Roberto Borri: L’ITALIA è DONNA
Una icona al femminile dell’Italia: dalla Roma imperiale ai nostri giorni
Il 150° anniversario dell’Unità Nazionale ha riportato alla ribalta l’allegoria che rappresenta la nostra patria,
il territorio italiano e i popoli che lo abitano.
Sto parlando della Donna Turrita, spesso sormontata da una luminosa stella, che trova autorevole posto in
molti documenti ufficiali dello Stato: nella prima pagina del passaporto, nella carta d’identità, all'interno del
timbro apposto sulla tessera elettorale, al centro della stella al merito del lavoro; in tempi non lontani, ha
trovato elegante collocazione, in diversi colori, in numerose serie di francobolli, in cartoline postali e
commemorative e, prima dell’avvento dell’Euro, sul dritto delle monete da 50 e 100 lire e, da ultimo, sul
dritto della moneta da 1000 lire.
E’ un’icona di antichissime e nobili origini ma spesso dimenticata. Ad esempio passa quasi sempre
inosservata quella inserita nell’ultima facciata della carta d’identità, accanto alla data di scadenza del
documento. E’ stata completamente e inspiegabilmente ignorata nella rarissima e splendida litografia
celebrativa dell’Unità Nazionale eseguita in occasione della proclamazione a Re d’Italia di Vittorio
Emanuele II da parte di Camillo Benso Conte di Cavour, avvenuta a Torino il 17 marzo 1861.
Al centro del margine superiore della bella stampa brilla una luminosa stella, ma Donna Italia non c’è.
Ecco allora la giusta occasione di riscatto per la storia bimillenaria e le straordinarie immagini di questa
affascinante Signora che deriva da antiche rappresentazioni di divinità del mondo classico, prime tra tutte
l’anatolica Dea Cibele e l’ellenica Dea Minerva.
Secondo i Dizionari Storici più accreditati (per tutti Dizionario Storico Mitologico di tutti i popoli del
mondo, complilato da Giovanni Pozzoli, Felice Romani e Antonio Peracchi, Tomo II, Livorno, Tipografia
Vignozzi, 1829) è una donna coronata di torri, che tiene nella mano destra un’asta e in quella sinistra una
cornucopia, ai cui piedi sta un’aquila posta sopra un globo; oppure assisa sopra un globo, con la corona
guarnita di giri con cornucopia e scettro nelle mani per dinotare il suo impero sull’universo.
Il poeta latino Claudius Claudianus (370-404 d.C.) l’ha invece descritta come una donna con l’abbigliamento
di Minerva, senza ornamenti ai capelli o acconciatura che si ravvolga intorno al collo; senza difese al fianco
destro; con un brillante fermaglio che tiene unite le piegature della sua veste, dalla quale sfuggono i duplici
globi del coraggioso e indomito suo petto; vi si vedono i due fanciulli prediletti di Marte e la lupa che sta
allattandoli sulle sponde del fiume.
Questi sono gli attributi specifici attribuiti alla giovane e talvolta formosa donna vestita con abiti che la
fasciano sino ai piedi, lasciando spazio a una sobria scollatura. E’ doveroso tuttavia ricordare come la corona
muralis e lo scettro (simboli regali e di potere), la traboccante cornucopia (richiamo alla fertilità, floridezza e
generosità della terra italica) e il globo (che allude al dominio sul mondo) non siano gli unici simboli che
l’accompagnano. Frequentemente è affiancata anche da altre figure mitologiche con anfore (a rappresentare
l’abbondanza di fiumi, corsi d’acqua e bacini lacustri), liuti, lire e altri strumenti musicali (che alludono allo
spirito artistico degli italiani), tavolozze e libri (a ricordare il primato in campo scientifico); oppure ancora da
animali, bestiame e aratri, da tritoni e fiocine, a conferma della propensione verso l’economia agricola o
della vocazione marinara delle genti italiche di un tempo. Non mancano spade e bilancia (simboli di
giustizia), tiare, mitre e ferule papali.
L’icona ha ispirato dipinti, monumenti, statue, sculture, monete, bolli, manifesti, cartoline postali, francobolli
e giornali; un copioso numero di allegorie compare negli Atlanti e nelle antiche carte geografiche.
Sul capo turrito spesso aleggia una brillante stella (a cinque, sei o più punte) che oggi porta il nome di
stellone d’Italia, presente nell’emblema della Repubblica Italiana, sui colletti delle uniformi indossate dai
nostri soldati e nella polena delle navi della Marina Militare.
A simboleggiare la gloriosa storia del nostro popolo.
Origini di un’icona al femminile
Nella ricerca delle origini dell’allegoria non possiamo non domandarci perché sia prevalentemente un’icona
al femminile a rappresentare un popolo o una regione geografica. Così come avviene, tanto per ricordare gli
esempi più famosi, per l’austera greca Atena, per la perfida britannica Albione, per la seducente francese
Marianne, per la grifagna Austria e per la graziosa donna che compone la statua della Libertà a New York.
