Adriano Bompiani
LINEAMENTI DI BIOETICA GENERALE
I Corso di Formazione in Bioetica
Associazione Medici Cattolici Italiani Istituto di Bioetica Università Cattolica del S.Cuore Roma
—
Università degli Studi di Firenze Sede di Prato
28 maggio 2005
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Premessa
In questa conversazione sulla bioetica, che l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani
operanti nella regione Toscana ha voluto affidarmi, vorrei soffermarmi su due aspetti di
ordine generale: le fonti ed i contenuti filosofici, le fonti ed i contenuti giuridici della bioetica.
L’argomento è — per opportunità espositiva — suddiviso in due capitoli: il primo dedicato
al pensiero filosofico, il secondo al pensiero giuridico, ma — owiamente — le integrazioni
sono di fatto continue.
CAPITOLO I
Il pensiero filosofico
1. Definizione ed epistemiologia della Bioetica
La comprensione della bioetica come “movimento” sviluppatosi negli ultimi decenni del xx
secolo non può prescindere da una valutazione del contesto culturale nel quale il
movimento si è sviluppato ed ha trovato una propria linfa ed una appropriata
giustificazione.
Ritengo che varie componenti disegnano lo scenario e nello stesso tempo intervengono a
delimitare il concetto di bioetica, che nella stessa parola composta dalle radici “bios” ed
“ethos” fa intravedere il tentativo della cultura contemporanea di saldare due grandi
“valori”: la sempre maggiore conoscenza scientifica della vita e il comportamento morale,
alla ricerca di una salvifica alleanza
Gradatamente si sono delineati i campi e significati della bioetica, che — in termini molto
generali — sono così esprimibili:
a) rapporto fra vita e valori etici nel panorama più generale della vita (scienza della
vita) concetto originario di Van Raessler Potter (1970);
b) rapporto fra vita e valori etici nel campo dell’attività medica e sanitaria
(identificazione con l’etica medica ed evoluzione della stessa: Helleghers,1971).
Le “componenti” da prendere in considerazione per descrivere lo scenario nel quale questa
evoluzione si compie, a me sembrano naturalistiche, biotecnologiche e biomediche
(1) È interessante confrontare alcune definizioni di “bioetica”. Studio sistematico della condotta umana nell’area delle
scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei principi morali
(Encyclopedia of Bioethics, 1978). Filosofia morale della ricerca e della prassi biomedica (Sgreccia). Settore dell’etica
che studia i problemi inerenti alla tutela della vita fisica e in particolare le implicazioni etiche delle scienze biomediche
(Leone). Riflessione razionale ed organica sui vari problemi morali, giuridici, sociali sollevati dallo sviluppo della
medicina e dalle altre scienze della vita (Mori). Dunque, pur con qualche differenzia zione, le varie definizioni mostrano
un’area abbastanza concordante di interessi speculativi, chiamando le scienze umanistiche, scienze naturalistiche e
scienze mediche a confrontarsi con le scienze morali.
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sul versante scientifico; e le varie tendenze sociologiche, antropologiche ed etiche
affermatesi nella società moderna — a fianco della più antica antropologia e dell’etica
d’ispirazione personalistica cristiana — sul versante morale.
L’apporto di ciascuna disciplina scientifica e l’incontro con la riflessione etica appare
diverso nei diversi contesti etici e culturali (ad es. la bioetica negli Stati Uniti ha
connotazion non del tutto sovrapponibili a quella europea, e nell’ambito europeo èpossibile
scorgere anche discrete differenze fra l’area anglosassone, quella latina e quella
germanica).
Tuttavia prevalente è la caratteristica metodologica interdisciplinare del discorso bioetico,
anche se ormai va aumentando la propensione verso una definizione “disciplinare”
specialistica della bioetica stessa.
Quali caratteristiche epistemologiche assegnare allora alla bioetica?
Formalmente, la maggior parte degli AA. la considera un ramo o sottodisciplina del sapere
etico, da cui riceve lo statuto epistemologico di base e con cui mantiene un rapporto di
dipendenza che le conferisce giustificazione e orientamento.
2. L’evoluzione sociale e le modificazioni del sentire etico
Venendo ad analizzare le singole linee che appartengono al versante culturale, ci
sembra di dover richiamare fenomeni di grande rilievo. Elenco come segue:
I ) la secolarizzazione spinta (l’Illuminismo ne è l’origine storica), avvenuta con grande
rapidità in tutto il mondo, ed anche nel nostro Paese, con la progressiva emancipazione
della cultura, del costume e della vita sociale dal’influenza — un tempo determinante —
della religione. In pari tempo, si è prodotto quel processo di differenziazione e di
moltiplicazione degli orientamenti religiosi, filosofici, politici e culturali, che va sotto il
nome di PLURALISMO.
Il)
La crisi delle ideologie, e cioè la perdita di influenza di quelle visioni del mondo
utopistiche o conservatrici, rivoluzionarie o reazionarie, che avevano caratterizzato il
primo dopoguerra e le contestazioni del ‘68 (v. oltre).
III) Sul piano della ricerca filosofica, c’è da segnalare la CRISI DELLA FILOSOFIA
SISTEMATICA “FORTE”.
IV) La CRISI DELLA MORALE “FORTE” (dei valori ontici, tradizionali) e del
PERSONALISMO KANTIANO= autonomia dell’imperativo categorico, dettato dal
soggetto stesso), ancora saldamente rappresentato nella cultura dei primi decenni del
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secolo. Vari movimenti (storicismo, materialismo, strutturalismo, ecc..) portano tutti —
infatti — ad un “relativismo morale”, sino all’avvento deII”etica senza verità”.
V) L’UTILITARISMO. Si afferma — nel mondo anglosassone — sostanzialmente
l’utilitarismo (che ha origine in Hume), il cui influsso è particolarmente forte sullo
sviluppo della filosofia morale italiana di questi ultimi decenni. Nonostante le premesse
“altruistiche”, di fatto nella società moderna l’utilitarismo è inteso prevalentemente come
soggetivismo: la scoperta dell’esistenza e delle esigenze dell’altro non èconsiderata di
per se stessa, ma solo in quanto rientri nel quadro del proprio tornaconto.
VI) Anche la CONOSCENZA delle pulsioni profonde (la ricerca di Freud; Jung, ecc..)
sulla strutturazione della personalità ha esercitato un ruolo molto incisivo nella
definizione dell’etica moderna.
VII) Ed ancora l’affermarsi di Movimenti d’opinione. Questo fenomeno, ingigantito negli
ultimi decenni, ha portato all’esaltazione:
- dei diritti personaIi espressi in modo radicaìe(Ia nostra è la società della continua
affermazione di nuovi diritti, cui non può corrispondere — nel sistema giuridico
positivo — una immediata e diretta traduzione);
- dei diritti di liberazione (ad es. movimento femminile; movimento studentesco, ecc..)
VIII) Si affermano altresì i movimenti ecologisti e i movimenti per i “diritti” degli animali. Più
ampiamente su alcuni di questi argomenti si tornerà in seguito.
IX) L’affermarsi del CONSUMISMO:I’indubbio progresso economico, facilitato dallo
sviluppo tecnologico, che ha consentito l’elevata produzione di beni di consumo ha
facilitato una corsa al benessere più immediato, senza preoccupazioni di carattere etico,
nè immediato, nè in considerazione delle necessità e dei bisogni delle future generazioni.
X) Le possibilità offerte dall’innesto di tecnologie nuove nella medicina. Si fa l’esempio di
farmaci antinfettivi come gli antibiotici e gli anticoncezionali (la pillola di Pincus è del 1962);
le possibilità nuove dell’anestesia e dell’analgesia con le conoscenze sulla immunologia
(trapianti d’organo ormai consentiti); le prospettive della inseminazione artificiale (1952) e
— poco dopo — della fecondazione in vitro (1967/8); la definizione della molecola del DNA
(1953) e l’inizio delle biotecnologie ricombinanti (produzione di vaccini, proteine
terapeutiche, ecc..); le macchine di ventilazione artificiale, ecc..
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Tutti questi (ed altri) risultati della ricerca offrono un’immagine “positiva” della scienza, che
invita a superare le vecchie regole della morale umanistica, a favore di un’etica fondata sul
sapere oggettivo e sul pensiero filosifico proprio della scienza (“scientismo”).
3. Le ricadute sui comportamenti
Risultati di queste spinte sembrano essere fenomeni non certamente di facile lettura, che
mi sembra opportuno richiamare in via schematica come segue:
I)
in senso assoluto, non la scomparsa del senso religioso, né del senso
morale,ma una profonda modificazione di entrambi.
I mutamenti sopraccennati hanno avuto infatti come conseguenza la
cosidetta crisi delle “evidenze etiche comuni” con la parziale ma
fondamentale ricostruzione su altre gerarchie di valori dell’atteggiamento
dei singoli, o dei gruppi
lì)
La positiva evoluzione verso le concezioni dell’indipendenza politica dei
popoli (no al colonialismo, ad esempio) ; una maggiore eguaglianza
sociale una più reale parità dei sessi, una più assoluta libertà di pensiero e
di associazione.
