere più pronunciata che in altre specie: in gatti anestetizzati il
naloxone ha risolto immediatamente l’inibizione respiratoria e prevenuta più del
50% delle depressioni respiratorie a seguito di somministrazioni di 4 mg/kg iv di
tramadolo (Teppema & coll, 2003). Non esistono dati farmacocinetici nel gatto e
sono richiesti studi specie specifici visto che il metabolismo e la cinetica
plasmatica nei cani è estremamente differente da quella nell’uomo (KuKanich &
Papich, 2004). In uno studio pilota su gatti somministrati con 1 mg/kg sc di
farmaco, il tramadolo non ha prodotto nessun effetto antinocicettivo (Steagall,
2005). Una dose di 1-2-mg/kg è stata suggerita per l’uso clinico nei gatti ma non
esistono ne studi sperimentali né reports clinici (Cagnardi & coll, 2010). Un
recente studio (Pypendop & Ilkiw, 2008), sottolinea come la farmacocinetica del
tramadolo nei felini rispecchi più quella accertata nell’uomo che non nel cane.
Questa mostra un’alta biodisponibilità della formulazione orale (93%)
un’emivita di 3,4 ore e un buon volume di distribuzione, suggerendo un’alta
affinità tissutale. Inoltre la formazione del metabolita principale Odesmetiltramadolo (M1) responsabile dell’azione analgesica sembra essere
cospicua.
Cane
Il suo metabolismo è stato studiato in differenti specie animali fra cui ratti, topi,
criceti, cavie, conigli e cani; i metaboliti prodotti risultano essere sempre i
medesimi ma con variazioni del livello quantitativo (Lintz & coll, 1981) di cui i
principali sono: O-desmetiltramadolo (M1), N-desmetiltramadolo (M2); N, Ndidesmetiltramadolo (M3); N, N, O-tridesmetiltramadolo (M4); N, Odidesmetiltramadolo (M5). La loro formazione è dovuta ad isoforme di
citocromo P450, tra cui il CYP2D6 che risulta coinvolto nel processo di Odemetilazione, e il CYP2B6 e CYP3A4 che sono responsabili nel processo di
demetilazione a livello del gruppo amminico (Subrahmanyam & coll, 2001).
65
Alcuni di questi metaboliti risultano avere attività analgesica anche se con
differente potenza, per cui la risposta farmacologica del T dipende strettamente
dal suo metabolismo. Infatti, fra questi, quello che ha mostrato avere un’elevata
attività farmacologia, risulta essere l’M1 che è 200-300 volte più attivo del
tramadolo sul recettore µ (Raffa & coll, 1992). Anche M5, sebbene in maniera
minore, presenta attività sul recettore µ, ma essendo polare non riesce ad
attraversare la barriera emato-encefalica (Kogel & coll, 1999). Studi di
farmacocinetica nel cane mostrano che dopo somministrazione di compresse a
rilascio immediato la formazione del metabolita M1 e scarse e ciò potrebbe
comportare una perdita nell’efficacia analgesica (Kukanich & Papich, 2004).
Inoltre dato che per mantenere le concentrazioni plasmatiche a livelli terapeutici,
sono necessarie dalla 4 alle 6 somministrazioni al giorno, sono state testate
compresse a rilascio modificato (Giorgi & coll, 2009 a). Queste hanno rilevato
la presenza di M1 solamente in 1 cane su 6, mentre alte concentrazioni di M5 ed
M2. Anche le concentrazioni di tramadolo sono risultate estremamente basse.
Sebbene alcuni casi di convulsioni siano stati segnalati dopo somministrazione
endovenosa di tramadolo, un recente studio ha dimostrato che nel cane,
l’alterazione elettrolitica prodotta dal farmaco a carico del sodio e del fosforo
non sembra poter essere la ragione primaria delle convulsioni e che i casi
evidenziati sono da associarsi a cause di altra natura (Mohit Mafi & Rafigh,
2007). Somministrazione rettale (Giorgi & coll, 2009 b) e orale di compresse
(Giorgi & coll, 2009 c ) danno minime concentrazioni di M1 e basse
biodisponibilità di farmaco parentale. Una associazione tra succo di pompelmo
(bloccante del CYP 3A) e tramadolo orale è stata recentemente testata (Giorgi &
coll, 2010). Il lieve aumento della biodisponibilità non ha portato però ad un
effettivo beneficio clinico.
66
ALFA 2 AGONISTI
Gli alfa-2 agonisti, sono ampiamente utilizzati nel cane e nel gatto (ed in altre
specie animali) per i loro effetti sedativi, analgesici e di risparmio degli
anestetici (Tranquilli & Benson, 1992). Gli agenti di questa classe, tuttavia, sono
dotati anche di molti altri effetti fisiologici. In origine si riteneva che i recettori
alfa-2 fossero distribuiti soltanto a livello presinaptico, agendo come
meccanismo di feedback negativo per la regolazione del rilascio di
noradrenalina da parte dei neuroni noradrenergici. Oggi è noto che esistono dei
recettori alfa-2 post-sinaptici in vari tessuti, dove esercitano molti degli effetti
degli alfa-2 agonisti. Gli alfa-2 agonisti comunemente utilizzati nel cane e nel
gatto sono rappresentati da (dex)medetomidina, xilazina e romifidina
(Paddleford & Harvey, 1999). Differiscono fra loro per quanto riguarda la
selettività per i recettori alfa-2 (dexmedetomidina > medetomidina >>>
romifidina xilazina), la farmacocinetica e, naturalmente, la struttura chimica. La
medetomidina e la romifidina sono imidazoline, mentre la xilazina no. Alcuni
degli effetti della medetomidina e della romifidina sono probabilmente mediati
dall’imidazolina piuttosto che dai recettori alfa-2 (Vainio, 1989).
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Nell’encefalo, gli alfa-2 agonisti inibiscono il rilascio di noradrenalina. Il locus
ceruleus è particolarmente ricco di alfa-2 recettori ed è coinvolto nella
regolazione del sonno e della veglia. Si ritiene che l’effetto sedativo/ipnotico
degli alfa-2 agonisti sia mediato a questo livello. Questi agenti inoltre
diminuiscono l’ansia, sebbene, a dosi elevate, la xilazina possa anche causarla,
grazie ad un effetto sui recettori alfa-1. Gli alfa-2 agonisti riducono il
fabbisogno di farmaci anestetici, anche fino all’80% nel cane ed al 100% nel
ratto (Taylor, 1999). Nel gatto, nell’unico studio disponibile, è riferita che una
riduzione del 27% della concentrazione alveolare minima dell’alotano sia
67
mediata dalla riduzione del rilascio di noradrenalina, principalmente da parte del
locus ceruleus. Tuttavia, poiché la MAC è ridotta nella misura massima del 40%
quando la trasmissione noradrenergica viene totalmente abolita, è probabile che
siano coinvolti altri meccanismi. Gli alfa-2 agonisti causano analgesia. Questo
effetto è mediato dai recettori del corno dorsale del midollo spinale e del tronco
encefalico. Inoltre, possono potenziare l’analgesia indotta dagli oppiacei e dalla
ketamina (Taylor, 1999). Quando vengono somministrati per via subaracnoidea,
gli alfa-2 agonisti ed il midazolam, come la neostigmina, la lidocaina o gli
antagonisti del NMDA producono una antinocicezione sinergica. La xilazina
può avere degli effetti analgesici aggiuntivi, dovuti alla sua interazione con i
recettori alfa-1. Tuttavia, clinicamente, l’analgesia mediata dalla medetomidina
è più profonda e dura di più di quella indotta dalla xilazina. Gli alfa-2 agonisti
inducono ipotermia, per inibizione dei meccanismi noradrenergici centrali
responsabili del controllo della temperatura corporea e per diminuzione
dell’attività muscolare.
SISTEMA CARDIOVASCOLARE
Gli alfa-2 agonisti, quando vengono somministrati per via endovenosa, inducono
una risposta cardiovascolare bifasica. Inizialmente, la pressione sanguigna
aumenta, a causa di un incremento della resistenza vascolare sistemica. Poi
diminuisce, per effetto di un calo della frequenza e della gittata cardiaca. La
resistenza vascolare sistemica rimane elevata o ritorna progressivamente alla
normalità, a seconda del farmaco e della dose impiegati. Quindi, la pressione
sanguigna viene mantenuta entro limiti normali o portata al di sotto della norma.
