UNIVERSITA’ DI PISA Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria PK/PD dei farmaci analgesici nel cane e nel gatto Candidato: Shapira Sigal Relatori: Prof. Soldani Giulio Dott. Giorgi Mario ANNO ACCADEMICO 2009-2010 אני רוצה להקדיש את התזי למישפחתי ולחברי המיוחד יניב שקד ) (1969-2010שעזב בטרם עת 2 INDICE RIASSUNTO/ABSTRACT pag 10 CAPITOLO 1- IL DOLORE NEGLI ANIMALI pag 11 NEL CANE E GATTO pag 11 CAPITOLO 2 - I FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI pag 14 FARMACOLOGIA DEI FANS pag 15 FARMACOCINETICA pag 19 ASSORBIMENTO pag 19 DISTRIBUZIONE pag 20 METABOLISMO pag 21 ESCREZIONE pag 22 I FARMACI pag 22 PARACETAMOLO pag 22 ACIDO ACETIL SALICILICO pag 24 CARPROFENE pag 26 COXIB pag 28 CELECOXIB/ ROFECOXIB/ VALDECOXIB pag 29 DERACOXIB pag 29 FIROCOXIB pag 30 3 ROBENACOXIB pag 31 FLUNIXINA MEGLUMINA pag 31 KETOPROFENE pag 32 MELOXICAM pag 34 FENILBUTAZONE pag 36 PIROXICAM pag 37 TEPOXALIN pag 38 ACIDO TOLFENAMICO pag 39 VEDAPROFENE pag 40 CAPITOLO 2 – OPPIOIDI pag 42 FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI pag 44 AZIONE FARMACOLOGICA pag 45 EFFETTI ANALGESICI pag 46 EFFETTI SEDATIVI ED ECCITTATORI pag 46 EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE pag 46 EFFETTI SU SISTEMA RESPIRATORIO pag 47 EFFETTI SU SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO pag 47 EFFETTI SU SISTEMA GASTRO-INTESTINALE pag 48 EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO pag 48 EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE pag 48 4 EFFETTI A LIVELLO OCCULARE pag 48 EFFETTI SUL VOMITO pag 48 EFFETTI SU SISTEMA ENDOCRINO pag 49 EFFETTI SU SISTEMA IMMUNITARIO pag 49 EFFETTI METABOLICI pag 49 TOLLERANZA E DIPENDENZA pag 49 FARMACOCINETICA pag 49 CONTROINDICAZIONI pag 50 VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEGLI OPPIOIDI NEGLI ANIMALI pag 50 EFFETTI COLLATERALI pag 51 VIE DI SOMMINISTRAZIONE pag 52 ENDOVENOSA/ INTRAMUSCOLARE/ SOTTOCUTANEA pag 52 ORALE pag 53 SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE pag 53 ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE pag 53 SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE pag 53 I FARMACI pag 54 BUTORFANOLO pag 54 5 BUPRENORFINA pag 55 FENTANILE pag 57 IDROMORFONE pag 58 MEPERIDINA pag 60 METADONE pag 60 MORFINA pag 62 NALBUFINA pag 63 OSSIMORFONE pag 64 TRAMADOLO pag 64 CAPITOLO 3 - ALFA 2 AGONISTI pag 67 SISTEMA NERVOSO CENTRALE pag 67 SISTEMA CARDIOVASCOLARE pag 68 SISTEMA RESPIRATORIO pag 69 SISTEMA ENDOCRINO pag 69 SISTEMA URINARIO pag 70 SISTEMA GASTROENTERICO pag 70 SANGUE pag 70 UTERO pag 70 OCCHIO pag 71 6 VARIE pag 71 ALFA 2 ANTAGONISTI pag 71 I FARMACI pag 71 MEDETOMIDINA pag 71 XILAZINA pag 74 ROMIFIDINA pag 75 CAPITOLO 4 - ANTAGONISTI DEI RECETTORI NMDA pag 78 KETAMINA pag 78 CHIMICA pag 79 FARMACOCINETICA pag 79 MECCANISMO D’AZIONE pag 80 EFFETTI CLINICI SU VARI APPARATI pag 81 SNC pag 81 CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO pag 82 OCCHIO pag 82 APPARATO RESPIRATORIO pag 83 INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI pag 83 SOVRADOSSAGGIO E TOSSICITA pag 84 7 SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI EPATICHE O RENALI pag 85 SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE pag 85 CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA pag 85 SOGGETTI AFFETTI DI EPILESSIA pag 86 INTERAZIONI FARMACOLOGICHE pag 86 CAPITOLO 5 - ANESTETICI LOCALI pag 88 MECCANISMO D’AZIONE pag 88 POTENZA pag 89 TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA ANESTETICA pag 89 SENSIBILITA AGLI ANESTETICI LOCALI pag 89 I FARMACI pag 90 PROCAINA pag 90 TETRACAINA pag 91 PRILOCAINA pag 91 LIDOCAINA pag 92 ETIDOCAINA pag 93 8 MEPIVACAINA pag 94 BUPIVACAINA pag 95 ROPIVACAINA pag 97 CAPITOLO 6 – BIBLIOGRAFIA pag 99 9 RIASSUNTO Parole chiave: dolore, analgesia, farmaci antinfiammatori non steroidei, oppioidi, α2-agonisti, ketamina, anestetici locali, cane e gatto. La gestione del dolore in campo veterinario si basa sulla terapia con farmaci sistemici e/o locali. Le classi di farmaci più utilizzati contro il dolore sono: i FANS, oppioidi, α2-agonisti, anestetici locali e farmaci non convenzionali come la ketamina. Questo lavoro descrive i principi farmacologici delle diverse classi di farmaci in uso, focalizzando l’attenzione su i singoli farmaci. ABSTRACT Key words: pain, analgesia, NSAIDs, opioids, alpha2-agonists, ketamine, local anaesthetics, dogs and cat. Pain management in veterinary medicine is based on the therapy with systemic and/or local drugs. The classes of drugs mostly used against pain are: NSAIDs, opiods, α2-agonists, local anaesthetics and unconventional drugs such as ketamine. This work describes the pharmacological principles of the different classes of drugs in use, focusing on the individual drugs. 10 IL DOLORE NEGLI ANIMALI In assenza di comunicazione verbale, chi valuta il dolore negli animali si deve basare su altre strategie per stabilire la natura e l’intensità dell’esperienza dolorosa o nocicettiva. Un approccio consiste nel considerare i parametri coinvolti nella valutazione di grandi gruppi come avviene nell’uomo, ma sempre per la mancanza della comunicazione verbale, significa che la valutazione si dovrà basare su delle strategie di osservazione. Queste strategie si suddividono in quattro gruppi principali: in primo luogo, l’osservazione o la misura dei parametri fisiologici quali la temperatura, il polso, l’alimentazione e la respirazione possono essere utili. In secondo luogo, come viene modificato il comportamento degli animali; questo strumento è ampiamente utilizzato e potente, in particolare da medici esperti. In terzo luogo, la risposta fisica di esacerbazione dello stimolo doloroso, con la palpazione o la manipolazione e la risposta evocata. Infine l’alterazione del dolore presunto, con la terapia analgesica. Considerando la complessità delle valutazioni interagenti e la variabilità delle specie, sono state sviluppate una serie di scale analogiche visive (VAS), ma sono sempre specie specifiche e spesso situazione specifiche (Livingston, 2004). CANE E GATTO Nel cane, grazie alla stretta associazione con gli esseri umani e l’accesso alle cure mediche, è una specie in cui le risposte del dolore sono state apprezzate, in particolare quando i proprietari sono in sintonia e riescono a rilevare minime variazioni nel comportamento, dell’appetito, perdita di peso, etc. Le diverse condizioni del dolore (acuto, cronico e neuropatico) sono state trattate. Infatti, con l’eccezione degli studi su animali di laboratorio, la maggiore parte dei trattamenti e strategie di prevenzione del dolore sono state sviluppate nel cane e gatto. Nel cane come negli uomini, le risposte al dolore sono potenzialmente modificate in base all’ambiente. Infatti, un cane che soffre il 11 dolore post-chirurgico non presenterà gli stessi comportamenti come quelli che avrà nella propria casa, questo ha portato allo sviluppo della prima VAS (Holton & coll, 1998). Il concetto di VAS non è nuovo, ma la sua introduzione come scala multifattoriale nel cane è stata un progresso significativo. Uno dei problemi comuni di tutte le scale comportamentali è quello di quantificare il dolore poiché la correlazione tra il grado di dolore, la frequenza cardiaca e respiratoria, e le risposte comportamentali quali vocalizzazione o aggressività come risposta alla palpazione, ogni correlazione sarà sempre imprecisa. La VAS sviluppata da Holton fu la prima a fornire una stima, utilizzando una varietà di fattori come una componente della valutazione. Per esempio, a ogni serie di comportamenti e interazioni è stato assegnato un punteggio, questi poi sono stati sommati, indicando il livello d’intervento analgesico richiesto. Questa VAS è stata modificata per produrre una forma abbreviata nota come CMPS (composite measure pain score), impiegato in ambito clinico di routine queste scale sono state studiate per una risposta basata sulle descrizioni, delle interazioni con le persone familiari, con le valutazioni degli aspetti del dolore. Tuttavia, è importante notare che ci sono troppe variabili e ogni VAS può essere utilizzata solo per una forma di dolore in una specie. Cosi la “scala di Glasgow” vale solo per il dolore acuto nel cane, e altri indici CMPS dovranno essere sviluppati per altri tipi di dolore e altre specie. L’analisi al computer dei comportamenti associati al dolore, in particolare la registrazione video, è stata estesa al cane. Due tecniche sono state avanzate “observer” e “ethovision”. Queste due tecniche generalmente valutano l’attività e il movimento, un'altra area d’avanzamento negli ultimi anni è stata l’uso di tecniche di analisi computerizzate del passo, che sono utilizzate per monitorare gli effetti benefici degli analgesici per il trattamento del dolore acuto e cronico agli arti nel cane e gatto. Si comincia anche a comprendere le risposte al dolore attraverso studi elettroencefalografici. La maggior parte della ricerca si basa sui dati nel cane, mentre nel gatto sono stati fatti pochi studi. Infatti, per questo 12 motivo, almeno fino a tempi recenti erano spesso negati gli interventi analgesici nel gatto per il motivo che il gatto potrebbe avere reazioni disforiche con l’uso degli oppioidi, per la difficoltà del metabolismo dei FANS, che ha portato all’aumento della suscettibilità alla tossicità. Studi recenti hanno cambiato un po’ le cose e anche se il riconoscimento di stati del dolore nei gatti non ha ancora ricevuto lo stesso livello d’attenzione del cane. Recentemente, hanno sviluppato dei dispositivi per la misurazione della soglia termica e meccanica nei gatti, che hanno consentito la quantificazione dell’efficacia degli analgesici nel trattamento del dolore acuto, mentre studi sul dolore cronico sono stati concentrati sulle condizioni cliniche analoghe alle situazioni umane, per stabilire il mezzo per ridurre l’insorgenza del dolore severo e per la riduzione generale del dolore cronico associato ad esempio alle condizioni artritiche. Diversi punti d’interesse derivano dal comportamento osservato nei gatti afflitti dal dolore. Infatti, i gatti tendono a nascondere dai padroni quando sentono dolore, questo ovviamente ostacola il riconoscimento in questa specie. I gatti fanno le fusa quando sentono dolore, in contrasto con le convinzioni di molti cioè che le fusa sono sempre un segno di contentezza. I segni più evidenti, come in cani e la maggior parte delle altre specie sono: vocalizzazione, zoppia, guardia, inappetenza, riluttanza al movimento e atteggiamenti particolari. Tutta via se l’animale si nasconde, probabilmente tutti questi indizi sono persi (Livingston, 2004). I farmaci che vengono utilizzati per la riduzione del dolore clinicamente/sperimentalmente nel cane e nel gatto sono: 1) Gli antinfiammatori non steroidei (FANS). 2) Gli oppioidi. 3) Gli α2 agonisti. 4) La ketamina. 5) Gli anestetici locali. 13 I FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS) L’infiammazione è un complesso di eventi vascolari e cellulari che nell’insieme costituiscono la risposta dell’organismo a qualsiasi danno di natura fisica, chimica, biologica, o altro. L’infiammazione per l’organismo ha un significato sia difensivo che offensivo, e può compromettere la qualità della vita dell’individuo, per il dolore che a essa si associa e/o per il danno tissutale che essa provoca. Le molecole appartenenti a questa classe vengono classificati sulla base della loro struttura chimica in: acidi carbossilici • Derivati dell’acido salicilico: salicilato di sodio, acido acetil salicilico, acetilsalicilato di lisina, diflunisal. • Derivati dell’acido propionico: ibuprofene, naproxene, carpofene, ketoprofene, vedaprofene. • Acidi antanilici: acido tolfenamico, acido meclofenamico, acido mefenamico. • Derivati dell’acido acetico: indometacina, sulindac (pro farmaco), eltenac, etodolac, diclofenac, ketorolac, tolmetina. • Acidi amino nicotinici: flunixina meglumina. • Acidi chinolinici: cincofene. Acidi enolici • Pirazolonici: fenilbutazone, dipirone, isopirina. • Oxicami: piroxicam, meloxicam, tenoxicam. 14 Altri • Derivati del paraminofenolo: fenacetina, paracetamolo, acetanilide. • Sulfonanilidi: nimesulide. • Alcanoni: nabumetone. L’attività antinfiammatoria dei FANS deriva principalmente dalla loro capacità di inibire la sintesi e la liberazione delle prostaglandine, che hanno un ruolo chiave nella genesi della sintomatologia clinica dell’infiammazione, soprattutto come “amplificatori” degli effetti di altri mediatori che sono coinvolti nel processo flogistico (bradichinina, istamina, citochine, etc.). In medicina veterinaria esiste una grande differenza specie-specifica nei meccanismi fisiopatologici dell’infiammazione e nella risposta immunitaria (diversa sensibilità agli stimoli, variabilità del tipo e dell’intensità delle reazioni a insulti di varia natura, diversa incidenza di patologie specifiche, etc.). FARMACOLOGIA DEI FANS: I FANS sono largamente utilizzati sia in medicina umana che veterinaria per la loro efficacia nel produrre effetti antinfiammatori, analgesici ed antipiretici, tuttavia sono responsabili, di ben noti effetti collaterali indesiderati (gastropatie, nefropatie, turbe dell’emostasi, etc.), che costituiscono un importante limite al loro potenziale terapeutico. Il primo FANS di sintesi introdotto per l’uso terapeutico è stato il salicilato di sodio, dal quale venne sintetizzato l’acido acetilsalicilico, meglio noto come Aspirina®, che è il progenitore dei FANS moderni. Da allora sono stati sintetizzati altri composti come i derivati pirazolonici (anni 40), l’indometacina (anni 60), i derivati oxicamici (anni 80) che sono stati introdotti nella pratica clinica nel tentativo di produrre un farmaco più efficace e sicuro dell’aspirina; tuttavia nessuno di essi ha mai offerto particolari vantaggi in termini di tollerabilità rispetto all’aspirina (Zizzadro & Belloli 2009). 15 Negli ultimi 15 anni, sono stati compiuti progressi significativi grazie alle conoscenze acquisite in merito alla biologia degli enzimi ciclossigenasi (COX) che rappresentano il principale bersaglio dell’azione dei FANS. Da ciò sono nati i nuovi gruppi di FANS cosidetti “innovativi” (inibitori selettivi delle COX - 2), che rispetto ai FANS “tradizionali, sembrano offrire potenziali vantaggi in termini di efficacia e/o tollerabilità (soprattutto gastrica) anche se nessuno di essi può essere considerato come il farmaco “ideale”. Inoltre, i FANS selettivi, non possono sostituire i FANS tradizionali, ma la loro introduzione ha ampliato le possibilità di scelta del farmaco più adatto per ciascun tipo di paziente e di patologia. I principali effetti terapeutici dei FANS sono: riduzione della febbre, riduzione del dolore e dell’infiammazione. Queste proprietà derivano dalla capacità di questi farmaci di inibire gli enzimi COX, che mediano la produzione delle prostaglandine dall’acido arachidonico (Lees & Coll, 2004 a, b). Recentemente sono state identificate due distinte isoforme di COX: la COX-1 e la COX-2, prodotte da geni differenti (Warner & Mitchell, 2004). Le COX-1 sono presenti in molteplici cellule dell’organismo, comprese le piastrine, le cellule della mucosa gastro-intestinale, le cellule endoteliali e nel rene. In questi tessuti, le COX-1 sono associate con l’attività fisiologica dell’emostasi, come l’aggregazione delle piastrine (attraverso la sintesi di trombossani A2) e con la secrezione gastrica e il bilancio elettrolitico del rene (Warner & Mitchell, 2004). La COX-2 è presente in basse concentrazioni nei monociti, nei macrofagi, nelle cellule muscolari lisce, nei fibroblasti e nei condrociti, ma anche nei tessuti come reni, cervello e sistema riproduttivo, giocando un ruolo cruciale nel funzionamento di questi organi. Questa proteina viene indotta rapidamente da un danno tissutale, dalle citochine, da fattori di crescita, da infezioni batteriche presenti nei siti d’infiammazione (attraverso l’interleukina-1) e da neoplasie 16 come risposta ai mitogeni. Questa descrizione può sembrare troppo semplicistica, dato che entrambe le COX sono note come costitutivamente espresse e inducibili: ad esempio esiste l’evidenza che sia la COX-1 che la COX-2 sono espresse nel SNC e in particolare nel midollo spinale, dove sono coinvolte nel modulare il segnale nocicettivo dovuto a stati dolorosi neuropatici ed infiammatori (Warner & Mitchell, 2004). La maggior parte dei FANS agisce attraverso l’inibizione competitiva degli enzimi COX, così che gli effetti risultino reversibili, una volta che le concentrazioni plasmatiche del farmaco decrescono. Fa però eccezione l’acido acetilsalicilico, che oltre all’inibizione competitiva, blocca in modo irreversibile le COX acetilando un residuo di serina in prossimità del sito attivo dell’enzima (Castella-Lawson & coll, 2001). In questo modo per riattivare l’attività ciclossigenasica deve essere sintetizzato un nuovo enzima; inoltre, le piastrine, non essendo capaci di sintetizzare nuovi enzimi, sono responsabili del prolungato effetto anticoagulante del farmaco. Altro esempio particolare è il paracetamolo, il cui meccanismo d’azione deve essere ancora completamente chiarito, che svolge azioni antipiretiche e analgesiche grazie all’inibizione delle COX a livello del SNC (Graham & Scott, 2005). È da sottolineare che questo farmaco, come tutti quelli coniugati al glutatione, risulta estremamente tossico nel gatto, specie carente di questo enzima. Con lo sviluppo dei nuovi FANS, sono state identificate delle molecole che inibiscono selettivamente la COX-2, apportando minimi effetti sulla COX-1 (Warner & Mitchell, 2004). Queste nuove molecole vengono usate nella pratica clinica, dato che l’effetto terapeutico del farmaco è mediato principalmente dall’inibizione della COX-2, evitando così gli effetti indesiderati apportati dall’inibizione della COX-1 (danni renali e gastro – intestinali, inibizione della funzione piastrinica). 17 Numerosi studi in vitro ed in vivo sono stati effettuati per valutare la selettività d’inibizione dei vari FANS verso le due isoforme, COX-1 e COX-2. Normalmente viene utilizzato il rapporto COX-1/COX-2: questo è stabilito dividendo la concentrazione del farmaco che inibirà la COX-1 di un determinato valore (normalmente 50%, IC50) con la concentrazione del farmaco che inibirà la COX-2 della stessa entità. In base a questo valore i FANS vengono classificati in: 1)Inibitori non selettivi delle COX (ratio=1) se risultano equi-potenti verso la COX-1 e la COX-2 (IC50 cox-1=IC50 COX-2). 2)Inibitori preferenziali o selettivi della COX-1 (ratio <1 o<<1, rispettivamente). 