La risposta va cercata nei culti più remoti, secondo cui il destino dell’umanità era personificato dalla Dea
Madre, o della fertilità, la divinità al femminile dalla quale si nasce e alla quale si torna per poi rinascere
nuovamente, attraverso un ciclo perpetuo. Una donna che, chiudendo il cerchio della vita, sovrintende alle tre
fasi ineluttabili, della nascita, dell’esistenza e della morte. Dea Madre venerata in ogni parte della terra,
anche se con nomi diversi: in Grecia (dove era chiamata Gea e Athena), in Italia (Cibele, Bona Dea,
Minerva, Uni e, dagli etruschi, Dea Mater Matuta); in Spagna e Malta (Dea Astarte); Russia (Dea Lada); in
Africa (Nana e Iside); in Mesopotamia e Anatolia (Ninhursag, Cibele, e Anahita); in Cina (Quan-Yin) e in
India (Durga). Con il diffondersi del culto queste Veneri assunsero diverse personificazioni in concomitanza
con il perpetuarsi delle generazioni, gli spostamenti dei popoli e la differenziazione delle culture: Ishtar,
Astarte, Afrodite e Venere (dee dell’amore); Ecate triforme (della fertilità); Artemide e Diana (della caccia),
Demetra, Cerere, Persefone, Proserpina (della fertilità del suolo). Tutte queste divinità, anche se in modo
diverso, rappresentano la Dea Terra, la Madre di ogni essere vivente; sono il simbolo della natura in ogni suo
aspetto, positivo e negativo.
Ne è una prova l’esistenza di numerose statue in pietra, tra cui la più interessante è forse quella antropomorfa
risalente al paleolitico superiore (30-20.000 a.c.), di circa undici centimetri di altezza, ritrovata
dall’archeologo Joseph Szombathy nel 1908, nei pressi della città di Willendorf in Austria (e perciò chiamata
Venere di Willendorf).
Statuette antropomorfe simili, e molte risalenti al Neolitico, sono state ritrovate in tutto il mondo. A
Vicofertile, in provincia di Parma, nel 2006 una statuina femminile che personifica la Grande Madre è stata
trovata in una sepoltura risalente alla metà del V millennio a.C.
Ulteriori prove sono le numerose raffigurazioni dedicate alla Dea Iside e alla Dea Minerva.
Si aggiunga inoltre che nella società
matriarcale come quella primitiva era la
donna il fulcro del gruppo familiare, la
persona che trasmetteva le conoscenze,
che curava le malattie ed educava
quella prole che solo lei aveva facoltà
di generare. Questa facoltà di generare
la vita, l’esistenza e la morte (che trova
puntuale riscontro nel mito greco delle
tre Moire o Parche, il cui compito era
tessere il filo del destino di ogni uomo,
svolgerlo ed infine reciderlo), rese
perciò la figura femminile più adeguata
dell’uomo a essere divina.
Nell’antico
Egitto
i
faraoni
frequentemente salivano al trono
tramite
la
linea
femminile
o
cristallizzavano
le
loro
cariche
sposando sorelle o figlie; l’ultimo
faraone della Dinastia tolemaica
d'Egitto, ad esempio, salì al trono
sposando la sorella Cleopatra.
Perciò,
nonostante
la
continua
trasformazione della società in senso
maschilista, l’icona femminile ebbe il sopravvento su quella maschile, dismettendo i panni della divinità
ancestrale e assumendo quelli di Donna Regale. Così com’è successo per l’icona che personifica l’Italia, che
verosimilmente discende dalle Divine Cibele e Minerva.
L’icona Italia
Le prime rappresentazioni dell'Italia turrita risalgono all’epoca romana, traendo probabile ispirazione da
alcune monete coniate a Siracusa nel IV-III secolo a.C. e da Cibele, un’antica divinità anatolica, venerata
come Grande Madre, e raffigurata in statue e monete (famosa è quella di Smirne del II secolo a.C.) con
un’elegante testa turrita.
Alla tesi che ne fa risalire la nascita al periodo repubblicano, si contrappone l’opinione di chi ritiene che il
primo denario con l’allegoria munita di corona muralis sia stato coniato in epoca monarchica, per volere di
Giulio Cesare, Traiano e Adriano. Altri studiosi hanno tuttavia obiettato che l’allegoria contenuta nelle
monete coniate da detti imperatori non personifichi con certezza l’Italia, vuoi per la mancanza della corona
muraria, vuoi per la presenza di simboli agresti, quali spighe o aratri che lo avvicinerebbero all’allegoria
dell’agricoltura, vuoi infine per la postura sottomessa o supplice della figura. Sembra perciò preferibile la
tradizionale tesi che ne assegna il primato all’imperatore Antonino Pio, successore di Adriano, in cui Donna
Italia si presenta in posizione sovrana, seduta regalmente sul globo terrestre, munita degli attributi specifici
quali corona muraria, cornucopia e scettro.