III)
La richiesta daparte di alcuni settori della società (ad es. gruppi giovanili,
ecc..) di una morale vissuta non in senso esclusivamente individuale, ma
da coltivare “nel gruppo” (strategia ritenuta necessaria per praticare
efficacemente certi valori); il fiorire di iniziative di volontariato ricco di
ispirazione etica;
IV)
Una più matura sensibilità verso il problema ecologico
Con la “crisi delle evidenze etiche comuni”, si intende il venir meno della evidenza per tutti di a lcuni grandi valori, o
di alcune precise gerarchie di valori, che avevano dominato le epoche precedenti: la religione, la patria, la famiglia, le
istutuzioni in genere, l’autorità, il lavoro, lo spirito di sacrificio, ecc.. Queste evidenze in passato erano state fornite
prevalentemente dalla religione cristiana, e perciò erano condivise da tutti i credenti; ma ad esse si uniformava anche la
cosidetta “morale laica”, cioè fondata sulla sola ragione, la quale, specialmente nell’ottocento, era in genere una
trascrizione in termini razionali dell’etica cristiana (Berti, 1989).
Si può dire pertanto che oggi manca, anche nella società italiana, un ethos comune, cioè un modo di sentire e di vivere
condiviso da tutti, un “costume” generale. I più macroscopici segni rivelatori di questo fenomeno sono stati i referendum
su problemi etici quali il divorzio e l’aborot, l’ergastolo e le centrali nucleari, che hanno messo in evidenza l’esistenza di
profonde divisioni sociali. Un ethos di tipo tradizionale sussiste ancora ufficialmente alla base delle istituzioni, ma
queste non godono più la fiducia della gente, ed esso è certamente praticato da molti a livello privato, ma quasi nessuno
si sente più di proclamarlo, difenderlo di diffonderlo pubblicamente”.
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V)
Una crescente domanda di etica nell’economia, intesa come ricerca di
una conciliazione fra una produzione sempre crescente di ricchezze e
una distribuzione più equa delle medesime (problema della giustizia
sociale);
VI)
Un’evoluzione notevole nella dinamica della famiglia, crocevia delle
tensioni personali e sociali, ma anche “luogo in cui coniugare i verbi della
vita, mediante la centralità sia etica che antropologica del “prendersi cura”
(Spisanti, 1990);
VII)
Un sempre più grande attenzione della stampa (mass-media) per i
problemi dell’etica applicata a problemi concreti della procreazione, della
sessualità, della vita di relazione, dell’ambiente, ecc...
VIII)
Lo sviluppo di un atteggiamento del potere pubblico più disponibile ed
offrire servizi per la discussione e la soluzione di problemi esistenziali,
con forti implicazioni etiche (quali il sorgere dei consultori familiari). Altre
possibili iniziative pubbliche, quali ad esempio la creazione di comitati
etici negli ospedali, la redazione di varie carte dei diritti (del bambino,
dell’ammalato, ecc..), sono state invece — almeno in Italia —
sorpavanzate in un primo momento da iniziative di volontariato che
tuttavia negli ultimi anni ha cambiato notevolmente la struttura
organizzativa e funzionale.
Fanno parte dello stesso quadro di mutamento etico altri fenomeni sociali: ad esempio la
proposta di insegnare a scuola i diritti umani in alternativa all’ora di religione (lasciata
tuttavia cadere in Italia, ma accolta in Germania), il dibattito sulla pornografia e sulle
violenze sessuali (che è sboccato in una legge nazionale), la diffusione dell’AIDS (ben
nota) la nascita di nuove professioni come quelle dei “confessori laici” o dei “filosofi
consigliatori” (psicologi o non psicologi) e la diffusione degli adepti a religioni
esoteriche,ecc..
Tutto ciò è apparso segno di una nuova domanda di etica. “Per cui si può dire che la
‘questione morale’, intesa in tutti i suoi molteplici significati, sta diventando il problema
centrale del nostro tempo” (scriveva Berti nel 1989).
Questo “ritorno all’etica” (sia pure su basi molto diverse dal passato) è stato sottolineato
anche da numerosi altri AA. (ad es. De Rita, 1989; Da Re, 1989; Poppi, 1989;
Rigobello,1989; Viano, 1989, ecc..), ma questa constatazione — valida negli anni
considerati - sembra oggi molto stemperata da altri fenomeni di diverso significato etico.
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Principali linee di tendenza filosofica
In questo paragrafo vogliamo riassumere alcune linee di sviluppo della filosofia
contemporanea che hanno dato vita a correnti diverse della bioetica. Non potremmo
comprendere cosa è la bioetica senza conoscere la filosofia morale che la sottenda.
a) Riabilitazione della filosofia pratica ed etica deontologica
K. llting (1964) in Germania richiama alla prassi. M. Riedel (1972/74) enuncia un
programma di ricerca filosofica sui problemi della morale, della società e della politica.
K.O. Apel(1973) accenna alla rivalutazione del concetto di virtù, contenuto in
Aristotele. In Italia, la Scuola di Padova (Berti, Re ed altri) riprende il concetto
aristotelico della “via mediana” delle scelte morali (scelta fra il rigido naturalismo e
l’antinaturalismo della filosofia dualistica), sotto forma di un “neoaristotelismo”.
Nella sostanza, l’ispirazione è “deontologica”, cioè fondata sull’opinione che sia
possibile riconoscere principi assoluti che regolano la morale (cosidetto “cognitivismo
morale”). Si basa sull’imperativo categorico kantiano, che impone di trattare tutti gli
esseri umani come fini e non come mezzi.
Dice Diego Garcia (che in Spagna segue questa linea “se è così, ci sono anche delle’
obbligazioni assolute’, prima di considerare l’autonomia empirica degli individui.
Queste obbligazioni assolute — valide ovviamente anche nella biomedicina - sono
quelle che derivano dall’imperativo categorico, e possono sintetizzarsi in due principi:
quello della non maleficienza” (che per D. Garcia è un principio assoluto, e non la
parte negativa del principio di beneficienza), e quello di “giustizia” (che non ha per
oggetto di compensare in qualche modo gli errori empirici, ma di adempiere all’obbligo
di trattare tutti nello stesso modo).
Non maleficienza e giustizia costituiscono il “minimo etico”, dal quale non si può
derogare, già messo in evidenza anche da T. Adorno con il libro “Minima moralia”
prima della lì Guerra Mondiale.
La linea deontologica trapassa nell’ “etica delle virtù e nell’etica della cura”, per
evidenti affinità (vedi oltre).
b) Etica analitica utilitaristica: di derivazione anglosassone, si ispira a Bentham e
Stuart Milì, ed ha avuto larga diffusione nei Paesi anglofoni. Privilegia l’utilitarismo
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morale, che in realtà è diverso dall’utilitarismo classico, privilegiando piuttosto
l’empirismo emotivista (da cui l’importanza che viene data al principio di autonomia) e
consequenzialiste (dal quale deriva l’interesse per il principio di beneficienza
interpretato in modo soggettivista. Tale corrente viene definita “Neoutilitarismo”.
Esponenti vari di questa tendenza — con le loro diversità personali — vanno da
Sidgwick, G.Moore, Smart, Marsany, Hare ed in parte anche Von Engelhardt (J.) —
molto noti in Italia ed infine P. Singer (il più radicale nelle sue affermazioni). Anche la
elaborazione di Beauchamps e Childress del cosidetto “principlismo” parte da queste
premesse, e cioè dal criterio utilitarista secondo il quale l’obbligo morale di base
consiste nel conseguimento del maggior bene possibile per tutti, o almeno per la
maggioranza. Si tratta di un principio chiaramente beneficientista che Beauchamps e
Childress denominano “principio di beneficienza”: evitare il male possibile (principio
relativo di non maleficienza) e promuovere il bene. Però il bene non è indipendente
dall’autonomia degli individui, e ciò che alcuni considerano buono per altri è cattivo, e in
definitiva tutti si trovano d’accordo nell’affermare che la realizzazione del bene deve
contare sul consenso di colui al quale lo si fa. Pertanto, il principio di beneficienza è
inseparabile da un altro: il “principio di autonomia”. Non c è beneficienza senza
autonomia. Questa linea non trascura il “principio di giustizia”, ma solo al fine di ridurre
le disuguaglianze che generano (o che non evitano) le difficoltà di applicazione dei due
principi anteriori. La giustizia dunque ha un carattere solamente compensatorio, mentre
la “non maleficienza” è intesa come equilibrio fra rischio e beneficio.
L’enfasi sull”’autonomia” del soggetto e il rispetto della sua volontà viene a costituire la
caratteristica dell’esperienza bioetica americana ed inglese, che si proietta fortemente
anche su paesi come l’Olanda, i Paesi Scandinavi e la Danimarca, che sono
strettamente legati al pensiero anglosassone.
Il principio dell’utile e della felicità, inteso come benessere, viene necessariamente
declinato in senso di “vantaggio” personale, si da richiamare la nota espressione di
Bentham “Non sarà mai un dovere fare ciò che non è nel proprio interesse di fare”.
Questa radicalità è certamente mitigata, nel pensiero più moderno del neoutilitarismo,
della “simpatia per il bene di ciascuno”, e dunque è già più vicina alla valutazione
morale classica del bene integrale dell’uomo. Tuttavia, si afferma il netto rifiuto ad ogni
referente ontologico o metafisico, e si sottolinea l’impiego di una razionalità strumentale
e
calcolante
i
fini
strategici
da
raggiugere.