3)Inibitori preferenziali o selettivi della COX-2. Valori elevati rappresentano una selettività verso la COX-2. Sebbene siano stati condotti pochi studi nelle differenti specie, le prime evidenze indicano che potrebbero esserci numerose specie – specificità nella selettività COX-1/COX-2 di alcuni farmaci. Il (R, S-) carprofene, risulta, ad esempio cox-2 selettivo nei cani (rapporto COX 6,5) e gatti (5,5), mentre nei cavalli è praticamente non selettivo (1,9) ed addirittura COX-1 selettivo, nell’uomo (0,02), (Brideau & coll, 2001). Quindi è necessario effettuare studi farmacodinamici nelle specie in cui il farmaco deve essere utilizzato, dato che la selettività del farmaco non può essere estrapolata dai dati provenienti da altre specie. Purtroppo, mentre in campo umano sono numerosi gli studi sulla selettività COX, in campo veterinario, esistono pochissimi dati. Inoltre, oltre alla differenza di specie che di per sé rappresenta un problema, anche il valore del rapporto COX può variare in vivo rispetto al vitro per il sistema usato per 18 l’analisi e l’estrapolazione del dato che può dipendere da molti altri fattori quali distribuzioni del farmaco e interazioni farmacodinamiche. Infine è importante sottolineare che, anche se la COX-2 viene maggiormente indotta in una determinata specie, può risultare costitutiva in un'altra, quindi per ciascuna specie dovremmo conoscere la selettività COX e la fisiologia delle COX nel distretto dove agisce il farmaco. FARMACOCINETICA La farmacocinetica dei FANS mostra degli aspetti più o meno comuni a tutte le molecole, con alcune varietà legate ai singoli composti o più spesso a differenza specie – specifica. ASSORBIMENTO Le formulazioni presenti in commercio sono per uso orale e per uso parenterale (IM, SC, EV). Questi farmaci trovano un largo impiego nei carnivori domestici e sono utilizzati soprattutto in caso di una terapia prolungata. In questi animali l’assorbimento orale è generalmente rapido e completo per la combinazione di tre fattori: il pKa, la liposolubilità ed il pH acido dello stomaco. Infatti, i FANS per la maggior parte sono acidi deboli con valori di pKa compresi tra 3 e 6; nello stomaco, questi farmaci, predominano nella forma indissociata liposolubile che consente un rapido superamento delle membrane cellulari della mucosa gastrica ed un lento abbandono dalla cellula al torrente circolatorio dal momento che il pH intracellulare è leggermente alcalino. Questo, fa si che ci sia un accumulo intracellulare ed una conseguente inibizione completa dell’attività ciclossigenasica della cellula stessa. Tale comportamento giustifica l’azione lesiva che i FANS esercitano sullo stomaco e sulla porzione prossimale del duodeno. Inoltre, la fisiologia digestiva dei carnivori domestici, rende questi animali ancora più sensibili all’azione lesiva dei FANS poiché a livello gastrico il pH è acido e l’assunzione non continua di cibo, fa si che, tra un pasto e l’altro, vadano incontro a uno svuotamento completo dello stomaco, 19 aumentando il rischio di esposizione diretta al farmaco (Zizzadro & Belloli, 2009). DISTRIBUZIONE Nel sangue, i FANS risultano legati alle proteine plasmatiche (>95%) e questo legame si traduce in un limitato volume di distribuzione, cioè una scarsa capacità di raggiungere i distretti extra-vasali, che però non costituisce un limite al raggiungimento di una concentrazione efficace nel sito d’azione dal momento che in un tessuto infiammato aumenta la permeabilità vasale e ciò permette alle proteine plasmatiche di passare nei liquidi interstiziali. Inoltre, in un tessuto infiammato, il pH è debolmente acido favorendo così la forma indissociata e quindi la sua penetrazione nel focolaio flogistico, dove viene intrappolato, raggiungendo una concentrazione sufficiente per inibire la produzione delle prostaglandine. Un altro problema legato al legame siero-proteico è rappresentato dalle possibili interazioni con altri farmaci che si legano alle proteine plasmatiche. La maggior parte dei FANS attraversa liberamente la placenta e la penetrazione della barriera emato-encefalica è legata alle caratteristiche delle varie molecole. Ad esempio: il paracetamolo è un farmaco non acido per cui ha uno scarso legame con le proteine plasmatiche e questa proprietà gli consente una migliore capacità di penetrare nel SNC. METABOLISMO I FANS sono eliminati dall’organismo attraverso processi di metabolismo che si svolgono principalmente in sede epatica. A livello epatico, i FANS possono andare incontro a reazioni di fase-1 (ossidazione, riduzione, idrolisi etc.) e/o a reazioni di fase-2 (coniugazione). La predominanza di una via metabolica rispetto all’altra dipende dal singolo composto e dalla specie animale. 20 In genere la via metabolica della fase-1 porta a formazioni di metaboliti inattivi. Tuttavia, in alcuni casi, i metaboliti presentano un’attività farmacologica residua, che può contribuire all’efficacia terapeutica (il fenilbutazone metabolizzato diventa ossifenilbutazone: il salicilato, metabolita deacetilato dell’acido acetilsalicilico, è privo di molti effetti tipici dell’Aspirina®). In alcuni composti (sulindac e nabumetone), il metabolismo di fase-1 è indispensabile per poter osservare l’effetto terapeutico, poiché, l’attività farmacologica risiede principalmente nei metaboliti. Esiste anche la possibilità che il metabolismo di fase-1 dia luogo a metaboliti tossici come ad esempio il paracetamolo, la cui ossidazione determina la formazione di un metabolita ad elevata epatotossicità. Nella via metabolica di fase-2, nella maggiore parte dei casi, avviene la coniugazione con l’acido glucuronico (glucuronoconiugazione), catalizzata dall’enzima glucuronil-transferasi. Il deficit di attività enzimatica (gatto) spiega alcuni importanti limiti all’impiego di alcuni FANS (aspirina e paracetamolo) in questa specie animale. ESCREZIONE La principale via di eliminazione dei FANS è rappresentata dai reni, e il passaggio nelle urine consegue ad un trasporto tubulare attivo o di filtrazione glomerulare. L’acidità delle urine dei carnivori domestici, favorisce il riassorbimento tubulare, rendendo la loro eliminazione più lenta; ne deriva che l’alcalinizzazione delle urine rappresenta un utile metodo per accelerare l’eliminazione di questi farmaci in caso di sovradosaggio e/o comparsa di effetti tossici. Nel cane i farmaci come naproxene, ibuprofene e indometacina, attraverso la glucurono-coniugazione, vengono eliminati in massima parte per via biliare 21 subendo così il circolo enteroepatico, che spiega la loro lunga emivita in questa specie animale. Inoltre, un'altra conseguenza di questo fenomeno è l’esposizione prolungata della mucosa enterica al farmaco, che spiega la frequente comparsa di ulcere duodenali piuttosto che gastriche, quando si ha l’assunzione prolungata di questi farmaci da parte del cane. USI CLINICI Per le loro proprietà farmacologiche, i FANS, trovano un largo impiego in tutte le condizioni morbose. I FARMACI PARACETAMOLO Questa molecola è uno dei farmaci più utilizzati in medicina umana nel trattare il dolore lieve e stati febbrili, ma talvolta questo farmaco viene utilizzato anche in altre specie (uso fuori etichetta). In Italia, viene applicata nei trattamenti degli stati febbrili in suini affetti da sindrome influenzale (Gabbrocet®). Gatto Questa molecola è controindicata per svariate ragioni. In primo luogo l’indice terapeutico in questa specie è molto basso, già a 60 mg/kg provoca gravi effetti collaterali quali anoressia, vomito, depressione, metaemoglobina ed anemia dei corpi di Heinz (Savides & Coll, 1984). In secondo luogo, nei gatti, a dosi terapeutiche, il paracetamolo non mostra una cinetica di eliminazione lineare, accumulandosi ed evidenziando effetti tossici con somministrazioni ripetute. 22 Il T ½ nel gatto passa da 0,6 a 4,8 h, dopo dosaggi rispettivamente di 20 e 120 mg/kg (Savides & coll, 1984). In terzo luogo, grazie alla scarsa capacità di glucuronare il farmaco per l’eliminazione della molecola, viene sfruttata la via della solfatazione (detossificate), che una volta saturata, si attiva un metabolismo del citocromo P450 che produce un metabolita altamente reattivo denominato N-acetil-pbenzochinone-ammina che porta danni ossidativi (Allison & coll, 2000). La comparsa di metaemoglobina è il sintomo più precoce di tossicità nel gatto, può verificarsi anche una necrosi centro lobulare a livello epatico. In questa specie animale il paracetamolo non sarebbe da utilizzare, anche se in letteratura sono numerosi i casi di somministrazione accidentale o intenzionale del farmaco (Finco & coll, 1975; Sundlof, 1990; Jones & coll, 1992; Villar & coll, 1998). Cane Nel cane per produrre gli stessi effetti tossici mostrati nel gatto sono necessari dosaggi 5 volte superiori (300 mg/kg) (Savides & coll, 1984). I T ½ rimangono costanti (1,2 ore) anche con dosaggi superiori a 200 mg/kg grazie ad una glucuronazione epatica costante del farmaco. Comunque trattamenti prolungati per 6 settimane (325 mg/die in cani di circa 7 kg) hanno mostrato variazioni significative nei parametri ematici dei pazienti: metaemoglobinemia al 4,6%, elevate attività sieriche di alanina transaminasi e fosfatasi alcalina, e iperbilirubinuria (Harvey & coll, 1976). Ultimamente, in uno studio condotto da Spiler & coll, (2005), il paracetamolo viene suggerito come farmaco cardiovascolare per la riduzione di aree infartuate; ulteriori studi saranno necessari per confermare questa nuova applicazione. ACIDO ACETILSALICILICO L’acido acetilsalicilico, largamente conosciuto come “aspirina”, viene rapidamente idrolizzato per opera dell’esterasi ad acido salicilico, molecola attiva ma con azione inferiore rispetto al farmaco parentale (Williams & coll, 23 1989). L’aspirina inibisce irreversibilmente le COX attraverso l’acetilazione covalente di un residuo serinico (Patrono, 1989); per rigenerare le funzioni COX in molti tessuti, nuovi enzimi devono quindi essere sintetizzati. Le piastrine però non hanno la possibilità di rigenerare nuovo enzima e la funzione COX rimane permanentemente inattivata in queste cellule. La clearance di questo farmaco è regolata dalla coniugazione con glutatione e con glicina, ma esiste anche un’eliminazione renale di farmaco non modificato (Davids & Westfall, 1972). In Italia esistono numerose formulazioni per bovini, suini e pollame (Acido acetilsalicilico 80% Dox-AL®; ASA 50®; Ascopir®; Ganadol®; Salicimix®) indicato come antipiretico antinfiammatorio analgesico in tutti gli stati flogistici compresi quelli sostenuti da virus e batteri, processi infiammatori e degenerativi a carico dell’apparato muscolo scheletrico, forme reumatiche croniche ed acute, nella terapia sintomatica dell’ipertermia di origine infettiva o di natura non precisata. I tempi di sospensione sono nulli ma il farmaco non va somministrato in galline ovaiole in ovodeposizione e in bovine il cui latte è destinato al consumo alimentare. Gatto La farmacocinetica dell’aspirina nei gatti mostra una bassa clearance dell’acido salicilico (4-5 ml/kg h) ed un prolungato tempo di emivita (22-45 ore) se paragonato con altre specie (Davis, 1980; Parton & coll, 2000). Da ciò deriva che la dose terapeutica da somministrare a questa specie è più bassa e gli intervalli di dosaggio più lunghi che in altre specie animali. Questo farmaco è stato il FANS più studiato per quanto riguarda la coagulazione ematica nei gatti, allo scopo di trovare una dose di aspirina che prevenisse le trombosi associate con cardiomiopatie e parassiti cardiaci (Dirofilaria immitis), senza risultare tossica. La maggior parte degli studi, sebbene talvolta conflittuali, hanno mostrato una modesta inibizione dell’aggregazione piastrinica alla dose di 20-25 mg/kg (Lascelles & coll, 2007). Al momento non esistono però studi che 24 valutano l’efficacia e la sicurezza dell’aspirina nel trattamento del dolore, febbre ed infiammazione nel gatto. Il dosaggio suggerito di norma in gatti contro dolore e febbre è di 10 mg/kg ogni due giorni, mentre dosi da 10 a 25 mg/kg ogni 1-2 giorni potrebbero essere usate contro i fenomeni flogistici avendo sempre cura di controllare la tossicità gastrointestinale (Lascelles & coll, 2007). Cane Nel cane l’aspirina mostra un volume di distribuzione variabile tra 0,4 e 0,6 l/kg. La biodisponibilità varia con la casa produttrice altrettanto quanto con la preparazione ed è compresa in un intervallo tra il 68 ed il 76% (Morton & Knottenbelt, 1989). La dose necessaria per alleviare clinicamente varie zoppie del cane sembra variare da 23 a 86 mg/kg due volte al giorno, con concentrazioni plasmatiche variabili tra 71 e 281 µg/ml (Jezyk, 1983). La variabilità nell’eliminazione del farmaco nelle varie specie suggerisce che un monitoraggio del farmaco in corso di terapie prolungate può essere utile per accertare il raggiungimento delle concentrazioni efficaci ed escludere quelle tossiche >300µg/ml (Morton & Knottenbelt, 1989). Gli stessi ricercatori hanno anche dimostrato una correlazione tra concentrazione plasmatica ed effetto clinico: dopo somministrazioni di 25 mg/kg ogni 8 ore possiamo ipotizzare che le concentrazioni plasmatiche si conservino efficaci. Anche gli effetti collaterali a carico dell’apparato GI sembrano dose e preparazione dipendenti. Dosi di 25 mg/kg di aspirina semplice provocano nel cane erosioni della mucosa nel 50% dei soggetti, mentre si verifica un minimo danno in animali che abbiano ricevuto la stessa dose sottoforma di preparazioni tamponate o gastro-resistenti (Lipowitz & coll, 1986). CARPROFENE Il carprofene è una miscela racemica degli enantiomeri R (-) e S (+) in rapporto 1:1. L’enantiomero S (+) sembra essere quello con maggiore attività (Lees & 25 coll, 2004b). In Italia è commercializzato come specialità veterinaria per cani e gatti (Norocarp®; Rimadyl®), indicato nel trattamento dell’infiammazione e del dolore nelle forme patologiche acute e croniche a carico degli apparati muscolare e scheletrico (osteoartriti, etc). Può inoltre essere impiegato per la terapia del dolore post-operatorio grazie alla sua ridotta tossicità renale. Gatto Taylor & coll, (1996) hanno suggerito che il carprofene causa una limitata inibizione COX risolvendo l’aneddoto della sua riconosciuta buona sicurezza e del susseguente largo uso in medicina veterinaria. Brideau & coll, (2001) hanno indicato una preferenziale inibizione COX-2 nel sangue di gatto, mentre Giraudel & coll, (2005) hanno evidenziato che questa selettività si perde con l’aumentare della dose. Alle posologie consentite in Europa (4 mg/kg) è stata valutata un’inibizione del 100% della COX-2 e del 44% della COX-1 (Giraudel & coll, 2005). Nei paesi dove è approvato come farmaco veterinario (Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Italia, Belgio, Australia e Nuova Zelanda) questa molecola viene indicata in casi di dolore post operatorio e somministrata per via endovenosa e sottocutanea alla dose di 4 mg/kg. Questo farmaco riporta nei gatti lievi effetti collaterali (comuni a tutti i FANS) ed un’ottima efficacia clinica. Il carprofene in uno studio condotto su 30 gatti sottoposti ad ovarioisterectomia ha prodotto una profonda e prolungata analgesia se comparato con la meperidina (Lascelles & coll, 1995). Altri studi hanno confermato l’ottima analgesia del carprofene nell’ovarioisterectomia comparandolo a buprenorfina e butorfanolo (Mollenhoff & coll, 2005; Al-Gizawiy & Rude, 2004). Casi clinici di tossicità da carprofene sono noti, ma sono generalmente associati a patologie contemporanee e a somministrazioni prolungate della formulazione orale (Runk & coll, 1999). Uno studio (Parton & coll, 2000) non ha però mostrato alcun effetto collaterale a livello GI dopo singola dose di farmaco. Il carprofene non sembra variare la funzionalità renale dato che i livelli di urea e creatinina non 26 risultano influenzati dalla combinazione di chirurgia, anestesia e posologia analgesica (Lascelles & coll, 1995). Alcuni autori sottolineano comunque come la dose che massimizza il margine di sicurezza e si mantiene clinicamente efficace sia 1-2 mg/kg in dose singola (Lascelles & coll, 2007). Cane Il carprofene è un farmaco di prima scelta in questa specie: si tratta di un inibitore reversibile e selettivo della COX-2 con un buon profilo tossicologico nel cane, con un’incidenza piuttosto bassa di effetti indesiderati sul tratto GI. Nel cane mostra un assorbimento orale >90% con un’emivita di circa otto ore. Sebbene sia in commercio come racemo, l’isomero S è circa 200 volte più potente del suo enantiomero R. Uno studio sulla valutazione biofarmaceutica di differenti formulazioni di carprofene (Schmitt & Guentert, 1990), indica dopo somministrazione iv (100 mg/cane), un T½ 11,7 ore, un volume di distribuzione compreso tra 0,12-0,22 l/kg ed una clearance di 0,017 l ora/kg. L’assorbimento orale si è dimostrato più rapido della formulazione rettale, mentre la biodisponibilità relativa del farmaco somministrato in supposte è risultata più bassa del 20% rispetto alla soluzione somministrata per via orale. Dopo somministrazione orale questo farmaco subisce una circolazione enteroepatica enantioselettiva soltanto per l’enantiomero S (+) (Priymenko & coll, 1998) ed è quindi importante la preventiva valutazione della funzionalità epatica e del pH intestinale del paziente per prevenire importati variazioni nella biodisponibilità. Clark & coll (2003) hanno dimostrato inoltre che la biodisponibilità della somministrazione orale e sottocutanea sono uguali. COXIB Il termine coxib, spesso usato in letteratura, deve essere associato ad una specifica classe di composti facente parte di una sottoclasse dei FANS come riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e non a tutti i composti con attività blanda sulla COX-1. Ad eccezione del lumiracoxib, tutti i farmaci con il 27 suffisso COXib portano una struttura triciclica ed un gruppo solfone o solfonamidico; lumiracoxib ha invece una struttura biciclica. Questa struttura chimica dona all’intera classe alta specificità d’azione, saturabilità e facile reversibilità di legame. I COXib, come tutti i FANS, inibiscono la COX-2 apportando un blando effetto sulla COX-1. Frequentemente i termini COX-2 selettivo, COX-2 specifico o COX-2 preferenziale sono usati per descrivere l’azione di alcuni FANS, ma ciò può trarre in confusione senza fornire il rapporto di inibizione delle COX. In tutto il mondo, numerosi COXib sono stati introdotti in medicina umana e numerosi altri sono in fase III di sperimentazione. Questi composti includono 2 metil solfoni (rofecoxib ed eterocoxib) ed i 2 solfonamidi (celecoxib e il più nuovo, di seconda generazione, valdecoxib disponibile in forma iniettabile come parecoxib). Il più nuovo della classe è però il lumiracoxib che rispetto agli altri COXib riporta un più breve tempo di emivita e un’affinità maggiore per la COX-2. Sebbene l’introduzione in medicina veterinaria di farmaci con scarsa influenza sulla COX-1 abbia dato buoni risultati, non sono ancora stati completamente eliminati gli effetti collaterali. Ultimamente per esempio, una nuova variante di COX-1 è stata descritta ed è stata chiamata COX-3. Questo isoenzima è stato isolato dalla corteccia celebrale di cane ed è inibito da paracetamolo, aspirina, diclofenac ed ibuprofene. La sua sensibilità a questi farmaci potrebbe parzialmente spiegare l’efficacia di queste molecole nel controllo della febbre e del dolore. I futuri sviluppi di nuove classi di FANS selettivi sono adesso rivolte alla COX-3. CELECOXIB, ROFECOXIB, VALDECOXIB Queste molecole sono farmaci COX-2 selettivi approvati per l’uso in medicina umana. Non esistono preparazioni veterinarie commerciabili in Italia per questi tre principi attivi. Il rofecoxib è stato ultimamente sospeso dalla commercializzazione a causa di un sospetto aumento nel rischio di trombosi cardiovascolare dopo terapie prolungate. Sebbene non approvati per gli animali, 28 la sicurezza di questi farmaci nell’uomo ha portato all’utilizzo off-label in altre specie attraverso studi di efficacia e sicurezza in animali da compagnia (Moreau & coll, 2005). Brideau & coll, (2001) saggiando e comparando la selettività di numerosi FANS aspecifici e COX-2 selettivi in cani, gatti e cavalli concludono che questa ultima classe di farmaci potrebbe provocare una più bassa incidenza di effetti collaterali se confrontata con i classici FANS. Ulteriori studi sperimentali su efficacia, sicurezza e farmacocinetica nelle singole specie si rendono però necessari prima di intraprendere trattamenti clinici in specie veterinarie. Ultimamente il parecoxib (Dynastat®) un profarmaco iniettabile del valdecoxib ha dato ottimi risultati in medicina umana ed è ad i primi trials in medicina veterinaria. La farmacodinamica in vivo sembra essere ottimale (Kongara & coll, 2009), la cinetica è ai primi stadi di studio, e la dinamica ex vivo ed in vitro deve essere ancora testata. DERACOXIB Sebbene non esistano ancora preparazioni farmaceutiche per la medicina veterinaria in Italia,mentre è commercializzato in USA e Canada come Deramaax®, il deracoxib è una molecola sulla quale negli ultimi anni sono stati condotti alcuni studi in animali da compagnia (Cox & coll, 2005; Gassel & coll, 2006; Sennello & Leib, 2006). I dati più interessanti sembrano essere quelle sul tempo di emivita (8,4 ore) nel gatto, risultato di 3 ore più prolungato rispetto a quello riscontrato nel cane. FIROCOXIB Questo farmaco è stato recentemente approvato in Europa (in Italia Previcox®) e negli USA per il trattamento del dolore derivante da osteoartriti nel cane (5 mg/kg) e nel cavallo (0,1 mg/kg solo USA). 