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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Ufficio per gli Incontri di Studio
Incontro di studio sul tema:
“La responsabilità contrattuale e i rimedi all’inadempimento contrattuale”
Roma, 3 - 5 maggio 2010
Ergife Palace Hotel
L’ampliamento della categoria della responsabilità derivante dal contratto: la
responsabilità precontrattuale; il rapporto con l’illecito extracontrattuale
Relatore
Dott. Giacomo TRAVAGLINO
Consigliere della Corte di Cassazione
L’AMPLIAMENTO DEI TERRITORI DELLA
RESPONSABILITA’ CIVILE
I – L’EVOLUZIONE DELLA R.C. TRA CONTRATTO E TORTO
a) Il fondamento dell’ampliamento dei territori della responsabilità contrattuale:
la tutela del contraente debole
b) La discrasia tra la tendenza all’allargamento dell’area della responsabilità
civile (dal codice della proprietà a quello della responsabilità, passando per la
Carta costituzionale, codice della persona e della personalità) ed il suo arresto
di fronte alla posizione del contraente debole (clausola penale, caparra e
risarcimento, preliminare improprio, causa concreta funzionale)
c) Una nuova Generalklausel del diritto privato: il divieto di abuso del diritto (e
del processo)
d) Regole di comportamento e regole di validità tra nullità e risarcimento (Cass.
ss. uu. 26724/07);
e) La Entfremdung giurisprudenziale verso un nuovo giusnaturalismo?
f) Le materie “sensibili” all’evoluzione:
- Il contatto sociale e l’obbligazione senza prestazione;
- La mutazione genetica delle regole di responsabilità professionale medica;
- L’emersione dei doveri di protezione;
- Il contratto ad effetti protettivi verso i terzi
- Il consenso informato e gli obblighi di informazione;
- Mediazione, amministratore di condominio, avvocato, notaio;
- L’astreint degli obblighi di fare ex art. 614 bis c.p.c.;
- I nuovi rapporti tra colpa e nesso di causa;
- I nuovi rapporti tra causalità civile e penale;
- La teoria della chance perduta;
- L’estensione dell’area della responsabilità precontrattuale;
- Le nuove regole probatorie sull’inadempimento e la vicinanza della prova;
- Il nuovo danno non patrimoniale da inadempimento;
- Lo slittamento delle norme aquiliane verso un sistema di strict liability
g) Dalla decostruzione del sistema della responsabilità alla ricostruzione di un
sistema più omogeneo e coerente.
II – LE TUTELE CONTRATTUALI
1) Il diritto dei rimedi - Sul piano generale, si assiste sempre più spesso ad un
approccio “funzionale” al diritto dei contratti che privilegia l’aspetto della
tutela, rispetto a quelli classici della formazione e dei requisiti del negozio,
ossia della protezione riservata ai diritti e alle pretese collegati alla fattispecie
negoziale, in una prospettiva di diritto comunitario sempre più orientato verso
la funzione rimediale sotto il duplice profilo dei particolari settori di mercato in
2
cui interviene il giudice (circolazione di beni di consumo, viaggi, proprietà) e
dei soggetti coinvolti (il consumatore): tutto il diritto privato europeo si
discosta sempre più dalla dogmatica dei diritti soggettivi, concentrandosi
piuttosto sul soddisfacimento dell’interesse. E l’espressione “responsabilità
contrattuale”, storicamente destinata ad evocare il concetto di danno provocato
per colpa, cede il passo all’idea che la rottura del rapporto sinallagmatico,
anche con riguardo al rischio contrattuale (che per definizione è concetto assai
lontano dalla colpa), sia fonte di risarcimento in presenza del fatto obiettivo
della mancata o inesatta prestazione dovuta, salva la prova di un impedimento
oggettivo cui non è dato porre riparo nonostante l’impiego della diligenza
richiesta ex art. 1176 c.c. L’area della responsabilità di matrice contrattuale,
storicamente fondata sul principio della promessa, poi sostituita dal principio
dell’affidamento, vede il concetto stesso di prestazione trasformarsi da
contenuto rigido, meramente oggettuale, in progetto/previsione in termini di
dover essere.
2) Il fenomeno della contrattualizzazione della responsabilità aquiliana (frutto
della distinzione tra Leistungsinteressen e Schuetzeninteressen1) evidenza
come l’interesse contrattuale non sia solo quello diretto alla prestazione
oggetto del contratto, ma anche quello a non subire pregiudizio alla propria
persona e alle proprie cose, se coinvolte nell’esecuzione dell’accordo (si pensi
all’obbligo del locatore, ex art. 1575 c.c., di garantire il buono stato della cosa
locata esteso ai membri della famiglia del conduttore), secondo un
procedimento di integrazione negoziale ex fide bona e di cd. “irradiazione”
degli effetti del contratto. La dottrina degli obblighi di protezione riveste così
di tutela contrattuale doveri morfologicamente appartenenti all’area del torto
aquiliano, e trae fondamento e legittimazione perché la protezione è pur
sempre funzionalmente connessa con la prestazione. Resta tuttora segnata la
linea di confine tra questo tipo di responsabilità e quella aquiliana se si
circoscrive l’effetto del contatto sociale con le prestazioni esigibili esattamente
dal soggetto con cui si entra in rapporto e non dal quisque de populo: nel
settore delle informazioni, dovrà dunque distinguersi se l’informazione è
richiesta sulla base di un rapporto professionale comunque instaurato con il
soggetto che fornisce l’informazione, ovvero se essa è fornita solo causalmente
o occasionalmente: in tal caso, non potrà essere la sola qualificazione
professionale dell’informatore ad essere fonte di responsabilità contrattuale in
assenza di uno specifico rapporto che facciano assurgere il suo comportamento
a “prestazione”2. La casualità dell’incontro tra soggetti dovrebbe segnare il
limite ed il confine tra le due aree di responsabilità, mentre in Germania si
ricorre ad una finzione di contrattualità, discorrendosi di danno economico da
1
STOLL, Abchied…, 1932. Sostiene l’esistenza, accanto ai più generali doveri di neminem laedere, di più specifici
doveri, di tipo aquiliano, definiti Verkehrpflichten, VON BAHR, Verkeherpflicthen, 1980, che obbligano il soggetto che
opera nel traffico economico a controllare la sfera di azione in cui agisce.
2
Si distingue, in tali casi, tra contatto negoziale e mero contatto sociale, che individua il discrimine tra torto
contrattuale e delitto (LARENZ, Lerbuch….)
3
falsa informazione: se l’informazione è richiesta dal contraente A alla
controparte B, ma sia destinata al terzo C, le corti tedesche opinano che il
contratto, pur intercorso tra A e B, sia destinato a produrre effetti per il terzo, e
il titolo contrattuale della responsabilità di B è condizionato alla sola
prevedibilità che l’informazione sia destinata a C.
3) Sul versante opposto, la tutela aquiliana del credito e il principio del concorso
dà misura dell’occupazione dell’area del contratto da parte del torto: la
giurisprudenza italiana (specie in tema di lavoro e di trasporto), al pari di
quella tedesca, è storicamente (a far data dal 1949) favorevole la cumulo di
azioni, fino alle sentenze dell’11 novembre sul danno non patrimoniale, che
invita a rimeditare la questione3, sulla scia della giurisprudenza francese, da
sempre ligia (fin dalla prima decisione del 1890) al principio del non-cumul. E
lo stesso principio dell’art. 1372 c.c., quella della relatività degli effetti
contrattuali (il contratto non produce effetto rispetto ai terzi fuori dai casi
previsti dalla legge).
4) Il ruolo della colpa – al pari del sistema francese, l’ordinamento italiano
conosce una sorta di antinomia normativa tra causa di giustificazione
dell’inesecuzione dell’obbligo di prestazione (la causa non imputabile, art.
1218, simile alla cause etrangere, art. 1147 cod civil) e principio di diligenza
(art. 1176 c.c., 1137 code civil). La prevalenza della prima regola fonderebbe
un modello di responsabilità tendenzialmente oggettivo, con il limite del caso
fortuito/forza maggiore quale causa di esonero da responsabilità. La dottrina
italiana è ancora fortemente tributaria dello scritto del Mengoni sulla
distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato (mentre il linguaggio della
colpa sempre più sembra ignorato nei testi transnazionali4), ma non omette di
rilevare la obbiettiva difficoltà nel rinvenire una regola chiara sul fondamento
della responsabilità da inadempimento, così come, invece, nella enunciazione
della responsabilità da illecito ex art. 2043. La regola dell’art. 1218 c.c. (che è
in realtà regola probatoria5) è chiaramente figlia della “causa estranea” (art.
1225 c.c. 1865, ulteriormente specificata nei concetti di fortuito e forza
maggiore del successivo art. 1226), ma con il codice del 1942 la regola sulla
diligenza ha acquistato, specie in giurisprudenza, valenza generale, destinata,
peraltro, ad integrarsi con quella del 1218. E’ noto che, secondo un primo
indirizzo dottrinario, la responsabilità del debitore segue regole puramente
oggettive, con il solo limite della impossibilità, oggettiva ed assoluta, della
prestazione, poiché la regola sulla diligenza non avrebbe alcun nesso con il
giudizio di responsabilità, bensì riguardo esclusivo alla valutazione in termini
3
In tal senso, in passato, BARASSI, Teoria delle obbligazioni.
Nella Convenzione internazionale per la vendita di cose mobili, l’art. 79 prevede che una parte è esente da
responsabilità se prova che l’inadempimento era dovuto “ad un impedimento derivante da circostanze estranee alla sua
sfera di controllo e che non era ragionevolmente tenuto a prevedere al momento della conclusione del contratto”, dove il
concetto di previsione, impropriamente utilizzato, sembra evocare piuttosto una regola causale.
5
Secondo CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, la regola generale di cui all’art. 1218 è muta
rispetto ai criteri di imputazione, onde ne risulta tuttora aperta la relativa scoperta.
4
4
di esattezza/inesattezza dell’adempimento6; secondo l’opposto indirizzo, la
responsabilità debitoria sarebbe fondata essenzialmente sulla colpa, così
coinvolgendo la regola sulla diligenza nella stessa nozione di impossibilità
liberatoria7, tesi a cui si obbietta che la diligenza non può comunque costituire
il limite ultimo della responsabilità del debitore, poiché così ogni prestazione si
trasformerebbe in prestazione di diligenza, discorrendosi allora di
impedimento a carattere di oggettività relativa, ove l’allargamento
dell’oggetto della prestazione dedotta in obbligazione porta a considerare non
soltanto il risultato dovuto al creditore, ma altresì i mezzi necessari per
realizzarlo: emerge una nozione di impossibilità relativa al contenuto del
concreto rapporto in questione8, ma pur sempre oggettiva9, dove la diligenza è
regola di controllo degli impedimenti sopravvenuti e non anche limite diretto
della responsabilità debitoria (responsabilità sicuramente oggettiva quanto al
pagamento di somme di denaro, di consegna di cose generiche, di danni ex
recepto e da impresa)10.
5) La tutela delle sopravvenienze – La dottrina della responsabilità contrattuale
non può prescindere dallo studio dei modi in cui i rischi derivanti dalle
sopravvenienze di eventi possano essere ripartiti tra i contraenti. Alla teoria
della clausola rebus sic stantibus si ispira, originariamente, l’istituto della
presupposizione (Voraussetzung), temperata, dopo la prima guerra mondiale,
dalla teoria del fondamento negoziale (Geschaeftgrundlage). La riforma del
diritto delle obbligazioni tedesco del 2001 ha accolto (§ 313BGB) il principio
della rilevanza delle sopravvenienze nell’ipotesi di mutamento significativo
(Schwerwiegend), con conseguente adeguamento (Anpassung) del contratto al
mutamento delle circostanze, mentre i principi Unidroit prevedono la
rinegoziazione dei termini del contratto, con possibilità di intervento del
giudice con pronunce conformative di un nuovo equilibrio contrattuale (Il
modello italiano conosce la reductio ad aequitatem nell’ipotesi di risoluzione
per eccessiva onerosità sopravvenuta, ex art. 1467 c.c.)
III BREVE PANORAMICA DELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ
1) La responsabilità medica: è questo il terreno di coltura elettivo e più efficace
delle più audaci sperimentazione di nuove regole di responsabilità e ne colpisce
la evoluzione verso un vero e proprio sottosistema di responsabilità autonomo.
Parlando del declino dei vizi classici della volontà e del sempre maggior
interesse per la rappresentanza, Giorgio De Nova ha ipotizzato che, agli istituti
6
OSTI, Riv. Dir. Civ. 1918, ribadita in Riv. Trim dir.proc. civ. 1954.
BIANCA, Diritto Civile.
8
Cass. 10490/06 e 26958/07
9
Così riproponendosi la teoria del Savigny della ineseguibilità della prestazione
10
Il concetto di diligenza è a sua volta distinto da quello di buona fede, la prima coprendo l’area dell’attività di
prestazione, la seconda quella della relazione tra le parti. Queste possono difatti, limitare l’operatività del dovere di
diligenza (art. 1229 c.c.), ma non quello di buona fede: la correttezza non si lascia ridurre.
7
5
giuridici, possa assegnarsi una sorta di quotazione, suscettibile di variazioni
anche considerevoli nel corso del tempo. Se così fosse, nei listini della “borsa
del diritto” il titolo “responsabilità del medico” si segnalerebbe in forte e
costante rialzo (dal punto di vista del paziente), attesa l’epoca storica che
teorizza il fondamentale valore etico del principio di responsabilità, tale da
trascendere ormai la sfera del singolo soggetto per investire la collettività (o la
moltitudine, secondo una moderna accezione dell’insieme degli individui visti
ormai non più come popolo in un territorio, ma come entità globale e
globalizzata). Da almeno un trentennio si registra, difatti, in Italia una notevole
accentuazione dei giudizi di responsabilità professionale, segnatamente in
campo medico, sia sotto il profilo quantitativo dei processi civili e penali, sia
sotto quello qualitativo delle tecniche giuridiche attraverso le quali pervenire
ad un’equa distribuzione dei rischi comunque e sempre collegati a tale attività,
tendenza, questa, peraltro, comune a tutti i paesi tanto di common law quanto
di civil law.11 Tale accentuazione segue, non a caso, la parallela evoluzione
delle strutture e della natura stessa della responsabilità civile che, strutturata,
all’epoca della codificazione del 1942, secondo un criterio di Generalklauseln,
immaginate come funzionali alla tutela dei (soli) diritti soggettivi assoluti,
viene via via “ripensata”, secondo una storia (soprattutto intellettuale) sempre
più raffinata,12 come un problema di diritto vivente, da rielaborare
incessantemente modellandolo sulle esigenze delle singole istanze sociali, in
funzione della ricerca di criteri mediante i quali un determinato “costo” debba
venir collocato presso il danneggiato ovvero traslato in capo ad altri soggetti
(in ipotesi, anche non diretti danneggianti). Il sistema della responsabilità civile
diventa, così, un’opera di ingegneria sociale, commissionata quasi interamente
agli interpreti,13 il cui compito diviene, allora, lo studio dei criteri di
traslazione del danno. Ne deriva l’individuazione di standard di condotta alla
luce dei quali l'intera teoria della colpa, del nesso causale e del danno, sotto il
profilo tanto sostanziale quanto probatorio, ne esce, in definitiva,
profondamente mutata rispetto agli archetipi tradizionali, non senza
considerare come, ormai, l’attività medico-sanitaria non coinvolga più soltanto
i medici, ma anche tutto ciò che, con diversificate funzionalità (persone o
cose), concorra al completamento dell’iter diagnostico terapeutico del paziente
(infermieri, assistenti sanitari, ostetriche, tecnici di radiologia medica, tecnici
di riabilitazione, macchinari, farmaci, ecc.). Di qui, la necessità che il regime
della responsabilità assuma connotazioni unitarie, senza distinzione in ordine
allo status del soggetto responsabile (libero professionista, medico condotto,
medico provinciale, dipendente ASL, docente universitario). Di tale tenedenza
ne sono esempi paradigmatici:
- Il contatto sociale (Cass. 589/1999);
11
DE MATTEIS, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenza giurisprudenziali, in Contr. e
impresa 1990.
