Revisione della Direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa

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TITOLO
Revisione della Direttiva sulla
pubblicità ingannevole e comparativa
LUOGO E DATA
1 marzo 2013,
Berlaymont Building, Rue de la Loy 200,
Brussels
ORGANIZZATORE
Commissione Europea
RELAZIONE
La Commissione europea ha organizzato la conferenza sulla revisione della direttiva
2006/114/CE - pubblicità ingannevole e comparativa, per presentare i risultati delle indagini
condotte finora nell’ambito del progetto, iniziato il 27 novembre 2012, e per approfondire le
tematiche ancora in sospeso.
Veronica Manfredi (DG giustizia - capo unità consumatori e marketing), ha introdotto la
discussione, indicando l’obiettivo che si era posta la Commissione, ovvero proporre nuove
misure per combattere le pratiche di commercializzazione ingannevoli, al fine di offrire
maggior tutela ad imprese, liberi professionisti e ONG di tutta Europa. Il Commissario, ha
dato alcune indicazioni relative alla tempistica: ottobre ‘13 per la presentazione della
proposta di revisione e novembre per l’approvazione; affermando che alcune azioni possono
essere intraprese nel breve periodo, mentre altre sono attuabili solo a lungo termine, perché
riguardano iniziative legislative e devono essere rispettati determinati criteri temporali e
normativi.
Particolare attenzione è stata posta ad una specifica tipologia di pratiche di marketing
ingannevoli che colpiscono le PMI: le società di compilazione degli annuari, che inviano alle
imprese moduli per l’aggiornamento degli stessi, a titolo gratuito, in realtà poi fatturano un
canone annuale. Le piccole imprese sono particolarmente vulnerabili a questo tipo di truffa,
perché praticata da società che spesso operano a partire da una diversa giurisdizione
nell’UE, il che complica il controllo del rispetto delle norme.
La Commissione intende, quindi, rafforzare la legislazione esistente e vietare esplicitamente
pratiche di commercializzazione ingannevoli, come l’occultamento dello scopo commerciale
di una comunicazione e potenziare il controllo dell’osservanza delle norme nei casi
transfrontalieri.
Tomasz Dolny (DG giustizia – ufficio legislativo consumatori e marketing), ha effettuato
una panoramica sulla situazione attuale, prendendo come punto di partenza il COM (2012)
702 del 27/11/2012, da cui erano iniziati una serie di lavori come:
ƒ l’identificazione dei problemi;
ƒ l’individuazione del quadro legislativo nei diversi Stati membri;
ƒ l’introduzione di nuovi input per la revisione della Direttiva;
ƒ la raccolta delle pratiche di misleading più diffuse (tante e simili di base: fraudolente,
mass marketing e cattiva fede, offerte di registrazione di nomi a dominio gratuite in
realtà richiesti pagamenti obbligatori, contratti telefonici fasulli ecc.).
Il primo step era stata la consultazione (nel 2011), dalla quale erano emerse alcune
problematiche riguardanti le truffe più frequenti e la necessità di aumentare la protezione
attraverso la cooperazione e collaborazione transfrontaliera.
Ha poi indicato una serie di problemi relativi all’attuale situazione legale, quali la poca
chiarezza e debolezza soprattutto transfrontaliera, il fatto che solo i consumatori siano
protetti a livello globale e la non applicabilità della procedura penale.
Inoltre, rispetto all’implementazione della direttiva ha rilevato che vi sono troppe differenze
tra sistemi a livello nazionale e che la tutela è orientata principalmente al B2C piuttosto che
al B2B.
Gli obiettivi di breve termine che si è prefissa la Commissione sono: rinforzare i regolamenti
esistenti (non a carattere legislativo), organizzare working group con esperti nazionali per
scambio di informazioni su larga scala e proporre una possibile azione legislativa per
rivedere la direttiva.
Infine, le due priorità a cui ci si attende risponda la revisione sono:
1. il miglioramento dell’applicabilità a livello transnazionale, stabilendo delle nuove
procedure di cooperazione;
2. il rafforzamento della protezione, introducendo la black list delle pratiche illegali,
sanzioni nazionali più efficaci e definizioni legali più chiare.
Ha concluso affermando che se la valutazione d’impatto conferma l’esigenza di un’azione
legislative, la Commissione se ne occuperà nel 2013.
Antonio Mancini (Dir. Antitrust Italia), ha appoggiato due linee di intervento della
Commissione e suggerito di operare un distinguo netto tra pubblicità ingannevole e truffe.
In primo luogo, la redazione di una “black list” che chiarisca la fattispecie dei messaggi
pubblicitari scorretti, operando la divisione tra pratiche ingannevoli ed aggressive; per
fornire adeguati chiarimenti strutturali sulle tipologie di pubblicità da vietare.
La seconda, il rafforzamento della collaborazione, creando un sistema cooperativo a livello di
tutela transfrontaliera della pubblicità, così da rendere più efficaci le misure introdotte.
Il Dir. Mancini, si è poi soffermato a descrivere il caso italiano, in relazione alla problematica
delle “directory companies”, molto simili alla compilazione degli annuari, che consistono
nella somministrazione di questionari gratuiti con sottoscrizione e successivo invio di fatture
dalle aziende truffatrici, rilevando che in caso di mancato pagamento, i soggetti passano alla
fase esecutiva con l’invio della citazione in giudizio. La pratica è estesa soprattutto alle PMI e
comporta un costo di circa 2 milioni di euro di fatturato, si sta valutando se avviare la
procedura per le pratiche aggressive. Ha, inoltre, affermato che ad oggi si è potuto
intervenire solo su 5 casi, mentre i provvedimenti sarebbero almeno 30, però si verificano
notevoli difficoltà dovute all’inottemperanza, dato non ci si può avvalere della tutela del
c.p.c. A ciò si aggiunge l’assenza di una rete di cooperazione, per cui gli interventi risultano
ancora più complessi; infatti, si è di fronte a 250 autorità, con diversi poteri sia di natura
giudiziaria che amministrativa, con sistemi procedurali disomogenei.