29 Gatto Molto scarse sono le informazioni in questa specie, sebbene sembri essere un inibitore altamente COX-2 selettivo nei felini dopo una dose di 2 mg/kg iv o 3 mg/kg os (Lascelles & coll, 2007). Cane Concentrazioni plasmatiche di firocoxib mantenute a regimi terapeutici sono capaci di inibire la COX-2 con uno scarso impatto sulla COX-1 (McCann & coll, 2005). La selettività COX-2 registrata risulta di 350/430 volte rispetto alla COX-1. In studi clinici il firocoxib è risultato nel cane altamente efficace per il controllo del dolore e dell’infiammazione associati con osteoartriti (Hanson & coll, 2006; Pollmeier & coll, 2006; Ryan & coll, 2006). Inoltre lo zoppicamento in cani con sinoviti sperimentalmente indotte trattati con firocoxib si è rilevato minore rispetto al gruppo trattato con carprofene (McCann & coll, 2004). Studi preliminari (28 giorni di trattamento) sulla tossicità GI del farmaco hanno dato esito negativo; terapie più prolungate potrebbero comunque comportare il verificarsi di ulcere duodenali (Steagall & coll, 2007). Ulteriori studi su terapie prolungate con firocoxib non hanno mostrato nessun effetto collaterale a livello GI, e dei parametri biochimici sierici od ematologici, suggerendo che il dosaggio di 5 mg/kg per un mese nel cane sembra essere ben tollerato (Mantovani & coll, 2007). ROBENACOXIB COX-2 selettivo (Onsior®) di ultima generazione. Indicato per il trattamento del dolore e dell'infiammazione associati a chirurgia ortopedica o dei tessuti molli nei cani e gatti. Gatto I dosaggi testati in questa specie attraverso il PK/PD modelling sono variati da 0,1 fino a 10 mg/kg (Giraudel & coll, 2009a). La concentrazione massima e stata 30 rilevata tra 1 e 1,5 ore. Il rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (32) (Schmid & coll, 2010). La dose clinica è di 1 mg kg con un limite a 2,4 mg/kg. Cane Un intervallo di dosaggio da 0,25 a 4 mg/kg ha permesso una riduzione del dolore e dell’infiammazione primaria e secondaria (Schmid & coll, 2010). Il rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (19,8) (King & coll, 2010). Dopo somministrazione SC la Cmax è rilevata ad 1 ora e le concentrazioni plasmatiche rimangono sopra il limite di determinazione del metodo fino all’ottava ora (Jung & coll, 2009). La dose clinica varia da 1-2 mg/kg al giorno. FLUNIXINA MEGLUMINA Derivato dell’acido nicotinico con forte effetto analgesico, utilizzato per alleviare dolori altrimenti riducibili soltanto con oppiacei. Particolarmente indicato nei dolori viscerali acuti associati a sindromi coliche. Viene inoltre indicato in processi infiammatori in cui esiste una contro indicazione alla terapia con i corticosteroidi. In Italia sono commercializzate diverse formulazioni iv ed im specifiche per bovini, equini e suini (Alivios®, Finadyne®, Flogend®, Flunamine®, Flunifen®, Flunixin®, Meflosyl®, Niglumine®). Gatto Questa molecola è ben assorbita dal tratto GI dei gatti e sottostà al fenomeno della circolazione enteroepatica con conseguente biodisponibilità >100% (McKellar & coll, 1991; Taylor & coll, 1994). Il tempo di emivita è risultato di 1-1,5 ore (con limite di determinazione di 0,25 µg/ml) e di 6,6 ore (con limite di determinazione di 0,046 µg/ml). Il tempo di emivita potrebbe essere ridotto bloccando il ricircolo enteroepatico. In studi sulla tossicità epatica è stato evidenziato un incremento dell’alanina aminotransferasi (ALT) da 11,4 a 21,3 UI/l, suggerendo una possibile tossicità epatica causata da somministrazioni croniche (Lascelles & coll, 2007). 31 Cane Dopo somministrazione iv di 1,1 mg/kg in cani sani, l’emivita del farmaco è risultata di 3,67 ore, la sua clearance di 0,064 l/h/kg ed il volume di distribuzione di 0,18 l/kg (Hardie & coll, 1985). La flunixina sembra modulare lo shock settico nel cane, infatti, dosi di 1,1 mg/kg bloccano la produzione di prostaglandine I2 mentre dosi di 2,2 mg/kg aumentano il tempo di sopravvivenza di cani in preda a shock settico (Hardie & coll, 1985). La tossicità, di solito a carico del tubo GI, limita l’uso di questo farmaco nel cane a 2-3 giorni. Dosi prolungate o 3-5 volte superiori a quelle consigliate determinano con certezza disturbi GI (Luna & coll, 2007). KETOPROFENE Il ketoprofene è una molecola chirale avente due forme speculari enantiomeriche R (-) e S (+) con farmacocinetiche diverse. Poiché è un potente inibitore delle ciclossigenasi, ha forti proprietà antinfiammatorie, analgesiche ed antipiretiche. Anche se non definitivamente certo l’efficacia ketoprofene è anche attribuita alla sua abilità di inibire le lipossigenasi e la conseguente formazione di leucotrieni; sembra anche possedere un’importante azione antagonista sulla bradichinina (Williams & Upton, 1988). Il farmaco è commercializzato in Italia come specialità per cani, gatti, equini, suini e bovini in compresse da 5, 10 e 20 mg in soluzioni intramuscolo o sottocutanee (1 e 10%) (Findol®, Vet-Ketofen®). Gatto Utilizzato nel trattamento degli stati infiammatori e dolorosi del gatto con particolare rilevanza in artriti, traumi lussazioni, distorsioni, ernie del disco ed edemi. Particolarmente indicato anche nel trattamento degli stati febbrili. In gatti con piressia 39,3°C il ketoprofene più antibiotici ha mostrato un migliore recupero che in gatti somministrati solo con antibiotici (Glew & coll, 1996). In uno studio su gatti ovarioisterectomizzati, la riduzione del dolore si è rilevata sovrapponibile a quella riscontrata dopo 4-8 ore da trattamento con oppioidi 32 come meperidina e buprenorfina (Slingsby, 1997). Altri studi condotti sempre su gatti ovarioisterectomizzati, hanno dimostrato invece la maggiore efficacia del ketoprofene rispetto agli oppiacei (Slingsby & Waterman-Pearson, 1998; 2000). Due casi di insufficienza renale sono stati riportati nel gatto ma dopo somministrazioni 15 volte superiori a quelle normalmente utilizzate (Pages, 2005). Da una valutazione critica dei dati presenti in letteratura fino al 2007, i dosaggi raccomandati sono 1 mg/ml (os o sc) per un massimo di 5 giorni o 2 mg/kg in singola somministrazione (Lascelles & coll, 2007). Cane Rapidamente assorbito nel tratto GI riporta delle cinetiche simili dopo somministrazione orale od intramuscolare, sebbene il dosaggio im dia una Cmax più elevata (Schmitt & Guentert, 1990). È stato inoltre evidenziato che la presenza di cibo nello stomaco non ne influenza la biodisponibilità. Analogamente ad altri FANS questa molecola si lega per il 99% alle proteine plasmatiche; bisogna quindi avere cura di prevenire politerapie con farmaci che possono spiazzare il ketoprofene dalle proteine plasmatiche aumentandone drasticamente la biodisponibilità. La sua metabolizzazione avviene per via epatica con trasformazione in metaboliti inattivi e l’eliminazione per via urinaria sottoforma di coniugato glucuronato. Ultimamente in questa specie è stata anche riportata una possibile circolazione enteroepatica dovuta a fenomeni di picchi plasmatici multipli a seguito di somministrazioni sia orali che iv (Granero & Amidon, 2008). Studi sulla tossicità del ketoprofene in cani riportano che somministrazioni multiple di dosi ridotte (0,25mg/kg) hanno rilevato danni da leggeri a moderati sull’apparato GI, mentre non si sono verificati effetti sulle funzioni renali ed omeostatica (Narita & coll, 2006). MELOXICAM Questo principio attivo è largamente biodisponibile dopo somministrazione sottocutanea in numerose specie animali. La sua attività sembra essere rivolta 33 soprattutto a produrre un’inibizione maggiore della COX-2 rispetto alla COX-1 (Lees & coll, 2004a). In Italia è registrato come specialità per cani, gatti, equini, bovini e suini (Metacam®) nell’attenuazione dell’infiammazione e del dolore nei disturbi muscoloscheletrici sia acuti che cronici. Gatto La terapia nei gatti con questo farmaco viene di norma adottata come singola, prevalentemente prima di interventi chirurgici. L’efficacia antipiretica del meloxicam nel gatto è stata valutata come dose dipendente attraverso uno studio sperimentale su modelli felini in dosi multiple iv (0,1 - 0,3 - 0,5 per 5 giorni). La dose iv efficace è stata stimata come 0,3 mg/kg (Justus & Quirke, 1995). In un altro studio dosi superiori di farmaco (4 mg/kg) sono state somministrate a gatti anestetizzati, inducendo blandi effetti sulla pressione arteriosa e nessun effetto sul flusso ematico, velocità cardiaca, tracciato ECG e volume respiratorio (Engelhardt & coll, 1996). Valutazioni sull’efficacia clinica del meloxicam in gatti con disordini locomotori dovuti al dolore (dose di attacco 0,3 mg/kg seguita da 4 giorni a 0,1 mg/kg) hanno mostrato che non esiste una differenza significativa se confrontati con dosaggi di ketoprofene ad 1 mg/kg per 5 giorni consecutivi. Entrambi sono stati ben tollerati dagli animali evidenziando bassi effetti collaterali. Il meloxicam ha mostrato una compliance maggiore grazie alla sua migliore palatabilità (Lascelles & coll, 2001). Invece studi di confronto con oppioidi (butorfanolo) hanno mostrato un’efficacia maggiore del FANS rispetto al derivato oppioide, sebbene gli effetti collaterali si siano dimostrati apparentemente sovrapponibili (Carroll & coll, 2005). Dato che non esistono dati sulla tossicità indotta da trattamenti prolungati con meloxicam sarebbe necessario non somministrare cronicamente questo farmaco. In studi tossicologici in dose singola le BUN risultano diminuite, mentre le aspartato aminotransferasi aumentate, lasciando inalterate la creatina e le ALT (Slingsby & Waterman-Pearson, 2002). Alcuni autori dopo valutazione critica dei dati presenti in letteratura raccomandano dosi di 0,1-0,2 mg/kg os o sc per il dolore 34 post operatorio seguita da dosaggi giornalieri di 0,05 mg/kg per 1-4 giorni; ridurre poi la dose a 0,025 mg/kg ogni 24-48 ore e monitorare strettamente l’animale per eventuali effetti collaterali (Lascelles & coll, 2007). Cane Questo farmaco in cani sani mostra una cinetica molto lunga con concentrazioni plasmatiche determinabili fino a 70 ore dopo il dosaggio; Tmax 8,5 ore, Cmax 0,82 µg/ml e T1/2 12-13 ore (Montoya & coll, 2004). Studi sull’efficacia del meloxicam nell’attenuazione del dolore derivante da chirurgia ortopedica dimostrano che questo farmaco è sicuro ed efficace se somministrato iv in dose singola (0,2 mg/kg) prima dell’intervento (Deneuche & coll, 2004). Altri studi attestano che l’efficacia clinica e gli effetti collaterali di singoli dosaggi di meloxicam (0,2 mg/kg) sono uguali a quelli riscontrati con trattamento di carprofene (4 mg/kg) (Arculus, 2004). Recenti studi sulla permeabilità GI e sulla capacità assorbente della mucosa di cane dimostrano che il meloxicam somministrato a dosi terapeutiche per 7 giorni non influenza significativamente questi parametri (Craven & coll, 2007). Viceversa un altro studio in cui viene sviluppato un trattamento fino a 90 giorni con dosi di 0,1 mg/kg riporta una lieve frequenza di effetti GI, un incremento nel tempo di sanguinamento e di coagulazione dopo 7 giorni (Luna & coll, 2007). Un recente studio riporta inoltre reazioni cutanee ed oculari associate a somministrazioni di meloxicam in un cane (Niza & coll, 2007). E’ quindi buona norma monitorare strettamente eventuali effetti collaterali in cani con pregresse patologie cutanee allergiche o cani trattati per alleviare il dolore cronico. FENILBUTAZONE Questa sostanza è commercializzata in Italia sottoforma di formulazione iv, im, gel, granuli, polvere e pasta per cavalli (Bute®, Afibutazone®, Fenilbutazone®). Indicato in soggetti sportivi per tutti i processi dolorifici ed infiammatori, dovuti a traumi e accompagnati da tumefazioni. Il prodotto non deve essere 35 somministrato a cavalli allevati a scopo alimentare. In ogni caso i cavalli sportivi potranno essere destinati all’alimentazione umana dopo 180 giorni dall’ultima somministrazione. Gatto Sebbene non registrato per questa specie, questa molecola è stata utilizzata nei gatti, ma un’alta incidenza di effetti tossici ne suggerisce un’estrema precauzione nel suo impiego. Secondo alcuni studi il 100% di gatti trattati con dose giornaliera di 44 mg/kg diviene anoressico dopo 2-3 giorni e l’80% di essi muore dopo 2-3 settimane. La tossicità si manifesta primariamente a carico del midollo osseo ed è caratterizzata da una ridotta produzione di eritroblasti oltre che da una possibile interferenza sulla maturazione degli elementi della serie mieloide. Si rilevano anche tossicità GI, epatotossicità e nefrotossicità (Carlisle & coll, 1968). Cane Nonostante l’uso del fenilbutazone sia autorizzato da parte del FDA con formulazioni orali nel cane, poche sono le informazioni che si hanno su tale uso. Apparentemente il cane tollera meglio dell’uomo questo farmaco. Il fenilbutazone riporta un breve tempo di emivita 3-6 ore (Zech & coll, 1993). Questo farmaco viene spesso utilizzato illegalmente per ridurre i dolori articolari in cani sportivi (Mills & coll, 1995). PIROXICAM Questa molecola è utilizzata in Italia (Flogostil® collirio) in cani e gatti affetti da stati infiammatori oculari, reazioni flogistiche post-traumatiche, cheratocongiuntiviti di natura allergica o da agenti chimici o fisici e mantenimento della midriasi intra-operatoria. Negli ultimi anni questo farmaco viene utilizzato in associazione con antitumorali per la sua possibile azione antiangiogenetica, apportando una riduzione nei dosaggi dei chemioterapici (terapia metronomica). 36 Gatto Il piroxicam è ben assorbito per via orale nel gatto (80%) e sembra essere ben tollerato alla dose di 0,3 mg/kg. La sua emivita di 13 ore fa presupporre una singola somministrazione giornaliera e sembra dovuta ad una circolazione enteroepatica. Cane Se somministrato alla dose di 0,3 mg/kg a cani beagle riporta un’emivita di 40 ore, un volume di distribuzione di 0,29 l/kg, ed una clearance di 0,0066 l/ora. La sua biodisponibilità orale si attesta intorno al 100% con una Cmax di circa 3 ore (Galbraith & McKellar, 1991). Sebbene la DL50 nel cane sia superiore a 700 mg/kg, in soggetti trattati con 1 mg/kg al giorno possono verificarsi lesioni gastriche e necrosi delle papille renali; lievi fenomeni di tossicità (GI od emorragie) possono verificarsi anche a seguito di dosi di 0,3 mg/kg a giorni alterni (Knapp & coll, 1992). TEPOXALIN Molecola classificata come inibitore sia della COX-1 e COX-2 che della 5 lipoosigenasi. E’ indicato in Italia nel cane (Zubrin®) per la riduzione dell’infiammazione o sollievo del dolore associati a patologie muscolo scheletriche acute o croniche. Gatto Farmaco non approvato per l’uso nel gatto; non esistono informazioni sulla sua efficacia, sulla sicurezza o tossicità in questa specie (Lascelles & coll, 2007). Cane Il tepoxalin viene assorbito rapidamente (Tmax di circa 2 ore) dopo somministrazione orale nel cane. Alla dose terapeutica di 10 mg/kg, la Cmax di tepoxalin è 1,08 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto a basso 37 contenuto lipidico, 1,19 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto ad elevato contenuto lipidico e 0,58 µg/ml a digiuno. L’assorbimento di tepoxalin è quindi facilitato durante la somministrazione a stomaco pieno (Homer & coll, 2005). Tepoxalin viene in larga parte convertito nel suo metabolita acido potente inibitore della ciclossigenasi prolungando l’attività del composto immodificato. Nel cane, le concentrazioni plasmatiche del metabolita acido sono più elevate di quelle del farmaco immodificato. Non si rileva accumulo di tepoxalin o del suo metabolita acido dopo somministrazione ripetuta, a diversi dosaggi. Tepoxalin ed i suoi metaboliti sono fortemente legati alle proteine plasmatiche, in misura superiore al 98%. Tepoxalin ed i suoi metaboliti sono escreti nelle feci (99%) (Agnello & coll, 2005). La sua somministrazione in singola dose o per dieci giorni prima dell’intervento chirurgico non sembra influenzare il tempo richiesto per indurre l’anestesia nel paziente (Matthews & coll, 2007). In seguito del trattamento può manifestarsi vomito o diarrea. Occasionalmente può comparire anche eritema e alopecia, ed i tipici effetti indesiderati associati ai FANS quali vomito, feci molli/diarrea, sangue nelle feci, ridotto appetito e letargia. Alla comparsa di tali effetti indesiderati, il trattamento dovrebbe essere interrotto immediatamente. In rari casi, in particolare in cani anziani o con ipersensibilità al principio attivo, questi effetti indesiderati possono essere gravi o fatali. Nel corso di uno studio clinico, l’incidenza di reazioni gastrointestinali (diarrea/vomito) è stata del 10% (Knight & coll, 1996). Il tepoxalin non deve essere somministrato in associazione ad altri farmaci antiinfiammatori non steroidei o corticosteroidi. Altri FANS, diuretici, anticoagulanti o altri farmaci che possiedono un forte legame con le proteine plasmatiche possono competere per tale legame, causando effetti potenzialmente tossici. La somministrazione orale di 30 mg/kg di p.c. ed oltre di tepoxalin (sovradosaggio) è associata a feci scolorite, di colore variabile da bianco a giallo, risultato del farmaco non assorbito. Il sovradosaggio da FANS è caratterizzato da: vomito, feci soffici/diarrea, presenza di sangue nelle feci, riduzione dell’appetito e letargia. In caso di sovradosaggio sospendere la terapia. Se si sospetta sanguinamento 38 gastrointestinale, somministrare protettori della mucosa gastrica. Se il vomito continua, somministrare farmaci anti-emetici. Controllare frequentemente l’ematocrito. Somministrare fluidi per via endovenosa e, se necessario, trasfondere sangue intero. ACIDO TOLFENAMICO L'acido tolfenamico (acido N- (2-metil-3-clorofenil) antranilico) è un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente al gruppo dei fenamati. L'acido tolfenamico esercita un'attività antinfiammatoria, analgesica ed antipiretica. L'attività antinfiammatoria dell'acido tolfenamico è dovuta principalmente ad un’inibizione della ciclossigenasi e, conseguentemente, ad una riduzione della sintesi di prostaglandine e trombossani, che sono importanti mediatori del processo infiammatorio. Viene venduta in Italia come specialità per cani e gatti e per suini e bovini (Tolfedine®). La possibilità di una sua eventuale selettività COX-1/COX-2 sembra essere legata alla specie animale. Gatto Nel gatto, l'assorbimento dell'acido tolfenamico è molto rapido, sia in seguito alla somministrazione parenterale che orale. Dopo la somministrazione parenterale di 4 mg/kg di acido tolfenamico la Cmax di 3,9 µg/ml viene raggiunta in circa 1ora (Tmax), mentre la somministrazione della stessa dose singola per os, dà luogo, dopo circa 1 ora (Tmax) dalla somministrazione, a concentrazione massima pari a 5,6 µg/ml. L’efficacia del farmaco in questa specie è stata poco studiata: esiste un solo studio in cui l’acido tolfenamico sembra avere la stessa efficacia di altri FANS quali caprofen, ketoprofen e meloxicam (Slingsby & Waterman-Pearson, 2000). Cane Nel cane, l'acido tolfenamico risulta rapidamente assorbito qualunque sia la via di somministrazione. Dopo somministrazione di 4 mg/kg di acido tolfenamico 39 per via parenterale (sottocutanea o intramuscolare), la massima concentrazione plasmatica (Cmax) di circa 4 µg/ml (sc) e 3 µg/ml (im), viene raggiunta in 2 ore, mentre dopo somministrazione orale unica della stessa dose, la concentrazione massima plasmatica (Cmax) di 4 µg/ml è raggiunta in circa 1 ora. Quando la stessa dose di acido tolfenamico viene somministrata durante il pasto, Cmax è dell'ordine di 2-3 µg/ml. Queste variazioni sono da imputare ad un rilevante circolo enteroepatico della molecola in oggetto. VEDAPROFENE Sostanza attiva nella riduzione dell’infiammazione ed alleviamento del dolore associati ad affezioni muscolo scheletriche ed a traumi. In Italia commercializzata come specialità per cani (Quadrisol®). Gatto Esiste un solo studio dell’efficacia del vedaprofene in gatti somministrato alla dose di 0,5 mg/kg a seguito di ovarioisterectomia (Hoorspool & coll, 2001). Gli autori indicano che i gatti trattati con il farmaco (n=142) hanno riacquistato un comportamento ed appetito normale più velocemente di quelli trattati con il placebo (n=160). L’incidenza di effetti a livello GI non è stata significativamente differente tra i due gruppi attestandosi sul 5-7%. Non esistono dati pubblicati riguardo a sicurezza e tossicità del vedaprofene nel gatto e nessuna dose od intervallo di dosaggio è stato stabilito. in seguito di ciò, l’uso di questo farmaco non può essere ancora esteso alla razza felina. Cane Formulazione gel dell’infiammazione per e la somministrazione riduzione del orale dolore. per il controllo Presenta un’elevata biodisponibilità orale ed un elevatissimo legame con le proteine plasmatiche (solo 0,01% sembra rimanere libero) che ne determina una cinetica molto prolungata con tempo di emivita tra le 12-17 ore (Hoeijmakers & coll, 2005). 40 Studi di somministrazioni ripetute per 14 giorni indicano che non c’è accumulo di farmaco somministrandolo una volta al giorno alle dosi terapeutiche (Hoeijmakers & coll, 2005). In un recente studio sulla valutazione del controllo del dolore nelle laminiti nel cane il vadeprofene sembra avere la stessa efficacia del firocoxib, ma superiore al carprofene (Hazewinkel & coll, 2008). 