Non
a
caso
la
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bioetica inglese ha fortemente sviluppato non solamente il criterio del calcolo
costi/benefici, ma la preferenza da accordare alla sperimentazione sull’embrione
per fini di progresso dell’umanità. Il concetto di”persona” viene riservato agli
individui capaci di stati di coscienza e di decisioni morali, mentre la tutela della vita
è — in talune espressioni — ampliata agli “esseri sensienti” (siano essi animali o
della specie umana), ma negata ai non sensienti (comatosi, feti, embrioni, ecc..). In
Italia, questa scuola è seguita da Viano, Scarpelli, Lecaldano, Mori ed altri Autori,
che si riconoscono in questa linea di “non cognitivismo” (impossibilità di conoscere
la verità).
c) Il pensiero marxiano e l’etica
Non è molto intenso l’apporto etico di questo pensiero, che si esprime soprattutto
nel campo della sociologia e della storia. Tuttavia spunti etici di questa origine si
rinvengono in vari Autori, fra cui — in Italia — G. Berlinguer e Sebastiano
Maffettone
(1983).
d) Le correnti “personaliste”
La cultura cristiana ha elaborato una compiuta visione dottrinale della “morale” che
— in un sistema di norme ben articolate e fondate sull’approccio razionale,
informano anche l’etica, considerata riflessione razionale sistematica sull’agire
dell’uomo. La particolare dignità che l’uomo riveste fra le specie viventi viene
riconosciuta dal concetto di “persona” — solo all’essere umano riservato - che
informa fra l’altro le costituzioni moderne di gran parte degli stati nati dall’ “humus”
cristiano.
In ogni caso si perviene — sostanzialmente — ad una morale deontologica, che
presenta in talune forme del “personalismo” una certa flessibilità nella assolutezza
delle norme (soprattutto nelle situazioni degli “stati di confine”), per essere invece
chiaramente rigorosa nella tradizione tomistica, che corrisponde — ufficialmente —
alla linea definita “cattolica”.
In questo contesto a larga maglia, ci sembra di poter annoverare alcune particolari
correnti di pensiero:
1. L’ermeneutica: il personalismo dell’alterità e della comunicazione
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Dopo l’immanentismo strutturalista e l’individuo fenomenologista esistenzialista di
Merleau-Ponty e di J.P Sartre, i filosofi francesi più recenti fra cui P. Ricoeur e E.
Levinas valorizzano il “principio di alterità”, che richiama alla dialogicità, all’ascolto, alla
tolleranza ed infine al rispetto dell’altro nella collocazione storica e esistenziale degli
interlocutori. La relazionalità è l’elemento fondante della bioetica sia nell’accezione
personale che sociale (etica sociale, o etica pubblica).
Questa linea, peraltro, è seguita anche da alcuni pensatori spagnoli (Lain Entalgo, ad
esempio) e di altri Paesi europei (Gadamer, Pareyson, ecc..)
2. Personalismo ontologicamente fondato
Rappresenta la derivazione tomistica più diretta della elaborazione “morale” classica.
La tradizione cattolica non nega il valore della ragione e la legittimità di un’etica
razionale “naturale”, che informa anche la bioetica (concepita soprattutto come
riflessione sui problemi posti dal progresso biomedico, nelle ripercussioni sui sistemi
dei valori e sulla società), ma sottolinea la necessità di considerare anche una
dimensione “metaetica” nell’affermazione diretta dell’esistenza di un Assoluto oppure
— in forza di un’etica fondata su valori naturali — sul valore persona, che rinvia come
fondazione ultima e trascendentale comunque all’affermazione dell’Assoluto (Sgreccia,
1984). Inoltre, ritiene fruttuoso il confronto fra l’etica razionale e la rivelazione cristiana
anche nel settore della bioetica. Pertanto, posizioni come il sociologismo culturale, il
pluralismo etico assoluto (che equivale a “l’etica senza verità”), il riduzionismo
scientista (che fa coincidere l’etica con la realtà fattuale e scientifica, frutto del “caso e
della necessità” anche nell’evoluzione della storia), ecc.. non possono essere ritenute
esaustive dalle correnti di pensiero etico cattolicamente informate.
Solo etiche “personaliste” sarebbero adeguate a rappresentare tutti i bisogni, e — fra
queste — il personalismo ontologicamente fondato è quello che maggiormente si
avvicina anche alle esigenze della teologia morale. Da qui scaturiscono i principi del
valore fondamentale della vita umana, che fa premio sulla “qualità della vita” (questo
principio viene tradotto nella norma di intangibilità della vita, da taluni definito
“sacralità”della stessa, estesa anche all’embrione); la validità oggettiva della norma
morale (“morale deontologica”); la libertà dell’individuo ma nel contesto dei doveri; la
gerarchia dei valori all’interno della realtà corporea e personale
10
dell’individuo che non può contrastare con il dato naturale; il primato della persona
rispetto alta società; la “responsabilità” verso gli animali e l’ambiente come ‘‘creature’’ e
‘‘beni’’ affidati alla custodia dell’uomo.
Allorché si tratterà di offrire giudizi etici su casi concreti in campo medico e biologico,
non ci si rifiuterà di analizzare tutti gli aspetti fattuali e i profili etici, considerando anche
le soluzioni proposte (o proponibili) da altre correnti di pensiero; ma non ci si potrà
sottrarre al riferimento ad una antropologia informata al rispetto totale della persona e
(consensualmente) all’insegnamento del Magistero.
Tutela della vita, rispetto della dignità dell’uomo (valorizzazione dei diritti fondamentali
della persona), fisionomia strettamente terapeutica degli atti medici sono i capisaldi di
questa impostazione.
3. lI personalismo delle “virtù”. Collegato alla ripresa dell’attenzione per l’etica
aristotelica, si pone anche una particolare sottolineatura del personalismo che và sotto
il nome dell”’etica della virtù”.
Secondo Pellegrino e Thomasma (1991), l’etica delle virtù centra l’attenzione
sull’esperienza dell’uomo come soggetto morale, sulla struttura motivazinale e sulla
disposizione della persona che agisce e che nell’atto manifesta e potenzia le proprie
qualità morali.
Trattasi, dunque,di “virtù” intesa come qualità morale, riconosciuta dalla millenaria
filosofia occidentale e alla quale Aristotele assegnò la definizione di “disposizione del
proponimento”, e cioè habitus o qualità stabile dell’anima razionale ad agire secondo il
bene e il fine per il raggiungimento della felicità e dell’eccellenza. La virtù consiste per
Aristotele “nella medietà rispetto a noi stessi, definita dalla ragione e come l’uomo
saggio la determinerebbe”: il criterio interno dunque per valutare l’azione virtuosa è la
misura, concetto tipico del pensiero greco.
La professione sanitaria, in quanto attività specifica “pratica” è particolarmente adatta
all’applicazione dell’etica delle virtù. lì “guarire” e il “curare” è l’attività specifica del
medico e dell’infermiere: se il medico e l’infermiere “guariscono” e “curano” sono
“buoni” (virtuosi) professionisti in quanto il loro agire realizza il fine specifico intrinseco
all’azione. Le virtù sono dunque quei “tratti del carattere” dell’agente che lo rendono
“buono”, che lo aiutano a realizzare il fine dell’azione, che lo dispongono ad agire
“bene”.
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Tali “disposizioni abituali” sono la benevolenza, la fedeltà alla fiducia, la compassione,
l’empatia, l’onestà intellettuale, la competenza, la prudenza. La scelta stessa della
professione di medico e di infermiere implica una “promessa pubblica” di agire per il
bene del paziente.
Nella relazione medico-paziente, dunque, la bioetica delle virtù privilegia il bene del
paziente, anziché l’autonomia del paziente e l’utilità sociale per le quali invece si batte
la bioetica dei principi, come si è visto, rispettivamente di orientamento deontologico e
utilitarista.
3. Il Personalismo dell’ “etica della cura”
Con questa linea di riflessione si vogliono sottolineare alcuni “valori”, come quello della
“compassione” e del “prendersi cura”, che sono stati definiti anche “femministi”.
L’intreccio con altri aspetti (quali ad esempio la sovranità sul proprio corpo, la difesa dal
maschilismo, la decisionalità femminile sulla procreazione e la vita embrionale, ecc..)
dà a questa linea di riflessione una consistenza spesso fuggevole, collegata alla
singola personalità del proponente; tuttavia si debbono sottolineare gli apporti “positivi”
che il concetto di “compassione” e quello del prendersi cura possono apportare alla
bioetica clinica.
Sembra opportuno concludere questo capitolo sulle linee filosofiche più importanti che
nutrono la bioetica con una breve disanima del concetto di laicità, e della frequente
contrapposizione “laico/cattolico”che si riviene soprattutto nella letteratura e nei dibattiti
italiani.
Il pensiero laico assume per coordinate solamente l’uomo, nella sua immanenza e
quindi prende a parametri “valori” necessariamente oscillanti nel corso della storia; e —
nei tempi più recenti — ha largamente abbandonato anche l’impostazione deontologica
non religiosa, cui era pervenuta l’etica con l’opera di Kant, per rifluire su alcune delle
correnti di pensiero non cognitivista già in precedenza illustrate. Forte influenza ha
avuto — nello sviluppo di questi atteggiamenti — il riduzionismo scientista .
