Sommario Sommario www.santannahospital.it S. Anna Hospital Magazine Viale Pio X, 111- 88100 Catanzaro Tel. 0961 5070456 Direttore Responsabile Marcello Barillà [email protected] 2 3 Direttore Editoriale Giuseppe Failla Direttore Generale S. Anna Hospital Direttore Scientifico Prof. Benedetto Marino Referente Medico Mauro Cassese Direttore Dipartimento Chirurgia Cardiovascolare S. Anna Hospital Progetto grafico Il segno di Barbara Rotundo [email protected] 4 12 La terapia chirurgica in minicervicotomia 14 Terapia endovascolare delle stenosi carotidee 15 EModiNaMiCa taVi La qualità premia e così si diventa leader PatoloGia CarotidEa 7 La prevenzione dell’ictus 17 da stenosi carotidea 9 La terapia chirurgica della patologia carotidea 19 Stampato in 25.000 copie presso Rubbettino srl Soveria Mannelli (CZ) Registrazione Autorizzazione Tribunale di Catanzaro n. 3 del 6 aprile 2009 EditorialE Un anno tra dubbi e conferme di Giuseppe Failla Quel difetto che ha messo Cassano in fuori gioco CardioloGia Stenosi coronariche ostiali e radioterapia lEttErE al MaGaZiNE postatarget magazine NAZ/571/2009 AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORI L’equipe medica del S.Anna Hospital, nell’intento di rendere sempre più veloci e proficui i contatti con i pazienti, chiede loro e/o ai loro familiari di voler fornire il proprio indirizzo di posta elettronica. Chi intende aderire a tale richiesta, può comunicare il suddetto indirizzo scrivendo direttamente a: [email protected] Chi non desidera ricevere il S.Anna Hospital Magazine può comunicarlo all’indirizzo [email protected] Editoriale Editoriale S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 di Giuseppe Failla Un anno tra dubbi e conferme U n anno da dimenticare, il 2011. Come italiani sappiamo bene il perché e sarebbe inutile qui ricordarlo. Per il S.Anna, invece, è stato l’anno delle conferme: quelle positive e purtroppo anche quelle negative, che vorremmo dimenticare ma è un lusso che né noi, né i nostri pazienti possiamo consentirci. L’attività dell’ospedale si è distinta per la continua crescita nella qualità delle prestazioni, che ha beneficiato dell’introduzione di nuove metodiche, mettendo ancora una volta la struttura al centro dell’attenzione di malati e addetti ai lavori. Valga per tutti, come esempio, l’uso delle valvole transcatetere. Il convegno internazionale di maggio, dedicato alla Tavi, è stato un successo indiscutibile, se è vero com’è vero che i nostri medici stanno svolgendo da allora attività formative in diversi centri italiani e il S.Anna è uno dei quattro centri europei che concorrono a formare gli specialisti americani, prossimi anche loro a introdurre la metodica. A questo si potrebbero aggiungere l’affinamento delle metodiche più avanzate in cardiochirurgia e chirurgia vascolare, la sinergia con altri centri italiani sulla cura di particolari patologie come il forame ovale, i master universitari che alcuni specializzandi stanno seguendo presso di noi. Tutti argomenti che trovano posto in questo numero del Magazine. Qui però finiscono le conferme positive e si deve gioco forza aprire un capitolo diverso. Il S.Anna è parte del sistema sanitario regionale ma nessuno di noi sa in questo momento come l’ospedale possa e debba svolgere questo suo ruolo. Si naviga a vista e la politica ha dimostrato fin qui di non essere in grado di assumere decisioni. L’andamento contraddittorio del 2011 ne è la prova. In primavera sembrava che la Regione, col consenso dei ministeri competenti, avesse accettato l’idea di stipulare un accordo triennale di ampio respiro, che ci avrebbe garantito la possibilità di continuare a lavorare con certezza e serenità. A luglio, di quell’ipotesi d’intesa non c’era già più traccia. Raccontare nel dettaglio i mesi successivi sarebbe un’impresa difficile. Ma i lettori, che conoscono bene come spesso funzionino le cose in Calabria, non faranno fatica a immaginare. Limitiamoci dunque all’essenziale: non abbiamo firmato il contratto 2010, la cui proposta definitiva ci era stata peraltro presentata l’antivigilia di Natale; quindi ad anno praticamente finito e quando l’ospedale aveva già erogato le prestazioni. Anche per questo, l’abbiamo ritenuta una proposta irricevibile e ingiusta, visto che non teneva in alcun conto il lavoro realmente prodotto. Per il 2011, abbiamo firmato un contratto, sempre ad anno ampiamente inoltrato, dal quale però sono rimaste fuori le prestazioni rese in urgenza. Prestazioni che abbiamo ancora una volta comunque garantito, perché non è nostra abitudine chiudere le porte in faccia agli ammalati. Se e quando la Regione farà fronte a quelle prestazioni non è dato sapere. Né è dato sapere cosa la Regione intenda fare per il 2012, con buona pace della programmazione e della normalizzazione del sistema sanitario di cui però si fa un gran parlare. Gli interrogativi continuano dunque a rimanere senza risposta. Cosa vuol fare la Regione sulla cardiochirurgia in Calabria? Come si conciliano le previsioni contenute nel programma di riordino della rete ospedaliera, che individuano puntualmente qual è la situazione calabrese con i vincoli del piano di rientro? E come si conciliano entrambi gli aspetti con le notizie che saltano fuori di tanto in tanto sull’apertura di una nuova cardiochirurgia? Ce n’è bisogno? Sarà una in più o una delle due attualmente esistenti dovrà farsene carico? Chi decide su tutto questo e sulla base di quali valutazioni lo fa? Ci sarà un“tavolo”, dove ciascuno potrà portare il proprio contributo in base alla propria consolidata esperienza o no? Sono domande a cui il S.Anna non può dare risposte, perché esse spettano appunto alla politica; la stessa politica che ogni giorno ripetete che ci stiamo avviando verso un sistema sanitario degno di questo nome. Noi abbiamo chiesto sempre e solo di poter fare il nostro lavoro. Lo hanno chiesto per noi – e li ringraziamo profondamente per averlo fatto – le migliaia di pazienti che hanno aderito alla campagna “Lasciateli Lavorare”, inviando le cartoline al presidente della Regione, che è anche commissario alla sanità o sottoscrivendo l’appello sul nostro sito internet. Presto renderemo ufficiali i numeri, che sono facilmente documentabili. Nel frattempo, continueremo il nostro lavoro, implementeremo l’offerta diagnostica e terapeutica, amplieremo le collaborazioni nazionali e internazionali, che già sappiamo faranno segnare, nel 2012, ulteriori passi in avanti. 