Sommario
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www.santannahospital.it
S. Anna Hospital Magazine
Viale Pio X, 111- 88100 Catanzaro
Tel. 0961 5070456
Direttore Responsabile
Marcello Barillà
[email protected]
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3
Direttore Editoriale
Giuseppe Failla
Direttore Generale
S. Anna Hospital
Direttore Scientifico
Prof. Benedetto Marino
Referente Medico
Mauro Cassese
Direttore Dipartimento
Chirurgia Cardiovascolare
S. Anna Hospital
Progetto grafico
Il segno di Barbara Rotundo
[email protected]
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La terapia chirurgica
in minicervicotomia
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Terapia endovascolare
delle stenosi carotidee
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EModiNaMiCa
taVi
La qualità premia
e così si diventa leader
PatoloGia CarotidEa
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La prevenzione dell’ictus 17
da stenosi carotidea
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La terapia chirurgica
della patologia carotidea 19
Stampato in 25.000 copie presso
Rubbettino srl
Soveria Mannelli (CZ)
Registrazione
Autorizzazione Tribunale di Catanzaro
n. 3 del 6 aprile 2009
EditorialE
Un anno tra dubbi
e conferme
di Giuseppe Failla
Quel difetto che
ha messo Cassano
in fuori gioco
CardioloGia
Stenosi coronariche
ostiali e radioterapia
lEttErE al MaGaZiNE
postatarget magazine NAZ/571/2009
AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORI
L’equipe medica del S.Anna Hospital, nell’intento di rendere sempre più veloci e proficui i contatti con i pazienti, chiede loro e/o ai loro familiari di voler fornire il proprio
indirizzo di posta elettronica. Chi intende aderire a tale richiesta, può comunicare il
suddetto indirizzo scrivendo direttamente a: [email protected]
Chi non desidera ricevere il
S.Anna Hospital Magazine
può comunicarlo all’indirizzo
[email protected]
Editoriale
Editoriale
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
di Giuseppe Failla
Un anno tra dubbi e conferme
U
n anno da dimenticare, il 2011. Come italiani sappiamo bene il perché e sarebbe inutile qui ricordarlo. Per il S.Anna, invece, è stato l’anno delle conferme: quelle positive e purtroppo anche quelle
negative, che vorremmo dimenticare ma è un lusso che né noi, né i nostri pazienti possiamo consentirci. L’attività dell’ospedale si è distinta per la continua crescita nella qualità delle prestazioni, che ha
beneficiato dell’introduzione di nuove metodiche, mettendo ancora una volta la struttura al centro
dell’attenzione di malati e addetti ai lavori. Valga per tutti, come esempio, l’uso delle valvole transcatetere. Il convegno internazionale di maggio, dedicato alla Tavi, è stato un successo indiscutibile, se è
vero com’è vero che i nostri medici stanno svolgendo da allora attività formative in diversi centri italiani e il S.Anna è uno dei quattro centri europei che concorrono a formare gli specialisti americani,
prossimi anche loro a introdurre la metodica. A questo si potrebbero aggiungere l’affinamento delle
metodiche più avanzate in cardiochirurgia e chirurgia vascolare, la sinergia con altri centri italiani sulla
cura di particolari patologie come il forame ovale, i master universitari che alcuni specializzandi stanno
seguendo presso di noi. Tutti argomenti che trovano posto in questo numero del Magazine. Qui però
finiscono le conferme positive e si deve gioco forza aprire un capitolo diverso. Il S.Anna è parte del
sistema sanitario regionale ma nessuno di noi sa in questo momento come l’ospedale possa e debba
svolgere questo suo ruolo. Si naviga a vista e la politica ha dimostrato fin qui di non essere in grado di
assumere decisioni. L’andamento contraddittorio del 2011 ne è la prova. In primavera sembrava che la
Regione, col consenso dei ministeri competenti, avesse accettato l’idea di stipulare un accordo triennale di ampio respiro, che ci avrebbe garantito la possibilità di continuare a lavorare con certezza e
serenità. A luglio, di quell’ipotesi d’intesa non c’era già più traccia. Raccontare nel dettaglio i mesi successivi sarebbe un’impresa difficile. Ma i lettori, che conoscono bene come spesso funzionino le cose
in Calabria, non faranno fatica a immaginare. Limitiamoci dunque all’essenziale: non abbiamo firmato
il contratto 2010, la cui proposta definitiva ci era stata peraltro presentata l’antivigilia di Natale; quindi
ad anno praticamente finito e quando l’ospedale aveva già erogato le prestazioni. Anche per questo,
l’abbiamo ritenuta una proposta irricevibile e ingiusta, visto che non teneva in alcun conto il lavoro
realmente prodotto. Per il 2011, abbiamo firmato un contratto, sempre ad anno ampiamente inoltrato,
dal quale però sono rimaste fuori le prestazioni rese in urgenza. Prestazioni che abbiamo ancora una
volta comunque garantito, perché non è nostra abitudine chiudere le porte in faccia agli ammalati. Se e
quando la Regione farà fronte a quelle prestazioni non è dato sapere. Né è dato sapere cosa la Regione
intenda fare per il 2012, con buona pace della programmazione e della normalizzazione del sistema
sanitario di cui però si fa un gran parlare. Gli interrogativi continuano dunque a rimanere senza risposta.
Cosa vuol fare la Regione sulla cardiochirurgia in Calabria? Come si conciliano le previsioni contenute
nel programma di riordino della rete ospedaliera, che individuano puntualmente qual è la situazione
calabrese con i vincoli del piano di rientro? E come si conciliano entrambi gli aspetti con le notizie che
saltano fuori di tanto in tanto sull’apertura di una nuova cardiochirurgia? Ce n’è bisogno? Sarà una in
più o una delle due attualmente esistenti dovrà farsene carico? Chi decide su tutto questo e sulla base
di quali valutazioni lo fa? Ci sarà un“tavolo”, dove ciascuno potrà portare il proprio contributo in base
alla propria consolidata esperienza o no? Sono domande a cui il S.Anna non può dare risposte, perché
esse spettano appunto alla politica; la stessa politica che ogni giorno ripetete che ci stiamo avviando
verso un sistema sanitario degno di questo nome. Noi abbiamo chiesto sempre e solo di poter fare il
nostro lavoro. Lo hanno chiesto per noi – e li ringraziamo profondamente per averlo fatto – le migliaia
di pazienti che hanno aderito alla campagna “Lasciateli Lavorare”, inviando le cartoline al presidente
della Regione, che è anche commissario alla sanità o sottoscrivendo l’appello sul nostro sito internet.
Presto renderemo ufficiali i numeri, che sono facilmente documentabili. Nel frattempo, continueremo
il nostro lavoro, implementeremo l’offerta diagnostica e terapeutica, amplieremo le collaborazioni nazionali e internazionali, che già sappiamo faranno segnare, nel 2012, ulteriori passi in avanti.