Questa linea di pensiero — che informa i concetti di scientismo, sperimentalismo,
riduzionismo - trova antiche origini in Claude Bernard che, nella lì metà del secolo
scorso, dimostra che la chimica e la fisica governano la vita come la materia e non
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vi è bisogno di chiamare in causa “forze vitali” e la metafisica per spiegare i
fenomeni osservabili: da qui il determinismo. Egli scrive, in un passo che l’omonimo
Jean Bernard — primo Presidente del Comitato Francese di Bioetica — circa un
secolo dopo ama ricordare: “lì y a un déterminisme absolu de toutes les sciences
parce que chaque phénomène étant enchainé d’une manière nécessaire à des
conditions physico-chimiques, le savant peut les modifier pour maitriser le
phénomène, c’est-à-dire pour favoriser ou empècher sa manifestation. Les
manifestations des corps vivants aussi bien que celles des corps bruts sont
dominées per un déterminisme nécessaire qui les enchaine à des conditions d’ordre
pshyco-chimique ».
La ricerca medica e biologica francese fa tesoro di questo insegnamento, che
èpenetrato profondamente nel mondo della filosofia della scienza e della medicina.
Ma soprattutto i ricercatori dell’Istituto Pasteur: Jean Monod, Francois Jacob, Jean
Hamburger, Jean Dausset sviluppano un modello etico — per il laico scienziato fondato
sulla
“ascesi
della
conoscenza”:
obiettività,
lucidità
del
pensiero,
consequenzialismo scevro da ogni altra ipoteca culturale e da ogni “invasione” della
trascendenza sono alla base di un discorso di etica rinnovata valido per l’uomo
presente e per il futuro, dove certamente la scienza ignora ogni giudizio di valore
pre-concetto (che viene considerato eredità storica del costume) ma dove la
conoscenza apre nuove possibilità di azione che l’uomo deve sapere “controllare”
attraverso una responsabilità matura fondata sui fatti.
L’etica basata sull’ “ascesi della conoscenza” è per lo scienziato il “dover essere”, lo
stile di vita, che deve saper trasmettere al contesto sociale.
Quest’etica basata esclusivamente sull’ “ascesi della conoscenza” — fortemente
riduzionista anche se temperata da una prassi ancorata al “senso comune” — non
manca di suscitare — ovviamente — reazione in campo cattolico per le
conseguenze immenentiste e materialiste alle quali conduce, ma esercita notevole
fascino nell’opinione pubblica corrente.
Nel campo della cultura “laica”, si è dato grande respiro infatti alla valutazione dei
fini e delle conseguenze cui tende l’azione umana, ma sempre nel contesto di
concrete situazioni, e al di là di “ancoraggi” a valori universali, offrendo speranze e
ottimismo nelle virtù operative dell’uomo.
Questo atteggiamento porta alle seguenti caratterizzazioni:
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1. Il rifiuto di ogni impostazione dogmatica derivante da visioni religiose (“etsi deus
non daretur”). Ogni proposizione, avanzata da qualsiasi fonte, ha lo stesso diritto
di essere sottoposta (senza privilegi) all’analisi della ragione. In definitiva, la
filosofia laica coltiva libertà di critica, indipendenza di giudizio e rifiuto nell’etica di
qualsiasi autorità sovrastante la coscienza: è, appunto, l’etica senza verità
(Scarpelli, 1987), destinata ad essere inevitabilmente relativista.
2. Il rifiuto a legare qualsiasi divieto (etico) all’ “idea dì natura”. L’appello alla natura
sarebbe impraticabile perché non si dà azione umana che non sia governata
anche dalla cultura.
3. La filosofia laica si caratterizza, almeno prevalentemente, come analisi o del
linguaggio o di nozioni e dell’esperienza, piuttosto che insieme compiuto di
proposte sintetiche o dialettiche (Lecaldano, 1987).
Pertanto, accetta che i principi etici siano aperti al dibattito pubblico in termini di
argomentazioni logiche ed empiriche, e considera il dibattito etico come una ricerca
senza fine di soluzioni da considerare sempre più valide, ovvero sempre più
giustificate e garantite dalle nuove informazioni scientifiche disponibili e dalle analisi
razionali sviluppate.
Questo è il “panorama culturale” della bioetica.
Vediamo, ora, a quali sviluppi ha portato, nel quadro del panorama legislativo.
Rappresentano, comunque, regole “prima facie”, cioè soggette a eccezioni: mettono in
gioco in ogni caso la moralità ed il discernimento del singolo operatore.
Brevi accenni al rapporto fra concetto di natura e sviluppo tecnologico nell’impatto
con la bioetica
La trattazione delle tendenze filosofiche — morali che hanno nutrito la bioetica sarebbe
gravemente carente se non si accennasse, seppure per sommi capi, all’evoluzione del
concetto di natura ed all’effetto che ha prodotto lo sviluppo prodigioso delle biotecnologie
negli ultimi decenni.
14
Certamente risale al pensiero greco la potenziale contrapposizione fra la natura
incontaminata e “originale”, quasi entità metafisica, “kalo kagathia” imperturbabile, e la
“techné” — azione rivulsiva e alterante dell’uomo sulla materia, espressa dal mito di
Prometeo come azione sacrilega contro la volontà divina.
Ma non v’è dubbio che la conquista scientifica del mondo ha ormai fatto pendere il piatto
della bilancia verso la “inesistenza” di una natura che non sia modificata anche
dall’intervento antropico; il fatto è che la stupefacente capacità dimostrata dall’uomo in
queste modificazioni anche del “bios”, ha ricreato antiche paure, assieme a speranze di
miglioramento delle condizioni vitali dell’uomo, in primo luogo quelle della salute. Ed in
effetti, la biomedicina — nutrita dalla ricerca genetica da un lato, dalla conoscenza della
embriologia dall’altro, hanno promesso molto, anche se il traguardo è ancora molto lontano
da raggiungere.
La bioetica da un lato si è fatta “difensiva” verso l’invadenza della tecnologia, ma dall’altro
si è fatta “mallevatrice” della eticità del progresso.
Questa ambivalenza è fonte — tuttora — di aspra contesa fra i bioeticisti, e non si può non
riconoscere il merito di Hans Jonas d’aver indicato nella “responsabilità” planetaria non
solo verso il tempo presente, ma anche verso le generazioni future, una via di conciliazione
razionale.
Le condizioni “pragmatiche” di applicazione delle teorie bioetiche ed il valore dei
“principi”
Non v’è dubbio che — di fronte alla pluralità delle teorie etiche (rapidamente ricordate) —
sia apparso necessario alla stessa opinione pubblica la ricerca di una “mediazione” verso
un linguaggio comune ed una convergenza su obiettivi minimali condivisi. In particolare, il
settore della ricerca sull’uomo condotta all’insaputa degli interessati e con molta
spregiudicatezza ha creato forti apprensioni e indotto negli USA il Presidente Carter (1974)
ad assicurare trasparenza e regole, a difesa dell’opinione pubblica.
La Commissione Belmont fra il 1974 ed il 1978 condusse una vasta inchiesta che — con il
metodo empirico sociologico mise in evidenza che principi etici maggiormente condivisi
erano tre: a) rispetto delle persone; b) principio di beneficialità nei trattamenti medici; c)
principio di giustizia (ripartizione equa di rischi — benefici per i soggetti da includere nei
trials cImici).
Questi principi, nel lavoro di Beauchamps, Children vennero estesi a tutte le attività
biomediche (1979) e articolati meglio, includendo anche il principio di non maleficienza, di
antica genesi ippocratica.
15
La teoria dei principi, o “principalismo” si è rapidamente estesa e nonostante le
insufficienze e le critiche cui ha dato luogo è tuttora uno strumento unificante per il lavoro
bioetico. I principi fanno riferimento alla morale comune e alla tradizione medica in questo
sta la loro forza. Inoltre, sono appunto i “principi” e non regole tassative e obbliganti: sono
situati a metà strada fra le “teorie etiche” e le “linee guida” applicative delle norme bioetiche
applicabili per i giudizi particolari.
Questo è il “panorama culturale” della bioetica, sia pure tratteggiato a grandi linee.
Vediamo ora a quali sviluppi ha portato, nel quadro del panorama legislativo.
CAPITOLO Il
Dalla Bioetica al Biodiritto in Europa
In questa seconda parte della esposizione, cercherò di riassumere gli sforzi che sono stati
compiuti in oltre trent’anni , in Europa, per realizzare una transizione che mano a mano e
apparsa sempre più opportuna fra la riflessione filosofica bioetica ed il diritto. Questo
processo è ormai sufficientemente avanzato — anche se si muove con molta cautela e
lentezza di tempi di marcia — cosicché può parlarsi ormai di una “biogiuridica” o “biodiritto”,
ed anche di “biolegislazione” e “biopolitica” a seconda del ruolo e della sottolineatura che
vuoI darsi all’incontro fra filosofia morale (bioetica) e filosofia del diritto (diritto) ed alle
relative conseguenze sulle “regole” di comportamento.
Le cautele operative del diritto
Il diritto — secondo il giudizio dato dagli stessi suoi esponenti — ha tardato ad intervenire
nel settore che consideriamo, poiché anzitutto si è posto la domanda: quale diritto per il
biodiritto?
