CAPITOLO 5 AMPLIFICATORI PER ALTA FREQUENZA 5.1 Progetto di amplificatori In questa sezione verranno presi in esame amplificatori per piccoli segnali orientati ad applicazioni a radiofrequenza e, in generale, a frequenze elevate. Si vuole sottolineare come i metodi finora visti per realizzare un amplificatore non siano gli unici possibili e come, invece, a seconda delle frequenze a cui si opera, il modo di progettare e i requisiti richiesti per tali circuiti siano diversi. In un progetto per applicazioni a bassa frequenza, infatti, si tende ad utilizzare gli operazionali, mentre per progetti ad alte frequenze, quali ad esempio microonde e radiofrequenze, saranno necessari dispositivi diversi, in grado di operare a tali frequenze. In generale, quando si è parlato di amplificatori, si è stati abituati a considerare amplificatori di tensione, poiché tali circuiti hanno un notevole significato quando si trattano frequenze non eccessivamente elevate. In primo luogo, ad esempio, la tensione risulta più facilmente misurabile rispetto alla corrente; la misura di corrente, infatti, obbliga all’interruzione del circuito, mentre quella di tensione, essendo effettuata in parallelo, non costringe ad interrompere il circuito sotto misura. Di più, il notevole utilizzo di circuiti che operano su tensioni può essere ricondotto a motivi storici, dal momento che i primi dispositivi elettronici, come i tubi a vuoto, erano controllati in tensione. Gli amplificatori di tensione, infine, non creano problemi quando vengono fatti operare a vuoto, cosa non altrettanto vera per amplificatori di corrente che dovendo comportarsi come generatori di corrente, in presenza di circuito aperto danno luogo a sovratensioni pericolose. Esiste, tuttavia, una metodologia di progettazione, detta Current Mode, di tipo integrato che utilizza BJT e FET e che sviluppa blocchi funzionali operanti in corrente. Tale metodologia può dare interessanti vantaggi in termini di larghezza di banda e consumi. Si consideri, ora, un amplificatore rappresentato, dal punto di vista circuitale, da un insieme di stadi in cascata, ognuno dei quali è a sua volta un amplificatore; quando possibile, tali amplificatori sono connessi tra loro attraverso delle capacità di disaccoppiamento, in modo tale da rendere indipendente il punto di lavoro di uno stadio dall’altro e, dunque, garantire una progettazione più solida. Ogni stadio è costituito da un transistore e da resistenze, scelte in modo da ottenere il guadagno e i livelli d’impedenza d’ingresso e d’uscita desiderati, compatibilmente con la polarizzazione voluta e con la stabilità di quest’ultima in termini di variazione di temperatura. Affinché lo stadio di amplificazione abbia buone prestazioni sarà necessario che, oltre all’alto guadagno di tensione, vi sia un’elevata impedenza d’ingresso, nonché una bassa impedenza d’uscita, al fine di avvicinare all’idealità l’amplificatore stesso. Per meglio chiarire quanto detto, si consideri il circuito rappresentato in figura 1: 200 Zout Zs + - Vs Vin Zin AVVin + - Vout ZL fig.1 La relazione che lega la tensione d’uscita a quella d’ingresso è data da: V out = Z Z out + Z Z A V V in = L Z L out L + Z AV L Z in ZS + Z VS (1) in da cui si evince che il guadagno utile finale dipende fortemente, oltre che dal guadagno di tensione, anche dall’impedenza d’ingresso, da quella di sorgente, da quella di carico e dall’impedenza d’uscita. Tendendo all’idealità si ottiene: per per Z Z out in Z → 0 Z L + Z out Z in ZS + Z → ∞ L in → 1 → 1 ⇒ V out = AV VS (2) analizzando la (2), si può affermare che per un’impedenza d’ingresso infinita e per un’impedenza d’uscita nulla è possibile realizzare un blocco di amplificazione che fornisca un guadagno di tensione AV, indipendentemente dai valori delle impedenze Zs e ZL. E’, dunque, auspicabile realizzare delle impedenze tali per cui siano: Z out Z in << Z >> Z L (3) S per ben approssimare i concetti ideali di zero e infinito. Ogni qualvolta le (3) non sono verificate, si avrà una perdita in termini di guadagno, oltre alla necessità di tenere conto delle condizioni di sorgente e di carico in fase di progettazione. Se, invece, le (3) sono verificate, nell’intera catena di amplificazione del segnale ciascuna cella è progettabile singolarmente, senza problemi di connessione. Ciò era già stato visto parlando di filtri attivi, in cui il blocco operazionale fungeva da blocco ideale, consentendo un’agevole connessione tra le diverse celle del filtro stesso. Nel caso dell’amplificatore di tensione si può, allora, parlare di “blocco operazionale”, che tende a realizzare uno stadio ideale con alta impedenza d’ingresso, bassa impedenza d’uscita e guadagno elevato, con possibilità di inserire una retroazione. Ciò rende le prestazioni del circuito indipendenti dai componenti attivi e dipendenti, esclusivamente, dalle reti di retroazione passive, rendendo stabile nel tempo il circuito stesso. 201 A questo punto è opportuno ricordare che quello che realmente interessa in ultima analisi per un amplificatore è il guadagno di potenza. Il migliore amplificatore è quello che estrae la massima potenza disponibile del generatore e cede la massima potenza possibile al carico. Alla luce di questa osservazione è chiaro che il modo di progettare usato alle basse frequenze comporta una perdita in termini di trasferimento di potenza. Se si è in presenza, infatti, di impedenze molto diverse, come avviene nel caso considerato, e manca la condizione di adattamento, si avrà un pessimo trasferimento di potenza; ciò nonostante, alle basse frequenze questo inconveniente non è molto rilevante, poiché, grazie ai componenti utilizzati, i guadagni di potenza ottenibili sono esuberanti in relazione alle frequenze in gioco, anche se non sono ottimizzati. Se, poi, si volesse aumentare il guadagno di potenza, basterebbe aggiungere qualche ulteriore stadio alla catena e, quindi usare qualche transistor in più, il cui costo per basse frequenze è poco consistente. Le cose cambiano drasticamente alle alte frequenze, dove ottenere guadagni di potenza elevati non è affatto facile, a causa dei limiti dei dispositivi stessi. Si dovranno, allora, progettare gli amplificatori in modo da realizzare, tra uno stadio e l’altro, delle condizioni di adattamento e rendere, così, migliore il trasferimento di potenza. La condizione di adattamento, tuttavia, implica la necessità di avere reti passive tra uno stadio e l’altro, prive di perdite e realizzate con capacità, induttori e trasformatori in generale. Questi ultimi componenti, in particolare alle basse frequenze, risultano scomodi perché ingombranti, non integrabili e costosi. Ecco perché alle basse frequenze si preferisce inserire qualche stadio in più per ottenere il guadagno di potenza desiderato, piuttosto di ricorrere all’adattamento. Il modo di progettare, dunque, cambierà in funzione dei componenti di cui si dispone, della tecnologia e del range di frequenze a cui si opera; inoltre, più la frequenza aumenta e più risulta necessario l’utilizzo delle reti di adattamento. Stabilire un confine tra bassa e alta frequenza risulta, tuttavia, complicato, in quanto tale distinzione deve essere vista in funzione della potenza e dei livelli dei segnali in gioco. Se, infatti, si considerano piccoli segnali, gli amplificatori presentano livelli di potenza non molto elevati e, dunque, frequenze pari ad 1 ÷ 2GHz possono essere considerate non eccessive e le metodologie di progetto finora studiate possono essere sufficienti a realizzare buoni circuiti; se si hanno, invece, potenze pari a 100W ÷ 10KW, anche a 100MHz non si può parlare di bassa frequenza e sarà necessario parlare di adattamento. L’alta frequenza, quindi, ha il suo limite inferiore in relazione alla potenza e più quest’ultima si alza, più tale limite si abbassa. Parlando, ora, di adattamento, si vuole esaminare più in dettaglio la rete di adattamento a trasformatore. Si consideri il circuito di figura 2: Rs Vs I1 n1 V1 n2 I2 V2 fig. 2 202 RL Il massimo trasferimento di potenza si avrà quando R1 = V1 = RS I1 (4) che è la condizione di adattamento, che viene realizzata dal trasformatore attraverso le seguenti relazioni: n2 V 2 V = n 1 1 I 2 = n1 I 1 n2 La resistenza che si vedrà al primario sarà: R1 n V =ˆ 1 = 1 I1 n2 2 R L = R s (5) Dalla (5) si osserva che si ha a disposizione un grado di libertà, dato dal rapporto spire, per garantire che la R1 sia uguale alla resistenza Rs. Si dovrà, allora, scegliere: n1 n 2 2 = Rs RL Se, inoltre, il dispositivo due porte inserito è passivo e reciproco, come solitamente è, si può dimostrare che vale automaticamente: R2 = − V2 = RL I2 Il modo di procedere che utilizza l’adattamento è sicuramente il migliore in assoluto, ma l’utilizzo del trasformatore a bassa frequenza non è gradito. Di più, se si devono adattare generiche impedenze, sarà necessario utilizzare, oltre al trasformatore, anche capacità e induttanze, che consentono di realizzare le variazioni di fase desiderate. Alle alte frequenze le reti di adattamento possono essere realizzate in tecnologia integrata (tecnologia a microstriscia per le frequenze sufficientemente alte) che, grazie ai particolari materiali usati, permettono di ottenere quanto richiesto con dimensioni notevolmente ridotte. Un ultimo importante aspetto da sottolineare è che, a frequenze elevate, viene impiegata più di rado la retroazione; tale metodologia viene, infatti, utilizzata in presenza di guadagni elevati, al fine di ottenere una buona desensibilizzazione del circuito. Nel caso di alte frequenze, invece, non avendo guadagni sufficientemente alti, non solo non si ottengono i vantaggi sperati, ma si può anche incorrere in problemi di instabilità, in seguito alla presenza di effetti reattivi 203 importanti e di difficile controllabilità. Ad alta frequenza, quindi, la retroazione dovrà essere usata con molta cautela. 