12
Così, tra gli altri, Schlesinger, Sacco, Trimarchi, Rodotà, Busnelli, Galgano.
13
Monateri, La responsabilità civile, UTET 1998
6
- La prova dell’inadempimento (Cass. ss. uu. 13533/2001);
- La prova della colpa grave (Cass. 11488/04: cade comunque sul
medico(debitore)14;
- Il danno da perdita di chance (da Cass. 4400/04 a Cass. 21619/07: le
differenze dei piani di indagine causale - l’ultima pronuncia di cui a Cass.
23846/08);
- L’inalterazione della situazione pregressa (Cass. 8826/07)15;
- Il contratto ad effetti protettivi verso i terzi (Cass. 14488/04 e Cass.
20320/05: la distinzione tra errore di diagnosi e somministrazione di
farmaci+omessa informazione: l’ultima pronuncia: Cass. 10741/09)16:
- La nascita indesiderata da erronea informazione post-intervento di
interruzione di gravidanza (Cass. 2793/1999, in passato, Cass. 6464/1994);
- La vicinanza della prova e la prova evidenziale (Cass.10297/04);
- La responsabilità della struttura (Cass. ss.uu. 9556/2002; Cass.
13066/2004; Cass. 24791/0817, che sovente trasformano la struttura
sanitaria in una sorta di compagnia di assicurazione del paziente).
- Il consenso informato (tra Cass. 5444/2006 e Cass. 2847/010, fino ai limiti
del caso Englaro),
- In controtendenza, Cass. 975/09 (peraltro assai criticata in dottrina) sul
frazionamento della responsabilità professionale del medico tra inesatto
adempimento e concomitante fattore naturale costituito dalla pregressa
situazione patologica del paziente.
2) La responsabilità del mediatore - Con una recente (e sotto molti aspetti
“rivoluzionaria”) sentenza, la n. 16382 del 14 luglio 2009, la III Sezione della
Corte di legittimità (Pres. Petti; Rel. Spagna Musso; P.G. Ceniccola) ha sotto
molti aspetti “riscritto” i caratteri morfologici e funzionali dell’istituto della
mediazione, affermando, nell’ordine: a) Che la mediazione tipica, disciplinata
dagli artt. 1754 e seguenti cod. civ., è soltanto quella svolta dal mediatore in
modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o
di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un’attività materiale
dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione. Tuttavia, in virtù del
contatto sociale che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella
controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con
la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve
14
Che, a rigore, eccepita la speciale difficoltà dell’intervento avrebbe l’onere di provare quest’ultima circostanza, ma
non anche l’assenza di colpa grave, che spetterebbe al danneggiato.
15
Si modifica, dunque, lo schema del peggioramento/insorgenza di nuove patologie: “Il risultato "anomalo" o anormale
- in ragione dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull'esperienza - dell'intervento medicochirurgico, fonte di responsabilità, è da ravvisarsi non solo in presenza di aggravamento dello stato morboso, o in caso
di insorgenza di una nuova patologia, ma anche quando l'esito non abbia prodotto il miglioramento costituente oggetto
della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, producendo invece, conseguenze di carattere fisico e psicologico.
(Con riferimento ad intervento routinario di settorinoplastica effettuato in struttura sanitaria pubblica, è cassata la
sentenza d'appello che, pur dando atto esserne conseguito un esito di "inalterazione" - e quindi di sostanziale
"insuccesso"- sotto il profilo del pieno recupero della funzionalità respiratoria, aveva ciononostante ritenuto la condotta
del medico come non integrante ipotesi di responsabilità)
16
Terzi sono ritenuti, rispettivamente, il nascituro e il padre, oltre alla gestante.
17
Danno e resp. 4/09, 414.
7
dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell’adempimento degli obblighi di
correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell’art. 1176, secondo
comma, cod. civ., e di non aver agito in posizione di mandatario; b) Che il
conferimento ad un mediatore professionale dell’incarico di reperire un
acquirente od un venditore di un immobile dà vita ad un contratto di mandato
e non di mediazione, essendo quest’ultima incompatibile con qualsiasi vincolo
tra il mediatore e le parti, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il c.d.
“mediatore”: (a) ha l’obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione
dell’affare; (b) può pretendere la provvigione soltanto dalla parte che gli ha
conferito l’incarico; (c) è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al
rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al d.lgs. n. 206 del
2005; (d) risponde, nel caso di inadempimento dei propri obblighi, a titolo
contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l’incarico, ed a
titolo aquiliano nei confronti dell’altra parte; c) Che il mediatore, tanto
nell’ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in
cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica, la
quale, come si è visto, costituisce in realtà un mandato), ha l’obbligo di
comportarsi con correttezza e buona fede e di riferire alle parti le circostanze
dell’affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l’uso
della diligenza da lui esigibile. Tra queste ultime rientrano necessariamente,
nel caso di mediazione immobiliare, le informazioni sulla eventuale
contitolarità del diritto di proprietà in capo a più persone, sull’insolvenza di
una delle parti, sull’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli,
sull’esistenza di prelazioni od opzioni concernenti il bene oggetto della
mediazione.
I fatti che hanno dato origine a tale, assai innovativa pronuncia, possono così
sintetizzarsi: la promissaria acquirente di un immobile aveva proposto
domanda di restituzione della provvigione e di risarcimento del danno nei
confronti del mediatore che aveva seguito l’affare poiché, dopo la stipula del
preliminare, aveva appreso che uno dei comproprietari non aveva partecipato
all’atto perché deceduto da anni, senza che se ne conoscessero gli eredi.
Rifiutata la stipula del definitivo e ottenuta la restituzione della caparra da
parte del promittente venditore, si era vista costretta ad agire nei confronti del
mediatore che non le aveva voluto restituire la provvigione.
La S.C., nel confermare la sentenza d’appello che aveva accolto le domande
dell’attrice, opererà, come emerge dalla semplice lettura dei principi di diritto
poc’anzi ricordati, una de-costruzione ri-costruzione dell’istituto della
mediazione in contrasto patente con una più che consolidata giurisprudenza
della stessa corte di legittimità.
Il primo profilo di contrasto attiene all’affermazione (che riecheggia le
posizioni di parte della più risalente dottrina italiana, segnatamente del
GIORDANO e del CARRARO) secondo cui la mediazione sarebbe vicenda
non negoziale, ma meramente fattuale. Altre decisioni della S.C., sia
precedenti che successive a quella in commento - sulla scia della dottrina
8
tedesca dell’800, che ascriverà la mediazione alla categoria ordinante del
negozio giuridico (LABAND, Das Maeklergeschaeft), dapprima nell’orbita del
mandato, poi della locatio operis, infine ritenendolo negozio autonomo,
attesane l’incompatibilità tra il mandato, essenzialmente gratuito, ed il diritto
del mediatore al compenso, mentre il codice di commercio italiano del 1882
disciplinerà espressamente l’istituto, pur senza definirlo, secondo uno schema
di chiara origine contrattuale -, non hanno mai dubitato, viceversa, della natura
contrattuale della mediazione (Cass. n. 18514 del 20/08/2009; n. 7985 del
07/08/1990; n. 2750 del 06/06/1989; n. 1626 del 04/03/1983; n. 3154 del
13/05/1980; n. 206 del 23/01/1967; 822 del 26/04/1962). Tra i pochissimi
precedenti di segno contrario rispetto a tale, consolidato orientamento, difatti,
si rinvengono soltanto un’antica decisione di cui a Cass. 13 luglio 1926, che
avvicina la fattispecie a quella della negotiorum gestio, e il dictum di cui a
Cass. 11384/1991, a sua volta negatrice della natura contrattuale (ma non
anche negoziale) dell’istituto.
Non va peraltro sottaciuto che, di recente, la stessa corte suprema aveva
operato, con la sentenza 7273/2000 (ma già prima con Cass. 4043/1999), una
distinzione tra mediazione non negoziale (quando il mediatore di sua iniziativa
svolge un’attività intesa a mettere le parti in contatto tra loro) e mediazione
contrattuale (quando, invece, il mediatore agisce su specifico incarico di una
delle parti).
Il secondo profilo di contrasto si rinviene con riguardo al principio secondo il
quale la c.d. “mediazione unilaterale” – conseguente ad un incarico ad hoc
conferito al mediatore da una delle parti potenziali del futuro affare - non
costituisce mediazione (perché carente del requisito della indipendenza del
mediatore), bensì un mandato. Principio, questo, a sua volta patentemente in
contrasto con una più che consolidata giurisprudenza, secondo cui
l’affidamento unilaterale dell’incarico al mediatore non priva quest’ultimo
della sua indipendenza e non contrasta con la natura “imparziale” della
mediazione (ex multis, Cass. n. 24333 del 30/09/2008; n. 7251 del 07/04/2005;
n. 3668 del 16/12/1971).
Un ultimo aspetto di contrasto si rinviene, infine, nel principio secondo il quale
sia il mediatore immobiliare in senso stretto, sia il mandatario (nella c.d.
mediazione immobiliare unilaterale), hanno l’obbligo giuridico di informare
le parti dell’affare, oltre che sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà
in capo a più persone e sull’insolvenza di una delle parti, sull’esistenza di
iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli e sull’esistenza di prelazioni od
opzioni concernenti il bene oggetto della mediazione. In numerose, precedenti
pronunce, di converso, la S.C., pur avendo affermato che il mediatore
professionale ha l’obbligo di comunicare alle parti le circostanze a lui note,
ovvero quelle conoscibili con l’uso della diligenza richiesta ad un operatore
professionale, non era mai giunta a sostenere che tale diligenza si estendesse
allo specifico dovere di verificare la liberà dell’immobile da iscrizioni e
trascrizioni pregiudizievoli (Cass. n. 4126 del 22/03/2001; n. 6389 del
9
08/05/200; n. 6714 del 15/05/2001; n. 8374 del 07/04/2009). Viceversa, nella
sentenza n. 16009 del 24/10/2003, l’obbligo de quo era stato espressamente
escluso, alla luce dell’opposto principio di diritto secondo cui “il mediatore
non è tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere,
nell’adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico –
giuridica, come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto del
trasferimento mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie”.
3) La responsabilità dell’amministratore di condominio – Cass. 25251/08
afferma, per la prima volta in modo esplicito, che l'amministratore del
condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose
comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare
affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini, e che quest'obbligo
non viene meno neanche nell'ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori
riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, a meno che il compito di
vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall'amministratore:
ne consegue che l'amministratore stesso è responsabile del danno alla persona
patito da uno dei condòmini, in conseguenza dell'inciampo in una insidia (nella
specie, buca nel cortile condominiale) creata dall'impresa cui erano stati
appaltati lavori di manutenzione dell'immobile condominiale.
4) La responsabilità dell’avvocato e del notaio - Il principio del “consenso
informato” (o “consapevole”), sorto sul terreno della responsabilità medica, è
stato esteso dalla giurisprudenza anche alla responsabilità di alte figure
professionali. In particolare, per quanto riguarda l’attività notarile, è ormai
pacifico in giurisprudenza che tra gli obblighi gravanti sul notaio rilievo
primario ha quello di informare il cliente di qualsiasi circostanza possa essere
rilevante per l’utilità e la validità dell’atto. Tale obbligo si estende alle
circostanze, rilevanti per l’utilità dell’atto, della cui esistenza il notaio abbia
anche soltanto un sospetto, e persino quando le parti lo abbiano esonerato dalle
visure, poiché egli è tenuto comunque all’esecuzione del contratto di
prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata
di cui all’art. 1176, 2º comma, c.c. e della buona fede (Cass., sez. III, 06-042001, n. 5158, in Vita not., 2001, 953; contra, tuttavia, si veda Cass.
12.10.2009 n. 21612, secondo cui qualora il notaio sia stato espressamente
esonerato, per concorde volontà delle parti, con una clausola inserita nell’atto
pubblico, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie
per il conseguimento del risultato voluto dalle parti stesse e, in particolare, dal
compimento delle cosiddette “visure catastali” e ipotecarie allo scopo di
individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, deve escludersi la
responsabilità del notaio stesso). Il richiamo a quest’ultima norma, quale
fondamento della responsabilità del notaio per negligenti omissioni (di
informazione, ma anche di accertamenti o di visure), è divenuto ormai ius
receptum nella giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. III, 06-04-2001, n.
5158, in Vita not., 2001, 953; Cass., sez. II, 19-01-2000, n. 566, in Danno e
resp., 2000, 720; Cass., sez. II, 18-10-1995, n. 10842, in Danno e resp., 1996,
10
204). Dalla configurazione dell’informazione dovuta al cliente come oggetto
del contratto di prestazione d’opera professionale, e non già come criterio di
valutazione della diligenza nell’adempimento, discende che per il notaio
richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento
immobiliare la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in
generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura,
costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo
derivante dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell’oggetto
della prestazione d’opera professionale, poiché l’opera di cui è richiesto non si
riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende
a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la
serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua
attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del
risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto medesimo.
Conseguentemente, l’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del
notaio dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento
dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la
legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare
forma di responsabilità, e , stante il suddetto obbligo, non è ontologicamente
configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 cod. civ. (Cass.
28.11.2007 n. 24733; si veda anche Cass., sez. III, 15-06-1999, n. 5946, in
Guida al dir., 1999, fasc. 32, 46, secondo cui l’informativa dovuta dal notaio al
cliente sull’esito delle visure catastali, come facenti parte “dell’oggetto della
prestazione d’opera professionale, poiché, pur essendo il notaio tenuto, quale
professionista, ad una prestazione di mezzi e comportamenti e non di risultato,
l’opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della
volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende a
quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la
serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua
attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del
risultato pratico voluto dalle parti dell’atto”; un riferimento espresso all’art.