Sono apparse subito alcune correnti di opinione fra loro contrastanti: la prima, astensionista
ha sostenuto che le tematiche morali della bioetica non sono suscettibili di essere
governate da leggi; il paradigma è libertario radicale, e chiede per la bioetica “uno spazio
libero dal diritto”, affidando ogni decisione bioetica alla libertà di coscienza.
16
Una seconda corrente, di natura liberale, chiede invece l’intervento del diritto, ma nella
finalità di garantire la libertà individuale, cioè la autodeterminazione nelle questioni
bioetiche. In definitiva, la rimozione degli impedimenti al libero esercizio dell’autonomia,
riconoscendo peraltro il pluralismo delle opinioni personali ed assicurando solo la regolarità
delle procedure che consenta no di esplicitare le diverse sfere etiche private. Eventuali
limitazioni delle libertà individuali sono accettate solo quando si presuma che da esse
possano derivare conseguenze imprevedibili per le libertà altrui e per la società. Di
conseguenza le leggi bioetiche debbono essere miti, aperte, flessibili, secondo la teoria del
cosidetto “diritto debole”.
Una terza corrente, tradizionale, chiede al diritto di agire per assicurare condizioni di utilità
sociale, secondo il calcolo costi/benefici con la minimizzazione dei costi (svantaggi,
frustazioni, ecc...) e la massimizzazione dei benefici (preferenze, vantaggi, ecc..), nell’ottica
cioè di una concezione utilitarista /economistica.
A queste correnti si contrappongono coloro che ritengono che il diritto, proprio per la sua
natura di “tutore,, soprattutto dei soggetti deboli di fronte alle prevaricazioni ed agli abusi
perpetrabili dai soggetti forti,nonpossa rimanere assente; inoltre granparte delle leggi già
esistenti e sviluppate nella storia dell’umanità possono assicurare questi obiettivi anche
nelle nuove condizioni in cui si presentano in campo bioetico, ed infine — se nuove norme
più specifiche sono necessarie — queste debbono essere coerenti con l’evoluzione storica
del diritto, fissata nelle costituzioni.
Ma come “realizzare” queste varie aspirazioni?
Un modello formalistico (che accompagna gran parte delle correnti) assicura la
realizzazione politica della volontà sociale prevalente, mentre un modello procedurale ha la
funzione di difendere le “regole del gioco” per assicurare le pari opportunità a tutti di
usufruirne sulla base di procedure concordate nella sede politica. Dunque, cornice
democratica delle regole ed ampio margine di tolleranza delle scelte sono le coordinate
dello sforzo legislativo.
Vi sono poi espressioni più particolari del pensiero biogiuridico, come quelle svolte da Corti
di giustizia e/o Tribunali, che — soprattutto nel mondo anglosassone — decidono volta a
volta e creano elementi di biodiritto legati alle circostanze . In questi casi il giurista/giudice
partecipa alla ricerca delle soluzioni assieme a vari altri interessati assicurando il rispetto
delle procedure e l’applicazione di regole di minimi morali.
La spinta verso queste forme di “diritto debole” è sostenuta dalla espansione di nuovi diritti
o dalla stessa inflazione dei diritti soggettivi, così apertamente premente nel contesto
17
occidentale, e sostenuta dal principio della separazione del diritto dalla morale e dal
riferimento, ancorché non cogente, alla natura, in nome della neutralità del diritto .
Le espressioni più marcate di tale tendenza si hanno nei modelli biogiuridici noncognitivistici, che si appaiano ai modelli filosofici non cognitivisti che sono stati in
precedenza illustrati; in questi la nozione di soggettività giuridica (che è in fin dei conti il
fondamento dell’azione propria del diritto) non è “riconosciuta”, ma è “attribuita” dalla
volontà dell’interessato, cosicché mentre si moltiplicano i diritti delle “persone” classificate
tali, si creano “esseri umani” non persone, e dunque prive di diritti, e persone non esseri
umani (animali superiori sensienti) portatori di diritti.
In queste condizioni rapidamente descritte non poteva non destarsi una preoccupazione
forte nell’opinione pubblica, negli stessi cultori del diritto e nei responsabili politici: la
“necessità” dell’intervento della legge nelle questioni bioetiche è apparsa come necessaria
per il corretto svolgersi della stessa vita sociale.
Ma si è subito compreso che la “dimensione del diritto nazionale” — pur opportuna e
insostituibile per certe fattispecie — non sarebbe stata sufficiente in un mondo avviato
sempre più verso la globalizzazione.
Da qui, lo sforzo per realizzare una dimensione giuridica almeno “regionale” del pianeta,
ove esistessero condizioni di sufficiente omogeneità culturale.
L’area degli USA—CANADA in America e l’area Europea (dapprima Europa Occidentale
poi l’insieme dei Paesi europei) sono le aree nelle quali si è messo in atto, e si svolge,
questo grandioso tentativo della biogiuridica internazionale.
I diritti dell’uomo
Il tentativo di dare unità alle soluzioni che le varie correnti bioetiche prospettano è stato
assunto dunque dal cosiddetto “biodiritto”, che nell’area europea si identifica con la
tematica unificante dei diritti fondamentale dell’uomo3.
La genesi di questo tentativo risale all’immediato dopoguerra, allorché la reazione agli
insulti perpetrati contro la dignità dell’uomo e contro la vita umana nel corso della lì guerra
mondiale determinarono un robusto movimento politico ed organizzativo internazionale per
scongiurare — in avvenire — il ripetersi di simili atrocità.
(3 ) Per una trattazione più esauriente, mi permetto di rinviare alla monografia: BOMPIANI A; LORETI BEGFIE’ A;
MARINI L. “Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario” Giappichelli G.
Ed., Torino, 2001, nonché all’ottima “Introduzione alla biogiuridica”, di L.PALLAZZANI (G.Giappichelli Ed., Torino,
2002)
18
Questo impegno non fu unicamente europeo, ma internazionale nella rinnovata speranza
che una sede di confronto e di mediazione come l’Organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU), potesse guidare Io sviluppo pacifico dell’umanità sulla base di principi democratici.
La fondazione di Organizzazioni satelliti specializzate, come ad esempio la Organizzazione
mondiale della Sanità (WHO), l’UNESCO (per lo sviluppo della cultura), la FAO (per lo
sviluppo della agricoltura) per citarne solo alcune, accompagnava la competenza tecnicoamministrativa il tentativo politico unificante dello sviluppo umano, purtroppo subito
vanificato in sede non solo europea — ma mondiale — dal prodursi di due blocchi militari e
ideologici contrapposti e marcianti in strade diverse.
Di questa prima fase unitaria rimane — comunque paradigmatica — la celeberrima
Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 con risoluzione
dell’Assemblea generale delle Nazione Unite, il cui merito principale è quello di aver
trasferito in un elemento internazionale, per la prima volta, la considerazione e la
salvaguardia di valori naturali universali, indivisibili e irrinunciabili se non a costo di
offendere la coscienza dell’umanità intera.
Redatta in forma chiaramente declaratoria e priva di efficacia vincolante, la Dichiarazione
universale si pone quindi come atto a carattere programmatico, che si propone, per un
verso, di costituire un vero e proprio “BilI of Rights” internazionale e, per l’altro, di fornire un
ideale verso il quale debbono tendere i singoli Stati partecipanti, a dispetto delle reciproche
diversità di ordine politico, culturale, sociale, economico e finanche religioso.
Ad essa hanno fatto seguito vari strumenti operativi: i due Patti delle Nazioni Unite sui diritti
civili e politici e sui diritti economici sociali e culturali, approvati il 16 dicembre 1966
dall’Assemblea generale dell’ONU, la Convenzione per la prevenzione e la repressione del
delitto di genocidio del 1948, la Convenzione sui rifugiati del 1951, la Convenzione sui diritti
politici della donna del 1952, la Convenzione sugli apolidi del 1954, la Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965, la Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979, la
Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del
1984 e la Convenzione sui diritti del fanciullo deI 1989.
Nella Regione Europea, nasceva nel 1949 il Consiglio d’Europa ed era fondata la Comunità
Europea, e ben presto veniva emanato il primo fondamentale atto internazionale europeo,
cioè la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (CEDU) approvata con il trattato di Roma
del 1950: essa rappresenta il primo tentativo organico di tutela giurisdizionale dei diritti
dell’uomo,
in
grado
di
trasformare
gli
ideali
enunciati
dalla
19
Dichiarazione universale del 1948 in forme di protezione adeguate ed effettive a presidio
dei diritti così riconosciuti, istituendo organi ad hoc incaricati di vegliare sull’osservanza dei
diritti in essa elencati, tra i quali si colloca, segnatamente, la Corte Europea dei diritti
dell’uomo di Strasburgo.
Le varie Costituzioni nazionali, emanate nel 110 dopoguerra nell’area dell’Europa
occidentale portano chiaramente l’impronta dei diritti dell’uomo, ispirandosi tutte a modelli
sia pure non uniformi, ma comunque di matrice personalistica, ove il bene della persona
umana prevale sul bene dello Stato.