3 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Tavi Tavi la qualità premia e così si diventa leader Il Sant’Anna Hospital è uno dei quattro Centri europei nei quali viene svolta attività di training in vista dell’introduzione della Tavi negli Usa 4 E ntro la fine del 2011, la FDA, l’Agenzia governativa degli Stati Uniti che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici, approverà l’introduzione negli ospedali americani della Tavi, la protesi valvolare aortica trans catetere. Proprio in previsione di questa scadenza, il S. Anna Hospital ha ospitato nei mesi scorsi un corso di formazione teorico pratico sull’impianto delle protesi Edwars-Sapien. Lo scopo è stato quello di formare un gruppo di specialisti internazionali che, a loro volta, svolgeranno attività formative nei centri cardiochirurgici statunitensi che introdurranno la procedura. Gli otto specialisti formati al S. Anna erano parte di un gruppo di circa quaranta persone, distribuite in quattro centri europei. Oltre a quello calabrese, sono stati coinvolti il Centro Cardiologico “Monzino” di Milano, per quanto riguarda l’Italia; il Policlinico Universitario di Rouen e la Clinica“Pasteur”di Tolosa per quanto riguarda la Francia. (Altri specialisti hanno osservato casi clinici ma senza uno specifico training S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 anche in alcuni centri europei inglesi e tedeschi). Diverse erano le provenienze degli esperti formati a Catanzaro, in particolare gli stati del Massachusetts, West Virginia, Indiana, Illinois, Pennsylvania, Minnesota, Las Vegas e Arizona. Gli otto americani hanno avuto modo di assistere “in diretta”, grazie al collegamento audio video tra la sala operatoria ibrida del S. Anna e la sala meeting dello stesso ospedale, all’esecuzione di sei procedure su altrettanti casi clinici, eseguite dall’equipe del dottor Mauro Cassese che ne ha contemporaneamente curato, discutendole, anche la illustrazione. Lo stesso Cassese si è dichiarato alla fine “estremamente soddisfatto”dell’esperienza. «Oltre centodieci procedure eseguite in meno di due anni - ha detto - hanno fatto del S. Anna Hospital un punto di riferimento internazionale e oggi ci lusingano, anche se non ci stupiscono, gli apprezzamenti che abbiamo ricevuto alla fine del corso di formazione. Credo - ha aggiunto - che nei giudizi positivi che abbiamo registrato abbiano giocato un ruolo fondamentale l’uso abituale che facciamo delle diverse e sofisticate tecniche di imaging, la possibilità che abbiamo offerto di assiste in diretta all’esecuzione delle procedure ma soprattutto il grado di integrazione che abbiamo raggiunto nel lavoro in team, che è cruciale ai fini del risultato. Gli americani sono estremamente sensibili al lavoro di squadra, fa parte della loro cultura e non solo di quella medica. È normale che abbiano apprezzato un elemento che non è sempre facile rintracciare al di qua dell’oceano. Per questo - ha concluso Cassese - non mi stupirei se questa nostra collaborazione prendesse ulteriore corpo in futuro, magari con una nostra azione direttamente sul territorio americano. In attesa di verificare tempi e modalità di questa collaborazione internazionale, stiamo comunque implementando la nostra attività di formazione presso diversi centri italiani; attività che, insieme con il collega Bindo Missiroli, ci ha già portati a Novara presso la casa di cura “San Gaudenzio”, ad Alessandria presso ospedale civile, a Torino presso l’azienda ospedaliera dell’Ordine Mauriziano e a Roma presso l’ospedale “Sant’Andrea”. Prossimamente, saremo presso l’azienda ospedaliera“Brotzu”di Cagliari». Soddisfatto anche il direttore generale del S.Anna, Giuseppe Failla. «Abbiamo assistito - ha detto - a un esempio molto concreto di cosa intendiamo quando l’iMPortaNZa dEll’iMaGiNG l e tecniche di imaging utilizzate al S. Anna Hospital hanno impressionato favorevolmente, come ha sottolineato il dottor Mauro Cassese, i partecipanti alle attività formative sulla Tavi. Si tratta in particolare di tecniche in grado anche di guidare le procedure interventistiche e, al momento necessario, fornire altresì un controllo immediato del risultato ottenuto senza che il paziente venga trasferito in altre sale. Il complesso della strumentazione comprende: - Amplificatore di brillanza (Arco a“C”); - Apparecchiatura ecocardiografica transesofagea; - Ecocardiografia tridimensionale 3D real time; - Apparecchiatura per ecografia intravascolare; - Video scopia. L’Arco a “C” che permette di realizzare tutti gli esami angiografici (arteriografia, aortografia, coronarografia) e l’esecuzione di tutte le procedure interventistiche normalmente eseguite in un laboratorio di emodinamica. Mentre la strumentazione cardiochirurgica è ormai standardizzata, la scelta della tipologia dell’Arco a “C” costituisce una differenza sostanziale. Fra un dispositivo mobile o portatile e uno fisso, quest’ultima soluzione è sicuramente preferibile. La presenza di una struttura radiologica fissa, come nel caso della sala ibrida del S. Anna, resta la condizione ottimale sia dal punto di vista delle potenzialità diagnostiche, sia per la possibilità di movimenti intorno al tavolo operatorio.Tale sistema di diagnostica interventistica comporta altresì la presenza di una cabina di comando a vista della sala da cui vengano gestiti, oltre alle strumentazioni radiologiche, anche i monitor ripetitori presenti all’interno. Questi monitor guideranno gli operatori nella fase diagnostica ma soprattutto nella parte interventistica sostituendo quella che fin’ora è stata la normale visione diretta che il chirurgo aveva del campo operatorio. La strumentazione della sala ibrida si completa con l’ecografia: transesofagea, in 3D e tramite l’Icus. La sala ibrida è dotata anche di un sistema di videoscopia, che permette l’esecuzione di interventi cardiochirurgici in mini toracotomia videoassistita. Tali sistemi (ecocardiografia e videoscopia) rendono la sala operatoria ibrida estremamente versatile, idonea cioè sia per interventi cardiaci, sia vascolari di ogni tipo. Questa tecnologia è essenziale per guidare la mano del chirurgo, laddove la radiologia diagnostica e la visione diretta non lo permettono. In altre parole, all’interno della sala ibrida anche la vista dell’operatore è ibrida, ovvero mediata da numerose apparecchiature che permettono la ricostruzione di strutture complesse in tempo reale. Viene quindi a mancare la classica visione diretta dell’organo o del vaso. L’operatore che lavora non più guardando le sue mani ma i monitor su cui vede muoversi i suoi strumenti. 