1375 c.c., per quanto attiene all’obbligo di informazione, si rinviene altresì
nella motivazione di Cass., sez. II, 19-05-2000, n. 6514, in Riv. not., 2001,
213). Per quanto attiene il contenuto dell’obbligo di informazione gravante sul
notaio, esso avrà ad oggetto, nel caso di trasferimento di beni immobili, la
verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle
risultanze delle visure dei registri immobiliari e, nell’ipotesi di constatazione di
presenza di iscrizioni pregiudizievoli, la dissuasione del cliente dalla stipula
dell’atto. L’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale
per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla
rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale
responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera
professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico (Cass.,
sez. III, 15-06-1999, n. 5946, in Guida al dir., 1999, fasc. 32, 46; Cass., sez. I,
11
24-09-1999, n. 10493, in Foro it. Rep., 1999, Notaio, n. 86). Il notaio ha altresì
l’obbligo di prestare alle parti adeguata assistenza fiscale, informandole
dell’esistenza in loro favore di eventuali esenzioni fiscali. In assenza di tale
informazione, il notaio risponde nei confronti del cliente per il danno da
quest’ultimo subito in conseguenza della mancata fruizione dei benefici fiscali,
se il contribuente non riesca ad ottenere la restituzione dell’imposta pagata in
eccedenza (Cass. 13.1.2003 n. 309, in Dir. e giust., 2003, fasc. 9, 28; App.
Perugia, 26-01-2000, in Rass. giur. umbra, 2000, 319, con nota di PALMA,
Appunti in tema di responsabilità civile del notaio; contra, però, si veda App.
Roma, 04-06-1996, in Giust. civ., 1997, I, 539). La S.C. ha altresì precisato
che, nell’adempimento dell’obbligo di informazione fiscale, il notaio deve
previamente svolgere una “adeguata ricerca legislativa” (Cass. 13.1.2003 n.
309, cit.). Da ciò consegue, per converso, che il notaio non può pretendere un
compenso autonomo per avere fatto conseguire alle parti un vantaggio fiscale
che non sarebbe loro spettato adottando una diversa soluzione, quando ciò
avvenga sulla base di una conoscenza della normativa in materia che è lecito
attendersi da un professionista accorto e ben preparato (così Cass., sez. II, 1801-2002, n. 541, in Foro it. Rep., 2002, Notaio, n. 8). Così, in applicazione di
questi princìpi, si è stabilito che il notaio il quale abbia rogato la
compravendita di un immobile non ancora accatastato, in cui le parti abbiano
chiesto di avvalersi delle disposizioni previste dal d.l. 14 marzo 1988, n. 70
(convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154), ai fini della valutazione
automatica della imposta di registro, qualora all’atto stesso sia allegata
specifica istanza per l’attribuzione della rendita catastale, è tenuto a curare la
presentazione di tale istanza all’ufficio competente ovvero, ove non voglia
provvedervi direttamente, deve rendere edotte di ciò le parti (Cass7857/2008).
Anche all’attività dell’avvocato, sia pure solo da epoca relativamente recente,
la giurisprudenza ha iniziato ad estendere i princìpi del consenso informato.
Secondo il più recente orientamento di buona parte della giurisprudenza di
merito, l’avvocato ha il preciso dovere, a mente dell’art. 1176, comma 2, c.c.,
di informare debitamente il cliente sulle conseguenze probabili, o anche solo
possibili, delle sue scelte o delle sue condotte. Perciò non tiene una condotta
diligente l’avvocato che non acquisisca dal cliente un valido consenso
informato (ex multis, Trib. Roma 13.1.2007, Ediltes c. Ricci, inedita; Trib.
Roma 5.6.2006, Giglio c. Gasperini, inedita; Trib. Roma 8.3.2006, Mariotti c.
Montevidoni, inedita; Trib. Roma 12.5.2006, Rosolin c. Pizzuti, inedita; Trib.
Roma 20.7.2005, Bertini c. Andreuzzi, inedita; Trib. Roma 2.6.2005, Cima c.
Cammarota, inedita; Trib. Roma 21.3.2005, Macchia c. Ariè, inedita; Trib.
Roma 29.3.2005, Austeri c. Affenita, inedita). L’obbligo di acquisire il
consenso informato è un obbligo contrattuale, e non già precontrattuale:
l’adempimento di esso, pertanto, va valutato alla luce del combinato disposto
dell’art. 1176, comma 2, c.c., che impone l’obbligo di diligenza, e dell’art.
1375 c.c., che impone l’obbligo di buona fede. Dal combinato disposto di tali
norme discende che il professionista, dinanzi ad un cliente che sia a digiuno
12
delle norme di diritto, ha il preciso dovere di spiegargli compiutamente quali
siano le conseguenze delle scelte processuali suggerite o pretese dal cliente
stesso. Solo una volta che il cliente abbia ricevuto tali informazioni può
ritenersi davvero libera ed informata la sua scelta di assumere decisioni in
merito alla strategia processuale: nel che propriamente si sostanzia l’attività del
cavere, tradizionale e risalente appannaggio dell’avvocato.
13
5) L’intermediario finanziario18 – Cass. ss. uu. 26724/07: In relazione alla nullità
18
Negli ultimi sette anni il “blocco normativo” che disciplina l’attività di intermediazione finanziaria e detta le
regole di tutela dei risparmiatori ha subito numerose ed incisive modifiche.
Le novità hanno riguardato tutti e tre i livelli di gerarchia delle fonti: sovranazionali, statali e regolamentari.
Il diritto comunitario.
A livello di fonti sovranazionali va segnalato innanzitutto come il legislatore comunitario abbia non solo adottato
numerosi regolamenti e direttive destinati nelle intenzioni a disciplinare i mercati finanziari e rafforzare la tutela del
risparmiatore, ma - prima ancora - abbia ritenuto necessario stabilire un metodo per l’emanazione delle norma in questa
materia: si tratta del c.d. “metodo Lamfalussy”18, in virtù del quale la disciplina del settore finanziario deve avvenire
secondo una tecnica normativa scandita su quattro livelli:
(a) al primo livello vi sono le direttive emanate da consiglio e parlamento, secondo la procedura di codecisione di cui
all’art. 251 del Trattato UE, il cui compito è fissare i princìpi generali della materia;
(b) al secondo livello vi sono le direttive emanate dalla commissione, il cui compito è fissare le misure tecniche di
attuazione dei princìpi generali;
(c) al terzo livello vi sono le misure (non legislative) di rafforzamento della cooperazione tra le attività di vigilanza,
finalizzate ad assicurare l’effettiva attuazione delle norme di 1° e 2° livello;
(d) al quarto livello vi è l’attività di controllo della Commissione sulle misure attuative dei primi tre livelli adottate dagli
Stati membri.
In attuazione di questo meccanismo, sono state emanate, quali norme di 1° livello:
(-) la direttiva 2003/6/CE del 28 gennaio 2003, sugli abusi di mercato;
(-) la direttiva 2003/71/CE del 4 novembre 2003, sul prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica di strumenti
finanziari;
(-) la direttiva 2004/25 del 21 aprile 2004, sulle offerte pubbliche di acquisto;
(-) la direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (c.d. “MiFID” - Markets in
Financial Instruments Directive);
(-) la direttiva 2004/109/CE del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione delle regole di trasparenza da parte degli
emittenti di strumenti ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati.
Non meno cospicua è stata la legislazione comunitaria di secondo livello:
(-) alla direttiva “abusi” è stata data attuazione col Regolamento 22 dicembre 2003, n. 2273/2003; con la Direttiva 22
dicembre 2003, n. 2003/124 e, successivamente, con la Direttiva 22 dicembre 2003, n. 2003/125;
(-) alla direttiva “prospetto” è stata data attuazione col regolamento 809/2004, successivamente modificato dal
regolamento 1787/06;
(-) alla direttiva MiFID è stata data attuazione dalla Direttiva 2006/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5
aprile 2006; dalla Direttiva 2007/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007, e da ultimo dalla
direttiva 2008/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2008.
Inoltre la direttiva MiFID, a causa di oggettivi inconvenienti prodotti dalla sua prima applicazione, ha reso necessaria
l’emanazione di vari provvedimenti di attuazione ed adeguamento, ed in particolare la Direttiva 2006/73/CE della
Commissione, del 10 agosto 200618, ed il Regolamento (CE) n. 1287/2006 della Commissione, del 10 agosto 200618;
(-) alla direttiva sulla “trasparenza” è stata data attuazione col Regolamento n. 1787/06.
Numerose sono state altresì le misure nazionali di attuazione di questo complesso quadro normativo:
- il d. lgs. 28 marzo 2007, n. 51 ha dato attuazione alla direttiva 2003/71 sul prospetto informativo;
- alla direttiva 2004/25 sull’offerta pubblica di acquisto è stata data attuazione col d. lgs. 19 novembre 2007, n. 229;
- alla direttiva MiFID l’Italia ha dato attuazione col d. lgs. 17 settembre 2007, n. 16418, emanato in virtù della leggedelega 20 giugno 2007 n. 77, cui ha fatto seguito l’emanazione di nuove norme regolamentari sull’attività di
intermediazione finanziaria da parte dell’autorità di controllo (CONSOB), contenute nel c.d. “Regolamento emittenti
(Delib. CONSOB 11971/99 e successive modifiche) e nel “Regolamento intermediari” (Delib. CONSOB 16190/07 e
successive modifiche);
- alla direttiva 2004/109 sulla trasparenza degli enti emittenti l’Italia ha dato attuazione col d. lgs. 6 novembre 2007 n.
195.
A questo blocco normativo può ancora aggiungersi, per la rilevanza indubbia nella materia qui in esame, la direttiva
2008/52 del 21 maggio 2008, sulla mediazione in materia civile e commerciale.
La direttiva MiFID, in attuazione degli scopi stabiliti dalla Commissione europea nel “Piano d’azione per i servizi
finanziari” dell' 11 maggio 1999, ha inteso conseguire due obiettivi fondamentali:
(-) proteggere gli investitori;
(-) promuovere e garantire l’equità, l’integrazione e la trasparenza di mercati, fissando regole armonizzate per tutti gli
intermediari finanziari.
questi obiettivi, a loro volta, sono stati perseguiti attraverso cinque strumenti principali:
(a) imporre agli stati membri regole armonizzate, in modo che gli intermediari finanziari, le banche e le borse possano
offrire i loro servizi su tutto il territorio dell’UE;
14
(b) stabilire regole uniformi sul limite oltre la quale una partecipazione azionaria deve ritenersi “qualificata”, e sulle
regole da seguire da parte di chi intende acquisirla, ivi comprese le sue qualità e competenze personali;
(c) aumentare la protezione dei risparmiatori prevedendo il coordinamento tra le varie autorità nazionali di controllo
all’interno dell’UE;
(d) obbligare gli intermediari finanziari che offrano strumenti finanziari per conto proprio al di fuori di un mercato
regolamentato ad una maggiore trasparenza sulle condizioni dell’offerta, segnatamente nella fase precontrattuale;
(e) impedire alle grandi istituzioni finanziari di offrire gli strumenti finanziari a condizioni diversa, a seconda della
qualità o meno di piccolo investitore del destinatario dell’offerta.
Deve aggiungersi che l’attività delle istituzioni comunitarie nella materia dei mercati finanziari è ben lungi dal ritenersi
conclusa. La Commissione infatti ha avviato, con la propria comunicazione al Parlamento e al Consiglio del 30 aprile
200918, l’adozione di misure concernenti specificamente i c.d. prodotti di investimento al dettaglio preassemblati (e cioè
i fondi comuni di investimento, gli investimenti inseriti in polizze di assicurazione vita; i titoli strutturati al dettaglio; i
depositi a termine strutturati).
E’ significativo rilevare che la Commissione europea, nella ricordata comunicazione del 30 aprile 2009, ha
implicitamente ammesso come la direttiva MiFID non sia adeguata “alla realtà dell’attuale mercato dell’investimento
al dettaglio e non è in grado di garantire agli investitori un livello sufficiente di protezione”. In particolare, principali
lacune della normativa comunitaria in materia sono state ritenute la mancanza d’informazioni essenziali fornite agli
investitori, la regolamentazione delle pratiche di vendita, e la circostanza che essa non si applichi a tutti i prodotti
finanziari c.d. “al dettaglio”.
La Commissione ha, di conseguenza, proposto di introdurre norme che garantiscano il maggior grado possibile di
armonizzazione e standardizzazione delle informazioni essenziali per gli investitori al dettaglio, per consentire un
raffronto tra i prodotti, oltre che estendere il campo d’applicazione della direttiva MiFID a tutti i prodotti di
investimento al dettaglio.
Le fonti statali.
Anche la produzione normativa del legislatore nazionale, concernente i contratti di intermediazione finanziaria e la
tutela del consumatore, è stata copiosa negli ultimi sette anni.
Procedendo in ordine cronologico crescente, va ricordata innanzitutto la legge 28 dicembre 2005, n. 262 (“Disposizioni
per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”), emanata all’indomani di una serie di default di
importanti società od enti, i quali non avevano onorato i propri titoli obbligazionari (è il caso dei c.d. “Tango Bond”,
delle obbligazioni Parmalat e Cirio, dei prodotti di (finto) investimento “4You” emessi dalla Banca 121).
La legge ha modificato la disciplina delle società per azioni, regolando più accuratamente i conflitti di interesse tra
amministratori ed investitori, dettando norme a tutela di questi ultimi, disciplinando in materia più rigorosa l’attività di
revisione contabile, e regolando i rapporti tra le varie autorità di controllo, con riferimento ai prodotti finanziari emessi
da banche ed assicurazioni.
La legge 262/05, tuttavia, a parere della dottrina prevalente costituì un prodotto normativo approssimativo ed
incompleto, che pose agli interpreti enormi problemi di coordinamento con le disposizioni previgenti contenute nel testo
unico in materia bancaria e nel testo unico in materia finanziaria. Per sanare tali incongruenze venne così emesso un
provvedimento “correttivo”, il d. lgs. 29 dicembre 2006 n. 303 [“Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n.
262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) e del testo unico delle disposizioni in materia
di intermediazione finanziaria (T.U.F.)].
Successivamente, in attuazione della direttiva 2003/71/CE, è stato emanato il d. lgs. 28 marzo 2007, n. 51 (“Attuazione
della direttiva 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione
di strumenti finanziari, che modifica la direttiva 2001/34/CE”), il quale ha dettato nuove e più stringenti norme in tema
di O.P.A., al fine di evitare che le “scalate” potessero compiersi in danno dell’azionariato diffuso e dei piccoli
investitori.
