Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di

Mensile di aggiornamento e approfondimento
in materia di
immobili, ambiente, edilizia e urbanistica
Numero 17 - gennaio 2015
n. 17 – chiuso in redazione il 12 gennaio 2015
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
5
RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
16
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
20
APPROFONDIMENTI
Condominio
LE "MAPPE" DEL CONDOMINIO; L'UTILIZZO DELLE MURATURE
Nel caso delle murature, le regole del diritto condominiale comprendono una miriade di
specificazioni.
Luigi Salciarini, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 31 dicembre
2014, n. 966
23
Vizi e difetti dell’opera
LA CASSAZIONE TORNA SUI GRAVI VIZI E DIFETTI DELL'OPERA E RELATIVE RESPONSABILITÀ
Uno dei problemi più frequenti che affliggono, allo stesso tempo, condomini, imprese e
professionisti riguarda la contestazione di vizi e difetti nella realizzazione delle opere.
Donato Palombella, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 31 dicembre
2014, n. 966
33
Immobili e locazioni
IMMOBILI DA LOCARE - CONVERSIONE DEL D.L. "SBLOCCA ITALIA"
Dopo una lunga attesa, il D.L. 12.9.2014, n. 133, ha trovato la conversione nella L.
11.11.2014, n. 164, con alcune modifiche rispetto al testo originario e la permanenza di
alcuni dubbi applicativi per determinate disposizioni.
Leonardo Petrobon, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, Edizione del 7 gennaio 2015,
n. 1 pag. 36
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L’ESPERTO RISPONDE
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Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili
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 Mercato immobiliare
 Primi segni di ripresa anche se non per tutti
Prezzi più abbordabili delle abitazioni e mutui di nuovo alla portata delle tasche di molti italiani:
sulla carta le condizioni che si stanno creando in questo 2015 appena iniziato
rappresenterebbero un mix ideale per le famiglie e anche un’occasione per rilanciare un
mercato immobiliare in crisi ormai da diversi anni nel nostro Paese. La situazione resta però
più complessa di quanto certi dati non possano far credere.
L’Associazione delle banche italiane (Abi) parla infatti apertamente da alcuni mesi di ripresa del
mercato dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni: nei primi 11 mesi del 2014,
secondo i dati diffusi proprio questa settimana, le erogazioni del campione di riferimento (che
rappresenta circa l’80% della totalità del mercato bancario nazionale) sono cresciute del 31,2%
rispetto a un anno prima, passando da 17,1 a 22,4 miliardi di euro.
Occorre però ricordare luogo come il mercato dei mutui si sia praticamente dimezzato negli
ultimi 4 anni e che i livelli attuali non siano ancora lontanamente paragonabili a quelli di fine
2011. Ma soprattutto bisognerebbe effettuare una distinzione in base alla finalità con cui è
stato concesso il prestito. Le surroghe e le sostituzioni, come si legge nell’articolo in alto, sono
infatti tornate in auge per via delle migliori condizioni praticate dalle banche: in base a stime
ufficiose raccoglierebbero almeno il 20% del totale erogato, che quindi non sarebbe tutta
liquidità aggiuntiva a vantaggio delle famiglie.
Meglio allora affidarsi ai dati, sempre di fonte Abi, relativi alle consistenze di fine novembre,
che segnalano per la prima volta negli ultimi 30 mesi una stabilizzazione rispetto all’anno
precedente degli impieghi delle banche italiane a famiglie e società non finanziarie a 1.419
miliardi: negli ultimi 12 mesi, insomma, le banche hanno concesso denaro per un ammontare
uguale a quello nel frattempo giunto a scadenza. Certo, è un valore pur sempre inferiore di
114 miliardi (o del 7,5%, se preferite) rispetto a quello di quattro anni prima (quando si era
toccato il picco); di denaro in meno sul quale le famiglie italiane non possono più contare, ma
si tratta comunque di un punto di partenza.
Per proseguire su questa strada servono però passi avanti ulteriori, sia sul fronte dell’offerta,
sia su quello della domanda. Le banche, da parte loro, sembrano davvero aver abbassato le
pretese negli ultimi tempi: la parziale riduzione degli spread unita a tassi Euribor ormai
azzerati e a Irs ai minimi storici rende i prodotti attualmente in catalogo altrettanto se non più
convenienti rispetto a quelli disponibili nel 2011, prima della crisi del debito. Certo, chi punta
sul variabile dovrà farlo con attenzione, perché se pur non nell’immediato, prima o poi i tassi
torneranno ad aumentare.
Ma il problema principale è che le offerte riproposte nei cartelloni pubblicitari sono per molti,
non per tutti: soltanto i clienti più «affidabili» e quelli che chiedono un quantitativo limitato di
denaro in rapporto al valore dell’abitazione (loan-to-value) riusciranno ad accaparrarsele. Per
gli altri non resta che spendere di più, nella migliore ipotesi, oppure rimandare del tutto
l’acquisto. In un Paese costretto di nuovo alla recessione e nel quale la disoccupazione viaggia
al 12,7%, un calo medio del prezzo delle abitazioni dell’11,2% dal 2010 e qualche decimo di
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spread in meno sul mutuo rischia di non essere sufficiente per infondere nuova fiducia nelle
famiglie.
(Maximilian Cellino, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 4 gennaio 2015)
 Agenzia delle entrate, mercato immobiliare cresce del 3,6% nel III trimestre
«Il mercato immobiliare italiano nel III trimestre 2014 torna a crescere, con un tasso
tendenziale riferito al totale delle compravendite pari a +3,6%». Lo rende noto l’Osservatorio
del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate. In particolare, il settore residenziale ha
fatto segnare + 4,1%, con 94.861 NTN (Numero di transazioni normalizzate, ndr). I settori
commerciale (5.428 NTN, +9%) e produttivo (2.014 NTN, +1,6%) e le pertinenze (cantine,
box e posti auto; 73.525 NTN, +2,4%) mostrano anch’essi tassi tendenziali positivi in questo
trimestre. Rimane negativo il tasso tendenziale del settore terziario che, con 1.896 transazioni,
realizza una perdita del 2%.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 18 dicembre 2014)
 Immobiliare: Nomisma, per 2015 stime non ottimistiche, pesa eccesso offerta
Le previsioni per il 2015 relative al mercato immobiliare milanese non puntano all’ottimismo.
È quanto emerge dall’Osservatorio sul mercato immobiliare, novembre 2014 curato da
Nomisma, la cui presentazione è stata realizzata in collaborazione con Intesa Sanpaolo Private
Banking. La principale penalizzazione viene dall’eccesso di offerta che caratterizza sia il
mercato della compravendita che quello della locazione; Nomisma prevede inoltre un ulteriore
arretramento delle quotazioni, anche se più contenuto rispetto a quello registrato nel corso del
2014. Nello specifico, il mercato residenziale presenta segnali di miglioramento, generato sia
da un’attenuazione dell’offerta sia da una contestuale stabilizzazione della domanda.
Analizzando l’attenuazione dell’offerta emerge come il divario tra prezzo richiesto e effettivo sia
passato in media dal 10% al 9% per le abitazioni nuove e dal 14 al 13,5% per quelle usate.
L’offerta si mantiene comunque abbondante, come si evince dall’ulteriore allungamento dei
tempi medi di vendita, saliti da 7,9 a 8,2 mesi per il nuovo e da 7,4 a 7,8 mesi per l’usato. Nel
mercato locativo si è registrato un ampliamento dei tempi medi di locazione da 4,3 a 4,5 mesi
per l’usato.
(Il Sole 24ORE – Tecnici24, 18 dicembre 2014)
 Immobili
 Proprietà dell'immobile. Le risultanze del catasto non hanno un definitivo valore
probatorio.
Per determinare l’effettiva proprietà (pubblica o privata) di un bene immobile, ai dati del
catasto non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza
meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi, in quanto contenenti
utili indicazioni in ordine all’estensione dei fondi confinanti.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5 del 5 gennaio 2015, ha dichiarato illegittima l’ordinanza
di demolizione di un cancello, adottata dal Comune sul presupposto della natura pubblica
dell’area interclusa, stabilita in base alle sole risultanze catastali.
Il caso. La vicenda al vaglio della sesta sezione del Consiglio di Stato riguarda il ricorso
proposto dalla proprietaria di un immobile avverso l’ordinanza con cui il Comune le aveva
ingiunto di rimuovere un cancello in ferro, che impediva l’accesso ad un’area confinante con
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l’immobile predetto, ritenuta di proprietà pubblica. Secondo la ricorrente, il Comune aveva
erroneamente considerato pubblica l’area in questione, facendo peraltro riferimento alle sole
risultanze catastali. L’Ente comunale, infatti, non aveva consentito all’appellante di interloquire
attraverso propri contributi nel corso del procedimento, affermando – in ultima analisi – che la
sola esistenza di una differenza fra lo stato di fatto rilevato e le risultanze catastali fosse da
sola idonea a deporre nel senso del carattere pubblico dell’area in parola.
Il Consiglio di Stato, ribaltando la sentenza di primo grado del TAR Calabria, ha dato ragione
alla ricorrente.
La decisione. Secondo i Giudici di Palazzo Spada, il provvedimento demolitorio risulta viziato
nella misura in cui il Comune si è limitato a risolvere in poche battute la questione del
carattere pubblico o meno della porzione di area chiusa dal cancello, senza consentire
all’interessata di partecipare al procedimento amministrativo (impedendo alla stessa di fornire
al riguardo un apporto sicuramente rilevante) e senza acquisire preventivamente i titoli di
acquisto dell’area in questione. La decisione del Comune, in sostanza, si è basata
esclusivamente sui dati del catasto, acquisiti come prova certa della natura pubblica dell’area.
A tacer d’altro, l’operato del Comune si è in tal modo posto in aperto contrasto con il
consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui, ai fini della determinazione
dell’effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un
definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto
desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili indicazioni in ordine all’estensione dei
fondi confinanti (Cass. civ. 23.12.2004 n. 23933).
Un accertamento tanto complesso quale quello all’origine dei fatti di causa – osserva il
Consiglio – non avrebbe potuto essere concluso dal Comune in sostanziale assenza di
qualunque istruttoria e sulla base soltanto di un raffronto con le risultanze catastali.
Sotto tale aspetto, il provvedimento impugnato presenta molteplici profili di invalidità anche
per violazione delle norme sul procedimento amministrativo, con particolare riferimento
all’obbligo di istruttoria adeguata e completa ed alla (mancata) partecipazione dei soggetti
interessati al procedimento amministrativo.
La decisione del Consiglio di Stato costituisce un’ulteriore, autorevole conferma
dell’orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità (espressamente richiamata nella
sentenza in commento), da tempo concorde nel riconoscere ai dati catastali una valenza
probatoria di natura indiziaria in ordine alla proprietà dell’immobile, a cui fare riferimento in via
sussidiaria, in assenza di altre prove certe sulla titolarità del bene.
Del resto, lo stesso Consiglio di Stato ha più volte evidenziato come l’accatastamento
costituisca adempimento di tipo fiscale-tributario che fa stato ad altri fini, non atteggiandosi a
strumento idoneo ad evidenziare una situazione di conformità edilizia (Consiglio di Stato, Sez.
IV, 4.2.3013, n. 666), né tanto meno a costituire la prova decisiva della proprietà
dell’immobile.
Anche secondo i Tribunali amministrativi regionali le mappe catastali costituiscono sempre un
elemento probatorio di carattere sussidiario, al quale si deve ricorrere “in caso di obiettiva e
assoluta mancanza di prove idonee a determinare il confine in modo certo”, o quando i diversi
elementi prodotti (per la loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro attendibilità) risultino
comunque inidonei alla determinazione certa dei confini (TAR Trentino Alto Adige – Trento,
22.06.2011, n. 177 e 22.11.2012, n. 343). Dalle mappe medesime possono desumersi degli
indizi, giacché quello catastale è un sistema secondario sussidiario rispetto all'insieme degli
elementi acquisiti attraverso l'indagine istruttoria (Cass. civ., sez. II, 03.03.2009 n. 5131).
Non può, pertanto, disconoscersi che le mappe catastali possano costituire indizio che può
essere utilizzato ai fini dell’accertamento della proprietà del bene immobile, ma sempre e solo
in via sussidiaria e in assenza di altri elementi utili (TAR Calabria-Catanzaro, 8.3.2011, n.
342).
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I principi sopra richiamati trovano applicazione, tra gli altri casi, in tema di rivendicazione della
proprietà, che soggiace, com’è noto, ad un regime della prova estremamente rigoroso (c.d.
probatio diabolica), per il quale base primaria dell'indagine del giudice è costituita dall’esame e
dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà. In tema di azione di
regolamento di confini è la stessa norma (l’art. 950, secondo comma, c.c.) ad attribuire
rilevanza probatoria sussidiaria alle mappe catastali, in mancanza di altri elementi.
(Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24ORE – Tecnici24, 12 gennaio 2014)
 Parti comuni e presunzione legale di comunione, la S.C. ribadisce presupposti e
condizioni di operatività
In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento,
dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una
situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di
quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo
del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del
condominio stesso: ciò sempre che il contrario non risulti dal titolo, cioè che questo non
dimostri una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la
proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.
Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è
relativa ad una complessa controversia avente ad
comproprietà su di un area di scoperto comune
appartamento (Cass. civ. Sez. II, Sent. 18 dicembre
Giorgio, P.M. Ceroni).
stato ribadito in una recente pronuncia
oggetto l’accertamento del diritto di
rivendicato da due acquirenti di un
2014, n. 26766, Pres. Triola, Rel. San
La decisione ha anche il pregio di ribadire, in conformità a quanto già espresso in precedenti
arresti, che la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 cod. civ.,
senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in
via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti
comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente
destinati all’uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici
appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce
ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 7 gennaio 2015)
 Fattura di vendita: fissata una quota come corrispettivo
Sui contratti che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile in sede di
conversione è stato inserito un comma relativo alla determinazione della quota dei canoni
come corrispettivo della vendita, da restituire in caso di mancato acquisto.
Disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili (Dl
133/2014, articolo 23)
Il nuovo testo dell’articolo 23, conseguente agli emendamenti parlamentari adottati con la
legge di conversione, consiste nell’aggiunta del comma 1-bis.
Il decreto legge aveva lasciato ampia e indiscriminata libertà ai contraenti di determinare la
quota di canone imputabile a corrispettivo della successiva vendita, come di stabilire eventuali
multe penitenziali o clausole penali. Peraltro, lo stesso articolo 23 del decreto legge già
prevedeva, con riferimento alle conseguenze dell’inadempimento, che, se il contratto viene
risolto per inadempimento del concedente, questi deve restituire la parte dei canoni imputata
al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali.
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Per effetto dell’emendamento in esame, la predeterminazione della quota dei canoni imputata
a corrispettivo della vendita, da restituire in caso di mancato acquisto, diviene elemento
essenziale ai fini della qualificazione dell’accordo come conforme al nuovo tipo legale dei
contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobile.
Beninteso, l’omessa indicazione della porzione da imputare a corrispettivo della vendita non è
da intendersi come causa di nullità del contratto, per difetto di uno dei requisiti dello stesso,
ma cagionerà l’impossibilità di ravvisare, nella volontà espressa dalle parti, la funzione propria
del modello previsto dall’articolo 23 in esame, e quindi di operarne la sussunzione nello
schema ivi previsto.
