Sabato 28 Febbraio 2015
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Nuova serie - Anno 24 - Numero 50 - Spedizione in A.P. art. 1 c.1 L. 46/04, DCB Milano
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EMITTENTE TV
Sawiris acquista
il 53%
del capitale
di Euronews
a pag. 33
AL NUOVO AD DI SANOFI
LA VIVONO COME UNA DEPANDANCE
Parigi contro un bonus
di ingresso di 4 mln
Ci sono più russi a Cuba
che prima del crollo del Muro
Ratti a pag. 16
Iovine a pag. 17
LUNEDÌ IN EDICOLA
www.italiaoggi.it
NUOVE STRADE
Ft riduce
il numero degli
articoli gratuiti
sul web
Odini a pag. 23
SITO WEB
Brindani
spiega i segreti
del boom
di Oggi.it
Plazzotta a pag. 21
SCUOLA
Assunzioni per
decreto (ma i
numeri sono più
bassi del previsto)
Ricciardi a pag. 26
CORTE COSTITUZIONALE
Querela con le
armi spuntate
I danni con
giudizio separato
Ciccia a pag. 27
730 ONLINE
Corsa
dei professionisti
per adeguare
le polizze
Bongi a pag. 29
BONUS BEBÈ
Ok al decreto,
richieste in
primavera per 80
euro mensili
Cirioli a pag. 35
QUOTIDIANO ECONOMICO, GIURIDICO E POLITICO
Niente segreti per i creditori
Potranno accedere all’anagrafe tributaria, agli archivi dell’Inps al registro
automobilistico, ai conti bancari dei debitori per effettuare i pignoramenti
A
Anagrafe
tributaria, conti bancari,
rregistro Pra, archivi Inps: tutto senzza segreti per i creditori. Possono
e
essere autorizzati, fin da subito, a
chi
chiedere direttamente ai gestori delle b
banche dati le informazioni necessar
sarie per i pignoramenti. Lo stabilisce un decreto del tribunale di Mantov
tova che applica il diritto di consultar
tare le banche dati pubbliche, per
tro
trovare beni o crediti pignorabili,
pre
previsto da una norma del 2014.
Ottaviano a pag. 41
SU WWW.ITALIAOGGI.IT
Mediatori - I pareri
del ministero dello
sviluppo economico
sulle incompatibilità
Fisco - La circolare
delle Entrate sui controlli sul 730
tr
online
o
Scuola- La
bozza di deb
creto sulle assuncret
zioni degli insegnanti
di PIERLUIGI MAGNASCHI
Funerale del Pd
sotto il Vesuvio,
tra intrighi
e dimissioni
Non c’è, nella classe politica, la
sensazione (non dico la certezza,
ci mancherebbe) che il tasto
dell’incremento delle imposte
non può più essere schiacciato, se
non si vuol compromettere l’equilibrio delle aziende, la conseguente occupazione, il patto con i cittadini e quindi anche la stabilità
sociale. Invece, come ha molto
ben evidenziato uno scoop di ItaliaOggi (fatto da Giorgio Ponziano mercoledì scorso), il Comune di Bologna, anziché diminuire
spese e sprechi, ha preferito infierire, un’altra volta, sui commercianti felsinei che, al pari dei loro
Bucchi e Ponziano alle pagg. 6 e 7
continua a pag. 8
Ciccia a pag. 25
PRIMARIE CAMPANIA
ORSI & TORI
DI PAOLO PANERAI
L’informazione condiziona la vita e l’economia.