Possono essere presenti delle bradiaritmie (Golden & coll, 1998). Gli effetti
cardiovascolari degli alfa-2 agonisti sembrano essere dose-dipendenti, benché
possa esistere un effetto tetto. L’aumento della resistenza vascolare sistemica è
dovuto alla vasocostrizione in risposta alla stimolazione dei recettori alfa-2 sulla
muscolatura liscia dei vasi. Il calo della gittata cardiaca è correlato all’effetto
bradicardico. La bradicardia è inizialmente dovuta ad un riflesso dei barocettori
68
e poi alla simpatolisi centrale. Poiché la riduzione della gittata cardiaca sembra
essere principalmente correlata alla bradicardia, è stata suggerita la
combinazione con anticolinergici. Tuttavia, l’impiego concomitante di questi
ultimi e degli alfa-2 agonisti provoca ipertensione, ed effetti indesiderati sulla
funzione cardiaca (Golden & coll, 1998). Di conseguenza, non viene consigliata.
Gli alfa-2 agonisti inducono una re-distribuzione del flusso ematico. Quello
diretto agli organi più vitali (ad es. cuore, encefalo, rene) possono essere
parzialmente o totalmente preservati a spese della scarsa perfusione degli organi
meno vitali (cute, muscolo, intestino, ecc…). Storicamente, gli alfa-2 agonisti
sono stati segnalati come causa di aritmie. Tuttavia, è stato dimostrato che la
dexmedetomidina aumenta la soglia delle aritmie indotte dall’adrenalina
attraverso un effetto sui recettori dell’imidazolina (Willigers & coll, 2006).
SISTEMA RESPIRATORIO
Nel cane e nel gatto, gli effetti degli alfa-2 agonisti sul sistema respiratorio sono
considerati minimi (Shebuski & coll, 1986). La frequenza respiratoria può
diminuire, ma la ventilazione minuto viene mantenuta. Gli alfa-2 agonisti
possono potenziare la depressione respiratoria dovuta ad altri agenti come gli
oppiacei, gli anestetici inalatori, ecc…
SISTEMA ENDOCRINO
Gli alfa-2 agonisti inibiscono l’efflusso simpatico e modulano la risposta da
stress all’anestesia ed alla chirurgia. Inoltre, provocano un’inibizione diretta del
rilascio di insulina e, a seconda della dose somministrata, possono causare
iperglicemia. Gli alfa-2 agonisti incrementano il rilascio dell’ormone della
crescita, che può contribuire all’effetto iperglicemico. Inibiscono la secrezione
di ACTH e cortisolo (Bugajski, 1984). Inibiscono anche il rilascio di ADH ed
eventualmente di aldosterone.
69
SISTEMA URINARIO
Gli alfa-2 agonisti promuovono la diuresi e la natriuresi. Inibiscono il rilascio di
ADH dall’ipofisi, nonché la sua azione sui tubuli renali. Inibiscono il rilascio di
renina ed aumentano la secrezione di peptide natriuretico atriale. Possono
aumentare la velocità di filtrazione glomerulare (Strandhoy, 1985).
SISTEMA GASTROENTERICO
Gli alfa-2 agonisti inducono un calo della salivazione, della pressione dello
sfintere gastroesofageo, della motilità dell’esofago, dello stomaco e del piccolo
intestino e della secrezione gastrica. Possono promuovere la formazione di
ulcere. Inducono il vomito nell’8-20% dei cani e fino al 90-100% dei gatti. La
xilazina è stata utilizzata per questo scopo nel gatto (Nakamura & coll, 1997).
SANGUE
Gli alfa-2 agonisti e l’adrenalina stimolano l’aggregazione piastrinica. L’effetto
netto dipende dall’equilibrio fra attivazione diretta da parte degli alfa-2 agonisti
e ridotta aggregazione dovuta al calo della concentrazione plasmatica di
adrenalina (Villeneuve & coll, 1985).
UTERO
Gli alfa-2 agonisti aumentano l’intensità delle contrazioni uterine. La perfusione
dell’organo e l’apporto di ossigeno vengono diminuiti, così come i valori di PO2
e pH arterioso nella madre e nel feto. Gli alfa-2 agonisti attraversano la placenta,
ma i farmaci con un’elevata liposolubilità possono rimanervi parzialmente
intrappolati, riducendo la quantità di principio attivo che arriva alla circolazione
fetale. Ciò nonostante, nelle cagne trattate con alfa-2 agonisti la frequenza
cardiaca del feto diminuisce significativamente (Jedruch & coll, 1989).
70
OCCHIO
Gli alfa-2 agonisti causano midriasi nel gatto e miosi nel cane. Quelli
imidazolinici diminuiscono la pressione intraoculare, ma è stato segnalato che in
alcuni cani alte dosi di medetomidina la aumentano (Verbruggen & coll, 2000).
VARIE
Gli alfa-2 agonisti inibiscono la lipolisi. È stato segnalato che aumentano la
mortalità nello shock endotossico. Sono potenti inibitori dei brividi.
ALFA-2 ANTAGONISTI
Gli effetti degli alfa-2 agonisti possono essere fatti regredire con gli alfa-2
antagonisti. Nel cane e nel gatto sono stati ampiamente utilizzati la yoimbina e
l’atipamezolo. La prima, quando viene somministrata per via endovenosa, può
causare tachicardia, grave ipotensione e morte. L’atipamezolo (Antisedan®) è
un alfa-2 antagonista altamente selettivo. È più efficace della yoimbina. Benché
sia stato affermato che è particolarmente adatto per far regredire gli effetti della
medetomidina, è stato impiegato con successo anche per antagonizzare altri alfa2 agonisti. Nei cani trattati con medetomidina, la somministrazione
dell’atipamezolo è seguita da un’ipotensione transitoria. La somministrazione
endovenosa di questo agente può essere seguita da un risveglio rude. Benché sia
stato segnalato che l’atipamezolo ha una durata d’azione più prolungata di
quella della medetomidina, talvolta in animali sottoposti ad un’antagonizzazione
con il primo si osserva comunque una ricomparsa degli effetti della seconda.
FARMACI
MEDETOMIDINA
Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani e gatti (Domitor®).
Questo farmaco è il più potente agonista selettivo alfa 2 recettoriale disponibile
71
in medicina veterinaria. Trova impiego in queste specie animali come
sedativo/analgesico e come preanestetico per esami clinici e diagnostici, nella
piccola chirurgia e medicazioni. L’associazione di questa molecola con la
ketamina ha permesso di indurre anestesia di breve durata in cani e getti ed in
molte specie di animali da laboratorio ed esotiche (Vaha-Vahe, 1989; Jalanka,
1989; Nevalainen & coll, 1989). Se somministrata associazione a sostanze
oppiacee può produrre un potenziamento della sedazione e dell’analgesia dei
due singoli farmaci (England & Clarke, 1989).
Gatto
Questa molecola sebbene fornisca un contributo analgesico non trascurabile,
viene spesso utilizzata nell’anestesia e nella sedazione, ma di norma mai da sola
per il suo effetto antidolorifico; questo a causa della profonda sedazione e della
depressione cardiovascolare che può accompagnare il suo uso. Proprio per
queste caratteristiche l’uso delle medetomidina è riservata a pazienti sani. Ci
sono comunque differenti maniere in cui la proprietà antidolorifica della
medetomidina può essere sfruttata anche in condizioni in cui non è richiesta
anestesia e sedazione. Uno studio ha evidenziato che in gatti 2 ore dopo
l’ovarioisterectomia, la somministrazione di medetomidina 15 µg/kg a fine
intervento, ha prodotto un’analgesia migliore del placebo (Ansah & coll, 2002).
Un altro studio ha riportato, in gatti ovarioisterectomizzati, un’analgesia
migliore dopo analgesia indotta da somministrazione di medetomidina/ketamina,
piuttosto che acepromaziana/tiopentone/alotano (Slingsby & coll, 1998). Altre
vie di somministrazione possono essere quella orale, con elevato assorbimento
transmucosale, utile in gatti fratturati (Ansah & coll, 1998; Grove & Ramsay,
2000). Anche la via epidurale è stata investigata: Duke e coll, (1994) riportano
un incremento nella soglia del dolore dopo 4 ore dalla somministrazione di
medetomidina (10 µg/kg) se comparato con fentanile (4 µg/kg) sempre per via
epidurale. La medetomidina produce effetti sistemici di breve durata e non
profondi. In contrasto con altre specie incluso il cavallo dove la
72
somministrazione epidurale di alfa 2 agonisti può essere utilizzata per
l’attenuazione del dolore cronico (Sysel & coll, 1997), non esistono studi
dell’utilizzo di questa tecnica nella specie felina. La dose suggerita come
sedativo nel gatto è dai 10 ai 40 µg/kg pc iv e da i 40 agli 80 µg/kg pc im
(Sinclair, 2003).
