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DELLE
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n°7. 23 aprile 2012
SOCIALGOES
[ l’inchiesta L’impatto dei new media ]
Imprese italiane, il business si fa social
Facebook & co adottati dal 75% delle aziende. Ma per monetizzare è necessario affinare le strategie
LUIGIFERRO
Contrordine: i social network alle aziende fanno bene. Magari, come
disse Diego Piacentini vp di Amazon
al momento della presentazione del
sito italiano della società, “non ci sono
evidenze che servano a vendere”, ma
possono essere utili per intrattenere
una buona relazione con i clienti.
Anche a livello italiano indagini
e ricerche testimoniano che in molti
hanno iniziato a comprendere la vecchia regola del “Cluetrain manifesto” secondo la quale “i mercati sono
conversazioni”. Un detto sempre più
attuale e che oggi vede Facebook,
Twitter e Youtube strumenti adottati
per ascoltare, monitorare e avere il
polso della situazione.
Anche le piccole imprese sembra
si siano accorte delle potenzialità dei
social media. La seconda edizione
dell’Osservatorio Iulm stima al 43%
il dato relativo alle Pmi contro il 9,8%
della precedente edizione. E anche
Giancarlo Capitani di NetConsulting
nella Cio survey osserva che “sottotraccia ci sono movimenti interni delle
aziende che guardano verso il social”.
Nella sua analisi mette particolare
attenzione al social media management. “Le aziende - spiega - sono più
interessate alla gestione della community esterna, puntano sulla fidelizzazione di un cliente sempre più infedele e
cercano di acquisirne di nuovi. Siamo
passati dalle aziende che impongono
al mercato a quelle che lo ascoltano”.
Un atteggiamento che parte soprattutto dalla grandi aziende.
L’indagine di Digital Pr e
del Centro di ricerca sui
media e la comunicazione dell’Università
Cattolica di Milano
ha realizzato tre report su consumer
electronic, banche
e assicurazioni e
automotive (un
quarto sul retail
è in arrivo) con
risultati che “ci
hanno colpito positivamente - racconta
Elisabetta Locatelli
dell’Osservatorio -. Le
prime 20 aziende italiane
mostrano interesse verso
i social network
sui quali stanno
costruendo strategie che hanno una forte
disomogeneità fra settori”. Banche
e assicurazioni hanno una marcia
in meno anche se qualcuno come le
banche online va a velocità maggiore.
“Stanno passando da una comunicazione di tipo istituzionale, vincolata
dalla normativa, a una più flessibile”,
commenta Locatelli.
L’attenzione verso i nuovi strumenti è confermata dall’indagine “Quanto
è social la tua azienda?” condotta in
collaborazione da Aidim (Associazione del direct marketing), Anved
(Vendie a distanza) ed eCircle. Con-
dotta su 315 responsabili marketing
e direttori commerciali di aziende
italiane, l’indagine rivela che il 75%
dei rispondenti utilizza già Facebook
e compagnia, un dato che nel caso delle aziende di e-commerce arriva alla
quasi totalità. E chi non ci ha ancora
provato spiega che non ha ancora una
strategia chiara. Il problema della
strategia riguarda anche chi è
già sbarcato su Facebook.
L’indice di SocialMediAbility medio delle
Pmi dello Iulm dice
che le pratiche di
utilizzo tradiscono
la voglia di esserci,
ma anche scelte
poco supportate
da competenze
specifiche. Andiamoci e vedremo, sembra
dicano le aziende.
È l’opinione anche
di eCircle secondo la
quale due terzi di chi
già utilizza i social media sembra avere obiettivi
generici e poco
focalizzati. Un
dato che conferma l’analisi dell’Osservatorio sul commercio elettronico
del Politecnico di Milano del 2011 che
parlava di prevalenza dell’approccio
“timido”, rispetto a quello “convinto”,
nei confronti del social commerce. Secondo Maurizio Alberti, managing
director di eCircle Italia, “emerge un
quadro di sperimentazione, con strategie ancora in fase di trasformazione e
Anche le Pmi aprono alla community
Il tasso «social» cresciuto del 33%
assestamento. Non sorprende, quindi,
che anche il livello di soddisfazione
sia ancora moderato. Solo l’8% delle
aziende dichiara di aver raggiunto
gli obiettivi e il 19% non aveva alcun
obiettivo quantitativo specifico”.
La Cattolica, che ha esaminato le
grandi imprese, afferma che Facebook
è il più utilizzato, il blog pare vivere
momenti difficili e Twitter riscuote un
buon successo soprattutto nell’ambito
della consumer electronic con info sui
prodotti e customer care. Buono l’utilizzo di Youtube. eCircle conferma il
ruolo di Facebook utilizzato dall’84%
del campione anche per il B2B, seguito
da Linkedin e Twitter e, a sorpresa, da
Google+ scelto dal 25% delle aziende.
Valutazioni simili per lo Iulm che
conferma la popolarità di Facebook
che vanta una percentuale di aziende
attive doppia rispetto alla precedente
rilevazione, e registra la crescita di
Twitter, Linkedin e YouTube, con
una crescita del 20% rispetto all’anno
precedente.