5 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Tavi Tavi 6 diciamo che l’alta specialità è saper guardare avanti e, meglio ancora, se questo viene fatto bruciando i tempi o addirittura anticipandoli. L’introduzione della Tavi al S.Anna è scaturita non solo dalla necessità di tenere come al solito alta la qualità delle nostre prestazioni ma anche dalla presa d’atto che, con l’allungamento dell’età media di vita, era indispensabile e giusto offrire un’opportunità di cura a pazienti che, fino a qualche anno fa, ne erano del tutto privi. I risultati di oggi ci premiano ancora una volta, perché ci collocano in un circuito medico scientifico internazionale di altissimo profilo. Siamo ovviamente contenti per noi ma lo siamo soprattutto per la Calabria». È IL TEAM APPROACH A FARE LA DIFFERENZA N on solo le tecniche di imaging ma anche il cosiddetto team approach del S. Anna Hospital ha colpito positivamente gli americani, giunti a Catanzaro per approfondire le metodiche di impianto trans catetere di bioprotesi valvolari aortiche. Sarebbe un errore, però, pensare che il“gioco di squadra”sia un fatto che riguarda solo ed esclusivamente il personale medico. L’impegno infatti è anche di quello infermieristico, perché in ogni squadra che si rispetti c’è, sì, un ruolo per ciascuno ma ciò che fa vincere il gruppo sono il livello di competenza a cui quel ruolo viene svolto e il grado di integrazione della squadra stessa. Il personale infermieristico del S.Anna, in particolare, ha elaborato un protocollo, cioè una sequenza di comportamenti, che assicura un’assistenza completa ai pazienti candidati al Tavi e garantisce omogeneità delle prestazioni erogate. Il protocollo è il frutto del lavoro di Paola Rubino, Stefania Ciccia, Salvatore Franzè, Pierpaolo Cannistrà, Ionida Begaj, Stefania Catalano, Emanuele Critelli, Nicola Iaconis, Stefania Puccio, Giovanni Costa, Roberta Rotundo, Luciana La Rocca, Nadia Albanese. Tutti del Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare del Centro regionale di Alta Specialità del Cuore. L’obiettivo è stato quello di elaborare un documento, redatto con il cosiddetto team valve (l’equipe di cardiologi, emodinamisti, cardiochirurghi e anestesisti) al fine di tradurre conoscenze scientifiche in comportamenti professionali, adottati sistematicamente dallo stesso personale infermieristico nella gestione dei pazienti candidati al Tavi. Il protocollo prevede, come detto, una sequenza di comportamenti da attuare dall’ingresso del paziente nel reparto di degenza al momento del trasferimento in sala ibrida per l’intervento. È diviso in tre fasi: compiti assistenziali all’ingresso in reparto, compiti assistenziali il giorno prima dell’intervento e compiti assistenziali un’ora prima dell’intervento stesso. L’importanza di disporre di una squadra completa e integrata, al servizio del paziente, è un dato non tanto facilmente riscontrabile nelle strutture ospedaliere; dove è presente, esso concorre a fare la differenza ma soprattutto l’eccellenza. È un dato però ormai acquisito dalla comunità medico scientifica. Non è un caso, infatti, che il protocollo redatto dagli infermieri del S. Anna sia stato accolto come comunicazione orale al congresso nazionale del Gise (Gruppo Italiano di Studi Emodinamici), tenuto a Genova nell’ottobre di quest’anno. Patologia carotidea Patologia carotidea S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 la prevenzione dell’ictus da stenosi carotidea C’è uno spettro ampio di possibilità per prevenire l’evento che è la terza causa di morte nei paesi industrializzati: dalla sala operatoria a quella di emodinamica «L ’ictus - illustra il dottor Attilio Cotroneo, chirurgo vascolare presso il S.Anna - è la terza causa di morte nei paesi industrializzati, la più frequente malattia neurologica che richiede ricovero e la principale causa di invalidità. La chirurgia carotidea ha lo scopo di prevenire l’ictus ischemico. Fattori di rischio per l’ictus sono: ipertensione, dislipidemia (incremento dei grassi circolanti nel sangue), diabete e soprattutto fumo di sigaretta. La prevenzione dei fattori di rischio e un semplice esame come l’eco color doppler può svelare una stenosi (restringimento) carotidea asintomatica. I segni clinici invece pos- sono essere la perdita transitoria di forza degli arti, difficoltà nel parlare o perdita transitoria della vista. Tutti questi segni si definiscono attacchi ischemici transitori (TIA). Se i segni clinici non regrediscono entro 24 ore o addirittura peggiorano, si configura l’ictus. Per stenosi superiori al 70%, il tasso di ictus è maggiore che per stenosi tra il 50% ed il 69%. Il rischio di ictus in pazienti con TIA è del 15% nei primi 30 giorni e superiore al 30% a 5 anni. Per questo si decide di operare le stenosi superiori al 70% o inferiori ma sintomatiche. Anche se la severità della stenosi guida la decisione clinica, la composizione della 7 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 8 Patologia carotidea Patologia carotidea placca è più importante nel determinare il rischio di ictus. Una placca “molle” è composta da materiale che il flusso sanguigno può dislocare causando embolie che stanno alla base dell’ictus. Il fumo accresce il rischio di ictus dal 25% al 50%. Abbassare i livelli di colesterolo è raccomandato per tutti i pazienti con aterosclerosi carotidea. L’eco color doppler è l’esame diagnostico di prima scelta per evidenziare la criticità della malattia e per porre indicazione all’intervento sulla base della velocità misurata del flusso come indicatore della severità della stenosi. La TAC, è necessaria solo per dirimere i dubbi ecografici mentre l’angiografia si effettua se si pianifica il trattamento della stenosi carotidea con stent. gia cerebrale. Quando l’eco color doppler esclude malattia carotidea alla base di sintomi neurologici, è utile eseguire TAC o RMN per studiare il circolo intracranico ed intratoracico. Così come, quando l’eco color doppler rileva occlusione carotidea è talvolta utile eseguire TC per escludere che non vi sia ancora una minima pervietà che consenta la rivascolarizzazione chirurgica mentre l’occlusione completa dalla carotide interna a non è più passibile di trattamento. La tromboendoarteriectomia carotidea (TEA) conclude Cotroneo - è raccomandata nei pazienti sintomatici (entro 6 mesi dall’insorgenza dei sintomi), se c’è una stenosi carotidea extracranica superiore al 70%, documentata all’eco color doppler ed è Lo stenting carotideo - prosegue Cotroneo - ha indicazione solo nei seguenti casi: pazienti già sottoposti a radioterapia o a precedenti interventi sul collo, a restenosi dopo chirurgia carotidea (solo in caso di restenosi superiori all’80% o in caso di nuovi sintomi) e in pazienti ad alto rischio chirurgico; trova anche indicazione nella stenosi carotidea che si accompagna a occlusione della carotide controlaterale. In pazienti con sintomi neurologici acuti, RMN e TAC sono indicate, non per confermare stenosi carotidea ma per differenziare l’ictus ischemico dall’emorra- ragionevole intervenire entro 2 