Come si osservava nel commento inserito in questa rivista, n. 41 dell’11 ottobre 2014, pagine
51 e seguenti, la disciplina anticipata dal Dl 133/2014 riguarda i soli contratti che prevedano il
«diritto per il conduttore di acquistar(e)» l’immobile preso in locazione: essa sarà quindi
applicabile sia agli schemi di rent to buy consistenti in una vera e propria opzione di acquisto
collegata alla locazione, sia alle locazioni con preliminare di futura vendita. Così, il mancato
esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito non
potrebbe legittimare la ritenzione dell’intero importo dei canoni versati a favore del
concedente, come se si trattasse di una caparra confirmatoria, la quale, invero, a norma
dell’articolo 1385 del Cc, suppone la reazione a un inadempimento, mentre nel rent to buy il
conduttore ha il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare il bene, sicché il mancato esercizio
dell’opzione di acquisto non può mai essere considerato alla stregua di un inadempimento.
(Antonio Scarpa, Il Sole 24ORE – Guida al Diritto, 1 gennaio 2015)
 Preliminare di vendita immobiliare, la mera comunicazione di accettazione resa
dall'agente perfeziona il negozio
In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, la semplice comunicazione di
intervenuta accettazione del venditore, a fronte della proposta irrevocabile d’acquisto
formulata dal compratore, resa per il tramite di un’agenzia immobiliare è idonea di per sé a
determinare la conclusione del negozio, non richiedendosi, a tal fine, la materiale trasmissione
da parte dell’intermediario dell’accettazione medesima.
Questo, in sintesi, il principio di diritto che può essere tratto dalla lettura di una recente
pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. II, Sent. 9 dicembre 2014, n. 25923, Pres. e
Rel. Triola, P.M. Velardi). In applicazione dell’enunciato principio, il giudice di legittimità ha così
cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte del merito, in accoglimento
dell’appello proposto dall’aspirante acquirente, aveva riformato la pronuncia di primo grado la
quale aveva dichiarato l’inadempimento contrattuale di quest’ultimo e la legittimità del recesso
dell’alienante ex art. 1385 cod. civ. con condanna del convenuto al pagamento dell’importo
versato a titolo di caparra confirmatoria.
La problematica esaminata dalla pronuncia, osserva la Cassazione, non attiene alla legittimità
o meno della trasmissione della accettazione scritta al preponente resa dall’agenzia
immobiliare in veste di “nuncius”, ma, a ben vedere, investe una più articolata e dibattuta –
nei gradi di merito – questione: ovvero se sia sufficiente che il predetto “nuncius”, ovvero
l’agente immobiliare, si limiti a comunicare al proponente di essere in possesso
dell’accettazione del destinatario della proposta o se, al contrario, debba anche trasmettere al
proponente medesimo tale accettazione. L’approdo ermeneutico favorevole alla prima opzione,
passa, secondo il giudice di legittimità, attraverso la formulazione del disposto di cui all’art.
1326, primo comma, cod. civ., in base al quale se il contratto è concluso nel momento in cui
chi ha fatto la proposta ha “conoscenza” dell’accettazione dell’altra parte, tale conoscenza si
può realizzare anche senza la sua trasmissione al proponente. In altri termini, specifica la
decisione in esame, se il legislatore avesse ritenuto indispensabile tale ultima circostanza, la
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previsione della “conoscenza” di cui all’art. 1326, primo comma, cod. civ., sarebbe superflua,
in quanto inutile ripetizione dell’art. 1335 cod. civ. Ora, ciò conduce a ritenere, conclude la
Cassazione, che l’art. 1326, primo comma, cod. civ. deroga in parte all’art. 1335 cod. civ., nel
senso che, fermo restando che l’accettazione, ove diretta al proponente si reputa conosciuta
nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato,
senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia, il contratto si deve ritenere ugualmente
concluso quando, pur non essendo stata l’accettazione indirizzata al proponente, questi ne
abbia comunque avuto conoscenza. Di qui l’accoglimento nei limiti esposti del ricorso, con
cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della corte di appello territoriale
la quale provvederà anche in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Corte di cassazione, Sezione II, Sentenza del 09/12/2014 n. 25923
(Federico Ciaccafava, Il Sole 24ORE – Tecnici24, 22 dicembre 2014)

Telecamera privata sul suolo pubblico ma solo per «autodifesa».
Il caso. Stanchi degli atti di vandalismo subiti alla propria abitazione una famiglia ceca decide
di installare una videocamera di sorveglianza che filmava non solo l'ingresso della casa ma
anche la strada antistante e l'ingresso della casa di fronte. Grazie al dispositivo installato, dopo
l'ennesima rottura di un vetro, vengono consegnate le registrazioni alla polizia che riescono ad
identificare e processare due sospetti. Durante il procedimento uno dei due indiziati contesta la
legalità del trattamento dei dati registrati. Per tali motivi l'Ufficio per la tutela della privacy
infligge una ammenda al titolare del trattamento, perché la registrazione era avvenuta senza il
consenso e su un luogo pubblico. Alla luce del caso esposto ci si è chiesti se le riprese
domestiche costituiscono un trattamento di dati, assoggettato alla direttiva europea sulla
privacy (articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della Direttiva n. 95/46/CE), o se invece
sono un’attività lecita, consentita ai soggetti privati senza vincoli?
La decisione. La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza nella causa C-212/13, dell’11
dicembre 2014, parte da questi due presupposti:
- l'immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un dato personale;
- l'attività di videosorveglianza è un trattamento automatizzato di dati;
La Direttiva ha stabilito che in base a quanto disposto dalle norme comunitarie sulla
videosorveglianza le riprese che si estendono anche allo spazio pubblico, al di fuori della sfera
privata della persona che tratta i dati, non può essere considerata «un’attività esclusivamente
personale o domestica». Però, nel contempo è necessario un bilanciamento tra l’interesse alla
riservatezza con l’interesse alla tutela dei propri beni e della propria incolumità.
Le condizioni. La Corte di Giustizia ammette una compressione della privacy solo se vi è un
concreto interesse alla protezione di beni come la vita della famiglia, la salute e la proprietà.
Nel caso di specie si è ritenuto che questo tipo di videosorveglianza, che si estende anche se
solo parzialmente allo spazio pubblico, non può considerarsi un'attività esclusivamente
“personale o domestica”, quindi è applicabile una videosorveglianza privata sulla pubblica solo
per autodifesa della propria proprietà.
Conclusioni. Il proprietario di casa può puntare una telecamera sul suolo pubblico, in
direzione di una strada dove circolano i passanti, senza il consenso di quest’ultimi a condizione
che, la finalità della videoripresa sia dettata dall’esigenza di proteggere valori come la salute,
propria e dei familiari, e la proprietà privata.
(Ivan Meo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 16 dicembre 2014)
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
Bonus prima casa, l’accatastamento fissa l’agevolazione
Da oggi, 13 dicembre, cambiano i requisiti per acquistare la “prima casa” con un contratto
imponibile a Iva. Infatti, per effetto dell’articolo 33, del decreto legislativo 175/2014 non è più
prescritto che la casa oggetto di acquisto agevolato sia un’abitazione “non di lusso” (secondo il
Dm 2 agosto 1969), in quanto viene sancito che la casa per la quale si richiede l’applicazione
dell’Iva al 4% sia un’abitazione accatastata in una categoria del gruppo catastale “A” diversa
dalle categorie A/1, A/8 e A/9 (oltre che ovviamente dalla categoria A/10, che censisce le unità
immobiliari ad uso ufficio): e quindi nelle categorie A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7 e A/11. Il
passaggio dai requisiti “di lusso” (consistenti essenzialmente in un’ampia metratura
dell’abitazione oppure nel fatto che si tratti di una casa con particolari dotazioni, come una
grande piscina) ai requisiti catastali già è vigente dal 1° gennaio 2014 (in forza dell’articolo 10,
Dlgs 23/2011) per gli acquisti cui si applica l’imposta proporzionale di registro; mentre, per
quanto riguarda gli acquisti Iva-imponibili, a causa di una svista del legislatore, dal 1° gennaio
al 12 dicembre 2014 si è continuato a seguire il criterio dell’abitazione “non di lusso”. In altri
termini, mentre fino al 31 dicembre 2013 si potevano comprare con l’agevolazione “prima
casa” solo abitazioni “non di lusso”, a prescindere dalla loro categoria catastale, dal 1° gennaio
al 12 dicembre 2014:
a) l’acquisto tassato con imposta proporzionale di registro (2% per imposta di registro, 100
euro complessivi per imposte ipotecaria e catastale, esenzione da bollo) ha beneficiato
dell’agevolazione “prima casa” se ha avuto per oggetto case non accatastate nelle categorie
A/1, A/8 e A/9, anche se si trattava di case “di lusso”;
b) l’acquisto Iva-imponibile (4% di Iva e 920 euro complessivi per imposte di registro,
ipotecaria, catastale e bollo) ha beneficiato dell’agevolazione “prima casa” se ha avuto per
oggetto casa “non di lusso”, anche se accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9. Con il 13
dicembre 2014, dunque, l’agevolazione “prima casa” torna su un unico binario:
a) il beneficio fiscale compete a chi compra un’abitazione non accatastata nelle categorie A/1,
A/8 e A/9 (a prescindere dal fatto che si tratti di una abitazione “di lusso”);
b) il beneficio fiscale non compete a chi compra un’abitazione “non di lusso” se si tratta di una
abitazione accatastata nelle categorie A/1, A/8 e A/9. Se dunque con il Dlgs 175/2014 il
legislatore ha rimediato all’implausibile doppio binario che si era originato dal 1° gennaio 2014,
il sistema presenta ancora alcune non indifferenti incoerenze. Non solo perché di “lusso” si
continua a parlare in varie norme (che evidentemente vanno lette come non più riferite al
“lusso”, ma alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9):
- la nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di
registro, in tema di presupposti dell’agevolazione “prima casa”;
- l’articolo 7, legge 23 dicembre 1998, n. 448, in tema di credito d'imposta per il riacquisto
della “prima casa”;
- l’articolo 69, comma 3, legge 21 novembre 2000, n. 342, in tema di agevolazione “prima
casa” nelle successioni mortis causa e nelle donazioni. Ma anche, e soprattutto, perché rimane
ancorato al “lusso” il punto 127-undecies) della Tabella A – Parte III allegata al dpr 633/1972,
la quale contiene l'elenco delle cessioni soggette all’ Iva con aliquota 10 per cento. Quindi : a)
la cessione di una casa “di lusso” (non accatastata in A/1, A/8 e A/9) può beneficiare del 4%;
ma, se non ne beneficia, non può avere l’Iva al 10%, dovendola scontare al 22 per cento; a) la
cessione di una casa “di lusso” (accatastata in A/1, A/8 e A/9) non può beneficiare del 4 per
cento, ma deve essere tassata con il 10 per cento. Insomma, la semplicità e la coerenza non è
“di casa” in questo contesto.
(Angelo Busani, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 13 dicembre 2014)
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 Condominio

Terrazzo panoramico di proprietà. Il condomino non può modificare il vanoscala comune.
Il godimento esclusivo non autorizza il singolo condomino a modificare il vano scala comune a
scapito degli altri partecipanti al condominio.
Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 40 dell'8
gennaio 2015, ha confermato l'ordine di rimessione in pristino dei luoghi per il condomino che
aveva arbitrariamente incorporato al suo appartamento una parte del vano scala comune, per
accedere più facilmente al terrazzo panoramico.
Per i giudici si tratta di appropriazione indebita di spazi condominiali, in quanto il condomino ha
esteso il proprio diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, diminuendo il
volume del vano scala di cui ha sottratto al condominio una parte, pur esigua.
Il fatto. Il Condominio citava in giudizio la proprietaria dell'appartamento al quinto piano,
titolare del diritto d'uso e godimento esclusivo del terrazzo prospiciente l'area di solaio adibita
a mansarda, chiedendo la condanna al ripristino dei luoghi. Sull'area del solaio, infatti, gravava
una servitù di accesso a favore dell'intero condominio, per l'esercizio del quale esisteva un
vano comune, dotato di scala in legno, che consentiva l'accesso al terrazzo. Ora, la convenuta
aveva fatto eseguire alcuni interventi di ristrutturazione, che avevano mutato la situazione
sopra descritta, incorporando arbitrariamente al suo appartamento una parte del vano scala e
collegando il proprio appartamento con il terrazzo. La convenuta, inoltre, aveva fatto sostituire
l'ultima rampa della scala comune con una scaletta "alla marinara", rendendo disagevole e
pericoloso il passaggio per gli altri partecipanti al condominio.
Appropriazione indebita. In primo grado, il tribunale ha accertato l'avvenuta abusiva
occupazione di spazi condominiali e condannato la condomina al ripristino dei luoghi. Per il
giudicante, la modifica apportata al vano scala e agli ultimi gradini dell'originaria scala che
collegava il vano al terrazzo costituisce un'appropriazione indebita, sebbene di soli mq. 2,62.
La convenuta, seppur non ha alterato la destinazione della scala comune, ha tuttavia esteso il
proprio diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, diminuendo il volume del
vano scala, di cui ha sottratto al condominio una parte, inglobandola nel proprio appartamento.
In altre parole, il godimento esclusivo del terrazzo panoramico non consente al singolo
condomino di modificare spazi comuni a discapito degli altri condomini. Certamente tali
modifiche sono consentiti se necessari all'effettivo esercizio del diritto al godimento esclusivo
del bene; tuttavia, vanno eseguiti senza alterare la destinazione della cosa comune e senza
pregiudicare i diritto degli altri partecipanti al condominio.
La proprietaria si era opposta alle richieste del Condominio sostenendo, tra l'altro, che
l'accesso diretto non rappresentava una modifica marginale e voluttuaria, bensì un intervento
assolutamente indispensabile per l'uso in via esclusiva del terrazzo, poiché, a suo dire, non
avrebbe senso il godimento in esclusiva del terrazzo paronimico senza potervi accedere con
comodità. La convenuta inoltre contestava la natura comune del vano scala, ritenendolo,
invece, di sua proprietà esclusiva.
Ma la Corte d'appello prima e, poi, la Cassazione con la sentenza in commento hanno
confermato la legittimità dell'ordine di rimozione in pristino. Tra l'altro, la suprema Corte rileva
che lo stesso intervento di inglobamento del vano scala realizzato dalla convenuta "esclude di
per sé la possibilità che tale spazio fosse originariamente compreso nell'appartamento e ne
rende oggettivamente delimitabile l'estensione". Peraltro, è la stessa convenuta ha "tradirsi"
FIAIP News24, numero 17 – gennaio 2015
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quando afferma che il condominio era sempre stato a conoscenza della situazione
"autorizzandola fin dall'inizio attraverso l'amministratore". Si tratta evidentemente di
un'ammissione della natura comune del vano scala.
(Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 12 gennaio 2015)
 No alla mega-antenna sul lastrico solare condominiale
È illegittima l’installazione di un’antenna trasmittente che, per caratteristiche e dimensioni,
modifica le modalità di uso e di godimento del lastrico solare, pregiudicando il pari uso del
bene comune che spetta a tutti i condomini (Cassazione civile, sentenza n. 27167 del
22.12.2014)
Secondo la suprema Corte, il conduttore dell’immobile non può sostituire una vecchia antenna
con un’altra più grande che impedisce, di fatto, il pari uso del lastrico condominiale. E non è
sufficiente la tolleranza dimostrata in passato dal Condominio per far sorgere alcun diritto in
capo al conduttore: per l’installazione della nuova antenna è necessaria l’autorizzazione
dell’assemblea dei condomini, entro i limiti di cui all’art. 1102 c.c.