E’ stata quindi la volta del d. lgs. 17 settembre 2007, n. 164 (“Attuazione della direttiva 2004/39/CE relativa ai
mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE, 93/6/CEE e 2000/12/CE e abroga la direttiva
93/22/CEE”), il quale come già ricordato ha dato attuazione alla direttiva MiFID, riscrivendo - per quanto qui rileva l’art. 21 del T.U.F. (d. lgs. n. 58/1998), e cioè la norma che disciplina i contratti finanziari e la tutela del risparmiatore.
Sempre nel 2007, in attuazione della delega contenuta nella già ricordata legge sulla tutela del risparmio (l. 262/05), il
Governo ha emanato il d. lgs. 8 ottobre 2007, n. 179 (“Istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, sistema
di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell'articolo 27, commi 1 e 2, della
legge 28 dicembre 2005, n. 262”, cui ha dato attuazione la Deliberazione CONSOB 29 dicembre 2008, n. 16763), il
quale ha istituito un fondo di garanzia per i risparmiatori che avessero subito danno in conseguenza del default dell’ente
emittente dello strumento finanziario.
Di lì a poco, con d. lgs. 17 luglio 2009 n. 101 (“Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 24 febbraio 1998, n. 58,
e 17 settembre 2007, n. 164, in materia di intermediazione finanziaria e di mercati degli strumenti finanziari”) è stato
istituito l’albo dei consulenti finanziari e l’albo dei promotori finanziari, riservato a coloro che svolgano comunque una
limitata attività di consulenza finanziaria, pur senza essere iscritti all’albo degli intermediari finanziari.
15
del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa
previsione in tal senso (cd. "nullità virtuale"), deve trovare conferma la
tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla
legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità
del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di
norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la
quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di
intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del
cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei
soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario
Può sussumersi nel genus dei provvedimenti emanati a tutela dei risparmiatori anche il d.l. 9 ottobre 2008 n. 155
(convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2008, n. 190), recante “Misure urgenti per garantire la stabilità
del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di
crisi dei mercati finanziari internazionali”, il quale ha previsto l’intervento dello Stato per sanare i debiti degli enti
creditizi e finanziari maggiormente esposti al rischio di insolvenza.
Da ultimo, il d. lgs. 27 gennaio 2010 n. 21 [“Attuazione della direttiva 2007/44/CE, che modifica le direttive
92/49/CEE, 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri
per la valutazione prudenziale di acquisizione e incrementi di partecipazione nel settore finanziario (partecipazioni
rilevanti)], ha fissato i criteri per stabilire quali partecipazioni azionarie debbano ritenersi “qualificate”, con la
conseguente insorgenza degli obblighi di informazione e comunicazione a carico di chi le acquisisce.
Alle norme sin qui esaminate, che si sono occupate in modo diretto della disciplina dei mercati o degli strumenti
finanziari, merita di essere accostato, in quanto diretto alla tutela del consumatore (anche) di strumenti finanziari, anche
il nuovo art. 140 bis del codice del consumo (d. lgs. 6.9.2005 n. 206), inserito dall' art. 2 , comma 445 e ss. della legge
24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), il quale disciplina l’ "azione di classe" .
Prima ancora di entrare in vigore, il nuovo istituto (in un primo tempo denominato “azione collettiva risarcitoria”) ha
già avuto una vita assai travagliata: l’originaria entrata in vigore, fissata per il 1° luglio 2008, è stata differita dapprima
al 1° gennaio 2009 dall’art. 36 d.l. 25.6.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133; e
quindi al 1° luglio 2009 dall’art. 19 d.l. 30.12.2008 n. 207, convertito dalla legge 27.2.2009 n. 14.
Tuttavia soltanto 21 giorni dopo l’entrata in vigore, l’art. 49, comma 1, della l. 23.7.2009 n. 99 ha interamente riscritto
l’art. 140 bis in questione, ridisegnando l’istituto, il quale ora si applica ai soli illeciti compiuti a partire dal 15.8.2009,
data di entrata in vigore della suddetta legge 99 del 2009.
La nuova azione di classe è concepita come una domanda proposta da un singolo, avente la qualità di consumatore od
utente, ovvero da un’associazione od un comitato di consumatori od utenti, alla quale può “aderire” chiunque si trovi in
una situazione soggettiva identica od omogenea a quella dell’attore iniziale.
Attraverso questa azione è possibile ottenere il risarcimento del danno o le restituzioni scaturenti da un inadempimento
contrattuale.
I presupposti dell’azione prevista dal nuovo art. 140 bis cod. cons. sono quattro:
(a) l'esistenza di un diritto soggettivo al risarcimento od alla restituzione;
(b) che tale diritto sia sorto:
(b’) da un inadempimento contrattuale
(b’’) da una condotta illecita ai sensi dell’art. 2043 c.c.18;
(c) che il diritto del quale si chieda il ristoro sussista in capo ad una pluralità di persone;
(d) che le persone sub (c) abbiano la qualità di consumatori od utenti.
Le fonti regolamentari.
La disciplina del mercato finanziario e dell’intermediazione finanziaria, oltre che nelle fonti normative sopra ricordate,
trova attuazione di dettaglio principalmente in tre regolamenti CONSOB, emanati dall’autorità di vigilanza sulla base
della delega contenuta nel T.U.F. (d. lgs. 58/1998).
Questi regolamenti, in ragione del loro oggetto, sono usualmente definiti:
(a) il “Regolamento emittenti” (Reg. CONSOB, n. 11971 del 14 maggio 199918), il quale disciplina i prospetti
informativi degli strumenti finanziari, le OPA, i fondi, gli OICR e l’informazione precontrattuale dovuta dall’emittente;
(b) il “Regolamento mercati” (Reg. CONSOB n. 16191 del 29 ottobre 200718), il quale disciplina l’accesso, la
trasparenza ed il controllo sulle operazioni “sospette” nei mercati finanziari;
(c) il “Regolamento intermediari” (Reg. CONSOB n. 16190 del 29 ottobre 200718), il quale disciplina l’accesso
all’attività di intermediazione finanziaria e gli obblighi di trasparenza, informazione, correttezza ed adeguatezza
gravanti sugli intermediari.
16
(nella specie, in base all'art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a
responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette
violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione
del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le
parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato
alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale,
ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti
di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento
compiute in esecuzione del "contratto quadro"; in ogni caso, deve escludersi
che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati
doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo
comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti
negoziali posti in essere in base ad esso. I punti salienti della pronuncia sono:
a) "Le norme dettate dal citato art. 6 della L. 1/1991 (al pari di quelle che le hanno poi
sostituite) hanno carattere imperativo ... questo rilievo, tuttavia, non è da solo sufficiente a
dimostrare che la violazione di una o più tra dette norme comporta la nullità dei contratti
stipulati dall'intermediario con il cliente. E' ovvio che la loro violazione non può essere, sul
piano giuridico, priva di conseguenze ma non è detto che la conseguenza sia
necessariamente la nullità del contratto ". "Dal fondamentale dovere che grava su ogni
contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede il codice civile fa(ccia)
discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla
sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della
rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso
comportano responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò
stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del
contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile); b) "Tralasciando la
circonvenzione di incapace, con riferimento alla quale occorrerebbe forse rimeditare se e
entro a quali limiti la illiceità penale della condotta basti a giustificare l'ipotizzata nullità
del contratto sotto il profilo civile ... l'area delle norme inderogabili, la cui violazione può
determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell'art 1418, comma 1, c.c., è
in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo
contenuto del contratto medesimo. Vi sono ricomprese sicuramente anche le norme che, in
assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive,
direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. Neppure in tali
casi, tuttavia, si tratta di norme di comportamento afferenti alla concreta modalità delle
trattative prenegoziali o al modo in cui è stata data di volta in volta attuazione agli obblighi
contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in
situazioni che lo avrebbero dovuto impedire; c) "L'assunto secondo il quale, nella moderna
legislazione (anche per incidenza della normativa europea), la distinzione tra norme di
validità e norme di comportamento starebbe tuttavia sbiadendo e sarebbe in atto un
fenomeno di trascinamento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità
dell'atto non è sufficiente a dimostrare il già avvenuto sradicamento dell'anzidetto principio
nel sistema del codice civile; d) "Nel settore dell’intermediazione finanziaria non è dato
assolutamente rinvenire indici univoci dell'intenzione del legislatore di trattare sempre e
comunque le regole di comportamento, ivi comprese quelle concernenti i doveri di
informazione dell'altro contraente, alla stregua di regole di validità degli atti "; e) "La
violazione dell'obbligo di comportasi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative
e nella formazione del contratto assume rilievo non soltanto nel caso di rottura
17
ingiustificata delle trattative, ovvero qualora si stipulato un contratto invalido o inefficace,
ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte
rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno
deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico
prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia
dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un
rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.
6) Il locatore nella cessione di azienda – Cass. 9486/07: In materia di locazioni,
in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella
dell'azienda) effettuata ai sensi dell'art. 36 della legge n. 392 del 1978 senza il
consenso del locatore, mentre tra (l'unico) cedente e (l'unico) cessionario
intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal
"beneficium ordinis", che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente,
con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle
obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato
l'inadempimento del cessionario), nell'ipotesi di verificazione di plurime
cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione
dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti "intermedi" del
contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al
quale, in assenza di qualsivoglia limitazione "ex lege", deve ritenersi
normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà
(prevista dall'art. 1294 cod. civ.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta
cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro,
dell'obbligazione inadempiuta dall'attuale conduttore, poiché la fonte di tale
responsabilità, che non ha natura di garanzia “impropria” in capo ai successivi
cedenti, va rinvenuta nella dichiarazione di non liberazione da parte del
locatore, quale altro “fatto idoneo a produrla” ai sensi dell’art. 1173 c.c.
7) La causa concreta – Cass. 10490/06: Causa del contratto è lo scopo pratico del
negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a
realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e
specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. (Nel formulare il
suindicato principio la S.C. ha considerato privo di causa, e conseguentemente
viziato di nullità, un contratto concernente un'attività di consulenza avente ad
oggetto la valutazione di progetti industriali e di acquisizione di azienda
intercorso tra una società di consulenza, che ne aveva contrattualmente assunto
l'incarico, e un soggetto che la stessa attività «già simmetricamente e
specularmente» svolgeva in adempimento delle proprie incombenze di
amministratore della medesima società conferente)19; Cass. 26958/07: La
19
Scrive, in proposito, F. ROLFI, Corr. Giur. 2006, “Il decennio 1995 - 2005 ha visto l'affermarsi di grandi svolte
giurisprudenziali. Si pensi al definitivo superamento del dogma dell'irrisarcibilità del danno per lesione ad un interesse
legittimo. Si pensi, ancora, alla profonda trasformazione (o stravolgimento) che ha interessato l'area del danno non
patrimoniale.In un simile quadro di vero e proprio sommovimento, la vecchia concezione bettiana della causa come
funzione economico sociale del contratto sembrava resistere, incrollabile, nonostante gli oltre sessant'anni di una vita,
peraltro travagliata, vista la costante critica che a quella visione era stata mossa da voci autorevolissime.
Sembrava, perché, forse (il condizionale è d'obbligo), la sentenza in commento, toccando uno dei pochi dogmi
giurisprudenziali rimasti, ed anzi uno dei più apparentemente intoccabili, ha dato l'inizio ad una revisione della visione
18
risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con
la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463
cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio
sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile
sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare,
l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia
divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel
caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della
controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al
creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso
la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa
concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione. (Nella
fattispecie, relativa ad un contratto di soggiorno alberghiero prenotato da due
coniugi uno dei quali era deceduto improvvisamente il giorno precedente
l'inizio del soggiorno, la S.C., enunciando il riportato principio, ha confermato
la sentenza di merito con cui era stato dichiarato risolto il contratto per
impossibilità sopravvenuta invocata dal cliente ed ha condannato l'albergatore
a restituire quanto già ricevuto a titolo di pagamento della prestazione
alberghiera);
8) La riduzione ex officio della clausola penale eccessiva – Cass. 18728/05: In
tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice
dall'art.1384 cod. civ. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può
essere esercitato d'ufficio per ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in
cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale
manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione
avvenga perchè l'obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacchè in
quest'ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione
della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione si traduce
tradizionale, ed all'affermarsi di una nuova concezione, più articolata, concreta e (aggettivo forse abusato, ma stavolta
appropriato) moderna.
La ricostruzione del caso concreto che ha dato origine alla pronuncia può essere piuttosto sintetica, visto che, come si
potrà constatare, essa ha costituito più l'occasione, che la ragione, per operare la revisione della tradizionale concezione
di causa. Tizio, in qualità di amministratore della società Alfa, stipula con la società Beta due successivi contratti di
consulenza. In virtù di tali contratti, lo stesso Tizio viene inserito negli organi amministrativi di varie società facenti
capo a Beta. Richiesto il pagamento del corrispettivo per la consulenza, Tizio si vede opporre da Beta un netto rifiuto,
motivato dal fatto che le attività da esso svolte in virtù di quel contratto in nulla erano diverse da quelle connesse alle
cariche ricoperte dallo stesso attore nelle collegate di Beta. Tizio conviene, allora, in giudizio Beta, rimanendo tuttavia
soccombente sia in primo grado che in appello. Le due sentenze, infatti - oltre a stabilire (profilo che qui meno
interessa) che il rapporto si era instaurato direttamente tra Beta e Tizio, avendo la società Alfa svolto un mero ruolo di
"schermo" per finalità di elusione fiscale - concordano nel concludere che i compiti oggetto della "consulenza" erano
coincidenti con quelli che Tizio avrebbe comunque dovuto svolgere quale titolare di cariche sociali nelle collegate di
Beta, dichiarando, conseguentemente, la nullità del contratto di consulenza per difetto di causa. Proposto da Tizio
ricorso in Cassazione, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di Appello, ma ha ritenuto, sulla base delle
argomentazioni del ricorrente, di "correggere" l'impostazione della decisione di secondo grado, nel senso illustrato dalla
massima”.