Si è chiesto quindi come la Commissione potrebbe vincolare gli Stati membri, ha ribadito la
necessità di un enforcement chiaro ed efficace che, a suo parere, sarebbe maggiormente
proficuo se fosse di natura pubblica, ovvero, affidando i poteri inibitori e sanzionatori ad
un’autorità di carattere pubblico.
La seconda parte della conferenza è stata dedicata alla presentazione dello “studio sulla
valutazione d’impatto della revisione della direttiva sulla pubblicità ingannevole e
comparativa”, compiuto dal CSES (Centro sulla strategia e valutazione dei servizi).
I relatori hanno descritto la metodologia e i primi risultati ottenuti con la ricerca, affermando
che sono ancora in una fase intermedia e i workshop con le parti interessate serviranno a
convalidare quanto finora emerso.
Lo scopo principale dell’indagine era sostenere con dati oggettivi quanto la Commissione
aveva ipotizzato, in termini quantitativi, misurando la gravità del problema e a livello
politico, valutando le diverse posizioni per trovare l’opzione preferibile per il prosieguo dei
lavori.
La ricerca è iniziata a gennaio 2013 e terminerà a marzo, si articola in 4 fasi:
ƒ desk research;
ƒ indagine consultiva indirizzata alle PMI (465 risposte al questionario su 21 Stati
membri coinvolti);
ƒ programma d’interviste alle autorità statali;
ƒ focus group negli SM.
Dai primi risultati si evince che la pubblicità ingannevole è un problema piuttosto
significativo ed è crescente la dimensione transfrontaliera, come precedentemente
sottolineato, i casi più diffusi riguardano le ditte di compilazione degli annuari.
I costi a livello finanziario, per l’impresa individuale non sono enormi, però si aggiungono
una serie di costi derivati, come il tempo speso e la perdita di efficienza.
Il numero di casi di pubblicità fuorviante denunciato alle autorità è di circa 12mila, che
rappresentano solo l’1% del numero reale di pratiche sleali che hanno colpito le PMI, la
sottostima è dovuta a vari fattori, quali:
ƒ le aziende non sono sempre consapevoli del danno subito;
ƒ la difficoltà di dichiarare i propri errori;
ƒ i costi elevati legati alla denuncia e all’eventuale procedimento giudiziario;
ƒ talvolta le PMI non sanno a chi rivolgersi.
Per quanto concerne i sistemi di attuazione è stato rilevato che, in alcuni Paesi, non vi è
un’autorità preposta ai casi di B2B, oppure manca il coordinamento tra le autorità esistenti o
si verificano interpretazioni eterogenee della direttiva; inoltre, non si condivino metodi
formali di esecuzione della norma a livello transfrontaliero, mentre il ruolo della direttiva,
dovrebbe essere garantire l’efficacia.
Gli esperti hanno poi delineato alcune ipotesi, relative alle politiche implementabili a livello
comunitario:
ƒ mantenere lo status quo;
ƒ creare una rete informale – cooperazione su base volontaria;
ƒ organizzare un meccanismo di cooperazione transfrontaliera di assistenza reciproca;
ƒ optare per la cooperazione transfrontaliera con metodi impositivi e di repressione delle
pratiche fraudolente;
ƒ rivedere la direttiva e dare potere sanzionatorio all’autorità pubblica;
ƒ estendere l’applicazione delle norme sulle prassi sleali del B2C al B2B.
Le prossime tappe dello studio attengono la valutazione delle diverse soluzioni, in relazione
ai costi di implementazione per le autorità degli Stati membri, agli effetti diretti ed indiretti
che possono generare e all’apporto migliorativo nell’efficienza ed efficacia per ogni SM, per
poi raggiungere una sintesi a livello di UE.
Nel corso della conferenza si sono susseguiti alcuni interventi che hanno portato alla luce
una serie di problematiche concrete e hanno proposto interessanti riflessioni, si riportano i
principali.
- Opposizione ad estendere la direttiva alle pratiche riguardanti il B2B, perché il rischio
conseguente è che le “società truffatrici” delocalizzino semplicemente la loro attività.
La Commissione ha risposto che un’azione a livello di Unione, consentirà agli SM e alle
autorità di intraprendere azioni anche contro imprese che operano nel mercato esterno, se
aggrediscono quello interno.
- Timore per un eccessivo aumento della spesa per gli SM dovuta alla maggiore protezione e
al rafforzamento dell’autorità.
La Commissione ha sottolineato che non si richiede la costituzione di nuove autorità, ma
semplicemente l’aumento della cooperazione tra quelle esistenti, che non dovrebbe
comportare rilevanti costi aggiuntivi.
- Armonizzare il diritto a livello transfrontaliero, appare molto difficile (quasi utopico) a
causa dell’eterogeneità caratterizzante le normative dei vari Stati.
La Commissione ha risposto che finora nemmeno i diritti minimi armonizzati sono stati
applicati in modo coerente e se ne assume la responsabilità, affermando che solo una più
stringente cooperazione può risolvere il problema.
Links: http://ec.europa.eu/justice/newsroom/consumer-marketing/events/130301_en.htm
Eseguito da:
Chiara Polita
UNIONCAMERE DEL VENETO
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