Cane
Kuusela e coll, (2000) hanno paragonato l’analgesia dopo somministrazione di
medetomidina,
dexmedetomidina
e
levomedetomidina
segnalando
che
l’analgesia indotta da dexmedetomidina (20 µg/kg) potrebbe essere leggermente
più lunga di quella della medetomidina racema (40 µg/kg). L’effetto analgesico
della medetomidina nei cani si verifica quando vengono raggiunte
concentrazioni plasmatiche di 1-5 µg/ml (Salonen, 1992). Un altro studio mostra
invece come non si sia verificata analgesia a concentrazioni plasmatiche di 9,5
µg/ml, misurata dopo 60 minuti dopo somministrazione iv di 40 µg/kg (Kuusela
& coll, 2000); questo studio valuta però il dolore attraverso la retrazione
dell’arto dovuta a puntura di un dito, una tecnica non molto affidabile.
L’analgesia
da
dexmedetomidina
(20µg/kg)
valutata
con
tecniche
analgesiometriche dura per un ora dopo la somministrazione. Questo dato
sembra essere importante quando la dex o la medetomidina sono usate nelle
medicazioni preanestetiche rendendo necessario il secondo dosaggio dopo un
ora (Murrell & Hellebrekers2005).
Le dosi di medetomidina come sedativo-analgesico sono di 750 µg/m2 iv o 1000
µg/m2 im che equivalgono approssimativamente a 20 µg/kg pc iv e 40 µg/kg pc
im (Sinclair, 2003); la tipica dose sedativa da foglietto illustrativo riporta da 10 a
20 µg/kg pc iv e da 20 a 40 µg/kg pc im. Alcune evidenze cliniche indicano
comunque che micro dosi di 1-3 µg/kg pc iv e 5-10 µg/kg pc im vengono di
norma impiegate in associazione con altri deprimenti del SCN diminuendo
73
notevolmente gli effetti avversi della medetomidina (Paddleford & Harvey,
1999).
XILAZINA
Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, bovini, animali da
zoo e selvatici, cani e gatti (Megaxilor 20%®; Sedaxylan2%®; Xilor soluzione
iniettabile 2%®; Rompun®; Rompun sostanza secca®; Virbaxyl 2%®). Utilizzato
per produrre sedazione e miorilassamento.
Gatto
Nella maggior parte dei gatti 3-5 minuti dopo la somministrazione può
manifestarsi il vomito (Moye & coll, 1973). La dose di 1 mg/kg è considerata
ottimale per ottenere l’emesi sebbene non sia sufficiente per l’effetto analgesicio
(Amend & Klavano, 1973). In questa specie la xilazina viene utilizzata per
eliminare l’ipertono della muscolatura scheletrica che compare nell’anestesia
con ketamina (Amend & coll, 1972; Amend & Klavano, 1973). La pratica di
somministrare xilazina im (0,55-1,1 kg/kg) come preanestetico, seguita dopo 20
minuti da ketamina im (15-22 mg/kg) determina analgesia e rilasciamento in 30
minuti. La xilazina rende i gatti refrattari al dolore ed è spesso accompagna
l’iniezione
di
ketamina.
L’effetto
anestetico
della
ketamina
risulta
significativamente potenziato dalla xilazina (Waterman, 1983) prolungando
anche l’emivita plasmatica della ketamina ritardandone la metabolizzazione.
Uno studio dimostra come l’anestesia indotta da xilazina/ketamina abbia
prodotto un’analgesia post operatoria in gatti onichectomizzati migliore di
quella prodotta da una anestesia indotta con acepromazina-butorfanolotiopentone (Robertson & coll, 1995).
Cane
Il suo utilizzo si presta oltre che per l’effetto analgesico anche per ridurre a circa
la metà la dose di anestetico (barbiturico o anestetici inalatori). Nel
contenimento dei cani che necessitano di visita alle vie urinarie, la xilazina alla
74
dose di 2,2 mg/kg sc è il farmaco d’elezione visto che non interferisce con il
riflesso della minzione (Oliver & Young, 1973). Se somministrata da sola la sua
analgesia è tale da permettere l’intubazione degli animali prima della
somministrazione dell’anestetico, sebbene dopo somministrazione di xilazina
l’anestetico inalatorio possa essere somministrato prima con una maschera
facciale per poi procedere all’intubazione (Moye & coll, 1973). La
somministrazione iv di xilazina (1 mg/kg) seguita dopo 5 minuti da ketamina
(10 mg/kg) iv è spesso praticata nel cane per indurre anestesia (Haskins & coll,
1986). Si può verificare vomito a dosi elevate, ma l’effetto emetico può risultare
clinicamente utile per ottenere lo svuotamento gastrico al fine di evitare possibili
reflussi tracheali. La xilazina può essere utilizzata per consentire il parto cesareo
in anestesia locale poiché il farmaco non produce effetti depressati sui neonati
(Yates, 1973); spesso per questo intervento viene utilizzata l’associazione
xilazina-ketamina.
ROMIFIDINA
Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, cani e gatti
(Romidis®; Sedivet®). E’ l’agonista alfa 2 più recente ad azione sedativa ed
analgesica. La xilazina e la medetomidina provocano un’atassia più intensa ed
una sedazione di minore durata se paragonate alla romifidina (England & coll,
1992). Il suo utilizzo è indicato per la sedazione (facilitazione di esami clinici,
piccoli interventi e manipolazione), come agente di premeditazione e come
analgesico soprattutto nella specie canina.
Gatto
A differenza che nella specie canina, la romifidina non è stata largamente
studiata nel gatto. L’analgesia prodotta da questo farmaco è risultata dose
dipendente. In soggetti somministrati con 400 µg/kg di romifidina l’analgesia
prodotta e stata significativamente più elevata che dopo somministrazione di 200
µg/kg della stessa sostanza (Selmi & coll, 2004). La dose di 200 µg/kg di
75
romifidina sembra produrre la stessa sedazione di 1 mg/kg di xilazina, ma
minore analgesia (Selmi & coll, 2004). Nel gatto è stato dimostrato che questo
farmaco produce effetti cardiovascolari simili agli altri alfa 2 agonisti; sarebbe
bene quindi utilizzarlo con cautela in pazienti con il sistema cardiovascolare
compromesso (Muir & Gadawski, 2002). Altri risultati suggeriscono che la
somministrazione di romifidina da sola o in associazione con butorfanolo causa
un significativo decremento nella velocità cardiaca, e che la preventiva
somministrazione di atropina può prevenire la bradicardia per almeno 50 minuti
(Selmi & coll, 2002). Alcuni gatti sottoposti a protocolli anestesiologici in cui
compare la romifidina hanno mostrato fenomeni di emesi (Cruz & coll, 2000).
Cane
L’effetto di diminuzione del dosaggio di sedativo ed anestetico dovuto alla
somministrazione di romifidina è stato studiato estensivamente nel cane, come
anche i suoi effetti cardiovascolari dopo somministrazione iv ed im. In questa
specie la romifidina (40 µg/kg) im è stata rilevata indurre una sedazione
equivalente a quella ottenuta dopo somministrazione di xilazina (1 mg/kg) o
medetomidina (20 µg/kg) (Redondo & coll, 1999). Se somministrata in dosaggi
tra 10 e 40 µg/kg im ha causato un decremento dose dipendente nella velocità
cardiaca, respiratoria e nella temperatura rettale. Dosaggi tra 5 e 10 µg/kg iv
inducono comunque un importante effetto sedativo (Lemke, 1999) con minimi
effetti sulla pressione sanguigna (Pypendop & Verstegen, 2001). Lo stesso
studio ha poi rilevato che dosaggi iv compresi tra 25 e 100 µg/kg causano
bradicardia ed ipotensione iniziale (Pypendop & Verstegen, 2001) come
risultato di un incremento della resistenza vascolare sistemica (Sinclair & coll,
2002) seguito da una significativa diminuzione nella pressione arteriosa. In
generale sembra quindi che la somministrazione im produca rispetto alla
somministrazione iv, minori alterazioni nella pressione arteriosa e nella
resistenza vascolare sistemica, ma non nella velocità e forza di contrazione
cardiaca (Vainio & Palmu 1989; Lemke 2001; Sinclair & coll, 2002).