5.2 Modelli dei transistori e richiami sui parametri S Nell’ambito degli amplificatori lineari, cioè per piccoli segnali, esistono due grosse famiglie di modelli dei dispositivi che possono essere usati per il progetto: i modelli di tipo black-box e i modelli di tipo circuito equivalente, quali Giacoletto-Johnson, Π ibrido, ecc.. Quando si progettano amplificatori a larga banda risulta molto più comodo l’utilizzo dei modelli di tipo circuito equivalente, in quanto i componenti risultano indipendenti dalla frequenza e con metodi sufficientemente semplici (come, ad esempio, il metodo delle costanti di tempo) è possibile calcolare le caratteristiche di banda dell’amplificatore. Viceversa, i modelli di tipo black-box sono più scomodi in questo ambito, in quanto non garantiscono una trattazione semplice, essendo basati su matrici di numeri complessi che dipendono dalla frequenza. I due modelli, inoltre, possono essere confrontati anche dal punto di vista della loro caratterizzazione a partire da misure sul dispositivo reale. In tale ottica il modello black-box è migliore rispetto al modello circuito equivalente, poiché necessita solo di una misurazione esterna, senza bisogno della conoscenza della fisica del dispositivo. Viene, infatti, polarizzato il circuito e, successivamente, per effettuare la misura vengono connessi degli strumenti detti analizzatori di reti vettoriali (NVA = Network Vector Analyser), che misurano i parametri richiesti, come impedenze ed ammettenze, in funzione della frequenza. Ricavare, invece, un modello di tipo circuito equivalente non è così semplice, in quanto l’identificazione degli elementi che lo compongono non è immediata. Oltre a misure esterne, infatti, sono solitamente necessarie delle procedure di ottimizzazione (tool di ottimizzazione numerica) che facciano in modo che il modello riproduca tali misure o, addirittura, misure in condizioni particolari, che consentano di identificare direttamente alcuni parametri. Tutto ciò fa sì che questi due tipi di modelli differiscano notevolmente l’uno dall’altro anche in termini di “costi” di identificazione del modello stesso. Inoltre, alle alte frequenze, i modelli di tipo circuito equivalente risultano molto più complessi rispetto a quelli per bassa frequenza a causa di numerosi effetti parassiti non più trascurabili. A titolo di esempio, si consideri il circuito equivalente per piccoli segnali di un FET (MESFET) ad alta frequenza, la cui complessità è ben visibile in figura 3: 204 CpDG G LG RG CpG RD D CDG Ri v LD CD gmve − jωt CpD CG RS LS S fig. 3 In questo genere di dispositivo l’elettrodo di controllo è realizzato con una giunzione di tipo Schottky. Rispetto al MOS, invece di esserci un effetto di campo legato al condensatore, c’è un campo legato alla giunzione Schottky metallo semiconduttore, che serve come sempre a modulare la corrente nel canale. In questo tipo di dispositivi, viste le elevate frequenze, non sono trascurabili effetti induttivi dovuti alle metallizzazioni. L’identificazione attraverso misure esterne, dunque, di un oggetto come quello illustrato in figura 3 non è semplice e dal momento che si dovranno identificare i valori di tutti i componenti che costituiscono il circuito, sarà necessario utilizzare dei tool numerici. Risulta, allora, molto più semplice misurare il dispositivo e avere delle caratteristiche ai morsetti esterni, cosa possibile con i modelli black-box o modelli a matrice. I limiti di questi ultimi sono principalmente rappresentati dal difficile impiego (se si usano carta e penna) nel progetto di circuiti a larga di banda; tuttavia, dal momento che a frequenze elevate è molto comune il caso di amplificatori a banda stretta, tali modelli trovano a RF e microonde un largo impiego. Si osservi che la banda è un “concetto relativo”, perché se il canale trasmissivo necessario è pari a 10MHz e lo si considera a partire dalla continua, la banda risulta enorme; se, tuttavia, lo stesso canale lo si considera sempre di 10MHz, ma allocato nell’intorno di 10GHz, la banda risulta stretta. Un amplificatore, dunque, a 10GHz con banda di 10MHz rappresenta un progetto a banda stretta e questo vale tanto più quanto più si sale con la frequenza. Prima di introdurre un modello a matrice di tipo black-box basato sui parametri di diffusione, si vogliono richiamare i parametri ibridi per un transistore bipolare, realizzato con un modello di tipo circuito equivalente: v BE = hie ⋅ i B + hre ⋅ v CE i C = hfe ⋅ i B + hce ⋅ v CE 205 Tale descrizione viene definita ibrida in quanto si ha una tensione ad una porta e una corrente all’altra porta; in tale modello, inoltre, all’aumentare della frequenza i parametri risulteranno di tipo complesso, mentre a bassa frequenza saranno da considerarsi reali. Un’altra descrizione di un dispositivo può essere effettuata in termini di matrici impedenza o ammettenza; con notazione vettoriale: V = Z I oppure I = YV dove Z ed Y sono rispettivamente la matrice impedenza e la matrice ammettenza. Purtroppo, nessuna delle descrizioni sopracitate è adeguata alle alte frequenze, poiché risulta difficile misurare impedenze e ammettenze, infatti: v 1 = z 11 ⋅ i 1 + z 12 ⋅ i 2 e vale z 11 =ˆ v1 i1 i2 = 0 ossia z11 si può ottenere misurando tensione e corrente e mettendole a rapporto, sotto la condizione che all’altra porta la corrente sia nulla, cioè che si abbia un circuito aperto per segnali; viceversa, per le misure di ammettenza si sarebbe dovuto avere un cortocircuito per i segnali. Ad alte frequenze e a banda larga, i circuiti aperti e i cortocircuiti sono difficili da realizzare, inoltre, entrambi sono carichi non dissipativi, cioè, ragionando in termini di potenza, riflettono la potenza che viene loro fornita senza dissiparla. Ciò può causare problemi di instabilità in fase di misura, generando oscillazioni. È questa la ragione fondamentale per cui i circuiti ad alta frequenza non vengono caratterizzati da modelli di tipo matrice ammettenza o impedenza. Ciò che, invece, viene usato è un modello black-box detto a matrice S (Scattering = diffusione), che ha il notevole vantaggio che i parametri S o di diffusione non vengono misurati in condizioni di circuito aperto o di cortocircuito, ma in condizioni di carico resistivo che, essendo dissipativo, mantiene di solito il dispositivo stabile. Convenzionalmente, la resistenza che si usa per questo tipo di caratterizzazione è pari a R 0 = 50 Ω che è il tipico valore dell’impedenza caratteristica dei cavi coassiali usati per connettere apparati di telecomunicazione. In realtà, non vi è alcuna garanzia assoluta che i dispositivi non oscillino in queste condizioni di carico, comunque, un tale valore di R0 definisce una condizione sufficientemente dissipativa, tale per cui i dispositivi considerati “buoni”, in linea generale, non oscillano e, quindi, si riescono a misurare e caratterizzare. 