19
comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta
inadempiuta20;
9) L’abuso del diritto21 – Cass. 20106/09: tra il 1992 e il 1996 alcuni
concessionari Renault furono revocati dalla casa madre sulla base della facoltà
di recesso ad nutum previsto dall’art. 12 del contratto di concessione. La
sentenza della corte di appello che, riteneva assorbente la previsione della
facoltà di recesso ad nutum rispetto alla necessità di qualsivoglia controllo
causale sull’esercizio di tale potere, viene riformata dalla S.C. sulla base delle
considerazioni per cui: a) Il controllo e l’interpretazione dell’atto di autonomia
deve tener presente le posizioni delle parti al fine di valutare se posizioni di
supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza anche economica dell’altra
siano stati forieri di comportamenti abusivi posti in essere per raggiungere i
fini che la parte si è prefissata; b) ciò deve avvenire in funzione del
contemperamento degli opposti interessi attraverso un controllo ispirato a
canoni di ragionevolezza onde valutare la proporzionalità dei mezzi usati,
specie l’esercizio del diritto di recesso; c) il controllo sull’atto si spinge a
valutare se il recesso sia stato attuato con modalità e per perseguire fini diversi
ed ulteriori rispetto a quelli consentiti; d) nel caso di una provata disparità di
forze tra i contraenti, la verifica giudiziale deve essere più ampia e rigorosa e
può prescindere dall’intenzione di nuocere, elemento tipico dell’atto emulativo,
ma non delle fattispecie di abuso contrattuale o di dipendenza economica; e) E’
conseguentemente irrilevante e superfluo l’applicazione analogica della legge
di protezione (art. 9 L. 192/9822) e della normativa di rapporti tipici quale
20
Osserva in proposito DI MAJO, Corr, giur. 2005: Quid iuris in tale contesto, del potere officioso o no del giudice?
Ebbene, si dovrà riconoscere che si rinvengono più argomenti a favore del potere non officioso del giudice anziché
dell'altra alternativa. Non si tratta tanto di insistere sul rispetto della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112
c.p.c.) né sull'interesse qui fatto valere che si assume (essere) del debitore gravato dalla penale quanto sul fatto che,
ricorrendo il principio della "inesigibilità" di una pretesa creditoria, perché ritenuta "manifestamente eccessiva" avuto
riguardo all'interesse del creditore (o all'ammontare del danno nei Principi Unidroit), a sollevare l'eccezione, e ad essere
giudice della sua convenienza, non può non essere che il soggetto che di quella "inesigibilità" intende avvalersi.
Ciò non costituisce alcuna deroga al principio della indisponibilità del rimedio ma soltanto affermazione del principio
che l'attivazione di esso non può aver luogo ope judicis, in ragione dei limiti intrinseci che incontra il potere del giudice
al di là delle ipotesi di invalidità delle clausole. Ove ciò sia stato eccezionalmente riconosciuto, come nel caso delle
clausole vessatorie ove "l'inefficacia può essere rilevata di ufficio dal giudice" (art. 1469 quinquies, comma 3 c.c.) è
perché si è ritenuto che il giudice fosse investito di una sorta di tutela del contraente più debole, sostituendosi alla
eventuale carente iniziativa di esso. Ma comunque, anche in tal caso, è all'interesse concreto del consumatore che
occorre aver riguardo quale limite all'intervento ex officio del giudice E' evidente che tale situazione non ricorre nel
caso della clausola penale ove si assume che i contraenti siano in posizione paritaria
21
Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto sogliono essere indicati: 1) nella titolarità di un diritto soggettivo in capo
ad una delle parti contrattuali; 2) nella possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo
una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) Nella circostanza che tale esercizio concreto, anche se
formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un
criterio di valutazione, giuridico o extragiuridico; 4) nella circostanza che, a causa di tale modalità di esercizio, si
verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto e il sacrificio della controparte.
L’abuso è espressamente previsto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (entrato in vigore
l’1.12.2009), che, all’art. 54, dispone: “Nessuno può esercitare un diritto o compiere un atto che miri a distruggere
diritti o libertà riconosciute né può imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle riconosciute nella Carta”
22
Art. 9. - Abuso di dipendenza economica
1. E' vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei
loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un impresa sia in
grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La
20
l’agenzia o la concessione di vendita. Cass. 30057/08: Il contribuente non può
trarre indebiti vantaggi fiscali dall’uso distorto, pur se non contrastante con
alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio fiscale in difetto di ragioni economiche apprezzabili, in forza di un
generale principio antielusivo desumibile dalle norme costituzionali della
capacità contributiva (art. 53 comma 1) e della progressività dell’imposizione
(art. 53 comma 2). Si osserva in dottrina23 che l’abuso racchiude giudizi, criteri
e regole diverse fra loro: reprime contegni illeciti e richiama la teoria del torto
aquliano, reprime intenti elusivi attraverso la sanzione della nullità, sanziona
distorsioni della concorrenza, si sovrappone alla buona fede duplicando il
contenuto precettivo della clausola. Il principio generale è quello per cui
l’abuso di una posizione di forza e la debolezza di una parte non sono
sufficienti per l’elimanzione dell’atto, salvo espresse disposizioni (artt. 33 e 34
cod. cons.)
10)
La giurisprudenza “in controdendenza – a) Cass. ss. uu. 24772/08: In
tema di azioni esercitabili dal mandante nell'ipotesi di mandato senza
rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regolaeccezione, nel senso che, secondo la regola generale (art. 1705, primo comma
cod. civ.), il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli
atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante, mentre
costituiscono eccezioni le disposizioni, tanto sostanziali quanto processuali,
che prevedono l'immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte
del mandante, con conseguente necessità di stretta interpretazione di queste
ultime e dell'esclusione di qualunque integrazione di tipo analogico o
estensivo, nell'ottica della tutela della posizione del terzo contraente. Ne deriva
che l'espressione "diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato" (art.
1705, secondo comma, cod. civ.), che accorda al mandante pretese dirette nei
confronti del terzo contraente, va circoscritta all'esercizio dei diritti sostanziali
acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela
(annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno). Cass. ss. uu.
553/09: In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a
titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia
agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno,
dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di
reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni
contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in
atto.
3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente
conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei
danni.
3-bis. Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della
concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della
concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed
esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287,
nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso.
23
VETTORI, L’abuso del diritto, Obblig. e contr. 2010.
21
costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere
la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o
pagamento del doppio), avuto riguardo - oltre che alla disomogeneità esistente
tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed
all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la
domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una
liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare
l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla
parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per
ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito - in contrasto
con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di
abuso processuale - di modificare la propria strategia difensiva, quando i
risultati non corrispondano alle sue aspettative; Cass.ss. uu. 7930/08: Nella
promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della
stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti
traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si
fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al
contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la
relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile
esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad
usucapionem", salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio
possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141 cod. civ.; Cass. ss. uu. 3947/010:
Garantievertrag e polizza fideiussoria, con particolare riguardo
all’interpretazione delle clausole “a prima richiesta e senza eccezioni”.
IV – LA RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE24
La ragioni del rinnovato interesse e della rinnovata attualità della materia della
responsabilità extracontrattuale (che si colloca nel più ampio processo di
valorizzazione del “diritto dei rimedi”) sono, oggi, dovute al rinnovato interesse per
vicende sempre più attentamente scandagliate dalla giurisprudenza di legittimità e di
merito: la responsabilità per mancata conclusione del contratto, quella per la
conclusione di un contratto invalido o inefficace, quella, infine, per violazione di un
obbligo di informazione.25 Peculiare è poi il campo del recesso ingiustificato dalla
trattativa, che, secondo alcuni, dovrebbe essere limitato alle condotte più gravi26,
secondo altri dovrebbe essere applicata fino a consentire alla parte incolpevole il
risarcimento commisurato addirittura al proprio interesse positivo27.
24
In argomento, funditus, AFFERNI, Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale, Torino, 2008.
La nascita di uno studio sistematico della responsabilità precontrattuale si fa coincidere con il lavoro di G.
FAGGELLA, Dei periodo precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, Napoli, 1906
26
BENATTI, La responsabilità precontrattuale. In Germania, è stata oggetto di codificazione (§311 BGB) in occasione
della recente riforma del diritto delle obbligazioni.
27
GALLO, La responsabilità precontrattuale: il quantum, Riv. Dir. Civ. 2004, I, 492.
25
22
Dibattuto, sul piano morfologico, è tutt’ora il tema della natura della responsabilità
precontrattuale, problema tecnicamente irrisolvibile: se da una parte l’art. 2043
consente di discorrerne in termini di extracontrattualità, è pur vero che il principio
della atipicità delle fonti dell’obbligazione rende “aperta” la soluzione in entrambe le
direzioni28.
Il problema, che si pone soprattutto ai fini prescrizionali, potrebbe tra breve divenire
inattuale, attesa la tendenza di tutti gli ordinamenti europei, e di quello
sovranazionale, a non differenziare più tra i vari tipi di prescrizione. In questo caso, la
questione diverrebbe “soltanto una questione di gusto”29, anche se resta aperta la
questione sull’applicabilità dell’art. 1225 c.c. sulla limitazione del risarcimento alla
prevedibilità del danno.
La giurisprudenza è comunque quasi unanimemente attestata sul fronte della
extracontrattualità30, e la stessa corte di Giustizia31 ha affermato la natura
extracontrattuale di tale responsabilità per recesso ingiustificato dalla trattativa32.
La giurisprudenza si è occupata in larga misura dell’istituto con riguardo al recesso
ingiustificato dalla trattativa, individuando tre presupposti:
a) la mancanza di una giusta causa di recesso;
b) la ragionevolezza o meritevolezza dell’affidamento della controparte;
c) la prova di un danno risarcibile.
L’idea che questo tipo di responsabilità sia fondato sulla colpevolezza del recedente
(culpa in contraendo) è, ad una più attenta analisi, non del tutto appagante33. Più
opportuno sarebbe distinguere la responsabilità da recesso ingiustificato, di tipo
oggettivo, da quella per fallimento della trattativa, fondata, viceversa, sulla presenza
di dolo o di colpa34.
28
Nel senso che la r.p. abbia natura autonoma e costituisca un tertium genus, SACCO, Culpa in contraendo e culpa
aquliana, Riv. Dir. Comm. 1951, II, 86.
29
BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1953.
30
Cass. 15040/04: La responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall'art.
1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio costituisce una forma di responsabilità
extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Ne consegue che,
qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati (come nella specie) dal recesso ingiustificato di una parte
(in un contesto connotato dall'affidamento dell'altra parte nella conclusione del contratto), grava non su chi recede la
prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra
parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma "de qua".
31
In causa 334/00 del 17.9.2002, Tacconi.
32
Sostiene invece la natura contrattuale della responsabilità AFFERNI, cit., sviluppando la tesi del contatto sociale, con
conseguente applicazione della norma sulla prevedibilità del danno e di quella sulla prescrizione decennale.
33
Cfr. Cass. 9157/1995: La responsabilità precontrattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dall'art.
1337 cod. civ. - a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo
buona fede - costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si riconnette alla violazione della regola di
condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell'iter di formazione del contratto, cosicché la sua sussistenza, la
risarcibilità del danno e la valutazione di quest'ultimo devono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056,
tenendo, peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell'illecito in questione. Ne consegue che - essendo l'elemento
soggettivo richiesto dall'art. 2043, quale componente necessaria del fatto illecito, implicito nella violazione dell'obbligo
di comportamento secondo buona fede, quanto meno sotto il profilo della colpa -, una volta accertato l'obiettivo
contrasto tra il comportamento dell'agente e l'obbligo di correttezza imposto dall'art. 1337, non occorre, per
l'accertamento della responsabilità precontrattuale, la verificazione di un particolare comportamento oggettivo di
malafede, né la prova dell'intenzione di arrecare pregiudizio all'altro contraente, perché sussista l'elemento psicologico
necessario ex art. 2043
34
PATTI, che non riconosce, peraltro, natura oggettiva alla prima delle due forme. AFFERNI, cit.
23
La responsabilità per fallimento della trattativa opera durante tutta la sua fase e,
fondandosi sulla prova del dolo o della colpa, ha la funzione di scoraggiare condotte
illecite o maliziose, restando irrilevanti, per converso, comportamenti non
caratterizzati da tale elemento soggettivo, poiché, in tal caso, ciascuna parte agisce a
proprio rischio35.
La responsabilità oggettiva per recesso ingiustificato opera invece, sul piano
oggettivo, nel più limitato campo della ormai avvenuta determinazione di tutti gli
elementi essenziali del futuro contratto, quando, cioè si sia raggiunto la certezza
pratica della sua realizzazione (quando, cioè la fase della trattativa vera e propria si
sia ormai esaurita), onde la ristrettezza del suo campo di applicazione (oltre che la sua
rigorosa limitazione all’interesse negativo) bilancia l’oggettività della regola
operazionale.
La differenza si coglie anche sul piano dell’affidamento: la parte ha diritto a riporre
il proprio affidamento nel comportamento corretto (inteso come assenza di dolo o
colpa) della controparte durante la trattativa, nonché diritto a riporre affidamento
nella futura conclusione del contratto.
La responsabilità per fallimento della trattativa fondata sulla colpevolezza può
avvenire:
a) quando la parte avvia una trattativa senza intenzione di portarla a termine36;
b) quando si induca la controparte, per leggerezza o scarsa professionalità, a
ritenere che le probabilità di concludere il contratto siano assai maggiori,
inducendola a sostenere delle spese;
c) quando si sia deciso di abbandonare una trattativa omettendo negligentemente
di darne avviso alla controparte37.
La responsabilità oggettiva da recesso opera invece quando, individuati e
determinati tutti gli elementi essenziali del futuro contratto, le parti abbiano raggiunto
la certezza pratica della sua conclusione38. In questo caso, depurata dalla necessità
35
Cass. 15040/04: Non è legittimamente configurabile un'ipotesi di responsabilità precontrattuale tutte le volte in cui la
rottura delle trattative e la mancata conclusione del contratto siano state in anticipo programmate, e costituiscano,
pertanto, l'esercizio di una facoltà legittima da parte del recedente
36
Cass. 2521/1968: la convenuta aveva indotto la controparte ade seguire lavori di straordinaria manutenzione su
ll’immobile di sua proprietà facendo credere che la locazione sarebbe stata rinnovata pur avendo accordi per affittarlo
ad un terzo
37
Cass. 12313/05: La responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle
trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della
buonafede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art.
2043 cod.civ.; in particolare, se non è configurabile una responsabilità precontrattuale, per violazione del dovere di
correttezza di cui all'art. 1337 cod.civ. rispetto al procedimento amministrativo strumentale alla scelta del contraente,
essa è configurabile con riguardo alla fase successiva alla scelta, in cui il recesso dalle trattative dell'ente è sindacabile
sotto il profilo della violazione del dovere del "neminem laedere", ove sia venuto meno ai doveri di buona fede,
correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del
contratto. Spetta al giudice di merito accertare se il comportamento della P.A. abbia ingenerato nei terzi, anche per mera
colpa, un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito, che aveva ritenuto la responsabilità precontrattuale della P.A. in un caso in cui, con la delibera
dell'amministrazione provinciale, si era conclusa la fase di scelta del contraente a favore del quale era stato riconosciuto
un finanziamento provinciale per realizzare un servizio pubblico di trasporto aereo, e si era anche posto in essere l'atto
preparatorio della futura convenzione tra l'ente territoriale e il suddetto contraente).