settimane piuttosto che procrastinare l’intervento. La chirurgia carotidea è ancora il trattamento principale in caso di stenosi con un tasso di mortalità e complicanze neurologiche più basso dello stenting, tranne che nelle indicazioni su esposte. Il microembolismo durante la procedura è, infatti, più frequente in caso di stenting che rimane un’arma valida in casi selezionati, poiché la placca non viene eliminata ma solo “schiacciata” contro la parete dalla forza dello stent. Il controllo post-intervento è raccomandato a 1 mese, a 6 mesi e poi ogni anno». Patologia carotidea Patologia carotidea S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 la terapia chirurgica della patologia carotidea Le tre tecniche d’intervento eseguite in anestesia generale e con l’ausilio dell’Invos per garantire il monitoraggio cerebrale del paziente L’ interesse della chirurgia carotidea è rivolto principalmente, come abbiamo visto, alla prevenzione dell’ictus ischemico. I 3/4 delle lesioni carotidee potenzialmente responsabili di tale tipo di “stroke” (colpo) sono prevalentemente localizzate alla biforcazione carotidea e si distinguono in aterosclerotiche e non aterosclerotiche e in restenosi dopo endoarteriectomia (casi in cui l’arteria si restringe nuovamente dopo l’intervento). le lesioni ateromasiche «Le lesioni ateromasiche (da placca) - spiega il dottor Giuseppe Caliò, responsabile della Chirurgia vascolare del S.Anna - costituiscono il 90% delle lesioni potenzialmente responsabili di stroke. Le loro manifestazioni cliniche più frequenti sono rappresentate dagli attacchi ischemici transitori (TIA) e dai sintomi oculari (amaurosis fugax). Nel 15-20% dei casi, invece, una lesione carotidea ateromasica si manifesta attraverso sintomi di insufficienza vertebro-basilare; lo stroke ischemico costituito rappresenta l’esordio sintomatologico di una lesione ateromasica nel rimanente 15-20% dei pazienti. Le lesioni asintomatiche, invece, vengono scoperte casualmente: durante lo studio Eco-Doppler dei vasi del collo nei pazienti da sottoporre ad interventi di rivascolarizzazione arteriosa in altri distretti, oppure durante 9 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Patologia carotidea Patologia carotidea 10 l’esame clinico di routine, che svela la presenza di un soffio cervicale nei pazienti in studio per altre patologie. Le stenosi ateromasiche sintomatiche presentano un’indicazione chirurgica di principio. Qualora i sintomi siano transitori, l’indicazione è di prevenire uno stroke, nel caso invece in cui lo stroke costituito rappresenti l’esordio sintomatico, l’indicazione sarà quella di prevenire un possibile stroke successivo, mortale o più invalidante del precedente. Circa il tempo dell’intervento dal momento della diagnosi - aggiunge Caliò - questo sarà definito dai risultati della Tomografia Computerizzata (TC) cerebrale con mezzo di contrasto: se esistono ipodensità o se queste ultime non assumono il mezzo di contrasto, si potrà procedere all’intervento di rivascolarizzazione; se si è verificato uno stroke, è comunque opportuno attendere che sia raggiunta la soglia massima di recupero funzionale possibile; nel caso sia presente un’assunzione di contrasto da parte di una lesione cerebrale, è necessario attendere e ripetere una TC mensile finché l’assunzione di contrasto sarà assente; procedere ad un’endoarteriectomia carotidea in fase “attiva”esporrebbe infatti ad un rischio inaccettabile di stroke post-operatorio di rivascolarizzazione. Solo nel caso di TIA“in crescendo”è giustificato procedere ad una rivascolarizzazione carotidea anche in pre- senza di una lesione cerebrale “attiva”, perché i rischi di evoluzione in stroke ischemico superano quelli di una sindrome di rivascolarizzazione. I risultati post-operatori di alcune grandi serie di chirurgia carotidea per stenosi sintomatiche - spiega ancora Caliò - mostrano come il tasso cumulativo di mortalità e morbilità neurologica maggiore (stroke) post operatorie sia inferiore al 5%. È questo lo standard al quale devono uniformarsi le equipe chirurgiche affinché esista, complessivamente, un effettivo vantaggio della chirurgia nei confronti del solo trattamento medico ai fini della prevenzione dello stroke nei pazienti sintomatici. I risultati della chirurgia carotidea per stenosi asintomatiche sono ancora migliori che per le stenosi sintomatiche, con mortalità post operatoria pressoché nulla e tassi di stroke postoperatorio inferiori all’1%. Le restenosi dopo endoarteriectomia carotidea si sviluppano per lo più entro 2 anni dall’intervento. Esse riguardano il 2-3% di tutte le endoartierectomie, sono sintomatiche in circa il 30% dei casi e sono più frequenti nelle donne. Presentano una indicazione chirurgica le restenosi sintomatiche, quelle ad evoluzione pre-occlusiva, quelle con presenza di trombo al loro interno e quelle associate ad un’occlusione carotidea controlaterale». S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Coiling e Kinking «Con i termini di coiling e kinking - spiega sempre Caliò - si intende un eccesso di lunghezza della carotide interna. Essa descrive una curva armoniosa a 360 gradi, nel caso del coiling; a un angolo inferiore a 90 gradi nel caso del kinking. L’effetto emodinamico dell’angolo determina turbolenze nell’interno del vaso con il conseguente sviluppo di lesioni ateromasiche stenosanti e/o emboligene. Le indicazioni chirurgiche riguardano tutte le forme sintomatiche, emodinamicamente significative e quelle associate ad altre lesioni, ateromasiche e non, dello stesso asse carotideo o dell’asse controlaterale. Le dissezioni (scollamento) carotidee sono più frequenti nel soggetto giovane e, di solito, non presentano indicazioni chirurgiche salvo i casi di evoluzione aneurismatica o di forme segmentarie, aggredibili chirurgicamente perché localizzate alla carotide extracranica ed associate a sintomatologia recidivante. Gli aneurismi (dilatazioni) indipendentemente dalla loro natura (displasica, arteriosclerotica, settica o dissecante) presentano un’indicazione chirurgica di principio anche se asintomatici: l’apposizione di trombo nella camera aneurismatica, infatti, può diventare col tempo una sorgente di emboli e, quindi, ad alto rischio di stroke. Le stenosi post-attiniche (dopo radio terapia), infine, presentano indicazioni sovrapponibili alle stenosi ateromasiche: vanno operate le forme sintomatiche e quelle emodinamicamente significative responsabili di stenosi superiori al 70%. La tecnica di rivascolarizzazione in questi casi è in genere quella del by-pass carotido-carotideo in protesi (PTFE) per l’intensa sclerosi tissutale che sulla carotide impedisce di trovare facilmente in piano di clivaggio