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Tavi
Tavi
la qualità premia
e così si diventa leader
Il Sant’Anna Hospital è uno dei quattro Centri europei nei quali viene svolta
attività di training in vista dell’introduzione della Tavi negli Usa
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E
ntro la fine del 2011, la FDA, l’Agenzia governativa degli Stati Uniti che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici, approverà
l’introduzione negli ospedali americani della Tavi,
la protesi valvolare aortica trans catetere. Proprio in
previsione di questa scadenza, il S. Anna Hospital ha
ospitato nei mesi scorsi un corso di formazione teorico pratico sull’impianto delle protesi Edwars-Sapien.
Lo scopo è stato quello di formare un gruppo di specialisti internazionali che, a loro volta, svolgeranno
attività formative nei centri cardiochirurgici statunitensi che introdurranno la procedura.
Gli otto specialisti formati al S. Anna erano parte di
un gruppo di circa quaranta persone, distribuite in
quattro centri europei. Oltre a quello calabrese, sono
stati coinvolti il Centro Cardiologico “Monzino” di
Milano, per quanto riguarda l’Italia; il Policlinico Universitario di Rouen e la Clinica“Pasteur”di Tolosa per
quanto riguarda la Francia. (Altri specialisti hanno
osservato casi clinici ma senza uno specifico training
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
anche in alcuni centri europei inglesi e tedeschi). Diverse erano le provenienze degli esperti formati a
Catanzaro, in particolare gli stati del Massachusetts,
West Virginia, Indiana, Illinois, Pennsylvania, Minnesota, Las Vegas e Arizona. Gli otto americani hanno
avuto modo di assistere “in diretta”, grazie al collegamento audio video tra la sala operatoria ibrida del S.
Anna e la sala meeting dello stesso ospedale, all’esecuzione di sei procedure su altrettanti casi clinici, eseguite dall’equipe del dottor Mauro Cassese che ne ha
contemporaneamente curato, discutendole, anche
la illustrazione.
Lo stesso Cassese si è dichiarato alla fine “estremamente soddisfatto”dell’esperienza. «Oltre centodieci
procedure eseguite in meno di due anni - ha detto
- hanno fatto del S. Anna Hospital un punto di riferimento internazionale e oggi ci lusingano, anche se
non ci stupiscono, gli apprezzamenti che abbiamo
ricevuto alla fine del corso di formazione. Credo - ha
aggiunto - che nei giudizi positivi che abbiamo registrato abbiano giocato un ruolo fondamentale l’uso
abituale che facciamo delle diverse e sofisticate tecniche di imaging, la possibilità che abbiamo offerto
di assiste in diretta all’esecuzione delle procedure
ma soprattutto il grado di integrazione che abbiamo
raggiunto nel lavoro in team, che è cruciale ai fini del
risultato. Gli americani sono estremamente sensibili
al lavoro di squadra, fa parte della loro cultura e non
solo di quella medica. È normale che abbiano apprezzato un elemento che non è sempre facile rintracciare al di qua dell’oceano. Per questo - ha concluso Cassese - non mi stupirei se questa nostra collaborazione
prendesse ulteriore corpo in futuro, magari con una
nostra azione direttamente sul territorio americano.
In attesa di verificare tempi e modalità di questa collaborazione internazionale, stiamo comunque implementando la nostra attività di formazione presso
diversi centri italiani; attività che, insieme con il collega Bindo Missiroli, ci ha già portati a Novara presso la
casa di cura “San Gaudenzio”, ad Alessandria presso
ospedale civile, a Torino presso l’azienda ospedaliera dell’Ordine Mauriziano e a Roma presso l’ospedale “Sant’Andrea”. Prossimamente, saremo presso
l’azienda ospedaliera“Brotzu”di Cagliari».
Soddisfatto anche il direttore generale del S.Anna,
Giuseppe Failla. «Abbiamo assistito - ha detto - a un
esempio molto concreto di cosa intendiamo quando
l’iMPortaNZa dEll’iMaGiNG
l
e tecniche di imaging utilizzate al S. Anna Hospital hanno impressionato favorevolmente,
come ha sottolineato il dottor Mauro Cassese, i partecipanti alle attività formative sulla Tavi. Si tratta in
particolare di tecniche in grado anche di guidare le
procedure interventistiche e, al momento necessario, fornire altresì un controllo immediato del risultato ottenuto senza che il paziente venga trasferito in altre sale. Il complesso della strumentazione
comprende:
- Amplificatore di brillanza (Arco a“C”);
- Apparecchiatura ecocardiografica transesofagea;
- Ecocardiografia tridimensionale 3D real time;
- Apparecchiatura per ecografia intravascolare;
- Video scopia.
L’Arco a “C” che permette di realizzare tutti gli esami
angiografici (arteriografia, aortografia, coronarografia) e l’esecuzione di tutte le procedure interventistiche normalmente eseguite in un laboratorio di
emodinamica. Mentre la strumentazione cardiochirurgica è ormai standardizzata, la scelta della
tipologia dell’Arco a “C” costituisce una differenza
sostanziale. Fra un dispositivo mobile o portatile
e uno fisso, quest’ultima soluzione è sicuramente
preferibile. La presenza di una struttura radiologica fissa, come nel caso della sala ibrida del S. Anna,
resta la condizione ottimale sia dal punto di vista
delle potenzialità diagnostiche, sia per la possibilità
di movimenti intorno al tavolo operatorio.Tale sistema di diagnostica interventistica comporta altresì
la presenza di una cabina di comando a vista della
sala da cui vengano gestiti, oltre alle strumentazioni radiologiche, anche i monitor ripetitori presenti
all’interno. Questi monitor guideranno gli operatori nella fase diagnostica ma soprattutto nella parte
interventistica sostituendo quella che fin’ora è stata
la normale visione diretta che il chirurgo aveva del
campo operatorio. La strumentazione della sala ibrida si completa con l’ecografia: transesofagea, in 3D
e tramite l’Icus. La sala ibrida è dotata anche di un sistema di videoscopia, che permette l’esecuzione di
interventi cardiochirurgici in mini toracotomia videoassistita. Tali sistemi (ecocardiografia e videoscopia) rendono la sala operatoria ibrida estremamente
versatile, idonea cioè sia per interventi cardiaci, sia
vascolari di ogni tipo. Questa tecnologia è essenziale
per guidare la mano del chirurgo, laddove la radiologia diagnostica e la visione diretta non lo permettono. In altre parole, all’interno della sala ibrida anche la vista dell’operatore è ibrida, ovvero mediata
da numerose apparecchiature che permettono la
ricostruzione di strutture complesse in tempo reale. Viene quindi a mancare la classica visione diretta
dell’organo o del vaso. L’operatore che lavora non
più guardando le sue mani ma i monitor su cui vede
muoversi i suoi strumenti.
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Tavi
Tavi
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diciamo che l’alta specialità è saper guardare avanti
e, meglio ancora, se questo viene fatto bruciando i
tempi o addirittura anticipandoli.