38
Cass. 1632/2000, in un caso di rinnovo del contratto di locazione dato per certo, con la sola determinazione del
canone rinviata a nuovo accordo; Trib. Napoli 3877/84, in caso di accordo raggiunto oralmente per la vendita di un
immobile, con pagamento del prezzo, modifica del bene nell’interesse dell’acquirente e immissione in possesso
24
dell’elemento soggettivo, il limite della responsabilità sarà l’assenza di giusta causa,
che diversamente da quanto opinato dalla giurisprudenza (Cass. 15040/04, cit.) non
dovrebbe essere provata dalla parte che ha subito il recesso, bensì dal recedente,
trattandosi di un elemento costitutivo del fatto impediente, ovvero di un’eccezione in
senso stretto, cui applicare, oltretutto, il principio di vicinanza della prova). In
quest’alveo dovrebbe essere, pertanto, ricompresa:
1) l’ipotesi della ricezione di un offerta più conveniente39, in relazione alla quale
le resistenze della dottrina e della giurisprudenza a qualificare tale
comportamento come contrario a buona fede derivano dalla attribuzione a tale
locuzione di un contenuto di colpevolezza. Conferma in tal senso potrebbero
individuarsi nell’art. 1328 c.c. (revoca della proposta, con responsabilità di tipo
oggettivo, e obbligo di indennizzo di spese e perdite in caso di esecuzione del
contratto in buona fede), anche se la norma discorre di indennizzo e non di
risarcimento, onde la differenziazione con l’art. 1337 c.c.
2) La mancata conclusione di un contratto formale, che può essere ricostruita o ex
art. 1338 c.c., affermando che la nullità dell’accordo orale non poteva non
essere conosciuta dalla controparte, che per questo non merita protezione, o
ritenendo che nessun contratto si è mai concluso, e ingiustificato il recesso ex
art. 1337 c.c.40
3) L’accordo per determinare un elemento essenziale (agreements with open
terms): sono i casi del contratto di locazione41 con rinnovo alla scadenza salvo
pattuizione del nuovo canone, del contratto di società, con omissione del tipo
sociale o della misura del capitale42, della compravendita immobiliare avente
ad oggetto una parte di fondo da specificare in seguito43.
Il danno risarcibile – Si distingue, in proposito, tra interesse negativo, che consiste
nel mettere la parte in una posizione equivalente a quella in cui si sarebbe trovata se
non avesse cominciato la trattativa, e interesse positivo, che colloca la parte nella
stessa posizione in cui si sarebbe trovata se il contratto fosse stato concluso.
All’interno di queste due categorie risarcitorie, esistono due sottovoci di danno, il
danno emergente e il lucro cessante, che appartengono, entrambe, a ciascuna di esse.
Se il risarcimento viene commisurato all’interesse negativo, danno emergente
saranno le spese sostenute durante la trattativa, e il lucro cessante consisterà nelle
39
Contraria, ma solo in apparenza, Cass. 1499/1971, ove la irrisarcibilità del danno era stata motivata con il lungo
periodo trascorso pèrima della stipula del contratto di compravendita per il quale era stato raggiunto un accordo orale su
tutti gli elementi essenziali
40
Cass. 23289/06:
41
Cass. 1632/00: Nella materia della responsabilità precontrattuale il pregiudizio risarcibile è circoscritto nei limiti
dello stretto interesse negativo (contrapposto all'interesse all'adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente
sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la
stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso. Consegue che la disposizione di cui all'art.
1337 cod. civ. non può essere invocata per il risarcimento dei danni che si sarebbero evitati e dei vantaggi che si
sarebbero conseguiti con la stipulazione ed esecuzione del contratto (nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che, a seguito dell'accertata "culpa in contrahendo" consistita nel rifiuto di concludere il contratto di locazione
dell'immobile, aveva commisurato il danno alla perdita dell'avviamento commerciale collegata al trasferimento
dell'azienda in altri).
42
Trib Milano 4.6.2003, in Giuri t. 2003, 1874.
43
Cass. 3677/1975.
25
occasioni alternative perdute nel corso della trattativa. Se il danno viene commisurato
all’interesse positivo, danno emergente sarà il valore di mercato della prestazione
non eseguita e il lucro cessante consisterà nei profitti ulteriori che si sarebbero
realizzati inserendo la prestazione non conseguita nella propria organizzazione. Un
esempio chiarisce la differenza: il compratore conclude praticamente una
compravendita di un bene a lui necessario per 1 milione, fissando la data del
preliminare. Nelle more, il compratore rifiuta un’offerta di un bene analogo per 1
milione 200.000. Il venditore vende l’immobile ad un terzo. Il compratore ne acquista
un altro per i milione 500.000. Il risarcimento dell’interesse positivo presupporrebbe
il riconoscimento della somma di 500.000, cioè l’equivalente della situazione in cui il
compratore si sarebbe trovato se il contratto fosse stato concluso (salvo prova del
maggior danno da mancato inserimento tempestivo nella propria organizzazione). Il
risarcimento dell’interesse negativo da danno emergente, invece, si limita a 300.000,
cioè la differenza tra l’occasione perduta e l’esborso concretamente compiuto. Il
compratore dovrà, cioè, dimostrare di aver trascurato un contratto più conveniente di
quello poi in realtà concluso in seguito, mentre la prova di aver trascurato un
contratto altrettanto o più conveniente rispetto a quello non concluso dovrà essere
data nel caso in cui, in seguito, nessun altro contratto è stato realmente stipulato
(come sostenuto dalla giurisprudenza senza, peraltro, distinguere tra le due
fattispecie)44. La prova del mancato guadagno, invece, richiede la certezza dell’affare
alternativo non andato a buon fine e la valutazione generalmente equitativa del
quantum45.
La responsabilità precontrattuale e la P.A. La responsabilità della P.A. è
frammentata in diversi tipi, prevedendosi una risarcibilità extracontrattuale
dell’interesse positivo ed una risarcibilità precontrattuale dell’interesse negativo.
Casi paradigmatici sono:
- L’esclusione di un contraente da una gara;
44
Cass. 8778/1994: Ai sensi degli artt. 1337 e 1338 cod. civ. nell'ipotesi di responsabilità precontrattuale i danni
risarcibili sono riconosciuti nei limiti del cosiddetto interesse negativo ("id quod interest contractus initum non fuisset")
e comprendono le spese sostenute in previsione della conclusione del contratto, nonché le perdite sofferte per non avere
usufruito di ulteriori occasioni per la mancata conclusione di un altro contratto dello stesso oggetto, altrettanto o più
vantaggioso di quello concluso.
45
Atipica, in proposito, risulta Cass. 2525/06: L'obbligo di risarcire il maggior danno, posto dall'art. 1591 cod. civ., a
carico del conduttore in mora nella riconsegna della cosa locata, presuppone la specifica prova di una effettiva lesione
del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto utilizzare direttamente e tempestivamente il bene, nella
perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe situazioni pregiudizievoli, la cui prova
incombe al locatore, tenuto a dimostrare l'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto e di concreti
propositi di utilizzazione. Il canone convenuto costituisce, quindi, solo il parametro di riferimento per la quantificazione
del danno minimo da risarcire, poichè, versando il relativo importo, il conduttore che continua ad occupare l'immobile
dopo la cessazione del contratto non adempie all'obbligazione di "dare il corrispettivo nei termini convenuti" (ai sensi
dell'art. 1587, n. 2, cod. civ.), bensì risarcisce un danno da mora, così adempiendo ad un'obbligazione risarcitoria che si
sostituisce a quella contrattuale. Ne consegue che, vertendosi in tema di risarcimento del danno, ed essendo il
risarcimento correlato al danno effettivamente subito, l'importo dovuto dall'occupante, non più a titolo di canone, ma di
risarcimento per la protratta occupazione, deve essere correlato al periodo di effettiva occupazione.
Nella specie, un comune aveva continuato ad occupare senza titolo un immobile nonostante si fosse offerto di rinnovare
il contratto a canone maggiorato. Il risarcimento, in questo caso, viene commisurato all’interesse positivo, in probabile
applicazione del principio del non venire contra factum proprium, avendo il comune stesso riconosciuto la legittimità
dell’aumento del canone in sede di trattative.
26
- L’annullamento di una gara prima o dopo il provvedimento di
aggiudicazione;
- La revoca del provvedimento di aggiudicazione disposto prima della
conclusione del contratto46
La distinzione tra provvedimento illegittimo, fonte di responsabilità
extracontrattuale, e provvedimento legittimo dannoso, generatore di responsabilità
precontrattuale47
Nel provvedimento legittimo dannoso, è legittimo l’atto, ma illecita la condotta della
P.A. (annullamento di una gara per mancanza di fondi – omesso avviso al
vincitore48).
Fattispecie di responsabilità oggettiva della PA per adozione di provvedimento
legittimo dannoso sono:
- L’art. 21 quinquies della legge 241/90, introdotto dalla legge 15/05, che la
obbliga ad un indennizzo;
- L’art. 13 comma 8 del DL 7/07, che specifica come l’indennizzo sia
parametrato al solo danno emergente;
- L’art. 11 del codice dei contratti pubblici, secondo cui, decorssi 60 giorni
dall’aggiudicazione, il privato può recedere con indennizzo per le sole spese
contrattuali e le spese sostenute per l’eventuale esecuzione anticipata della
prestazione.
Se il recesso dalla trattativa sia illegittimo, il concorrente che aveva ottenuto
l’aggiudicazione dell’appalto può pretendere, se ne sussistono i presupposti, che la
PA dia esecuzione al contratto (Corte di Giustizia 18.6.2002, causa C-92/00). Questa
la fondamentale differenza (interesse positivo-interesse negativo) tra recesso
illegittimo della PA da una trattativa ad evidenza pubblica e recesso dalla trattativa di
diritto comune.
V – IL DANNO NON PATRIMONIALE DA INADEMPIMENTO49
1) INTRODUZIONE - Il danno non patrimoniale contrattuale (che meglio andrebbe
definito “da inadempimento”, dacché scaturente dal mancato rispetto di un
preesistente rapporto obbligatorio intercorrente tra le parti) è ormai destinato, dopo la
sentenza 26972/08 delle sezioni unite della corte di cassazione, a calcare le scene
della responsabilità civile con effetti potenzialmente non meno dirompenti di quelli
che, dal 2003 ad oggi, hanno caratterizzato il danno extracontrattuale alla persona.
Ripercorrere tappe di percorsi ormai storici del danno non patrimoniale offre,
all’uopo, utili spunti di riflessione sulla questione del risarcimento del danno da
46
Art. 11 comma 7 del codice dei contratti pubblici, secondo cui il contratto non si conclude con l’aggiudicazione
dell’appalto, ma almeno 30 giorni dopo la comunicazione dell’aggiudicazione agli interessati (10 giorni secondo la
direttiva 2007/66 CE
47
Cons. Stato, Ad. Plenaria n. 6 del 2005; Cons Stato 6137/07.
48
Cons. Stato 1457/03
49
In argomento, funditus, si veda il recente e approfondito lavoro di V. TOMARCHIO, Il risarcimento del danno non
patrimoniale da inadempimento, in Corriere del merito 1/2008 (Rassegna monotematica) , pp. 5 ss.
27
inadempimento, essendosi ormai compiutamente delineata la nozione di danno non
patrimoniale risarcibile, ed essendosi ormai riconosciuto pieno diritto di cittadinanza
alla fattispecie al massimo livello giurisprudenziale.
2) LA TESI CONTRARIA - Va in premessa ricordato come la legittimità di un
risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento sia stata, in passato, quasi
concordemente negata in dottrina e in giurisprudenza facendo leva sulla natura
patrimoniale della prestazione, sulla patrimonialità degli interessi scaturenti dal
contratto ex art. 1321 c.c.50 (Cass. 19769/2003; 1307/2000; 473/1989; ss. uu.
2981/1984), sulla regola della irrisarcibilità dei danni imprevedibili.
L’insuperabile ostacolo della natura patrimoniale della prestazione51 così come
sancita dall’art. 1321, sarebbe poi ulteriormente confermata, secondo l’orientamento
tradizionale, dalla limitazione della “tipologia” del risarcimento, ex art. 1223, al
danno emergente e al lucro cessante.52 Dal suo canto, l’art. 2059 c.c. – unica
disposizione espressa del nostro ordinamento funzionale a disciplinare le ipotesi di
danno non patrimoniale – sarebbe inidonea a fondare una “teoria del danno non
patrimoniale contrattuale” attesa la sua stessa sedes materiae, mancando una
relazione “biunivoca” di richiamo delle norme risarcitorie in ambito contrattuale
analoga a quella di cui all’art. 2056.
Alla dottrina tradizionale che escludeva tout court, in ragione di tale interpretazione
di tipo sistematico, la risarcibilità di tale danno si affiancava poi (in epoca anteriore,
peraltro, al 2003) quella, meno restrittiva, che circoscriveva alle sole ipotesi di
inadempimento-reato53 le possibilità di risarcimento del danno non patrimoniale
contrattuale.54
Merito di tale orientamento più restrittivo è stato peraltro quello – che torna oggi di
grande attualità – di aver segnalato una esigenza di coerenza interna al sistema, in
quanto il riconoscimento della risarcibilità del danno da inadempimento avrebbe
condotto ad una maggiore estensione di tale area rispetto a quella del danno non
patrimoniale (ancora vincolato alla riserva di legge ex 185 c.p.): non poteva
concepirsi che l’ordinamento riconoscesse illimitata risarcibilità al danno contrattuale
rispetto alla più grave fattispecie di illecito aquiliano.
3) LA TESI DEL CUMULO – Il problema è stato a lungo aggirato dalla
giurisprudenza ricorrendo alla teoria del concorso tra azione contrattuale ed
extracontrattuale, estendendo un orientamento formatosi essenzialmente in materia di
50
Sotto il vigore del codice abrogato, CHIRONI, La colpa contrattuale, Torino 1897.
Così, nel vigore del codice del 1865, CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno – la colpa contrattuale, Torino
1897, 567
52
La recente riforma dello Schuldrecht ha introdotto una disciplina unitaria per i danni, patrimoniali e non patrimoniali,
derivanti tanto da responsabilità contrattuale che da illecito aquiliano: CIAN, La riforma del BGB in materia di danno
immateriale e di imputabilità dell’atto illecito, Riv. Dir. civ. 2003, I, 125.
53
In proposito, si suole distinguere tra “reati-contratto” e reati in contratto”: LIBERATI, I reati-contratto e in contratto,
Roma, 1998
54
BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano 1983, 215; ZENO ZENCOVICH, Danni non patrimoniali e
inadempimento, Milano 1984, 116; ID., Interesse del creditore e danno contrattuale non patrimoniale, Riv. Dir. comm.
1987, 77; BUSNELLI, Interesse della persona e risarcimento del danno, Riv. Trim. dir. proc. civ. 1996, 1 ss;
SCOGNAMIGLIO, Il danno morale, Riv. Dir. civ. 1957, I, 313; CENINI, Risarcibilità del danno non patrimoniale da
vacanze rovinate, Riv. Dir. civ. 2007, 5, 639, secondo il quale la regola generale della irrisarcibilità dei danni in parola
sarebbe legata alla irrisarcibilità dei danni imprevedibili.