76
77
ANTAGONISTI DELI RECETTORI NMDA
KETAMINA
La
ketamina
cloridrato
(2-[o-clorofenil]-2-
[metilamino]
cicloexanone
idroclorito) è un anestetico generale dissociativo derivato dalla cicloesamina
fenciclidina. É stata introdotta negli anni ′60 nella chirurgia sperimentale dei
primati subumani e negli anni ′70 in clinica sia umana che veterinaria (Domino
& coll, 1965; Glass & Reves, 1990). Il termine anestetico dissociativo deriva
dalla forte sensazione di disgiunzione dall’ambiente che la ketamina induce
nell’uomo (Winters & coll, 1972). La ketamina, a differenza di altri anestetici
definiti ipnotici, induce uno stato catalettico per la presenza di rigidità cerea,
riflesso laringeo e palpebrale conservati, respirazione apneustica, nonché
palpebre aperte con esposizione corneale, associate ad ammiccamento, nistagmo
ed ipertensione arteriosa. Viene pertanto considerato un "anestetico incompleto’’
(Meyers & coll, 1980). Nonostante la sua introduzione in clinica risalga a molti
anni addietro, continua ad essere largamente utilizzata in medicina umana e
veterinaria, per anestesie in medicina d’urgenza, in corso di induzione
dell’anestesia gassosa, per anestesie totalmente iniettive e nel trattamento del
dolore cronico. La sua attività è dose-correlata in tutti i mammiferi; a basse dosi
si può osservare l’effetto analgesico senza effetti sul comportamento e
sull’attenzione, mentre a dosi superiori è possibile ottenere anestesia generale. È
considerato
il
farmaco
anestetico
che
deprime
meno
le
funzioni
cardiorespiratorie (Fine, 2003) anche se, in alcune specie, associa a tale effetto
positivo caratteristiche disforiche ed epilettogene, quando utilizzata da sola.
CHIMICA
La ketamina è costituita da una mistura racemica di S- (+)-ketamina e di R- (-)ketamina. Nell’uomo non vi sono differenze significative nei parametri di
farmacocinetica dei due isomeri (White & coll, 1985). Nel cane l’enantiomero
78
S- (+)-ketamina ha una clearance di eliminazione del 35% superiore rispetto alla
forma R- (-)-ketamina anche se non vi è un’apparente differenza nella
distribuzione nei tessuti periferici (Henthorn & coll, 1999). Dei due enantiomeri,
la R- (-)-ketamina ha un maggiore effetto miorilassante sulla contrazione
bronchiale del cane acetilcolina-indotta. Questo effetto sembra mediato dai
recettori che controllano i canali del calcio (Pabelick & coll, 1997). Le
preparazioni commerciali, nonostante risultino modicamente istolesive a causa
di un pH tra 3,5-5,5, hanno il vantaggio, rispetto ad altri anestetici, di poter
essere inoculate per via intramuscolare.
FARMACOCINETICA
La ketamina può essere somministrata per differenti vie, con tempi di
assorbimento e distribuzione abbastanza rapidi. La via im è frequentemente
utilizzata in particolare nel gatto e nei selvatici, meno nel cane ed ignorata in
altre specie. Può creare qualche problema di assorbimento con ritardi
nell’induzione e crisi eccitative, se il farmaco è inoculato in aree particolarmente
ricche di grasso. Queste captano il farmaco e ne rallentano in modo significativo
l’assorbimento e la distribuzione. La via endovenosa è la più utilizzata;
solitamente si raccomanda di inoculare il farmaco in un intervallo non inferiore
ai 60’’, poiché una somministrazione rapida può provocare depressione
respiratoria o apnea e una più pronunciata risposta pressoria. Sono state
sperimentate nell’uomo e negli animali vie alternative come l’intra-articolare, la
sottocutanea per infusione continua (Huang & coll, 2000), l’intrarettale,
l’intranasale, l’intratecale, l’epidurale (Thurmon & coll, 1997; Iida & coll, 1997)
e la via orale (Wetzel & Ramsay, 1998; Grove & Ramsay, 2000). Dopo
inoculazione iv la distribuzione nei tessuti è sempre rapida con il
raggiungimento, in circa 60’’, di concentrazioni equivalenti tra plasma e
corteccia. L’effetto clinico s'instaura in tempi più lunghi rispetto ai tiobarbiturici
(Cohen & coll, 1973). Nel cavallo circa il 60% è metabolizzato dal fegato; il
restante farmaco immodificato è eliminato dal rene (Thurmon & coll, 1997).
79
MECCANISMO D’AZIONE
Il meccanismo d’azione non è completamente conosciuto. A differenza di altri
anestetici iniettivi, la ketamina non agisce deprimendo il sistema di attivazione
reticolare del midollo allungato. Produce piuttosto un’azione dissociativa tra
stimolo e percezione dello stesso, senza deprimere le aree del SNC interessate
(Reich & Silvay, 1989).Tale differenza si spiega con un’attività stimolante il
sistema simpatico ed un antagonismo recettoriale non competitivo nei confronti
dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato), rispetto alla classica attivazione dei
recettori GABA (Headley & coll, 1987). I recettori NMDA sono stimolati dal
glutammato ed hanno azione eccitativa sulle vie del dolore e sullo stato di
reattività del soggetto, nonché nello sviluppo del cervello nei mammiferi in età
immatura (Freese & coll, 2002). L’attività analgesica, prevalentemente somatica
e vegetativa, è ottima anche a basse dosi e senza depressione cardiorespiratoria,
tanto da essere sfruttata nei reparti di medicina d’urgenza in medicina umana e
veterinaria (Hirlinger & Dick, 1998; Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990). La
ketamina, a dosi subanestetiche, si è dimostrata una valida alternativa agli
oppiacei nell’analgesia postoperatoria e nel trattamento del dolore nel paziente
terminale. Tale applicazione in algologia è stata introdotta dopo l’identificazione
dei recettori NMDA come responsabili dell’innesco dell’allodinia o percezione
algica di stimolo non algico e dell’iperalgesia, tipiche manifestazioni di queste
situazioni cliniche (Eide, 2000).
EFFETTI CLINICI SUI VARI APPARATI
SNC
La ketamina induce un effetto anestetico dose-correlato, associato ad uno stato
catalettico ed allucinatorio. Dosi basse tendono ad indurre analgesia, assenza di
allucinazioni ed un effetto anticonvulsivante specie-correlato. Nell’uomo affetto
da epilessia, infatti, il farmaco presenta un effetto anticonvulsivante a 2-6 mg/kg
80
iv, anche se, con la dose maggiore, si registrano onde simil epilettiche all’EEG
corticale (Kayama, 1982). Nel cane il comportamento è inverso con crisi
convulsive in fase d’induzione anestetica (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto le
convulsioni da ketamina sono meno frequenti. Nel 2% di cani sani anestetizzati
con l’associazione ketamina-acepromazina-xilazina, si osservano brevi crisi
convulsive in fase di induzione (Cuomo, 1994). Nel gatto, con la stessa miscela
anestetica ed in corso di mielografia, non si osserva tale effetto (Cuomo, 1997).
Eccitazione o movimenti ondulatori ripetuti della testa sono riportati in fase di
risveglio soprattutto nel gatto rispetto al cane; benzodiazepine, alfa 2 agonisti,
oppioidi, fenotiazine da soli o in associazione, riducono o annullano queste
complicazioni. In ogni caso, è buona norma utilizzare la ketamina sempre in
associazione ed evitarne l’uso in animali affetti da epilessia o in preda a
convulsioni. Studi effettuati sull’analgesia indotta dalla ketamina nell’uomo
hanno portato a guardare al farmaco in modo leggermente differente, rispetto al
passato, anche in Medicina Veterinaria. L’osservazione clinica della parziale
reattività dell’animale agli stimoli ambientali fa ritenere che la ketamina, come
anestetico generale, associ analgesia solo all’instaurarsi dell’effetto anestetico e
che l’analgesia viscerale sia del tutto trascurabile anche in anestesia.
