IL BULLO E LE SUE VITTIME: ASPETTI PSICOLOGICI E RELAZIONALI MARIA TERESA NIRO Moncalieri, 24 febbraio 2006 Sul dizionario Zingarelli (1993), al termine "bullo" corrisponde la definizione di: «prepotente, bellimbusto, che si mette in mostra con spavalderia», mentre sul Devoto e Oli (1993) il bullo è un «teppista, sfrontato», ma anche «in senso non cattivo, bellimbusto, che si rende ridicolo per la vistosità e l’eccentricità dell’abbigliamento». Bisogna attendere il 1996 perché il termine "bullismo" compaia su alcuni dizionari nella sezione "neologismi". Il significato che noi oggi diamo al termine "bullismo" deriva da quello anglosassone. Sull’Oxford Dictionary del 1990, bully denota una «persona che usa la propria forza o potere per intimorire o danneggiare una persona più debole». Dalla comune radice derivano sia il verbo to bully che il sostantivo bullying. Il significato inglese del termine non denota quindi un semplice atteggiamento, come accadeva nella lingua italiana, quanto una specifica modalità di relazione tra due persone, tra «un più forte, che si avvale della propria superiorità per danneggiare un soggetto più debole». In questa definizione viene espressa con chiarezza la matrice relazionale del fenomeno e sono presenti due dei principali criteri che la comunità scientifica è solita utilizzare per demarcare il fenomeno del bullismo da ciò che non lo è: l’esistenza di uno squilibrio nel rapporto di forza tra due o più persone; l’intenzione di arrecare un danno alla persona più debole. Una terza condizione, necessaria, per definire un fenomeno come bullismo concerne, infine, il perdurare nel tempo di un tale tipo di relazione squilibrata. È lecito, tuttavia, supporre che tra i giovani, soprattutto in ambito scolastico, il fenomeno non sia così recente. È stato però per lungo tempo sottovalutato, ritenendo che riguardasse soprattutto soggetti tardo-adolescenti (alcuni riferimenti classici, ricorrenti anche nelle rappresentazioni letterarie o cinematografiche, sono quelli del "nonnismo" nelle caserme o dei riti di iniziazione delle matricole all’università o nei collegi). Quando per iniziativa della professoressa Ada Fonzi dell’Università di Firenze e della sua équipe, anche in Italia il fenomeno ha cominciato a essere studiato in modo sistematico, l’interesse che tali ricerche hanno suscitato nel mondo della scuola, nonché nella pubblica opinione, è stato molto elevato. Come se finalmente fosse stato dato un nome per descrivere un disagio che i docenti, i famigliari e soprattutto i ragazzi percepivano da tempo in modo pervasivo e disturbante all’interno della scuola. Messa da parte l’accezione "in senso non cattivo" del bullismo, si è aperto negli ultimi anni un nuovo spazio, anzitutto culturale, per considerare questo fenomeno nella giusta cornice. Quando apparvero, negli anni ’70, i primi studi pionieristici di Dan Olweus, psicologo norvegese, sul fenomeno delle prepotenze in ambito scolastico, l’impatto che questi suscitarono sulla pubblica opinione del suo Paese fu enorme. Veniva ulteriormente a modificarsi la rappresentazione del mondo infantile, non più luogo dell’innocenza o teatro di piccole baruffe quotidiane, ma palestra per interazioni violente fra pari, premonitrici di futuri e più gravi comportamenti antisociali. Un analogo impatto si è avuto in Italia. La nostra rappresentazione dell’infanzia si è profondamente modificata negli ultimi anni. Vi sono due caratteristiche peculiari, apparentemente in contraddizione, che colpiscono maggiormente la nostra attenzione: da un lato percepiamo i nostri figli sempre più arrabbiati, annoiati, precocemente autonomi, spesso aggressivi; dall’altro li percepiamo emozionalmente fragili, bisognosi di protezione, troppo a lungo dipendenti. Prepotenti o vittime, insomma. CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE IL BULLO Il bullo si configura sempre più chiaramente come un soggetto caratterizzato da aggressività, scarsa empatia e disimpegno morale, da una buona opinione di sè e da un atteggiamento positivo verso la violenza Per empatia si intende la capacità di un individuo nel comprendere e condividere gli stati emotivi sperimentati da un’altra persona. Si può condividere la gioia, ma anche la sofferenza altrui. Probabilmente i soggetti che prevaricano i propri compagni difettano fortemente di capacità empatiche dal momento che sembrano non rendersi conto delle sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni. PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com Molti programmi di intervento, finalizzati a prevenire e a ridurre il bullismo nella scuola, sono incentrati sulla stimolazione e