Da sempre. Nel bene e
nel male. I Rothschild
non sarebbero i banchieri che sono se, quando
Napoleone Bonaparte
fu sconfitto dal Duca di
Wellington a Waterloo,
non avessero ricevuto la
notizia a Londra con due
giorni di anticipo grazie
a un sistema di piccioni
viaggiatori che consentirono loro di comprare a
man bassa titoli azionari
nella City, schizzati alle
stelle quando la notizia
divenne di dominio pubblico. Ma se l’informazio-
CASSA DEPOSITI
Provvista più
ampia alle banche
per agevolare
i mutui casa
Gli enti locali pur di non tagliare le spese
preferiscono infierire sui commercianti
ne è sempre stata condizionante, oggi lo è in
maniera drammatica,
per l’enorme quantità di
notizie che ogni secondo
fanno il giro del mondo e
per il modo in cui coinvolgono la privacy di
ognuno di noi. Il primo
responsabile di questa
esasperazione è il motore di ricerca Google con
tutte le sue derivazioni,
a cominciare da Google
news, che permette di
consultare in pochi
istanti quanto è stato
divulgato da qualsiasi
fonte di informazione. La
violazione della privacy
continua a pag. 50
Dal
D
al 2 marzo stop al segreto bancario nel Principato
Montecarlo firma
Anche Montecarlo dice sì allo scamAn
bio di informazioni su richiesta con
l’It
l’Italia. La firma dell’accordo, che
seg
segue di pochi giorni quelli già stip
pulati con Svizzera e Liechtenstein,
a
avrà luogo lunedì. Il 2 marzo rapp
presenta infatti l’ultimo giorno utille per poter considerare il paese
ffirmatario come white list ai fini
d
della voluntary disclosure, con una
sserie di effetti positivi su termini e
ssanzioni.
Stroppa a pag. 31
NON SOLO ARMI
Beretta
diversifica
con vestiti
e accessori
Greguoli a pag. 18
DIRITTO & ROVESCIO
Come può essere una ciofeca, un film
che si intitola Meraviglioso Boccaccio?
E che, per di più, è stato girato da un
duo registico di grande nome come
quello dei fratelli Taviani (Paolo, 84
anni, e Vittorio, 86). Senza contare che
i grandi giornali nazionali hanno dedicato, a questo film, una o due intere
pagine, strabuzzando gli occhi dallo
stupore per la meraviglia e sparando
complimenti iperbolici ed esagitati.
Operando in questo modo, a proposito di un film ridicolo (non divertente),
si fanno imbufalire i lettori che, dopo
aver preso una fregatura ed essersi
giocati un sabato sera (non ce ne sono
tante di serate libere) finiscono poi
per non credere più alla stampa. Non
a quella che è al servizio degli uffici
stampa ma a tutta la stampa, anche a
quella che vuol servire i lettori. Ritorniamo al film: un gruppo di ragazze
simil Marianna Madia (è un genere
che va) si ritrova con dei ragazzi che
recitano con se fossero in un oratorio
parrocchiale, per narrarsi delle novelle di Boccaccio. Ne esce un film noioso,
senza ritmo, insulso, assopente.
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PEGGIO SOLO LA GRECIA
L’Italia è la
Cenerentola
digitale grazie a
Madia e Poggiani
Oldani a pag. 13
PAGANDO SOLO MULTE
Hsbc,
la banca che ne ha
fatta una più
di Bertoldo
Lettieri e Raimondi a pag. 14
50
Sabato 28 Febbraio 2015
Segue dalla prima pagina
che viene compiuta, non solo da
Google, è un fatto molto grave dovuto
essenzialmente alla mancanza di regole in primo luogo negli Stati Uniti, il
Paese dove la tecnologia di Internet è
nata e dove il suo sviluppo e il suo utilizzo hanno generato campioni con un
giro d’affari annuo superiore a quello
di molti Stati. Il governo degli Stati
Uniti non intende porre nessuna regola perché vuole che centinaia di
migliaia di giovani nei dormitori delle
principali università americane sognino di diventare come Larry Page,
uno dei fondatori di Google, o come il
plurimiliardario Mark
Zuckerberg, creatore di
Facebook, e quindi spingano
la ricerca sempre più avanti
alla velocità del suono. E se le
regole non vengono poste nel
Paese dove più di tutti la tecnologia applicata all’informazione,
pubblica o privata, nasce e si
sviluppa, per il resto degli Stati
diventa arduo sottoporre a un
regolamento attività che sono
globali e sfruttano ogni agevolazione legale e fiscale che si
possa trovare in vari Stati.