Nell’animale in cui utilizziamo dosi subanestetiche, è possibile ottenere
vocalizzazioni e risposte di difesa alla sola manipolazione; lo stesso animale
però rimane tranquillo se pratichiamo manovre dolorose. Evidentemente
l’effetto analgesico, analogamente a quanto avviene nell’uomo, si stabilisce a
dosi inferiori a quelle anestetiche (Wagner & coll, 2002). Rispetto a quello che
avviene con altri anestetici generali, la depressione del SNC appare differente
anche per la persistenza dei riflessi laringeo, palpebrale e del tono muscolare. La
presenza del riflesso laringeo crea problemi in corso di intubazione
endotracheale e costringe l’anestesista a utilizzare un’anestesia locale per
nebulizzazione del laringe. Se utilizziamo associazioni farmacologiche, e non la
sola ketamina, l’intubazione è possibile (Cuomo, 1994). Talvolta la presenza del
riflesso laringeo è un vantaggio in quelle procedure di breve durata, come in
81
corso di detartrasi, dove è utile avere il cavo orale libero da tubi, evitando
comunque la possibilità di ab-ingestis. In corso di anestesia totale intravenosa
(total intravenous anesthesia, TIVA) con associazioni a base di ketamina, la
presenza del riflesso palpebrale ci può aiutare nella valutazione del piano
anestetico indicandoci, con la sua scomparsa, un eccessivo approfondimento
dello stesso. La presenza di tono muscolare inibisce l’uso della sola ketamina
per procedure ortopediche; tale problema è superato dall’associazione con
farmaci miorilassanti.
CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO
Gli effetti cardiovascolari della ketamina sono mediati dall’attivazione del
sistema vegetativo simpatico. In gatti anestetizzati con pentobarbital, se la
ketamina viene somministrata localmente a livello miocardico determina un
rilascio di noradrenalina nello spazio interstiziale (Kitagawa & coll, 2001;
2003); mentre dopo inoculazione iv i livelli plasmatici di adrenalina e
noradrenalina aumentano a 2’, per ritornare ai valori basali dopo 15’. L’effetto
interessante nel cane e nel gatto è che la frequenza cardiaca, la pressione
arteriosa e l’output cardiaco aumentano, senza che si registri un aumento
significativo delle resistenze periferiche (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto,
inoltre, la ketamina mostra una significativa attività vasodilatatoria nel letto
vascolare polmonare, migliorando l’ematosi (Kaye & coll, 2000). In vitro, alcuni
Autori riportano un significativo effetto inotropo negativo dose dipendente
(Diaz & coll, 1976) che, in vivo, è probabilmente mascherato dall’aumento del
tono simpatico (Schwartz & Horwitz, 1975; Horwitz, 1977; Hornchen &
Tauberger, 1980) e, pertanto, di scarso significato clinico (Chamberlain & coll,
1981).
OCCHIO
Nell’uomo la ketamina è stata associata ad un aumento della pressione
intraoculare (IOP) (Goodman & Gilman, 1996). Nei nostri animali domestici, i
82
dati in letteratura danno risultati discordanti a seconda della specie e del tipo di
protocollo. Nei soggetti premedicati con farmaci miorilassanti non si dovrebbe
osservare alcun aumento di IOP, per la diminuzione del tono dei muscoli
extraoculari responsabili dell’effetto (Thurmon & coll, 1997).
APPARATO RESPIRATORIO
A differenza di altri anestetici generali, le risposte all’ipossia sono conservate
insieme alla reattività del sistema simpatico. Rispetto a un’anestesia alotanica, la
broncodilatazione, la diminuzione degli shunt artero-venosi intrapolmonari e la
normotensione mantengono alti i valori della PaO2 anche durante ventilazione
monopolmonare (Lumb, 1979). Sulla muscolatura liscia bronchiale, la ketamina
ha un effetto broncodilatatorio con diminuzione delle resistenze (Bovill & coll,
1971; Cheng & coll, 1996) tanto da essere raccomandata come gold standard in
umana per l’anestesia di soggetti in crisi asmatica (Corssen & coll, 1972). Nel
cane una dose di 10 mg/kg annulla la broncocostrizione da istamina e potenzia il
rilassamento bronchiale da adrenalina (Hirota & coll, 1998). L’ematosi rimane
generalmente adeguata anche in soggetti in trattamento d’urgenza, nonostante la
ketamina possa indurre, transitoriamente, respiro apneustico e diminuzione del
volume corrente minuto (Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990).
INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI
In letteratura è possibile trovare associazioni farmacologiche a base di ketamina
piuttosto simili ma con dosi leggermente differenti dei singoli farmaci.
Riportiamo le associazioni maggiormente utilizzate, alcune ormai datate ma con
una loro validità, e quelle dove i farmaci sono presenti sul mercato italiano sotto
forma di specialità veterinarie. Nonostante l’uso di atropina non sia sempre
riportato, e da qualcuno sia omesso o criticato, se ne consiglia l’uso soprattutto
quando nel protocollo sono presenti farmaci alfa 2 agonisti o si manifestano
segni di attivazione parasimpatica. Si consiglia, inoltre, di non utilizzare
antagonisti degli alfa 2 agonisti o delle benzodiazepine, se non in corso di
83
complicazioni anestetiche. L’antagonismo potrebbe smascherare gli effetti della
ketamina con il manifestarsi di crisi eccitative.
SOVRADOSAGGIO E TOSSICITÀ
Nel gatto, l’uso di dosi elevate di ketamina (50 - 100 mg/kg im) non causa la
comparsa di segni clinici di tossicità acuta (Arnbjerg, 1979) mentre nel cane,
dosi di 40 mg/kg/die per 6 settimane, inducono solo un innalzamento transitorio
degli enzimi epatici (Corssen & coll, 1968). Per somministrazioni croniche è
sospettata l’induzione enzimatica del citocromo P450, analogamente a quanto
avviene per i barbiturici (Thurmon & coll, 1997). L’osservazione che il pre
trattamento con fenobarbitale riduce la durata dell’anestesia da xilazinaketamina nel cane (Nossaman & coll, 1990), sembrerebbe confermare tale
ipotesi. In uno studio retrospettivo di Dyson & coll, (1998) sulle cause di
mortalità da farmaci in anestesia, è riferito come il rapporto di probabilità di
complicazioni in corso di anestesia nel cane è dello 0,21 per l’uso di ketamina
contro il 91,5 della xilazina, 0,35 del butorfanolo, 0,24 dell’acepromazina e il
2,4 per l’uso di isoflurano. Nel gatto, il rapporto di probabilità è dello 0,17 per la
ketamina, contro il 4.1 del diazepam e lo 0,45 del butorfanolo (Dyson & coll,
1998). Nonostante tali dati rassicuranti, la ketamina è stata indicata quale
responsabile di lesioni degenerative neuronali a carico del cervello immaturo.
Nel topo neonato sottoposto a ripetute anestesie, Olney ha messo in evidenza
apoptosi e vacuolizzazioni neuronali. Sulla scorta di tali dati, la FDA non ne ha
licenziato l’uso in pediatria (Ikonomidou & coll, 1999; Olney & coll, 1989).
Nonostante questo la ketamina è utilizzata di routine nei reparti di pediatria e
ginecologia, senza che alcuno studio clinico sia riuscito a mettere in evidenza
effetti lesivi sulle funzioni cerebrali dei pazienti. Discorso a parte andrebbe
fatto, invece, per le assunzioni croniche della sostanza che, nell’uomo, sembrano
indurre dipendenza, riduzione delle capacità cognitive e sintomi psichiatrici
(Frese & coll, 2002).
84
SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI EPATICHE O RENALI
Nonostante in pazienti con funzione epatica normale (cane, cavallo ed uomo)
siano state somministrate dosi ben al di sopra di quelle anestetiche per tempi
prolungati e senza effetti nocivi, nei portatori di epatopatie è prevedibile un
rallentamento della metabolizzazione del farmaco, con necessità di riduzione
delle dosi. Analogo discorso va fatto per animali con insufficienza renale ed in
particolare nel gatto.
SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE
Il problema resta controverso. Vi è aumento del consumo di O2 da parte del
miocardio in vitro, mentre in cani e gatti anestetizzati con ketamina, l’aumento
del consumo di O2 si associa a vasodilatazione del circolo coronarico, tanto da
compensare l’aumento del lavoro miocardico, senza vasocostrizione periferica
(Thurmon & coll, 1997). Soggetti in shock anestetizzati con ketamina mostrano
una percentuale di sopravvivenza maggiore rispetto a soggetti in anestesia
alotanica.