206 Si vuole vedere, ora, il concetto di parametri di diffusione; tali parametri, come precedentemente affermato, sono riferiti ad una condizione operativa di misura che prevede delle resistenze o, più in generale, delle impedenze dette impedenze di normalizzazione alle porte. Operativamente tali impedenze diventano delle resistenze di valore pari a 50Ω. Tali parametri non legano più tensioni e correnti, bensì due quantità dette variabili d’onda, convenzionalmente indicate con le lettere a e b. Tale denominazione deriva dalla forte analogia con le linee di trasmissione, infatti, facendo riferimento all’ambito di queste ultime, a e b vengono a coincidere con le onde di tensione incidente e riflessa. In tal caso, a e b assumono la seguente forma: a = V b = V + − (x) Z0 variabile d’onda incidente (x) Z0 variabile d’onda riflessa in cui Z0 è l’impedenza caratteristica della linea, la cui espressione è data da: Z 0 R + jω L ≅ G + jω C = L C (1) dove l’ultimo termine della (6) vale nel caso in cui la linea sia da considerarsi a basse perdite. Nella descrizione di un generico n-porte, a e b perdono il loro significato originale (non ci sono linee di trasmissione) e vengono descritti, convenzionalmente, come combinazioni lineari di tensioni e correnti. La loro definizione diventa, allora: dove ai = 1 (V i + Z 2 R 0i bi = 1 (V i − Z 2 R0i R 0 i = ℜ e {Z 0i 0i ∗ 0i Ii ) (2) Ii ) (3) } con i = 1,2,3,…,n numero di porte. La (2) e la (3), dunque, descrivono a e b come combinazioni lineari di correnti e tensioni tramite dei coefficienti che sono le impedenze di normalizzazione delle porte. In termini operativi la Z0 viene scelta puramente resistiva e uguale per tutte le porte, cioè: Z 0i = R 0i = R 0 207 e la definizione di a e b diventa allora ai = 1 (V i + R 0 I i 2 R0 ) bi = 1 (V i − R 0 I i 2 R0 ) Un modello così realizzato risulta, quindi, più adatto alla misura, poiché viene utilizzato un carico resistivo di 50Ω, dunque, non si hanno di solito oscillazioni e, un altro aspetto di grande interesse è che, per una rete passiva tale modello esiste sempre. Ad esempio la descrizione S esiste anche per cortocircuiti e circuiti aperti, situazione in cui Y e Z, rispettivamente, non sono definibili. Il dispositivo, allora, può essere descritto in termini di a e b che, come si vedrà, rivestono un preciso significato fisico e sono fortemente legati alla potenza. 5.2.1 Significato fisico delle variabili d’onda a e b Sia dato un semplice generatore sinusoidale Es con resistenza di sorgente R0 ed una generica impedenza di carico ZL, come mostrato in figura 1: I Es a R0 b + - V ZL fig. 1 in cui vengono, inoltre, evidenziate le variabili d’onda incidente a e riflessa b. Con semplici calcoli si ricava il rapporto tra a e b, che definisce il coefficiente di riflessione Γ L e che vale: ΓL = b Z = a Z L L − R0 + R0 Si vuole, ora, calcolare il valore di a facendo riferimento al circuito di figura 1: a = 1 (V + R 0 I 2 R0 )= 1 2 R0 si può, ora, ricavare 208 (E s − R0I + R0I )= Es 2 R0 (1) P AVs 1 = a 2 2 = E 2 s (2) 8R0 in cui la (2) rappresenta la potenza disponibile del generatore, ossia, la potenza che il generatore eroga quando la resistenza di carico è pari a quella del generatore stesso ed è la massima potenza erogabile al carico. Da ciò si osserva come la variabile a assuma un significato fisico ben preciso, cioè risulta legata alla potenza disponibile del generatore. Dal momento, però, che a dipende dal valore di normalizzazione scelto, che in questo caso è pari ad R0, il suo significato di potenza disponibile è vero se e solo se l'impedenza di normalizzazione è uguale all'impedenza del generatore. Quanto appena detto è altresì verificabile matematicamente osservando la (1), dove non si sarebbero ottenuti due termini (R0I) che si eliminavano a vicenda, ma termini diversi che avrebbero generato una diversa espressione di a e, pertanto, la perdita del suo significato fisico di potenza disponibile. Con qualche passaggio matematico (che non vedremo), è possibile ottenere anche l'espressione della potenza ceduta al carico: PL = 1 ℜ e {VI 2 ∗ }= 1 a 2 − 2 1 b 2 2 (3) Se si sfrutta, ancora, come impedenza di normalizzazione quella della sorgente, nasce un significato fisico anche per la variabile b, ossia: 1 b 2 = P AVs − P L 2 (4) Avendo sfruttato la (2) e la (3), si è ottenuto per b il significato fisico di potenza riflessa. La (4), dunque, esprime il fatto che, in condizioni di disadattamento, non potrà essere assorbita tutta la potenza che il generatore è in grado di fornire al carico (PAvs), ma potrà esserne utilizzata soltanto una quantità pari a PL. La (4), allora, rappresenta la potenza non assorbita dal carico e riflessa da esso a causa del disadattamento. Da tali considerazioni si definisce, quindi, a come variabile d’onda o onda di potenza incidente e b come variabile d’onda o onda di potenza riflessa. Le quantità finora esaminate possono essere poste in relazione al coefficiente di riflessione nel seguente modo: PL 1 = a 2 2 1 − b a 2 2 ( = P AVs 1 − Γ L 2 in cui, se la rete di carico è passiva, vale sempre la disuguaglianza ΓL ≤ 1 209 ) (5) La (5) risulta importante, in quanto in essa si mette in relazione la potenza del generatore con il carico e, soprattutto, si evidenzia il fatto che la potenza ceduta al carico è sempre minore o uguale alla potenza disponibile. La condizione di adattamento, espressa dalla seguente relazione Z L = R0 viene verificata se il coefficiente di riflessione è nullo, ossia ΓL = 0 In tal caso, tutta la potenza disponibile verrà ceduta al carico e si avrà P L = P AVs e la potenza riflessa sarà nulla, cioè: 1 b 2 2 = 0 ⇒ b = 0 ovvero, si avrà soltanto l'onda incidente e non quella riflessa. Si deve fare, tuttavia, molta attenzione a non incappare nel seguente malinteso: avere onda riflessa nulla non significa necessariamente avere realizzato la condizione di adattamento. Per meglio chiarire questo concetto, si consideri il circuito di figura 2 o, meglio, il transistor che rappresenta l'amplificatore in esame: 1 R0 Vs 3 a Rin Rout + - 2 vAV a R0 4 fig. 2 In figura 2 si è assunto che l'impedenza R0 del generatore rappresenti l'impedenza d'uscita dell'apparato che precede, tipicamente di valore pari a 50Ω (e.g.,: impedenza dei cavi coassiali di connessione) e si è evidenziato come anche l'impedenza di carico debba assumere valore pari ad R0 = 50Ω. Si osserva che alle porte 1-2 la grandezza a assume il significato di potenza disponibile, poiché si sta utilizzando come impedenza di normalizzazione il valore di R0; alla porta 3-4, invece, a non ha più il significato di potenza disponibile, perché essendo definita omogeneamente in termini di R0, non può rappresentare anche la potenza disponibile del generatore vAV, che ha resistenza pari ad Rout e non R0, come si vorrebbe. Alla porta 3-4, b risulta comunque nullo, perché definito rispetto ad R0, ma come si può osservare non c'è adattamento. Infatti: 210 b = 1 (V − R 0 I 2 R0 )= (R 0 I 1 2 R0 − R0I )= 0 ma R0 ≠ Rout. In questo particolare caso, alla porta 3-4 b non assume il significato di potenza riflessa ed a non assume il significato di potenza disponibile, per il fatto che non si è utilizzata la giusta normalizzazione, cioè quella della sorgente vista alla porta. Riassumendo, allora, a e b assumono un significato fisico ben preciso se e solo se si ha una corretta normalizzazione rispetto alla sorgente, in caso contrario, esse rappresentano delle semplici combinazioni lineari tra correnti e tensioni. Se si considera, ora, un due porte il parametro Γ non sarà più uno scalare, come precedentemente visto per un monoporta, bensì assumerà una definizione più generica e si parlerà di parametri S. Si consideri, a tale proposito, il due porte di figura 3: I1 1 I2 3 a1 V1 b1 a2 2 4 V2 R0 b2 fig. 3 legando onde incidenti e riflesse e non più correnti e tensioni, come per il monoporta, si ottiene: b 1 = s 11 a 1 + s 12 a 2 b 2 = s 21 a 1 + s 22 a 2 in cui, per definizione b1 a1 s 11 =ˆ a2 =0 Per misurare s11 si vuole, dunque, che sia a2 = 0, cioè che alla porta 3-4 di figura 3 vi deve essere un'impedenza R0 =50Ω; in tal caso, infatti, si avrà: a2 = 1 2 R0 (V + R0I2 )= 1 2 R0 (− R0I2 + R0I2 )= 0 Anche nel caso del due porte si può dare un significato fisico ai parametri, infatti, ad esempio: s 21 2 = 211 b2 a1 2 2 (6) che definisce il rapporto tra la potenza che va al carico quando a2 è nullo, e la potenza disponibile in ingresso. Dalla definizione di s21, ossia: b2 a1 s 21 =ˆ a2 =0 si può, allora, dedurre come la (6) rappresenti la quantità di potenza disponibile erogata dal generatore che giunge realmente al carico passando attraverso il due porte o, meglio ancora, l'effettivo guadagno di potenza nelle condizioni sopracitate. Ciò permette, quindi, di definire la bontà della catena di amplificazione. 