per l’endoarteriectomia e può comprimere un by pass in vena determinandone una precoce trombosi. In definitiva - conclude Caliò - se per alcune patologie, quali le stenosi ateromasiche sintomatiche superiori al 70%, l’indicazione chirurgica si basa sui risultati di rigorosi studi prospettici randomizzati, per altre, quali le stenosi emodinamiche asintomatiche, le indicazioni sono tutt’ora oggetto di discussione. I risultati degli studi randomizzati in corso consentirà probabilmente di migliorare le possibilità di definizione del rischio di stroke legato a lesioni della carotide extra-cranica e di assicurarne la prevenzione in maniera sempre più efficace». lE trE tECNiCHE da StENoSi CarotidEa L a terapia chirurgica della patologia carotidea si avvale di tre tecniche fondamentali: - L’endoarteriectomia per eversione (figura 1) - L’endoarteriectomia standard con incisione longitudinale sull’arteria e applicazione (o meno) di patch (Fig.2) - (Meno frequente) By-pass Tutte e tre le tecniche prevedono per il paziente l’anestesia generale con monitoraggio cerebrale durante l’intervento, realizzato con un particolare apparecchio denominato “Invos”. Si tratta di due elettrodi cutanei (cerotti) che vengono applicati sulla fronte del paziente e permettono di prevenire eventuali ictus in corso di intervento determinati da intolleranza al clampaggio (chiusura temporanea) della carotide. Fig.1 Fig.2 (Senza Patch) 11 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Patologia carotidea Patologia carotidea la terapia chirurgica in minicervicotomia La tecnica mini invasiva eseguita in anestesia loco regionale che consente di monitorare il paziente sveglio durante la fase di clampaggio carotideo 12 I pazienti a cui viene diagnosticata la presenza di una stenosi carotidea non significativa devono iniziare una terapia con farmaci detti “antiaggreganti” come l’aspirina o la ticlopidina, che in determinati casi riducono, ma non aboliscono, il rischio di ictus. Esistono attualmente dimostrazioni evidenti che, in persone con stenosi significative della carotide, sintomatiche o asintomatiche, l’intervento chirurgico di endoarterectomia garantisce la possibilità di evitare l’ictus. «Contrariamente a quanto si possa pensare - spiega il dottor Giuseppe Roscitano, chirurgo vascolare presso il S.Anna - a questo tipo di intervento non si ricorre quando l’ictus c’è già stato ma prima e, oltretutto, non quando il flusso attraverso l’arteria interessata è completamente bloccato ma quando la stenosi rientra in un range che va dal 75 al 99%, per cui l’intervento non viene eseguito per riparare un danno cerebrale già esistente ma per prevenire il possibile manifestarsi dell’evento ischemico». «Una endoarteriectomia (TEA) eseguita con successo - prosegue - elimina il rischio di ictus invalidanti a medio e lungo termine. L’intervento dura circa un’ora e presso il S. Anna Hospital si esegue in anestesia loco-regionale, cioè mediante la somministrazione di anestetico locale attraverso alcune punture nel collo per meglio monitorare le condizioni neurologiche del paziente durante tutte le fasi dell’intervento. Grazie all’esperienza maturata negli anni, si è riusciti S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 aNEStESia loCorEGioNalE PEr la CHirUrGia dElla CarotidE «I n campo anestesiologico - spiega il dottor Claudio Roscitano, anestesista presso il S.Anna - numerosi autori si sono dedicati con estremo interesse al confronto sul tipo di tecnica da applicare in tema di chirurgia della carotide: anestesia generale o anestesia locoregionale? In anestesia locoregionale gli autori riferiscono una minore incidenza di mortalità e morbilità cardiovascolare, nonché di crisi ipertensive; una minore degenza in terapia intensiva e in ospedale. Ai vantaggi di una maggior protezione cerebrale e un sicuro controllo delle vie aeree, offerti dall’anestesia generale, quella locoregionale si caratterizza per una maggiore stabilità emodinamica e soprattutto per una possibilità di controllo più accurato dello stato neurologico del paziente durante la fase di clampaggio carotideo. Per questo motivo una parte degli autori ritiene che l’anestesia locoregionale sia quella più indicata, in quanto offre la garanzia di un controllo diretto sullo stato di coscienza del paziente e consente la valutazione più sicura delle condizioni di compenso del circolo cerebrale, evidenziando l’insorgenza di eventuali deficit legati ad un’ipoperfusione e conseguente sofferenza cerebrale durante clampaggio della carotide. Indubbiamente, la sua esecuzione richiede una certa esperienza e una certa manualità, per il rischio di complicanze che può provocare. Tuttavia, l’interesse che sempre più anestesisti hanno rivolto a questa tecnica ha favorito la sua diffusione e ha consentito un suo progressivo affinamento attraverso l’applicazione di modifiche e accorgimenti che la rendono molto meno rischiosa di un tempo». a ridurre le dimensioni dell’incisione chirurgica che spesso viene ancora praticata dall’orecchio alla base del collo secondo una linea longitudinale, riducendola a 4/5 cm. La metodica è nota come minicervicotomia. Ciò è possibile previo mappaggio ecografico che consente di individuare la biforcazione carotidea sede dell’incisione cutanea; viene isolata l’arteria dalle strutture vascolo-nervose circostanti e si procede al clampaggio che consente al chirurgo di sezionare la carotide, ripulirla dalla placca e richiuderla mediante una sutura diretta, senza interposizione di materiale protesico. Per questo motivo è preferibile la tecnica “per eversione”, che consiste nell’evertere (sostanzialmente, rivoltare come un calzino) la carotide interna sezionata, di rimuovere la placca e di richiuderla. L’anestesia locale, con il paziente vigile, consente di valutare lo stato neurologico al momento del clampaggio che viene “tollerato” nella gran parte dei casi; quando ciò non accade e il paziente manifesta qualunque segno neurologico, è indicato l’uso dello shunt, cioè di un tubicino che garantisca il flusso di sangue al cervello durante la fase centrale dell’intervento. Nelle ore successive all’intervento - spiega ancora Roscitano - il paziente viene controllato con monitor che controlla alcuni parametri cardiaci (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ECG e saturazione periferica di ossigeno nel sangue) e vengono eseguiti esami di laboratorio post-operatori. È importante durante il post-operatorio che la pressione arteriosa si mantenga entro determinati valori ed evitare crisi ipertensive che possano sfociare in una sindrome da iperafflusso cerebrale o, nei casi più gravi, nell’emorragia cerebrale. Dopo circa tre ore, a smaltimento