Nello
shock
emorragico
indotto
nel
suino
l’associazione
medetomidina-ketamina sembra essere un ottimo protocollo TIVA in corso di
rianimazione.
CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA
I dati presenti in letteratura sono contrastanti riguarda l’aumento della IOP e
pressione intracranica (ICP) ketamino-indotte. In medicina umana, l’aumento di
IOP dovuta al farmaco viene messo in dubbio da più parti. Nel cane e nel
cavallo, l’associazione xilazina-ketamina ne determina l’aumento nella prima
specie ed una diminuzione nella seconda (Thurmon & coll, 1997). Anche in
corso di chirurgia endocranica i dati sono controversi, tanto che Ohata afferma
“la ketamina è appropriata per l’uso integrativo nell’anestesia neurochirurgica’’,
sulla base dell’osservazione che, topicamente o iv, attenua la vasodilatazione
ipercapnica in cani sotto anestesia con pentobarbitale o isofluorano (Ohata &
coll, 2001). Nella capra in anestesia ketaminica, la ICP ed il flusso cerebrale si
85
innalzano solo al mancato controllo della PaCO2; tale rilievo non farebbe
attribuire l’effetto all’azione della ketamina ma alla vasodilatazione ipercapnica
(Thurmon & coll, 1997). Pertanto, in attesa di dati definitivi ed in presenza di
valide alternative, se ne sconsiglia l’uso.
SOGGETTI AFFETTI DA EPILESSIA
Nonostante nell’uomo, nel cane e nel gatto sia riportato un effetto
anticonvulsivante, è sconsigliato l’uso in soggetti epilettici od in preda a
convulsioni.
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE
Tutti i farmaci depressanti il SNC mostrano avere un effetto sinergico nei
confronti della ketamina, potenziandone l’effetto anestetico o allungandone i
tempi d’azione e riducendone ampiamente gli effetti collaterali. Questo tipo di
interazione è ampiamente sfruttato in anestesia. Al di fuori del campo
anestesiologico, poche sono le segnalazioni di interferenza da parte di altre
classi di farmaci. Il cloramfenicolo aumenta i tempi di eliminazione della
ketamina nel gatto (Thurmon & coll, 1997) mentre furosemide, mannitolo e
aminofillina, non alterano significativamente l’eliminazio del farmaco dal
circolo ematico nel gatto, sebbene abbiano la tendenza a prolungarla.
Gatto
Nel gatto le differenze nel catabolismo sono sostanziali e la maggior parte del
farmaco viene escreto intatto per via renale. Le caratteristiche di
metabolizzazione ed escrezione ne consigliano il sottodosaggio negli animali
con problemi renali o epatici. In questa specie, l’emivita di una dose di 25 mg/kg
è di 66,9 ± 24,1 minuti, indipendentemente dalla via di somministrazione im o
iv. L’assorbimento dal sito di inoculazione è rapido, con picco plasmatico a 10
minuti e circa il 92 % della dose biodisponibile (Baggot & Blake, 1976). L’uso
utilizzo come analgesico non è stato molto perpetuato (Robertson & Taylor,
2004) mentre viene largamente utilizzato per l’induzione dell’anestesia.
86
Cane
Nel cane vi è una stretta correlazione tra concentrazioni plasmatiche della
ketamina ed effetto anestetico (Schwieger & coll, 1991). La ridistribuzione del
farmaco agli altri tessuti induce l’abbassamento delle concentrazioni
plasmatiche e la superficializzazione dell’anestesia. Solo successivamente sarà
sottoposta ad attività catabolica ed eliminazione (Thurmon & coll, 1997). Tale
comportamento testimonia la sua grande facilità di passaggio dal comparto
vascolare ai tessuti e viceversa, con aggiustamenti rapidi nelle concentrazioni
plasmatiche. Nel cane e nei primati è documentato il passaggio anche attraverso
la barriera placentare. Questo potrebbe avere un significato clinico nel suo uso
in ostetricia anche se, rispetto ad altri farmaci anestetici, l’effetto depressivo sul
neonato e la mortalità fetale risultano inferiori (Thurmon & coll, 1997). Studi
nel cane hanno mostrato come il farmaco viene metabolizzato principalmente
(62%) dal fegato a N-demetilketamina, metabolita attivo, ed escreto con le urine
(Kaka & Hayton, 1980). Negli ultimi anni l’azione analgesica di questa
molecola è risultata promettente, infatti, cani somministrati con ketamina nel
periodo post operatorio dopo amputazione degli arti anteriori hanno mostrato
una riduzione del dolore rispetto al controllo (Wagner & coll, 2002). La
somministrazione della ketamina prima del danno tissutale ha ridotto la
sensibilità al dolore e se somministrata per via epidurale ha ridotto il dolore in
cani fratturati se comparata con la soluzione fisiologica (Amarpal & coll, 1999).
Uno studio ha inoltre dimostrato l’effetto analgesico della ketamina in cani con
sinoviti indotte (Hamilton & coll, 2005).
87
ANESTETICI LOCALI
Il primo anestetico locale impiegato clinicamente è stata la cocaina. All’inizio
del 1900 fu identificata la sua struttura e sulla base di questa vennero sintetizzate
nuove molecole che apportavano una tossicità minore e nessun tipo di
dipendenza. Tutte le nuove molecole prodotte sono costituite da una porzione
idrofila ed una lipofila, connesse da una catena carboniosa che può essere
rappresentata da un’ammina o da un’estere.
MECCANISMO D’AZIONE
Gli anestetici locali bloccano (in modo transitorio e reversibile) la conduzione
nervosa modificando la propagazione del potenziale d'azione a livello
dell’assone. La membrana della fibra nervosa, da una condizione di riposo
mantenuta dall'attività di una pompa Na-K ATPasi-dipendente, in seguito alla
corrente del potenziale d'azione, consente l'ingresso massivo di ioni sodio al suo
interno, modificando il potenziale di membrana da negativo a positivo. La
corrente di depolarizzazione nel momento in cui tutta la superficie della
membrana è depolarizzata, innesca modificazioni strutturali del canale sodico
responsabile di un ostacolo a un ulteriore ingresso di Na con conseguente
inattivazione dell'eccitabilità di membrana. All’interruzione della corrente
sodica segue la fuoriuscita dalla cellula di ioni K in numero uguale a quello di
ioni Na penetrati nella fase di depolarizzazione. Il canale rapido del sodio è il
recettore specifico su cui agiscono gli anestetici locali. Le molecole d'anestetico,
una volta attraversata la membrana cellulare della fibra nervosa, si legherebbero
ad un recettore presente sulla faccia interna della membrana, di fatto impedendo
l'ingresso massivo di ioni Na e quindi la fase di depolarizzazione. Gli anestetici
locali nella loro forma attiva, quella ionizzata, interferiscono con le diverse fasi
del
potenziale
d'azione,
diminuendone
l'ampiezza,
la
velocità
di
depolarizzazione e la durata del periodo refrattario. La concentrazione di
88
anestetici locali necessaria per determinare il blocco della conduzione nervosa
differisce per ogni sostanza, pertanto la potenza di ciascun anestetico locale
viene indicata dalla concentrazione minima inibente (CMI), ovvero dalla
concentrazione di farmaco al di sotto della quale la fibra ritorna ad essere
eccitabile.
POTENZA
La liposolubilità o l’idrofilicità della molecola sembra essere la principale
proprietà dalla quale dipende la potenza intrinseca dell’anestetico. Quanto più
piccola e più liopofila appare la molecola tanto più rapida è la comparsa della
sua azione. Anche l’idrofilia è importante perché è necessaria per il processo di
diffusione nel sito d’azione dell’anestetico locale.
TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA ANESTETICA
Entrambi i fattori sono legati alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco e
sono dose dipendenti. Da notare che sperimentazioni in vitro possono dare
risultati contrastanti con studi in vivo, dato che in questo ultimo caso viene
determinata anche l’azione dell’anestetico sulla vascolarizzazione locale.
SENSIBILITÀ AGLI ANESTETICI LOCALI
Non tutti sono d’accordo sulla reale esistenza di una differente sensibilità delle
fibre nervose agli anestetici locali. Sotto il profilo clinico, la sensibilità agli
anestetici locali può essere influenzata da diversi fattori come la dimensione
della fibra, il tipo strutturale della fibra, la localizzazione del nervo, l’area del
nervo esposta all’anestetico, il tempo per il conseguimento dell’equilibrio
dell’anestetico locale con il tessuto, etc...