Un’emittente televisiva locale, conduttrice di un appartamento in condominio, procedeva alla
sostituzione di una vecchia antenna preesistente sul lastrico condominiale con un’antenna
trasmittente alta 18 metri (in funzione di ripetitore per il segnale TV), in assenza di
autorizzazione del Condominio. Quest’ultimo, allora, citava la conduttrice innanzi al Tribunale
di Lecce per la rimozione dell’antenna. Il Tribunale accoglieva la domanda e ordinava la
rimozione del ripetitore e il ripristino dei luoghi, ritenendo che la nuova struttura, pur non
costituendo un’innovazione vietata ex art. 1120 c.c., non era tuttavia conforme all’art. 1102
c.c. in quanto pregiudicava il pari uso del bene condominiale.
Confermata la sentenza in appello, l’emittente televisiva proponeva ricorso in cassazione,
criticando la decisione di merito sotto 3 diversi aspetti. Anzitutto, la società affermava di
essere titolare di un vero e proprio diritto personale di godimento del lastrico solare in
conseguenza del consenso tacito del Condominio al posizionamento del traliccio. Inoltre, non si
tratterebbe di una nuova installazione, ma di sostituzione della vecchia antenna, peraltro
precedente al contratto di locazione. L’antenna, infine, non comprometterebbe il pari uso del
lastrico solare, poiché il ripetitore è stato costruito nella stessa posizione della vecchia
antenna, senza modificare la situazione preesistente.
I giudici di legittimità hanno respinto tutti i motivi di ricorso, confermando la sentenza di
merito.
In ordine al primo punto, l’atteggiamento di mera tolleranza in passato tenuto dal condominio
non è idoneo a far sorgere in capo al singolo alcun diritto a perpetuare, in presenza del chiaro
dissenso dei condomini, una situazione che si pone in violazione con l’art. 1102 c.c.
Quanto alla preesistenza al contratto di locazione di una vecchia antenna, secondo la Corte la
circostanza è priva di significato. Nel caso di specie, infatti, l’originaria antenna è stata
sostituita con un’altra più alta che, per le dimensioni e le caratteristiche, necessità di molteplici
cavi tiranti di bloccaggio ed attrae una parte considerevole della cosa comune nella
disponibilità esclusiva della stessa società, così impedendo agli altri condomini di farne
parimenti uso.
Secondo la Cassazione, in altri termini, l’installazione dell’antenna trasmittente, in
considerazione della sua consistenza e delle sue dimensioni in rapporto alla superficie del
lastrico solare, si risolve in una sottrazione alla possibilità di uso comune di una parte
considerevole della superficie del lastrico solare e, quindi, in una compromissione apprezzabile
dell’uso paritario del bene.
Pertanto - e veniamo al terzo motivo di ricorso - stante l’accertata situazione di fatto,
correttamente il giudice del merito ha ritenuto l’installazione non consentita ai sensi dell’art.
1102 c.c., in quanto l’antenna costituisce una modifica delle modalità d’uso e di godimento
della cosa comune, che interferisce sul pari uso della stessa spettante a tutti i condomini.
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(Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 8 gennaio 2015)
 Edilizia e Urbanistica
 Le distanze legali vanno sempre rispettate anche se vi è la concessione edilizia
La presenza di una concessione edilizia (rilasciata, come noto, “salvo diritti di terzi”) non può
mai “scriminare”, sotto il profilo civilistico, la condotta di chi costruisce senza rispettare le
distanze legali.
Con la recente sentenza n° 25637 del 4 dicembre 2014, la Corte di Cassazione ha confermato
la condanna al risarcimento dei danni per gli autori di un muro di contenimento, costruito sulla
proprietà del condominio in violazione delle distanze legale con il fondo del vicino.
Confermato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la concessione edilizia (oggi
permesso a costruire) opera solo nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e
privato, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice
civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dei
piani regolatori generali richiamanti dall’art. 873 c.c.
I fatti posti all’attenzione della Suprema Corte riguardano i comproprietari di una palazzina a
due piani, che avevano citato in giudizio il vicino Condominio e 4 condomini, ai quali
addebitavano la costruzione, su terreno attiguo alla loro proprietà, di varie opere a distanza
inferiore a quella prevista dalle norme comunali. Gli attori chiedevano la condanna delle
controparti ad arretrare le opere realizzate e, comunque, il ripristino dello stato dei luoghi,
oltre al risarcimento del danno. Il Tribunale di Brescia accoglieva la domanda con sentenza poi
parzialmente riformata dalla Corte d’Appello, condannando i condomini ad arretrare il muro ed
a risarcire i vicini di 21.000 euro. Anche il Condominio era ritenuto responsabile in quanto
proprietario del terreno.
I Condominio proponevano ricorso in Cassazione, contestando la sentenza di condanna sotto
diversi profili. Affermavano, tra l’altro, che il manufatto in questione aveva caratteristiche tali
da escludere l’obbligo di rispettare le distanze legali e che, in ogni caso, la costruzione era
“giustificata” dal rilascio della concessione edilizia che, a loro dire, consentiva la realizzazione
del muro anche a distanze inferiori a quelle legali.
La seconda sezione civile della Cassazione ha però respinto tutti i motivi di ricorso.
Innanzitutto, gli Ermellini hanno confermato la responsabilità dei condomini ritenendo che,
nella fattispecie concreta presa in esame, il manufatto era costituito da un muro avente
funzione di contenimento di un creato dislivello di origine artificiale. Trattasi, quindi, di
manufatto equiparabile ad un muro di fabbrica, del tutto assoggettato al rispetto delle distanze
legali.
Quanto alla presenza della concessione edilizia (oggi permesso di costruire), essa opera
esclusivamente sul piano pubblicistico. Ne consegue che il rilascio della concessione edilizia
non può “giustificare” l’eventuale violazione delle distanza legali, che attengono alla sfera dei
rapporti tra privati.
Si tratta, come detto, di un orientamento consolidato in giurisprudenza (cfr. da ultimo Cass.
civ. 19.9.2013, n. 21394). In tema di distanza nelle costruzioni, la rilevanza giuridica delle
licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica
amministrazione e privato, senza estendersi ai rapporti tra privati, dal momento che i conflitti
tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al
FIAIP News24, numero 17 – gennaio 2015
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diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le
distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la
concessione edilizia, perché queste riguardano solo l’aspetto formale dell’attività costruttiva.
(Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 9 dicembre 2014)
 Il Comune non può imporre il colore degli edifici
Il Comune, in forza del regolamento edilizio, non può ordinare al proprietario dell’edificio di
ridipingere il fabbricato o di svolgervi lavori di manutenzione. La possibilità di imporre i lavori è
subordinata dal riscontro di una norma di legge.
Il fatto. Una società proprietaria di un immobile impugna dinanzi al Tar Liguria-Genova una
ordinanza comunale avente ad oggetto l’ingiunzione di esecuzione delle opere di manutenzione
e di colorazione dell’edificio.
Secondo la ricorrente, si è verificata la violazione delle regole sul procedimento
amministrativo, ovvero l’errata applicazione dell’articolo 54 del Regolamento edilizio laddove
tutela il decoro urbano ed edilizio e non anche l’estetica di un singolo edificio dato che, la
ricorrente ricorda che lo stesso stabile è oggetto di un intervento di recupero in virtù di uno
strumento attuativo ad iniziativa privata approvato dallo stesso Comune.
La decisione del Tar Liguria. I giudici liguri, dichiarando fondato il ricorso, hanno osservato, con
sentenza 801, sezione Prima, del 28-05-2014: “che l’ingiunzione di eseguire lavori di
manutenzione e colorazione prescrive, in realtà, una prestazione patrimoniale che, ai sensi
dell’art. 23 Cost., è subordinata al principio di legalità e questo vuol dire che è necessario che
la stessa sia espressamente prevista da legge ordinaria, eventualmente integrata da una fonte
secondaria, che deve espressamente prevedere tale misura patrimoniale”.
Per tali motivi il Tar annulla l’ordinanza comunale impugnata chiarendo che il tema del decoro
urbano e quello dei criteri da seguire per la colorazione degli edifici è una materia che rientra
nell’ambito delle competenze delle leggi regionali che devono stabilire i criteri da seguire.
Le norme regionali, inoltre, devono tener conto del principio di legalità sancito dall’art. 23 della
Costituzione. Tali norme devono armoniosamente essere seguite dall’esercizio di una adeguata
potestà regolamentare da parte dei Comuni. Per tali motivi è necessario che la norma primaria
preveda e consenta la prestazione patrimoniale, purché si integrata da una norma secondaria:
se manca la prima, l'ingiunzione può considerarsi illegittima.
(Ivan Meo, Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 9 dicembre 2014)
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Legge e prassi

(G.U. 12 gennaio 2015, n. 8)
 Economia, Fisco
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 15 ottobre 2014
Intervento del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo
nell'ambito di specifiche tematiche rilevanti per l'«industria sostenibile».
(G.U. 5 dicembre 2014, n. 283)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 28 novembre 2014
Esenzione dall'IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h),
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
(G.U. 6 dicembre 2014, n. 284, S.O. n. 93)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 31 ottobre 2014
Attuazione dell'art. 1, commi 522 - 525, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, concernente la
riduzione delle risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario, per l'anno 2014.
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
LEGGE 10 dicembre 2014, n. 183
Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e
delle politiche attive, nonche' in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e
dell'attivita' ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
(G.U. 15 dicembre 2014, n. 290)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 4 dicembre 2014
Aggiornamento del tasso da applicare per le operazioni di attualizzazione e rivalutazione ai fini
della concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle imprese.
(G.U. 15 dicembre 2014, n. 290)
DECRETO-LEGGE 16 dicembre 2014, n. 185
Disposizioni urgenti in materia di proroga dei termini di pagamento IMU per i terreni agricoli
montani e di interventi di regolazione contabile di fine esercizio finanziario.
(G.U. 16 dicembre 2014, n. 291)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 12 dicembre 2014
Ripresa degli adempimenti e dei versamenti degli obblighi tributari sospesi a seguito degli
eventi meteorologici di settembre ed ottobre 2014, verificatisi nelle Regioni: Liguria, Piemonte,
Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia e nei territori della provincia di Foggia.
(G.U. 17 dicembre 2014, n. 292)
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16
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
Comunicato relativo alla circolare concernente: «Criteri e modalita' di concessione delle
agevolazioni ai sensi del decreto 24 settembre 2014 concernente il regime di aiuto finalizzato a
sostenere la nascita e lo sviluppo, su tutto il territorio nazionale, di start-up innovative».
(G.U. 18 dicembre 2014, n. 293)
AGENZIA DELLE ENTRATE
COMUNICATO
Tabelle nazionali dei costi chilometrici di esercizio di autovetture e motocicli elaborate dall'ACI
- Art. 3, comma 1, del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314
(G.U. 19 dicembre 2014, n. 294, S.O. n. 95)
AGENZIA DELLE ENTRATE
COMUNICATO
Tabelle nazionali dei costi chilometrici di esercizio di autovetture e motocicli elaborate dall'ACI
- Art. 3, comma 1, del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314
(G.U. 20 dicembre 2014, n. 295, S.O. n. 95)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 1 agosto 2014
Assegnazione di risorse del Fondo integrativo speciale per la ricerca per il finanziamento del
progetto di competenza del Miur: Citta' della Scienza 2.0: nuovi prodotti e servizi
dell'economia della conoscenza (Decreto Legislativo n. 204/1998, articolo 2). (Delibera n.
35/2014).
(G.U. 23 dicembre 2014, n. 297)
ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA
COMUNICATO
Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, relativi al mese di novembre
2014, che si pubblicano ai sensi dell'art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle
locazioni di immobili urbani), ed ai sensi dell'art. 54 della legge del 27 dicembre 1997, n. 449
(Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).
(G.U. 23 dicembre 2014, n. 297)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 22 dicembre 2014
Adeguamento delle modalita' di calcolo dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni in
materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni.
(G.U. 29 dicembre 2014, n. 300)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 23 dicembre 2014
Direttive per l'attuazione delle operazioni finanziarie, ai sensi dell'articolo 3 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398, Testo unico delle disposizioni in materia
di debito pubblico.
(G.U. 1 gennaio 2015, n. 1)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
COMUNICATO
Comunicato relativo alla circolare concernente: «Informazioni utili all'attuazione degli interventi
di cui al decreto interministeriale 27 novembre 2013, recante la disciplina dei finanziamenti per
l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte di piccole e medie imprese.
Adeguamento ai regolamenti di esenzione (UE) n. 651/2014 e n. 702/2014».
(G.U. 7 gennaio 2015, n. 4)
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 Energia
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 20 ottobre 2014
Cofinanziamento nazionale pubblico a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n.
183/1987 delle attività dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo
economico sostenibile (ENEA) per il programma Euratom, anno 2013.
(G.U. 26 novembre 2014, n. 275)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 16 dicembre 2014
Modifiche alle disposizioni contenute nel decreto 17 ottobre 2008 in materia di accisa
sull'energia elettrica.
(G.U. 30 dicembre 2014, n. 301)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 24 dicembre 2014
Approvazione delle tariffe per la copertura dei costi sostenuti dal Gestore servizi energetici GSE
S.p.A. per le attivita' di gestione, verifica e controllo, inerenti i meccanismi di incentivazione e
di sostegno delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica, ai sensi dell'articolo 25 del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto
2014, n. 116.
(G.U. 31 dicembre 2014, n. 302)
 Immobili
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Rettifica del decreto n. 30337 del 27 novembre 2014 relativo alla rettifica dell'allegato A del
decreto n. 25933 del 19 luglio 2002 e del decreto n. 28212 del 26 novembre 2013, recante:
«Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.».
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Rettifica del decreto n. 30331 del 27 novembre 2014 recante: «Individuazione di beni immobili
di proprieta' dello Stato.».
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 4 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.
(G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 11 dicembre 2014
Modifica del saggio di interesse legale.
(G.U. 15 dicembre 2014, n. 290)
AGENZIA DEL DEMANIO
FIAIP News24, numero 17 – gennaio 2015
18
DECRETO 15 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (Decreto n. 31628).
(G.U. 20 dicembre 2014, n. 295)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 15 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (Decreto n. 31628).
(G.U. 20 dicembre 2014, n. 295)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 16 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dell'Associazione della Croce Rossa. (Decreto n.
31851).
(G.U. 20 dicembre 2014, n. 295)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 16 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dell'Istituto nazionale di previdenza sociale.
(Decreto n. 31844).
(G.U. 20 dicembre 2014, n. 295)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERA 1 agosto 2014
Sisma Regione Abruzzo: assegnazione di risorse per la ricostruzione di immobili privati e per
spese obbligatorie di assistenza alla popolazione (decreto-legge n. 43/2013 e legge di stabilita'
n. 147/2013). (Delibera n. 23/2014).
(G.U. 22 dicembre 2014, n. 296)
AGENZIA DEL DEMANIO
DECRETO 18 dicembre 2014
Individuazione di beni immobili di proprieta' dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro.
(G.U. 23 dicembre 2014, n. 297)
ERRATA-CORRIGE
Comunicato relativo al decreto 15 dicembre 2014 dell'Agenzia del demanio concernente la
individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (Decreto n. 31628). (Decreto
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 294 del 19 dicembre 2014).