51
28
trasporto e di lavoro (Cass. ss. uu. 8459/1995 e 4441/1987), anche se la più attenta
dottrina si è dichiarata contraria alla teoria del cumulo,55 difficile da giustificare sul
piano dogmatico.
In realtà, la teoria del cumulo non diverge nella sostanza dalla teoria negatrice, in
quanto collega pur sempre all’art. 2059 c.c. il presupposto della risarcibilità,
collocandolo, in definitiva, in area extracontrattuale sia sotto il profilo morfologico
che funzionale.
4) LA TESI FAVOREVOLE - Essa prende le mosse dalla nuova lettura, svincolata
dai limiti di legge, che la corte di cassazione e la corte costituzionale hanno operato,
nel 2003, con riferimento all’art. 2059. Da quella interpretazione nascerebbe, dunque,
una esigenza di coerenza interna dell’intero sistema risarcitorio del danno non
patrimoniale, poiché l’orientamento volto a sanzionare la lesione di interessi/valori
costituzionalmente protetti non può trovare ostacolo nella fonte (contrattuale o
extracontrattuale, ma comunque soltanto legislativa) generatrice del vulnus
lamentato.56 La norma in parola avrebbe pertanto assunto il ruolo di disposizione di
chiusura del sistema, generalmente applicabile a tutte le fattispecie di danno non
patrimoniale,57 anche se, in senso contrario, non si è mancato di osservare che il
legislatore, con l’art. 2059, ha voluto espressamente riferirsi ai soli danni aquiliani,
così che la norma, nella sua nuova interpretazione, può valere soltanto come
riferimento indiretto di una nuova tendenza ad ampliare per quanto possibile la tutela
delle situazioni giuridiche non patrimoniali, mentre l’individuazione del referente
normativo diretto del principio della risarcibilità del danno contrattuale andrebbe
cercato altrove.
Importante “indice” normativo diviene allora l’art. 1174, dettato in tema di interesse
(anche) non patrimoniale del creditore,58 da interpretarsi in senso evolutivo (non v’è
dubbio che la sua interpretazione soltanto storica condurrebbe a risultati diversi) nel
senso che l’inadempimento di una prestazione patrimoniale può riverberarsi anche su
interessi del creditore non suscettibili di valutazione economica.
La rilevanza di tale categoria di interessi deve essere, peraltro, sempre subordinata
alla circostanza che essi abbiano influito sulla stipulazione negoziale e sulla relativa
determinazione contenutistica,59 onde essere ricompresi nella sfera “di protezione”
costituita dagli obblighi accessori da eseguirsi secondo buona fede, alla luce di
55
RUSSO, ASQUINI, MONATERI.
FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano, 2004; NAVARRETTA-POLETTI, I danni non patrimoniali, Milano 2004,
59 ss.; PETTI, Il risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale, Torino 1999. Sotto il vigore del codice
abrogato, in dottrina, DALMARTELLO, Danni morali contrattuali, Riv. Dir. civ. 1933, 53., e, in giurisprudenza, Trib.
Milano 12.6.1909, in Giur. it. 1909, I, 1, 583, per una fattispecie di responsabilità di una clinica ritenuta colpevole del
suicidio di un paziente con ritardo mentale e conseguente liquidazione dei danni morali alla famiglia sul presupposto
della prevedibilità del danno.
57
DE CUPIS, Il danno, Milano, 1979, I, 127; RUSSO, Concorso dell’azione aquiliana e contrattuale nel contratto di
trasporto, Riv. Trim. dir. proc. civ. 1950, 971, NAVARRETTA-POLETTI, cit. 64
58
In argomento, funditus, CIAN, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione, Riv. Dir. civ. 1968, 201 ss.;
MAZZAMUTO, Il contratto e le tutele, Torino 2002, 470. Contrarie alla assunzione dell’art. 1174 come parametro
generale e norma “fondante” un criterio generale di risarcibilità NAVARRETTA-POLETTI, cit.
59
COSTANZA, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, Riv. Crit. Dir. priv. 1987, 128, secondo il quale,
non potendo applicarsi l’art. 2059 c.c., l’individuazione dei limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale da
inadempimento deve fondarsi sulle stesse norme dettate in materia di obbligazioni.
56
29
un’indagine ermeneutica da compiersi caso per caso, con gli strumenti offerti
dall’istituto della presupposizione o, meglio ancora, della causa concreta.60 Occorre,
cioè, che gli interessi patrimoniali attengano all’an della stipulazione, e non siano
rimasti confinati nella sfera dei motivi individuali.
La delimitazione dell’ambito di risarcibilità dei danni non patrimoniali contrattuali
diviene allora un problema di prevedibilità di tali danni al momento del sorgere del
rapporto obbligatorio ai sensi del combinato disposto degli artt. 1225 e 1174 c.c.
La teoria dell’applicazione analogica dell’art. 2059 rivisitato dal 2003 in poi, difatti,
non tiene nel debito conto la circostanza che tale norma ha funzione di chiusura di
sistema della categoria del danno aquiliano: è l’art. 2056 che richiama le norme
contrattuali in seno all’illecito extracontrattuale e non viceversa, e l’art. 2059 può
servire soltanto come vicenda interpretativa “indiretta” funzionale a dimostrare come
la tendenza attuale sia quella di ampliare per quantom possibile l’area del danno alla
persona.
L’attenzione si sposta allora sulla norma di cui all’art. 1218, e sulla necessità di una
interpretazione “parallela”, nell’orientamento costituzionale, a quella compiuta per
l’art. 2059. Nell’art. 1218, difatti, non si rinviene alcuna limitazione circa la natura
del danno risarcibile, anche se l’originaria formulazione della disposizione
interpretata sul piano storico indurrebbe a ritenere il mancato guadagno e la perdita
riferibile, nell’intento del codificatore, al solo danno patrimoniale.61 La lettura
“combinata” di questa norma con l’art. 1223 e con il 1174 consente, peraltro, di
ritenere che il concetto di “perdita” sia oggi idoneo a ricomprendere non soltanto il
danno patrimoniale, per effetto del perdurante processo di “personalizzazione” del
diritto privato62.
Ulteriore sforzo di interpretazione costituzionalmente orientata può rivolgersi al
disposto dell’art. 1453 c.c. che, nell’attribuire al contraente non-inadempiente, oltre
alla facoltà di risoluzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno, non
specifica, a sua volta, alcuna tipologia di danno risarcibile, e non esclude la
risarcibilità quando al mancato appagamento dell’interesse patrimoniale alla
prestazione si sia sovrapposto il peggioramento della sua condizione esistenziale, la
sua sofferenza morale, la lesione della sua integrità psico-fisica, il deterioramento
sella sfera areddituale rispetto alla situazione prefigurabile al momento della
conclusione del contratto63.
L’inapplicabilità in via analogica della norma di cui all’art. 2059 c.c. avrebbe allora
potuto condurre ad estendere il raggio dei danni risarcibili oltre i limiti della riserva
di legge in essa contenuti, onde ricomprendere, insieme con i diritti inviolabili
costituzionalmente protetti, tutti quegli interessi e valori inerenti alla persona del
creditore meritevoli di tutela in quanto iscritti nell’orbita della causa del contratto.
Così non è stato, avendo la sentenza 26972/2008 adottato un criterio ben più
60
SAPIO, Lesione della sfera psico-affettiva emotiva e responsabilità contrattuale, Giust. civ. 1998, 2043 ss.
In argomento, funditus, BONILINI, cit. 231, che critica la mentalità patrimonialistica che permea molte delle indagini
esegetiche delle norme.
62
DI MARZIO, Appunti in tema di locazione e danno esistenziale, Milano, 2004.
63
TOMORCHIO, cit. 18. Le osservazioni sono, ovviamente, precedenti alla sentenza 26972/08.
61
30
restrittivo dell’area del danno risarcibile, sostanzialmente trasponendo l’art. 2059 c.c.,
nella sua ultima e più circoscritta interpretazione, nell’area del danno contrattuale.
Il problema dei limiti alla risarcibilità avrebbe potuto invece gravitare intorno alle
regole, tutte interne al pianeta contrattuale, di cui agli artt. 1174, 1223, 1225, 1227
c.c., con particolare riguardo alla prevedibilità del danno: a volte per l’oggetto della
prestazione (il contratto di viaggio), a volte per la sua finalità (la custodia scolastica),
a volte per la diligenza richiesta (la prestazione diagnostica), fin dalla conclusione del
contratto entrambe le parti sono consapevoli della incidenza dell’inadempimento
nella sfera non patrimoniale del creditore: regole di causalità, di colpa e di
prevedibilità avrebbero potuto concorrere a creare un sistema “chiuso” di danno non
patrimoniale contrattuale.
Né può trascurarsi di considerare, infine, in un panorama di diritto sovranazionale,
che i recenti progetti di diritto europeo dei contratti sono espliciti nel riconoscere la
risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale nello specifico contesto contrattuale.64
5) LE SINGOLE FATTISPECIE:
a) Il lavoro – L’art. 2087 e l’art. 2103 hanno tipizzato gli illeciti datoriali: casi di
risarcimento sono stati attualmente individuati nel mobbing65/bossing66, nel
demansionamento/dequalificazione67; nella violazione del diritto al riposo
settimanale e annuale68; nel lavoro notturno69; nel trasferimento e licenziamento
illegittimo70; nell’illecita irrogazione o contestazione di sanzioni disciplinari; nelle
molestie sessuali
b) Gli insegnanti – Il danno cagionato dall’alunno a sé stesso, inquadrato nell’ambito
contrattuale da contatto sociale dalle sezioni unite della S.C. a composizione di un
contrasto di giurisprudenza71, viene ritenuto risarcibile anche sul piano non
patrimoniale.
c) La P.A. – anche la responsabilità della P.A., dopo la legge 241/1990, è stata
definita da contatto sociale con riferimento alla sua attività provvedimentale
nell’ambito di un procedimento amministrativo.72
d) La vacanza rovinata – La sentenza C/168-2000 del 12.3.2002 ha stabilito che “il
consumatore ha diritto al risarcimento anche del danno morale derivante
64
L’art. 9.501 dei principi di diritto europeo dei contratti stabilisce che il danno di cui può essere domandato il
risarcimento comprende: a) il danno non patrimoniale; b) il danno futuro ragionevolmente prevedibile. Per l’art. 7.4.2
dei principi Unidroit, il danno “può essere di natura non pecuniaria e comprendere la sofferenza fisica e morale. In
argomento, funditus, SCOGNAMIGLIO, Il danno non patrimoniale contrattuale – Il contratto e le tutele, cit. 467.
65
Inteso come maltrattamenti sul lavoro consistenti in condotte vessatorie reiterate e durature, individuali o collettive,
di natura orizzontale (tra colleghi) o verticale (dai superiori): individua una fattispecie di vero e proprio danno biologico
da mobbing inteso come sintomatologia psico-somatica che arriva pregiudicare le condizioni di salute Cass. 8438/2004.
66
Che consiste nella strategia aziendale adottata dal datore di lavoro finalizzata a provocare le dimissioni del lavoratore.
67
Ritenuti in violazione dell’art. 2103 c.c. (il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto) da
Cass. 12705/1995, 6856/2001, 11045/2004 e da Corte cost. 113/2004, letto in combinato disposto con gli artt. 1 e 2
Cost. E’ in relazione al danno da demansionamento che le sezioni unite nel 2006 operarono un formale riconoscimento
del danno esistenziale
68
Cass. 12763/1998, 9009/2001; Cass. 2569/2001
69
Cass. 9353/2005 che ha riconosciuto il risarcimento del danno biologico e morale ad un lavoratore ammalatosi di una
patologia neurologica
70
Cass. 9530/2002.
71
Cass. ss. uu. 9346/2002, Cass. 8067/2007.
72
Cons Stato 1945/2003 (ma l’orientamento non è univoco); Cass. 157/2003.
31
dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni da viaggio tutto
compreso”, che trova un fondamento normativo nell’art. 13 del D.lgs. 111/1995, oggi
trasfuso nell’art. 92 del codice del consumatore, ove si legge che “deve essere
risarcito ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto”73
e) La responsabilità medica – Rinvio.
VI – LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE
Premessa: Concetto ed evoluzione storica della responsabilità: dal criterio di
imputazione generale fondato sulla colpa (“l’unità del criterio misuratore è la colpa”:
Relazione n. 794 al codice) e sulla diligenza dell’uomo medio ai criteri “speciali” di
oggi, secondo il diritto vivente.
1) Dalle teorie sulla responsabilità “non colposa” alle fattispecie concrete:
– L’art. 18 del decreto del 1996 (oggi art. 15 del Decreto 196/2003) fa
riferimento all’art. 2050 per il trattamento dei dati personali.
– Gli artt. da 14 a 17 del decreto 70/2003 sugli internet providers
escludono a tutt’oggi la responsabilità oggettiva, ma l’art. 21 della
direttiva 31/2000 CE prevede un modello dinamico di responsabilità (e
discorre di “condizioni ulteriori per l’esonero da responsabilità in base
all’evoluzione tecnica”).
– La teoria bipolare dell’imputazione (colpa/responsabilità oggettiva ex
art. 2049, che elimina il concetto di culpa in vigilando e in eligendo) – Il
passaggio ad una teoria pluralistica tra dolo e responsabilità assoluta. Il
criterio unitario della responsabilità civile diviene allora quello
dell’ingiustizia del danno, mentre si amplia il ventaglio delle posizioni
soggettive tutelate e si elasticizza il criterio di valutazione del nesso
causale.
– Le fattispecie legali di responsabilità oggettiva – Legge mineraria (RD
1443/1927); Energia nucleare (L. 1860/1962); Oggetti spaziali (L.
23/1983); Codice della navigazione (artt. 965, 978, 844) – Il produttore e
il tour operator nel codice del consumo.
– Il problema della causalità nella responsabilità oggettiva – Essa diviene
l’unico filtro selettivo dell’imputazione, mancando il corrispondente
elemento soggettivo della colpa. Quali criteri, in tali casi, risultano
concretamente adoperabili? Dal “più probabile che non” alla “certezza”
processuale? La necessità della causalità del caso concreto.
2) Le fattispecie di responsabilità “non colposa”: analisi degli artt. 2047/2054 e
dell’art. 1681 in tema di trasporto (stessa dizione del 2050):
- artt. 2047/2048: “salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto”;
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Il primo riconoscimento in Italia si ebbe nel 1989, con la sentenza del 6 ottobre del tribunale di Roma. Di recente,
Trib. Roma 26.11.2003.