sull’incremento delle capacità empatiche, favorendo i processi di identificazione reciproca tra i ragazzi. Il disimpegno morale è invece un meccanismo psicologico, attraverso il quale un individuo legittima dei comportamenti che contraddicono i propri stessi convincimenti morali. In altri termini, è quel processo per cui si può giustificare un’azione violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire a una norma “non è poi così grave”. Spesso i ragazzi che vittimizzano i propri compagni non sembrano assumersi pienamente la responsabilità di ciò che fanno e tendono sovente a sminuire le conseguenze della loro azione («sono solo scherzi»), a deresponsabilizzarsi («è tutta la classe che li prende in giro») o tendono a giustificare il loro comportamento svalutando la persona bersaglio delle loro angherie («in fondo se lo meritano»). Non va dimenticato infine il ruolo di meccanismi di gruppo che sclerotizzano la persona all’interno di un ruolo per cui risulta molto difficile per un ragazzo, che è stato etichettato come vittima o come prepotente, modificare il proprio status all’interno di un gruppo che continua a interpretare i suoi comportamenti alla luce del ruolo che gli è stato assegnato. LA VITTIMA La vittima, di contro, tende a chiudersi in atteggiamenti ansiosi e insicuri e a produrre un'immagine negativa di sé, in quanto persona di poco valore e inetta. Probabilmente anche le vittime hanno una scarsa abilità nel sintonizzarsi affettivamente con i propri compagni, interagendo con essi in modo spesso inadeguato, stimolando la loro aggressività. È importante sottolineare che il semplice ricorso all'aggressività non differenzia di per sè i ruoli antitetici e complementari del bullo e della vittima. Anche le vittime possono far ricorso a condotte aggressive. Olweus distingue tra vittime passive e vittime provocatrici. Vittime Provocatrici: caratterizzate da una combinazione di due modelli reattivi, quello ansioso proprio della vittima passiva e quello aggressivo proprio del bullo, possono avere comportamenti iper-reattivi, instabilità emotiva e irritabilità. Il risultato è una condotta ostile ma inefficace. Proprio la capacità di agire un comportamento aggressivo bene organizzato e funzionale ad acquisire l'obiettivo designato (mortificare l’altro, conquistare una posizione di supremazia, ottenere beni materiali) costituisce appunto lo spartiacque che differenzia le vittime provocatrici dai bulli. COSA FA IL BULLO. CONDOTTE TIPICHE Le condotte da bullo possono assumere forme diverse, di tipo diretto e indiretto. Forme dirette: costituite da attacchi fisici, come pugni, calci e atterramenti, o verbali, come insulti, minacce e prese in giro Forme indirette: sono costituite da una serie di dicerie e atteggiamenti di esclusione che intrappolano la vittima ponendola in una luce negativa e condannandola all'isolamento. Le manifestazioni del bullismo dipendono dall’età e dal genere. Come rilevato da una ricerca di Smorti e altri, con l’età emerge la tendenza a una limitazione nell’uso dell’aggressività fisica ai danni di ambo i sessi, mentre si assiste a un aumento di quelle molestie sottili e indirette, come calunniare ed escludere dalla relazione. Le risposte delle vittime indicano che la maggior parte dei prepotenti è di sesso maschile e della stessa età del soggetto. Questo si verifica nella quasi totalità dei casi per i bambini, che non sono quasi mai vittimizzati dalle bambine. Inoltre, nelle bambine il fenomeno delle prepotenze è più ristretto alle relazioni con i compagni di classe mentre nei bambini si allarga a tutta la scuola. All’ingresso nella scuola media la situazione dei due generi cambia e si diversifica ulteriormente. Per i maschi il fenomeno delle prepotenze sembra legato a una doppia dinamica, di potere e di matrice sessuale: la prima interessa essenzialmente il rapporto maschio-maschio e sancisce una gerarchia sociale tra chi è più forte e chi è più debole; la seconda riguarda invece il rapporto maschio-femmina ed è piuttosto volta a esprimere differenziazione e attrazione sessuale. Nelle bambine il problema delle prepotenze si presenta in maniera diversa. Per quanto sia preminente la dinamica di tipo sessuale con i bambini, esiste tuttavia anche il fenomeno delle prepotenze con soggetti dello stesso sesso, secondo modalità più sottili e nascoste che non tendono comunque a stabilire una gerarchia di potere esplicita e chiaramente riconoscibile ma che, al contrario, in casi estremi possono addirittura confondersi con relazioni di amicizia. Il bullo non agisce da solo. Spesso può contare sulla cooperazione di altri compagni che non intervengono e approvano