Opinione condivisa anche da testi e carte geografiche dei secoli XVI e XVII che fanno risalire l’allegoria
dedicata espressamente all’Italia, con tanto di nome, alle monete coniate al tempo di Antonino Pio (86-161
d.C.), successore di Adriano da cui era stato adottato, per essere successivamente utilizzate da Commodo e
altri imperatori.
Ci piace immaginare, ma certamente non siamo distanti dalla verità, che il ricchissimo Antonino Pio (lasciò
ai suoi eredi un patrimonio di oltre due miliardi e mezzo di sesterzi) imperatore dotato di notevole umanità e
compostezza morale (si tramanda che morì pronunciando la parola aequanimitas, invitando i suoi successori
a governare con imparzialità e lasciando loro un impero che sotto il suo dominio aveva avuto pace e
prosperità) abbia ideato il denario da lui coniato ispirandosi alla propria bellissima, sobria e morigerata
moglie Faustina. Secondo l’Historia Augusta (Vita di Antonino Pio, II) la nobile Faustina era donna
intelligente ed equilibrata, di straordinaria bellezza; schiva di esibizionismi, non ostentava abiti e gioielli
lussuosi: il suo portamento semplice, insomma, dava ancor più risalto alla classe ed eleganza della sua
persona. Contrariamente alla moglie di molti precedenti regnanti non ha mai ordito intrighi di palazzo, né ha
mai pensato a preparare omicidi o a lanciare accuse calunniose. Virtù che seppe trasmettere alla propria
somigliante figlia (pure lei chiamata Faustina, detta minore, data in sposa dal padre a Marco Aurelio) e che le
consentirono di ottenere dal Senato Romano il titolo di Augusta, e, alla sua morte, la divinizzazione con
creazione in suo ricordo dell’Istituzione assistenziale delle Puellae Faustinianae. La sua immagine trovò
posto, al pari della figlia, in ritratti, monumenti e statue. E, verosimilmente, sulle monete, denari e sesterzi,
assisa sul globo terrestre, con tanto di scritta ITALIA, scettro, cornucopia e corona turrita.
Questa moneta fu ulteriormente coniata dai successori di Antonino Pio, quasi certamente sino all’imperatore
Commodo e forse anche successivamente.
Come si vede, al di là del nome, Faustina, è nata sotto buoni auspici, saggia ed equilibrata come il proprio
ideatore.
Offuscata durante il Medioevo, l’allegoria fu rispolverata alla fine del Rinascimento, grazie soprattutto al
testo ICONOLOGIA, overo descrittione dell’immagini universali cavate dall’antichità e da altri luoghi,
pubblicato (senza illustrazioni) a Roma nel 1593 a cura degli eredi di Giovanni Gigliotti e scritto dal
perugino Cesare Ripa perché necessaria a Poeti, Pittori & Scultori per rappresentare le virtù, vitii, affetti &
passioni humane. Opera ristampata sempre a Roma, nel 1603, munita d’illustrazioni derivate in gran parte
dai disegni del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino. L’Iconologia, ampliata dallo stesso Ripa,
fu ulteriormente divulgata a Padova (nel 1611 e nel 1618), a Siena (nel 1613) e a Parma (nel 1620), per
essere poi tradotta in inglese, tedesco, francese e olandese e quindi venduta in tutta Europa. L'edizione più
completa è la monumentale stesura
in cinque volumi che ha come titolo
Iconologia del Cavaliere Cesare
Ripa
Perugino
Notabilmente
Accresciuta
d'Immagini,
di
Annotazioni, e di Fatti dall'Abate
Cesare Orlandi, stampata a Perugia
nel 1764 presso la bottega di
Piergiovanni Costantini.
Nel frattempo l’allegoria aveva
affollato i principali atlanti e, in
modo particolare gli apparati
decorativi delle carte geografiche
dedicate all’Italia, dalla fine del
1500 sino a buona parte del 1800.
E negli ultimi due secoli, dopo
essersi intrecciata con i principali
avvenimenti
del
nostro
Rinascimento, ha ispirato statue (tra
cui quella completata nel 1865 da
Alessandro Martegani e che ingentilisce Piazza Italia, a Pavia, di fronte all’Università), dipinti, francobolli,
monete, cartoline postali e copertine di giornali, scomodando artisti del calibro di Antonio Canova e Daniele
Fontana. Sino a occupare documenti ufficiali del Regno e della Repubblica, tra cui fogli bollati, passaporti,
attestati di merito e carte d’identità.
Perché il destino del mondo e delle persone che lo abitano è in mano alla donna.