VII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici – pag. 47
Stato di attuazione della direttiva europea sull’assistenza sanitaria transfrontaliera
a cura di Maurizio Campagna – Davide De Persis – Francesco Florindi
Cosa si intende per assistenza sanitaria transfrontaliera?
La Direttiva 24/2011/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2011, disciplina i
diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, vale a dire la possibilità di
ricevere cure in un Paese membro dell’UE diverso da quello di residenza, con oneri a carico di
quest’ultimo. La disciplina presenta più di una peculiarità con riferimento al sistema delle libertà
fondamentali dell’Unione. L’assistenza transfrontaliera si colloca, infatti, sul punto di intersezione
tra la libertà di circolazione delle persone e la libertà di prestazione dei servizi. L’obiettivo
ambizioso della Direttiva e delle norme nazionali di recepimento è disegnare un vero e proprio
«statuto giuridico del paziente europeo», garantendo, in particolare, la concreta attuazione della
libertà di circolazione delle persone, sub specie circolazione dei pazienti. Il sistema disegnato dalla
Direttiva dovrebbe garantire al paziente assicurato in uno degli Stati membri dell’UE la scelta di
ricevere cure, programmate o non programmate, in uno Stato diverso da quello di appartenenza.
Sono esclusi espressamente dall’ambito di applicazione della Direttiva i) i servizi assistenziali di
lunga durata, il cui scopo è sostenere le persone che necessitano di assistenza nello svolgimento di
compiti quotidiani e di routine, ii) l’assegnazione e l’accesso agli organi ai fini dei trapianti, iii) i
programmi pubblici di vaccinazione contro le malattie contagiose rivolti esclusivamente alla
popolazione di un determinato Stato membro. La Direttiva delinea un sistema di assistenza indiretta
che consente, solo a seguito di autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità sanitarie, di
ottenere il rimborso dei costi sostenuti dai pazienti transfrontalieri per prestazioni sanitarie erogate
in un Paese diverso da quello di residenza. Gli Stati possono (non devono) prevedere un sistema di
autorizzazione purché lo stesso non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria o un ostacolo
ingiustificato alla libera circolazione dei pazienti. Nella pratica, le ipotesi in cui gli Stati possono
prevedere la preventiva autorizzazione sembrano andare molto oltre i confini dell’eccezione.
A che punto è l’attuazione della Direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera in Italia?
Il ritardo con cui, sin dall’inizio, l’Italia ha recepito la Direttiva 24/2011/UE si è protratto e permane
tuttora nella fase attuativa. Non sono stati ancora emanati gli atti regolamentari da parte del
Ministero della Salute, necessari per dare piena attuazione alla Direttiva. Dopo l’emanazione del
d.lgs. n. 38 del 2014 con cui l’Italia ha recepito congiuntamente la Direttiva 24/2011/UE e la
Direttiva 52/2012/UE, recante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche
emesse in un altro Stato membro, il Ministero della salute non ha ancora provveduto ad adottare il
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decreto che con cui devono essere individuate molte delle prestazioni sanitarie soggette ad
autorizzazione. La piena operatività della Direttiva in Italia è, al momento, compromessa.
Quale è il ruolo dei Punti di Contatto Nazionali?
Nel complessivo disegno del sistema dell’assistenza transfrontaliera di fondamentale importanza è
il ruolo del Punto di contatto nazionale (NCP) istituito presso il Ministero della salute. La mission
del Punto di contatto nazionale è facilitare lo scambio delle informazioni rilevanti e necessarie per
una scelta consapevole e informata di mobilità. Insieme agli analoghi centri regionali che ogni
Regione può istituire, il NCP dovrebbe regolare un flusso di comunicazioni istituzionali interne ed
esterne dirette anche verso la Commissione, ma soprattutto verso i pazienti che richiedono
informazioni per l’esercizio del loro diritto alla mobilità sanitaria. La rete dei Punti di Contatto,
Nazionali e regionali (o equivalenti) dovrebbe essere il motore dell’integrazione tra i sistemi
sanitari dei Paesi membri in un’ottica di piena realizzazione di uno spazio sanitario unico europeo.
Per il buon funzionamento dei Punti di contatto nazionali e regionali, è imprescindibile il
contributo delle associazioni di pazienti e dei provider. Con l’apporto di tutti gli stakeholder
coinvolti sarà possibile individuare la quantità e la qualità di informazioni necessarie per favorire
l’autodeterminazione dei pazienti e la scelta consapevole del luogo di cura.
Quale futuro possibile per l’assistenza sanitaria transfrontaliera?
In una fase storica di crisi finanziaria e politica del modello sociale europeo, lo sviluppo concreto
della Direttiva sarà legato ai profili compatibili con la ristrutturazione del welfare e con l’urgenza di
una razionalizzazione della spesa sanitaria. Sarà così di fondamentale importanza, cogliere e
sviluppare l’impulso che viene dal nuovo quadro normativo alla cooperazione al fine di sviluppare
le capacità di diagnosi e cura nell’ambito delle malattie rare. Con riferimento a quest’ultimo
tipo di patologie, infatti, la considerazione di un unico spazio europeo ai fini della programmazione
e della costituzione di una rete di centri erogatori di prestazioni, potrebbe favorire una corretta
allocazione delle risorse (scarse) evitando inutili e costose duplicazioni da un lato, e promuovendo
la condivisione delle competenze acquisite e dei risultati raggiunti, nonché la circolazione delle best
practices dall’altro. Pretendere sviluppi diversi del sistema della mobilità sanitaria significherebbe
sancirne il fallimento totale. Anche il supporto alla costruzione di reti mediante l’introduzione di
importanti strumenti di cooperazione tra gli Stati e sulla base di un quadro di regole chiare dettate
dalla Commissione dovrà essere un pilastro per il futuro della mobilità sanitaria.
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