L’introduzione della Tavi al S.Anna è scaturita non
solo dalla necessità di tenere come al solito alta la
qualità delle nostre prestazioni ma anche dalla presa
d’atto che, con l’allungamento dell’età media di vita,
era indispensabile e giusto offrire un’opportunità di
cura a pazienti che, fino a qualche anno fa, ne erano
del tutto privi. I risultati di oggi ci premiano ancora
una volta, perché ci collocano in un circuito medico
scientifico internazionale di altissimo profilo. Siamo
ovviamente contenti per noi ma lo siamo soprattutto
per la Calabria».
È IL TEAM APPROACH A FARE LA DIFFERENZA
N
on solo le tecniche di imaging ma anche il cosiddetto team approach del S. Anna Hospital ha colpito positivamente gli americani, giunti a Catanzaro per approfondire le metodiche di impianto trans catetere di bioprotesi
valvolari aortiche. Sarebbe un errore, però, pensare che il“gioco di squadra”sia un fatto che riguarda solo ed esclusivamente il personale medico. L’impegno infatti è anche di quello infermieristico, perché in ogni squadra che si rispetti c’è, sì, un ruolo per ciascuno ma ciò che fa vincere il gruppo sono il livello di competenza a cui quel ruolo viene
svolto e il grado di integrazione della squadra stessa.
Il personale infermieristico del S.Anna, in particolare, ha elaborato un protocollo, cioè una sequenza di comportamenti, che assicura un’assistenza completa ai pazienti candidati al Tavi e garantisce omogeneità delle prestazioni
erogate. Il protocollo è il frutto del lavoro di Paola Rubino, Stefania Ciccia, Salvatore Franzè, Pierpaolo Cannistrà,
Ionida Begaj, Stefania Catalano, Emanuele Critelli, Nicola Iaconis, Stefania Puccio, Giovanni Costa, Roberta Rotundo,
Luciana La Rocca, Nadia Albanese. Tutti del Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare del Centro regionale di Alta
Specialità del Cuore.
L’obiettivo è stato quello di elaborare un documento, redatto con il cosiddetto team valve (l’equipe di cardiologi,
emodinamisti, cardiochirurghi e anestesisti) al fine di tradurre conoscenze scientifiche in comportamenti professionali, adottati sistematicamente dallo stesso personale infermieristico nella gestione dei pazienti candidati al
Tavi. Il protocollo prevede, come detto, una sequenza di comportamenti da attuare dall’ingresso del paziente nel
reparto di degenza al momento del trasferimento in sala ibrida per l’intervento. È diviso in tre fasi: compiti assistenziali all’ingresso in reparto, compiti assistenziali il giorno prima dell’intervento e compiti assistenziali un’ora prima
dell’intervento stesso.
L’importanza di disporre di una squadra completa e integrata, al servizio del paziente, è un dato non tanto facilmente riscontrabile nelle strutture ospedaliere; dove è presente, esso concorre a fare la differenza ma soprattutto
l’eccellenza. È un dato però ormai acquisito dalla comunità medico scientifica. Non è un caso, infatti, che il protocollo redatto dagli infermieri del S. Anna sia stato accolto come comunicazione orale al congresso nazionale del Gise
(Gruppo Italiano di Studi Emodinamici), tenuto a Genova nell’ottobre di quest’anno.
Patologia carotidea
Patologia
carotidea
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
la prevenzione dell’ictus
da stenosi carotidea
C’è uno spettro ampio di possibilità per prevenire l’evento che è la terza causa di
morte nei paesi industrializzati: dalla sala operatoria a quella di emodinamica
«L
’ictus - illustra il dottor Attilio Cotroneo, chirurgo vascolare presso il S.Anna - è la terza causa
di morte nei paesi industrializzati, la più frequente
malattia neurologica che richiede ricovero e la principale causa di invalidità. La chirurgia carotidea ha
lo scopo di prevenire l’ictus ischemico. Fattori di rischio per l’ictus sono: ipertensione, dislipidemia (incremento dei grassi circolanti nel sangue), diabete
e soprattutto fumo di sigaretta. La prevenzione dei
fattori di rischio e un semplice esame come l’eco color doppler può svelare una stenosi (restringimento)
carotidea asintomatica. I segni clinici invece pos-
sono essere la perdita transitoria di forza degli arti,
difficoltà nel parlare o perdita transitoria della vista.
Tutti questi segni si definiscono attacchi ischemici
transitori (TIA). Se i segni clinici non regrediscono
entro 24 ore o addirittura peggiorano, si configura
l’ictus. Per stenosi superiori al 70%, il tasso di ictus è
maggiore che per stenosi tra il 50% ed il 69%. Il rischio di ictus in pazienti con TIA è del 15% nei primi
30 giorni e superiore al 30% a 5 anni. Per questo si
decide di operare le stenosi superiori al 70% o inferiori ma sintomatiche. Anche se la severità della stenosi guida la decisione clinica, la composizione della
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
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Patologia carotidea
Patologia
carotidea
placca è più importante nel determinare il rischio di
ictus. Una placca “molle” è composta da materiale
che il flusso sanguigno può dislocare causando embolie che stanno alla base dell’ictus. Il fumo accresce
il rischio di ictus dal 25% al 50%. Abbassare i livelli di
colesterolo è raccomandato per tutti i pazienti con
aterosclerosi carotidea. L’eco color doppler è l’esame
diagnostico di prima scelta per evidenziare la criticità della malattia e per porre indicazione all’intervento sulla base della velocità misurata del flusso come
indicatore della severità della stenosi. La TAC, è necessaria solo per dirimere i dubbi ecografici mentre
l’angiografia si effettua se si pianifica il trattamento
della stenosi carotidea con stent.
gia cerebrale. Quando l’eco color doppler esclude
malattia carotidea alla base di sintomi neurologici,
è utile eseguire TAC o RMN per studiare il circolo intracranico ed intratoracico. Così come, quando l’eco
color doppler rileva occlusione carotidea è talvolta
utile eseguire TC per escludere che non vi sia ancora
una minima pervietà che consenta la rivascolarizzazione chirurgica mentre l’occlusione completa dalla
carotide interna a non è più passibile di trattamento.
La tromboendoarteriectomia carotidea (TEA) conclude Cotroneo - è raccomandata nei pazienti
sintomatici (entro 6 mesi dall’insorgenza dei sintomi), se c’è una stenosi carotidea extracranica superiore al 70%, documentata all’eco color doppler ed è
Lo stenting carotideo - prosegue Cotroneo - ha indicazione solo nei seguenti casi: pazienti già sottoposti a radioterapia o a precedenti interventi sul collo, a restenosi dopo chirurgia carotidea (solo in caso
di restenosi superiori all’80% o in caso di nuovi sintomi) e in pazienti ad alto rischio chirurgico; trova anche indicazione nella stenosi carotidea che si accompagna a occlusione della carotide controlaterale. In
pazienti con sintomi neurologici acuti, RMN e TAC
sono indicate, non per confermare stenosi carotidea
ma per differenziare l’ictus ischemico dall’emorra-
ragionevole intervenire entro 2 settimane piuttosto
che procrastinare l’intervento. La chirurgia carotidea
è ancora il trattamento principale in caso di stenosi
con un tasso di mortalità e complicanze neurologiche
più basso dello stenting, tranne che nelle indicazioni
su esposte. Il microembolismo durante la procedura
è, infatti, più frequente in caso di stenting che rimane
un’arma valida in casi selezionati, poiché la placca non
viene eliminata ma solo “schiacciata” contro la parete
dalla forza dello stent. Il controllo post-intervento è
raccomandato a 1 mese, a 6 mesi e poi ogni anno».