5.3 Progetto delle reti di adattamento Per ottenere il massimo trasferimento di potenza in un circuito con impedenza d'ingresso pari a Zs e impedenza di carico pari a ZL, sarà necessario inserire una rete che permetta di verificare la condizione di adattamento. Per progettare tali reti, si può utilizzare uno strumento, detto carta di Smith, che si basa sulla relazione che lega il coefficiente di riflessione Γ all'impedenza o all'ammettenza. Si ricorda, infatti, che vale: Γ = Z − R0 z −1 = = U + jV Z + R0 z +1 (1) in cui si è utilizzata la definizione di impedenza normalizzata z = Z R0 L'ultima uguaglianza della (1) consente di mappare z sul piano Γ, in particolare: Γ = U + jV ↔ z = r + jx (2) in cui si è espressa z come somma di una parte resistiva e una parte reattiva. Sostituendo, ora, la (2) nella (1), sviluppando i calcoli ed esprimendo U e V in funzione di r ed x si ricavano delle equazioni che consentono di mappare il piano r-x sul piano U-V, ossia sul piano Γ. Per ciò che riguarda il piano z, non si considereranno i punti tali per cui r < 0, in quanto ci si riferisce solo a dispositivi di tipo passivo. Si può dimostrare con semplici passaggi matematici che ogni punto del piano z considerato, è contenuto all'interno della circonferenza |Γ| = 1, poiché ogni bipolo passivo ha sempre |Γ| ≤ 1; inoltre, i luoghi geometrici di r = costante ed x = costante, cioè le rette di figura 1.a, corrispondono a circonferenze nel piano Γ, come mostrato in figura 1.b: 212 x= cost. x r = cost. x= cost. r r = cost. piano Γ piano z fig. 1.a fig. 1.b Oggi, la carta di Smith è meno utilizzata rispetto a qualche decina di anni fa, in quanto è stata sostituita dai moderni calcolatori, tuttavia, risulta comunque di notevole interesse, se non altro per il fatto che molti strumenti per radiofrequenza rappresentano sul monitor i risultati della misura sulla carta di Smith; essa è un modo, quindi, molto comodo per rappresentare i parametri in alta frequenza, oltre ad essere utilizzata per il progetto di reti di adattamento. Si vogliono, ora, sottolineare le mappature più importanti della carta di Smith: piano Γ x>0 z =r+ j z = 0 + jx |x| cresc. Γ = -1 C.C. Z=0 z=0 Γ=0 Z = R0 z=1 z =r− j r cresc. Z=∞ z =∞ C.A. z = r + jx z = 1 + jx fig. 2 x<0 Legenda: • • z=Z=0 z=Z=∞ Γ=1 punto di cortocircuito punto di circuito aperto 213 ⇒ Γ = -1 ⇒ Γ=1 z = 1 condizione di adattamento ⇒ Γ =0 Z = R 0 = 50 Ω • Ø Luoghi a resistenza costante: • • z = 0+jx z = 1+jx • z = r + jx luogo dei punti a resistenza nulla ⇒ |Γ| = 1 retta di resistenza R0 = 50Ω ⇒ circonferenza passante per il centro rette generiche ⇒ circonferenza passante per il punto di C.A. di raggio > o < di quella passante per il centro, a seconda dei valori di r. Ø Luoghi a reattanza costante: • z = r+j0 luogo dei punti a reattanza nulla ⇒ • z = r ± j ⋅1 • z =r + jx luoghi dei punti a reattanza normalizzata unitaria X = 50Ω ⇒ luoghi generici ⇒ retta orizzontale passante per il centro e i punti di C.C. e C.A. (pure resistenze). circonferenze passanti per C.A. circonferenze sopra e sotto quelle di cui al punto precedente a seconda del valore di x. Tutto ciò è stato realizzato facendo riferimento alle impedenze; le medesime considerazioni possono essere fatte facendo riferimento alle ammettenze. In tal caso, si ottiene: Γ '= Y − G0 y −1 = Y + G0 y +1 con y = Y G0 ammettenza normalizzata, definibile anche come somma di conduttanza e suscettanza y = g + jb Si potranno, così, mappare i valori di y sul piano Γ, ottenendo una rappresentazione grafica speculare, rispetto al caso precedente. Si potrà, quindi, sostituire r con g e x con b, a patto di effettuare una rotazione di 180° della carta stessa; si osserva, infatti, che: Γ '= − Γ Nella seguente figura viene fornita una rappresentazione Smith: 214 completa della carta di Vedremo ora l’impiego della carta di Smith nel progetto di reti di adattamento di cui analizzeremo alcune semplici topologie. 215 5.3.1 Reti a “L” Tali reti sono particolarmente semplici e vengono realizzate con elementi concentrati (induttanze e capacità). L'obiettivo finale sarà quello di ottenere una resistenza di carico pari ad R0 = 50Ω, partendo da un'impedenza generica Z. In modo schematico si può esprimere il concetto come segue: L,C R0 L,C L,C Z R0 L,C a) 1° metodo Z b) 2° metodo fig.1 Esistono otto possibili tipologie di reti di adattamento, date dalla combinazione degli elementi costituenti la rete (a) e la rete (b); si vuole, ora, vedere come dimensionare tali reti. Innanzitutto, si osserva come viene rappresentato l’inserimento di un'induttanza o una capacità serie o parallelo sulla carta di Smith: dato un generico punto P, si vuole aggiungere al circuito un elemento di tipo serie (figura 2): y<0 LP P CS LS x>0 CP Γ y>0 x<0 fig. 2 si ricorda che stiamo parlando di elementi serie puramente immaginari e, dal momento che si considera una rappresentazione della carta di tipo impedenza, tali elementi non alterano la parte resistiva r, che rimarrà, dunque, costante. Si considererà, allora, la circonferenza interna a tratto continuo (figura 2): se l'elemento serie considerato è un'induttanza LS, essendo la sua reattanza positiva si determinerà un aumento della reattanza e un conseguente spostamento dal punto P, di partenza, in senso orario lungo la circonferenza; viceversa, se l'elemento serie considerato è una capacità CS. Qualora, invece, si voglia aggiungere ad una generica impedenza un elemento in parallelo, risulterà più comodo usare la carta di Smith in funzione delle ammettenze e non più delle impedenze, considerando, in figura 2, la parte sinistra. Partendo sempre dal punto P, poiché l'elemento parallelo non altera la conduttanza, ma solo la suscettanza, si considererà la circonferenza tratteggiata a conduttanza 216 costante; l'aggiunta di una induttanza LP in parallelo provocherà una diminuzione della suscettanza e, quindi, ci si muoverà lungo la circonferenza in senso antiorario; viceversa se si inserisce una capacità in parallelo. Queste considerazioni sulla carta di Smith permettono di impostare il progetto della rete di adattamento. Sia data la rete di figura 3: L R0 = 50Ω Z = R + jX C fig.3 si vogliono progettare la L e la C che permettono di passare alla R0. Innanzitutto, si dovrà normalizzare l'impedenza rispetto al valore di R0 che si desidera ottenere, visto che sulla carta di Smith sono mappate solo impedenze normalizzate, quindi: z = Z R0 → x = X R0 r = R R0 (1) Ora, note r ed x, si è in grado di trovare sulla carta il punto che corrisponde a quel determinato valore di impedenza r + jx. Si supponga che le (1) siano le coordinate del punto P da cui partire e dal quale raggiungere il centro della carta, che rappresenta la condizione di adattamento (R0 ). Prima di tutto, si dovrà tracciare la circonferenza a resistenza costante pari ad r e passante per P; in seguito, si traccerà anche la circonferenza passante per il centro o quella che definisce l'obiettivo da raggiungere, come evidenziato in figura 4: g=1 x2 P I LS r b1 CP b2 0 x1 fig. 4 Per arrivare ad O, sarà necessario muoversi in senso orario lungo la circonferenza ad r = cost., fino a giungere nel punto I di intersezione tra le due circonferenze tracciate. Ciò è possibile inserendo un'induttanza serie LS. Una volta raggiunto il punto I si 217 dovrà percorrere in senso orario la circonferenza a g = 1, passante per il centro stesso. Questo percorso è garantito dall'inserimento di una capacità in parallelo CP; a questo punto, non resterà altro che scegliere i valori di LS e CP necessari. Se si indicano con x1 ed x2 i valori delle curve a reattanza costante passanti per i punti P ed I rispettivamente (leggibili sulla carta) e si definisce: x S = x 2 − x1 si può trovare LS = X S x R = S 0 ω ω (2) dove, nella (2), si è evidenziata la frequenza in gioco e la denormalizzazione del valore di reattanza. Per trovare, invece, il valore di CP, sarà necessario conoscere i valori delle curve a suscettanza costante passanti per i punti I ed O, visto che la capacità è in parallelo. Si dovranno leggere, allora, i valori b1 e b2 di suscettanza relativi a tali punti e si potrà, così, definire la capacità come: C P = BP bP = ω R 0ω (3) in cui, nella (3), si è evidenziata la frequenza di lavoro e si è denormalizzato dividendo per R0. Si è posto, inoltre: b P = b 2 − b1 = 0 − b1 = − b1 > 0 5.3.1.1 Esempio numerico L'obiettivo è quello di adattare ad R0 = 50Ω un'impedenza Z = R + jωL, supponendo che sia: R = 10 Ω L = 3 . 18 nH si ricorda che, per parlare di adattamento, è necessario sapere a quale frequenza si intende operare; ovviamente, i valori trovati per la rete di adattamento risulteranno a banda stretta solo per la frequenza scelta, che in questo caso specifico sarà pari a: f 0 = 500 MHz Ø Svolgimento: La prima operazione da fare quando si progetta la rete di adattamento è la normalizzazione, ossia: r = R = 0 .2 R0 218 (1) x = 2π f 0 L X = = 0 .2 R0 R0 (2) Si identifica, quindi, il punto A considerando le circonferenza ad r = 0.2 e ad x = 0.2. Dal momento che l'obiettivo è raggiungere il punto C, il punto di intersezione tra la circonferenza r = 0.2 e g = 0 definisce il punto B, dal quale si può ottenere il valore di LS, sapendo che x S = x b − x a = 0 .4 − 0 .2 = 0 .2 e, quindi LS = X S x R = S 0 = 3 . 18 nH 2π f 0 2π f 0 1 Ora, dal punto B ci si dovrà muovere verso C con una capacità in parallelo. Calcolando la suscettanza, si ottiene: bP = bc − bb = 0 − (− 2 ) = 2 e, quindi C P = BP bP = = 12 . 74 pF 2π f 0 2π f 0 R 0 Si ricorda che, sulla carta di Smith, le reattanze sono evidenziate nel cerchio interno, mentre le suscettanze su quello esterno; inoltre, il segno del valore di suscettanza e reattanza è normalmente omesso. È importante sottolineare come non sia sempre possibile adattare qualunque valore di impedenza; se, infatti, il punto di impedenza Z si trova sulla carta in corrispondenza del punto P' di figura 5.a, aggiungendo un'induttanza serie LS ci si allontana dal punto di adattamento O e non c'è possibilità di ritornarvi, a meno che non si aggiunga una reattanza infinita, che è impossibile: CS P’ LS CP O fig. 5.a 1 fig. 5.b I valori trovati sono solo casualmente uguali ai valori forniti come impedenza di partenza. 