(G.U. 24 dicembre 2014, n. 298)
AGENZIA DELLE ENTRATE
COMUNICATO
Elenco dei comuni per i quali e' stata completata l'operazione di aggiornamento della banca
dati catastale eseguita sulla base del contenuto delle dichiarazioni presentate nell'anno 2014
agli organismi pagatori, riconosciuti ai fini dell'erogazione dei contributi agricoli.
(G.U. 27 dicembre 2014, n. 299, S.O. n. 98)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 29 dicembre 2014
Approvazione della territorialita' del livello delle locazioni immobiliari.
(G.U. 30 dicembre 2014, n. 301, S.S. n. 14)
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Giurisprudenza
 Condominio

Tribunale di Cagliari - Sentenza 17 luglio 2014 n. 2209
Va rimossa l'antenna che limita l'uso comune del lastrico condominiale
La sostituzione dell'antenna posta sul lastrico solare con una che per «consistenza» e
«dimensioni» riduca la possibilità di «uso comune» del terrazzo condominiale è illegittima ed
espone il proprietario al risarcimento del danno. Mentre la «tolleranza» per un certo periodo
della nuova opera non fa sorgere alcun diritto in capo a chi l'ha installata. Lo ha stabilito la
Corte di cassazione, sentenza 27167/2014, bocciando il ricorso di una televisione privata
pugliese colpevole di aver violato l'articolo 1102 del codice civile.
La vicenda – In primo grado il tribunale di Lecce aveva condannato la stazione televisiva alla
rimozione dell'antenna ed alla riduzione in pristino dei luoghi. Secondo il giudice l'antenna
trasmittente «pur non costituendo un'innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma,
codice civile, non era conforme al disposto dell'articolo 1102, secondo comma, c.c., poiché, in
considerazione della sua consistenza e delle sue dimensioni in rapporto alla superficie del
lastrico, attraeva parte della cosa comune nella sfera di disponibilità della convenuta,
impedendo agli altri condomini di farne parimenti uso». Decisione poi confermata in appello.
L'antenna, infatti, si sviluppava su un traliccio metallico di circa 18 metri installato su un
basamento in cemento ed era vincolata al lastrico solare mediante sette tiranti imperniati nella
pavimentazione che ne attraversavano l'intera superficie.
La motivazione – Dunque, secondo la Suprema corte, come correttamente rilevato dal giudice
di merito, l'installazione si risolveva «in una sottrazione alla possibilità di uso comune di una
parte considerevole della superficie del lastrico solare, e quindi in una compromissione
apprezzabile dell'uso paritetico del bene». Per cui essa «non è consentita ai sensi dell'articolo
1102 codice civile, in quanto costituente, in concreto, una modificazione delle modalità di uso e
di godimento della cosa comune, che interferisce sul pari uso della stessa spettante agli altri
condomini».
Mentre «l'atteggiamento di mera tolleranza in passato tenuto dal condominio non è idoneo a
far sorgere in capo all'appellante alcun diritto a perpetuare, in presenza del chiaro dissenso dai
condomini, una situazione che si pone in violazione dell'art. 1102 codice civile».
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole24 ORE – Guida al Diritto, 22 dicembre 2014)

Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 22 dicembre 2014 n. 27167
Condominio, per la manutenzione straordinaria l'acquirente può rivalersi
sull'alienante
In materia di spese condominiali il precedente proprietario è tenuto a sostenere i costi delle
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opere di manutenzione straordinaria, o di eventuali innovazioni realizzate nell'interesse del
condominio, in virtù di una delibera approvata prima del trasferimento, solo nei rapporti interni
con l'acquirente ma non direttamente nei confronti del condominio. Lo ha stabilito il Tribunale
di Cagliari, sentenza 17 luglio 2014 n. 2209, respingendo l'opposizione al decreto con cui era
stato ingiunto al nuovo acquirente il pagamento di 11.400 euro per la realizzazione di un
impianto di depurazione completo di allacci al sistema fognario ed a quello idrico.
L'opponente aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che dovesse
considerarsi legittimata al pagamento la ditta lottizzante o, in alternativa, la precedente
proprietaria dell'immobile, che l'aveva venduto ai suoi danti causa nel 1978.
La motivazione - Secondo il tribunale però la parte venditrice «non avrebbe potuto essere
destinataria del decreto ingiuntivo del condominio, in quanto non era più proprietaria dell'unità
immobiliare». Piuttosto, l'opponente avrebbe avuto diritto rivalersi nei confronti della prima
venditrice, però solo dopo «aver eseguito il pagamento in favore della Comunione», oppure
«avrebbe potuto effettuare una chiamata in causa della precedente proprietaria proponendo
nei suoi confronti una domanda riconvenzionale con l'atto di opposizione al decreto
ingiuntivo».
«Insegna invero la giurisprudenza – prosegue la sentenza - che l'obbligazione volta al
pagamento di contributi condominiali ha natura di obbligazione propter rem, e che in tema di
condominio di edifici, in caso di alienazione di un piano o di porzione di piano, dal momento in
cui il trasferimento venga reso noto al condominio, lo stato di condomino appartiene
all'acquirente ... Ne consegue che, se il condomino alienante non è legittimato a partecipare
alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere
chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi».
Il precedente - Non solo, ricorda il tribunale che la Suprema Corte ha affermato che «in caso
di vendita di un'unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di
straordinaria manutenzione o di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza di accordo tra le
parti, nei rapporti interni tra alienante e acquirente è tenuto a sopportarne i relativi costi chi
era proprietario al momento della delibera dell'assemblea, sicché ove tali spese siano state
deliberate antecedentemente alla stipulazione dell'atto di trasferimento dell'unità immobiliare,
ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte,
eseguite successivamente, e l'acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante
causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva di cui
all'art. 63 disp. att. c.c.» (n. 24654/2010).
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole24 ORE – Guida al Diritto, 30 dicembre 2014)
 Immobili
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Ctp di Caltanissetta - Sentenza n. 1039/03/14 del 16 dicembre 2014
Affitti, paga solo il comproprietario nel contratto
Se il comproprietario affitta un immobile e non indica nel contratto di locazione il nome
dell’altro comproprietario (e ciò è ammissibile alla stregua delle regole del diritto civile),
l’amministrazione finanziaria è legittimata ad imputare interamente al primo l’intero reddito
che ne consegue. Questo è il principio è stato affermato dalla Ctp di Caltanissetta nella
sentenza 1039/03/14 depositata in data 16 dicembre 2014.
La controversia scaturisce dalla ripresa a tassazione, ai fini Irpef, di maggiori redditi derivanti
dalla percezione di canoni di locazione per contratti registrati. Nel caso esaminato un
contribuente ha concesso in locazione degli immobili senza la sottoscrizione del relativo
contratto anche da parte del proprio coniuge (anch’esso comproprietario dei beni). A fronte di
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ciò, l’agenzia delle Entrate ha imputato esclusivamente al contribuente locatore il maggior
reddito: secondo l’ufficio soltanto lui doveva ritenersi l’effettivo percettore dei relativi canoni. Il
contribuente ha resistito in giudizio, rilevando l’illegittimità dell’accertamento e affermando di
potere legittimamente godere delle deduzioni previste per il coniuge a carico sia per il figlio
(quest’ultimo al 50 per cento).
Nell’analizzare la questione, i giudici di primo grado hanno preliminarmente ricordato che,
secondo il pacifico orientamento espresso dalla Corte di cassazione (sentenza 15433/11), il
rapporto che deriva dal contratto di locazione e che si instaura tra il locatore e il conduttore ha
una natura personale, tale per cui chiunque abbia la disponibilità di fatto di un bene può
validamente decidere di concederlo o meno in locazione.
Nel caso in esame, quindi, secondo la Ctp di Caltanissetta, non vi era alcun dubbio sul fatto
che il contratto di locazione che era stato stipulato dal contribuente (comproprietario
dell’immobile) era pienamente valido ed efficace (pur in mancanza della contestuale
sottoscrizione da parte del coniuge - comproprietario) e che, ai fini fiscali, altrettanto corretta
doveva essere considerata l’imputazione del relativo reddito prodotto esclusivamente in capo al
solo coniuge locatore (ovvero colui che era stato l’effettivo percettore dei canoni).
A fronte dell’accoglimento della pretesa, la Ctp ha riconosciuto (seppur parzialmente) le ragioni
del contribuente, evidenziando che nell’avviso di accertamento che era stato notificato si era
verificata un’errata duplicazione di ripresa a tassazione da parte dell’ufficio: secondo i giudici,
infatti, entrambi i contratti di locazione che erano stati esaminati (ciascuno dei quali era stato
registrato autonomamente, rispettivamente, in data 30 gennaio 2003 e 2 maggio 2005)
avevano assunto a riferimento il medesimo immobile. In assenza di idonea documentazione
prodotta in giudizio, veniva altresì respinta la richiesta, avanzata dal contribuente, di
riconoscimento del diritto alla fruizione della deduzione per carichi di famiglia.
Nell’accogliere parzialmente le rimostranze del contribuente, la Ctp ha infine demandato
all’ufficio l’onere di procedere al ricalcolo delle imposte, accessori e sanzioni dovute,
disponendo la compensazione delle spese giudiziali.
(Marco Nessi, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 gennaio 2015)
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Condominio


Le "mappe" del condominio; l'utilizzo delle murature
Luigi Salciarini, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 31 dicembre 2014, n.
966
art. 1117 cod. civ.;
art. 1102 cod. civ.;
art. 1139 cod. civ.
La proprietà
Nel caso delle murature, le regole del diritto condominiale comprendono una miriade di
specificazioni. Tale aspetto è determinato sia dalle molte e diverse modalità in cui può
manifestarsi la relativa utilizzazione, sia dalla circostanza che nell’edificio sono presenti
diffusamente tali manufatti, peraltro spesso eterogenei. In ogni caso, l’art. 1117 cod. civ.
anche per tale “bene” pone la presunzione di condominialità, che, come già visto, può essere
“vinta” sia da un titolo contrario, sia dalla concreta “destinazione” della “cosa” che fornisca
un’utilità non a tutti i condomini, ma ad alcuni di essi. Si afferma che «la destinazione
particolare del bene prevale sull’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario»
(Cass., sent. n. 12572/2014).
Le tipologie
L’uso delle fondazioni
L’utilizzo dei muri maestri
Nel concreto, la spiccata
varietà delle murature si
esplica nei seguenti
tipi: 1. fondazioni e/o
muri portanti (che hanno
la funzione di sorreggere
l’edificio, qualità che va
accertata dal punto di
vista
“tecnico”); 2. pannelli
perimetrali (che
corrispondono alle
“facciate” del fabbricato e
per i quali non vale alcuna
La giurisprudenza è
praticamente assente sul
punto e sono quindi da
ribadirsi i principi applicabili
per l’uso dei beni comuni,
precisando che è possibile, in
via astratta, affermare la
legittimità di un uso più
intenso delle fondazioni
dell’edificio da parte del
singolo, a condizione che le
relative modalità non
compromettano o limitino la
loro tipica funzione portante e
Come anticipato, le tipologie di
murature sono molteplici, aspetto
che si riscontra anche all’interno
dell’insieme dei muri maestri. Per di
più tali murature possono subire
delle variazioni di consistenza,
durante la vita dell’edificio. In
particolare, infatti, si intende
rientrante nella categoria
qualunque manufatto abbia
funzione portante, a prescindere
dalla sua posizione e, quindi, per
tutta la sua estensione e anche se
collocato in posizione avanzata o
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distinzione dipendente
dalla posizione o dal fatto
che la singola unità
immobiliare vi si affacci o
meno); 3. muri di
recinzione delle aree
comuni; 4. pannelli interni
con funzione di mera
separazione tra le
proprietà esclusive. Va
ricordato che la riforma
(legge 220/2012) ha
espressamente inserito le
“facciate” nell’art. 1117
cod. civ. presumendone la
condominialità.
quindi la stabilità dell’edificio
(uso che potrebbe consistere,
per esempio, nella
realizzazione di piccole nicchie
o anche nell’appoggio di altre
strutture, sempre se
compatibile con la statica
dell’edificio).
arretrata rispetto al perimetro
dell’edificio. Secondo tale
impostazione, sono stati pertanto
ritenuti comuni anche i pannelli del
piano attico ( ancorché non siano
allineati alle facciate) e quelli che
delimitano le chiostrine sulle quali si
affacciano solo alcune porzioni di
piano. Per di più sono comuni anche
quei muri non esistenti ab origine ,
ma realizzati in un momento
successivo rispetto alla costruzione
del fabbricato: come, per esempio,
nel caso della sopraelevazione. Va
precisato che ciascun proprietario di
piano, o di porzione di piano, può
utilizzare le murature, per le
proprie esigenze, anche nella parte
corrispondente al piano o
all’appartamento di altro
condomino.
I ritti e gli architravi
Le recinzioni e i varchi
Altro intervento della
riforma all’interno del
testo dell’art. 1117 cod.
civ. è stato quello di
inserire la denominazione
«i pilastri e le travi
portanti», estendendo a
tale tipologia la citata
presunzione di
condominialità. Il “bene”
corrisponde a quelli che
tecnicamente vengono
chiamati “ritti e architravi”
e che si riferiscono alla
struttura portante
dell’edificio. In buona
sostanza, anche a
prescindere
dall’integrazione
effettuata dalla legge
220/2012, tutte le
strutture che svolgono
tale funzione devono
intendersi comuni (e
quindi in comproprietà tra
tutti i condomini), con la
conseguenza che a tali
manufatti, nell’ottica delle
regole relative
all’utilizzazione, si applica
l’art. 1102 cod. civ., in
virtù del richiamo
contenuto nell’art. 1139
cod. civ.
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Altra tipologia di murature sono
quelle che delimitano le aree
comuni e ne costituiscono
recinzione. Dalla funzione di utilità
generale deriva la loro natura
condominiale e la possibilità che
tutti i condomini le utilizzino. Va
precisato tuttavia che una delle
modalità più frequenti di
utilizzazione delle recinzioni
(costituente nell’apertura di varchi)
non può essere attuata dal singolo,
se determina la comunicazione con
porzioni immobiliari non facenti
parti del medesimo condominio
(come le aperture verso aree
vicine, anche se appartenenti al
medesimo proprietario).
24
L’utilizzazione delle murature





Molte sono le tipologie di muri condominiali, che si presumono comuni ex art. 1117
cod. civ.,
oppure in ragione della loro “destinazione”;
la riforma ha inserito le facciate nell’art. 1117 cod. civ ,
nonché i pilastri e le travi portanti;
anche le murature di recinzione sono comuni, però non sempre è consentito praticare
varchi LE COORDINATE
Art. 1117 cod. civ. Parti comuni dell’edificio
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio,
anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1. tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le
fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni
di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2. le aree destinate a parcheggio, nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria,
incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le
caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
3. le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli
ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione
e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e il condizionamento
dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso
informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione
ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al
punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
Art. 1102 cod. civ. Uso della cosa comune
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e
non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può
apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri
partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Art. 1139 cod. civ. Rinvio alle norme sulla comunione
Per quanto non è espressamente previsto da questo capo, si osservano le norme sulla
comunione in generale.