dell’anestesia locale, il paziente può bere e assumere liquidi durante la giornata. Il primo giorno postoperatorio si rimuove il piccolo drenaggio posizionato accanto alla ferita chirurgica, si sospendono le infusioni di liquidi per via endovenosa ed i sistemi di monitoraggio e il paziente può deambulare ed alimentarsi. In seconda giornata post-operatoria lo stesso viene dimesso. La minicervicotomia e la tecnica per eversione non sono attuabili solo nei casi in cui la placca si estende nel tratto di arteria carotide comune prossimale per cui è utile in tali casi ricorrere all’incisione tradizionale estesa e praticare un by pass preferibilmente in vena safena e sostituire tutto il tratto di arteria malata». Il rischio operatorio, nella casistica del S. Anna, è in linea con quello dei migliori centri di riferimento italiani e si attesta allo 0,8%. È indispensabile assumere sempre la terapia antiaggregante e un corretto follow-up con Ecocolordoppler dei vasi del collo ad 1, 3, 6 mesi dell’intervento e poi una volta all’anno, poiché - anche se in un numero esiguo di casi - l’arteria può restringersi nuovamente (restenosi). 13 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Patologia carotidea Patologia carotidea terapia endovascolare delle stenosi carotidee Per alcuni pazienti, piuttosto che l’azione del chirurgo è indicata quella del cardiologo interventista che agisce attraverso l’arteria femorale 14 L e carotidi sono dei condotti arteriosi deputati ad irrorare il distretto cerebrale. La classificazione anatomica le divide in: arteria carotide comune, che a destra nasce dall’arteria anonima, mentre a sinistra direttamente dall’aorta. L’arteria carotide comune si divide poi in arteria carotide esterna ed arteria carotide interna quest’ultima, senza dare circoli collaterali, si dirige verso il poligono di Willis, sistema arterioso sito all’interno della scatola cranica, al quale si fonde dopo aver dato origine all’arteria oftalmica. «Il trattamento endovascolare - spiega il dottor Placido Grillo, cardiologo interventista del S.Anna - mira a risolvere le stenosi (restringimenti) dovuti a placche di colesterolo che interessano le arterie carotidi comuni, il sifone carotideo, (punto in cui la carotide comune si divide in interna ed esterna), l’arteria carotide interna. Attraverso una delle due arterie femorali comuni (site a livello dell’inguine), si posiziona un introduttore 8 F (cannula di circa 2,4 mm) che permette l’avanzamento di un catetere guida fino all’arteria carotide comune, all’interno del quale si fa scorrere un filo guida metallico 0,014 mm sulla cui estremità è premontato un filtro che viene posizionato nella porzione intracranica dell’arteria carotide interna; la sua funzione è quella di bloccare la migrazione di frammenti, provenienti dallo schiacciamento delle placche, alla circolazione terminale cerebrale. Su questo filo guida (Filter-Wire) si fa avanzare lo stent in nitinolo, una lega metallica che a 37 ° C , appena lo stent è liberato dal sistema di contenimento, gli fa assumere le dimensioni (7, 8, 9 mm) previste dal costruttore. Successivamente - conclude Grillo - sullo stesso filo guida si avanza un pallone di 4-5 mm che viene disteso a circa 12 atmosfere per schiacciare bene la placca garantendo una buona espansione dello stent nel punto di massimo carico di placca. Infine si effettua un controllo iniettando mezzo di contrasto all’interno dell’arteria carotide e se il risultato raggiunto è ottimale con un sistema di recupero si rimuove incapsulandolo». Emodinamica Emodinamica S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Quel difetto che ha messo Cassano in fuori gioco Forame ovale pervio: questa la patologia che ha imposto lo stop al calciatore pugliese e che da tempo è oggetto di cura e studio al Sant’Anna Hospital È probabile che il grande pubblico non avrebbe mai sentito parlare di“forame ovale pervio”, se sui media non fosse rimbalzata a un certo punto la notizia del malore che ha colpito il calciatore del Milan e della Nazionale, Antonio Cassano. Il bomber è finito in ospedale per una ischemia cerebrale e dopo gli accertamenti, i medici hanno optato per l’intervento al cuore, perfettamente riuscito. Responsabile di avere messo momentaneamente fuori gioco il calciatore è stato, appunto, il forame ovale pervio. «Si tratta di una patologia piuttosto delicata – spiega il dottor Bindo Missiroli, responsabile dell’Emodinamica del S.Anna. Il forame ovale pervio è un tunnel che congiunge in modo anomalo i due atri del cuore; la sua persistenza è dovuta alla mancata fusione dei due setti del muscolo cardiaco; fusione che normalmente avviene dopo la nascita. Attraverso questo tunnel, dei piccoli coaguli possono passare dall’atrio destro a quello sinistro,“saltando il filtro”polmonare. Dall’atrio sinistro i coaguli finiscono nel ventricolo sinistro che contraendosi li immette nell’aorta. È così che i coaguli giungono a bloccare il flusso del sangue nelle arterie di piccole dimensioni. Infatti - aggiunge Missiroli - sono il cervello e il cuore gli organi messi a rischio dal forame ovale, perché gli emboli possono dare origine a un ictus o a un infarto. Ma l’interruzione del flusso sanguigno può riguardare anche le arterie che arrivano alle gambe, alle mani, ai reni e così via. È anche per questo che parliamo di una patologia delicata: perché rischia di essere invalidante o comunque di condizionare in modo defi- nitivo la vita delle persone che ne sono affette». Il forame ovale è da tempo oggetto dell’attenzione del S.Anna, che sul tema ha consolidato una stretta collaborazione con il professor Eustaquio Onorato, responsabile dell’Unità Operativa di Cardiologia Interventistica per le malattie congenite di “Humanitas Gavazzeni” di Bergamo e uno dei massimi esperti della materia. Un’esperienza «molto bella e completa», la definisce Missiroli,«perché avviata su un piano squisitamente professionale ma arricchitasi nel tempo su quello dei rapporti umani». Il forame ovale pervio riguarda un quarto della popolazione italiana (più o meno 15 milioni di persone) ma è rischioso per la salute solo in alcuni casi, circa 12.000 nel nostro Paese. Il paziente tipo è una donna, spesso di 20 o 30 anni. L’intervento, però, è eseguito solo in quelle persone che hanno già avuto problemi di salute correlati, ad esempio un ictus o un’ischemia transitoria in qualunque distretto corporeo. È lo stesso Onorato a chiarire che “se è vero che i numeri del fenomeno sono significativi, è anche vero però che la platea dei pazienti candidabili all’intervento e quindi alla chiusura è percentualmente più circoscritta. C’è dunque un problema di indicazione, da affrontare con molto scrupolo e porre