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-
art. 2050: prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno;
artt. 2051/2052: prova del fortuito;
art. 2053: prova del difetto di manutenzione o del vizio di costruzione;
art. 2054 comma 4: il difetto di costruzione o il vizio di manutenzione è criterio
di imputazione assoluto di responsabilità per il proprietario e per il conducente.
*
3) Criteri generali di responsabilità oggettiva: la teoria bipolare dell’imputazione
(Trimarchi) e la teoria “sinusoidale” come evoluzione da Entfremdung del
codice del 42 e delle leggi speciali, tra dolo e responsabilità assoluta.
L’evoluzione della RC porta ad ampliare le posizioni soggettive tutelate: dai diritti
assoluti alla tutela esterna del credito, agli interessi diffusi e di fatto (l’ambiente, il
familiare di fatto), ai diritti di relativi di godimento (locazione, comodato), agli
interessi legittimi, ai diritti meramente patrimoniali (la perdita di chance), e
specularmene ad elasticizzate i criteri causali (le norme sulla causalità hanno, difatti,
contenuto elastico/programmatico, e non definitorio, non rispondendo alla domanda
QUANDO / PERCHE?). Specularmente, si procede lungo il sentiero della necessaria
delimitazione del principio di risarcibilità illimitata di ogni danno: la teoria del
rischio tipico, il fortuito oggettivo, la causa non imputabile, il fatto del terzo e del
danneggiato.
*
4) La responsabilità degli incapaci ex art. 2047 c.c. - Fattispecie
La NATURA della responsabilità:
- indiretta
- diretta per fatto altrui
- diretta per fatto altrui e colpa propria
- diretta per fatto proprio colposo
- diretta con funzione di garanzia per i terzi (criterio di imputazione sostitutivo della
colpa)
- colposa da colpa presunta
Il CONTENUTO DELL’OBBLIGO DI SORVEGLIANZA:
- circostanze di tempo
- circostanze di luogo
- circostanze di ambiente
- circostanze di pericolo
SOGGETTI OBBLIGATI
Genitori, tutori, insegnanti
Il convivente di fatto e il nuovo coniuge del responsabile (Cass. 5306/94; 3142/81)
LA PROVA LIBERATORIA
Dimostrazione che il fatto si sarebbe comunque verificato: manca il nesso di causalità
tra omissione e danno (Cass. 5485/1997) ex art. 2047
L’INDENNITA’
Fattispecie di responsabilità oggettiva sussidiaria – valutazione comparativa delle
condizioni economiche delle parti – quantificazione dell’ammontare complessivo del
danno come parametro di riferimento.
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5) La responsabilità dei minori ex art. 2048 c.c.
CARATTERI GENERALI
La concezione funzionale del ruolo dei genitori ex artt. 147, 350 c.c., 30 Cost.
L’evoluzione del concetto di famiglia e i moderni criteri educativi
Il tipo di responsabilità: apparentemente colposa, nella sostanza paraoggettiva o
intermedia tra un sistema di colpa ed una basata sul fortuito
LA PROVA LIBERATORIA
Dalla prova negativa (non aver potuto impedire il fatto) alla prova positiva della
educazione e della sorveglianza
La giurisprudenza maggioritaria deduce la responsabilità dal fatto stesso del minore
(tesi della responsabilità per rischio tipico)
La prassi assicurativa degli altri paesi europei
LA COABITAZIONE
Il genitore separato: esclusa la responsabilità da Cass. 2195/79, ammessa da Cass.
5751/88
FATTISPECIE
a) il minore che cagiona danno a sé stesso: Cass. ss.uu. 9346/02 a composizione di un
contrasto – la natura contrattuale del rapporto scolastico (contra Cass. ss.uu. 997/73 e
Trib Bologna 19.3.2004, che applica l’art. 2043 - Trib. Torino 5.6.200874);
b) l’affidamento di fatto ad un terzo da parte dei genitori (Cass. 1148/05);
c) ferimento del minore nel cortile della scuola (Cass. 2272/05);
d) il concorso di colpa del minore che scende da un’auto (Cass. 2704/05);
e) minori e motorini (Cass. 4481/2001)
e) la legittimazione passiva ex art. 61 L. 312/80 (Cass. 6723/2005; contra Cass. ss.
uu. 9346/02 e Cass. 2839/05)
f) minore temporaneamente allontanatosi per motivi di lavoro (Cass. 7050/08)
f) la responsabilità solidale del co-responsabile non evocato nel giudizio in cui se ne è
accertata incidenter tantum la responsabilità concorrente
*
6) La responsabilità del preponente
GENERALITA’
Le origini storiche: dalla culpa in eligendo e in vigilando al rischio d’impresa
I presupposti dell’imputazione: la subordinazione – l’occasionalità necessaria
L’irrilevanza del superamento dei limiti dell’incarico/l’irrilevanza del dolo/la
cessazione del rapporto.
FATTISPECIE
a) l’intermediazione mobiliare (Cass. 6632/08; Cass. 8228/06; contra, Cass.
13529/09);
b) il danno cagionato dal dipendente della P.S. (Trib. Milano 30.9.2006);
c) l’automobile club (Cass. 10705/2001);
d) il concorso tra genitori del minore e datore di lavoro (Cass. 5957/2000);
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Danno e resp. 4/09, 425.
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e) il danno del dipendente ad automezzo della società (Cass. 11807/1995)
f) il danno del mandatario senza rappresentanza (Cass. 12945/1995)
7) La responsabilità per attività pericolose: art. 2050 c.c.
GENERALITA’
La norma viene introdotta come una novità del codice del 1942, e riguarda attività per
loro natura destinate a produrre danni con elevato grado di probabilità. La relazione
al codice la configurerà come forma intermedia di responsabilità tra colpa e r.
oggettiva
La dottrina meno recente si esprime in favore della teoria della colpa presunta, altri di
responsabilità soggettiva aggravata, altri infine di responsabilità oggettiva da rischio
oggettivamente evitabile
La giurisprudenza appare a sua volta divisa: Cass. 17851/03 è per la moderna
concezione di colpa oggettivata (mentre Cass. 3317/76 discorreva di culpa
lievissima); Cass. 7298/03 segue una teoria intermedia tra colpa e responsabilità
oggettiva, mentre Cass. 8457/04 assimila la fattispecie a quella ex art. 2051 c.c.
Di recente, è stata ritenuta attività pericolosa (Cass. 26516/09) l’attività di
produzione di tabacco (secondo il principio per cui la collettività può trarre
giovamento dall’addebito del costo del danno in capo al soggetto che, prima del suo
verificarsi, si presentava meglio attrezzato per evitarlo nel modo più conveniente,
secondo una cost/benefits analysis tipica dell’analisi economica della responsabilità
aquiliana)75, confermando altresì la natura oggettiva della responsabilità ex art. 2050
c.c.
L’attività pericolosa può essere tipica, perché prevista da specifiche disposizioni di
legge, e atipica, da accertarsi di volta in volta sulla base di una prognosi postuma.
Indici di pericolosità sono l’intrinseca natura dell’attività esercitata, i mezzi
impiegati, gli indici di rischio delle tabelle assicurative nel caso di tassi notevolmente
superiori alla media.
La domanda è nuova se inizialmente proposta ex art. 2043 c.c. (Cass. 24799/05)
FATTISPECIE
a) il danno da fumo (Cass. ss.uu. 794/0976);
b) il danno da trasfusione;
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Il risarcimento viene negato non sotto il profilo della stratta configurabilità di una condotta dannosa pericolosa, ma
dell’impossibilità di individuare un diritto inviolabile leso dalla mancata esplicitazione del carattere dannoso delle
sigarette lights. Non viene ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità di un danno risarcibile, il generico danno da
peggioramento della salute ed alla vita di relazione ritenuti in re ipsa, nonché un pregiudizio derivante dal turbamento
per la paura di ammalarsi.
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Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ai sensi
dell'art. 2043 cod. civ., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola
ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno,
nonchè (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un
determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose. Peraltro, l'apposizione, sulla confezione
di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo "LIGHT" sul
pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l'ha
commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall'esistenza di una specifica disposizione o di un
provvedimento, che vieti l'espressione impiegata.
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c) il danno da sperimentazioni cliniche e da prescrizione di farmaci off label (L.
94/1998; Cass. ss. uu. 1532/1997, che consente il ricorso a nuove terapie solo
nell’ambito delle sperimentazioni cliniche);
d) il danno da ponteggi (rinvio all’art. 2051);
e) il danno da discarica (Trib Salerno 28.4.2007);
f) l’attività di Polizia e la responsabilità della P.A. (Cass. 25479/06): gli enti
economici (Cass. 1393/1984); l’inquinamento elettromagnetico (Trib. Bologna
31.7.2006)
g) i lavori stradali (Cass. 7298/2003);
h) caccia ed equitazione (Cass. 12109/03; Cass. 6888/05);
i) calcio (trib. Milano 21.9.1998; Cass. 1197/2007)
l) navigazione aerea (Cass. 10551/2002);
m) colata lavica (Trib. Catania 3.5.1997);
n) trattamento dati personali ed internet providers
p) trattore/falciatrice (Cass. 15288/2002);
q) giostra/autoscontro (Cass. 9205/1995);
r) danno non patrimoniale e presunzione di responsabilità (Cass. 25187/2007; Cass.
10482/2004)
8) La responsabilità per cose in custodia:
GENERALITA’
Fino al 1998 la norma viene ancora interpretata come fattispecie di colpa presunta. Il
revirement si avrà con Cass. 5031/1998, che si richiama alla (isolata) Cass. ss. uu.
12019/1991
IL PROBLEMA DEL FORTUITO
Il fortuito soggettivo ed oggettivo. Fortuito autonomo, incidente, concorrente
La prima apertura al fortuito oggettivo: Cass. 12219/0377.
Due fondamentali sentenze della S.C. del 200678 sintetizzano luci ed ombre di
un'evoluzione giurisprudenziale tesa, negli ultimi anni, a superare antichi dogmi del
passato ed a chiarire i confini estremi della responsabilità della P.A. per i danni
cagionati dai beni demaniali.
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Il proprietario di un alloggio collocato al piano terra di un edificio aveva demolito due pareti divisorie all'interno della
sua abitazione; dalla demolizione erano però conseguiti, purtroppo, gravi danni ai due appartamenti sovrastanti. Adito
dai danneggiati, il giudice del merito ha mandato esente da responsabilità il convenuto, proprietario del piano terra,
avendo constatato la causa prima dell'evento dannoso in un vizio occulto del costruito successivamente interessato
dall'intervento demolitorio (di per sé legittimo) realizzato dal convenuto; vizio consistente nella realizzazione da parte
del costruttore dell'edificio di un diverso posizionamento delle travi in cemento armato rispetto a quanto invece era stato
opportunamente previsto nel progetto. A fondamento di quella decisione, da quanto apprendiamo leggendo la sentenza,
v'è dunque la constatazione della mancanza di un comportamento colposo in capo al convenuto e alla impresa
appaltatrice dei lavori di ristrutturazione, unitamente al riconoscimento della rilevanza causale del fatto del terzo,
consistente nel vizio generato nel costruito dal suo costruttore mediante l'erroneo posizionamento delle travi.
Accogliendo il ricorso dei danneggiati, il Supremo Collegio cassa ora la decisione del giudice del merito.
Ritiene in effetti la Cassazione che la responsabilità del convenuto, quale proprietario e quindi custode del bene, debba
essere dichiarata prescindendo da qualsiasi considerazione relativa al comportamento colposo o meno nell'adempimento
degli obblighi di custodia; ritiene inoltre la Corte che a termini dell'art. 2051 c.c. la responsabilità del custode permanga
intatta anche ove siano rilevati, ex post , vizi ed anomalie di struttura della cosa non percepibili prima dell'evento
dannoso, anche se da attribuire al comportamento colpevole del terzo, costruttore o fabbricante del bene.
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Cass. 3651/2006, est. Scarano e Cass. 15384/2006, est. Segreto, in Danno e resp. 2006, 1220, con nota di Laghezza.
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Da tempo la dottrina aveva segnalato l’emersione di alcune delle distorsioni più
evidenti nell'applicazione delle due "figure sintomatiche" della colpa della P.A.
(sintetizzabile nel doppio binomio “insidia/trabocchetto”79 e “pericolo
imprevedibile/inevitabile”) che, dopo aver fagocitato ogni accertamento concreto
sulla sussistenza della colpa generica in capo al custode della pubblica via,
giungevano a precludere anche l'accertamento della colpa specifica
dell'amministrazione, condizionando in senso negativo il giudizio di responsabilità
fondato sulla dimostrata violazione di specifiche norme di legge.
Nel caso esaminato da Cass. n. 3651/2006 (seguita da Cass. 2308/2007) l'autovettura
dell'attore, percorrendo una strada statale, impatta contro il muretto di sostegno posto
a delimitazione della carreggiata di un ponte, rimbalza sulla corsia di marcia contraria
e finisce per scontrarsi contro la spalletta in muratura dello stesso ponte; la spalletta,
sfortunatamente, non regge l'urto e, crollando, lascia precipitare l'auto nella scarpata
sottostante. Nel conseguente giudizio contro l'ANAS, il tribunale rigetta la domanda,
escludendo l'applicabilità dell'art 2051 c.c. e ritenendo infondata nel merito la
domanda ex art 2043 c.c. La Corte d'appello rigetta, a sua volta, il gravame ma, a
ribaltare l'esito della controversia, giunge la Cassazione che cassa con rinvio la
sentenza della Corte territoriale, discorrendo, peraltro, di fortuito in senso soggettivo.
In Cass. n. 15384/2006 (cui fanno seguito Cass. 5307-8/2007 e Cass. 20827/06) è,
invece, un ciclista ad invocare la responsabilità del Comune per essere incappato con
la ruota anteriore in una malmessa grata di raccolta delle acque ed essere in
conseguenza pesantemente caduto. In primo grado il Tribunale riconosce il danno,
con decisione che viene, tuttavia, ribaltata dalla Corte d'appello che sentenzia la non
sussistenza degli estremi dell'insidia stradale. Nel cassare la pronunzia del giudice
d'appello, la S.C. fissa alcuni fondamentali principi in tema di responsabilità della
P.A. ex 2051, di carattere oggettivo della norma, di prova del fortuito.
Il concorso tra fortuito oggettivo e colpa del danneggiato: Pretura Bologna 1999 e la
codificazione del concorso nell’art. 10 del DPR sulla responsabilità del produttore del
1988, trasfusa nel codice del consumo.
FATTISPECIE
a) ponteggi (Cass. 20133/05 – 12111/06 – 6435/09)
b) amministratore di condominio (Cass. 25251/08)
c) parcheggi (Cass. 6169/09 – 1957/09)
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Di cui discorrono ancora Cass. 10040/2006; 26997/2005, mentre secondo Cass. 5445/2006 essi non sono elementi
costitutivi dell’illecito ma possono assumere rilievo nell’ambito della prova da fornire da parte della P.A.
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