89
FARMACI
PROCAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
E’ un composto che si presenta sottoforma di polvere bianca cristallina solubile
in acqua. Le soluzioni acquose sono facilmente decomposte dai batteri
specialmente se esposte all’aria. Sono resistenti al calore e sterilizzabili in
autoclave. E’ l’anestetico locale di riferimento per quanto riguarda la tossicità e
la potenza, in quanto ad esso è stato attribuito arbitrariamente il valore di 1. La
notevole differenza di tossicità fra procaina ed il potente analgesico locale
cocaina è imputabile alla loro diversa velocità di metabolizzazione. La procaina
viene demolita molto velocemente. Ha un assorbimento molto rapido dal sito di
iniezione e viene idrolizzata da un’esterasi plasmatica a formare acido paraamino-benzoico. La procaina interferisce con la determinazione chimica dei
sulfamidici nei liquidi biologici. Ha inoltre la caratteristica di formare sali o
coniugati scarsamente solubili con altre sostanze, prolungandone la durata
d’azione. Questa proprietà è stata sfruttata per l’associazione con la penicillina
(procaina-penicillina G).
Gatto
Usata nell’anestesia per infiltrazione e in quella da blocco di conduzione nel
gatto è preferita ad una concentrazione dell’1%. Viene scarsamente utilizzata
nell’anestesia di superficie poiché non risulta molto efficace con questa via di
somministrazione. Le DL50 in questa specie sono 0,45 g/kg sc e 0,045 g/kg iv
(Ford & Raj, 1987).
Cane
Nei cani di media-grande taglia è preferito l’utilizzo di procaina al 2%. Le DL50
sc in questa specie è 0,25 g/kg.
90
TETRACAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
E’ un derivato sintetico dell’acido para-amino-benzoico. Le soluzioni vanno
incontro a idrolisi e si possono formare dei cristalli insolubili di acido p-butilamino-benzoico. Né i cristalli né le soluzioni sono sterilizzabili più di una volta.
Ha una tossicità sistemica 20 volte maggiore di quella della procaina. E’ ed è
stata usata principalmente per l’anestesia topica o per l’anestesia subaracnoidea.
E’ l’anestetico locale contenuto nel Tanax®. Grazie alla sua elevata tossicità è
ormai passata in disuso.
PRILOCAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
E’ un’ammide derivata dall’anilide. Ha proprietà farmacologiche simili a quelle
della lidocaina ma rispetto a questa è più potente e meno tossica. Ha inoltre un
maggior tempo di latenza e una maggiore durata d’azione. La velocità di
metabolizzazione è più rapida di quella della lidocaina. Dopo somministrazione
di dosi elevate (>600 mg) può determinare cianosi per metaemoglobinemia. Il
trattamento consiste nella somministrazione endovenosa di blu di metilene (1
mg/kg).
Gatto
In gatti aritmici l’uso sistemico di prilocaina si è rilevato efficace, ma
contrariamente alla lidocaina che provoca diminuzione della pressione sanguina,
ne è stato evidenziato un aumento (Quevedo & coll, 1978). Un suo utilizzo
come analgesico locale è dato dall’associazione con lidocaina (EMLA), crema
topica per prevenire il dolore al momento dell’iniezione e migliorare la
manipolazione dell’animale (Flecknell & coll, 1990). In un recente studio questa
formulazione non si è dimostrata sicura ed efficace in gatti malati per le
concentrazioni plasmatiche riportate: inoltre non sono state riportate differenze
91
significative sulla facilità di introduzione del catetere in gatti trattati e non
(Wagner & coll, 2006).
Cane
Non esistono molti studi in questa specie visto che questo farmaco a livello
sistemico si è dimostrato un induttore enzimatico (Heinonen & Ahtee, 1968).
Viene però largamente utilizzato in associazione con la lidocaina (EMLA) per
prevenire il dolore dovuto all’introduzione di cateteri (Flecknell & coll, 1990).
LIDOCAINA
Commercializzata per bovini, equini, suini, ovini, cane e gatto (Lisacaina®,
Lidocaina 2%®, Lidocaina 2% ATI®, Lidocaina 2% Fort Dodge®).
E’ un composto solubile in acqua e molto stabile. Può essere sottoposto a
sterilizzazione in autoclave per 6 ore o a trattamenti multipli senza perdere di
potenza. Ha un’elevata affinità per i tessuti grassi. La maggior parte di questo
farmaco viene metabolizzata nel fegato per trasformazione in fenolo libero e
coniugato, mentre la struttura ad anello viene idrossilata. La porzione fenolica si
può ritrovare nelle urine. L’escrezione della lidocaina in forma immodificata è
minore al 5%. E' un anestetico locale che si diffonde facilmente per la sua
struttura molecolare e per il suo pKa, vicino al pH fisiologico. Ha proprietà
vasodilatatrici e per questo motivo è l'anestetico locale che meglio si presta ad
essere somministrato assieme all'adrenalina che limita le concentrazioni
plasmatiche, prolunga la durata d'azione e ne aumenta la potenza. L'adrenalina
può
essere
aggiunta
estemporaneamente
immediatamente
prima
della
somministrazione o può essere già presente nelle confezioni in commercio. Ha
un tempo di latenza breve e una durata d'azione intermedia (70-90 min).
Utilizzata in tutti i tipi di anestesia locale, ma anche per via iv come agente
antiaritmico e coadiuvante nell’analgesia generale. Indicata per anestesie di
superficie, di infiltrazione, tronculari ed epidurali.
92
Gatto
Dopo somministrazione iv la lidocaina ha mostrato indurre analgesia sia in
condizione di dolore indotto che naturale (Pypendop & Ilkiw, 2005; Dohi &
coll, 1979), ma in un recente studio dosi di 2 mg/kg iv hanno prodotto
concentrazioni plasmatiche basse da non influenzare la soglia al dolore termico
(Pypendop & coll, 2006). L’uso di questo anestetico locale (1 mg/kg) in
combinazione a anestetici generali, ha prodotto un’anestesia bilanciata
nell’ovarioisterectomia in felini, riducendo il bisogno di anestetico generale
(Zilberstein & coll, 2008). L’andamento cinetico della lidocaina si è dimostrato
differente in gatti anestetizzati o svegli: il volume di distribuzione è risultato
significativamente più basso, con più alte concentrazioni plasmatiche in gatti
anestetizzati. Anche il tempo di emivita è risultato ridotto (Thomasy & coll,
2005).
Cane
La lidocaina viene metabolizzata a livello epatico a velocità simile alla procaina.
Nel cane i metaboliti principali identificati sono 2 di cui uno riporta sempre una
buona
attività
analgesica
(Wilcke
&
coll,
1983a).
Dopo
singola
somministrazione iv ed im i valori medi della Kel e della clearance risultano di
0,786 ore e 2,4 l/kg/ora. Dopo somministrazione im la Kass risulta di 7,74 ore e
la biodisponibilità del 91% (Wilcke & coll, 1983a). Dosaggi elevati di lidocaina
possono produrre morte per fibrillazione ventricolare o arresto cardiaco (Wilcke
& coll, 1983b). Negli ultimi anni sono stati prodotti cerotti transdemici a base di
lidocaina che nel cane sembrano avere un’elevata efficacia analgesica e bassi
effetti collaterali (Weiland & coll, 2006).
ETIDOCAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
E’ un derivato della lidocaina, caratterizzata da un’elevata liposolubilità che gli
conferiscono una maggiore durata d’azione, con un blocco motorio e sensitivo
93
particolarmente prolungati. E’ di potenza quasi pari alla bupivacaina e ad
eccezione dell’anestesia spinale e di quella per via endovenosa viene impiegata
nelle stesse circostanze.
Gatto
Non esistono studi specifici nel gatto.
Cane
Pochi studi condotti su questa molecola esistono nel cane. La sua elevata
liposolubilità oltre a conferirgli una prolungata azione, ne esalta anche gli effetti
a livello del SNC (Liu & coll, 1983).
MEPIVACAINA
Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini (Mepivacaina
cloridrato 2% Galenica Senese®). Impiegata per anestesie infiltrative,
intrarticolari, tronculari ed epidurali.