nella chiave migliore possibile; la chiusura del forame, infatti, deve avvenire nell’ambito di una prevenzione secondaria dell’evento ischemico cerebrale precedente. Solo in questo contesto possiamo considerare l’indicazione all’intervento come opportuna ed è per questo che essa va condivisa anche con specialisti 15 16 S.Anna Hospital Magazine - 9/2011 Emodinamica Emodinamica neurologi, ematologi, medici dello sport, cardiologi ecografisti. Il cardiologo interventista che si occupa meccanicamente della chiusura - prosegue Onorato - deve essere in qualche modo“illuminato”dall’esperienza delle altre figure mediche. È fondamentale avere le ‘mani felici’ ma a queste è bene aggiungere un buon ragionamento clinico a più voci e dunque, il team cuore-cervello diventa la discriminante positiva. Anche perché, occorre precisare, oggi non ci sono linee guida che ci consentano di dire ai pazienti questo è bianco e questo è nero. In siffatta situazione, credo che per noi professionisti non rimanga altro che condividere i percorsi e ragionare in base al singolo paziente e alle sue caratteristiche per trovare quella che, secondo noi e la nostra esperienza, è l’indicazione più chiara e la risposta più efficace». Anche sul tema del forame ovale, dunque, torna il concetto di team approach che come sanno bene i nostri lettori, caratterizza l’intera attività del S.Anna. «Le modalità di lavoro del Centro calabrese di Alta Specialità del Cuore - dice ancora Onorato - ricalcano benissimo quella che è stata la nostra esperienza, iniziata già dodici anni fa in stretta sintonia con il neurologo. La mia volontà di condividere l’esperienza con numerosissimi Centri in Italia e all’estero è approdata a Catanzaro perché anche qui ho trovato l’ambien- te adatto e più fertile a far nascere la collaborazione, spontanea e non forzata, tra cardiologi interventisti ed ecografisti, come fatto interno al Centro e in più ho trovato questa apertura culturale anche verso figure professionali esterne come i neurologi, che aiuta a chiarire i quadri clinici e a formulare, come abbiamo visto, le indicazioni più opportune. Il dato molto positivo del S.Anna, se guardo indietro a questi anni, a parte il sodalizio umano e professionale consolidato con il dottor Missiroli, è che qui in pochissimo tempo si sono fatti passi da gigante sia sul piano diagnostico sia su quello terapeutico, proprio perché si è capita, accettata e fatta propria la volontà di discussione come gruppo e non come singole professionalità. Per questo oggi - conclude Onorato - possiamo guardare avanti, ad altre procedure nuove, alla possibilità di ridurre l’ingombro dei dispositivi che stiamo utilizzando. Così come, grazie alla sintonia che si è creata, pensiamo al S.Anna come sede per nuovi progetti che stiamo studiando e che necessitano solo di alcune modifiche e avanzamenti tecnologici finalizzati alla sicurezza del paziente. Questo farà sì che in un futuro prossimo il S.Anna venga inoltre inserito nei i registri multicentrici italiano e internazionale che monitorizzano organicamente le attività delle diverse strutture intorno al tema del forame ovale». Cardiologia Cardiologia S.Anna Hospital Magazine - 9/2010 Stenosi coronariche ostiali e radioterapia Un caso clinico studiato al Sant’Anna è l’oggetto di un articolo pubblicato di recente dal prestigioso International Journal of Cardiology L oredana Iannetta è una giovane dottoressa, parte di un gruppo di medici che presso il S.Anna hanno svolto o svolgono le proprie attività teorico pratiche nell’ambito del Master di II livello in Cardiologia per Immagini, organizzato dal Dipartimento del Cuore e dei Grossi Vasi dell’università “La Sapienza” di Roma, diretto dal professor Carlo Gaudio. È in questa veste che la dottoressa Iannetta ha recentemente pubblicato un articolo sul prestigioso International Journal of Cardiology1, dedicato al nesso di causalità tra stenosi coronariche ostiali e radioterapia. «L’esposizione alle radiazioni - spiega la stessa Iannetta - può provocare, specialmente in pazienti giovani, l’insorgenza di lesioni coronariche ostiali. È stato dimostrato che le radiazioni possono provocare alterazioni cardiache a livello istopatologico che possono rimanere clinicamente silenti o manifestarsi a distanza di anni con stenosi coronariche, pericarditi, anomalie di conduzione e valvulopatie. Questo Fig. 1a rischio è correlato alla quantità di radiazioni assorbite, al volume tissutale irradiato e al valore del rapporto. Il caso clinico descritto nell’articolo riguarda un uomo di 64 anni con angina da sforzo, ipertensione e ateromasia carotidea, giunto al S.Anna per effettuare una coronarografia. Tale esame non ha mostrato stenosi emodinamicamente significative (fig. 1). Dopo sei mesi - continua la dottoressa - al paziente è stato diagnosticato un carcinoma laringeo. Pertanto è stato sottoposto a cicli di chemioterapia e di radioterapia, assorbendo un totale di 7228,6 cGy. Lo stesso paziente ha dovuto interrompere il secondo ciclo di chemioterapia per angina tipica, marcata bradicardia e anomalie diffuse della fase di ripolarizzazione ventricolare, riscontrate all’elettrocardiogramma. Per questo, è stato trasferito con urgenza al S.Anna per effettuare una nuova coronarografia. L’esame ha mostrato stavolta due stenosi significative: una all’ostio dell’arteria discendente anteriore Fig. 1b 17 S.Anna Hospital Magazine - 9/ 2011 18 e l’altra all’ostio dell’arteria circonflessa. Pertanto è stata effettuata una procedura di rivascolarizzazione mediante Kissing-stenting con un eccellente risultato angiografico finale (fig. 2). Numerosi studi - puntualizza infine Loredana Iannetta - hanno mostrato che l’irradiazione del mediastino o del torace, nell’ambito della radioterapia, possono causare dei difetti di perfusione coronarica, ma la correlazione tra causa ed effetto era solo indiretta. Il caso clinico descritto è probabilmente il primo nella letteratura che mostra invece una correlazione altamente probabile tra causa ed effetto, ovvero tra l’esposizione alle radiazioni e l’insorgenza di stenosi coronariche». Sono proprio le peculiarità del caso clinico ad aver indotto l’International“Journal of Cardiology”a pubblicare l’articolo. Un motivo di soddisfazione per la dottoressa Iannetta, che si aggiunge al bilancio positivo che lei stessa fa dell’esperienza vissuta fin qui al S.Anna. «Ho vinto a suo tempo una borsa di studio - spiega - e pur non conoscendo bene la realtà con cui mi sarei andata a confrontare, non essendo calabrese (è nata a Cassino, ndr), ho subito accettato. Mentre presso il Policlinico Umberto I di Roma ho seguito un percorso formativo in ambito ecocardiografico, presso il S.Anna ho chiesto