41 OPPIOIDI Gli oppioidi sono dei peptidi naturali, di sintesi o semisintetici che hanno effetti morfino-simile. I farmaci oppiacei esplicano i loro effetti, legandosi ai recettori specifici presenti in tutto il sistema nervoso centrale e periferico. I recettori oppioidi sono parte integrante delle vie nervose discendenti che modulano la trasmissione dello stimolo dolorifico nel midollo spinale e nel sistema nervoso centrale (SNC). La stimolazione di zone specifiche della corteccia, del talamo e del tronco cerebrale, provoca la liberazione degli oppioidi endogeni nei siti presinaptici del neurone nocicettivo primario nel midollo spinale. Il legame tra gli oppioidi e i loro specifici recettori impedisce la liberazione dei neurotrasmettitori eccitatori (sostanza P e glutammato) dai terminali afferenti presinaptici. Sono stati identificati dei recettori specifici per gli oppioidi nel cervello, nel midollo spinale, nelle strutture del sistema nervoso autonomo (SNA), nel plesso mesenterico del tratto gastro-intestinale, nel rene, nei vasi deferenti, nel pancreas, negli adipociti, nei linfociti, nel surrene, ecc. A tali recettori si legano in modo più o meno profondo gli oppioidi endogeni, rappresentati da quattro famiglie: Le β-endorfine, le encefaline, le dinorfine e le endomorfine. Le β-endorfine si trovano in alte concentrazioni nell’ipofisi e nelle regioni mediali, basale ed arcuata dell’ipotalamo. Le β-endorfine si trovano anche al di fuori del SNC come ad esempio nell’intestino tenue, nella placenta e nel plasma. Le encefaline sono largamente distribuite in aree del SNC che ricevono afferenze nocicettive come l’amigdala, globo pallido, striato, ipotalamo, tronco encefalico e lamina I, II e V delle corna ventrali del midollo spinale, inoltre, le 42 encefaline sono presenti anche nel sistema nervoso periferico come nei gangli periferici, nel SNA e nella midollare del surrene. Le dinorfine sembrerebbero distribuite lungo altre aree del SNC che sono implicate nella nocicezione: PAG, sistema limbico, talamo e lamina I e V delle corna ventrali del midollo spinale. Le endomorfine si trovano negli strati superficiali delle corna dorsali del midollo spinale, nel nucleo spinale del trigemino, nel nucleo ambiguo, nei nuclei talamici, nell’ipotalamo, nell’amigdala. I recettori specifici per gli oppioidi sono: i recettori mu (µ), recettori kappa (κ), recettori delta (δ), e i recettori sigma (σ), sono stati ipotizzati alcuni sottotipi recettoriali. Ai recettori mu, di cui ne sono stati identificati due sottotipi, si legano di preferenza le β-endorfine, sono numerosi nelle aree dell’elaborazione centrale nocicettive ne sono stati identificati due sottotipi e sembra che mediano l’analgesia sopraspinale e spinale, l’euforia, la depressione respiratoria, la miosi, la bradicardia, l’ipotermia e la dipendenza fisica. I recettori delta a cui si legano le encefaline, producono: eccitazione, ipercinesia, euforia e allucinazione, analgesia periferica, depressione respiratoria, midriasi, mediano e potenziano l’analgesia provocata dagli agonisti µ che sembra quello implicato nella mediazione del recettore. I recettori kappa a cui si legano prevalentemente le dinorfine risultano coinvolti nell’analgesia spinale e sovraspinale, nella miosi, modesto stato di sedazione, disforia, un certo grado di depressione respiratoria e di effetti stimolanti vasomotori. I recettori sigma non sembrano essere strettamente correlati con l’analgesia (Della Rocca, 2009). I recettori µ e δ si possono trovare sulle stesse cellule, mentre i recettori κ non possono coesistere con nessun altro recettore. 43 La stimolazione dei recettori µ, κ e δ inibiscono l’attività dell’adenil ciclasi, con conseguente diminuzione dell’AMPc. I recettori κ e δ svolgono le loro attività anche con l’aumento della conduttanza al K+ e la riduzione dell’ingresso di Ca++ nella cellula, azioni responsabili della loro marcata inibizione sulla trasmissione nervosa, inibiscono la liberazione presinaptica di neurotrasmettitori. Gli oppioidi endogeni possiedono una discreta capacità di legame e sono stati identificati come i ligandi fisiologici di questi recettori. Gli oppioidi endogeni variano non solo per la loro affinità nei confronti dei recettori, ma anche per la loro efficacia. FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI Grazie alla loro efficacia, buon margine di sicurezza e adattabilità, gli oppioidi sono i farmaci di prima scelta nella cura del dolore acuto e cronico in molte specie animali e nell’uomo. Gli oppioidi di sintesi possono agire come agonisti nei confronti di alcuni tipi recettoriali e come antagonisti o agonisti parziali nel confronto di altri. Alcune molecole come il butorfanolo possono essere classificate come agonisteantagoniste riportando un effetto massimale (detto anche effetto tetto o soffitto), altre come brupenorfina si comportano come agonisti parziali ed altri come antagonisti, questo comportamento degli oppioidi può giustificare il complicato quadro farmacologico che deriva dalla loro somministrazione. E pertanto gli oppioidi possono essere classificati in tre principali classi: 1) agonisti puri: questo gruppo include i farmaci morfino-simili, in grado di legarsi prevalentemente ai recettori µ, anche se mostrano una certa affinità anche ai recettori κ e δ. 44 I farmaci appartenenti a questo gruppo sono: morfina, meperidina, fentanil, ossimorfone, etorfina, carfentanil, codeina, e metadone. 2) agonisti parziali e agonisti – antagonisti: a questa categoria appartengono i farmaci che mostrano azioni miste, cioè comportandosi come agonisti nei confronti di certi tipi di recettori e come antagonisti nei confronti di altri, oppure rivelano solo una debole e limitata attività agonista. I farmaci agonisti – antagonisti come ad esempio la pentazocina, la nalorfina e la nalbufina agiscono come agonisti nei confronti dei recettori κ e come antagonisti quando si legano ai recettori µ. Il butorfanolo si comporta da agonista verso i recettori κ e δ e come antagonista nei confronti del recettore µ. La buprenorfina è un agonista parziale nei confronti dei recettori µ, e come antagonista nei confronti dei recettori κ. 3) Gli antagonisti vengono definiti come quegli oppiacei che occupano il recettore ma non attivano la trasduzione del segnale, cioè non provocano alcun effetto, ma in realtà è più coretto considerarli come agonisti molto deboli, perché possono manifestare effetti a dosaggi altissimi. Gli oppiacei appartenenti a questa categoria sono: il naloxone, il naltrexone e la diprenorfina, la cui azione è rivolta soprattutto verso i recettori µ e in maniera assai limitata verso i recettori δ e κ (Della Rocca 2009). AZIONE FARMACOLOGICA: I principali effetti sono rivolti verso il SNC e al tratto gastro – intestinale, anche se numerosi altri effetti di minore rilievo possono riguardare molti altri organi. Generalmente la morfina viene considerata come la molecola rappresentativa poiché gli effetti da essa provocati a carico dei diversi sistemi ed apparati, sono riprodotti anche dagli altri farmaci del gruppo. 45 EFFETTI ANALGESICI Gli effetti analgesici degli oppioidi possono essere spiegati per la loro interazione con i recettori oppioidi che sono localizzati su afferenze primarie posti sui tessuti periferici dolenti, su neuroni nocicettivi del midollo spinale ed a livello talamico (vie ascendenti), nonché su neuroni del mesencefalo (PAG) e del bulbo (vie discendenti) tutti implicati nella modulazione del dolore, anche altri recettori oppioidi sono posti in altre strutture del sistema nervoso possono essere coinvolti nel modificare la reattività al dolore come nelle strutture limbiche, nell’ipotalamo, nella corteccia cerebrale, etc... La loro azione si spiega dall’inibizione della trasmissione degli impulsi nocicettivi attraverso le corna dorsali del midollo spinale e nella soppressione dei riflessi nocicettivi spinali, ma anche dall’attivazione di vie inibitorie discendenti che sfruttano i sistemi di neurotasduzione serotoninici e noradrenalinici. L’azione sopraspinale presumibilmente è svolta a livello del sistema limbico, potrebbe essere il responsabile della riduzione della componente affettiva del dolore. EFFETTI SEDATIVI ED ECCITATORI In tante specie animale, gli oppioidi, causando un’azione depressiva a carico della corteccia cerebrale, determinando effetti sedativi che all’aumentare della dose, si traduce in perdita della coscienza (cane, scimmia, uccelli, conigli, etc). In altri, soprattutto nel gatto e negli animali zootecnici (cavallo, maiale, bovino, pecora e capra), dopo la somministrazione degli oppioidi, possono comparire fenomeni di ipereccitazione spesso dose dipendenti. EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE La somministrazione degli oppioidi causa variazione della temperatura corporea a seconda della specie animale: 46 Nel coniglio, cane e scimmia causa ipertermia, mentre nel gatto bovino, cavallo e capra causa ipotermia. Questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che gli oppioidi stimolano la liberazione di 5-idrossitriptamina da neuroni serotoninergici dell’ipotalamo, e quest’ultima stimola i neuroni sensibili al caldo e\o inibisce quelli sensibili al freddo. L’attivazione dei neuroni sensibili al caldo stimola la termo-dispersione, mentre l’inibizione di quelli sensibili al freddo deprime la termoproduzione, entrambe cooperano a causare l’ipotermia. EFFETTI SUL SISTEMA RESPIRATORIO Tutti gli oppioidi, in particolare quelli attivi su i recettori µ e δ, determinano depressione respiratoria, causata dall’inibizione del centro respiratorio nel bulbo e nell’encefalo, con conseguente riduzione della frequenza respiratoria e della risposta alla stimolazione da parte dell’anidride carbonica. Un sovradosaggio acuto di oppioidi può provocare la morte appunto per la depressione respiratoria. EFFETTI SUL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO Gli effetti a carico del sistema cardiocircolatorio mediati dagli oppioidi, sono causati sia da un’azione centrale che periferica. A livello periferico si osserva una vasodilatazione causata dal rilascio d’istamina, mentre a livello centrale, sembra che gli agonisti dei recettori µ, esercitano un effetto inibitorio sui centri che regolano l’attività cardiaca, mentre gli agonisti dei recettori κ mostrano un effetto stimolante sul centro cardiocircolatorio. 47 EFFETTI SUL SISTEMA GASTRO-INTESTINALE Gli oppioidi aumentano il tono muscolare a livello degli sfinteri e riduce la motilità di molti tratti gastroenterici, determinando un rallentamento dello svuotamento gastrico e del transito intestinale, molto evidente a livello del grosso intestino cui segue un eccessivo assorbimento di liquidi dal materiale fecale che porta alla formazione di feci compatte difficilmente evacuabili. EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO Gli oppioidi svolgono azione antidiuretica stimolando la secrezione di ADH, con ritenzione urinaria che consegue all’azione inibitoria sulla muscolatura liscia vescicale. EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE Questo effetto è alla base per l’impiego di alcuni oppioidi come farmaci antitussigeni, anche se la loro azione non è ancora conosciuta. EFFETTI A LIVELLO OCULARE La stimolazione dei recettori µ e κ situati a livello del nucleo oculomotore, causa la costrizione pupillare – miosi, tal effetto si riscontra in tutte le specie animali che sono sottoposte all’azione sedativa degli oppioidi, mentre nelle specie animale che gli oppioidi esercitano un’azione eccitatoria è più frequente riscontrare la dilatazione pupillare – midriasi. EFFETTI SUL VOMITO Gli oppioidi agiscono, stimolando il centro del vomito chemoreceptor trigger zone (CTZ), inducendo il vomito. L’oppioide usato a questo scopo è l’apomorfina. 48 EFFETTI SUL SISTEMA ENDOCRINO La morfina causa aumento della secrezione di prolattina (PLT) e di ormone antidiuretico (ADH), mentre diminuisce la secrezione di gonadotropine e ACTH con conseguente inibizione degli ormoni steroidei gonadici e surrenali. EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO Gli oppioidi esercitano effetti immunosoppressivi, con un meccanismo non ancora del tutto chiarito. EFFETTI METABOLICI Gli oppioidi esercitano effetti iper-glicemizzanti, causati dalla mobilizzazione del glicogeno epatico e tessutale. TOLLERANZA E DIPENDENZA La tolleranza agli oppioidi, che si traduce in un aumento della dose necessaria a produrre un dato effetto, è comune a tutti gli oppioidi e si sviluppa rapidamente a prescindere dal tipo di recettore implicato dal legame. La dipendenza dagli oppioidi è un fenomeno di scarsa evenienza negli animali, poiché raramente sono sottoposti a trattamenti prolungati. La dipendenza si manifesta con l’improvvisa interruzione del farmaco con la sindrome da astinenza, alla cui base si è ipotizzato un meccanismo di feed back che inibisce la sintesi di oppioidi endogeni, quando i recettori sono occupati da un oppioide esogeno morfino-simile; la sospensione improvvisa può mascherare la mancanza della sintesi endogena. FARMACOCINETICA Gli oppioidi sono ben assorbiti se somministrati per via sottocutanea, intramuscolare ed endovenosa; alcuni anche per via orale (metadone). 49 Hanno un notevole effetto di primo passaggio epatico. Sono fortemente legati alle proteine plasmatiche e perciò ben distribuiti. Gli oppioidi attraversano la placenta e passano nel latte. Vengono metabolizzati a livello epatico, idrossilati e coniugati con l’acido glucoronico, molti di essi vengono N-demetilati. L’eliminazione degli oppioidi è attraverso le urine, mentre, la parte non coniugata viene eliminata con: bile, saliva, lacrime ed il respiro. CONTROINDICAZIONI È sconsigliato l’uso degli oppioidi in animali che manifestano le seguenti alterazioni: uremia \ tossiemia, convulsioni e shock traumatico. VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEGLI OPPIOIDI NEGLI ANIMALI Questi farmaci sono ampiamente utilizzati nella pratica clinica nella gestione del dolore, ma sebbene sembrino efficaci, è molto difficoltoso determinare scientificamente il dolore nelle specie animali. Non esistono “punteggi” del dolore validati, e spesso la sua valutazione è basata sulla modificazione del comportamento. Sono stati usati molti sistemi di punteggio (Robertson, 2005 a,b) ma a causa delle variabilità inter-osservatore e l’uso di differenti sistemi è difficile paragonare gli studi. In studi sperimentali, gli oppioidi sono stati valutati usando diversi stimoli dannosi e misurando i cambiamenti nella soglia allo stimolo doloroso prima e dopo la somministrazione del farmaco. Sebbene questa sia una misura antinonocicettiva e questi stimoli non rappresentino il dolore clinico, queste pratiche sono risultati utili per misurare l’intensità e la durata dell’effetto prodotto dagli oppioidi e per studiare le differenze cinetiche/dinamiche nelle diverse vie di somministrazione. I modelli includono stimolazioni termiche (Dixon & coll, 2002), meccaniche (Dixon & coll, 2007), elettriche (Duke & coll, 50 1994a) e viscerali (Sawyer & Rech, 1987). Un’altra metodica è stata quella di calcolare la concentrazione minima alveolare (MAC) di un agente anestetico inalato. Questo è un metodo indiretto che si basa sul fatto che la tecnica coinvolta nello stimolo doloroso indotto nell’animale anestetizzato provoca una riduzione nella MAC dopo somministrazione dell’analgesico (Ilkiw & coll, 1997; Ilkiw & coll, 2002; Pypendop & coll, 2006a). La valutazione degli oppioidi con quest’ultima metodica porta però a dati contrastanti tra cani e gatti (Ilkiw & coll, 2002). EFFETTI COLLATERALI La “credenza” è quella che gli oppioidi causino la così detta “morfino-mania” soprattutto nella specie felina. Questa paura di provocare eccitazione nell’animale ha reso riluttanti alcuni medici all’utilizzo degli oppioidi. Alcuni reports conferiscono, infatti, questo comportamento ma dopo somministrazioni di dosi estremamente elevate (20 mg/kg) (Joel & Arndts, 1925; Fertziger & coll, 1974). Studi più recenti dimostrano che il comportamento con dosi appropriate si traduce nel gatto a una lieve euforia con fusa, rotolamento e impastamento con le zampe anteriori (Robertson & Taylor, 2004). Un’unica eccezione è segnalata con il butorfanolo che porta a un comportamento disforico (Lascelles & Robertson, 2004). Gatto In alcuni casi dopo somministrazioni di oppioidi, morfina (Clark & Cumby, 1978), meperidina (Booth & Rankin, 1954), alfentanile (Ilkiw & coll, 1997), idromorfone (Posner & coll, 2007) può verificarsi ipertermia. Gli oppioidi causano una marcata midriasi in questa specie che può portare i soggetti a sbattere contro oggetti non visti. E’ consigliato manipolare l’animale con lentezza ed evitare la luce intensa. Vomito nausea e salivazione sono comuni con morfina e idrocodone ma rari dopo somministrazioni di butorfanolo, buprenorfina, meperidina e metadone (Dixon & coll, 2002; Robertson & coll, 51 2003a; Robertson & coll, 2003b). L’incidenza di questi effetti è anche imputabile alla via di somministrazione; la somministrazione sc di idromorfone, per esempio, riporta una più alta incidenza che con la via im o iv (Robertson & coll, 2003b). Importanti sembrano anche essere gli effetti intestinali: la stasi intestinale sembra essere dovuta sia al dolore che all’effetto additivo degli oppioidi. Trattamenti sistemici sembrano essere responsabili di questo effetto e della perdita dell’appetito (Sparkes & coll, 1996). Preparazioni in cerotti a lento rilascio sembrerebbero invece non apportare questa sintomatologia. Cane A dosi cliniche è stata osservata sedazione, vomito e stasi intestinale. Tutti gli effetti di sovradosaggi degli oppioidi sono facilmente risolti con il naloxone (la buprenorfina richiede dosaggi più elevati del naloxone e agisce solo parzialmente). La morfina può apportare rilascio d’istamina. Bradicardia e depressione respiratoria potrebbero manifestarsi e per questo che è bene monitorare i pazienti in cui viene indotta l’anestesia (Wagner, 2002; Perkowski & Wetmore, 2006) VIE DI SOMMINISTRAZIONE ENDOVENOSA, INTRAMUSCOLARE E SOTTOCUTANEA In ambito ospedaliero sono le tre vie più comunemente utilizzate. Alcuni studi che paragonano la somministrazione di oppioidi somministrati tramite iniezioni iv e im, mostrano che la via di somministrazione influenza le variabili farmacocinetiche (Taylor & coll, 2001). ORALE Questa via di somministrazione non ha ricevuto molta attenzione nella pratica clinica sia per la nota difficoltà di somministrare pillole (soprattutto in gatti), 52 vuoi per l’elevato effetto di primo passaggio che riduce drasticamente le concentrazioni plasmatiche dei principi attivi. SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE Questi sistemi permettono un approccio al dolore interessante grazie alla minima manipolazione dell’animale e al costante trasporto di farmaco evitando i picchi plasmatici dovuti a somministrazioni intermittenti in bolo. Nonostante il loro vasto utilizzo e la promozione delle ditte farmaceutiche, le formulazioni transdermali sono state supportate scientificamente nel cane negli ultimi anni, mentre nel gatto esistono ancora pochi studi (Robertson & coll, 2005a). ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE A causa dell’uso limitato della via orale per i motivi prima descritti, è stata studiata la via transmucosale. Alcuni studi indicano che questa via già largamente utilizzata nell’uomo può essere efficace anche in specie animali quali cane e gatto, con una biodisponibilità del 100% (buprenorfina) (Robertson & coll, 2003a; Robertson & coll, 2005b.) SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE Numerosi oppioidi, morfina, buprenorfina, fentanil, meperidina, tramadolo e metadone, vengono somministrati attraverso questa via (Duke & coll, 1994a; Pypendop & coll, 2006a; Tung & Yaksh, 1982; Golder & coll, 1998; Duke & coll, 1994b; Jones, 2001; Troncy & coll, 2002; Wetmore & Glowaski, 2000). La morfina è l’oppioide che ha mostrato in cani e gatti, maggiore intensità e durata d’azione e riduzione di effetti collaterali (Troncy & coll, 2002). 