219 Con la rete considerata, quindi, il luogo dei punti non adattabili in alcun modo è evidenziato con la parte segnata di figura 5.b. Questi punti saranno adattabili solo a condizione che si cambi tipo di rete di adattamento come, per esempio, una rete che sfrutti una capacità serie CS e una capacità parallelo CP, come evidenziato in figura 5.a. Per ogni tipo di rete di adattamento esistono, comunque, le cosiddette zone oscure. Sarà, quindi, necessario scegliere la rete adeguata, a seconda dei valori di impedenza da adattare. Le reti ad elle finora analizzate sono reti di adattamento a banda stretta, infatti, facendo riferimento all’esempio numerico precedente, si osserva che l’adattamento a R0 = 50Ω avviene solo per f0 = 500MHz; se fosse f0 = 501MHz, tale adattamento non si realizzerebbe più con precisione. Spesso l’adattamento a banda stretta non è un problema, in particolare, se si lavora a frequenze elevate; nel momento in cui la banda stretta diventa un problema, si dovranno utilizzare reti topologicamente più complesse, quali, ad esempio, le reti a T o le reti a Π , mostrate in figura 6: fig. 6 Queste reti, costituite sempre da elementi puramente reattivi (induttanze, capacità), consentono di introdurre un grado di libertà in più che può essere impiegato per migliorare la banda di adattamento. Chiaramente, quanto più si richiede un adattamento su una banda larga, tanto più dovranno aumentare i gradi di libertà. Ciò rappresenta un primo passo per l’aumento della banda, in realtà, per raggiungere lo scopo desiderato si può ricorrere a cascate di reti LC, per le quali, però, sarà necessaria una progettazione che preveda l’utilizzo di strumenti più complessi, quali gli strumenti CAD. Tali strumenti, oltre a fornire i valori precisi dei componenti, sono in grado di variare, tramite opportuni algoritmi, il numero di celle della rete, finché non si riesce ad ottenere le prestazioni richieste. L’azione dei tools di progetto è, allora, mirata sia alla scelta dei valori dei componenti, sia alla scelta della topologia della rete o, meglio, all’aumento del numero di gradi di libertà da utilizzare. Lavorando a frequenze elevate (20 ÷ 30GHz), vengono spesso utilizzati, nelle reti, elementi a microstriscia al posto di elementi concentrati (si ricorda che un tronco di linea, sotto opportune condizioni, risulta equivalente ad un elemento capacitivo o induttivo). Questo tipo di realizzazione risulta conveniente quando le dimensioni delle lunghezze d’onda delle reti sono confrontabili con le dimensioni della realizzazione scelta, ad esempio, con quelle di un circuito integrato. Per frequenze di qualche MHz, dunque, in cui le lunghezze d’onda sono dell’ordine dei metri, tale realizzazione perde di significato. A livello di circuiti propriamente integrati si possono trovare gli MMIC (Monolithic Microwave Integrated Circuit), utilizzati per microonde o radiofrequenze elevate e vengono realizzati tipicamente in GaAs. Con lo stesso materiale possono anche essere realizzate reti di adattamento di tipo distribuito, ma solo per frequenze solitamente non inferiori alla ventina di GHz; in tal caso, infatti, tenuto conto della costante 220 dielettrica del materiale (εGaAs = 13), si ottengono lunghezze d’onda che permettono di realizzare circuiti di dimensioni non eccessive. Altri tipi di circuiti utilizzati sono gli MIC (Microwave Integrated Circuit), che si distinguono dai precedenti perché vengono realizzati con una deposizione di metallo, con tecnologia a film su allumina; su questa poi vengono montati i componenti discreti. Questi circuiti vengono, oggi, più propriamente detti HMIC (Hybrid Microwave Integrated Circuit), in quanto la realizzazione integrata consiste solo nella parte passiva del circuito, mentre i componenti vengono saldati (di qui il termine “ibrido”). 5.4 Progetto di un amplificatore a radiofrequenza Si vuole, ora, analizzare un amplificatore progettato per lavorare alle alte frequenze, che ha come obiettivo quello di massimizzare il trasferimento di potenza (massimo guadagno di potenza). Come esempio si consideri un amplificatore con un solo transistor, significativo più dal punto di vista didattico che pratico. Un circuito siffatto risulta poco interessante se pensato a basse frequenze, dove risulta raro trovare amplificatori con buone prestazioni realizzati con un solo transistor; ad alte frequenze, invece, lavorando in condizioni di adattamento e tenendo conto che i livelli di potenza richiesti sono spesso molto minori rispetto a quelli richiesti alle basse frequenze, anche un solo transistor può a volte soddisfare le necessità del caso. Per completezza di trattazione si considereranno due circuiti, il primo (fig.1) rappresentante un amplificatore a bassa frequenza realizzato con un BJT in configurazione “emettitore comune” (per arrivare a frequenze superiori a qualche GHz poteva essere impiegato anche un MESFET), il secondo, invece, rappresentante un amplificatore ad alta frequenza e realizzato con la stessa configurazione: VCC RC C2 R1 Rs Vin C1 T1 R R2 RE CE fig. 1 In figura 1 si possono riconoscere: le resistenze di polarizzazione, le capacità di disaccoppiamento in ingresso e in uscita, utili a non alterare il punto di lavoro e a disaccoppiare il carico, la capacità sull’emettitore, che serve a recuperare il guadagno in centro banda by-passando RE (CE è un cortocircuito per i segnali), che tende a penalizzare il guadagno stesso. Per le alte frequenze, invece, il circuito in esame diventa quello di figura 2, notevolmente più complesso rispetto a quello di figura 1, tuttavia, le prestazioni in termini di guadagno di potenza (viene realizzato l’adattamento) ottenibili con questo 221 schema sono così buone, che sarebbe auspicabile un utilizzo del circuito anche alle basse frequenze. In realtà, a causa dell’ingombro delle induttanze a bassa frequenza, si preferisce l’utilizzo di qualche transistor in più per avere i guadagni di potenza richiesti, al fine di rendere la struttura più semplice in termini di elementi passivi. Lo schema circuitale più complesso è, dunque, quello rappresentato in figura 2: VCC RC R1 RFC C2 RFC R0 Vin C1 T1 L1 L2 RFC DCB IMN R0 RE R2 fig. 2 CE DCB OMN Analizzando il circuito si riconoscono: • • • • Due resistenze R0 (una di ingresso e una di uscita), solitamente del valore di 50Ω, in quanto tale valore rappresenta l’impedenza caratteristica di tipici apparati per alta frequenza. Tre elementi RFC (Radio Frequency Choke) di blocco ad alta frequenza, realizzati con induttanze, che sono dei cortocircuiti per la continua (dal punto di vista della continua le reti di polarizzazione di figura 1 e figura 2 coincidono); tali induttanze o choke consentono, anche, di eliminare eventuali problemi introdotti dalle resistenze di polarizzazione, che a radiofrequenze non potrebbero garantire prestazioni buone e prevedibili, a meno che la loro qualità non fosse elevatissima; i choke, inoltre, essendo degli aperti per i segnali, garantiscono che l’energia di segnale non venga dissipata sulle resistenze stesse. Un blocco RECE che ha lo stesso significato di quello visto a basse frequenze, cioè in continua la CE è un aperto, mentre la RE stabilizza il punto di lavoro; per i segnali, invece, la CE è un corto e permette di recuperare il guadagno. Due reti di adattamento IMN (In Matching Network) e OMN (Output Matching Network), nelle quali sono presenti due blocchi DCB (DC Block), che hanno la funzione opposta a quella dei blocchi RFC, cioè bloccano la continua per evitare un cortocircuito tra base ed emettitore e tra collettore ed emettitore, e sono, invece, dei 222 corto circuiti per i segnali. Si noti che le capacità C1 e C2, oltre a contribuire alla realizzazione dell’adattamento richiesto, disaccoppiano generatore e carico in continua. Per maggiore chiarezza vengono riportati, in figura 3, i circuiti equivalenti, in continua e per i segnali, del circuito di figura 2: VCC R1 C2 1 R0 RC C1 T1 L2 T1 Vin R0 RE IMN 2 fig. 3.a: R0 L1 R0 R2 3 fig. 3.b: equivalente in continua (DC) OMN 4 equivalente a radiofrequenza (RF) Si osserva che in figura 3.b le capacità C1 e C2 e le induttanze L1 e L2 non sono state graficate, rispettivamente, come dei corti e degli aperti, in quanto, essendo parte delle reti di adattamento, dovranno essere opportunamente dimensionate, al fine di realizzare l’adattamento stesso. A valle della sezione 1-2 sarà, infatti, necessario vedere una resistenza pari ad R0 = 50Ω, così come a monte della sezione 3-4, noti i valori delle impedenze d’ingresso e d’uscita del transistor. In realtà, le cose non sono così semplici, in quanto l’impedenza d’ingresso non sarà nota fintantoché non sarà possibile sapere come è stato caricato il transistor T1 e viceversa per l’impedenza d’uscita. Dal momento che in questo modo il progetto risulta piuttosto complesso, saranno indispensabili alcune semplificazioni. Tenendo conto, allora, solo dei segnali si avrà: ΓL Γs Rs Vin T1 IMN Γin Γout OMN R0 fig. 4 Si dovrà, a questo punto, progettare una rete di adattamento d’ingresso IMN e una d’uscita OMN, al fine di garantire il massimo trasferimento di potenza, 223 compatibilmente con l’influenza reciproca esercitata da sorgente e carico e compatibilmente ai vincoli di stabilità. Sarà, allora, necessario definire i coefficienti di riflessione Γs visto dal transistor verso la sorgente, ΓL dal transistor verso il carico, Γin e Γout, rispettivamente visti dalla sorgente e dal carico verso il transistor. Ovviamente Γout dipende dalla rete di adattamento d’ingresso e, analogamente, la rete di adattamento d’ingresso dipende da Γin, che a sua volta dipende dalla rete di adattamento in uscita; si ha, dunque, un’interdipendenza fra ingresso e uscita. Di più, si dovrà tenere conto anche della stabilità del sistema. Normalmente, a frequenze più basse, un progetto con un singolo transistore non crea problemi di oscillazioni, a meno che non si inseriscano delle retroazioni appositamente progettate. A RF, invece, a causa di inevitabili effetti parassiti anche un amplificatore a singolo transistor può risultare facilmente instabile. 