N.B.: le ampie modificazioni apportare dalla “riforma” (legge 220 dell’11 dicembre 2012, in
vigore dal 18 giugno 2013) nonché le integrazioni introdotte dal successivo decreto “correttivo”
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(D.L. 145 del 23 dicembre 2013, convertito con legge 9 del 21 febbraio 2014, in vigore dal 22
febbraio 2014) alla disciplina codicistica applicabile complessivamente alla fattispecie
condominiale, comportano la conseguenza che tutta la giurisprudenza precedente, e i principi
affermati nelle pronunce di riferimento, devono essere fatti oggetto di una puntuale verifica al
fine di accertare se ne permane la validità.
I muri sono comuni per tutta la loro estensione
Cass., sent. 6 novembre 1971, n. 3133 Se dai titoli non risulta alcuna contraria pattuizione,
per la presunzione nascente dall’art. 1117 cod. civ. debbono ritenersi di proprietà comune dei
diversi piani o porzioni dell’edificio le fondazioni, i muri maestri e quindi anche i muri
perimetrali esterni. L’art. 1117 cod. civ. si riferisce a tutta l’estensione dei muri, cioè dalle
fondamenta alla copertura dell’edificio nella sua struttura unitaria, e poiché la norma non pone
alcuna distinzione, riguarda tanto gli edifici i cui piani siano stati costruiti tutti in origine quanto
quelli che hanno subito successivi ampliamenti e sopraelevazioni, a opera del proprietario
dell’ultimo piano o del lastrico solare.
La posizione (avanzata/arretrata) dei muri
Cass., sent. 11 giugno 1986, n. 3867 I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non
avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di
comunione di cui all’art. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza volumetrica
dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici,
delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso.
Pertanto nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione
avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell’immobile.
Cass., sent. 21 febbraio 1978, n. 839 I muri perimetrali dell’edificio in condominio i quali,
anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie
coperta, determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato,
proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica sono
da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei
piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o
arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in
corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici.
Realizzazione di aperture
Trib. Bologna, sent. 9 luglio 2012 ;In materia condominiale non si verifica alcuna lesione
del possesso dei condomini, per effetto dell’ampliamento dell’apertura del muro perimetrale
attraverso la quale si passa dalla corte comune alla proprietà privata del singolo condomino. In
tema di condominio, infatti, il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune
di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare allo stesso, anche se muro maestro,
tutte le modificazioni che gli consentano di trarre dal bene in comunione una peculiare utilità
aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e quindi anche a effettuarvi l’apertura
di un varco di accesso ai locali di sua esclusiva proprietà, a condizione però che non impedisca
agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro ovvero di utilizzarlo in modo
e misura analoga, senza alterarne la normale destinazione e sempre che dette modificazioni
non pregiudichino la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato condominiale.
Cass., sent. 6 febbraio 2009, n. 3035 In tema di condominio negli edifici, l’ apertura di un
varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino è consentita, quale uso più
intenso del bene comune, con eccezione del caso in cui tale varco metta in comunicazione
l’appartamento del condomino con altra unità immobiliare attigua, pur di proprietà del
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medesimo, ricompresa in un diverso edificio condominiale, poiché in questo caso il
collegamento tra unità abitative determina la creazione di una servitù a carico di fondazioni e
struttura del fabbricato; in quest’ultima ipotesi, peraltro, affinché il comportamento illecito del
condomino determini un danno risarcibile, occorre la prova di un concreto pregiudizio
economico, la cui verificazione, in assenza di un’effettiva dimostrazione, può ritenersi solo
possibile o probabile.
Trib. Bari, sent. 2 maggio 2007, n. 1069 Deve ritenersi lecita l’attività del singolo
condomino comproprietario del muro divisorio comune anche laddove non risulti essere
limitata alla mera realizzazione di opere finalizzate alla semplice conservazione/riparazione
della cosa comune, provvedendo di sua iniziativa alla sopraelevazione del muro originario e alla
realizzazione di una cancellata, attraverso un’apertura che consente l’accesso alla sua
proprietà esclusiva, risolvendosi in un maggiore godimento consentito ai sensi dell’art. 1102
cod . civ., senza che ciò integri un’innovazione da approvarsi con le prescritte maggioranze di
cui all’art. 1120 cod. civ.
Trib. Nola, sent. 19 aprile 2007 ;In applicazione del principio secondo il quale, in tema di
comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e
più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne
venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso e senza che tale uso più
intenso sconfini nell’esercizio di una vera e propria servitù deve ritenersi che l’apertura di una
porta su muri anche condominiali finalizzata a mettere in comunicazione l’unità immobiliare in
proprietà esclusiva di un condomino con un bene comune (nel caso, il vano scala) è
pienamente lecita, rientrando tale intervento pur sempre nell’ambito del concetto di uso
(seppure più intenso) del bene comune e non esigendo, per l’effetto, alcuna approvazione
dell’assemblea dei condomini.
Cass., sent. 19 aprile 2006, n. 9036 In tema di uso della cosa comune, è illegittima l’
apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale dal
comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva ubicato nel
medesimo fabbricato con altro immobile pure di sua proprietà estraneo al condominio; infatti,
tale utilizzazione, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del
godimento di un bene comune, ne altera la destinazione, giacché in tale modo viene imposto
un peso sul muro perimetrale che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il
consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio.
Cass., sent. 26 marzo 2002, n. 4314 Negli edifici in condominio i proprietari esclusivi delle
singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti a esse corrispondenti,
sempre che l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non
pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato. (Nel caso, la Corte , in
applicazione del suindicato principio, ha confermato la sentenza del giudice del merito, che
aveva giudicato legittima l’apertura di una porta eseguita da un condomino nel muro
condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che da essa non era derivata alcuna
sostanziale modifica dell’entità materiale del bene, né il mutamento di destinazione
dell’androne comune, di cui il ricorrente poteva continuare a fare uso secondo il suo diritto;
incontestata essendo ulteriormente rimasta l’insussistenza di alterazione del decreto
architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura).
Cass., sent. 5 gennaio 2000, n. 42 Le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa
del singolo condomino sono lecite nelle sole ipotesi in cui esse, oltre a non comprometterne la
stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico e a non alterare la destinazione del bene, non
siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia delle parti comuni
interessate alla modificazione, sia delle parti di loro proprietà. Più in particolare, il condomino,
nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà
esclusiva, può apportare a tale recinzione, pur essa condominiale, senza bisogno del consenso
degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene
comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e,
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quindi, procedere anche all’apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale alla sua
proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare a
utilizzare il cortile, come in precedenza.
Cass., sent. 11 agosto 1999, n. 8591 In tema di condominio di edifici, l’apertura di un varco
su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprietà esclusiva di un singolo
condomino con quello comune non dà luogo alla costituzione di una servitù (che richiederebbe
il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene già usato come passaggio
pedonale e carrabile, sempre che l’opera realizzata non pregiudichi l’eguale godimento della
cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in un’ipotesi di uso della cosa comune a
vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio.
Cass., sent. 18 febbraio 1998, n. 1708 Il principio della comproprietà dell’intero muro
perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare a esso (anche se
muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre dal bene in comunione una
peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e quindi a procedere
anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a
condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro
ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi e di non alterarne la normale
destinazione. Costituisce, per converso, uso abnorme del muro perimetrale l’apertura, da parte
di un condomino, di un varco che consenta la comunicazione tra il proprio appartamento e
altra unità immobiliare attigua, sempre di sua proprietà, ma ricompresa in un diverso edificio
condominiale, il collegamento tra tali unità abitative determinando inevitabilmente la creazione
di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato (a prescindere dalla
creazione di un’eventuale servitù di passaggio a carico di un ipotetico ingresso condominiale su
via pubblica).
Cass., sent. 20 febbraio 1997, n. 1554 A differenza dalle innovazioni configurate dalle
nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in
quanto rendono impossibile l’utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere
deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1, cod. civ.) nell’interesse di tutti i partecipanti le
modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 cod. civ., possono essere
apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse e a proprie spese, al fine di conseguire
un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso.
Pertanto è legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che, per
sua ordinaria funzione, è destinato all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo
condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà
esclusiva. All’eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall’assemblea può
attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese
degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune.
Trib. Milano, sent. 13 maggio 1996, n. 4456 È lecita l’apertura di una seconda porta di
accesso al proprio appartamento operata da un singolo condomino, a condizione che non
pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio.
Cass., sent. 21 maggio 1994, n. 4996 Il condomino può aprire nel muro comune
dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se queste opere, di per sé
non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
dell’edificio.
Cass., sent. 29 aprile 1994, n. 4155 L’apertura di varchi e l’installazione di porte o
cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguite da uno
dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva di
massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri
condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di fare parimenti uso del
muro stesso ai sensi dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. e rimanendo irrilevante la circostanza
che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare a un’interclusione
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dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire
una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario.
Cass., sent. 7 marzo 1992, n. 2773 Qualora l’ apertura del muro perimetrale comune di un
edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino per mettere in comunicazione un’unità
immobiliare di sua esclusiva proprietà con un’altra unità compresa in un diverso fabbricato,
l’uso del muro comune non può ritenersi consentito a norma dell’art. 1102 cod. c iv., in quanto
non si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra un’anormale e diversa
utilizzazione diretta a sopperire ai bisogni di un bene al quale non è legato da alcun rapporto,
venendo inoltre il muro e quindi le parti comuni del fabbricato, quali le fondazioni e il suolo di
cui esso fa parte, a essere gravate da una vera e propria servitù a favore di un bene estraneo
al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di diritti reali immobiliari, è
richiesta, a pena di nullità, la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i partecipi.
Cass., sent. 25 ottobre 1988, n. 5780 In tema di utilizzazione del muro perimetrale
dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa
comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 cod. civ., le aperture praticate
dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà,
esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali
aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e
possono dare luogo all’acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà
condominiale.
Cass., sent. 4 febbraio 1988, n. 1112 L’apertura di una porta o di una finestra da parte di
un condomino o la trasformazione di una finestra che prospetta il cortile comune in una porta
di accesso al medesimo mediante l’abbattimento del corrispondente tratto di muro perimetrale
che delimita la proprietà del singolo appartamento non costituisce di per sé abuso della cosa
comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a
tutti i condomini.
Trib. Piacenza, sent. 3 luglio 1987, n. 314 Non è consentito a un condomino, senza il
consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale un’apertura in modo tale da
mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra loro.
Cass., sent. 27 marzo 1987, n. 2973 Il comproprietario o compossessore non può servirsi di
un’area comune per accedere, attraverso un’apertura appositamente creata in un muro
divisorio comune, a un immobile di sua esclusiva proprietà o di suo esclusivo possesso, diverso
dal fondo al cui servizio l’area venne originariamente creata, perché ciò si risolverebbe nella
costituzione di una vera e propria servitù di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del
compossesso altrui.
Cass., sent. 11 giugno 1986, n. 3867 Costituisce uso indebito della cosa comune, non
consentito quindi dalla norma dell’art. 1102 cod. civ., l’apertura praticata da un condomino nel
muro comune per mettere in collegamento un vano dell’edificio condominiale con altro suo
immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servitù a carico
del condominio, per la cui costituzione è richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla
comunione risultante da atto scritto, a pena di nullità.
Cass., sent. 16 novembre 1985, n. 5628 I muri che delimitano il complesso condominiale,
costituendone quindi il perimetro, non tollerano abbiano essi natura di muri portanti o
meramente divisori aperture, da parte di un condomino, ove, realizzando un passaggio con un
immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dare
luogo, attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servitù a carico dell’entità condominiale
che circoscrivono.
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Cass., sent. 4 marzo 1983, n. 1637 Il condomino di un edificio, essendo comproprietario
dell’intero muro perimetrale comune e non della sola parte di esso corrispondente alla sua
esclusiva proprietà, può apportare a tale muro, senza bisogno del consenso degli altri
partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e quindi procedere
anche all’apertura nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di proprietà
esclusiva, purché non impedisca agli altri condomini di continuare nell’esercizio dell’uso del
muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non alteri la normale destinazione del muro
medesimo.
Cass., sent. 13 gennaio 1983, n. 255 In presenza di aperture nel muro comune di un
edificio in condominio eseguite da un condomino in corrispondenza della propria proprietà
individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture subisca lesione nei propri diritti
può chiederne la modificazione o l’eliminazione nei confronti del singolo condomino che
l’apertura ha eseguito, ma non può, neppure citando in giudizio l’intero condominio, invocare a
fondamento del proprio diritto la violazione del decoro architettonico dell’edificio condominiale
a cui è estraneo, in quanto il decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla
facoltà, individuale e collettiva, di apportare modificazioni all’edificio condominiale per il
miglioramento, l’uso più comodo o il maggiore rendimento delle sue parti, di proprietà comune
o di proprietà singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio e non è
opponibile dai terzi.
Cass., sent. 15 dicembre 1982, n. 6929 L’apertura di nuove finestre o la trasformazione di
quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali (nella specie, un pozzo di luce
destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano), in corrispondenza della
proprietà del singolo, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per
cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900, 907
cod. civ.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il
migliore godimento della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di
non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri
condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.).
Cass., sent. 12 giugno 1981, n. 3819 Salva l’opposizione, per motivi di sicurezza o di
estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condomino è consentito aprire nel muro
comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro
comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino
dalla proprietà individuale di altro condomino, ricorrono anche gli estremi per l’applicabilità
dell’art. 903, comma 2, cod. civ., con la conseguenza che, in tale caso, l’apertura della luce
resta subordinata sia alle condizioni e alle limitazioni previste dalle norme in materia di
condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle
regole stabilite circa l’uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini), sia, alla stregua
del comma 2 del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condomino vicino, in considerazione
dell’interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale.
Cass., sent. 13 ottobre 1978, n. 4592 La realizzazione di un’apertura nel muro perimetrale
dell’edificio condominiale, che metta in comunicazione, senza pregiudizio per la stabilità e il
decoro architettonico dell’edificio , l’appartamento di proprietà esclusiva con il giardino
“annesso”, attuando un collegamento tra entità principale ed entità accessoria costituenti
un’unica entità condominiale, si configura come atto di godimento rivolto a una maggiore e più
intensa utilizzazione della cosa comune.
Cass., sent. 22 aprile 1975, n. 1560 Il condomino di un edificio non può, eseguendo una
costruzione in aderenza al muro perimetrale comune, chiudere un’apertura destinata a dare
luce a un vano di proprietà di altro condomino, giacché l’art. 1102 cod. civ . gli vieta di attrarre
nella sua sfera esclusiva un elemento comune dell’edificio, con correlativo impedimento per un
altro condomino di continuare a farne uso in conformità alla sua destinazione.
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Utilizzazione (vietata) a favore di un altro edificio
Cass., sent. 14 giugno 2013, n. 15024 I muri perimetrali di un edificio in condominio sono
destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso, sicché non possono essere usati, senza il
consenso di tutti i comproprietari, per l’utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei
condomini e costituente un’unità distinta rispetto all’edificio comune, in quanto ciò
costituirebbe una servitù a carico di detto edificio. Pertanto costituisce uso indebito di cosa
comune l’appoggio praticato da un condomino sul muro perimetrale dell’edificio condominiale
per realizzare locali di proprietà esclusiva, mettendoli in collegamento con altro suo immobile,
in quanto siffatta opera viene ad alterare la destinazione del muro perimetrale e a imporvi il
peso di una vera e propria servitù.