53 FARMACI BUTORFANOLO Specialità medicinale veterinaria commercializzata in Italia approvata per il cavallo (Dolorex®). Di norma è indicato nel trattamento del dolore associato a torsione, compressione, colica spastica e timpanica e dolore post-parto. Gatto Quest’oppioide è un µ antagonista, che produce analgesia attraverso la sua azione agonista sul recettore κ. Recentemente la sua efficacia analgesica è stata rivalutata nei cani e nei gatti (Wagner, 1999). Viene di norma usato nei gatti in Nord America alle dosi di 0,1-0,4 mg/kg (Dohoo & Dohoo, 1996). Questa molecola esibisce un effetto massimale oltre il quale non produce più nessuna analgesia (Lascelles & Robertson, 2004). Il butorfanolo è efficace nel dolore viscerale ma non in quello somatico (Sawyer & Rech, 1987). Sia le esperienze cliniche che gli studi sperimentali, indicano che il butorfanolo ha una breve azione (<90 minuti) (Lascelles & Robertson, 2004; Wagner, 1999; Robertson & coll, 2003a) e richiede numerose dosi per mantenere la sua efficacia. Dati recenti stabiliscono che la somministrazione im è la più efficace nei gatti (Johnson & coll, 2007). Quest’oppioide non viene quindi indicato nei trattamenti di dolore somatico e viscerale, ma potrebbe essere una buona scelta nel dolore acuto viscerale, ad esempio associato a cistiti od enteriti. Cane La via di somministrazione nel cane alla dose di 0,25 mg/kg non sembra influenzare la farmacocinetica di quest’oppioide (Pfeffer & coll, 1980). Il tempo di emivita sì e rilevato di 1,60 ore, la clearance di 3,45 l/kg/ora, ed il volume di distribuzione di 7,96 l/kg. Quest’oppioide è stato approvato nel 1982 come antitussivo nel cane dalla FDA. In uno studio sul dolore viscerale indotto è stato 54 dimostrato che l’efficacia analgesica di dosaggi da 0,025 a 0,4 mg/kg iv cresce con la dose somministrata. Una leggera sedazione è stata osservata a tutte le dosi esaminate mentre non è stato rilevato nessun effetto collaterale rilevante (Houghton & coll, 1991). Un altro studio sul dolore viscerale ha evidenziato le stesse caratteristiche viste in precedenza, ma ha inoltre rivelato che il tempo di permanenza dell’analgesia varia da 23 a 53 minuti. L’unico effetto collaterale registrato è un aumento nella frequenza cardiaca alla dose di 0,8 mg/kg iv (Sawyer & coll, 1991). BUPRENORFINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia, mentre esistono preparazioni europe (Vetanalgesic®). Gatto La buprenorfina è l’oppioide più utilizzato nella pratica clinica dei piccoli animali nel Regno Unito (Lascelles & coll, 1999) dove è commercializzata una preparazione approvata per il gatto, ma è anche estesamente utilizzato nel resto dell’Europa, Australia e Sud Africa (Watson & coll, 1996; Joubert, 2001). Nei gatti quest’oppioide è stato studiato dopo somministrazione im, iv e transmucosale (Robertson & coll, 2003a; Johnson & coll, 2007; Robertson & coll, 2005; Robertson & coll, 2003b). Dosi im di 0,01 mg/kg provocano una lenta analgesia con una durata d’azione variabile tra 4 e 12 ore (Robertson & coll, 2003a). Alla dose di 0,02 mg/kg dopo somministrazione im la soglia termica è stata incrementata da 35 minuti a 5 ore (Johnson & coll, 2007). L’assorbimento transmucosale è stato identificato come completo (100%) (Robertson & coll, 2005b; Robertson & coll, 2003b). Il pH della bocca dei gatti tra 8 e 9 potrebbe aumentare l’assorbimento e ciò potrebbe spiegare la differenza di biodisponibilità mostrata dalle altre specie aventi pH orale neutro (Robertson & coll, 2005b). Nessuna differenza evidenziata nel raggiungimento (entro 30 minuti), tempo di picco (90 minuti) e durata dell’analgesia (6 ore) 55 quando 0,02 mg/kg di buprenorfina vengono somministrati per via transmucosale od im in gatti (Robertson & coll, 2003b). In studi clinici la buprenorfina ha mostrato produrre una migliore analgesia della morfina in gatti sottoposti a procedure ortopediche (Stanway & coll, 2002), si è dimostrata migliore all’ossimorfone in casi di sterilizzazione (Dobbins & coll, 2002) ed ha assicurato efficacia analgesica più prolungata della meperidina (Slingsby & Waterman-Pearson, 1998). Quest’oppioide ha raramente causato casi di vomito o disforia, e non è mai stato associato a casi d’ipertermia (Niedfeldt & Robertson, 2006). In medicina umana esiste un cerotto trasdermico per il rilascio della buprenorfina; una volta testato nel gatto, le concentrazioni plasmatiche dei soggetti si sono rilevate alquanto variabili e nessuna analgesia è stata dimostrata dopo un trattamento di 4 giorni (Murrell & coll, 2007). Cane Quest’oppioide è uno dei pochi oppioidi registrati per l’uso veterinario (cane) in UK. Esso è un parziale agonista µ e per questo il suo uso è meno controllato dalla legislazione inglese rispetto agli agonisti puri come la petidina. Questa molecola è una delle più utilizzate nella pratica clinica analgesica nel Regno Unito (Capner & coll, 1999). Questo farmaco viene impiegato per premeditazioni anestetiche o sedazioni in associazione a farmaci sedativi come l’acepromazina: potenzia l’effetto sedativo (Taylor & Herrtage, 1986) ed aumenta quello anestetico (Heard & coll, 1986; Webb & O’Brien 1988). Il suo uso è anche apprezzato nel dolore postoperatorio o per provocare analgesia efficace dalle 6 alle 12 ore (Brodbelt & coll, 1997; Smith & Kwang-An Yu, 2001). Dato che è un agonista parziale ed ha un effetto “tetto”, non è indicato nel dolore severo: infatti, in cani dopo toracotomia, la bupivacaina somministrata per via intrapleurica (1,5 mg/kg) ha fornito una migliore analgesia della buprenorfina (10 µg/kg) (Conzemius & coll, 1994). Si è inoltre dimostrato un farmaco di prima scelta nel dolore post operatorio, grazie alla sua 56 lunga durata d’azione e ai suoi scarsi effetti collaterali (Garrett & Chandran, 1990). FENTANILE Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto Il fentanile un potente agonista puro µ ad azione breve, è somministrato clinicamente a velocità d’infusione costante (Lamont, 2002), sebbene non esistano dati sul suo profilo farmacocinetico dopo questa via di dosaggio nel gatto. In uno studio specifico sui gatti, dopo somministrazione iv di 10 mg/kg l’analgesia è comparsa velocemente (< 5 minuti) ed è scomparsa dopo 110 minuti senza presentare fenomeni di salivazione, eccitamento e vomito (Robertson & coll, 2005b). In questo studio è stata dimostrata la stretta correlazione tra le concentrazioni plasmatiche del farmaco e l’effetto analgesico, concludendo che concentrazioni > di 1,07 ng/ml provocano un’analgesia efficace. Questi dati sono molto simili a quelli riportati per il cane (Robinson & coll, 1999) e per l’uomo (Gourlay & coll, 1988). Questa concentrazione potrebbe essere il punto di partenza per formulare una più razionale infusione a velocità costante e raggiungere validati protocolli d’infusione nel gatto. Cerotti transdermici al fentanile sono stati usati nel dolore postoperatorio nei gatti (Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000; Glerum & coll, 2001). La concentrazione plasmatica di fentanile si è dimostrata variabile tra i soggetti (Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000) e in uno studio su 6 gatti la concentrazione non ha mai raggiunto 1 ng/ml (Lee & coll, 2000). I fattori che possono influenzare le concentrazioni plasmatiche sono la taglia del cerotto comparato al peso del gatto, la permeabilità della pelle e la temperatura corporea. In pazienti critici, l’ipotermia, l’ipovolemia e la diminuita perfusione capillare possono diminuire l’assorbimento. In gatti normotermici si sono rilevati livelli plasmatici maggiori (1,83 ng/ml) paragonati a gatti ipotermici 57 (0,59 ng/ml) (Pettifer & Hosgood, 2003). L’uso di farmaci in formulazioni trasdermiche è divenuto molto popolare in medicina veterinaria, sebbene manchino studi scientifici mirati (Marks & Taboada, 2003). Il fentanile in formulazione di organogel non è stato assorbito attraverso la pelle rasata del collo dei gatti alla dose di 30 mg/kg, quindi queste formulazioni non possono essere raccomandate (Robertson & coll, 2005a). Cane Nel cane il fentanile presenta una rapida eliminazione e per mantenere concentrazioni plasmatiche efficaci è di norma richiesta un’infusione lenta: 0,30,7 µg/kg/minuto sembrano le dosi efficaci, ma uno studio recente mostra che anche dosi più basse (0,15 µg/kg/minuto dopo un bolo di 10 µg/kg) possono apportare concentrazioni plasmatiche risultate efficaci in altre specie (Sano & coll, 2006). Negli ultimi anni hanno preso piede i cerotti transdermici che hanno dimostrato una buona efficacia (Kyles & coll, 1996), sebbene si sia rilevata una durata dell’effetto analgesico più breve che non nell’uomo. In cani sottoposti a ovarioisterectomia (Kyles & coll, 1998) l’efficacia analgesica apportata da cerotti di fentanile è stata la stessa di quella prodotta dall’ossimorfone, ma apportando una minore sedazione. In altri casi in cui venivano reclutati cani sottoposti ad interventi chirurgici maggiori (Robinson & coll, 1999) i cerotti di fentanile si sono mostrati efficaci come la morfina somministrata per via epidurale. IDROMORFONE Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto L’idromorfone è divenuto molto popolare in medicina veterinaria grazie alla sua economicità e viene indicato in questa specie in dosi di utilizzo tra 0,05-0,2 mg/kg (Pettifer & Dyson, 2000). La relazione tra dose e risposta analgesica è 58 stata studiata nei gatti dopo dosaggio iv: a dosi tra 0,025 e 0,05 mg/kg c’è una leggera analgesia di breve durata (Wegner & Robertson, 2007), a dosi di 0,1 mg/kg c’è un significativo incremento nell’analgesia fino a 7 ore (Wegner & Robertson, 2007; Wegner & coll, 2004). La via di somministrazione ha un considerevole effetto sulla qualità e durata dell’analgesia e degli effetti indesiderati. La via iv sembra quella che a parità di dose produce analgesia di maggiore intensità e durata e minori effetti avversi (Robertson & coll, 2003b). L’incidenza di ipertermia nei gatti (Niedfeldt & Robertson, 2006; Posner & coll, 2007) ha limitato l’uso di questo farmaco in medicina veterinaria. Cane Anche nel cane questo farmaco è risultato una buona alternativa all’ossimorfone, apportando una valida analgesia durante e dopo l’intervento chirurgico (Pettifer & Dyson, 2000), una buona sedazione (Smith & coll, 2001) e grazie alla sua economicità ed efficacia. La durata d’azione dell’idromorfone somministrato iv alla dose di 0,1 mg/kg e stata ipotizzata superiore alle 5 ore (Machado & coll, 2006). In un recente studio dosi terapeutiche di idromorfone (0,1 e 0,2 mg/kg) sono state somministrate a cani sani consci e paragonate con quelle di morfina (0,5 e 1,0 mg/kg): tutti i cani trattati hanno manifestato profusa salivazione, 4 su 5 neuroeccitazione, e nessuno vomito o defecazione. L’idromorfone ha rivelato rispetto alla morfina minimi rilasci di istamina responsabile della vasodilatazione ed ipotensione (Guedes & coll, 2007). Il suo utilizzo può essere combinato con quello dell’acepromazina (0,02-0,05 mg/kg) per l’uso in giovani soggetti. Questa combinazione apporta un’eccellente sedazione e controllo chimico (Pettifer & Dyson, 2000). In pazienti critici che non tollerano depressione cardiovascolare si può utilizzare l’associazione idromorfone (0,05-0,2 mg/kg iv somministrato lentamente) e diazepam (0,02 mg/kg iv) è importante fare attenzione a non miscelare i due farmaci nella stessa siringa perché può avvenirne la precipitazione. Un recente studio ha dimostrato come l’incapsulazione di idromorfone in liposomi riesce a prolungare, dopo 59 somministrazione sc, le concentrazioni plasmatiche efficaci (> 4,0 ng/ml, basata su dati umani) fino a 96 ore, suggerendo un utilizzo di questa nuova formulazione nelle analgesie di lunga durata nel cane (Kukanich & coll, 2007). MEPERIDINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto La meperidina viene somministrata soltanto attraverso la via im o sc per fenomeni eccitativi riscontrati dopo somministrazione iv. In studi clinici (3,3-10 mg/kg im) il farmaco sembra essere efficace, con una rapida comparsa dell’analgesia, ma una breve durata d’azione (Balmer & coll, 1998, Lascelles & coll, 1995). Altri studi suggeriscono che alla dose di 5 mg/kg la sua durata d’azione sia inferiore ad 1 ora (Dixon & coll, 2002). Cane Questo oppioide viene utilizzato nel cane per via im per la medicazione preanestetica a dosi variabili tra 2,5 e 6,5 mg/kg (Soma, 1971). La dose preanalgesica raccomandata per il cane è 5-10 mg/kg per via im. L’analgesia dura circa 45 minuti. La via sottocutanea è sconsigliata perché dolorosa e quella iv deve essere praticata lentamente per evitare il collasso cardiovascolare. La meperidina viene assorbita velocemente dopo somministrazione orale, ma viene velocemente inattivata dall’effetto di primo passaggio epatico: piccole quantità si possono ritrovare immodificate nelle urine, mentre a dosi più elevate subisce demetilazione. Il metabolita che si forma è caratterizzato da un’azione analgesica minore ma un’attività convulsivante maggiore (Ritschel & coll, 1987.) METADONE Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. 60 Gatto Il metadone è un agonista oppioide sintetico ma ha anche una considerevole attività come antagonista deI recettori glutammato N-Metil-D-Aspartato (NMDA). Viene estensivamente utilizzato con buon successo nell’uomo nella cura da dolore derivante da tumori, e sindromi dolorose difficili come il dolore neuropatico (Bruera & Sweeney, 2002; Colvin & coll, 2006). Questo farmaco è ideale per la terapia “a casa” dato che riporta una buona biodisponibilità orale e un lungo tempo di emivita. Nel gatto la farmacocinetica di questo oppioide non è stata ancora valutata. Il metadone è stato studiato in gatti come racemato (Steagall & coll, 2006) e comparato con il levometadone in casi clinici di dolore postoperatorio (Rohrer Bley & coll, 2004; Mollenhoff & coll, 2005). Il racemato se somministrato alla dose di 0,2 mg/kg sc incrementa la soglia termica a 1-3 ore e la soglia meccanica a 45-60 minuti dopo la somministrazione (Steagall & coll, 2006). Altri dosaggi e vie di somministrazione non sono stati studiati usando questo modello. Il metadone racemato (0,6 mg/kg im) ed il levometadone (0,3 mg/kg im) somministrati prima di interventi chirurgici apportarono un’efficace analgesia valutata sulla base del comportamento e sulla palpazione del taglio chirurgico in gatti dopo ovarioisterectomia senza mostrare effetti collaterali respiratori o cardiovascolari (Rohrer Bley & coll, 2004). Cane Nei cani il profilo farmacocinetico del metadone è molto diverso da quello dell’uomo riportando una scarsa biodisponibilità orale, una rapida clearance ed un breve tempo di emivita (Colvin & coll, 2006). In medicina veterinaria il metadone è consigliato per la medicazione preanestetica, specialmente quando sono usati i barbiturici (Cronheim & Ehrlich, 1950). La combinazione dell’azione analgesica dell’oppioide (1,1 mg/kg sc) con l’effetto ipnotico del barbiturico consente una soddisfacente anestesia chirurgica con una minima tossicità. Per indurre analgesia il metadone può essere somministrato per via sc o im in un intervallo compreso tra 1,1 e 5,5 mg/kg. Le dosi letali 50 nel cane 61 sono state riportate 75 mg/kg os, 50 mg/kg sc e 26 mg/kg iv (Wolven & Archer, 1976). MORFINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto La morfina è stata largamente utilizzata nei gatti ed i dosaggi di 0,1-0,2 mg/kg sono ormai riconosciuti efficaci e non causare effetti collaterali (Lascelles & Waterman, 1997). Sia in studi clinici (Lascelles & Waterman, 1997) che sperimentali (Robertson & coll, 2003) il raggiungimento dell’azione è lento. La morfina sembra essere meno attiva nel gatto rispetto al cane: questo sembra legato alla limitata produzione del suo metabolita principale la morfina 6glucuronide (Taylor & coll, 2001) che contribuisce all’azione analgesica della molecola parentale nell’uomo (Murthy & coll, 2002). Questo metabolita è stato trovato solo in 3 di 6 gatti trattati per via endovenosa e non è stato rilevato dopo dosaggio im (Taylor & coll, 2001). Ciò potrebbe giustificare il fatto che nel gatto sono richieste dosi più alte di morfina visto lo scarso supporto nell’analgesia del metabolita. Cane La morfina è importante per le pratiche chirurgiche nel cane in quanto allevia il dolore, facilita la manipolazione del soggetto durante l’anestesia locale e consente di ridurre la dose di anestetico necessaria a produrre l’anestesia chirurgica. L’effetto massimale si ha dopo 30-45 minuti dall’iniezione sc, mentre l’effetto analgesico può perdurare per più di 2 ore. Le dosi sc raccomandate per la medicazione preanestetica variano da 0,1 a 2 mg/kg. Nel cane, a scopo di induzione dell’anestesia si raccomanda una dose di 0,25 mg/kg sc (Garrett & Gürkan, 1978; Hug & coll, 1981). Contemporaneamente alla morfina si somministra anche atropina per controllare gli effetti parasimpatici (scialorrea e ipersecrezioni bronchiali). Da utilizzare con cautela per 62 l’esecuzione del parto cesareo nel cane poiché provoca depressione della funzione respiratoria nel feto (Priano & Vatner, 1981). Ultimamente è stata anche proposta una formulazione in granuli a rilascio modificato che ha mostrato un’ottima biodisponibilità e la possibilità di ottenere un’efficacia e duratura analgesia se somministrata una volta al giorno (Nakamura & coll, 2007). NALBUFINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto Questo oppioide è considerato come un agonista-antagonista e sebbene sia stato largamente utilizzato in passato, oggi non è quasi più applicato nella pratica clinica felina. Usando stimoli elettrici per provocare lo stimolo doloroso, dosi da 0,75 a 1,5 mg/kg iv non si sono dimostrate efficaci nel gatto (Sawyer& Rech, 1987); nel dolore viscerale, invece, dosi di 3,0 mg/kg iv si sono dimostrate efficaci con una durata di circa 3 ore, più corta di quella provocata dal butorfanolo un altro agonista antagonista (Sawyer & Rech, 1987). Cane Clinicamente la nalbufina sembra produrre analgesia in cani alle dosi di 10 mg/kg, ma non così profonda come con gli oppioidi agonisti puri. Clinicamente non produce un’evidente sedazione e se somministrata per via endovenosa non produce eccitazione degli animali (Lester & coll, 2003). E’ estremamente utile ed economica se somministrata come antagonista per gli agonisti oppioidi alla dose di 0,1-0,2 mg/kg iv o im (Mills & coll, 1990). Nel cane presenta un lungo tempo di emivita di 7-8 ore. Se somministrata per via orale viene velocemente metabolizzata tramite effetto di primo passaggio, ma anche la somministrazione rettale ha una scarsa biodisponibilità (Aungst & coll, 1985). 63 OSSIMORFONE Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. Gatto Oppioide largamente utilizzato per molti anni negli USA (Dobbins & coll, 2002; Teppema & coll, 2003). Uno studio riporta che nel dolore viscerale indotto, la combinazione ossimorfone-butorfanolo produce un’analgesia maggiore che quella prodotta dai singoli farmaci, e viene ulteriormente aumentata dall’aggiunta di acepromazina (Briggs & coll, 1998). Clinicamente l’ossimorfone non sembra essere associato ad effetti avversi quali ipertermia, vomito, nausea od effetti comportamentali. Cane Quando usato da solo l’ossimorfone è poco efficace come preanestetico data la lentezza con cui compaiono i suoi effetti depressati (Palminteri, 1963). Molto efficace invece nell’uso combinato con barbiturici. Bisogna usare cautela a non miscelare i due farmaci nella stessa siringa per prevenirne la precipitazione. Le dosi iv, im o sc di ossimorfone approvate dalla FDA per il cane vanno da 0,75 a 4,0 mg in range di peso corporeo compreso tra 1 e 50 kg (Heidrich & Kent, 1985). Per alleviare i dolori postoperatori le dosi consigliate nel cane sono di 0,1 mg/kg ogni 24 ore. TRAMADOLO Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani (Altadol®). Utilizzato in terapia sintomatica degli stati dolorosi acuti e cronici di diverso tipo (ad es. stati dolorosi indotti da interventi diagnostici e chirurgici). Gatto Sebbene non sia classificato come un vero oppioide esercita un debole effetto sul recettore µ, ma interagisce anche con le vie monoaminergiche spinali di 64 inibizione del dolore. Quando usato nei gatti il tramadolo può mostrare effetti quali euforia, pupille dilatate, e sedazione. L’azione oppioide del tramadolo nel gatto può essere più pronunciata che in altre specie: in gatti anestetizzati il naloxone ha risolto immediatamente l’inibizione respiratoria e prevenuta più del 50% delle depressioni respiratorie a seguito di somministrazioni di 4 mg/kg iv di tramadolo (Teppema & coll, 2003). Non esistono dati farmacocinetici nel gatto e sono richiesti studi specie specifici visto che il metabolismo e la cinetica plasmatica nei cani è estremamente differente da quella nell’uomo (KuKanich & Papich, 2004). In uno studio pilota su gatti somministrati con 1 mg/kg sc di farmaco, il tramadolo non ha prodotto nessun effetto antinocicettivo (Steagall, 2005). Una dose di 1-2-mg/kg è stata suggerita per l’uso clinico nei gatti ma non esistono ne studi sperimentali né reports clinici (Cagnardi & coll, 2010). Un recente studio (Pypendop & Ilkiw, 2008), sottolinea come la farmacocinetica del tramadolo nei felini rispecchi più quella accertata nell’uomo che non nel cane. Questa mostra un’alta biodisponibilità della formulazione orale (93%) un’emivita di 3,4 ore e un buon volume di distribuzione, suggerendo un’alta affinità tissutale. Inoltre la formazione del metabolita principale Odesmetiltramadolo (M1) responsabile dell’azione analgesica sembra essere cospicua. Cane Il suo metabolismo è stato studiato in differenti specie animali fra cui ratti, topi, criceti, cavie, conigli e cani; i metaboliti prodotti risultano essere sempre i medesimi ma con variazioni del livello quantitativo (Lintz & coll, 1981) di cui i principali sono: O-desmetiltramadolo (M1), N-desmetiltramadolo (M2); N, Ndidesmetiltramadolo (M3); N, N, O-tridesmetiltramadolo (M4); N, Odidesmetiltramadolo (M5). La loro formazione è dovuta ad isoforme di citocromo P450, tra cui il CYP2D6 che risulta coinvolto nel processo di Odemetilazione, e il CYP2B6 e CYP3A4 che sono responsabili nel processo di demetilazione a livello del gruppo amminico (Subrahmanyam & coll, 2001). 