Oltre il 60% delle imprese, racconta
eCircle, promuove il proprio brand o
prodotto con una fan page e il 50% lo
fa con un profilo, mentre solo il 30%
sceglie di pianificare campagne pubblicitarie sui social media. Un dato
interessante riguarda le risorse destinate al social media marketing: anche
se il 54% delle aziende che utilizzano
i social media ha almeno una risorsa
interna dedicata, solo il 58% aggiorna con regolarità il proprio spazio su
Facebook o Twitter.
[ L’intervista Alberto Maestri ]
«Tarare i contenuti per centrare il target»
L’esperto di social media (Ninja Marketing): «Necessario creare professionalità interne all’azienda»
«Me l’aspettavo. Questo in effetti è un problema». Alberto Maestri,
esperto di social media per Ninja
marketing, risponde così quando
gli si chiede quanti degli articoli che
pubblica riguardano le aziende della
Penisola. “In effetti spesso le agenzie dicono di fare fatica a introdurre
certi concetti nelle aziende italiane.
In generale un articolo su 10 parla
del nostro Paese. Si tratta di aziende
molto grandi o iniziative piccole che
hanno l’idea ma non l’investimento. Il
problema è la dimensione media delle
nostre aziende”.
Perché un’azienda dovrebbe usare
i social media?
Servono a coltivare la relazione. Il
primo passo è creare engagement, una
piazza. I social media si posizionano
in un punto intermedio fra la vendita
e il consumatore, anzi l’individuo. In
più attraverso la pubblicità su questi
strumenti è possibile targettizzare la
comunicazione.
Esiste poi da parte delle aziende un
problema di misurazione dei ritorni.
Però è vero che alcuni strumenti
sono già disponibili. Gli analytics di
Facebook e Google sono in grado di
offrire buone statistiche. Integrando
questo tipo di strumenti con il lavoro
delle agenzie specializzati si possono
ottenere risultati interessanti. Bisogna poi sfatare il mito che Facebook,
Twitter o Youtube siano gratis. Anche
in questo ambito bisogna investire.
La loro utilità dipende anche dal
tipo di target a cui si fa
alberto
riferimento.
Il concetto di tar- maestri
esperto
get deve essere inteso di social
a livello macro. Per media
per Ninja
esempio Linkedin va Marketing
bene se ci si rivolge a
un mondo business to
business. Con gli altri
social network generalisti invece è
possibile arrivare a un livello di profilazione che permette di segmentare
il target di interesse. Ed è sbagliato
ritenere che siano luoghi da ragazzini.
A Facebook sono iscritti una ventina
di milioni di persone quindi bisogna
saper tarare i contenuti per colpire la
fetta di pubblico desiderata.
Quindi i social network devono
ormai fare parte della strategia comunicativa di un’azienda?
Sì, ormai sono parte integrante del
marketing mix. Molti sostengono che
dipende anche dai prodotti dell’azien-
da, ma credo che il vero problema sia
lavorare sui contenuti. Con questo e
la targettizzazione si può raggiungere
l’obiettivo desiderato. Lombardini è
un’azienda italiana che vende motori
e il calendario per il nuovo anno l’ha
realizzato con le foto dei utenti perché
ha lavorato su forum e blog scoprendo un vasto circuito di appassionati.
Hanno lavorato sul concetto di tribù
e i risultati si sono visti. Il problema
è che oggi all’interno delle aziende
c’è molto learning by doing, si impara
facendo e di strutturato non c’è nulla.
Una situazione che non è solo italiana
ma anche europea, con l’eccezione
della Gran Bretagna. C’è un grosso
lavoro da fare sulle strutture aziendali
anche perché questi strumenti cambiano ogni giorno e ciò che andava bene
ieri forse non servirà più domani. È
necessario creare delle professionali-
tà interne alle aziende mentre oggi la
strada maestra è quella dell’esternalizzazione. L’azienda preferisce non
occuparsi della gestione dei social
media e appalta all’agenzia. Questo
può essere un problema perché la
cultura aziendale, l’immagine, sono
fortemente collegate all’utilizzo di
Facebook o Youtube: sarebbe molto
meglio utilizzare una figura interna.
Nelle aziende statunitensi ormai più
che una figura unica esiste una gerarchia interna che fa riferimento alle
gestione dei social network.
Ma è sempre necessario essere presenti su Twitter, Facebook e Youtube
contemporaneamente?
Di default si aprono tutti anche se
spesso Twitter presenta delle difficoltà.
Spesso non si va oltre il custode service. In verità non è necessario essere su
qualsiasi social network: dipende da
prodotti e contenuti. Il blog, per esempio, ha senso se esiste una dimensione
qualitativa e se ci sono i contenuti. Se
non ci sono queste cose non si crea
engagement. L’area interessante oggi è
quella dei social network tematici che
offrono già una interessante segmentazione e rappresentano una strada
interessante per il futuro. L.F.