Cass., sent. 6 febbraio 2009, n. 3035 In materia condominiale, è illegittima, in quanto
costituisce uso abnorme del bene comune, l’apertura di un varco praticata nel muro
perimetrale dell’edificio condominiale da parte di un singolo condomino per mettere in
comunicazione un appartamento di sua proprietà esclusiva con altra unità immobiliare attigua,
anche se di proprietà del medesimo condomino, ma appartenente a diverso edificio
condominiale; tale collegamento tra unità immobiliari comporta difatti la creazione di una
servitù a carico del condominio.
Cass., sent. 21 aprile 2008, n. 10324 I muri perimetrali di un edificio condominiale sono
destinati al servizio esclusivo della costruzione di cui costituiscono parte organica per funzione
e destinazione, sicché ogni singolo condomino ha la più ampia possibilità di utilizzarli solo per il
migliore godimento della parte del fabbricato di sua proprietà, a patto che non ne alteri la
destinazione e non ne impedisca il pari uso da parte degli altri proprietari; nessuno può
utilizzarli a servizio di un altro immobile di sua proprietà che non è compreso nell’edificio
condominiale: ciò equivale, infatti, a imporre sulla cosa comune una servitù, per la cui
costituzione è necessario il consenso di tutti i comproprietari. Pertanto integra gli estremi di
uso indebito della cosa comune l’apertura praticata dal condomino nel muro perimetrale
dell’edificio condominiale per mettere in collegamento un’ unità immobiliare di sua esclusiva
proprietà, esistente nell’edificio condominiale, con altro immobile, sempre di sua proprietà,
ricompreso in un diverso stabile condominiale.
Trib. Reggio Calabria, sent. 10 novembre 2006 ;I muri perimetrali di un edificio in
condominio sono destinati esclusivamente al servizio dell’edificio medesimo di cui sono parte
organica e non possono essere utilizzati a servizio di altro immobile distinto dal primo,
configurandosi altrimenti una servitù a favore di un bene estraneo al condominio per la cui
costituzione occorre il consenso di tutti i condomini.
Il danno da “illecita” apertura
Cass., sent. 6 febbraio 2009, n. 3035 Ai fini della determinazione quantitativa del danno
derivante dal comportamento illecito del condomino che abbia aperto un varco nel muro
perimetrale (danno da lesione del corrispondente diritto reale sul bene comune) e della sua
liquidazione per equivalente pecuniario , è necessaria la prova della verificazione in concreto di
un pregiudizio economico.
Apertura e reato di danneggiamento
Cass., sent. 27 ottobre 2009, n. 41284 Integra il reato di danneggiamento la condotta che
deteriori la cosa che ne è oggetto sì da rendere necessaria una non agevole attività di
ripristino. (Nella fattispecie, relativa all’apertura di un varco in un muro condominiale, la Corte
ha tuttavia escluso la sussistenza del delitto, posto che il condomino, con l’apertura della
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porta, non aveva abusato del suo diritto , garantito dall’art. 1102 cod. civ., né aveva reso la
parete condominiale inutilizzabile da parte del resto dei condomini).
Utilizzazione del muro nel caso di sopraelevazione
Trib. Messina, sent. 29 dicembre 2007 Il proprietario dell’ultimo piano, nell’esercitare il
diritto di sopraelevazione, a lui riconosciuto dall’art. 1127 cod. civ., può apportare alla cosa
comune tutte le modificazioni necessarie con le indispensabili demolizioni e ricostruzioni e
pertanto può utilizzare i muri perimetrali comuni per appoggiarvi la nuova costruzione, aprirvi
varchi di accesso o utilizzare quelli esistenti, prolungare la scala comune fino al nuovo
appartamento, pur dovendo costruirla secondo le caratteristiche delle rampe preesistenti.
Muri dell’edificio: esclusione del condominio parziale
Cass., sent. 3 gennaio 2013, n. 64 In tema di condominio negli edifici, le parti dell’edificio
muri e tetti (art. 1117, n. 1, cod. civ.), ovvero le opere e i manufatti fognature, canali di
scarico e simili (art. 1117, n. 3, cod. civ.) deputati a preservare l’edificio condominiale da
agenti atmosferici e da infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro
funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione
in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte
dell’art. 1123 cod. civ., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione
al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di
altri, di cui all’art. 1123, commi 2 e 3, cod. civ.
Identificazione del muro di cinta
Cons. Stato, sent. 7 novembre 2012, n. 5657 Un muro al quale sia appoggiata una
costruzione non può essere considerato come muro di cinta, ai sensi e agli effetti dell’art. 878,
comma 1, cod. civ., posto che tale qualifica del manufatto richiede, oltre alla destinazione del
muro medesimo a recingere la proprietà e all’altezza non superiore a tre metri, anche
l’ulteriore requisito del suo isolamento su entrambe le facce.
Muro di contenimento
Trib. Roma , sent. 19 ottobre 2010, n. 20572 La circostanza che un muro di sostegno di
un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale,
adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all’inclusione del muro medesimo tra le parti
comuni, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle
spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere
funzione di contenimento di quel giardino e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario,
può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa
destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.
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Vizi e difetti
dell’opera
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
La Cassazione torna sui gravi vizi e difetti dell'opera e relative
responsabilità Donato Palombella, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 31 dicembre 2014,
n. 966 Uno dei problemi più frequenti che affliggono, allo stesso tempo, condomini, imprese e
professionisti riguarda la contestazione di vizi e difetti nella realizzazione delle opere. La
criticità è presente sia nei fabbricati di recente costruzione, sia nei semplici lavori di
manutenzione e/o ristrutturazione. In ogni caso, vuoi che si guardi la questione con l’occhio del
condominio, o dal punto di vista dell’impresa e dei professionisti coinvolti, la situazione sarà
sempre capace di togliere il sonno a tutti; il più delle volte, infatti, per porre rimedio ai vizi
lamentati, saranno necessarie opere particolarmente costose. Non è raro il caso in cui le
imprese preferiscano chiudere i battenti piuttosto che essere trascinate in giudizi con
risarcimenti milionari. Non è assolutamente facile districarsi in queste situazioni, in quanto i
fattori in gioco sono molteplici: la possibilità di contestare l’esistenza dei gravi vizi e difetti; il
rimpallo di responsabilità tra condominio, amministratore, ditta esecutrice delle opere, subappaltatore, direttore dei lavori; i termini di decadenza e prescrizione dell’azione. All’interno
dei vizi e difetti più comuni, abbiamo quello dovuto alle infiltrazioni di acqua piovana, che
costituisce un vero e proprio tallone di Achille di molte costruzioni. Recentemente la
Cassazione è intervenuta con due diversi provvedimenti (n. 20557 del 30 settembre 2014 e n.
22822 del 28 ottobre 2014). Cerchiamo di fare il punto della situazione.
L’inquadramento del problema
Gli aspetti patologici del contratto d’appalto sono disciplinati dagli artt. 1667 e 1669 cod. civ.
In particolare, l’ art. 1667 cod. civ. recita: «l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le
difformità e i vizi dell’opera ». In tale prospettiva, è previsto, da un lato, il risarcimento del
danno a favore del committente e, per altro verso, l’obbligo dell’appaltatore di eliminare, a
propria cura e spese, i vizi e le difformità dell’opera eseguita.
L’ art. 1669 cod. civ. disciplina l’ipotesi in cui il bene sia affetto da gravi vizi e difetti di
costruzione con possibilità di rovina o pericolo di crollo dell’immobile.
Ovviamente esistono delle differenze tra le due ipotesi: l’art. 1667 cod. civ. prevede una
responsabilità contrattuale, che può essere fatta valere esclusivamente dal committente e non
dall’eventuale successivo acquirente del bene, relativamente a vizi di lieve entità. L’art. 1669
cod. civ., dal suo canto, prevede una responsabilità extracontrattuale , che trova applicazione
nel caso in cui sia messa in discussione la solidità degli elementi strutturali e la loro capacità di
durare nel tempo (Cass., n. 13268 del 16 luglio 2004; Cass., n. 3002 del 1° marzo 2001).
Diversi anche i termini prescrizionali: l’azione ex art. 1667 cod . civ., infatti, si prescrive in due
anni decorrenti dalla data di consegna dell’opera, mentre la garanzia ex art. 1669 cod. civ.
vincola il costruttore-appaltatore per un decennio.
Prescrizione e decadenza dell’azione
Chi intende fare valere le proprie ragioni ha l’onere di denunciare (a pena di decadenza
dell’azione) l’esistenza dei gravi vizi e difetti lamentati entro un anno dalla loro scoperta e
proporre la relativa azione risarcitoria nell’anno successivo (diversamente l’azione sarà
prescritta).
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È evidente quindi l’importanza di individuare il dies a quo , ovvero il momento in cui comincia a
decorrere il termine annuale di decadenza.
Secondo la giurisprudenza, tale termine decorre dal momento in cui il danneggiato consegua
un apprezzabile grado di conoscenza sull’esistenza e sulla gravità dei vizi e difetti.
A questo punto sorge, a cascata, un ulteriore quesito: quando può dirsi che il soggetto
consegue un apprezzabile grado di conoscenza sulla gravità dei vizi e difetti?
Parte della giurisprudenza ritiene che tale conoscenza possa essere acquisita solo tramite una
consulenza tecnica (Cass., sez. II civ., n. 2169 del 31 gennaio 2011; Cass., sez. I civ., n. 2460
del 1° febbraio 2008; Cass., n. 567 del 13 gennaio 2005; Cass., n. 11740 del 1° agosto 2003;
Cass., n. 16008 del 14 novembre 2002; Cass., n. 2977 del 20 marzo 1998); di qui la necessità
di ricorrere al classico accertamento tecnico preventivo, che, tra l’altro, avrebbe l’effetto di
interrompere la prescrizione dell’azione (Cass., sez. II civ., n. 11743 del 20 maggio 2009).
Sotto un diverso punto di vista, occorre evitare che il danneggiato utilizzi l’accertamento
tecnico come grimaldello per scardinare le barriere rappresentate dalla decadenza e
prescrizione e, proprio in tale contesto, si innesta la recente pronuncia della Cass. n. 20557 del
30 settembre 2014.
Il caso
Ci troviamo, ancora una volta, di fronte al tipico esempio di danni derivanti dall’infiltrazione di
acqua dal lastrico solare.
Il proprietario, ritenendo che il danno sia imputabile alla cattiva esecuzione dei lavori di
bonifica e impermeabilizzazione del tetto, spara a 360 gradi ritenendo responsabile
dell’accaduto il condominio, l’amministratore e l’appaltatore. Sostiene, in particolare, che il
condominio sia responsabile per culpa in eligendo vel vigilando , ovvero per avere appaltato
l’esecuzione delle opere a una ditta inaffidabile e per avere omesso la vigilanza in fase di
esecuzione dei lavori.
Responsabile l’assemblea
La culpa in eligendo (ovvero la cattiva scelta del proprio interlocutore) richiama la
responsabilità dell’assemblea del condominio che avrebbe affidato i lavori senza particolari
approfondimenti, senza comparare le offerte provenienti da varie imprese, affidando i lavori a
una ditta che, tra l’altro, aveva presentato un preventivo estremamente generico. Sotto questo
profilo, a ben guardare, bisognerebbe spezzare una lancia in favore dell’assemblea; nella realt
à, difficilmente i “normali” condomini possono avere le competenze tecnico-giuridiche
necessarie a effettuare le dovute valutazioni, a meno che ovviamente non si voglia sostenere
che l’assemblea avrebbe dovuto farsi carico di interpellare un tecnico di propria fiducia per i
necessari chiarimenti.
In pratica peraltro i condomini cercano sempre di economizzare sui costi e ben difficilmente
sono disposti a mettere mano al portafoglio per una consulenza preventiva.
Responsabilità (duplice) dell’amministratore
Anche l’amministratore finisce sotto il mirino per un duplice motivo: non solo non avrebbe
gestito al meglio la situazione in ambito condominiale, ma avrebbe assunto il ruolo di direttore
dei lavori e, in tale veste, sarebbe colpevole per non avere vigilato sull’esecuzione delle opere.
A ben guardare, configurare un tale tipo di responsabilità non è per nulla agevole.
Nel caso in cui il danneggiato volesse intraprendere un’azione di responsabilità nei confronti
dell’amministratore di condominio, sarebbe necessario proporre l’azione risarcitoria contro
l’intero condominio, che, a sua volta, dovrebbe valutare la possibilità di agire contro il proprio
amministratore pro tempore .
Il condomino danneggiato peraltro potrebbe pensare di agire direttamente contro
l’amministratore di condominio nella sua veste di direttore dei lavori, ma anche questa non è
un’impresa facile. Nel caso in esame, la Cassazione ha sottolineato come il direttore dei lavori
non possa essere chiamato in causa. A esso, infatti, non potrebbe essere addebitato l’onere di
vigilare sull’esecuzione materiale delle opere, bensì solo quello di verificare il rispetto del
contratto d’appalto.
In altri termini, il direttore dei lavori non sarebbe un cane da guardia costretto a essere
costantemente presente in cantiere, bensì un “uomo di fiducia”, a cui spetterebbe il compito di
vigilare sulla corretta esecuzione del contratto, ma senza alcun obbligo di risultato.
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La responsabilità sulla materiale esecuzione dei lavori verrebbe a cadere, alla resa dei conti,
solo sulla ditta esecutrice delle opere.
L’appaltatore risponde in proprio
L’appaltatore che esegue le opere con una propria organizzazione, apprestandone i mezzi,
nonché curandone le modalità esecutive in maniera autonoma, risponde degli eventuali danni
causati a terzi ovvero al committente.
La responsabilità dell’appaltatore può essere esclusa solo nell’ipotesi in cui esso agisca quale
nudus minister , ovvero quando, durante l’esecuzione dei lavori, venga privato dal
committente della libertà decisionale riducendosi a un mero esecutore delle istruzioni ricevute
senza alcuna possibilità di iniziativa e di vaglio critico, risultando così un mero strumento
tecnico nelle mani del committente ( C. Cass., Sez. III, n. 538 del 17 gennaio 2012 ).
La corresponsabilità del committente
Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole
di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. dal precetto del neminem laedere , ovvero nell’ipotesi
in cui l’evento possa essere riferito al committente stesso per culpa in eligendo , il che si
verifica quando il committente affidi l’opera a un’impresa assolutamente inidonea, ovvero
quando l’appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini
del committente e abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive.
La consulenza tecnica non può aggirare i termini di decadenza
Con la sent. n. 22822 del 28 ottobre 2014, la Cassazione punta i riflettori sul malvezzo di
ricorrere alla consulenza tecnica per dilatare i termini decadenziali.
Anche in questo caso il detonatore che dà fuoco alle polveri è costituito dalle infiltrazioni
provenienti dal terrazzo; questa volta si tratta delle tegole, che, prive di “fermo”, scivolano via.
Il condominio contesta i lavori a febbraio del 2005, ma la citazione parte solo a dicembre del
2006, quando il termine decadenziale è ormai ampiamente decorso. Seguendo un copione
ormai collaudato, la ditta eccepisce la decadenza dell’azione e il condominio cerca di aggirare
l’ostacolo sostenendo che sarebbe stato possibile raggiungere la piena conoscenza del vizio e
la sua imputabilità al comportamento della ditta appaltatrice solo attraverso l’esperimento di
una consulenza tecnica.