Innumerevoli volte è stata riconosciuta la matrice sostanzialmente cristiana di questa
impostazione, che deriva da quel retaggio profondo che anche in campo laico la
civilizzazione cristiana dell’Europa ha determinato nei secoli.
Ma ragioni economiche hanno portato a sostenere — nell’interesse della pace — il
tentativo di dare maggiore unità alle norme di diritto che tutelano la persona umana fra i
vari Paesi dell’Europa Occidentale — persistendo per altro la separazione politico-militare
imposta dai blocchi di potenza fra i Paesi dell’Europa Occidentale da quelli dell’Europa
Orientale.
L’elaborazione dottrinale dei diritti da considerarsi esigibili da parte di ogni uomo —
indipendentemente dal Paese di appartenenza sulla base della teoretica dei diritti
dell’uomo — è andata di pari passo con l’organizzazione di sedi in comune ove questo
processo potesse essere condotto, valutato, ratificato e dunque proposto ai singoli Governi
e Parlamenti nazionali per la libera adesione.
Questi organi, in Europa, sono stati sostanzialmente due: il Consiglio d’Europa con
sede a Strasburgo e la Comunità Europea (ora Unione Europea), con sede a Bruxelles; ad
essi ben presto si sono affiancate altre sedi di elaborazione dottrinale e di riflessione
bioetica. Così nasce gradualmente il biodiritto.
Lo sviluppo del Biodiritto in Europa
L’impetuoso sviluppo della ricerca scientifica con nuove applicazioni tecnologiche
alla vita e alla salute dell’uomo, verificatosi con la ripresa della sperimentazione clinica
negli anni 60-70 deI secolo XX, focalizzava necessariamente l’attenzione delle
organizzazioni internazionali, americane ed europee, preposte alla tutela e alla promozione
dei diritti dell’uomo su questo terreno, anche a ragione da un lato della insufficiente
normativa (affidata solamente a codici professionali, come ad es. il codice di
20
Helsinki), dall’altro al presentarsi di nuovi abusi che si pensava avrebbero dovuto ormai
essere prevenuti dalla Dichiarazione Internazionale dei diritti dell’uomo del 1948 e dalla
analoga Convenzione europea del 1950.
Un richiamo a quanto è avvenuto nell’Europa Occidentale mi sembra opportuno.
1- Consiglio d’Europa
Allorché nel 1949 fu fondato il Consiglio d’Europa con lo scopo di favorire il riavvicinamento
culturale dei vari Paesi Europei i fondatori non potevano prevedere che molta parte
dell’attività del nuovo organismo sarebbe stata dedicata alla definizione di un “biodiritto”,
sostenuto a partire dal decennio 1960/1970 dal sempre più attivo movimento culturale
denominato “bioetica”. La già richiamata Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU),
nata con il trattato di Roma del 4 novembre 1950, rappresenta ancora oggi il punto di
partenza di questa lunga marcia, che si è espressa nel solo settore del biodiritto in 14
Raccomandazioni dell’Assemblea parlamentare, 13 Raccomandazioni del Comitato dei
Ministri, 2 Conferenze generali sui diritti dell’uomo (Vienna , 1955 e Istanbul, 1990) (vedi
tabella 1).
lì “crollo del muro di Berlino” (1990) ha portato, gradualmente, all’ingresso dei paesi
dell’Europa dell’Est nel Consiglio d’Europa che — a seguito delle modificazioni geopolitiche
intervenute — oggi comprende 45 Stati, esprimenti ognuno un unico voto paritario.
lì lavoro del Comitato Direttivo di bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI), che rappresenta
l’organo redigente in materia di biodiritto, è culminato nel 1997 con la redazione della
Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, accolta dal Comitato dei Ministri (trattato
europeo n. 164) cui hanno fatto seguito i relativi protocolli sul divieto della donazione
umana (1998); sui. trapianti d’organo (2000), sulla ricerca biomedica sull’essere umano
(2002), nonché la raccomandazione relativa agli xenotrapianti (2002) e la la
Raccomandazione relativa alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
delle persone affette da disturbi mentali. Sono ancora allo studio presso il Comitato
Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI) il Protocollo alla Convenzione sulla
genetica umana, la Raccomandazione sulla ricerca condotta con materiale biologico
conservato (che è complementare ai protocolli sulla genetica e la ricerca biomedica).
21
2- Unione Europea
In seno alla Comunità europea l’interesse specifico per i problemi della bioetica
sorge più tardi con la nascita dell’Unione Europea, sancita dal Trattato di Maastricht
(1992), sebbene anche in precedenza la . Corte dì Giustizia delle Comunità Europee di
Lussemburgo abbia in quest’area diii Stati (e poi 25) assicurato il rispetto dei diritti e delle
libertà fondamentali, riconducendo nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento
comunitario le tradizioni costituzionali comuni negli Stati membri alla luce dei trattati
internazionali da essi sottoscritti al riguardo (tra cui la CEDU).
lì Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, in vigore dal I novembre 1993, ha
effettuato una vera e propria codificazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza
evocata, introducendo inoltre come punto di incontro con il Consiglio d’Europa un rinvio
esplicito dell’ Unione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU).
Sebbene molti aspetti della tutela dei diritti fondamentali non siano stati chiariti, il
successivo Trattato firmato ad Amsterdam. il 2 ottobre 1997 mostra in modo inequivocabile
la volontà dell’Unione europea di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali e di avviare la
costruzione di un sistema autonomo di protezione, coerente tuttavia con lo sviluppo
economico, sociale ed il benessere dei cittadini europei, che forma oggetto dello Statuto
dell’Unione stessa.
A questo obiettivo risponde anche l’istituzione, avvenuta nel 1991, del Gruppo dei
Consiglieri della Commissione europea per l’etica delle bìotecnologie (GCEB), composto
originariamente di 6 membri, e trasformato nel 1997 in Gruppo europeo per l’etica delle
scienze e delle nuove tecnologie (GEE), composto di 12 membri, cui oggi, tenuto anche
conto delle novità introdotte dai trattati firmati a Amsterdam e a Nizza (2000), sono attribuiti
una più ampia rappresentanza ed accresciuti poteri, lì lavoro svolto da questo organismo è
notevole, e consiste attualmente in 18 Avis, alcuni dei quali adottati nella prospettiva di
fondamentali Direttive, come ad esempio la Direttiva sulla protezione giuridica delle
invenzioni biotecnologiche (1998), mentre altri Avis riguardano problemi che attendono più
compiuta normazione comunitaria, come le ricerche sulle cellule staminali, le banche
tissutali umani, la diagnosi prenatale, l’etichettatura degli alimenti geneticamente
modificati, l’utilizzazione dei dati personali di salute nella società dell’informazione e,
finalmente i contenuti bioetici della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
solennemente proclamata a Nizza nel dicembre 2000.
22
3- Comitati etici nazionali
Un graduale movimento di opinione nei singoli Stati europei, dapprima in occidente e poi
anche nell’Europa dell’Est — dopo l’abbattimento dei muri (1990) — portava alla nascita di
Comitati Etici nazionali, o dì strutture rappresentative equivalenti — avendo a capofila il
Comitato francese — la elaborazione dottrinale e l’attività di promozione dei quali
ècresciuta nel tempo. Attualmente, circa due terzi dei 45 Paesi aderenti al Consiglio
d’Europa è dotato ditali strumenti, che hanno trovato anche una forma di coordinamento
sotto la sigla COMET nella riunione periodica patrocinata dal Comitato Direttivo di Bioetica
del Consiglio d’Europa. Questa attività va ulteriormente promossa, perché già le otto
occasioni di incontro che vi sono state nello spazio di circa dodici anni hanno dimostrato
una grande utilità per la conoscenza delle rispettive attività, per l’esame dei temi
preferenzialmente discussi in ogni Paese e per le soluzioni proposte o attuate in sede
nazionale. Nella direzione della reciproca cooperazione tra Comitati nazionali di etica va
salutata anche la recente prassi awiata nell’ambito dell’Unione europea, che ha condotto
ad una prima riunione informale, tenutasi a Bruxelles nel dicembre 2002, e poi ad un vero
e proprio Forum dei Presidenti dei Comitati di etica degli Stati membri, tenutosi ad Atene
nella primavera scorsa e all’incontro di Roma (18 e 19 dicembre 2003).
4- L’apporto dell’UNESCO
Con grande autorevolezza l’UNESCO si è presentata anch’essa sulla scena della
elaborazione bioetica e del biodiritto a seguito dell’invito rivolto dalla Conferenza Generale
del 1987 al Direttore Generale Federico Mayor, di promuovere lo studio dell’esercizio
effettivo dei diritti dell’uomo, con l’ausilio delle istituzioni delle scienze sociali ed umane,
per chiarire l’incidenza che i continui progressi scientifici e tecnici esercitano sulla
protezione concreta dei diritti umani.
A questo scopo nel 1993 veniva attivato il Comitato Internazionale di Bioetica
dell’UNESCO (CIB), che -attraverso un intenso lavoro giuridico e scientifico - era in grado
di presentare e far approvare dalla Conferenza Generale dell’i 1 novembre 1997 la
“Dichiarazione Universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo”. divenuta fondamentale
punto di orientamento per le elaborazioni del diritto internazionale in materia di genetica.