Patologia carotidea
Patologia
carotidea
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
la terapia chirurgica
della patologia carotidea
Le tre tecniche d’intervento eseguite in anestesia generale e con l’ausilio
dell’Invos per garantire il monitoraggio cerebrale del paziente
L’
interesse della chirurgia carotidea è rivolto
principalmente, come abbiamo visto, alla prevenzione dell’ictus ischemico. I 3/4 delle lesioni carotidee potenzialmente responsabili di tale tipo di
“stroke” (colpo) sono prevalentemente localizzate
alla biforcazione carotidea e si distinguono in aterosclerotiche e non aterosclerotiche e in restenosi
dopo endoarteriectomia (casi in cui l’arteria si restringe nuovamente dopo l’intervento).
le lesioni ateromasiche
«Le lesioni ateromasiche (da placca) - spiega il dottor Giuseppe Caliò, responsabile della Chirurgia vascolare del S.Anna - costituiscono il 90% delle lesioni
potenzialmente responsabili di stroke. Le loro manifestazioni cliniche più frequenti sono rappresentate
dagli attacchi ischemici transitori (TIA) e dai sintomi
oculari (amaurosis fugax). Nel 15-20% dei casi, invece, una lesione carotidea ateromasica si manifesta
attraverso sintomi di insufficienza vertebro-basilare;
lo stroke ischemico costituito rappresenta l’esordio sintomatologico di una lesione ateromasica nel
rimanente 15-20% dei pazienti. Le lesioni asintomatiche, invece, vengono scoperte casualmente:
durante lo studio Eco-Doppler dei vasi del collo nei
pazienti da sottoporre ad interventi di rivascolarizzazione arteriosa in altri distretti, oppure durante
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Patologia carotidea
Patologia
carotidea
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l’esame clinico di routine, che svela la presenza di un
soffio cervicale nei pazienti in studio per altre patologie. Le stenosi ateromasiche sintomatiche presentano un’indicazione chirurgica di principio. Qualora i
sintomi siano transitori, l’indicazione è di prevenire
uno stroke, nel caso invece in cui lo stroke costituito
rappresenti l’esordio sintomatico, l’indicazione sarà
quella di prevenire un possibile stroke successivo,
mortale o più invalidante del precedente.
Circa il tempo dell’intervento dal momento della diagnosi - aggiunge Caliò - questo sarà definito dai risultati della Tomografia Computerizzata (TC) cerebrale
con mezzo di contrasto: se esistono ipodensità o se
queste ultime non assumono il mezzo di contrasto, si
potrà procedere all’intervento di rivascolarizzazione;
se si è verificato uno stroke, è comunque opportuno attendere che sia raggiunta la soglia massima di
recupero funzionale possibile; nel caso sia presente
un’assunzione di contrasto da parte di una lesione
cerebrale, è necessario attendere e ripetere una TC
mensile finché l’assunzione di contrasto sarà assente;
procedere ad un’endoarteriectomia carotidea in fase
“attiva”esporrebbe infatti ad un rischio inaccettabile
di stroke post-operatorio di rivascolarizzazione. Solo
nel caso di TIA“in crescendo”è giustificato procedere
ad una rivascolarizzazione carotidea anche in pre-
senza di una lesione cerebrale “attiva”, perché i rischi
di evoluzione in stroke ischemico superano quelli di
una sindrome di rivascolarizzazione.
I risultati post-operatori di alcune grandi serie di chirurgia carotidea per stenosi sintomatiche - spiega
ancora Caliò - mostrano come il tasso cumulativo di
mortalità e morbilità neurologica maggiore (stroke)
post operatorie sia inferiore al 5%. È questo lo standard al quale devono uniformarsi le equipe chirurgiche affinché esista, complessivamente, un effettivo
vantaggio della chirurgia nei confronti del solo trattamento medico ai fini della prevenzione dello stroke nei pazienti sintomatici. I risultati della chirurgia
carotidea per stenosi asintomatiche sono ancora migliori che per le stenosi sintomatiche, con mortalità
post operatoria pressoché nulla e tassi di stroke postoperatorio inferiori all’1%. Le restenosi dopo endoarteriectomia carotidea si sviluppano per lo più entro 2
anni dall’intervento.
Esse riguardano il 2-3% di tutte le endoartierectomie,
sono sintomatiche in circa il 30% dei casi e sono più
frequenti nelle donne. Presentano una indicazione
chirurgica le restenosi sintomatiche, quelle ad evoluzione pre-occlusiva, quelle con presenza di trombo al
loro interno e quelle associate ad un’occlusione carotidea controlaterale».
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Coiling e Kinking
«Con i termini di coiling e kinking - spiega sempre
Caliò - si intende un eccesso di lunghezza della carotide interna. Essa descrive una curva armoniosa a
360 gradi, nel caso del coiling; a un angolo inferiore
a 90 gradi nel caso del kinking. L’effetto emodinamico dell’angolo determina turbolenze nell’interno del
vaso con il conseguente sviluppo di lesioni ateromasiche stenosanti e/o emboligene. Le indicazioni
chirurgiche riguardano tutte le forme sintomatiche,
emodinamicamente significative e quelle associate
ad altre lesioni, ateromasiche e non, dello stesso asse
carotideo o dell’asse controlaterale. Le dissezioni
(scollamento) carotidee sono più frequenti nel soggetto giovane e, di solito, non presentano indicazioni
chirurgiche salvo i casi di evoluzione aneurismatica o
di forme segmentarie, aggredibili chirurgicamente
perché localizzate alla carotide extracranica ed associate a sintomatologia recidivante. Gli aneurismi
(dilatazioni) indipendentemente dalla loro natura
(displasica, arteriosclerotica, settica o dissecante)
presentano un’indicazione chirurgica di principio
anche se asintomatici: l’apposizione di trombo nella
camera aneurismatica, infatti, può diventare col tempo una sorgente di emboli e, quindi, ad alto rischio di
stroke. Le stenosi post-attiniche (dopo radio terapia),
infine, presentano indicazioni sovrapponibili alle
stenosi ateromasiche: vanno operate le forme sintomatiche e quelle emodinamicamente significative
responsabili di stenosi superiori al 70%. La tecnica di
rivascolarizzazione in questi casi è in genere quella
del by-pass carotido-carotideo in protesi (PTFE) per
l’intensa sclerosi tissutale che sulla carotide impedisce di trovare facilmente in piano di clivaggio per
l’endoarteriectomia e può comprimere un by pass in
vena determinandone una precoce trombosi.