Questa strategia processuale è ben nota e viene fin troppo spesso utilizzata allo scopo di
aggirare l’ostacolo rappresentato dalla decadenza dell’azione risarcitoria e ottenere la
remissione in termini.
Il parere della Cassazione
Gli Ermellini chiariscono che «il ricorso a un accertamento tecnico non può giovare al
danneggiato quale strumento per essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei
vizi avesse già avuta idonea conoscenza».
In sostanza, il danneggiato non ha bisogno di ricorrere alla consulenza tecnica per rendersi
conto dell’esistenza dei vizi, quando essi siano già stati resi noti in precedenza all’appaltatore.
Ma come fare a stabilire se la conoscenza e la consistenza dei difetti sia stata apprezzata dal
danneggiato?
Secondo la Cassazione, il problema viene rimesso al prudente apprezzamento del giudice di
merito, a cui viene demandato il compito di verificare se l’esistenza dei vizi e difetti, e la loro
imputabilità all’appaltatore, erano elementi già noti al danneggiato e se le comunicazioni
effettuate nei confronti dell’appaltatore integrino di per sé delle vere e proprie denunce, atte a
fare decorrere il termine prescrizionale.
L’onere della prova grava sul danneggiato
La Cassazione evidenzia un ulteriore punto di estremo interesse.
Quando la ditta convenuta abbia eccepito l’avvenuta decadenza dell’azione a causa del decorso
del tempo, si attua una specie di inversione dell’onere probatorio, per cui la patata bollente
finisce nelle mani del danneggiato. Sarà quest’ultimo ad avere l’onere di provare di avere
effettuato la denuncia entro un anno dalla scoperta del vizio.
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Conoscenza del vizio da parte del condominio o del condomino?
Spesso si discute se l’azione debba essere intrapresa dal singolo condomino, dal condominio e,
in questo caso, dall’amministratore pro tempore .
Con la sent. n. 22822/2014 viene esaminato anche questo profilo.
Il collegio parte dal presupposto che il condominio sia sfornito di personalità giuridica, per cui
dovrebbero essere i singoli condomini ad avere percepito la gravità della situazione.
Peraltro tale principio incontra un correttivo. Non è necessario che (tutti) i singoli condomini
acquisiscano la conoscenza effettiva della situazione, quanto che essa sia portata a conoscenza
dell’amministratore del condominio. Quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’art. 1131 cod. civ., ha la
rappresentanza legale del condominio amministrato ed è legittimato ad agire in giudizio a
tutela delle parti comuni, anche contro i terzi.
In sostanza, non è necessario che la conoscenza dei vizi e difetti sia riferibile ai singoli
condomini (il che peraltro costituirebbe un onere probatorio estremamente gravoso) e neanche
all’assemblea, essendo invece sufficiente che l’amministratore del condominio venga a
conoscenza dei vizi e dei difetti, della loro causa e dell’imputabilità al comportamento della
ditta esecutrice delle opere.
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Immobili e
locazioni
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Immobili da locare - Conversione del D.L. "Sblocca Italia" Leonardo Petrobon, Il Sole 24 ORE – La Settimana Fiscale, Edizione del 7 gennaio 2015, n. 1
pag. 36
Artt. 18, 19 e 21, D.L. 12.9.2014, n. 133, conv. con modif. dalla L. 11.11.2014, n. 164
C.M. 28.2.1998 n. 57
R.M. 28.6.2010, n. 60/E
Corte di Cassazione, Sentenza 9.4.2003, n. 5576
Dopo una lunga attesa, il D.L. 12.9.2014, n. 133, ha trovato la conversione nella L.
11.11.2014, n. 164, con alcune modifiche rispetto al testo originario e la permanenza di
alcuni dubbi applicativi per determinate disposizioni.
L'impianto normativo riguardante il settore dell'edilizia è rimasto quasi immune dalle
modifiche apportate in sede di conversione, di conseguenza hanno trovato conferma alcune
forme di incentivazione all'acquisto delle abitazioni da destinare alla locazione, così
come il regime di esenzione per la riduzione dei canoni di locazione e la
liberalizzazione, a determinate condizioni, dei contratti aventi ad oggetto immobili a
destinazione non abitativa
Acquisto di immobili invenduti da destinare alla locazione
Riprendendo quanto già stabilito dall'art. 21, D.L. 12.9.2014, n. 133, lo stesso art. 21, anche
dopo l'emanazione della L. 11.11.2014 n. 164 di conversione del decreto, ripropone, in modo
più ampio, l'agevolazione consistente in una deduzione d'imposta per l'acquisto di
immobili da destinare successivamente alla locazione.
In particolare, secondo la nuova formulazione del citato art. 21 per l'acquisto, effettuato
dall'1.1.2014 al 31.12.2017, di unità immobiliari a destinazione residenziale
alternativamente:
-di nuova costruzione, invendute alla data dell' 11.11.2014;
-od oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro e di risanamento
conservativo di cui all'art. 3, co. 1, lett. c) e d), D.P.R. 6.6.2001, n. 380, e riconosciuta
all'acquirente, persona fisica non esercente attività commerciale, una deduzione dal
reddito complessivo pari al 20% del prezzo di acquisto dell'immobile risultante dall'atto
di compravendita, nel limite massimo complessivo di spesa di Euro 300.000.
Con riferimento alla seconda tipologia di immobili, si ricorda che l'Agenzia delle Entrate con
la C.M. 28.2.1998 n. 57 ha stabilito che rientrano in tale categoria di interventi quelli:
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-di riorganizzazione distributiva degli edifici e delle unità immobiliari, del loro numero e
delle dimensioni;
-di costruzione di servizi igienici in ampliamento delle superfici e dei volumi esistenti;
-di mutamento di destinazione d'uso di edifici, secondo quanto disciplinato dalle leggi
regionali e dalla normativa locale;
-di trasformazione dei locali accessori in locali residenziali;
-di modifica degli elementi strutturali, con variazione delle quote d'imposta dei solai;
-di ampliamento delle superfici.
Dalla lettura della norma, come sopra proposta emerge subito un elemento di criticità, in
quanto:
-da un lato la norma fa riferimento agli acquisti effettuati a partire dall'1.1.2014 al
31.12.2017;
-dall'altro lato pone la condizione che si tratti di immobili invenduti alla data
dell'11.11.2014, con palese impossibilità che le due condizioni possano coesistere, in
quanto, appare di tutta evidenza che un immobile compravenduto in data antecedente
all'11.11.2014 non può essere invenduto alla stessa data, escludendo di fatto tutti gli atti
posti in essere in data antecedente.
Per quanto relativo a tutte le condizioni necessarie per poter beneficiare dell'agevolazione, si
veda la Tabella n. 1.
Con specifico riferimento alla condizione di cui al secondo punto della Tabella n. 1, ossia la
concessione dell'immobile in locazione entro sei mesi dall'acquisto in modo continuativo,
si ricorda che la deduzione in commento, comunque, non viene meno se, per motivi non
attribuibili al locatore, il contratto di locazione si risolve prima del tempo previsto e ne
viene stipulato un altro entro 1 anno dalla data di risoluzione.
Con riferimento, invece, alla condizione di cui al terzo punto - rapporto di parentela - il
divieto cui fa riferimento la normativa è per quello esistente tra genitori e figli.
Sembrerebbero quindi fatti salvi i rapporti di coniugio e gli altri di parentela di grado
maggiore.
Rispetto alla disposizione normativa iniziale, la versione che ha trovato conversione nella L.
164/2014 stabilisce che le persone fisiche non esercenti attività commerciale possono
cedere in usufrutto, anche contestualmente all'atto di acquisto e anche prima della
scadenza del periodo minimo di locazione di 8 anni, le unità immobiliari acquistate con le
agevolazioni fiscali, a soggetti giuridici pubblici o privati operanti da almeno 10 anni
nel settore dell'alloggio sociale, a condizione che:
-venga mantenuto il vincolo alla locazione alle medesime condizioni stabile per gli
immobili concessi locazione;
-il corrispettivo dell'usufrutto, calcolato su base annua, non sia superiore all'importo dei
canoni di locazione determinati in base alle regole per i contratti concordato o a canone
speciale.
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Rispetto alla versione iniziale, il Legislatore ha introdotto la possibilità di procedere alla
deduzione Irpef del 20% anche sugli interessi passivi dipendenti da contratti di mutuo
stipulati per l'acquisto delle unità immobiliari oggetto della presente agevolazione.
A tal proposito appare quindi utile ricordare che non è necessario che l'immobile a
destinazione abitativa, oggetto di acquisto, costituisca l'abitazione principale, come invece
richiesto dall'art. 15, D.P.R. 22.12.1986, n. 917.
Tale nuovo aspetto rappresenta sicuramente un elemento aggiuntivo da considerare al fine di
valutare la convenienza a porre in essere l'acquisto "agevolato", nei termini sopra indicati.
Tuttavia, sotto l'aspetto numerico, in base ad una mera interpretazione letterale della
norma, non è chiaro se il limite massimo di spesa, pari ad Euro 300.000, debba essere
comprensivo o meno anche degli interessi passivi.
Nel caso in cui fosse sposata la tesi della piena concorrenza degli interessi passivi alla
formazione del citato plafond si genererebbe un sicuro problema di gestione della
deduzione, in quanto, nell'ipotesi di tasso di interesse variabile:
- sarebbe "impossibile" conoscere a priori l'ammontare degli interessi passivi da
considerare ai fini del calcolo del limite di spesa;
- sarebbe "impossibile" determinare la deduzione spettante.
TABELLA N. 1 DEDUCIBILITA' DEL 20% SULL'ACQUISTO DI IMMOBILI DA LOCARE
CONDIZIONI
- L'unità immobiliare non deve essere classificata o classificabile nelle categorie catastali
A/1, A/8 e A/9 (immobile di lusso ai fini dell'imposta di registro e ai fini Iva ex n. 21),
Tabella A, Parte Seconda, D.P.R. 26.10.1972, n. 633;
- entro 6 mesi dall'acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, l'immobile deve essere
concesso in locazione, per almeno 8 anni continuativi, a un canone non superiore a
quello indicato nella convenzione riportata nell'art. 18, D.P.R. 380/2001, o a un canone
non superiore al minore importo tra il canone concordato (L. 431/1998) e quello
stabilito dalla legge che ha istituito i canoni speciali (L. 350/2003);
- tra locatore e locatario non devono esserci rapporti di parentela entro il primo
grado;
-l'unita immobiliare deve essere a destinazione residenziale e non deve trovarsi nelle
zone territoriali omogenee classificate E (Decreto del Ministro dei lavori pubblici
2.4.1968, n. 1444), vale a dire, in parti del territorio destinate ad usi agricoli;
- l'immobile deve conseguire prestazioni energetiche certificate in classe A o B (Allegato
4 delle Linee Guida nazionali per la classificazione energetica degli edifici di cui al Decreto del
Ministro dello sviluppo economico 26.6.2009 o normativa regionale, laddove vigente).
Liberalizzazione dei contratti non abitativi
Con l'art. 18, D.L. 133/2014, come modificato dalla L. 164/2014, il Legislatore nazionale
interviene in materia di contratti di locazione di immobili non abitativi, prevedendo che al
sussistere di alcune condizioni tali contratti non debbano rispettare alcun vincolo
"sostanziale", lasciando piena libertà contrattuale alle parti.
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Da un punto di vista normativo il citato art. 18 pone in essere tale opera di liberalizzazione
introducendo un nuovo comma all'art. 79, L. 392/1978, in base al quale "in deroga alle
disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad
uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per
i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad Euro 250.000, e che non siano
riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento
regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e
condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al
periodo precedente devono essere approvati per iscritto".
Rispetto alla versione iniziale del D.L. 133/2014, il limite minimo del canone di locazione è
stato innalzato da Euro 150.000 ad Euro 250.000, escludendo di fatto sicuramente una
buona parte dei possibili contratti "super liberi", aventi ad oggetto immobili non abitativi,
con un importo di canone annuo pari o inferiore ad Euro 250.000.
Da un punto di vista sostanziale, la novella normativa non procede ad una modifica
"mirata" della normativa riguardante la locazione di immobili non abitativi, con una rettifica
specifica di una determinata condizione contrattuale, bensì mette nelle condizioni le parti
contrattuali di derogare ad ogni disposizione normativa prevista dalla L. 392/1978, che
rappresenta l'impianto normativo di riferimento per una corretta gestione dei contratti di
locazione.
Sotto l'aspetto oggettivo, richiamando l'art. 27, L. 392/1978, rientrano nel campo di
applicazione della modifica normativa i contratti relativi agli immobili adibiti alle seguenti
attività:
- industriali, commerciali e artigianali;
- di lavoro autonomo;
- alberghiere.
La circostanza che l'art. 18, D.L. 133/2014, richiami i contratti di locazione "di immobili
adibiti ad uso diverso da quello di abitazione", porta a ritenere che possano essere
oggetto di "liberalizzazione" anche le locazioni di immobili inerenti allo svolgimento delle
attività previste dall'art. 42, L. 392/1978, quali le attività ricreative, assistenziali, culturali
e scolastiche, nonché quelle relative a sedi di partito o di sindacati e le attività svolte dallo
Stato o da altri enti pubblici territoriali.
Da un punto di vista sostanziale, in base alla novella legislativa in esame relativa ai contratti di
locazione ad uso non abitativo con canone annuo superiore ad Euro 250.000, è quindi possibile
pattuire, ad esempio:
- qualsiasi durata del contratto, quindi anche inferiore a quelle minime indicate dalla L.
392/1978 e solo eventualmente i suoi rinnovi;
- non pattuire la facoltà di recesso del conduttore;
- escludere la facoltà di cessione pressoché automatica del contratto in caso di cessione o
affitto d'azienda da parte del conduttore;
- escludere il diritto del conduttore alla cd. indennità per perdita dell'avviamento
commerciale, per esempio in caso di diniego di rinnovo del contratto (cd. disdetta per fine
locazione) per le attività aventi contatto con il pubblico degli utenti e consumatori.
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TABELLA N. 2 - LIBERALIZZAZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE DI IMMOBILI
NON ABITATIVI CON CANONE ANNUO > Euro 250.000
IN ESSERE ALLA DATA DELL'11.11.2014
STIPULATI DAL 12.11.2014
Non è ammessa l'applicazione delle nuove E' ammessa l'applicazione delle nuove regole
regole
Il co. 2 dell'art. 18, D.L. 133/2014 stabilisce, invece, che l'applicazione delle sopra citate regole
non ha luogo per i contratti in corso alla data dell'11.11.2014 (data di entrata in vigore
della L. 164/2014). In altri termini, quindi, le nuove disposizioni possono trovare applicazione
solo per i contratti stipulati a partire dal 12.11.2014.
E, secondo cui l'atto di riduzione del canone di locazione prevedeva:
- il versamento dell'imposta di registro nella misura di Euro 67, in applicazione delle
disposizioni di cui alla Nota II dell'art. 5, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. 26.4.1986, n. 131,
secondo cui "l'ammontare dell'imposta, per le locazioni e gli affitti di beni
immobili, non può essere inferiore alla misura fissa di Euro 67";
- il versamento dell'imposta di bollo nella misura di Euro 16 per ogni foglio riguardante il
nuovo accordo, in applicazione delle disposizioni di cui all'art. 2, Tariffa, Parte Prima, D.P.R.
26.10.1972, n. 642.