5.4.1 Studio della stabilità La stabilità, generalmente, viene studiata nel dominio di Laplace, calcolando una opportuna funzione di trasferimento del circuito e analizzando la parte reale dei poli. A radiofrequenza, si pone, tuttavia, il problema di ottenere un circuito equivalente sufficientemente semplice e maneggiabile, attraverso il quale sia possibile, poi, giungere ad un'analisi nel dominio di Laplace e procedere come di consueto. Vista la complessità dei modelli di tipo circuito equivalente per dispositivi elettronici, a tali frequenze è spesso più comodo usare un modello nel dominio jω, ad esempio di tipo "matrice S" (parametri di diffusione). Non si avrà, allora, un vero e proprio circuito equivalente, bensì una caratterizzazione di tipo black-box nel dominio jω (regime sinusoidale). Questo tipo di analisi è già stata impiegata nello studio della stabilità per gli operazionali, dove il suddetto problema è stato affrontato utilizzando i diagrammi di Bode e/o il criterio di Nyquist, che fa riferimento alla risposta armonica del circuito e, dunque, al dominio jω. Per completezza, si vogliono ora ricordare gli enunciati del criterio: • Criterio di Nyquist: sistemi asintoticamente stabili ad anello aperto, a meno di un eventuale polo nell'origine semplice o doppio. Nell'ipotesi che la funzione guadagno di anello F(s) abbia tutti i poli a parte reale negativa, eccezion fatta per un eventuale polo nullo semplice o doppio, condizione necessaria e sufficiente perché il sistema in retroazione sia asintoticamente stabile è che il diagramma completo della funzione F(jω) non circondi né tocchi il punto critico -1+j0. • Criterio di Nyquist: sistemi instabili ad anello aperto con un eventuale polo nell'origine semplice o doppio. Nell'ipotesi che la funzione guadagno di anello F(s) non presenti poli immaginari, eccezion fatta per un eventuale polo nullo semplice o doppio, condizione necessaria e sufficiente perché il sistema in retroazione sia asintoticamente stabile è che il diagramma completo della funzione F(jω) circondi il punto critico -1+j0 tante volte in senso antiorario quanti sono i poli di F(s) con parte reale positiva. Ogni giro in meno in senso antiorario o ogni giro in più in senso orario corrisponde alla presenza, nel sistema in retroazione, di un polo con parte reale positiva. 224 La seconda formulazione del criterio di Nyquist è, ovviamente, più generale, ma è scarsamente utilizzata, in quanto necessita della conoscenza dei poli a parte reale positiva, al fine di garantire la corretta applicazione del criterio e tale vincolo impone, a sua volta, la conoscenza della funzione di trasferimento del circuito, costringendo a passare al dominio di Laplace, cosa non sempre possibile. Si farà riferimento, in questa sede, alla formulazione dei criteri di stabilità che prevedono che i sistemi in catena aperta risultino stabili. Tale concetto è fondamentale nel dominio di interesse ( jω), infatti, mentre nel dominio di Laplace si può usare la funzione di trasferimento di un sistema per studiarne la stabilità indipendentemente dalla stabilità o meno dei blocchi che lo compongono, nel dominio jω ciò non è altrettanto vero. In particolare, sarà necessario che le ipotesi del criterio (stabilità ad anello aperto) risultino verificate e bisognerà prestare attenzione che anche eventuali trasformazioni applicate al circuito come, ad esempio, una impedenza trasformata in ammettenza, verifichino le condizioni di esistenza della rappresentazione scelta. E' possibile chiarire tale aspetto con un semplice esempio. 5.4.1.1 Esempio Si consideri il circuito attivo di figura 1 composto dalla capacità in parallelo ad una conduttanza negativa ottenuta, ad esempio, dalla linearizzazione di un circuito complesso contenente transistori ed elementi attivi. Si vuole studiare la stabilità di tale circuito quando viene connesso ad una conduttanza GL, come evidenziato a tratteggio in figura 1. A tal fine, verranno presi in esame tre diversi metodi: C -G GL I V G>0 fig. 1 q 1° metodo: (trasformata di Laplace). Il metodo di Laplace prevede di eccitare il circuito in esame con un generatore di corrente in parallelo o di tensione in serie, verificando ovviamente che l’annullamento dell’eccitazione non modifichi il circuito originario. Procedendo ad esempio con una eccitazione di corrente in parallelo, si avrà: V 1 = I sC − G + G (1) L Come noto l’analisi della stabilità si basa sullo studio dei poli della (1). Il circuito risulta stabile se il polo è a parte reale negativa, ossia: s = G − G C 225 L < 0 che implica G L > G (2) Si osserva che il risultato ottenuto è indipendente dalla capacità e, quindi, per semplificare la trattazione si può assumere, senza perdere di generalità, che la capacità sia assente. Sotto questa ipotesi il circuito si riduce a quello di figura 2: -G V GL fig. 2 q 2° metodo: dato il circuito di figura 2, si può fornire una nuova interpretazione del fenomeno finora trattato. Partendo, infatti, dall'ipotesi che -G generi energia, si avrà instabilità nel momento in cui l'energia generata diventi maggiore dell'energia dissipata. La potenza, quindi, generata dalla conduttanza negativa dovrà essere minore di quella dissipata da GL, ossia: V 2 G < V 2 G L che, ancora una volta, implica G L > G Si è, dunque, giunti in modo più empirico a quanto già ottenuto nella (2). q 3° metodo: un ulteriore metodo per lo studio della stabilità è quello che si basa sull'applicazione di una tensione V alla conduttanza G. Tale tensione genera una corrente IG, come evidenziato in figura 3: IG -G V fig. 3 in formule I G = VG 226 GL La corrente IG, andando a scorrere su GL, provoca una caduta di tensione pari a V G = L VG G L (3) da cui si nota che, qualora sia V G > V L il sistema risulterà instabile e, dunque, sarà stabile solamente se vale la relazione: G > G L che conferma quanto finora ottenuto. Si osserva, inoltre, che il rapporto fra le due conduttanze dovrà essere minore di uno, cioè, il guadagno d'anello risulterà: G > 1 G L = AB a conferma del fatto che il sistema è stabile secondo il criterio di Bode. Proviamo ora ad applicare il secondo metodo visto, ragionando però in termini di resistenza. Il circuito da considerare è, dunque, quello di figura 4: IR -R V RL fig. 4 Sfruttando il ragionamento utilizzato per il terzo metodo, si può affermare che, se si desidera un sistema stabile, la potenza generata dalla resistenza negativa dovrà essere minore della potenza generata da RL, da cui: RI R2 < R L I R2 e la condizione per la stabilità sarà, allora RL > R e, dal momento che il reciproco di una resistenza è la sua conduttanza, si ottiene: G L < G 227 (4) che contrasta con i risultati ricavati adottando i precedenti metodi. Ciò è dovuto al fatto che si è effettuata una trasformazione da conduttanza a resistenza senza cautela. Si può, infatti, osservare che per il parallelo capacità, conduttanza negativa di figura 1 non si può parlare di resistenza negativa perché questa non è definita. In particolare, ciò è confermato dalla impossibilità di effettuare una misura di resistenza (impedenza) del circuito in esame. Per meglio chiarire quanto detto, si consideri il circuito di figura 5, in cui, per misurare la resistenza (impedenza) si è inserito un generatore di corrente e si dovrebbe misurare la tensione V corrispondente: V C -G I fig. 5 Si può scrivere Z = V I 1 sC − G = (5) da cui il polo risulterà s = G C che è a parte reale positiva e, quindi, il sistema eccitato in corrente è instabile, ossia la risposta in tensione che si ottiene diverge nel tempo. Ciò viola l'ipotesi di applicabilità del criterio di stabilità. La misura di ammettenza, invece no da problema alcuno (la funzione di trasferimento avrebbe semplicemente uno zero a parte reale positiva). Si osservi che se si fosse partiti da una misura di impedenza, ci si sarebbe accorti subito che il sistema era instabile. Da ciò si deduce come, a partire da una misura, la stabilità del sistema sia subito definita e come, invece, effettuando delle trasformazioni di variabili si debba prestare molta attenzione a rispettare le ipotesi di applicabilità dei criteri nel dominio jω, al fine di ottenere risultati corretti. 