In definitiva - conclude Caliò - se per alcune patologie, quali le stenosi ateromasiche sintomatiche superiori al 70%, l’indicazione chirurgica si basa sui risultati di rigorosi studi prospettici randomizzati, per
altre, quali le stenosi emodinamiche asintomatiche,
le indicazioni sono tutt’ora oggetto di discussione. I
risultati degli studi randomizzati in corso consentirà
probabilmente di migliorare le possibilità di definizione del rischio di stroke legato a lesioni della carotide extra-cranica e di assicurarne la prevenzione in
maniera sempre più efficace».
lE trE tECNiCHE da StENoSi CarotidEa
L
a terapia chirurgica della patologia carotidea si
avvale di tre tecniche fondamentali:
- L’endoarteriectomia per eversione (figura 1)
- L’endoarteriectomia standard con incisione longitudinale sull’arteria e applicazione (o meno) di
patch (Fig.2)
- (Meno frequente) By-pass
Tutte e tre le tecniche prevedono per il paziente
l’anestesia generale con monitoraggio cerebrale
durante l’intervento, realizzato con un particolare
apparecchio denominato “Invos”. Si tratta di due
elettrodi cutanei (cerotti) che vengono applicati
sulla fronte del paziente e permettono di prevenire
eventuali ictus in corso di intervento determinati
da intolleranza al clampaggio (chiusura temporanea) della carotide.
Fig.1
Fig.2
(Senza Patch)
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Patologia carotidea
Patologia
carotidea
la terapia chirurgica
in minicervicotomia
La tecnica mini invasiva eseguita in anestesia loco regionale che consente di
monitorare il paziente sveglio durante la fase di clampaggio carotideo
12
I
pazienti a cui viene diagnosticata la presenza di
una stenosi carotidea non significativa devono iniziare una terapia con farmaci detti “antiaggreganti”
come l’aspirina o la ticlopidina, che in determinati
casi riducono, ma non aboliscono, il rischio di ictus.
Esistono attualmente dimostrazioni evidenti che, in
persone con stenosi significative della carotide, sintomatiche o asintomatiche, l’intervento chirurgico
di endoarterectomia garantisce la possibilità di evitare l’ictus. «Contrariamente a quanto si possa pensare - spiega il dottor Giuseppe Roscitano, chirurgo
vascolare presso il S.Anna - a questo tipo di intervento non si ricorre quando l’ictus c’è già stato ma prima
e, oltretutto, non quando il flusso attraverso l’arteria
interessata è completamente bloccato ma quando
la stenosi rientra in un range che va dal 75 al 99%,
per cui l’intervento non viene eseguito per riparare
un danno cerebrale già esistente ma per prevenire il
possibile manifestarsi dell’evento ischemico».
«Una endoarteriectomia (TEA) eseguita con successo - prosegue - elimina il rischio di ictus invalidanti a
medio e lungo termine. L’intervento dura circa un’ora
e presso il S. Anna Hospital si esegue in anestesia
loco-regionale, cioè mediante la somministrazione
di anestetico locale attraverso alcune punture nel
collo per meglio monitorare le condizioni neurologiche del paziente durante tutte le fasi dell’intervento.
Grazie all’esperienza maturata negli anni, si è riusciti
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
aNEStESia loCorEGioNalE PEr la CHirUrGia dElla CarotidE
«I
n campo anestesiologico - spiega il dottor Claudio Roscitano, anestesista presso il S.Anna - numerosi autori
si sono dedicati con estremo interesse al confronto sul tipo di tecnica da applicare in tema di chirurgia della carotide: anestesia generale o anestesia locoregionale? In anestesia locoregionale gli autori riferiscono una
minore incidenza di mortalità e morbilità cardiovascolare, nonché di crisi ipertensive; una minore degenza in
terapia intensiva e in ospedale. Ai vantaggi di una maggior protezione cerebrale e un sicuro controllo delle vie
aeree, offerti dall’anestesia generale, quella locoregionale si caratterizza per una maggiore stabilità emodinamica e soprattutto per una possibilità di controllo più accurato dello stato neurologico del paziente durante
la fase di clampaggio carotideo. Per questo motivo una parte degli autori ritiene che l’anestesia locoregionale
sia quella più indicata, in quanto offre la garanzia di un controllo diretto sullo stato di coscienza del paziente e
consente la valutazione più sicura delle condizioni di compenso del circolo cerebrale, evidenziando l’insorgenza
di eventuali deficit legati ad un’ipoperfusione e conseguente sofferenza cerebrale durante clampaggio della
carotide. Indubbiamente, la sua esecuzione richiede una certa esperienza e una certa manualità, per il rischio di
complicanze che può provocare. Tuttavia, l’interesse che sempre più anestesisti hanno rivolto a questa tecnica
ha favorito la sua diffusione e ha consentito un suo progressivo affinamento attraverso l’applicazione di modifiche e accorgimenti che la rendono molto meno rischiosa di un tempo».
a ridurre le dimensioni dell’incisione chirurgica che
spesso viene ancora praticata dall’orecchio alla base
del collo secondo una linea longitudinale, riducendola a 4/5 cm. La metodica è nota come minicervicotomia. Ciò è possibile previo mappaggio ecografico che consente di individuare la biforcazione
carotidea sede dell’incisione cutanea; viene isolata
l’arteria dalle strutture vascolo-nervose circostanti
e si procede al clampaggio che consente al chirurgo di sezionare la carotide, ripulirla dalla placca e
richiuderla mediante una sutura diretta, senza interposizione di materiale protesico. Per questo motivo
è preferibile la tecnica “per eversione”, che consiste
nell’evertere (sostanzialmente, rivoltare come un
calzino) la carotide interna sezionata, di rimuovere la
placca e di richiuderla. L’anestesia locale, con il paziente vigile, consente di valutare lo stato neurologico al momento del clampaggio che viene “tollerato”
nella gran parte dei casi; quando ciò non accade e il
paziente manifesta qualunque segno neurologico, è
indicato l’uso dello shunt, cioè di un tubicino che garantisca il flusso di sangue al cervello durante la fase
centrale dell’intervento.
Nelle ore successive all’intervento - spiega ancora
Roscitano - il paziente viene controllato con monitor
che controlla alcuni parametri cardiaci (pressione
arteriosa, frequenza cardiaca, ECG e saturazione periferica di ossigeno nel sangue) e vengono eseguiti
esami di laboratorio post-operatori. È importante
durante il post-operatorio che la pressione arteriosa
si mantenga entro determinati valori ed evitare crisi
ipertensive che possano sfociare in una sindrome da
iperafflusso cerebrale o, nei casi più gravi, nell’emorragia cerebrale. Dopo circa tre ore, a smaltimento
dell’anestesia locale, il paziente può bere e assumere liquidi durante la giornata. Il primo giorno postoperatorio si rimuove il piccolo drenaggio posizionato accanto alla ferita chirurgica, si sospendono le
infusioni di liquidi per via endovenosa ed i sistemi
di monitoraggio e il paziente può deambulare ed
alimentarsi. In seconda giornata post-operatoria lo
stesso viene dimesso. La minicervicotomia e la tecnica per eversione non sono attuabili solo nei casi in
cui la placca si estende nel tratto di arteria carotide
comune prossimale per cui è utile in tali casi ricorrere all’incisione tradizionale estesa e praticare un by
pass preferibilmente in vena safena e sostituire tutto
il tratto di arteria malata».