tacitamente. Ciò è comprovato dal giudizio espresso dalle vittime nei confronti dei compagni e verificato da ricerche osservative condotte sul campo, che individuano a sostegno dell'azione esercitata dal bullo sia quella di compagni che partecipano direttamente al PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com compimento dell'azione di sopraffazione, sia quella di soggetti che incitano e sostengono emotivamente il bullo, sia infine, quella di chi, con la propria indifferenza, contribuisce a far calare il velo del silenzio e dell’omertà. RISCHI Ë possibile che il bullismo, da fenomeno per molti versi tollerabile e fisiologico tra i bambini, diventi indice di serio rischio nella pubertà, in quanto momento significativo di definizione dell'identità personale, di sé nel gruppo dei coetanei, dei rapporti con il proprio e l'altro sesso, di adesione o meno a gruppi devianti. In ogni caso, la possibilità che determinati soggetti permangano nel ruolo del bullo e della vittima determina un rafforzamento e una radicalizzazione dei rispettivi ruoli, con l'accentuarsi del rischio di una progressiva canalizzazione delle traiettorie dello sviluppo verso direzioni patologiche e devianti. Per le vittime si prospetta, nell'immediato, una progressiva perdita di sicurezza e autostima che può concretizzarsi in attacchi di ansia, somatizzazioni e rifiuto di recarsi a scuola; più a lungo termine, il rischio di cadere in stati depressivi anche di grave entità. Per i bulli vi è il rischio di un uso sistematico e pervasivo della violenza che può concretizzarsi nella criminalità. Si tratta tuttavia di rischi e come tali devono essere intesi, LE “BULLE” Quello femminile è un bullismo più psicologico rispetto al modello maschile, perché ha come obiettivo principale escludere un membro dal gruppo, eletto a “capro espiatorio” . Le “bulle” iniziano a manifestarsi intorno ai 9-10 anni (IV-V elementare), una leader sceglie i componenti del gruppo che si ritrova in classe e, di pomeriggio, nei cortili, escludendo la/le vittime. Sono pronte a imitare i loro compagni con ricatti, prese in giro, a volte alzando anche le mani. Mettono in campo un sistema di relazioni aggressive, molto violente e che lasciano "i lividi dell’anima": sono più difficili da mandare via dei lividi veri. Nella vittima delle bulle scatta un processo di autodenigrazione: Chi è rifiutato si accanisce nel voler entrare in quel gruppo e non rivela a nessuno i suoi problemi. Per questo è così difficile individuare il bullismo al femminile. A volte si creano situazioni di profonda sofferenza: la ragazzina emarginata inizia a rifiutare la scuola, si finge malata, non parla. Spesso sono i genitori a segnalarlo alla scuola e a quel punto si cerca di intervenire magari con l’aiuto dello psicologo Allora come difendersi dal bullismo? È meglio non limitarsi all’amicizia con la compagna di banco, al gruppetto nato a scuola , meglio avere rapporti vari, nati in gruppi sportivi, tra boy scout, in un coro. Insomma, fare attività che permettano d’avere tante appartenenze spezzando così la dipendenza dalle bulle». PANORAMICA SUL NOSTRO TERRITORIO Progetto “RETE SICURA” PROGETTO finanziato dalla Regione e dovrebbe mettere in rete tutte le risorse sul territorio. Creare un ponte tra i ragazzi che frequentano la scuola e il Territorio (Scuole Clotilde, Pirandello, Canonica) Con i ragazzi: Lavoro osservativi Laboratori individuali BIBLIOGRAFIA Olweus D. Bullismo a scuola. Ragazzi Oppressi, ragazzi che opprimono Giunti, Firenze 1995, pp. 125 Klein M. Redl F. Wineman D. Il crimine del bambino Bollati Boringhieri, Torino 1996, pp. 135 Fonzi Ada Il bullismo in Italia Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive di intervento Giunti, Firenze 1997, pp. 230 PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com Sharp S. Smith P.K. Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative Erickson, Trento 1995, pp. 183 Marini F. Mameli C. Il bullismo nelle scuole Carocci, Roma 1999, pp. 188 Fonzi Ada Il gioco crudele Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo Giunti, Firenze 1999, pp. 151 Oppo G. (A cura di) Il bullismo tra i banchi di scuola Scuola Sarda Editrice, Cagliari 2001, pp. 105 De Bode A. Broere R. Sono piccolo ma coraggioso Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002, pp. 33 Menesini E. (A cura di) Bullismo: le azioni efficaci della scuola. Percorsi italiani alla prevenzione e all'intervento Erickson, Trento 2003, pp. 198 Margot Sunderland Aiutare i bambini... che fanno i bulli Attività psicoeducative con il supporto di una favola Edizioni Erickson - PDF created with pdfFactory trial version www.softwarelabs.com