5.4.1.2 Stabilità incondizionata Un transistor si dice incondizionatamente stabile ad una data frequenza se, per ogni: ΓS < 1 ΓL < 1 228 (1) si verifica che Γ in = s 11 + s 21 s 12 Γ L 1 − s 22 Γ L < 1 (2) Γ out = s 22 + s 21 s 12 Γ S 1 − s 11 Γ S < 1 (3) Infatti, se la (2) e la (3) sono entrambe verificate, il transistor risulterà stabile indipendentemente da quelle che sono le terminazioni connesse. Poiché, infatti, sia dall'ingresso che dall'uscita si vedono sempre delle terminazioni resistive e non attive (|Γin|< 1, |Γout|< 1), qualunque cosa si connetta l'oggetto risulterà sempre stabile. Se, invece, Γin o Γout sono maggiori di uno, esisteranno delle condizioni di carico e/o sorgente che possono violare il criterio di Bode e dare luogo ad instabilità del circuito. Quando le condizioni di stabilità incondizionata vengono violate, ossia, quando le (2) e (3) non sono soddisfatte, il dispositivo non è detto, comunque, che sia instabile; ciò evidenzia solamente la presenza di bipoli a conduttanza negativa. Per tale motivo, nei casi appena descritti si parla di sistemi potenzialmente instabili o, spesso, anche di stabilità condizionata, in quanto la stabilità del sistema in esame è condizionata ai valori dei carichi che si vanno a connettere. Si osservi che quanto detto, per avere senso, richiede una ulteriore condizione: s 22 < 1 (4) s 11 < 1 Questa ultima condizione, normalmente verificata nella stragrande maggioranza dei casi, è importante perché garantisce che i coefficienti di riflessione (2) e (3), che si riferiscono, rispettivamente, alla connessione del transistore ad una impedenza di carico e sorgente, abbiano un senso, ossia tali connessioni siano stabili, ovvero misurabili. Se ad esempio consideriamo più in dettaglio la misura di Γin, questa, come noto, viene effettuata con una sorgente a 50 Ω posta in ingresso e ΓL connesso in uscita. Se |s22|< 1, ossia dall’uscita vediamo un coefficiente di riflessione passivo il sistema caricato con ΓL passivo risulterà sicuramente stabile. Analogo discorso vale per la porta d'ingresso. Quanto detto può essere facilmente schematizzato nel modo illustrato in figura 1: |s22|< 1 Γ in Γ out fig. 6 229 ΓL Si osserva, tuttavia, che le (4) non sono condizioni sufficienti a garantire la stabilità, ma sono comunque, necessarie per avere un sistema stabile. Le (4) sono, solitamente, verificate ed è per questo motivo che, spesso, in fase di progetto è facile dimenticarsi di effettuare una verifica, incorrendo poi in errori nella valutazione della stabilità. Si vogliono analizzare, ora, alcuni strumenti che permettono di valutare i circuiti finora esaminati dal punto di vista della stabilità. Si consideri, a tale scopo, la Carta di Smith. Su questa è possibile tracciare dei cerchi che distinguono le zone corrispondenti ai valori del coefficiente di riflessione del carico e della sorgente, che possono essere potenziali fonti di instabilità, rispetto a quelli in cui si è certi che l'amplificatore è incondizionatamente stabile. Esistono, infatti, dei valori di ΓS e ΓL che, non soddisfacendo le condizioni (3) e (4), definiscono zone potenzialmente instabili. In tali zone i coefficienti di riflessione ΓS e ΓL saranno maggiori di uno e ad essi corrisponderanno resistenze e conduttanze negative, ossia, oggetti che generano energia. In questa situazione, a seconda di ciò che viene connesso, si potrà creare o meno oscillazione e, dunque, instabilità. Allo scopo di consentire una realizzazione grafica di quanto appena detto riguardo le zone di potenziale instabilità e stabilità incondizionata sulla carta di Smith, si rendono necessari alcuni passaggi matematici; innanzitutto, i cerchi che si stanno cercando saranno identificati da un confine definito nel modo seguente: ΓL ΓS tale che tale che ⇒ ⇒ |Γin |= 1 |Γin |= 1 cerchi di stabilità in uscita cerchi di stabilità in ingresso con passaggi matematici si possono ottenere i seguenti risultati: per Γ L C L = rL = * s 22 − ∆ * s 11 s 22 2 − ∆ 2 (centro) 2 (raggio) s 12 s 21 s 22 2 − ∆ dove ∆ = s 11 s 22 − s 21 s 12 Per ottenere i risultati relativi a ΓS è sufficiente scambiare i pedici 1 e 2 nei risultati appena ricavati. L'interpretazione grafica di quanto detto è visibile in figura 7: 230 ΓL 2 1 |Γ in |= 1 P . ΓL = 0 potenziale intabilità incondizionatamente stabile fig. 7 in cui si osserva come il cerchio tratteggiato vada a definire due zone, una più pericolosa, data dall'intersezione dei due cerchi, dove |Γin |> 1 e dove si ha potenziale instabilità e l'altra identificata da |Γin |< 1, in cui si ha la garanzia dell'incondizionata stabilità. Al fine di identificare il segno di ΓL si dovrà considerare il punto notevole P, per il quale vale: ΓL = 0 ⇒ Γ in = s 11 (5) se, dunque,|s11 |< 1, allora la zona contrassegnata, in figura 7, con il numero 1 risulterà incondizionatamente stabile, mentre la zona 2 risulterà potenzialmente instabile e sarà necessario prestare attenzione al ΓL che si andrà a connettere. Se, ora, si considera l'ingresso, si ottiene quanto rappresentato in figura 8: ΓS 2 1 |Γout |= 1 P’ . ΓS = 0 potenziale intabilità incondizionata stabilità fig. 8 Si avrà, cioè, il luogo dei valori di ΓS tali che |Γout |= 1, rappresentato dalla circonferenza a tratteggio e grazie al punto notevole P' si potrà, anche in questo caso, distinguere le zone di potenziale instabilità e di incondizionata stabilità. In particolare, sarà: ΓS = 0 ⇒ 231 Γ out = s 22 (6) se, dunque,|s22 |< 1, allora la zona contrassegnata, in figura 8, con il numero 1 risulterà incondizionatamente stabile, mentre la zona 2 risulterà potenzialmente instabile. Si osserva che le definizioni finora date valgono in funzione dei parametri S, che a loro volta, sono variabili con la frequenza. E' per questo motivo che i cerchi di stabilità variano anch'essi al variare della frequenza stessa. Si ricorda, inoltre, che lo studio della stabilità va effettuato comunque a larga banda, nonostante il circuito in esame possa essere progettato a banda stretta, in quanto si possono innescare delle oscillazioni anche a frequenze diverse da quelle di interesse nel progetto. Dal momento che tale studio risulta lungo e faticoso da realizzare a mano, sono stati introdotti dei tools come, ad esempio, gli strumenti CAD, che attraverso un calcolatore consentono di semplificare notevolmente i conti. Tornando al progetto della stabilità dell'amplificatore, si può procedere al progetto seguendo diversi livelli di accuratezza, con impatto diverso sulle prestazioni ottenibili, a seconda di come vengono scelti ΓS e ΓL. Ad esempio ΓS e ΓL possono essere scelti in modo tale che risultino appartenere alla zona di incondizionata stabilità. Tale progetto non è, ovviamente, ottimale, in quanto risulta fortemente limitativo, poiché non è necessario che entrambe le condizioni su Γin e Γout siano verificate, bensì ne basterà una sola delle due. Scelto, infatti, ΓL o ΓS nella zona di incondizionata stabilità, si avrà, rispettivamente dalla (5) o dalla (6), che |Γin |< 1 oppure che |Γout |< 1 e, dunque, qualunque sia il dispositivo passivo connesso il sistema non potrà oscillare. Un modo alternativo e più efficiente di procedere per sistemi potenzialmente instabili è, invece, quello di non rinunciare a priori all’impiego delle zone di potenziale instabilità, ma di ragionare in modo più accurato utilizzando il criterio di Bode, come dimostra il seguente esempio. Esempio: sia dato un sistema in cui si è scelto ΓL nella zona di potenziale instabilità, per cui si avrà: Γ in > 1 Sarà, ora, necessario scegliere un ΓS tale che verifichi la condizione di stabilità del criterio di Bode. A tale scopo, è opportuno schematizzare il sistema come in figura 9: a b ΓS Γ in t.c. |Γ in |> 1 fig. 9 Dovrà essere, allora b = Γ in ⋅ a = Γ in Γ S ⋅ b 232 e poiché il guadagno d'anello deve essere minore di uno alla frequenza in cui l'argomento è pari a zero o 2π, si avrà: Γ in Γ S < 1 ∠ Γ in Γ S = 0 = 2 π secondo le ipotesi del criterio. Per un ΓL potenzialmente instabile, dunque, ΓS deve necessariamente essere scelto con un metodo più accurato, al fine di garantire la stabilità. 