Il rischio operatorio, nella casistica del S. Anna, è in
linea con quello dei migliori centri di riferimento italiani e si attesta allo 0,8%. È indispensabile assumere
sempre la terapia antiaggregante e un corretto follow-up con Ecocolordoppler dei vasi del collo ad 1,
3, 6 mesi dell’intervento e poi una volta all’anno, poiché - anche se in un numero esiguo di casi - l’arteria
può restringersi nuovamente (restenosi).
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Patologia carotidea
Patologia
carotidea
terapia endovascolare
delle stenosi carotidee
Per alcuni pazienti, piuttosto che l’azione del chirurgo è indicata quella
del cardiologo interventista che agisce attraverso l’arteria femorale
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L
e carotidi sono dei condotti arteriosi deputati ad
irrorare il distretto cerebrale. La classificazione
anatomica le divide in: arteria carotide comune, che
a destra nasce dall’arteria anonima, mentre a sinistra
direttamente dall’aorta. L’arteria carotide comune si
divide poi in arteria carotide esterna ed arteria carotide interna quest’ultima, senza dare circoli collaterali, si dirige verso il poligono di Willis, sistema arterioso sito all’interno della scatola cranica, al quale si
fonde dopo aver dato origine all’arteria oftalmica.
«Il trattamento endovascolare - spiega il dottor Placido Grillo, cardiologo interventista del S.Anna - mira a
risolvere le stenosi (restringimenti) dovuti a placche
di colesterolo che interessano le arterie carotidi comuni, il sifone carotideo, (punto in cui la carotide comune si divide in interna ed esterna), l’arteria carotide interna. Attraverso una delle due arterie femorali
comuni (site a livello dell’inguine), si posiziona un introduttore 8 F (cannula di circa 2,4 mm) che permette l’avanzamento di un catetere guida fino all’arteria
carotide comune, all’interno del quale si fa scorrere
un filo guida metallico 0,014 mm sulla cui estremità
è premontato un filtro che viene posizionato nella
porzione intracranica dell’arteria carotide interna;
la sua funzione è quella di bloccare la migrazione di
frammenti, provenienti dallo schiacciamento delle placche, alla circolazione terminale cerebrale. Su
questo filo guida (Filter-Wire) si fa avanzare lo stent
in nitinolo, una lega metallica che a 37 ° C , appena
lo stent è liberato dal sistema di contenimento, gli fa
assumere le dimensioni (7, 8, 9 mm) previste dal costruttore. Successivamente - conclude Grillo - sullo
stesso filo guida si avanza un pallone di 4-5 mm che
viene disteso a circa 12 atmosfere per schiacciare
bene la placca garantendo una buona espansione
dello stent nel punto di massimo carico di placca. Infine si effettua un controllo iniettando mezzo di contrasto all’interno dell’arteria carotide e se il risultato
raggiunto è ottimale con un sistema di recupero si
rimuove incapsulandolo».
Emodinamica
Emodinamica
S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Quel difetto che ha messo
Cassano in fuori gioco
Forame ovale pervio: questa la patologia che ha imposto lo stop al calciatore
pugliese e che da tempo è oggetto di cura e studio al Sant’Anna Hospital
È
probabile che il grande pubblico non avrebbe mai sentito
parlare di“forame ovale pervio”, se
sui media non fosse rimbalzata a
un certo punto la notizia del malore che ha colpito il calciatore del
Milan e della Nazionale, Antonio
Cassano. Il bomber è finito in ospedale per una ischemia cerebrale
e dopo gli accertamenti, i medici hanno optato per l’intervento
al cuore, perfettamente riuscito.
Responsabile di avere messo momentaneamente fuori gioco il calciatore è stato, appunto, il forame
ovale pervio.
«Si tratta di una patologia piuttosto delicata – spiega
il dottor Bindo Missiroli, responsabile dell’Emodinamica del S.Anna. Il forame ovale pervio è un tunnel
che congiunge in modo anomalo i due atri del cuore;
la sua persistenza è dovuta alla mancata fusione dei
due setti del muscolo cardiaco; fusione che normalmente avviene dopo la nascita. Attraverso questo
tunnel, dei piccoli coaguli possono passare dall’atrio
destro a quello sinistro,“saltando il filtro”polmonare.
Dall’atrio sinistro i coaguli finiscono nel ventricolo sinistro che contraendosi li immette nell’aorta. È così
che i coaguli giungono a bloccare il flusso del sangue nelle arterie di piccole dimensioni. Infatti - aggiunge Missiroli - sono il cervello e il cuore gli organi
messi a rischio dal forame ovale, perché gli emboli
possono dare origine a un ictus o a un infarto. Ma
l’interruzione del flusso sanguigno può riguardare
anche le arterie che arrivano alle gambe, alle mani,
ai reni e così via. È anche per questo che parliamo di
una patologia delicata: perché rischia di essere invalidante o comunque di condizionare in modo defi-
nitivo la vita delle persone che ne
sono affette».
Il forame ovale è da tempo oggetto dell’attenzione del S.Anna, che
sul tema ha consolidato una stretta collaborazione con il professor
Eustaquio Onorato, responsabile
dell’Unità Operativa di Cardiologia Interventistica per le malattie
congenite di “Humanitas Gavazzeni” di Bergamo e uno dei massimi esperti della materia. Un’esperienza «molto bella e completa», la
definisce Missiroli,«perché avviata
su un piano squisitamente professionale ma arricchitasi nel tempo
su quello dei rapporti umani».
Il forame ovale pervio riguarda un quarto della popolazione italiana (più o meno 15 milioni di persone)
ma è rischioso per la salute solo in alcuni casi, circa
12.000 nel nostro Paese. Il paziente tipo è una donna,
spesso di 20 o 30 anni. L’intervento, però, è eseguito
solo in quelle persone che hanno già avuto problemi
di salute correlati, ad esempio un ictus o un’ischemia transitoria in qualunque distretto corporeo. È
lo stesso Onorato a chiarire che “se è vero che i numeri del fenomeno sono significativi, è anche vero
però che la platea dei pazienti candidabili all’intervento e quindi alla chiusura è percentualmente più
circoscritta. C’è dunque un problema di indicazione,
da affrontare con molto scrupolo e porre nella chiave migliore possibile; la chiusura del forame, infatti,
deve avvenire nell’ambito di una prevenzione secondaria dell’evento ischemico cerebrale precedente. Solo in questo contesto possiamo considerare
l’indicazione all’intervento come opportuna ed è per
questo che essa va condivisa anche con specialisti
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S.Anna Hospital Magazine - 9/2011
Emodinamica
Emodinamica
neurologi, ematologi, medici dello sport, cardiologi
ecografisti. Il cardiologo interventista che si occupa
meccanicamente della chiusura - prosegue Onorato
- deve essere in qualche modo“illuminato”dall’esperienza delle altre figure mediche. È fondamentale
avere le ‘mani felici’ ma a queste è bene aggiungere
un buon ragionamento clinico a più voci e dunque,
il team cuore-cervello diventa la discriminante positiva. Anche perché, occorre precisare, oggi non ci
sono linee guida che ci consentano di dire ai pazienti
questo è bianco e questo è nero. In siffatta situazione, credo che per noi professionisti non rimanga altro che condividere i percorsi e ragionare in base al
singolo paziente e alle sue caratteristiche per trovare
quella che, secondo noi e la nostra esperienza, è l’indicazione più chiara e la risposta più efficace».