Si presenta come una polvere bianca, cristallina e senza odore. Possiede un
atomo di carbonio asimmetrico che la rende otticamente attiva. In forma di sale
cloridrato è solubile in acqua. La sua trasformazione metabolica avviene,
nell’adulto, nel fegato per N-demetilazione e coniugazione ed escrezione come
glicorunide e idrossilazione dell’anello aromatico. Il 5-10% viene escreto,
immodificato, nelle urine. E’ molto simile alla lidocaina (pur essendo più
potente e meno tossica di questa) e viene utilizzata a dosi e concentrazioni
simili. E’ l'unico anestetico locale che non ha proprietà di vasodilatazione, per
cui non necessita dell'aggiunta del vasocostrittore. Ha un tempo di latenza
relativamente breve e una durata d’azione simile a quella della lidocaina.
94
Gatto
Nessun dato specifico esiste sulla mepivacaina nel gatto sebbene il suo utilizzo
sia ormai perpetuato in questa specie grazie alle sue caratteristiche
farmacologiche.
Cane
Anestetico locale di durata intermedia può essere combinato con la morfina per
l’epidurale ed associata con il meloxicam per ottenere analgesia postoperatoria
di durate di 24 ore (Fowler & coll, 2003). Se associato alla dexmedetomidina
viene prolungata la durata di vasodilatazione indotta dal blocco del simpatico
(Tezuka & coll, 2004). La durata dell’effetto di blocco del nervo radiale nel cane
è stata incrementata dall’associazione mepivacaina medetomidina (Lamont &
Lemke, 2008). Il carprofene combinato con anestesia epidurale di mepivacaina
incrementa l’analgesia postoperatoria in interventi chirurgici ortopedici
(Bergmann & coll, 2007).
BUPIVACAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
E’ solubile in acqua in forma di sale cloridrato e stabile alla sterilizzazione in
autoclave. Si lega alle proteine plasmatiche per il 79-90%. La forma non legata
viene metabolizzata nel fegato per N-dealchilazione. Il 10% è escreto,
immodificato, nelle urine. Questo anestetico locale è caratterizzato da un lungo
periodo di latenza e da una lunga durata d'azione. La sua potenza è quattro volte
superiori a quella della lidocaina, ma anche la sua tossicità è maggiore. In
particolare, in gravidanza sembrerebbe aumentata la sua cardiotossicità.
Gatto
In gatti anestetizzati con alotano la bupivacaina, differentemente dalla lidocaina,
ha mostrato di non sopprimere l’attività simpatica cardiaca, sebbene abbia
mostrato un effetto deprimente sulla conduzione cardiaca maggiore della
95
lidocaina (Nishikawa & coll, 1997). Pazienti felini sottoposti a onichectomia, ai
quali, sono state irrigate le ferite con mepivacaina, hanno mostrato un dolore
post anestetico minore rispetto a quelli ai quali è stata somministrata soluzione
fisiologica (Winkler & coll, 1997). Un’altra associazione con la bupivacaina è
stata fatta con la morfina, entrambe somministrate prima dell’intervento
chirurgico. Questo trattamento si è rilevato più efficace nell’indurre un’analgesia
prolungata nei gatti (ma anche nei cani) dell’associazione ossimorfone
ketoprofene (Troncy & coll, 2002). Il dolore post operatorio e le complicazioni
derivanti da intervento di onichectomia degli arti inferiori nei gatti sono state
diminuite dall’associazione tra bupivacaina e buprenorfina, rispetto alla
buprenorfina somministrata da sola (Curcio & coll, 2006). In un recente studio
condotto su gatti sottoposti ad ovarioisterectomia, paragonante l’analgesia
indotta da butorfanolo, carprofene, ketoprofene o bupivacaina, quest’ultima ha
rilevato la necessità di una dose addizionale di analgesici subito dopo (nelle
prime 4 ore) l’intervento chirurgico (Tobias & coll, 2006).
Cane
L’iniezione della bupivacaina nello spazio intrapleurico si è dimostrato efficace
e sicuro nel cane (Vadeboncouer & coll, 1990; Thompson & Johnson, 1991;
Stobie & coll, 1995; Conzemius & coll, 1994). Alcune complicazioni però
possono verificarsi dall’errato posizionamento del catetere, dalla tossicità della
bupivacaina e dal blocco neurale (Stromskag & coll, 1990). La tossicità della
bupivacaina iv in cani può risultare in convulsioni, ipotensione, fibrillazione
ventricolare, bradicardia fino all’arresto cardiaco (Groban & coll, 2001; Bruelle
& coll, 1996; Groban & coll, 2002; Weinberg & coll, 2003; Groban & coll,
2000; Liu & coll, 1983). Sebbene siano stati riportati numerosi casi di tossicità
cardiaca se iniettata nello spazio pericardico la bupivacaina non ha mostrato
fenomeni aritmici (Bernard & coll, 2006). In cani sottoposti all’ablazione
dell’orecchio la somministrazione locale di bupivacaina non ha aumentato
l’analgesia indotta dall’infusione continua di morfina (Radlinsky & coll, 2005).
96
In questa specie la levobupivacaina, isomero della bupivacaina, se
somministrata alle stesse dosi, sembra avere meno effetto sul blocco simpatico
della molecola racema (Iwasaki & coll, 2007) in quanto la forma levo ha
manifestato minori effetti collaterali a livello cardiaco (Jung & coll, 2007). Un
recente studio dimostra infine come gli effetti tossici della bupivacaina siano
dose dipendenti nei cani, e sottolinea che nella singola somministrazione
intrarticolare i rischi di raggiungere concentrazioni plasmatiche tossiche siano
bassi mentre ben più alti sono quelli associati a somministrazioni multimodali
(Bubenik & coll, 2007).
ROPIVACAINA
Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.
La ropivacaina cloridrato è un nuovo anestetico locale di tipo ammidico a lunga
durata di azione, preparato come isomero anziché come mistura racemica come
la bupivacaina. La sua liposolubilità è intermedia tra quella della lidocaina e
della bupivacaina, mentre il legame proteico è simile a quello della bupivacaina.
Si caratterizza da tutti gli altri anestetici locali per essere un S-enantiomero in
soluzione
al
99%
sfruttando
quindi
solo
le
specifiche
proprietà
farmacodinamiche e farmacocinetiche di questa forma chimica. La sua solubilità
nella forma commerciale è intorno a valori di pH 6. La sua clearance plasmatica
totale è di 440 ml/min, la renale di 1ml/min, il suo volume di distribuzione è di
47 l che determinano un’emivita di 1,8 ore. Il farmaco iniettato per via
peridurale mostra un assorbimento bifasico con un’emivita delle due fasi
rispettivamente di 14 minuti e 4 ore. Viene metabolizzata in maniera
predominante con idrolisi aromatica ed escreta nell’86% con le urine. Il suo
profilo farmacocinetico è: clearance plasmatica 440 ml/min; volume di
distribuzione 47 l; emivita 1,8 ore; frazione libera 0,06%; metabolita principale
3-idrossi-ropivacaina. Gli effetti collaterali sono gli stessi degli altri amidi a
lunga durata, ma in particolare si è rilevata una ridotta tossicità cardiaca rispetto
alla bupivacaina (Loftus & coll, 1995). Comunque il primo segno di
97
sovradosaggio rimane comunque a carico del SNC. Rispetto agli effetti
collaterali minori quali nausea e vomito nelle pazienti gravide, questi sembrano
essere di minore rilevanza clinica, sempre in comparazione alla bupivacaina.
Gatto
Nessun dato specifico sulla ropivacaina esiste nel gatto sebbene venga
largamente utilizzato nella pratica clinica.
Cane
In questa specie la ropivacaina, se comparata con la bupivacaina a equivalenti
concentrazioni plasmatiche, produce una durata sensoriale ed un blocco motorio
più breve (Feldman & coll, 1996). Se somministrata ad alte dosi può causare in
maniera diretta una pesante vasocostrizione a livello centrale (Ishiyama & coll,
1997). Studi sulla tossicità indicano che concentrazioni plasmatiche elevate di
ropivacaina sono meglio tollerate di quelle di bupivacaina e levobupivacaina
suggerendo un più largo range d’utilizzo di terapeutico rispetto ad altri anestetici
locali (Groban & coll, 2001).
98
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RINGRAZIAMENTI
Vorrei sentitamente ringraziare il professore Giulio Soldani per avermi seguito
nella stesura di questa tesi.
Uno speciale ringraziamento al professore Mario Giorgi per la pazienza, l’aiuto
e la disponibilità.
Grazie anche ai miei familiari e agli amici che mi hanno accompagnato in questi
anni di studio.
136
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