5.4.1.3 Parametro K Nello studio della stabilità esistono delle situazioni in cui il cerchio di stabilità non tocca la carta di Smith o, meglio, il sistema risulta incondizionatamente stabile per qualunque valore di ΓL o ΓS scelto. Risulta allora utile utilizzare un parametro detto parametro K (di Rollett) definito in funzione della frequenza e il cui valore permette di capire quali siano le frequenze alle quali il sistema risulta potenzialmente instabile, ossia, quando i cerchi toccano la carta di Smith e quali le frequenze per cui si ha la certezza di avere stabilità indipendentemente dalla scelta di ΓL o ΓS (i cerchi non toccano la carta di Smith). La definizione matematica di tale parametro è la seguente: K = 1 − s 11 − s 22 2 s 12 s 21 2 2 + ∆ 2 > 1 (1) dove con |∆| si intende ∆ = s 11 s 22 − s 21 s 12 < 1 Le condizioni riportate dalle (1) sono richieste per la stabilità incondizionata (normalmente la condizione su ∆ è sempre verificata, tanto che spesso ci si scorda della definizione corretta). Dalla definizione di K si può osservare come tale parametro sia definito solo in funzione dei parametri S. Spesso il valore di K è fornito dal costruttore nei Data Sheet del componente. Alle frequenze per cui K risulta minore di uno, il dispositivo è potenzialmente instabile ed è quindi richiesto uno studio più accurato della sua stabilità, attraverso i cerchi di stabilità o il criterio di Bode. Il parametro K, dunque, fornisce un veloce strumento di pre-analisi che consente di distinguere le frequenze pericolose per la stabilità da quelle in cui quest'ultima è, invece, garantita. Si osservi che se nella (1) si ha s12 = 0, la condizione di stabilità è sempre verificata (K diventa infinito) coerentemente con l’assenza di un percorso di retroazione; questo salvo casi molto particolari per cui è violata la condizione su ∆ essendo | s11 |> 1 oppure | s22 |> 1. 5.4.1.4 Scelta di Γ in e Γ out 233 Il primo progetto di massima di un amplificatore si può basare sul considerare il transistor ideale e, quindi, ritenere verificata la relazione s12 = 0. Ai fini del calcolo del guadagno, tale approssimazione di solito non comporta errori enormi e si può ritenere sufficientemente fedele alla realtà. In tali condizioni, allora, si può definire il Guadagno di Trasduzione di Potenza Unilaterale (unilaterale perché vale per s12 = 0), la cui espressione matematica è la seguente: G TU = PL P AV S (1) in cui si è definito con PL la potenza ceduta al carico e con PAVs la potenza disponibile della sorgente. Il guadagno di potenza espresso nella (1), fornisce una definizione di maggiore interesse rispetto alla comune definizione di guadagno, nella quale si prevede il rapporto tra la potenza ceduta al carico e la potenza entrante nel dispositivo. In quest'ultimo caso, infatti, un guadagno di potenza elevato può non essere significativo in quanto, in presenza di forte disadattamento (Γin molto diverso da 50Ω) per fornire un minimo di potenza in ingresso sarebbe necessaria una notevole potenza disponibile, rendendo illusorio un guadagno così elevato. Si pensi per analogia al caso di un amplificatore con un guadagno di tensione molto alto, ma con una bassissima resistenza d'ingresso: il vantaggio dell'elevato guadagno, in tale caso, si perde nel rapporto di tensione esistente fra il generatore d'ingresso e la resistenza d'ingresso dell'amplificatore. Il guadagno operativo elevato ha, dunque, poco significato, perché in presenza di disadattamento non si riesce a fornire la potenza in ingresso necessaria al dispositivo. La (1), allora, risulta più significativa, poiché fornisce un'idea reale dell'entità del disadattamento presente e permette di scegliere con più accuratezza come progettare l'amplificatore. Il guadagno di trasduzione definito dalla (1) può essere scritto come segue: G TU = 1 − ΓS 2 1 − s 11 Γ S 2 ⋅ s 21 2 1 − ΓL 2 1 − s 22 Γ L 2 = G S ⋅ s 21 2 ⋅GL (2) dove si è definito con GS e GL GS = GL = 1 − ΓS 2 1 − s 11 Γ S 1 − ΓL 2 2 1 − s 22 Γ L 2 A partire dalla (2) si possono sviluppare importanti considerazioni; se, infatti, il dispositivo non viene connesso ad alcuna rete di adattamento, bensì direttamente ai 50Ω, si avrà: 234 ΓL = 0 ⇒ GL = 1 ΓS = 0 ⇒ GS = 1 e il guadagno di potenza di trasduzione diverrà pari a G TU = s 21 2 Si deduce, dunque, che GL e GS rappresentano funzioni di trasferimento che sottolineano il miglioramento introdotto dall'inserimento di una eventuale rete di adattamento. Si osserva, inoltre, che se S12 = 0, come da ipotesi iniziale, Γin e Γout risulteranno indipendenti tra loro, in particolare, si avrà: Γ in = s 11 Γ out = s 22 e risultano, inoltre, indipendenti anche da ΓS e ΓL. Tutto ciò comporta una notevole semplificazione, in quanto non essendoci dipendenza tra la porta d'ingresso e quella d'uscita, il coefficiente di riflessione d'ingresso e di carico dipenderanno esclusivamente dal transistor e non dalle condizioni di carico e sorgente. I valori di ΓS e ΓL sono quindi determinabili in modo semplice, non essendoci in questo caso neanche vincoli sulla stabilità. imponendo la condizione di adattamento. Per ottenere il massimo trasferimento di potenza si sceglieranno ΓS e ΓL quindi nel rispetto delle condizioni di adattamento coniugato, ossia: Γ Sottimo = Γ in∗ = s 11∗ ∗ ∗ Γ Lottimo = Γ out = s 22 In particolare, il massimo guadagno di trasduzione ottenibile sarà: max G TU = 1 1 − s 11 2 ⋅ s 21 2 1 1 − s 22 2 (3) ferme restando le condizioni s 22 < 1 s 11 < 1 che sono, solitamente, verificate nella maggior parte dei casi. Per capire cosa può invece succedere in presenza di potenziale instabilità del dispositivo facciamo riferimento ad una situazione rara in pratica ma comoda da un punto di vista didattico ed esemplificativo. Supponiamo di avere s12 = 0 ma che sia anche |s11|> 1. In tale condizione sarà sempre possibile avere un valore di ΓS tale che il valore del denominatore di GS risulti nullo 235 (basta scegliere ΓS = 1/s11), da cui si ottiene un valore di GTU infinito. Ciò ovviamente corrisponde ad un assurdo. Analogamente accadrebbe per GL qualora risultasse |s22|> 1. L’annullamento dei denominatori di GS o GL corrisponde ad un forte pericolo di instabilità, infatti, un ΓS = 1/s11 definisce il punto di guadagno d'anello unitario e basta una variazione infinitesima per passare alla situazione di instabilità, rendendo molto critica la condizione di elevato guadagno (si tratta di una condizione che in pratica corrisponde ad una elevata sensibilità parametrica del guadagno). Si può dedurre, allora, come in questo caso non esista una condizione di adattamento che fornisca il massimo guadagno, poiché quest'ultimo potrebbe non essere definito. In queste circostanze, risulta utile considerare dei luoghi a guadagno costante, su cui andare a cercare, attraverso i cerchi di stabilità o altri metodi, i valori dei coefficienti di sorgente e carico che forniscano il guadagno desiderato compatibilmente con vincoli imposti sulla stabilità. Se ora facciamo riferimento ad un sistema non unilaterale per cui si ha: Γ in = s 11 + s 21 s 12 Γ L 1 − s 22 Γ L Γ out = s 22 + s 21 s 12 Γ S 1 − s 11 Γ S si potranno scegliere, in caso di incondizionata stabilità, ΓS e ΓL utilizzando la condizione, che massimizza il guadagno, di adattamento coniugato: Γ S = Γ in∗ (4) ∗ Γ L = Γ out dove, però, le (4) non potranno più essere scelte in modo indipendente, bensì costituiscono un sistema in cui l'una dipenda dall'altra. In particolare, in questo caso il guadagno massimo risulta: G Tmax = ( s 21 K − s 12 K 2 −1 ) (K > 1) (5) Nel caso in cui non si abbia stabilità incondizionata, il guadagno non ha un massimo come già visto. Tale valore è spesso fornito dal costruttore del dispositivo, in caso contrario, è facilmente calcolabile tramite la (5), noto che sia il valore di K, solitamente presente nei Data Sheet del componente. Se, però, K < 1 (dispositivo potenzialmente instabile), come può accadere, il costruttore fornisce il guadagno MSG (Maximum Stable Gain) definito come: G MSG = s 21 s 12 ossia, il valore di G Tmax che si ottiene per la condizione di confine K = 1. Ciò non è particolarmente rilevante dal punto di vista del significato fisico, ma fornisce un’idea della qualità del componente. In generale, un buon transistor dovrà avere s21 molto 236 grande, che corrisponde ad un guadagno s21 elevato ed un parametro di reazione s12 molto piccolo. Da quanto finora affermato, emerge che la condizione di adattamento non è sempre realizzabile, ossia, non sempre sarà possibile far vedere al generatore e al carico un’impedenza di 50Ω. Schematicamente si realizza l’adattamento se: ΓS = Γin∗ sorgente 50Ω fig. 1 ∗ ossia, quando Γ S = Γ in . In realtà, a causa di problemi legati all’instabilità e alla variazione dei parametri dei componenti, si potrà avere: Γin ( amplif ≠0 .) Γout ( amplif .) ≠ 0 invece che nulli, come sarebbe auspicabile. Questo accade in pratica anche perché la condizione di adattamento non potrà essere realizzate con precisione infinita utilizzando componenti reali. Nella pratica per un amplificatore, oltre ai parametri sopracitati, quali, ad esempio, il guadagno di trasduzione, si forniscono anche: input return loss = 20 log 10 Γin ( amplif output return loss = 20 log 10 Γout ( amplif .) .) che possono andare da un valore teoricamente infinito, quando ci si trova in una situazione ideale (Γin(amplif.) = 0 e Γout(amplif.) = 0), in cui non si ha riflessione e le perdite di ritorno sono nulle, a zero quando Γin(amplif.) e Γout(amplif.) sono unitari (massimo disadattamento). 237