Anche sul tema del forame ovale, dunque, torna il
concetto di team approach che come sanno bene i
nostri lettori, caratterizza l’intera attività del S.Anna.
«Le modalità di lavoro del Centro calabrese di Alta
Specialità del Cuore - dice ancora Onorato - ricalcano
benissimo quella che è stata la nostra esperienza, iniziata già dodici anni fa in stretta sintonia con il neurologo. La mia volontà di condividere l’esperienza con
numerosissimi Centri in Italia e all’estero è approdata
a Catanzaro perché anche qui ho trovato l’ambien-
te adatto e più fertile a far nascere la collaborazione,
spontanea e non forzata, tra cardiologi interventisti
ed ecografisti, come fatto interno al Centro e in più
ho trovato questa apertura culturale anche verso figure professionali esterne come i neurologi, che aiuta a chiarire i quadri clinici e a formulare, come abbiamo visto, le indicazioni più opportune. Il dato molto
positivo del S.Anna, se guardo indietro a questi anni,
a parte il sodalizio umano e professionale consolidato con il dottor Missiroli, è che qui in pochissimo
tempo si sono fatti passi da gigante sia sul piano diagnostico sia su quello terapeutico, proprio perché si
è capita, accettata e fatta propria la volontà di discussione come gruppo e non come singole professionalità. Per questo oggi - conclude Onorato - possiamo
guardare avanti, ad altre procedure nuove, alla possibilità di ridurre l’ingombro dei dispositivi che stiamo
utilizzando. Così come, grazie alla sintonia che si è
creata, pensiamo al S.Anna come sede per nuovi progetti che stiamo studiando e che necessitano solo di
alcune modifiche e avanzamenti tecnologici finalizzati alla sicurezza del paziente. Questo farà sì che in
un futuro prossimo il S.Anna venga inoltre inserito
nei i registri multicentrici italiano e internazionale
che monitorizzano organicamente le attività delle
diverse strutture intorno al tema del forame ovale».
Cardiologia
Cardiologia
S.Anna Hospital Magazine - 9/2010
Stenosi coronariche
ostiali e radioterapia
Un caso clinico studiato al Sant’Anna è l’oggetto di un articolo pubblicato
di recente dal prestigioso International Journal of Cardiology
L
oredana Iannetta è una giovane dottoressa, parte
di un gruppo di medici che presso il S.Anna hanno
svolto o svolgono le proprie attività teorico pratiche
nell’ambito del Master di II livello in Cardiologia per
Immagini, organizzato dal Dipartimento del Cuore e
dei Grossi Vasi dell’università “La Sapienza” di Roma,
diretto dal professor Carlo Gaudio. È in questa veste
che la dottoressa Iannetta ha recentemente pubblicato un articolo sul prestigioso International Journal
of Cardiology1, dedicato al nesso di causalità tra stenosi coronariche ostiali e radioterapia.
«L’esposizione alle radiazioni - spiega la stessa Iannetta - può provocare, specialmente in pazienti
giovani, l’insorgenza di lesioni coronariche ostiali. È
stato dimostrato che le radiazioni possono provocare alterazioni cardiache a livello istopatologico che
possono rimanere clinicamente silenti o manifestarsi a distanza di anni con stenosi coronariche, pericarditi, anomalie di conduzione e valvulopatie. Questo
Fig. 1a
rischio è correlato alla quantità di radiazioni assorbite, al volume tissutale irradiato e al valore del rapporto. Il caso clinico descritto nell’articolo riguarda un
uomo di 64 anni con angina da sforzo, ipertensione e
ateromasia carotidea, giunto al S.Anna per effettuare una coronarografia. Tale esame non ha mostrato
stenosi emodinamicamente significative (fig. 1).
Dopo sei mesi - continua la dottoressa - al paziente
è stato diagnosticato un carcinoma laringeo. Pertanto è stato sottoposto a cicli di chemioterapia e di
radioterapia, assorbendo un totale di 7228,6 cGy. Lo
stesso paziente ha dovuto interrompere il secondo
ciclo di chemioterapia per angina tipica, marcata
bradicardia e anomalie diffuse della fase di ripolarizzazione ventricolare, riscontrate all’elettrocardiogramma. Per questo, è stato trasferito con urgenza
al S.Anna per effettuare una nuova coronarografia.
L’esame ha mostrato stavolta due stenosi significative: una all’ostio dell’arteria discendente anteriore
Fig. 1b
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S.Anna Hospital Magazine - 9/ 2011
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e l’altra all’ostio dell’arteria circonflessa. Pertanto
è stata effettuata una procedura di rivascolarizzazione mediante Kissing-stenting con un eccellente
risultato angiografico finale (fig. 2). Numerosi studi
- puntualizza infine Loredana Iannetta - hanno mostrato che l’irradiazione del mediastino o del torace,
nell’ambito della radioterapia, possono causare dei
difetti di perfusione coronarica, ma la correlazione
tra causa ed effetto era solo indiretta. Il caso clinico
descritto è probabilmente il primo nella letteratura
che mostra invece una correlazione altamente probabile tra causa ed effetto, ovvero tra l’esposizione
alle radiazioni e l’insorgenza di stenosi coronariche».
Sono proprio le peculiarità del caso clinico ad aver
indotto l’International“Journal of Cardiology”a pubblicare l’articolo.
Un motivo di soddisfazione per la dottoressa Iannetta, che si aggiunge al bilancio positivo che lei stessa
fa dell’esperienza vissuta fin qui al S.Anna. «Ho vinto
a suo tempo una borsa di studio - spiega - e pur non
conoscendo bene la realtà con cui mi sarei andata a
confrontare, non essendo calabrese (è nata a Cassino, ndr), ho subito accettato. Mentre presso il Policlinico Umberto I di Roma ho seguito un percorso formativo in ambito ecocardiografico, presso il S.Anna
ho chiesto di poter frequentare in Emodinamica ed
in reparto. Grazie alla disponibilità e alla pazienza dei
dottori Missiroli e Grillo ho potuto imparare non solo
da un punto di vista teorico, ma anche pratico. Posso
dire che l’esperienza che ho avuto qui è stata senza
Fig. 2a
Cardiologia
Cardiologia
alcun dubbio superiore ad ogni mia aspettativa in
quanto non avrei mai immaginato di poter apprendere tante nozioni e di incontrare persone di grande
professionalità ed esperienza oltre che di straordinaria umanità. Anche per questo, da meridionale, non
credo sia giusto affermare che al Sud è tanto difficile
fare una buona sanità. Il S.Anna, a mio avviso, può essere considerata un valido esempio di professionalità e di proficua collaborazione interdisciplinare tra i
vari operatori sanitari».