65 Alcuni di questi metaboliti risultano avere attività analgesica anche se con differente potenza, per cui la risposta farmacologica del T dipende strettamente dal suo metabolismo. Infatti, fra questi, quello che ha mostrato avere un’elevata attività farmacologia, risulta essere l’M1 che è 200-300 volte più attivo del tramadolo sul recettore µ (Raffa & coll, 1992). Anche M5, sebbene in maniera minore, presenta attività sul recettore µ, ma essendo polare non riesce ad attraversare la barriera emato-encefalica (Kogel & coll, 1999). Studi di farmacocinetica nel cane mostrano che dopo somministrazione di compresse a rilascio immediato la formazione del metabolita M1 e scarse e ciò potrebbe comportare una perdita nell’efficacia analgesica (Kukanich & Papich, 2004). Inoltre dato che per mantenere le concentrazioni plasmatiche a livelli terapeutici, sono necessarie dalla 4 alle 6 somministrazioni al giorno, sono state testate compresse a rilascio modificato (Giorgi & coll, 2009 a). Queste hanno rilevato la presenza di M1 solamente in 1 cane su 6, mentre alte concentrazioni di M5 ed M2. Anche le concentrazioni di tramadolo sono risultate estremamente basse. Sebbene alcuni casi di convulsioni siano stati segnalati dopo somministrazione endovenosa di tramadolo, un recente studio ha dimostrato che nel cane, l’alterazione elettrolitica prodotta dal farmaco a carico del sodio e del fosforo non sembra poter essere la ragione primaria delle convulsioni e che i casi evidenziati sono da associarsi a cause di altra natura (Mohit Mafi & Rafigh, 2007). Somministrazione rettale (Giorgi & coll, 2009 b) e orale di compresse (Giorgi & coll, 2009 c ) danno minime concentrazioni di M1 e basse biodisponibilità di farmaco parentale. Una associazione tra succo di pompelmo (bloccante del CYP 3A) e tramadolo orale è stata recentemente testata (Giorgi & coll, 2010). Il lieve aumento della biodisponibilità non ha portato però ad un effettivo beneficio clinico. 66 ALFA 2 AGONISTI Gli alfa-2 agonisti, sono ampiamente utilizzati nel cane e nel gatto (ed in altre specie animali) per i loro effetti sedativi, analgesici e di risparmio degli anestetici (Tranquilli & Benson, 1992). Gli agenti di questa classe, tuttavia, sono dotati anche di molti altri effetti fisiologici. In origine si riteneva che i recettori alfa-2 fossero distribuiti soltanto a livello presinaptico, agendo come meccanismo di feedback negativo per la regolazione del rilascio di noradrenalina da parte dei neuroni noradrenergici. Oggi è noto che esistono dei recettori alfa-2 post-sinaptici in vari tessuti, dove esercitano molti degli effetti degli alfa-2 agonisti. Gli alfa-2 agonisti comunemente utilizzati nel cane e nel gatto sono rappresentati da (dex)medetomidina, xilazina e romifidina (Paddleford & Harvey, 1999). Differiscono fra loro per quanto riguarda la selettività per i recettori alfa-2 (dexmedetomidina > medetomidina >>> romifidina xilazina), la farmacocinetica e, naturalmente, la struttura chimica. La medetomidina e la romifidina sono imidazoline, mentre la xilazina no. Alcuni degli effetti della medetomidina e della romifidina sono probabilmente mediati dall’imidazolina piuttosto che dai recettori alfa-2 (Vainio, 1989). SISTEMA NERVOSO CENTRALE Nell’encefalo, gli alfa-2 agonisti inibiscono il rilascio di noradrenalina. Il locus ceruleus è particolarmente ricco di alfa-2 recettori ed è coinvolto nella regolazione del sonno e della veglia. Si ritiene che l’effetto sedativo/ipnotico degli alfa-2 agonisti sia mediato a questo livello. Questi agenti inoltre diminuiscono l’ansia, sebbene, a dosi elevate, la xilazina possa anche causarla, grazie ad un effetto sui recettori alfa-1. Gli alfa-2 agonisti riducono il fabbisogno di farmaci anestetici, anche fino all’80% nel cane ed al 100% nel ratto (Taylor, 1999). Nel gatto, nell’unico studio disponibile, è riferita che una riduzione del 27% della concentrazione alveolare minima dell’alotano sia 67 mediata dalla riduzione del rilascio di noradrenalina, principalmente da parte del locus ceruleus. Tuttavia, poiché la MAC è ridotta nella misura massima del 40% quando la trasmissione noradrenergica viene totalmente abolita, è probabile che siano coinvolti altri meccanismi. Gli alfa-2 agonisti causano analgesia. Questo effetto è mediato dai recettori del corno dorsale del midollo spinale e del tronco encefalico. Inoltre, possono potenziare l’analgesia indotta dagli oppiacei e dalla ketamina (Taylor, 1999). Quando vengono somministrati per via subaracnoidea, gli alfa-2 agonisti ed il midazolam, come la neostigmina, la lidocaina o gli antagonisti del NMDA producono una antinocicezione sinergica. La xilazina può avere degli effetti analgesici aggiuntivi, dovuti alla sua interazione con i recettori alfa-1. Tuttavia, clinicamente, l’analgesia mediata dalla medetomidina è più profonda e dura di più di quella indotta dalla xilazina. Gli alfa-2 agonisti inducono ipotermia, per inibizione dei meccanismi noradrenergici centrali responsabili del controllo della temperatura corporea e per diminuzione dell’attività muscolare. SISTEMA CARDIOVASCOLARE Gli alfa-2 agonisti, quando vengono somministrati per via endovenosa, inducono una risposta cardiovascolare bifasica. Inizialmente, la pressione sanguigna aumenta, a causa di un incremento della resistenza vascolare sistemica. Poi diminuisce, per effetto di un calo della frequenza e della gittata cardiaca. La resistenza vascolare sistemica rimane elevata o ritorna progressivamente alla normalità, a seconda del farmaco e della dose impiegati. Quindi, la pressione sanguigna viene mantenuta entro limiti normali o portata al di sotto della norma. Possono essere presenti delle bradiaritmie (Golden & coll, 1998). Gli effetti cardiovascolari degli alfa-2 agonisti sembrano essere dose-dipendenti, benché possa esistere un effetto tetto. L’aumento della resistenza vascolare sistemica è dovuto alla vasocostrizione in risposta alla stimolazione dei recettori alfa-2 sulla muscolatura liscia dei vasi. Il calo della gittata cardiaca è correlato all’effetto bradicardico. La bradicardia è inizialmente dovuta ad un riflesso dei barocettori 68 e poi alla simpatolisi centrale. Poiché la riduzione della gittata cardiaca sembra essere principalmente correlata alla bradicardia, è stata suggerita la combinazione con anticolinergici. Tuttavia, l’impiego concomitante di questi ultimi e degli alfa-2 agonisti provoca ipertensione, ed effetti indesiderati sulla funzione cardiaca (Golden & coll, 1998). Di conseguenza, non viene consigliata. Gli alfa-2 agonisti inducono una re-distribuzione del flusso ematico. Quello diretto agli organi più vitali (ad es. cuore, encefalo, rene) possono essere parzialmente o totalmente preservati a spese della scarsa perfusione degli organi meno vitali (cute, muscolo, intestino, ecc…). Storicamente, gli alfa-2 agonisti sono stati segnalati come causa di aritmie. Tuttavia, è stato dimostrato che la dexmedetomidina aumenta la soglia delle aritmie indotte dall’adrenalina attraverso un effetto sui recettori dell’imidazolina (Willigers & coll, 2006). SISTEMA RESPIRATORIO Nel cane e nel gatto, gli effetti degli alfa-2 agonisti sul sistema respiratorio sono considerati minimi (Shebuski & coll, 1986). La frequenza respiratoria può diminuire, ma la ventilazione minuto viene mantenuta. Gli alfa-2 agonisti possono potenziare la depressione respiratoria dovuta ad altri agenti come gli oppiacei, gli anestetici inalatori, ecc… SISTEMA ENDOCRINO Gli alfa-2 agonisti inibiscono l’efflusso simpatico e modulano la risposta da stress all’anestesia ed alla chirurgia. Inoltre, provocano un’inibizione diretta del rilascio di insulina e, a seconda della dose somministrata, possono causare iperglicemia. Gli alfa-2 agonisti incrementano il rilascio dell’ormone della crescita, che può contribuire all’effetto iperglicemico. Inibiscono la secrezione di ACTH e cortisolo (Bugajski, 1984). Inibiscono anche il rilascio di ADH ed eventualmente di aldosterone. 69 SISTEMA URINARIO Gli alfa-2 agonisti promuovono la diuresi e la natriuresi. Inibiscono il rilascio di ADH dall’ipofisi, nonché la sua azione sui tubuli renali. Inibiscono il rilascio di renina ed aumentano la secrezione di peptide natriuretico atriale. Possono aumentare la velocità di filtrazione glomerulare (Strandhoy, 1985). SISTEMA GASTROENTERICO Gli alfa-2 agonisti inducono un calo della salivazione, della pressione dello sfintere gastroesofageo, della motilità dell’esofago, dello stomaco e del piccolo intestino e della secrezione gastrica. Possono promuovere la formazione di ulcere. Inducono il vomito nell’8-20% dei cani e fino al 90-100% dei gatti. La xilazina è stata utilizzata per questo scopo nel gatto (Nakamura & coll, 1997). SANGUE Gli alfa-2 agonisti e l’adrenalina stimolano l’aggregazione piastrinica. L’effetto netto dipende dall’equilibrio fra attivazione diretta da parte degli alfa-2 agonisti e ridotta aggregazione dovuta al calo della concentrazione plasmatica di adrenalina (Villeneuve & coll, 1985). UTERO Gli alfa-2 agonisti aumentano l’intensità delle contrazioni uterine. La perfusione dell’organo e l’apporto di ossigeno vengono diminuiti, così come i valori di PO2 e pH arterioso nella madre e nel feto. Gli alfa-2 agonisti attraversano la placenta, ma i farmaci con un’elevata liposolubilità possono rimanervi parzialmente intrappolati, riducendo la quantità di principio attivo che arriva alla circolazione fetale. Ciò nonostante, nelle cagne trattate con alfa-2 agonisti la frequenza cardiaca del feto diminuisce significativamente (Jedruch & coll, 1989). 70 OCCHIO Gli alfa-2 agonisti causano midriasi nel gatto e miosi nel cane. Quelli imidazolinici diminuiscono la pressione intraoculare, ma è stato segnalato che in alcuni cani alte dosi di medetomidina la aumentano (Verbruggen & coll, 2000). VARIE Gli alfa-2 agonisti inibiscono la lipolisi. È stato segnalato che aumentano la mortalità nello shock endotossico. Sono potenti inibitori dei brividi. ALFA-2 ANTAGONISTI Gli effetti degli alfa-2 agonisti possono essere fatti regredire con gli alfa-2 antagonisti. Nel cane e nel gatto sono stati ampiamente utilizzati la yoimbina e l’atipamezolo. La prima, quando viene somministrata per via endovenosa, può causare tachicardia, grave ipotensione e morte. L’atipamezolo (Antisedan®) è un alfa-2 antagonista altamente selettivo. È più efficace della yoimbina. Benché sia stato affermato che è particolarmente adatto per far regredire gli effetti della medetomidina, è stato impiegato con successo anche per antagonizzare altri alfa2 agonisti. Nei cani trattati con medetomidina, la somministrazione dell’atipamezolo è seguita da un’ipotensione transitoria. La somministrazione endovenosa di questo agente può essere seguita da un risveglio rude. Benché sia stato segnalato che l’atipamezolo ha una durata d’azione più prolungata di quella della medetomidina, talvolta in animali sottoposti ad un’antagonizzazione con il primo si osserva comunque una ricomparsa degli effetti della seconda. FARMACI MEDETOMIDINA Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani e gatti (Domitor®). Questo farmaco è il più potente agonista selettivo alfa 2 recettoriale disponibile 71 in medicina veterinaria. Trova impiego in queste specie animali come sedativo/analgesico e come preanestetico per esami clinici e diagnostici, nella piccola chirurgia e medicazioni. L’associazione di questa molecola con la ketamina ha permesso di indurre anestesia di breve durata in cani e getti ed in molte specie di animali da laboratorio ed esotiche (Vaha-Vahe, 1989; Jalanka, 1989; Nevalainen & coll, 1989). Se somministrata associazione a sostanze oppiacee può produrre un potenziamento della sedazione e dell’analgesia dei due singoli farmaci (England & Clarke, 1989). Gatto Questa molecola sebbene fornisca un contributo analgesico non trascurabile, viene spesso utilizzata nell’anestesia e nella sedazione, ma di norma mai da sola per il suo effetto antidolorifico; questo a causa della profonda sedazione e della depressione cardiovascolare che può accompagnare il suo uso. Proprio per queste caratteristiche l’uso delle medetomidina è riservata a pazienti sani. Ci sono comunque differenti maniere in cui la proprietà antidolorifica della medetomidina può essere sfruttata anche in condizioni in cui non è richiesta anestesia e sedazione. Uno studio ha evidenziato che in gatti 2 ore dopo l’ovarioisterectomia, la somministrazione di medetomidina 15 µg/kg a fine intervento, ha prodotto un’analgesia migliore del placebo (Ansah & coll, 2002). Un altro studio ha riportato, in gatti ovarioisterectomizzati, un’analgesia migliore dopo analgesia indotta da somministrazione di medetomidina/ketamina, piuttosto che acepromaziana/tiopentone/alotano (Slingsby & coll, 1998). Altre vie di somministrazione possono essere quella orale, con elevato assorbimento transmucosale, utile in gatti fratturati (Ansah & coll, 1998; Grove & Ramsay, 2000). Anche la via epidurale è stata investigata: Duke e coll, (1994) riportano un incremento nella soglia del dolore dopo 4 ore dalla somministrazione di medetomidina (10 µg/kg) se comparato con fentanile (4 µg/kg) sempre per via epidurale. La medetomidina produce effetti sistemici di breve durata e non profondi. In contrasto con altre specie incluso il cavallo dove la 72 somministrazione epidurale di alfa 2 agonisti può essere utilizzata per l’attenuazione del dolore cronico (Sysel & coll, 1997), non esistono studi dell’utilizzo di questa tecnica nella specie felina. La dose suggerita come sedativo nel gatto è dai 10 ai 40 µg/kg pc iv e da i 40 agli 80 µg/kg pc im (Sinclair, 2003). Cane Kuusela e coll, (2000) hanno paragonato l’analgesia dopo somministrazione di medetomidina, dexmedetomidina e levomedetomidina segnalando che l’analgesia indotta da dexmedetomidina (20 µg/kg) potrebbe essere leggermente più lunga di quella della medetomidina racema (40 µg/kg). L’effetto analgesico della medetomidina nei cani si verifica quando vengono raggiunte concentrazioni plasmatiche di 1-5 µg/ml (Salonen, 1992). Un altro studio mostra invece come non si sia verificata analgesia a concentrazioni plasmatiche di 9,5 µg/ml, misurata dopo 60 minuti dopo somministrazione iv di 40 µg/kg (Kuusela & coll, 2000); questo studio valuta però il dolore attraverso la retrazione dell’arto dovuta a puntura di un dito, una tecnica non molto affidabile. L’analgesia da dexmedetomidina (20µg/kg) valutata con tecniche analgesiometriche dura per un ora dopo la somministrazione. Questo dato sembra essere importante quando la dex o la medetomidina sono usate nelle medicazioni preanestetiche rendendo necessario il secondo dosaggio dopo un ora (Murrell & Hellebrekers2005). Le dosi di medetomidina come sedativo-analgesico sono di 750 µg/m2 iv o 1000 µg/m2 im che equivalgono approssimativamente a 20 µg/kg pc iv e 40 µg/kg pc im (Sinclair, 2003); la tipica dose sedativa da foglietto illustrativo riporta da 10 a 20 µg/kg pc iv e da 20 a 40 µg/kg pc im. Alcune evidenze cliniche indicano comunque che micro dosi di 1-3 µg/kg pc iv e 5-10 µg/kg pc im vengono di norma impiegate in associazione con altri deprimenti del SCN diminuendo 73 notevolmente gli effetti avversi della medetomidina (Paddleford & Harvey, 1999). XILAZINA Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, bovini, animali da zoo e selvatici, cani e gatti (Megaxilor 20%®; Sedaxylan2%®; Xilor soluzione iniettabile 2%®; Rompun®; Rompun sostanza secca®; Virbaxyl 2%®). Utilizzato per produrre sedazione e miorilassamento. Gatto Nella maggior parte dei gatti 3-5 minuti dopo la somministrazione può manifestarsi il vomito (Moye & coll, 1973). La dose di 1 mg/kg è considerata ottimale per ottenere l’emesi sebbene non sia sufficiente per l’effetto analgesicio (Amend & Klavano, 1973). In questa specie la xilazina viene utilizzata per eliminare l’ipertono della muscolatura scheletrica che compare nell’anestesia con ketamina (Amend & coll, 1972; Amend & Klavano, 1973). La pratica di somministrare xilazina im (0,55-1,1 kg/kg) come preanestetico, seguita dopo 20 minuti da ketamina im (15-22 mg/kg) determina analgesia e rilasciamento in 30 minuti. La xilazina rende i gatti refrattari al dolore ed è spesso accompagna l’iniezione di ketamina. L’effetto anestetico della ketamina risulta significativamente potenziato dalla xilazina (Waterman, 1983) prolungando anche l’emivita plasmatica della ketamina ritardandone la metabolizzazione. Uno studio dimostra come l’anestesia indotta da xilazina/ketamina abbia prodotto un’analgesia post operatoria in gatti onichectomizzati migliore di quella prodotta da una anestesia indotta con acepromazina-butorfanolotiopentone (Robertson & coll, 1995). Cane Il suo utilizzo si presta oltre che per l’effetto analgesico anche per ridurre a circa la metà la dose di anestetico (barbiturico o anestetici inalatori). Nel contenimento dei cani che necessitano di visita alle vie urinarie, la xilazina alla 74 dose di 2,2 mg/kg sc è il farmaco d’elezione visto che non interferisce con il riflesso della minzione (Oliver & Young, 1973). Se somministrata da sola la sua analgesia è tale da permettere l’intubazione degli animali prima della somministrazione dell’anestetico, sebbene dopo somministrazione di xilazina l’anestetico inalatorio possa essere somministrato prima con una maschera facciale per poi procedere all’intubazione (Moye & coll, 1973). La somministrazione iv di xilazina (1 mg/kg) seguita dopo 5 minuti da ketamina (10 mg/kg) iv è spesso praticata nel cane per indurre anestesia (Haskins & coll, 1986). Si può verificare vomito a dosi elevate, ma l’effetto emetico può risultare clinicamente utile per ottenere lo svuotamento gastrico al fine di evitare possibili reflussi tracheali. La xilazina può essere utilizzata per consentire il parto cesareo in anestesia locale poiché il farmaco non produce effetti depressati sui neonati (Yates, 1973); spesso per questo intervento viene utilizzata l’associazione xilazina-ketamina. ROMIFIDINA Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, cani e gatti (Romidis®; Sedivet®). E’ l’agonista alfa 2 più recente ad azione sedativa ed analgesica. La xilazina e la medetomidina provocano un’atassia più intensa ed una sedazione di minore durata se paragonate alla romifidina (England & coll, 1992). Il suo utilizzo è indicato per la sedazione (facilitazione di esami clinici, piccoli interventi e manipolazione), come agente di premeditazione e come analgesico soprattutto nella specie canina. Gatto A differenza che nella specie canina, la romifidina non è stata largamente studiata nel gatto. L’analgesia prodotta da questo farmaco è risultata dose dipendente. In soggetti somministrati con 400 µg/kg di romifidina l’analgesia prodotta e stata significativamente più elevata che dopo somministrazione di 200 µg/kg della stessa sostanza (Selmi & coll, 2004). La dose di 200 µg/kg di 75 romifidina sembra produrre la stessa sedazione di 1 mg/kg di xilazina, ma minore analgesia (Selmi & coll, 2004). Nel gatto è stato dimostrato che questo farmaco produce effetti cardiovascolari simili agli altri alfa 2 agonisti; sarebbe bene quindi utilizzarlo con cautela in pazienti con il sistema cardiovascolare compromesso (Muir & Gadawski, 2002). Altri risultati suggeriscono che la somministrazione di romifidina da sola o in associazione con butorfanolo causa un significativo decremento nella velocità cardiaca, e che la preventiva somministrazione di atropina può prevenire la bradicardia per almeno 50 minuti (Selmi & coll, 2002). Alcuni gatti sottoposti a protocolli anestesiologici in cui compare la romifidina hanno mostrato fenomeni di emesi (Cruz & coll, 2000). Cane L’effetto di diminuzione del dosaggio di sedativo ed anestetico dovuto alla somministrazione di romifidina è stato studiato estensivamente nel cane, come anche i suoi effetti cardiovascolari dopo somministrazione iv ed im. In questa specie la romifidina (40 µg/kg) im è stata rilevata indurre una sedazione equivalente a quella ottenuta dopo somministrazione di xilazina (1 mg/kg) o medetomidina (20 µg/kg) (Redondo & coll, 1999). Se somministrata in dosaggi tra 10 e 40 µg/kg im ha causato un decremento dose dipendente nella velocità cardiaca, respiratoria e nella temperatura rettale. Dosaggi tra 5 e 10 µg/kg iv inducono comunque un importante effetto sedativo (Lemke, 1999) con minimi effetti sulla pressione sanguigna (Pypendop & Verstegen, 2001). Lo stesso studio ha poi rilevato che dosaggi iv compresi tra 25 e 100 µg/kg causano bradicardia ed ipotensione iniziale (Pypendop & Verstegen, 2001) come risultato di un incremento della resistenza vascolare sistemica (Sinclair & coll, 2002) seguito da una significativa diminuzione nella pressione arteriosa. In generale sembra quindi che la somministrazione im produca rispetto alla somministrazione iv, minori alterazioni nella pressione arteriosa e nella resistenza vascolare sistemica, ma non nella velocità e forza di contrazione cardiaca (Vainio & Palmu 1989; Lemke 2001; Sinclair & coll, 2002). 