23
Affiancato dal Comitato dei rappresentanti dei governi, il CIB ha in queste ultime settimane
presentato all’Assemblea Generale dell’UNESCO la Dichiarazione internazionale sui test
genetici ed i diritti_dell’uomo, prima evoluzione in senso applicativo della Dichiarazione
Universale del 1997, approvata anch’essa all’unanimità e si appresta ad elaborare — non
senza riserve di alcuni Paesi e del Rappresentante (Osservatore) della Santa Sede— uno
“Strumento universale sulla bioetica”.
La collaborazione con le Istituzioni europee è notevole, e la stessa ispirazione dei
Documenti prodotti dall’UNESCO è — in pratica — quella dei documenti europei: a questa
ispirazione si rifanno mano a mano i Paesi in via di sviluppo più avanzati, che sempre di più
(almeno sino a questo momento) hanno accolto con favore la linea bioetica europea.
Caratteristiche degli elaborati del “Biodiritto europeo”
Mi sembra, ora opportuno fornire qualche indicazione sulle caratteristiche di questi ormai
numerosi documenti europei.
Gli elaborati del Consiglio d’Europa, quelli della Unione Europea e dell’UNESCO in materie
corrispondenti presentano notevoli affinità anche di forma, oltre che di contenuto.
Il riferimento primario per i documenti europei è quello della Convenzione Europea sui diritti
dell’uomo (1950), dalle enunciazioni della quale discendono vari “principi” e “criteri” che
sono presentati per lo più in forma esortativa alle parti contraenti per un recepimento nel
diritto nazionale, così da renderli giuridicamente operativi; per l’UNESCO il riferimento è la
Dichiarazione del 1948 e gli atti che ne sono seguiti.
Volendo specificare, diremo:
1) I Criteri generali adottati nella redazione della Convenzione sui diritti dell’uomo e la
biomedicina (Oviedo, 1997) sono stati i seguenti:
1-Affermazione della preminenza del diritto e riconoscimento di nuovi diritti per i cittadini.
Incoraggiamento dell’istituzione (formazione) di Comitati Etici nazionali aperti alle istanze
anche dirette dei cittadini, per offrire risposte adeguate al riguardo.
2- Rispetto del corpo umano e dell’inviolabilità della persona umana; interdizione a stabilire
un diritto esclusivo per ciò che concerne il corpo umano e i suoi organi.
3- Rispetto della vita privata e familiare con la precisazione delle condizioni che
consentano l’utilizzazione di dati personali risultanti dallo sviluppo dei test genetici. Sarà
24
affermato il diritto del neonato a godere di uno statuto giuridico dal momento della nascita,
indipendentemente dalle modalità con le quali sarà stato procreato.
4- Adozione dell’espressione “essere umano”, intesa nel senso più largo ma senza la
necessità di includere - nel testo — una precisa definizione di “essere umano”, evitando
peraltro di precisare se la Convenzione-quadro si applicasse all’essere umano solamente
dopo la nascita, o anche prima. Questa decisione derivava dall’opportunità di non entrare
nella polemica dell’attribuzione del concetto di “persona” all’embrione, sulla quale già in
partenza risultava evidente che non sarebbe stato possibile raggiungere un accordo fra le
varie delegazioni.
I principi fondamentali etici ispiratori del testo accolti da tutti i membri del Comitato
redigente (CDBI) furono:
- rispetto della dignità umana;
- protezione dell’integrità dell’individuo;
- affermazione delle responsabilità pubbliche nei confronti dell’applicazione delle scienze
biomediche;
- divieto di ogni commerciabilità del corpo umano e dei suoi organi;
- divieto di ogni forma di discriminazione.
Questi principi, ovviamente, sono alla base anche dei “protocolli” addizionali che — sino a
questo momento — hanno fatto seguito alla Convenzione d’Oviedo, con ulteriori “principi”
derivati, fra i quali:
- nel protocollo sulla Clonazione, il divieto di donazione dell’essere umano. Ciò si applica
sicuramente ad ogni donazione “riproduttiva”, ma è prevista nelle interpretazioni al
“protocollo” la facoltà riservata ai singoli Stati di regolarsi in merito alla donazione
cosiddetta “terapeutica”.
- nel protocollo sui trapianti d’organo, il principio della “donazione”, sia da vivente che da
cadavere regolata comunque dagli Stati in merito alla disciplina effettiva (modalità di
consenso etc.)
-
nel protocollo sulla ricerca, il principio che la tutela ed il benessere dell’essere umano
hanno la prevalenza su Qualsiasi altro interesse della scienza e della società.
2) I “criteri” adottati dal Gruppo di Consiglieri per l’etica della scienza e delle nuove
tecnologie della Comunità Europea sono stati quelli di fornire principi etici in rapporto alle
finalità ispiratrici dei Trattati istitutivi dell’Unione e delle Comunità Europee, e cioè norme di
25
salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo contenute nell’Atto Unico Europeo, in vigore
dal 1987, e nel Trattato sull’Unione Europea, in vigore dal 1993, nonché di quelle
disposizioni contenute nel Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea che, pur non
ispirandosi direttamente alla tutela dei diritti fondamentali, hanno su di essi importanti
“ricadute” (art. 152 in materia di sanità pubblica, art. 153 sulla protezione dei consumatori,
art. 163 sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, artt. 174 sulla protezione
dell’ambiente).
I “principi” generali, applicabili in queste circostanze, sono i seguenti:
- principio di autonomia dell’individuo (che comporta l’acquisizione del consenso
informato, il rispetto della vita privata, la tutela dei dati personali);
- principio del rispetto della dignità della persona;
- principio di non discriminazione (in particolare nei confronti delle persone suscettibili di
far parte della ricerca);
- principio di proporzionalità (in particolare fra rischio e beneficio);
- il principio di non coercizione (evitare pressioni di ogni genere, anche economiche);
- principio di protezione dei gruppi di persone vulnerabili (in particolare nella raccolta del
consenso).
Altri interessanti principi etici si ritrovano nell’AVIS n. 11 del 21luglio 1998 sulle
banche di tessuti umani, ove si ribadisce che il prelievo di tessuti umani richiede
l’informazione ed il consenso della persona interessata, l’anonimato del dono, il divieto di
divulgazione di informazioni permettenti l’identificazione sia del donatore che - se ne è il
caso - del ricevente. lì dono è gratuito, le attività di conservazione (banche) sono sottoposte
a controllo pubblico.
Ancora nell’AVIS n. 13 del 30 luglio 1999, sugli aspetti etici relativi all’utilizzazione
dei dati personali di salute nella società dell’informazione, si afferma che tali dati debbono
essere considerati “sensibili”,in funzione del rispetto della vita privata. lì principio di
autodeterminazione del paziente dà la facoltà all’interessato di conoscere i dati e stabilire in
quale forma renderli utilizzabili (a scopo di ricerca, ecc.). Inoltre, la responsabilità di
conservazione e la riservatezza dei dati personali sì estende oltre al personale sanitario, a
tutti coloro che ne hanno l’incarico di custodia e trattamento.
Circa l’impatto delle biotecnologie e della genetica molecolare, il CGE pone
l’accento su tre rischi particolarmente gravi:
- la commercializzazione del corpo umano, dei suoi componenti e prodotti;
26
-le nuove forme di discriminazione risultanti dalla conoscenza di caratteri genetici sugli
esseri umani;
- la strumentalizzazione degli esseri umani attraverso manipolazioni genetiche.
3) Nella Carta del Cittadino Europeo (Nizza 2000) che prende in considerazione le
relazioni intercorrenti fra diritti dei cittadini e le nuove tecnologie - i principi bioetici
particolarmente sottolineati sono i seguenti:
- la dignità e la libertà di ciascuno deve essere rispettata;
- ogni persona ha diritto alla vita; nessuno può essere condannato alla pena di morte, né
all’esecuzione della stessa;
- deve essere assicurato il consenso informato della persona nell’ambito del diritto
all’integrità della persona, di fronte a possibili interventi modificanti tale integrità;
- lì corpo umano e le sue parti non possono essere commercializzate;
- ogni discriminazione basata sulle caratteristiche genetiche o lo stato di salute
dell’individuo deve essere proibita;
- le pratiche eugeniche dirette ad organizzare la selezione e la strumentalizzazione delle
persone sono proibite;
- ogni persona ha il diritto di beneficiare della scienza e della tecnologia;
- ogni persona ha diritto alla protezione dei dati a carattere personale. In tale ambito,
debbono rispettarsi i seguenti principi: rispetto della confidenzialità dei dati individuali a
carattere personale, definizione da parte dell’interessato di quali dati possano essere
trattati ed a quali fini; diritto di accesso ai propri dati, diritto di correggerli e di
sopprimerli.
Infine, è proibita la “donazione riproduttiva”, ma non ci si esprime sulla “donazione
terapeutica” (uso di cellule staminali embrionali).
4) Direttiva n. 98144 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica
delle invenzioni biotecnologiche
Questa complessa direttiva, la cui elaborazione è passata attraverso diverse formulazioni
nello spazio di 10 anni, tenta di armonizzare i principi della libertà di impresa e di sviluppo
sociale ed economico della Comunità europea con i principi del rispetto della dignità e dei
diritti umani.
Già alla lettura del corposo “Preambolo” (ben 56 “Considerando”) si enucleano questi
contenuti:
27
- Il diritto dei brevetti deve essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che
garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo (Considerando n. 16).