È quindi da salutare con un po’
di sollievo la notizia, ancorché
smentita, che l’Agenzia delle
Entrate e la Guardia di
Finanza hanno imposto, o stanno per
imporre, una tassa per gli anni 20082013 di ben 380 milioni di euro a
Google. Riuscire a tassare chi fattura
in Italia oltre un miliardo all’anno
(dati stimati dalla Federazione editori di giornali, Fieg) è come imporre le stesse condizioni che qualsiasi
altra attività economica deve subire.
Grazie alla connivenza di altri Stati,
finora in Europa Google e gli altri
colossi della tecnologia applicata all’informazione non pagavano tasse. Un
privilegio che si aggiunge a quello di
non dover in sostanza rispettare nessuna regola di comportamento.
La fonte principale di ricavi di Google
è la pubblicità. Quel miliardo e passa
di ricavi, probabilmente stimato per
difetto e non accertabile perché fatturato fuori dall’Italia, è sostanzialmente pubblicità. I dirigenti di Google
sostengono che non hanno sottratto
che pochissimo agli altri media italiani, perché la loro raccolta avverrebbe
principalmente presso aziende che
non sono mai state prima investitrici
in comunicazione. È questa una verità
molto parziale. La pubblicità dei
media su Internet cresce in maniera
limitata e se è proiettata nei dati
Nielsen a circa 1,9 miliardi al 2014 è
perché Nielsen conteggia quel miliardo e più di euro stimato dalla Fieg. Ma
grazie a quale servizio Google può realizzare questi ricavi di pubblicità?
Grazie ai milioni e milioni di italiani o
di cittadini di tutto il mondo che vanno
su Google per avere informazioni, fresche o anche storicizzate. E chi produce quelle informazioni? I media italiani e di tutto il mondo, oltre agli autori
ed editori di libri, enciclopedie, dizionari e via dicendo: tutto quello che è
informazione e sapere su Google, e su
altri motori analoghi, non viene assolutamente prodotto, neppure in parte,
da chi grazie a questi contenuti oggi
capitalizza in borsa 380 miliardi di
dollari con utili spettacolari e una
potenza di fuoco che si estende a molte
altre manifestazioni e derivazioni,
come Youtube (che piano piano sta
diventando la più grande televisione
del mondo) ai sistemi di telefonia e di
L’EDITORIALE DI PAOLO PANERAI
ORSI & TORI
sviluppo degli smartphone Android,
per arrivare, passando a Facebook, al
sistema di messaggistica istantanea
WhatsApp e via dicendo.
Tutti i contenuti reperibili su Google,
tutte le notizie di Google news, sono
prodotti da centinaia, migliaia di editori di tutto il mondo, che hanno commesso l’errore all’inizio dello sviluppo
di Internet di mettere i loro contenuti
su siti gratuiti, quindi catturabili da
Google. La grande illusione degli editori è stata che in questo modo un
numero crescente di utenti sarebbe
stato deviato da Google verso il proprio sito e quindi avrebbe potuto far
crescere il proprio ricavo. Nel grande
errore era caduto anche un genio dei
media come Rupert Murdoch quando comprò Dow Jones, l’editore di
The Wall Street Journal. Negli ultimi
anni il ceo e pubblisher Peter Kann e
il suo vice Jimmy Ottaway erano
riusciti, eccezione assoluta nel mondo,
a far pagare 80 dollari all’anno per
l’abbonamento al digitale a un milione
di lettori-utenti. Un totale quindi di 80
milioni di dollari di ricavi. Bazzecole,
secondo Murdoch, che credeva di poter
fatturare centinaia di milioni di pubblicità aumentando significativamente
il numero degli utenti rendendo tutto
gratis. Per sua fortuna e per fortuna di
Dow Jones, dopo tre mesi si accorse
dell’errore e quindi tutte le notizie di
Dow Jones comprese nell’abbonamento a pagamento non sono interamente
leggibili per il tramite di Google.