TABELLA N. 3 ASPETTI FISCALI IN CASO DI REGISTRAZIONE DELL'ACCORDO DI
RIDUZIONE DEL CANONE DI LOCAZIONE
ANTE D.L. 133/2014 (FINO AL 12.9.2014)
POST D.L. 133/2014 (DAL 13.9.2014)
Imposta di registro nella misura di Euro 67; Regime di esenzione sia ai fini dell'imposta
Imposta di bollo nella misura di Euro 16 per di registro che dell'imposta di bollo
ogni foglio
Da un punto di vista giuridico, secondo l'orientamento prevalente, per il quale si rimanda alla
Sentenza della Corte di Cassazione 9.4.2003, n. 5576, e alla stessa R.M. 60/E/2010, si ricorda
che il contratto che si modifica rispetto alla misura del canone di locazione non è da
considerarsi come un nuovo contratto.
Secondo quanto indicato anche nella citata Sentenza della Corte di Cassazione, si tratta,
infatti, di una semplice modifica di un elemento qualificato accessorio e non essenziale
dell'obbligazione, che non costituisce novazione contrattuale e non comporta la necessità
di stipulare un nuovo atto di locazione, con nuova data di decorrenza e nuove scadenze.
In particolare, la citata sentenza della Corte di Cassazione afferma che "le sole variazioni
del canone non sono di per se indice di una novazione di un rapporto di
locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione
(...) la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula, infatti, il
mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, ex art. 1230 c.c.".
Sulla base delle considerazioni di carattere giuridico e fiscale, le condizioni necessarie
affinché possa trovare piena applicazione il regime di esenzione dall'imposta di registro e di
bollo di cui all'art. 19, L. 164/2014, sono:
-che la riduzione del canone costituisca l'unico elemento dell'accordo stipulato tra le parti.
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L'esenzione non opera, quindi, nel caso in cui la diminuzione del precedente importo del
canone non rappresenti l'oggetto esclusivo del nuovo accordo negoziale, e comprenda,
invece, anche pattuizioni eterogenee accessorie, che siano espressamente previste
dalle parti nella loro autonomia contrattuale al fine di perseguire un risultato economico
unitario e complesso. A tal proposito, infatti, si ricorda che l'art. 21, D.P.R. 131/1986,
stabilisce che "se un atto contiene più disposizioni che non derivano
necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di
essa è soggetta a imposta come se fosse atto distinto";
- che la riduzione del canone si riferisca ad un contratto di locazione ancora in essere. La
norma, dunque, presuppone che la locazione sia in corso de iure al momento in cui le parti
convengono all'accordo di riduzione del canone. Non sconta quindi il regime di esenzione
l'accordo di riduzione nel caso in cui l'inquilino sia rimasto nella materiale detenzione
dell'immobile dopo la scadenza del contratto, allorché sia dovuto l'importo di cui all'art. 1591
c.c., ovvero nei periodi di dilazione dell'esecuzione del provvedimento di rilascio o di ritardo
nella restituzione dell'immobile.
Da un punto di vista pratico, quindi, il contratto originario non perde validità e, di
conseguenza, se la durata del contratto è di 4 anni + 4 anni con rinnovo automatico, tale
termine non ricomincia a decorrere da capo solo perché le parti hanno modificato il canone,
bensì tutte le condizioni contrattuali, ad eccezione del canone, rimangono immutate.
Un aspetto non presente nella versione originaria dell'art. 18, D.L. 133/2014, è rappresentato
dall'ultimo periodo del co. 2, secondo cui "il conduttore, con propria comunicazione,
può avanzare richiesta motivata di riduzione del canone contrattuale. Ove la
trattativa si concluda con la determinazione di un canone ridotto è facoltà dei
comuni riconoscere un'aliquota ridotta dell'imposta municipale propria".
Tralasciando l'indicazione operativa, secondo cui è data facoltà al conduttore chiedere la
riduzione del canone di locazione, ciò che rappresenta la vera novità è rappresentata dalla
possibilità di ottenere una riduzione dell'aliquota Imu, nel caso in cui il Comune ove è
ubicato l'immobile conceda tale possibilità.
TABELLA N. 4 - TABELLA RIEPILOGATIVA
Riferimento normativo
Gli artt. 18, 19 e 21, D.L. 133/2014, come convertito dalla L. 164/2014, introducono alcune
novità in materia di immobili da locare.
In particolare, l'art. 21 introduce una deduzione d'imposta del 20% sull'acquisto di
immobili da destinare alla locazione, al sussistere di specifiche condizioni oggettive e
soggettive.
L'art. 18, invece, prevede che le locazioni di immobili ad uso non abitativo, il cui canone
annuo ecceda Euro 250.000, non sono tenute alle disposizioni di cui alla L. 392/1998, con
illimitata libertà contrattuale riservata alle parti.
Infine l'art. 19 prevede che le riduzioni dei canoni di locazione siano esenti da imposta di
registro e bollo, anche se portati a registrazione
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Casi pratici
 Immobili
 COMUNE, IMMOBILI INCEDIBILI CON DATI CATASTALI ERRATI
D. In riferimento alla normativa concernente l'alienabilità degli immobili di proprietà comunale
(articolo 2, comma 59, della legge 662/1996; articolo 40, commi 5 e 6, della legge 47/1985;
articolo 7, comma 2, della legge 136/1999), si chiede se la successiva norma contenuta
nell'articolo 19 della legge 122/2010, circa la conformità dello stato di fatto dell'immobile alle
planimetrie depositate in Catasto, sia ostativa alla vendita in presenza di difformità sostanziali,
quali ampliamenti o sopraelevazioni non sanabili con le procedure ordinarie, previste dagli
articoli 36 e 37 del Dpr 380/2001.
----R. La legge 122/2010 statuisce, ai commi 8 e 9, che, entro il 31 dicembre 2010, i titolari di
diritti reali sugli immobili che non risultano dichiarati in Catasto, individuati secondo le
procedure previste dall’articolo 2, comma 36, del Dl 262/2006, erano tenuti a procedere alla
presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale. L'agenzia
del Territorio, successivamente alla registrazione degli atti di aggiornamento presentati, rende
disponibili ai Comuni le dichiarazioni di accatastamento per i controlli di conformità urbanisticoedilizia, attraverso il portale per i Comuni (comma 8).Entro il medesimo termine del 31
dicembre 2010, i titolari di diritti reali sugli immobili oggetto di interventi edilizi che abbiano
determinato una variazione di consistenza o di destinazione non dichiarata in Catasto, erano
tenuti a procedere alla presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di
aggiornamento catastale (comma 9).Sempre la legge 122/2010 ha aggiunto il seguente
comma all'articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52: «Gli atti pubblici e le scritture
private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento
di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia,
devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione
catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti
dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla
base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere
sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione
degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli
intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari». La
richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili
esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite, deve
contenere anche l'indicazione dei dati catastali degli immobili. La mancata o errata indicazione
dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro ed
è punita con la sanzione prevista dall'articolo 69 del Dpr 131/1986.Nel rispetto dei principi
desumibili da questo articolo, nei territori in cui vige il regime tavolare le Regioni a statuto
speciale e le Province autonome adottano disposizioni per l'applicazione di quanto dallo stesso
previsto, al fine di assicurare il necessario coordinamento con l'ordinamento tavolare. L’ultimo
comma citato si riferisce genericamente a tutti gli immobili; attraverso un’interpretazione
letterale della norma, trova applicazione anche ai trasferimenti di beni immobili di proprietà dei
FIAIP News24, numero 17 – gennaio 2015
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Comuni. Conseguentemente, qualunque atto pubblico o scrittura privata autenticata avente a
oggetto la vendita di immobili comunali, se non contiene i dati indicati nel comma 1-bis citato,
sono nulli.
(Paolo Mariotti, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 8 gennaio 2015).
 VENDITA DI IMMOBILI MERCE CON DETRAZIONE RETTIFICATA
D. Una società immobiliare ha acquistato, nel 2012, un immobile merce a uso abitativo,
fatturato con Iva, detraendo l’Iva applicata. Nel 2014 ha rivenduto tale immobile a un privato,
in regime di esenzione Iva. Oltre a dover applicare il pro rata di detraibilità in sede di
dichiarazione Iva per l’anno 2014, si deve anche provvedere alla rettifica dell’Iva detratta in
sede di acquisto, ex articolo 19-bis2 del Dpr 633/1972? In altre parole, la rettifica dev'essere
applicata anche ai beni merce, oltre che ai beni ammortizzabili?
----R. La risposta è affermativa: l'Iva assolta e detratta sull'acquisto dell'immobile classificato in
bilancio come bene merce è soggetta a rettifica della detrazione, nei limiti dei decimi mancanti
al compimento del decennio. L'articolo 19-bis2, comma 8, del Dpr 633/1972 dispone che i
fabbricati o le porzioni di fabbricato sono comunque considerati beni ammortizzabili ai fini della
rettifica della detrazione Iva.
(Giorgio Confente, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 12 gennaio 2015).
 IL RIMBORSO ASSICURATIVO «ABBATTE» I COSTI DETRAIBILI
D. Un alloggio è stato danneggiato da un incendio. Essendo coperto da una polizza
antincendio, il proprietario ha ricevuto un rimborso assicurativo. Le spese successivamente
sostenute per la ristrutturazione possono essere detratte al 50 per cento?
----R. La detrazione del 50% si applica solo per le spese effettivamente rimaste a carico. Pertanto,
nell’ipotesi di rimborso assicurativo, le spese sono detraibili solo per la parte non coperta dal
rimborso (circolari 57/E e 121/E del 1998).
(Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 5 gennaio 2015).
 Immobili e locazioni

IN ASSENZA DI DISDETTA, IL CONTRATTO RIPARTE
D. Sono proprietario di un appartamento, uso abitazione, per il quale era stato stipulato un
contratto di affitto (4 anni + 4), già prorogato di ulteriori 4 anni, per un totale di 12 anni. Il
contratto scadrà a giugno 2015. Ora la mia domanda è la seguente: devo redigere un nuovo
contratto di affitto per altri 4 anni + 4 anni o posso predisporre un contratto di affitto per soli 4
anni? Dovrei rifare il contratto, poichè trattasi di contratto nel quale io, come proprietario, sono
subentrato in qualità di erede e l'agenzia delle Entrate mi ha detto che il contratto può essere
prorogato una sola volta. Preciso che il contratto è in regime di cedolare secca.
----R. Alla scadenza del secondo periodo di 4 anni + 4, se è stata inviata disdetta, si deve
stipulare un nuovo contratto, a condizioni da concordarsi con il conduttore. Ciò,
indipendentemente dal fatto che il contratto sia in regime di cedolare secca o ordinario. Il
nuovo contratto avrà la durata di anni 4+4 a meno che non si scelga la via del contratto
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agevolato che ha una durata di 3 anni + 2. Si ricorda che, ai sensi della legge finanziaria per il
2005, il contratto deve essere scritto e registrato per non incorrere nella sanzione di nullità. Se
non è stata inviata la disdetta, il contratto si rinnova alle medesime condizioni di quello
originario, con lo stesso canone e con la durata di 4 anni + 4. In questo caso, si dovrà
registrare una proroga in quanto, appunto, il contratto iniziale si è solo prorogato per mancata
disdetta.
(Luca Stendardi, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 12 gennaio 2015).
 ATTESTAZIONI: L'APE HA VALIDITÀ DECENNALE
D. Il certificato Ape vale 10 anni. Se si deve affittare il fondo ad un nuovo inquilino, a 12 anni
dal rilascio del certificato, questo va rifatto, anche se non sono intervenute modifiche
sull'immobile?
----
R. Ove l’Ape (Attestato di prestazione energetica) sia scaduto, è necessario – in caso di stipula
di un nuovo contratto di locazione, con un diverso inquilino – acquisirne uno nuovo. In disparte
la normativa regionale, infatti, salvo esame della fattispecie in concreto, per l’articolo 6,
comma 3, del Dlgs 19 agosto 2005, numero 192, l’Ape deve essere consegnato al conduttore
(e della consegna si deve dare atto nel contratto con apposita clausola) o allegato al contratto
in caso di locazione di più unità immobiliari. In particolare, il richiamato articolo 6, comma 3,
del Dlgs 192/2005 dispone che « … nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità
immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita clausola con la quale … il conduttore
dichiara(...) di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell'attestato,
in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici; copia dell'attestato di
prestazione energetica deve essere altresì allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione
di singole unità immobiliari». Dispone, a sua volta, l’articolo 6, comma 5, del Dlgs 192/2005
«l’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1 ha validità temporale massima di dieci
anni dal suo rilascio …».
(Matteo Rezzonico, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 12 gennaio 2015).
 Condominio
 LA MEDIAZIONE BLOCCA I TERMINI DI DECADENZA
D. Il 28 dicembre 2014 ho ricevuto, con lettera raccomandata, la copia di un verbale di
assemblea condominiale. Poiché non intendo accettare quanto deliberato, ho chiesto la
mediazione obbligatoria. In caso di insuccesso, l'azione giudiziale va notificata entro il
trentesimo giorno a partire dal 28 dicembre 2014, oppure entro il trentesimo giorno a partire
dalla notifica del verbale negativo?
---R. L'articolo 5, comma 1-bis, del Dlgs 4 marzo 2010, n. 28, prevede, tra l'altro, che chi intende
esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio è tenuto
preliminarmente, con l'assistenza di un avvocato, a esperire il procedimento di mediazione
secondo il decreto citato. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale. Il successivo comma 6 del medesimo articolo prevede
che la domanda di mediazione, dalla data della comunicazione alle parti, impedisce altresì la
decadenza (qual è il termine di trenta giorni per impugnare la deliberazione assembleare) per
una sola volta, ma, se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale dev'essere proposta entro il
medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale alla segreteria
dell'organismo. Sul punto ha avuto modo di pronunziarsi la Cassazione, la quale ha precisato
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che il medesimo termine decorre "ex novo" dal deposito del verbale negativo alla segreteria
dell'organismo di mediazione (Cassazione, sezioni unite, 22 luglio 2013, n. 17781).
(Edoardo Ricco, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 12 gennaio 2015)

LA COMPRAVENDITA DI BOX NON SI DISCUTE IN ASSEMBLEA
D. In un condominio l'impresa costruttrice, che da anni detiene diversi posti auto, intende
venderli, proponendone l'acquisto ai singoli condòmini. Tale proposta può essere discussa, in
un apposito punto all'ordine del giorno, in assemblea condominiale o, trattandosi di argomento
privato, l'impresa deve invece rivolgersi, al di fuori dell'assemblea, ai singoli condòmini,
considerato che esiste anche un registro di anagrafe condominiale?
---R. Si ritiene che la questione riguardi la compravendita di proprietà esclusive, e non questioni
relative a proprietà comuni; per tale ragione l’assemblea condominiale non ha alcun potere in
merito e la delibera sarebbe nulla, in quanto fuori dalle competenze dell’assemblea stessa. Se,
poi, per ragioni di natura logistico-organizzativa l’impresa costruttrice, che è anche un
condomino, vuole - in occasione dell’assemblea e, quindi, di un momento in cui sono presenti i
condòmini - illustrare la sua proposta, ciò non è vietato, ma non è previsto che si arrivi a una
decisione dell’adunanza. L’adesione alla proposta rimarrà esclusivamente del singolo
condomino, acquirente nei confronti dell’impresa costruttrice–proprietaria-venditrice.
(Cesarina Vittoria Vegni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 5 gennaio 2015)
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