Il master che sta seguendo la dottoressa Iannetta è
destinato a medici che devono intraprendere la specializzazione o che sono già specialisti in cardiologia
ed è articolato in sessanta lezioni su tutti i principali
temi dell’imaging diagnostico cardiovascolare. La
parte pratica è invece tradizionalmente organizzata
mediante l’affiancamento di un tutor ad ogni iscritto
al corso. La collaborazione tra il S.Anna e l’università
“La Sapienza” di Roma è potuta concretizzarsi grazie
al livello particolarmente avanzato e sofisticato raggiunto dalla diagnostica per immagini presso il Centro Regionale di Alta Specialità del Cuore, che vanta
oggi tra l’altro la possibilità di raffinate indagini eco
transesofagee bi e tridimensionali in sala ibrida o
l’ecografia intracoronarica (Icus), che solo pochi Centri in Italia utilizzano e che serve a ottimizzare la strategia e le metodiche di cura delle coronarie.
1Grillo P, et al, Ostial coronary stenoses after radiation therapy, Int J
Cardiol (2011), doi: 10.1016/j.iycard.2011.10.123
Fig. 2b
Lettere al Magazine
Lettere
al Magazine
S.Anna Hospital Magazine -9/2011
S
ento il dovere di ringraziarvi per come avete trattato il mio caso e quelli di tutti coloro che si affidano alle
vostre cura: sfortunati, sì ma fortunati per essere curati e guariti presso il vostro Centro. Il S.Anna è un vero
gioiello sanitario per la Calabria tutta e forse anche oltre, con i suoi medici, altamente professionali, pieni di lealtà umana e rispetto. Dal giorno del mio ricovero, il 26 aprile, a quello delle dimissioni, il 26 maggio, potrei scrivere un libro sul vostro meraviglioso operato ma sintetizzo. Ciò che scrivo, oltre al ringraziamento, serve anche
a far conoscere a tutti, forze politiche comprese, che questo piccolo grande gioiello va custodito gelosamente.
Quando giunsi al S.Anna da un altro ospedale, fui accolto con gentilezza e sorrisi, che alleviarono un po’ la tristezza amara in cui ero sprofondato a causa del mio problema. Mi trovavo in Calabria per un breve periodo di
vacanza. Vivo da molto tempo a Verona (ora in provincia) e da due anni venivo curato per una broncopolmonite,
mentre invece, purtroppo, era una grave disfunzione valvolare, coronarie malate e altro. Praticamente, avevo un
cuore assai malandato. Immaginate il mio stato, a 57 anni: dopo avere lavorato tanto, mi ritrovavo ora malato di
cuore. Dopo la prima visita di accesso al vostro Centro, il dottor Martinelli con un velo di rabbia sentenziò che ero
in ritardo di qualche anno, perché il mio cuore era messo molto male, quasi sul punto di dover essere trapiantato.
Vedremo cosa sarà possibile fare, mi disse. Immaginate il mio sconforto. Ebbene, hanno fatto il miracolo. Grazie
dottor Martinelli; grazie dottori Cassese e Braccio. E grazie a tutti i medici del S.Anna Hospital. Grazie per aver permesso al mio cuore di battere ancora nel mio petto. Un grande grazie anche alla dottoressa Capovivo, esemplare
nel gestire il suo reparto di Cardiologia e paziente nel sopportare le mie lamentele per via del dolore, assistendomi con cura e parole di conforto. Quando cominciai muovere i primi passi dopo l’operazione e fino alle dimissioni,
passeggiavo lungo il corridoio fermandomi di tanto in tanto davanti alle effigi di San Pio e del Sacro Cuore. Le ho
ringraziate, perché permettono a questi professionisti di curare persone sfortunate, trattandole con amore, dal
più giovane al più anziano, senza distinzione alcuna. Grazie anche al personale paramedico: preparato, corretto
e molto educato con tutti i pazienti. Anche i più “impazienti”… In tutte le visite mediche che effettuo successivamente e con chiunque io parli racconto con orgoglio ciò che ho avuto e l’assistenza ricevuta dal S.Anna Hospital
di Catanzaro. Lasciatemelo dire: se non mi fossi trovato in Calabria, avrei curato la malattia sbagliata e chissà...
Ciò che racconto e testimonio orgogliosamente lascia meravigliati medici e istituti situati qui al nord. Ne parlato
anche con un medico affermato di Verona che dopo avere visionato ciò che mi era stato fatto, ha detto: nella
sfortuna hai avuto la fortuna di capitare in un posto dove hanno fatto un grande lavoro, non so se qui avrebbero
saputo fare altrettanto. Grazie a tutti e grazie al vostro meraviglioso gioiello.
Gaetano Del Greco, Zevio (VR)
I
n prossimità delle festività Natalizie cogliamo l’occasione per porgere gli auguri al Prof. Cassese e a tutta la sua
equipe e rinnovare il nostro sentimento di riconoscenza. Grazie a loro abbiamo potuto godere dell’affetto della
nostra mamma da quando, pensando di averla ormai persa, giungemmo presso la clinica S.Anna per sottoporla
ad un delicato intervento chirurgico. Maria Armentano (la nostra mamma) fu sottoposta ad intervento by-pass
aorto-coronarico e auneurismectomia del ventricolo, in data 4 luglio 2003. La sua ostinazione a rimanere nella
sua terra per affrontare “quell’incidente di percorso” l’ha premiata. Grazie ancora alla professionalità di un gruppo di eccellenza, capitanato dal Prof. Cassese. La mamma riceve con molto piacere ed interesse il vostro periodico, dal quale estendiamo gli auguri di buone feste a tutti!
I figli di Maria Armentano, Mormanno (CS)
S
i parla oggi di mala sanità, specialmente in Calabria. Personalmente, devo dissentire da tale concetto. Sono
stato ricoverato dal 17 al 29 ottobre presso la Chirurgia vascolare del S.Anna Hospital e sottoposto ad intervento per un aneurisma dell’aorta addominale. Intervento riuscito, grazie alla professionalità dei dottori
Roscitano e Cotroneo e di tutta l’equipe degli anestesisti. Desidero far sapere inoltre che il S.Anna ha alle proprie
dipendenze infermieri qualificati, diretti con professionalità dalla caposala, signora Nadia Albanese, sempre sorridente e al malato un sorriso fa tanto. Un plauso, infine, anche al personale ausiliario per la sua costante disponibilità.
Grazie e buon lavoro.
Aniello D’Amelio, Cosenza
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