A parte l’eccezione del WSJ, come lo
chiamano in sigla in Usa, un esercito
sterminato di giornalisti, di autori, di
fotografi ha lavorato gratis per Google
e per gli altri suoi epigoni. Tutti
comunque hanno luce dalla dimensione raggiunta dal colosso creato da
Page e Sergei Brin, che di loro hanno
messo sicuramente la capacità di scrivere software straordinari che rendono possibile qualsiasi ricerca e ora
anche traduttori istantanei in tutte le
lingue.
Per fortuna da un po’ di tempo gli editori si sono resi conto dell’errore fatto
e con essi anche i governi hanno preso
consapevolezza che, oltre a non pagare
le tasse, Google e gli altri epigoni stanno distruggendo i sistemi di informazione e di editoria dei loro Paesi e sono
passati all’azione, consapevoli che
quanto è accaduto è stato reso possibile da una normativa in linea di massima debolissima a difesa del diritto
d’autore. L’iniziativa più forte è stata
presa in Spagna dove il parlamento,
rafforzando il diritto d’autore, ha creato le basi affinché Google paghi quanto utilizza, rinunciando a godere dei
frutti di centinaia di migliaia di gior-
nalisti e di addetti all’editoria che
hanno lavorato gratis per il colosso di
Internet. Di fronte al provvedimento
legislativo, che ha introdotto una tassa
a favore degli editori, Google ha chiuso
gli uffici spagnoli e il servizio Google
News, contando sulla reazione di protesta degli utenti per la possibilità
incarnata in se stessi di poter cercare
con facilità qualsiasi informazione,
qualsiasi dato, qualsiasi evoluzione
storica su quella sorta di memoria
artificiale di cui, certo, tutti oggi usufruiamo. C’era timore in
Spagna che questa norma
facesse crollare la presenza
di utenti sui siti degli editori spagnoli, quindi con un
contraccolpo negativo per la
pur contenuta pubblicità.
Invece i siti dei principali
quotidiani, El País ed El
Mundo, sembrano non aver
perso che l’1-2% di utenti
unici giornalieri. I siti meno
forti sono arrivati a perdere
il 12%, non molto di più.
Quindi, al momento non è
avvenuto niente di quanto
Google sperava e del resto
aveva deciso di chiudere
anche perché la Spagna è il
Paese europeo dove il colosso faceva
meno ricavi.
Un approccio diverso è stato seguito in
Germania. A prendere l’iniziativa è
stato il più grande editore del Paese,
Axel Springer. La casa editrice della
Bild ma anche di Die Welt, guidata da
Mathias Doepfner, aveva guidato la
protesta contro l’utilizzo da parte di
Google non solo del titolo della notizia
dei vari giornali, ma anche dello snippet, in pratica il sommarietto che rendeva in molti casi inutile andare ad
approfondire la notizia sul sito del
giornale stesso. Google ha allora deciso di indicizzare solo il titolo delle notizie e il risultato, secondo le dichiarazioni di Doepfner, è stato un crollo
enorme dei fruitori dei siti della casa
editrice, al punto che l’ex direttore
della prestigiosa Die Welt ha fatto
marcia indietro, documentando però
che Google è oggi dominante e condizionante per la vita delle case editrici
e pertanto sottoponibile alle regole
antitrust per le posizioni dominanti e
condizionanti.
Per questo risvolto non mancano analisti che ritengono che quello di far
finire Google sotto inchiesta antitrust
dell’Unione europea fosse il reale
obiettivo del maggiore editore tedesco
e che quindi Axel Springer non abbia
fatto niente per limitare i danni.
In molti altri Paesi europei c’è fermento. Anche in Italia (e la morsa fiscale è
solo un aspetto) il governo è deciso ad
affrontare il tema della sopravvivenza
dei media, come garanzia della libertà
di informazione e quindi della democrazia, non facendo velo al presidente
Matteo Renzi e al sottosegretario
Luca Lotti il fatto di essere grandi
utilizzatori di strumenti Internet,
attraverso i quali è passata e passa
anche la loro forza di rinnovamento.