76 77 ANTAGONISTI DELI RECETTORI NMDA KETAMINA La ketamina cloridrato (2-[o-clorofenil]-2- [metilamino] cicloexanone idroclorito) è un anestetico generale dissociativo derivato dalla cicloesamina fenciclidina. É stata introdotta negli anni ′60 nella chirurgia sperimentale dei primati subumani e negli anni ′70 in clinica sia umana che veterinaria (Domino & coll, 1965; Glass & Reves, 1990). Il termine anestetico dissociativo deriva dalla forte sensazione di disgiunzione dall’ambiente che la ketamina induce nell’uomo (Winters & coll, 1972). La ketamina, a differenza di altri anestetici definiti ipnotici, induce uno stato catalettico per la presenza di rigidità cerea, riflesso laringeo e palpebrale conservati, respirazione apneustica, nonché palpebre aperte con esposizione corneale, associate ad ammiccamento, nistagmo ed ipertensione arteriosa. Viene pertanto considerato un "anestetico incompleto’’ (Meyers & coll, 1980). Nonostante la sua introduzione in clinica risalga a molti anni addietro, continua ad essere largamente utilizzata in medicina umana e veterinaria, per anestesie in medicina d’urgenza, in corso di induzione dell’anestesia gassosa, per anestesie totalmente iniettive e nel trattamento del dolore cronico. La sua attività è dose-correlata in tutti i mammiferi; a basse dosi si può osservare l’effetto analgesico senza effetti sul comportamento e sull’attenzione, mentre a dosi superiori è possibile ottenere anestesia generale. È considerato il farmaco anestetico che deprime meno le funzioni cardiorespiratorie (Fine, 2003) anche se, in alcune specie, associa a tale effetto positivo caratteristiche disforiche ed epilettogene, quando utilizzata da sola. CHIMICA La ketamina è costituita da una mistura racemica di S- (+)-ketamina e di R- (-)ketamina. Nell’uomo non vi sono differenze significative nei parametri di farmacocinetica dei due isomeri (White & coll, 1985). Nel cane l’enantiomero 78 S- (+)-ketamina ha una clearance di eliminazione del 35% superiore rispetto alla forma R- (-)-ketamina anche se non vi è un’apparente differenza nella distribuzione nei tessuti periferici (Henthorn & coll, 1999). Dei due enantiomeri, la R- (-)-ketamina ha un maggiore effetto miorilassante sulla contrazione bronchiale del cane acetilcolina-indotta. Questo effetto sembra mediato dai recettori che controllano i canali del calcio (Pabelick & coll, 1997). Le preparazioni commerciali, nonostante risultino modicamente istolesive a causa di un pH tra 3,5-5,5, hanno il vantaggio, rispetto ad altri anestetici, di poter essere inoculate per via intramuscolare. FARMACOCINETICA La ketamina può essere somministrata per differenti vie, con tempi di assorbimento e distribuzione abbastanza rapidi. La via im è frequentemente utilizzata in particolare nel gatto e nei selvatici, meno nel cane ed ignorata in altre specie. Può creare qualche problema di assorbimento con ritardi nell’induzione e crisi eccitative, se il farmaco è inoculato in aree particolarmente ricche di grasso. Queste captano il farmaco e ne rallentano in modo significativo l’assorbimento e la distribuzione. La via endovenosa è la più utilizzata; solitamente si raccomanda di inoculare il farmaco in un intervallo non inferiore ai 60’’, poiché una somministrazione rapida può provocare depressione respiratoria o apnea e una più pronunciata risposta pressoria. Sono state sperimentate nell’uomo e negli animali vie alternative come l’intra-articolare, la sottocutanea per infusione continua (Huang & coll, 2000), l’intrarettale, l’intranasale, l’intratecale, l’epidurale (Thurmon & coll, 1997; Iida & coll, 1997) e la via orale (Wetzel & Ramsay, 1998; Grove & Ramsay, 2000). Dopo inoculazione iv la distribuzione nei tessuti è sempre rapida con il raggiungimento, in circa 60’’, di concentrazioni equivalenti tra plasma e corteccia. L’effetto clinico s'instaura in tempi più lunghi rispetto ai tiobarbiturici (Cohen & coll, 1973). Nel cavallo circa il 60% è metabolizzato dal fegato; il restante farmaco immodificato è eliminato dal rene (Thurmon & coll, 1997). 79 MECCANISMO D’AZIONE Il meccanismo d’azione non è completamente conosciuto. A differenza di altri anestetici iniettivi, la ketamina non agisce deprimendo il sistema di attivazione reticolare del midollo allungato. Produce piuttosto un’azione dissociativa tra stimolo e percezione dello stesso, senza deprimere le aree del SNC interessate (Reich & Silvay, 1989).Tale differenza si spiega con un’attività stimolante il sistema simpatico ed un antagonismo recettoriale non competitivo nei confronti dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato), rispetto alla classica attivazione dei recettori GABA (Headley & coll, 1987). I recettori NMDA sono stimolati dal glutammato ed hanno azione eccitativa sulle vie del dolore e sullo stato di reattività del soggetto, nonché nello sviluppo del cervello nei mammiferi in età immatura (Freese & coll, 2002). L’attività analgesica, prevalentemente somatica e vegetativa, è ottima anche a basse dosi e senza depressione cardiorespiratoria, tanto da essere sfruttata nei reparti di medicina d’urgenza in medicina umana e veterinaria (Hirlinger & Dick, 1998; Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990). La ketamina, a dosi subanestetiche, si è dimostrata una valida alternativa agli oppiacei nell’analgesia postoperatoria e nel trattamento del dolore nel paziente terminale. Tale applicazione in algologia è stata introdotta dopo l’identificazione dei recettori NMDA come responsabili dell’innesco dell’allodinia o percezione algica di stimolo non algico e dell’iperalgesia, tipiche manifestazioni di queste situazioni cliniche (Eide, 2000). EFFETTI CLINICI SUI VARI APPARATI SNC La ketamina induce un effetto anestetico dose-correlato, associato ad uno stato catalettico ed allucinatorio. Dosi basse tendono ad indurre analgesia, assenza di allucinazioni ed un effetto anticonvulsivante specie-correlato. Nell’uomo affetto da epilessia, infatti, il farmaco presenta un effetto anticonvulsivante a 2-6 mg/kg 80 iv, anche se, con la dose maggiore, si registrano onde simil epilettiche all’EEG corticale (Kayama, 1982). Nel cane il comportamento è inverso con crisi convulsive in fase d’induzione anestetica (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto le convulsioni da ketamina sono meno frequenti. Nel 2% di cani sani anestetizzati con l’associazione ketamina-acepromazina-xilazina, si osservano brevi crisi convulsive in fase di induzione (Cuomo, 1994). Nel gatto, con la stessa miscela anestetica ed in corso di mielografia, non si osserva tale effetto (Cuomo, 1997). Eccitazione o movimenti ondulatori ripetuti della testa sono riportati in fase di risveglio soprattutto nel gatto rispetto al cane; benzodiazepine, alfa 2 agonisti, oppioidi, fenotiazine da soli o in associazione, riducono o annullano queste complicazioni. In ogni caso, è buona norma utilizzare la ketamina sempre in associazione ed evitarne l’uso in animali affetti da epilessia o in preda a convulsioni. Studi effettuati sull’analgesia indotta dalla ketamina nell’uomo hanno portato a guardare al farmaco in modo leggermente differente, rispetto al passato, anche in Medicina Veterinaria. L’osservazione clinica della parziale reattività dell’animale agli stimoli ambientali fa ritenere che la ketamina, come anestetico generale, associ analgesia solo all’instaurarsi dell’effetto anestetico e che l’analgesia viscerale sia del tutto trascurabile anche in anestesia. Nell’animale in cui utilizziamo dosi subanestetiche, è possibile ottenere vocalizzazioni e risposte di difesa alla sola manipolazione; lo stesso animale però rimane tranquillo se pratichiamo manovre dolorose. Evidentemente l’effetto analgesico, analogamente a quanto avviene nell’uomo, si stabilisce a dosi inferiori a quelle anestetiche (Wagner & coll, 2002). Rispetto a quello che avviene con altri anestetici generali, la depressione del SNC appare differente anche per la persistenza dei riflessi laringeo, palpebrale e del tono muscolare. La presenza del riflesso laringeo crea problemi in corso di intubazione endotracheale e costringe l’anestesista a utilizzare un’anestesia locale per nebulizzazione del laringe. Se utilizziamo associazioni farmacologiche, e non la sola ketamina, l’intubazione è possibile (Cuomo, 1994). Talvolta la presenza del riflesso laringeo è un vantaggio in quelle procedure di breve durata, come in 81 corso di detartrasi, dove è utile avere il cavo orale libero da tubi, evitando comunque la possibilità di ab-ingestis. In corso di anestesia totale intravenosa (total intravenous anesthesia, TIVA) con associazioni a base di ketamina, la presenza del riflesso palpebrale ci può aiutare nella valutazione del piano anestetico indicandoci, con la sua scomparsa, un eccessivo approfondimento dello stesso. La presenza di tono muscolare inibisce l’uso della sola ketamina per procedure ortopediche; tale problema è superato dall’associazione con farmaci miorilassanti. CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO Gli effetti cardiovascolari della ketamina sono mediati dall’attivazione del sistema vegetativo simpatico. In gatti anestetizzati con pentobarbital, se la ketamina viene somministrata localmente a livello miocardico determina un rilascio di noradrenalina nello spazio interstiziale (Kitagawa & coll, 2001; 2003); mentre dopo inoculazione iv i livelli plasmatici di adrenalina e noradrenalina aumentano a 2’, per ritornare ai valori basali dopo 15’. L’effetto interessante nel cane e nel gatto è che la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e l’output cardiaco aumentano, senza che si registri un aumento significativo delle resistenze periferiche (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto, inoltre, la ketamina mostra una significativa attività vasodilatatoria nel letto vascolare polmonare, migliorando l’ematosi (Kaye & coll, 2000). In vitro, alcuni Autori riportano un significativo effetto inotropo negativo dose dipendente (Diaz & coll, 1976) che, in vivo, è probabilmente mascherato dall’aumento del tono simpatico (Schwartz & Horwitz, 1975; Horwitz, 1977; Hornchen & Tauberger, 1980) e, pertanto, di scarso significato clinico (Chamberlain & coll, 1981). OCCHIO Nell’uomo la ketamina è stata associata ad un aumento della pressione intraoculare (IOP) (Goodman & Gilman, 1996). Nei nostri animali domestici, i 82 dati in letteratura danno risultati discordanti a seconda della specie e del tipo di protocollo. Nei soggetti premedicati con farmaci miorilassanti non si dovrebbe osservare alcun aumento di IOP, per la diminuzione del tono dei muscoli extraoculari responsabili dell’effetto (Thurmon & coll, 1997). APPARATO RESPIRATORIO A differenza di altri anestetici generali, le risposte all’ipossia sono conservate insieme alla reattività del sistema simpatico. Rispetto a un’anestesia alotanica, la broncodilatazione, la diminuzione degli shunt artero-venosi intrapolmonari e la normotensione mantengono alti i valori della PaO2 anche durante ventilazione monopolmonare (Lumb, 1979). Sulla muscolatura liscia bronchiale, la ketamina ha un effetto broncodilatatorio con diminuzione delle resistenze (Bovill & coll, 1971; Cheng & coll, 1996) tanto da essere raccomandata come gold standard in umana per l’anestesia di soggetti in crisi asmatica (Corssen & coll, 1972). Nel cane una dose di 10 mg/kg annulla la broncocostrizione da istamina e potenzia il rilassamento bronchiale da adrenalina (Hirota & coll, 1998). L’ematosi rimane generalmente adeguata anche in soggetti in trattamento d’urgenza, nonostante la ketamina possa indurre, transitoriamente, respiro apneustico e diminuzione del volume corrente minuto (Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990). INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI In letteratura è possibile trovare associazioni farmacologiche a base di ketamina piuttosto simili ma con dosi leggermente differenti dei singoli farmaci. Riportiamo le associazioni maggiormente utilizzate, alcune ormai datate ma con una loro validità, e quelle dove i farmaci sono presenti sul mercato italiano sotto forma di specialità veterinarie. Nonostante l’uso di atropina non sia sempre riportato, e da qualcuno sia omesso o criticato, se ne consiglia l’uso soprattutto quando nel protocollo sono presenti farmaci alfa 2 agonisti o si manifestano segni di attivazione parasimpatica. Si consiglia, inoltre, di non utilizzare antagonisti degli alfa 2 agonisti o delle benzodiazepine, se non in corso di 83 complicazioni anestetiche. L’antagonismo potrebbe smascherare gli effetti della ketamina con il manifestarsi di crisi eccitative. SOVRADOSAGGIO E TOSSICITÀ Nel gatto, l’uso di dosi elevate di ketamina (50 - 100 mg/kg im) non causa la comparsa di segni clinici di tossicità acuta (Arnbjerg, 1979) mentre nel cane, dosi di 40 mg/kg/die per 6 settimane, inducono solo un innalzamento transitorio degli enzimi epatici (Corssen & coll, 1968). Per somministrazioni croniche è sospettata l’induzione enzimatica del citocromo P450, analogamente a quanto avviene per i barbiturici (Thurmon & coll, 1997). L’osservazione che il pre trattamento con fenobarbitale riduce la durata dell’anestesia da xilazinaketamina nel cane (Nossaman & coll, 1990), sembrerebbe confermare tale ipotesi. In uno studio retrospettivo di Dyson & coll, (1998) sulle cause di mortalità da farmaci in anestesia, è riferito come il rapporto di probabilità di complicazioni in corso di anestesia nel cane è dello 0,21 per l’uso di ketamina contro il 91,5 della xilazina, 0,35 del butorfanolo, 0,24 dell’acepromazina e il 2,4 per l’uso di isoflurano. Nel gatto, il rapporto di probabilità è dello 0,17 per la ketamina, contro il 4.1 del diazepam e lo 0,45 del butorfanolo (Dyson & coll, 1998). Nonostante tali dati rassicuranti, la ketamina è stata indicata quale responsabile di lesioni degenerative neuronali a carico del cervello immaturo. Nel topo neonato sottoposto a ripetute anestesie, Olney ha messo in evidenza apoptosi e vacuolizzazioni neuronali. Sulla scorta di tali dati, la FDA non ne ha licenziato l’uso in pediatria (Ikonomidou & coll, 1999; Olney & coll, 1989). Nonostante questo la ketamina è utilizzata di routine nei reparti di pediatria e ginecologia, senza che alcuno studio clinico sia riuscito a mettere in evidenza effetti lesivi sulle funzioni cerebrali dei pazienti. Discorso a parte andrebbe fatto, invece, per le assunzioni croniche della sostanza che, nell’uomo, sembrano indurre dipendenza, riduzione delle capacità cognitive e sintomi psichiatrici (Frese & coll, 2002). 84 SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI EPATICHE O RENALI Nonostante in pazienti con funzione epatica normale (cane, cavallo ed uomo) siano state somministrate dosi ben al di sopra di quelle anestetiche per tempi prolungati e senza effetti nocivi, nei portatori di epatopatie è prevedibile un rallentamento della metabolizzazione del farmaco, con necessità di riduzione delle dosi. Analogo discorso va fatto per animali con insufficienza renale ed in particolare nel gatto. SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE Il problema resta controverso. Vi è aumento del consumo di O2 da parte del miocardio in vitro, mentre in cani e gatti anestetizzati con ketamina, l’aumento del consumo di O2 si associa a vasodilatazione del circolo coronarico, tanto da compensare l’aumento del lavoro miocardico, senza vasocostrizione periferica (Thurmon & coll, 1997). Soggetti in shock anestetizzati con ketamina mostrano una percentuale di sopravvivenza maggiore rispetto a soggetti in anestesia alotanica. Nello shock emorragico indotto nel suino l’associazione medetomidina-ketamina sembra essere un ottimo protocollo TIVA in corso di rianimazione. CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA I dati presenti in letteratura sono contrastanti riguarda l’aumento della IOP e pressione intracranica (ICP) ketamino-indotte. In medicina umana, l’aumento di IOP dovuta al farmaco viene messo in dubbio da più parti. Nel cane e nel cavallo, l’associazione xilazina-ketamina ne determina l’aumento nella prima specie ed una diminuzione nella seconda (Thurmon & coll, 1997). Anche in corso di chirurgia endocranica i dati sono controversi, tanto che Ohata afferma “la ketamina è appropriata per l’uso integrativo nell’anestesia neurochirurgica’’, sulla base dell’osservazione che, topicamente o iv, attenua la vasodilatazione ipercapnica in cani sotto anestesia con pentobarbitale o isofluorano (Ohata & coll, 2001). Nella capra in anestesia ketaminica, la ICP ed il flusso cerebrale si 85 innalzano solo al mancato controllo della PaCO2; tale rilievo non farebbe attribuire l’effetto all’azione della ketamina ma alla vasodilatazione ipercapnica (Thurmon & coll, 1997). Pertanto, in attesa di dati definitivi ed in presenza di valide alternative, se ne sconsiglia l’uso. SOGGETTI AFFETTI DA EPILESSIA Nonostante nell’uomo, nel cane e nel gatto sia riportato un effetto anticonvulsivante, è sconsigliato l’uso in soggetti epilettici od in preda a convulsioni. INTERAZIONI FARMACOLOGICHE Tutti i farmaci depressanti il SNC mostrano avere un effetto sinergico nei confronti della ketamina, potenziandone l’effetto anestetico o allungandone i tempi d’azione e riducendone ampiamente gli effetti collaterali. Questo tipo di interazione è ampiamente sfruttato in anestesia. Al di fuori del campo anestesiologico, poche sono le segnalazioni di interferenza da parte di altre classi di farmaci. Il cloramfenicolo aumenta i tempi di eliminazione della ketamina nel gatto (Thurmon & coll, 1997) mentre furosemide, mannitolo e aminofillina, non alterano significativamente l’eliminazio del farmaco dal circolo ematico nel gatto, sebbene abbiano la tendenza a prolungarla. Gatto Nel gatto le differenze nel catabolismo sono sostanziali e la maggior parte del farmaco viene escreto intatto per via renale. Le caratteristiche di metabolizzazione ed escrezione ne consigliano il sottodosaggio negli animali con problemi renali o epatici. In questa specie, l’emivita di una dose di 25 mg/kg è di 66,9 ± 24,1 minuti, indipendentemente dalla via di somministrazione im o iv. L’assorbimento dal sito di inoculazione è rapido, con picco plasmatico a 10 minuti e circa il 92 % della dose biodisponibile (Baggot & Blake, 1976). L’uso utilizzo come analgesico non è stato molto perpetuato (Robertson & Taylor, 2004) mentre viene largamente utilizzato per l’induzione dell’anestesia. 