di poter frequentare in Emodinamica ed in reparto. Grazie alla disponibilità e alla pazienza dei dottori Missiroli e Grillo ho potuto imparare non solo da un punto di vista teorico, ma anche pratico. Posso dire che l’esperienza che ho avuto qui è stata senza Fig. 2a Cardiologia Cardiologia alcun dubbio superiore ad ogni mia aspettativa in quanto non avrei mai immaginato di poter apprendere tante nozioni e di incontrare persone di grande professionalità ed esperienza oltre che di straordinaria umanità. Anche per questo, da meridionale, non credo sia giusto affermare che al Sud è tanto difficile fare una buona sanità. Il S.Anna, a mio avviso, può essere considerata un valido esempio di professionalità e di proficua collaborazione interdisciplinare tra i vari operatori sanitari». Il master che sta seguendo la dottoressa Iannetta è destinato a medici che devono intraprendere la specializzazione o che sono già specialisti in cardiologia ed è articolato in sessanta lezioni su tutti i principali temi dell’imaging diagnostico cardiovascolare. La parte pratica è invece tradizionalmente organizzata mediante l’affiancamento di un tutor ad ogni iscritto al corso. La collaborazione tra il S.Anna e l’università “La Sapienza” di Roma è potuta concretizzarsi grazie al livello particolarmente avanzato e sofisticato raggiunto dalla diagnostica per immagini presso il Centro Regionale di Alta Specialità del Cuore, che vanta oggi tra l’altro la possibilità di raffinate indagini eco transesofagee bi e tridimensionali in sala ibrida o l’ecografia intracoronarica (Icus), che solo pochi Centri in Italia utilizzano e che serve a ottimizzare la strategia e le metodiche di cura delle coronarie. 1Grillo P, et al, Ostial coronary stenoses after radiation therapy, Int J Cardiol (2011), doi: 10.1016/j.iycard.2011.10.123 Fig. 2b Lettere al Magazine Lettere al Magazine S.Anna Hospital Magazine -9/2011 S ento il dovere di ringraziarvi per come avete trattato il mio caso e quelli di tutti coloro che si affidano alle vostre cura: sfortunati, sì ma fortunati per essere curati e guariti presso il vostro Centro. Il S.Anna è un vero gioiello sanitario per la Calabria tutta e forse anche oltre, con i suoi medici, altamente professionali, pieni di lealtà umana e rispetto. Dal giorno del mio ricovero, il 26 aprile, a quello delle dimissioni, il 26 maggio, potrei scrivere un libro sul vostro meraviglioso operato ma sintetizzo. Ciò che scrivo, oltre al ringraziamento, serve anche a far conoscere a tutti, forze politiche comprese, che questo piccolo grande gioiello va custodito gelosamente. Quando giunsi al S.Anna da un altro ospedale, fui accolto con gentilezza e sorrisi, che alleviarono un po’ la tristezza amara in cui ero sprofondato a causa del mio problema. Mi trovavo in Calabria per un breve periodo di vacanza. Vivo da molto tempo a Verona (ora in provincia) e da due anni venivo curato per una broncopolmonite, mentre invece, purtroppo, era una grave disfunzione valvolare, coronarie malate e altro. Praticamente, avevo un cuore assai malandato. Immaginate il mio stato, a 57 anni: dopo avere lavorato tanto, mi ritrovavo ora malato di cuore. Dopo la prima visita di accesso al vostro Centro, il dottor Martinelli con un velo di rabbia sentenziò che ero in ritardo di qualche anno, perché il mio cuore era messo molto male, quasi sul punto di dover essere trapiantato. Vedremo cosa sarà possibile fare, mi disse. Immaginate il mio sconforto. Ebbene, hanno fatto il miracolo. Grazie dottor Martinelli; grazie dottori Cassese e Braccio. E grazie a tutti i medici del S.Anna Hospital. Grazie per aver permesso al mio cuore di battere ancora nel mio petto. Un grande grazie anche alla dottoressa Capovivo, esemplare nel gestire il suo reparto di Cardiologia e paziente nel sopportare le mie lamentele per via del dolore, assistendomi con cura e parole di conforto. Quando cominciai muovere i primi passi dopo l’operazione e fino alle dimissioni, passeggiavo lungo il corridoio fermandomi di tanto in tanto davanti alle effigi di San Pio e del Sacro Cuore. Le ho ringraziate, perché permettono a questi professionisti di curare persone sfortunate, trattandole con amore, dal più giovane al più anziano, senza distinzione alcuna. Grazie anche al personale paramedico: preparato, corretto e molto educato con tutti i pazienti. Anche i più “impazienti”… In tutte le visite mediche che effettuo successivamente e con chiunque io parli racconto con orgoglio ciò che ho avuto e l’assistenza ricevuta dal S.Anna Hospital di Catanzaro. Lasciatemelo dire: se non mi fossi trovato in Calabria, avrei curato la malattia sbagliata e chissà... Ciò che racconto e testimonio orgogliosamente lascia meravigliati medici e istituti situati qui al nord. Ne parlato anche con un medico affermato di Verona che dopo avere visionato ciò che mi era stato fatto, ha detto: nella sfortuna hai avuto la fortuna di capitare in un posto dove hanno fatto un grande lavoro, non so se qui avrebbero saputo fare altrettanto. Grazie a tutti e grazie al vostro meraviglioso gioiello. Gaetano Del Greco, Zevio (VR) I n prossimità delle festività Natalizie cogliamo l’occasione per porgere gli auguri al Prof. Cassese e a tutta la sua equipe e rinnovare il nostro sentimento di riconoscenza. Grazie a loro abbiamo potuto godere dell’affetto della nostra mamma da quando, pensando di averla ormai persa, giungemmo presso la clinica S.Anna per sottoporla ad un delicato intervento chirurgico. Maria Armentano (la nostra mamma) fu sottoposta ad intervento by-pass aorto-coronarico e auneurismectomia del ventricolo, in data 4 luglio 2003. La sua ostinazione a rimanere nella sua terra per affrontare “quell’incidente di percorso” l’ha premiata. Grazie ancora alla professionalità di un gruppo di eccellenza, capitanato dal Prof. Cassese. La mamma riceve con molto piacere ed interesse il vostro periodico, dal quale estendiamo gli auguri di buone feste a tutti! I figli di Maria Armentano, Mormanno (CS) S i parla oggi di mala sanità, specialmente in Calabria. Personalmente, devo dissentire da tale concetto. Sono stato ricoverato dal 17 al 29 ottobre presso la Chirurgia vascolare del S.Anna Hospital e sottoposto ad intervento per un aneurisma dell’aorta addominale. Intervento riuscito, grazie alla professionalità dei dottori Roscitano e Cotroneo e di tutta l’equipe degli anestesisti. Desidero far sapere inoltre che il S.Anna ha alle proprie dipendenze infermieri qualificati, diretti con professionalità dalla caposala, signora Nadia Albanese, sempre sorridente e al malato un sorriso fa tanto. Un plauso, infine, anche al personale ausiliario per la sua costante disponibilità. Grazie e buon lavoro. Aniello D’Amelio, Cosenza 19