Fatto sta che, dalle ultime informazioni che si possono raccogliere, Google in
Europa comincia a sentirsi quasi
accerchiato. Per questo i manager
europei non disdegnano di mandare
messaggi distensivi, con proposte di
incontri per aprire un tavolo di discussione. Non è un caso che la disponibilità di Google a tenere conto del diritto
d’autore giunga oggi. Infatti, mai come
in questo momento l’abitudine da
parte di tutti, giovani e meno giovani
(anzi per i meno giovani è un aiuto
mnemonico non da poco), a consultare
Google è al massimo livello. Google ha
quindi una forza che va al di là del
rispetto dei diritti, anche se il caso
Spagna li deve far riflettere.
Un’intesa seria non può essere che
quella di pagare per l’uso di contenuti
prodotti da altri con staff redazionali e
manageriali costosi e giganteschi
rispetto al numero di dipendenti di
Google. In realtà Google dovrebbe
essere disponibile anche a saldare i
conti del passato, così come sarà
costretto a fare con il fisco. E non tutto
finirà sul piano economico. È inevitabile che accetti anche di rispettare la
privacy. Infatti, il colosso di Internet
può vendere pubblicità con maggiore
facilità di chiunque altro perché può
offrire agli inserzionisti utenti perfettamente profilati. Basta pensare che
su Google, anche a disposizione degli
utenti che tuttavia di fatto lo ignorano, c’è un servizio che consente di ricostruire tutte le ricerche fatte sul motore e quindi di conoscere interessi, abitudini, necessità di tutti noi. A Google
sostengono che tutto è reso anonimo
nella loro utilizzazione. Ma chi ci
crede, anche senza pensare al Grande
Fratello…
Sta di fatto che anche nella controllata
di Facebook, WhatsApp, la privacy è
pura teoria. Solo una parte dei milioni
di utenti sa, perché non legge le avvertenze, che quando scarica l’applicazione cede l’intera sua rubrica di contatti
telefonici alla controllata di Facebook,
che da quel momento registra tutti i
vostri contatti e quelli di chi era già in
relazione con voi. Ne escono fuori profili ben precisi, la cui vendita per uso
pubblicitario o di commercio costituisce la principale entrata.
Per comprendere quanto sia pericoloso
il potere raggiunto da Google,
Facebook ecc. basta considerare che
l’equivalente cinese di WhatsApp (ma
di ben diversa e straordinaria tecnologia), WeChat, in base alla legge cinese
ma anche per scelta ideologica del fondatore, non può profilare gli utenti.
Per ogni operazione che viene compiuta, gli utenti hanno un ID diverso,
quindi non c’è proprio la possibilità di
tracciare i movimenti e i contatti. Non
è difficile comprendere le ragioni di
questa regola, in un Paese nel quale è
pur vero che lo Stato controlla quasi
tutto: appunto lo Stato non è disponibile a che qualcuno accumuli un potere di informazioni e di conoscenze
pericoloso per gli equilibri politici. E
che sia possibile guadagnare anche
senza violare la privacy lo dimostra
sempre WeChat: infatti il sistema, con
cui anche i politici più importanti della
Cina parlano e dialogano, fa parte
della piattaforma Tencent, che offre
ai 500 milioni di utenti, la possibilità
di fare e-commerce, di effettuare pagamenti digitali, di acquistare video,
musica, giochi... E tra poco Tencent
sarà anche una delle prime tre banche
online cinesi autorizzate dal governo.
P.S. Chi ha fornito agli hedge fund di
Londra, a cominciare da quello di
Davide Serra, notoriamente vicino
al presidente Matteo Renzi, le informazioni sul decreto per trasformare le
popolari da cooperative per azioni a
spa? Non è il primo mistero che probabilmente non sarà svelato. Come si
vede, talvolta l’informazione è anche
segreta dal lato di chi la diffonde e chi
la recepisce. (riproduzione riservata)
Paolo Panerai