86 Cane Nel cane vi è una stretta correlazione tra concentrazioni plasmatiche della ketamina ed effetto anestetico (Schwieger & coll, 1991). La ridistribuzione del farmaco agli altri tessuti induce l’abbassamento delle concentrazioni plasmatiche e la superficializzazione dell’anestesia. Solo successivamente sarà sottoposta ad attività catabolica ed eliminazione (Thurmon & coll, 1997). Tale comportamento testimonia la sua grande facilità di passaggio dal comparto vascolare ai tessuti e viceversa, con aggiustamenti rapidi nelle concentrazioni plasmatiche. Nel cane e nei primati è documentato il passaggio anche attraverso la barriera placentare. Questo potrebbe avere un significato clinico nel suo uso in ostetricia anche se, rispetto ad altri farmaci anestetici, l’effetto depressivo sul neonato e la mortalità fetale risultano inferiori (Thurmon & coll, 1997). Studi nel cane hanno mostrato come il farmaco viene metabolizzato principalmente (62%) dal fegato a N-demetilketamina, metabolita attivo, ed escreto con le urine (Kaka & Hayton, 1980). Negli ultimi anni l’azione analgesica di questa molecola è risultata promettente, infatti, cani somministrati con ketamina nel periodo post operatorio dopo amputazione degli arti anteriori hanno mostrato una riduzione del dolore rispetto al controllo (Wagner & coll, 2002). La somministrazione della ketamina prima del danno tissutale ha ridotto la sensibilità al dolore e se somministrata per via epidurale ha ridotto il dolore in cani fratturati se comparata con la soluzione fisiologica (Amarpal & coll, 1999). Uno studio ha inoltre dimostrato l’effetto analgesico della ketamina in cani con sinoviti indotte (Hamilton & coll, 2005). 87 ANESTETICI LOCALI Il primo anestetico locale impiegato clinicamente è stata la cocaina. All’inizio del 1900 fu identificata la sua struttura e sulla base di questa vennero sintetizzate nuove molecole che apportavano una tossicità minore e nessun tipo di dipendenza. Tutte le nuove molecole prodotte sono costituite da una porzione idrofila ed una lipofila, connesse da una catena carboniosa che può essere rappresentata da un’ammina o da un’estere. MECCANISMO D’AZIONE Gli anestetici locali bloccano (in modo transitorio e reversibile) la conduzione nervosa modificando la propagazione del potenziale d'azione a livello dell’assone. La membrana della fibra nervosa, da una condizione di riposo mantenuta dall'attività di una pompa Na-K ATPasi-dipendente, in seguito alla corrente del potenziale d'azione, consente l'ingresso massivo di ioni sodio al suo interno, modificando il potenziale di membrana da negativo a positivo. La corrente di depolarizzazione nel momento in cui tutta la superficie della membrana è depolarizzata, innesca modificazioni strutturali del canale sodico responsabile di un ostacolo a un ulteriore ingresso di Na con conseguente inattivazione dell'eccitabilità di membrana. All’interruzione della corrente sodica segue la fuoriuscita dalla cellula di ioni K in numero uguale a quello di ioni Na penetrati nella fase di depolarizzazione. Il canale rapido del sodio è il recettore specifico su cui agiscono gli anestetici locali. Le molecole d'anestetico, una volta attraversata la membrana cellulare della fibra nervosa, si legherebbero ad un recettore presente sulla faccia interna della membrana, di fatto impedendo l'ingresso massivo di ioni Na e quindi la fase di depolarizzazione. Gli anestetici locali nella loro forma attiva, quella ionizzata, interferiscono con le diverse fasi del potenziale d'azione, diminuendone l'ampiezza, la velocità di depolarizzazione e la durata del periodo refrattario. La concentrazione di 88 anestetici locali necessaria per determinare il blocco della conduzione nervosa differisce per ogni sostanza, pertanto la potenza di ciascun anestetico locale viene indicata dalla concentrazione minima inibente (CMI), ovvero dalla concentrazione di farmaco al di sotto della quale la fibra ritorna ad essere eccitabile. POTENZA La liposolubilità o l’idrofilicità della molecola sembra essere la principale proprietà dalla quale dipende la potenza intrinseca dell’anestetico. Quanto più piccola e più liopofila appare la molecola tanto più rapida è la comparsa della sua azione. Anche l’idrofilia è importante perché è necessaria per il processo di diffusione nel sito d’azione dell’anestetico locale. TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA ANESTETICA Entrambi i fattori sono legati alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco e sono dose dipendenti. Da notare che sperimentazioni in vitro possono dare risultati contrastanti con studi in vivo, dato che in questo ultimo caso viene determinata anche l’azione dell’anestetico sulla vascolarizzazione locale. SENSIBILITÀ AGLI ANESTETICI LOCALI Non tutti sono d’accordo sulla reale esistenza di una differente sensibilità delle fibre nervose agli anestetici locali. Sotto il profilo clinico, la sensibilità agli anestetici locali può essere influenzata da diversi fattori come la dimensione della fibra, il tipo strutturale della fibra, la localizzazione del nervo, l’area del nervo esposta all’anestetico, il tempo per il conseguimento dell’equilibrio dell’anestetico locale con il tessuto, etc... 89 FARMACI PROCAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. E’ un composto che si presenta sottoforma di polvere bianca cristallina solubile in acqua. Le soluzioni acquose sono facilmente decomposte dai batteri specialmente se esposte all’aria. Sono resistenti al calore e sterilizzabili in autoclave. E’ l’anestetico locale di riferimento per quanto riguarda la tossicità e la potenza, in quanto ad esso è stato attribuito arbitrariamente il valore di 1. La notevole differenza di tossicità fra procaina ed il potente analgesico locale cocaina è imputabile alla loro diversa velocità di metabolizzazione. La procaina viene demolita molto velocemente. Ha un assorbimento molto rapido dal sito di iniezione e viene idrolizzata da un’esterasi plasmatica a formare acido paraamino-benzoico. La procaina interferisce con la determinazione chimica dei sulfamidici nei liquidi biologici. Ha inoltre la caratteristica di formare sali o coniugati scarsamente solubili con altre sostanze, prolungandone la durata d’azione. Questa proprietà è stata sfruttata per l’associazione con la penicillina (procaina-penicillina G). Gatto Usata nell’anestesia per infiltrazione e in quella da blocco di conduzione nel gatto è preferita ad una concentrazione dell’1%. Viene scarsamente utilizzata nell’anestesia di superficie poiché non risulta molto efficace con questa via di somministrazione. Le DL50 in questa specie sono 0,45 g/kg sc e 0,045 g/kg iv (Ford & Raj, 1987). Cane Nei cani di media-grande taglia è preferito l’utilizzo di procaina al 2%. Le DL50 sc in questa specie è 0,25 g/kg. 90 TETRACAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. E’ un derivato sintetico dell’acido para-amino-benzoico. Le soluzioni vanno incontro a idrolisi e si possono formare dei cristalli insolubili di acido p-butilamino-benzoico. Né i cristalli né le soluzioni sono sterilizzabili più di una volta. Ha una tossicità sistemica 20 volte maggiore di quella della procaina. E’ ed è stata usata principalmente per l’anestesia topica o per l’anestesia subaracnoidea. E’ l’anestetico locale contenuto nel Tanax®. Grazie alla sua elevata tossicità è ormai passata in disuso. PRILOCAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. E’ un’ammide derivata dall’anilide. Ha proprietà farmacologiche simili a quelle della lidocaina ma rispetto a questa è più potente e meno tossica. Ha inoltre un maggior tempo di latenza e una maggiore durata d’azione. La velocità di metabolizzazione è più rapida di quella della lidocaina. Dopo somministrazione di dosi elevate (>600 mg) può determinare cianosi per metaemoglobinemia. Il trattamento consiste nella somministrazione endovenosa di blu di metilene (1 mg/kg). Gatto In gatti aritmici l’uso sistemico di prilocaina si è rilevato efficace, ma contrariamente alla lidocaina che provoca diminuzione della pressione sanguina, ne è stato evidenziato un aumento (Quevedo & coll, 1978). Un suo utilizzo come analgesico locale è dato dall’associazione con lidocaina (EMLA), crema topica per prevenire il dolore al momento dell’iniezione e migliorare la manipolazione dell’animale (Flecknell & coll, 1990). In un recente studio questa formulazione non si è dimostrata sicura ed efficace in gatti malati per le concentrazioni plasmatiche riportate: inoltre non sono state riportate differenze 91 significative sulla facilità di introduzione del catetere in gatti trattati e non (Wagner & coll, 2006). Cane Non esistono molti studi in questa specie visto che questo farmaco a livello sistemico si è dimostrato un induttore enzimatico (Heinonen & Ahtee, 1968). Viene però largamente utilizzato in associazione con la lidocaina (EMLA) per prevenire il dolore dovuto all’introduzione di cateteri (Flecknell & coll, 1990). LIDOCAINA Commercializzata per bovini, equini, suini, ovini, cane e gatto (Lisacaina®, Lidocaina 2%®, Lidocaina 2% ATI®, Lidocaina 2% Fort Dodge®). E’ un composto solubile in acqua e molto stabile. Può essere sottoposto a sterilizzazione in autoclave per 6 ore o a trattamenti multipli senza perdere di potenza. Ha un’elevata affinità per i tessuti grassi. La maggior parte di questo farmaco viene metabolizzata nel fegato per trasformazione in fenolo libero e coniugato, mentre la struttura ad anello viene idrossilata. La porzione fenolica si può ritrovare nelle urine. L’escrezione della lidocaina in forma immodificata è minore al 5%. E' un anestetico locale che si diffonde facilmente per la sua struttura molecolare e per il suo pKa, vicino al pH fisiologico. Ha proprietà vasodilatatrici e per questo motivo è l'anestetico locale che meglio si presta ad essere somministrato assieme all'adrenalina che limita le concentrazioni plasmatiche, prolunga la durata d'azione e ne aumenta la potenza. L'adrenalina può essere aggiunta estemporaneamente immediatamente prima della somministrazione o può essere già presente nelle confezioni in commercio. Ha un tempo di latenza breve e una durata d'azione intermedia (70-90 min). Utilizzata in tutti i tipi di anestesia locale, ma anche per via iv come agente antiaritmico e coadiuvante nell’analgesia generale. Indicata per anestesie di superficie, di infiltrazione, tronculari ed epidurali. 92 Gatto Dopo somministrazione iv la lidocaina ha mostrato indurre analgesia sia in condizione di dolore indotto che naturale (Pypendop & Ilkiw, 2005; Dohi & coll, 1979), ma in un recente studio dosi di 2 mg/kg iv hanno prodotto concentrazioni plasmatiche basse da non influenzare la soglia al dolore termico (Pypendop & coll, 2006). L’uso di questo anestetico locale (1 mg/kg) in combinazione a anestetici generali, ha prodotto un’anestesia bilanciata nell’ovarioisterectomia in felini, riducendo il bisogno di anestetico generale (Zilberstein & coll, 2008). L’andamento cinetico della lidocaina si è dimostrato differente in gatti anestetizzati o svegli: il volume di distribuzione è risultato significativamente più basso, con più alte concentrazioni plasmatiche in gatti anestetizzati. Anche il tempo di emivita è risultato ridotto (Thomasy & coll, 2005). Cane La lidocaina viene metabolizzata a livello epatico a velocità simile alla procaina. Nel cane i metaboliti principali identificati sono 2 di cui uno riporta sempre una buona attività analgesica (Wilcke & coll, 1983a). Dopo singola somministrazione iv ed im i valori medi della Kel e della clearance risultano di 0,786 ore e 2,4 l/kg/ora. Dopo somministrazione im la Kass risulta di 7,74 ore e la biodisponibilità del 91% (Wilcke & coll, 1983a). Dosaggi elevati di lidocaina possono produrre morte per fibrillazione ventricolare o arresto cardiaco (Wilcke & coll, 1983b). Negli ultimi anni sono stati prodotti cerotti transdemici a base di lidocaina che nel cane sembrano avere un’elevata efficacia analgesica e bassi effetti collaterali (Weiland & coll, 2006). ETIDOCAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. E’ un derivato della lidocaina, caratterizzata da un’elevata liposolubilità che gli conferiscono una maggiore durata d’azione, con un blocco motorio e sensitivo 93 particolarmente prolungati. E’ di potenza quasi pari alla bupivacaina e ad eccezione dell’anestesia spinale e di quella per via endovenosa viene impiegata nelle stesse circostanze. Gatto Non esistono studi specifici nel gatto. Cane Pochi studi condotti su questa molecola esistono nel cane. La sua elevata liposolubilità oltre a conferirgli una prolungata azione, ne esalta anche gli effetti a livello del SNC (Liu & coll, 1983). MEPIVACAINA Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini (Mepivacaina cloridrato 2% Galenica Senese®). Impiegata per anestesie infiltrative, intrarticolari, tronculari ed epidurali. Si presenta come una polvere bianca, cristallina e senza odore. Possiede un atomo di carbonio asimmetrico che la rende otticamente attiva. In forma di sale cloridrato è solubile in acqua. La sua trasformazione metabolica avviene, nell’adulto, nel fegato per N-demetilazione e coniugazione ed escrezione come glicorunide e idrossilazione dell’anello aromatico. Il 5-10% viene escreto, immodificato, nelle urine. E’ molto simile alla lidocaina (pur essendo più potente e meno tossica di questa) e viene utilizzata a dosi e concentrazioni simili. E’ l'unico anestetico locale che non ha proprietà di vasodilatazione, per cui non necessita dell'aggiunta del vasocostrittore. Ha un tempo di latenza relativamente breve e una durata d’azione simile a quella della lidocaina. 94 Gatto Nessun dato specifico esiste sulla mepivacaina nel gatto sebbene il suo utilizzo sia ormai perpetuato in questa specie grazie alle sue caratteristiche farmacologiche. Cane Anestetico locale di durata intermedia può essere combinato con la morfina per l’epidurale ed associata con il meloxicam per ottenere analgesia postoperatoria di durate di 24 ore (Fowler & coll, 2003). Se associato alla dexmedetomidina viene prolungata la durata di vasodilatazione indotta dal blocco del simpatico (Tezuka & coll, 2004). La durata dell’effetto di blocco del nervo radiale nel cane è stata incrementata dall’associazione mepivacaina medetomidina (Lamont & Lemke, 2008). Il carprofene combinato con anestesia epidurale di mepivacaina incrementa l’analgesia postoperatoria in interventi chirurgici ortopedici (Bergmann & coll, 2007). BUPIVACAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. E’ solubile in acqua in forma di sale cloridrato e stabile alla sterilizzazione in autoclave. Si lega alle proteine plasmatiche per il 79-90%. La forma non legata viene metabolizzata nel fegato per N-dealchilazione. Il 10% è escreto, immodificato, nelle urine. Questo anestetico locale è caratterizzato da un lungo periodo di latenza e da una lunga durata d'azione. La sua potenza è quattro volte superiori a quella della lidocaina, ma anche la sua tossicità è maggiore. In particolare, in gravidanza sembrerebbe aumentata la sua cardiotossicità. Gatto In gatti anestetizzati con alotano la bupivacaina, differentemente dalla lidocaina, ha mostrato di non sopprimere l’attività simpatica cardiaca, sebbene abbia mostrato un effetto deprimente sulla conduzione cardiaca maggiore della 95 lidocaina (Nishikawa & coll, 1997). Pazienti felini sottoposti a onichectomia, ai quali, sono state irrigate le ferite con mepivacaina, hanno mostrato un dolore post anestetico minore rispetto a quelli ai quali è stata somministrata soluzione fisiologica (Winkler & coll, 1997). Un’altra associazione con la bupivacaina è stata fatta con la morfina, entrambe somministrate prima dell’intervento chirurgico. Questo trattamento si è rilevato più efficace nell’indurre un’analgesia prolungata nei gatti (ma anche nei cani) dell’associazione ossimorfone ketoprofene (Troncy & coll, 2002). Il dolore post operatorio e le complicazioni derivanti da intervento di onichectomia degli arti inferiori nei gatti sono state diminuite dall’associazione tra bupivacaina e buprenorfina, rispetto alla buprenorfina somministrata da sola (Curcio & coll, 2006). In un recente studio condotto su gatti sottoposti ad ovarioisterectomia, paragonante l’analgesia indotta da butorfanolo, carprofene, ketoprofene o bupivacaina, quest’ultima ha rilevato la necessità di una dose addizionale di analgesici subito dopo (nelle prime 4 ore) l’intervento chirurgico (Tobias & coll, 2006). Cane L’iniezione della bupivacaina nello spazio intrapleurico si è dimostrato efficace e sicuro nel cane (Vadeboncouer & coll, 1990; Thompson & Johnson, 1991; Stobie & coll, 1995; Conzemius & coll, 1994). Alcune complicazioni però possono verificarsi dall’errato posizionamento del catetere, dalla tossicità della bupivacaina e dal blocco neurale (Stromskag & coll, 1990). La tossicità della bupivacaina iv in cani può risultare in convulsioni, ipotensione, fibrillazione ventricolare, bradicardia fino all’arresto cardiaco (Groban & coll, 2001; Bruelle & coll, 1996; Groban & coll, 2002; Weinberg & coll, 2003; Groban & coll, 2000; Liu & coll, 1983). Sebbene siano stati riportati numerosi casi di tossicità cardiaca se iniettata nello spazio pericardico la bupivacaina non ha mostrato fenomeni aritmici (Bernard & coll, 2006). In cani sottoposti all’ablazione dell’orecchio la somministrazione locale di bupivacaina non ha aumentato l’analgesia indotta dall’infusione continua di morfina (Radlinsky & coll, 2005). 96 In questa specie la levobupivacaina, isomero della bupivacaina, se somministrata alle stesse dosi, sembra avere meno effetto sul blocco simpatico della molecola racema (Iwasaki & coll, 2007) in quanto la forma levo ha manifestato minori effetti collaterali a livello cardiaco (Jung & coll, 2007). Un recente studio dimostra infine come gli effetti tossici della bupivacaina siano dose dipendenti nei cani, e sottolinea che nella singola somministrazione intrarticolare i rischi di raggiungere concentrazioni plasmatiche tossiche siano bassi mentre ben più alti sono quelli associati a somministrazioni multimodali (Bubenik & coll, 2007). ROPIVACAINA Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia. La ropivacaina cloridrato è un nuovo anestetico locale di tipo ammidico a lunga durata di azione, preparato come isomero anziché come mistura racemica come la bupivacaina. La sua liposolubilità è intermedia tra quella della lidocaina e della bupivacaina, mentre il legame proteico è simile a quello della bupivacaina. Si caratterizza da tutti gli altri anestetici locali per essere un S-enantiomero in soluzione al 99% sfruttando quindi solo le specifiche proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche di questa forma chimica. La sua solubilità nella forma commerciale è intorno a valori di pH 6. La sua clearance plasmatica totale è di 440 ml/min, la renale di 1ml/min, il suo volume di distribuzione è di 47 l che determinano un’emivita di 1,8 ore. Il farmaco iniettato per via peridurale mostra un assorbimento bifasico con un’emivita delle due fasi rispettivamente di 14 minuti e 4 ore. Viene metabolizzata in maniera predominante con idrolisi aromatica ed escreta nell’86% con le urine. Il suo profilo farmacocinetico è: clearance plasmatica 440 ml/min; volume di distribuzione 47 l; emivita 1,8 ore; frazione libera 0,06%; metabolita principale 3-idrossi-ropivacaina. Gli effetti collaterali sono gli stessi degli altri amidi a lunga durata, ma in particolare si è rilevata una ridotta tossicità cardiaca rispetto alla bupivacaina (Loftus & coll, 1995). Comunque il primo segno di 97 sovradosaggio rimane comunque a carico del SNC. Rispetto agli effetti collaterali minori quali nausea e vomito nelle pazienti gravide, questi sembrano essere di minore rilevanza clinica, sempre in comparazione alla bupivacaina. Gatto Nessun dato specifico sulla ropivacaina esiste nel gatto sebbene venga largamente utilizzato nella pratica clinica. Cane In questa specie la ropivacaina, se comparata con la bupivacaina a equivalenti concentrazioni plasmatiche, produce una durata sensoriale ed un blocco motorio più breve (Feldman & coll, 1996). Se somministrata ad alte dosi può causare in maniera diretta una pesante vasocostrizione a livello centrale (Ishiyama & coll, 1997). Studi sulla tossicità indicano che concentrazioni plasmatiche elevate di ropivacaina sono meglio tollerate di quelle di bupivacaina e levobupivacaina suggerendo un più largo range d’utilizzo di terapeutico rispetto ad altri anestetici locali (Groban & coll, 2001). 98 Bibliografia Agnello KA, Reynolds LR, Budsberg SC. 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IDELSON – GNOCCHI 2009 pp 454-489. 135 RINGRAZIAMENTI Vorrei sentitamente ringraziare il professore Giulio Soldani per avermi seguito nella stesura di questa tesi. Uno speciale ringraziamento al professore Mario Giorgi per la pazienza, l’aiuto e la disponibilità. Grazie anche ai miei familiari e agli amici che mi hanno accompagnato in questi anni di studio. 136