- Il corpo umano in ogni stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le
cellule germinali, la semplice scoperta di uno dei suoi elementi o di uno dei suoi prodotti,
nonché la sequenza o sequenza parziale di un gene umano non sono brevettabili
(Considerando n. 16).
- Un’invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto,
non è escluso dalla brevettabilità se deriva da procedimenti tecnici che soltanto l’uomo è
capace di mettere in atto e che la natura di per se stessa non è in grado di compiere
(Considerando n. 2 1).
Questi “principi” (enunciati nel “Preambolo”) si trovano sviluppati in vari articoli del
dispositivo normativo.
5) Anche i criteri ed i principi accolti dal Comitato di bioetica dell’UNESCO e poi inseriti
nella Dichiarazione Universale sul Genoma umano, vanno ricordati, perché — come già
ricordato — appaiono ampiamente corrispondenti al sentire bioetico “occidentale”,
particolarmente europeo.
I criteri possono così elencarsi:
l’analisi della struttura del genoma umano e le ricerche sulle funzioni vanno considerate
secondo quattro fondamentali aspetti:
-
lo statuto della conoscenza;
-
la protezione della persona umana;
-
la salvaguardia della specie umana;
-
l’educazione, la formazione e l’informazione del pubblico.
I principi cui riferirsi sono i seguenti:
A - Circa lo statuto della conoscenza
- la libertà della ricerca costituisce un diritto fondamentale;
- l’imperativo della sicurezza delle ricerche dal punto di vista della salute umana e
dell’ambiente può giustificare talune restrizioni;
- l’etica fa appello alla responsabilità dei ricercatori per ciò che concerne la finalità delle
ricerche e le pratiche di laboratorio.
B - Circa la protezione della persona umana
a) l’identità umana:
-
la genetica non rimette in alcun modo in causa il principio di eguale dignità degli
individui nell’ambito della specie umana;
28
-
nessuna modificazione del genoma umano si giustifica, se non è per venire in
soccorso di coloro che soffrono (o sono a rischio grave) in uno sforzo terapeutico.
b) La protezione della vita familiare
-
il diritto di accesso degli individui ai dati genetici che li riguardano deve essere
garantito, nella misura del possibile;
-
deve essere protetta, nei confronti dei terzi, la confidenzialità dei dati a meno di
eccezioni giustificate;
-
merita riflessione nella sua portata e giustificazione il diritto “ a non sapere” in caso di
dépistage genetico positivo (per malattia. anomalia, ecc.),
c) L’autonomia della volontà
-
il principio del rispetto del consenso alle ricerche diagnostiche e alle cure èespressione
della libertà individuale;
d) La solidarietà
-
la libertà degli individui si deve sempre confrontare con l’idea di solidarietà nel seno
della famiglia, dei gruppi, delle nazioni e nel seno della comunità internazionale;
C — Circa la salvaguardia della specie umana:
-
la decodificazione del genoma umano conferma l’unicità della specie umana e non
offre basi scientifiche per una suddivisione eugenistica di essa;
-
le civilizzazioni umane sono determinate culturalmente, e non geneticamente.
-
la relazione fra la genetica delle popolazioni e le diverse culture esige una riflessione
specifica sul piano internazionale.
D — Circa l’educazione, la formazione e l’informazione
-
in rapporto alle caratteristiche Proprie dell’UNESCO, il Programma dovrà estendersi
(oltre la semplice riflessione) ad un’azione che comporti:
-
la formazione “bioetica” in ambienti specializzati (medici, ricercatori, giuristi, filosofi
ecc,) e dei decisori pubblici, allo scopo di omologare i vari linguaggi;
-
la sensibilizzazione del pubblico, in particolare dei giovani dei vari paesi;
-
il miglioramento del dialogo con i mezzi di comunicazione di massa;
-
la presa di coscienza delle responsabilità degli uomini di oggi verso le generazioni
future.
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Qualche commento
Concludendo questa rassegna, è fuor di dubbio che le linee organizzative ricordate, su cui si è
sviluppata la bioetica e va strutturandosi il biodiritto particolarmente in Europa —tenendo conto
anche del fatto che in sede di UNESCO (che ha vocazione universale) èstata fortemente
sostenuta e valorizzata la proposta europea della promozione dei diritti dell’uomo — hanno
prodotto un insieme di documenti che può apparire rassicurante sotto l’aspetto di una coerenza
interna delle linee di riflessione, ma che non manca di suscitare apprensioni in seno ad una
antropologia pienamente cristiana, Infatti — in tutti i documenti si nota una grande sottolineatura
della libertà e dell’autonomia della persona umana — a tutela della quale viene costruito un
imponente corpus dottrinario che fornisce l’autodeterminazione, mentre molto scarsi sono i
richiami ai “doveri cui la persona umana è tenuta nella struttura sociale e anzitutto verso se
stessa, nè viene prospettata in alcun modo l’origine del concetto di “dignità umana”.
Molti documenti nascono e ruotano attorno ai problemi della salute.
Viene, in pratica, registrata l’evoluzione che nei fatti è già compiuta nei rapporti fra medico
e cittadino nei riguardi dell’assistenza sanitaria, che però sotto l’aspetto organizzativo rimane
responsabilità attribuita ai singoli Stati; invece è fortemente esaminata la posizione che il cittadino
assume nei confronti della ricerca biomedica e dell’incessante sviluppo tecnologico.
La protezione attiva, che viene assicurata all’essere umano già nato, non viene attribuita
all’embrione ed al feto, poiché a questa fase prenatale della vita è attribuita una tutela oggettiva
di minore intensità, affidata in gran parte ad una iniziativa autonoma dei singoli Stati.
In questi documenti internazionali appare chiara a questo livello la distinzione fra bioetica
— almeno nell’accezione cristiano/cattolica integralmente “personalista” — e biodiritto.
L’evoluzione del biodiritto in sede internazionale — punto d’incontro anche delle
“sensibilità” dei diversi Paesi nella normazione costituzionale e pratica (diritto positivo) dei
fenomeni biomedici della vita concreta — ha tenuto conto di una posizione pressoché ubiquitaria
nei vari sistemi giuridici ereditata dal passato: il concetto giuridico di persona umana si applica
dal momento della nascita.
La protezione che viene proposta dal biodiritto all’embrione e al feto non è quella
della persona umana, ma quella che il legislatore nazionale riterrà opportuno dare,
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all’infuori del solo divieto di produrre espressamente embrioni al solo scopo di ricerca (art.
18 della convenzione di Oviedo, 1997).
Ma anche questo divieto è inficiato come è ben noto, là dove i Paesi non notificano
la Convenzione.
Ciò non toglie che, sul piano della pluralità e libertà delle concezioni etiche e di
pensiero, i singoli e/o gruppi di cittadini possono applicare volontariamente posizioni di
maggiore rispetto verso la vita prenatale sino a considerare il concepito — in ogni stadio di
sviluppo — come persona umana.
Tutto ciò, ovviamente, vale per un cristiano autentico sotto il profilo della stessa
elaborazione bioetica.
In generale, anche per quanto si riferisce all’essere umano già nato, i Documenti
che costituiscono il biodiritto sono “imperfetti”, ma ve ngono considerati ai sensi della stessa
Enciclica “Evangelium vitae” (N° 73) come il “bene minimo” concretamente attuabile nelle
circostanze storiche correnti in sede internazionale. Rimane possibile in sede politica,
ottenuto il consenso di maggioranza, tutelare con norme più favorevoli anche l’embrione e
il feto.
Parimenti rimane pur sempre possibile — in uno Stato veramente democratico —
l’esercizio per i singoli di autentiche “obiezioni di coscienza”. Questo principio, tuttavia, non
figura espressamente nei documenti citati.
Concludendo, la tematica della utilizzazione di embrioni a scopo di produzione di
cellule staminali, della diagnosi preimplantatoria con finalità eugenetiche e della
“brevettazione” è — oggi — quella che maggiormente caratterizza il distacco fra una visione
antropologica “laica” predominante nelle organizzazioni europee ed una concezione
antropologica
integrale
di
difesa
dell’uomo,
come
proposta
dal
cristianesimo
(particolarmente cattolico).
Uno sguardo rivolto al futuro
Molti argomenti nuovi si affacciano alla considerazioni degli organismi internazionali e
sopranazionali richiamati, ormai preparati ad affrontarli anche per la crescente presenza di
giovani giuristi formati da un insegnamento della bioetica realizzato in numerosi Centri
Universitari e da esperienze progressivamente affinate sul campo.
Se l’ispirazione del biodiritto fondato sui diritti dell’uomo appare laicamente unitaria
nelle sedi richiamate, le soluzioni escogitate non rispecchiano ancora la vera ricchezza
31
delle opzioni filosofiche, religiose e del sentire comune che si rinvengono nella società,
plurietnica e pluralista, di oggi.
Nè sempre appaiono pacificati i rapporti fra legislatori, giuristi e medici, i quali ultimi
in gran parte hanno compreso il valore dell’autonomia del paziente e del “consenso
informato”, ma non sono propensi a seguire tutte le minuziose regole che taluni elaborati
hanno dettato, regole che ritengono capaci di mettere a rischio l’elemento fiduciario che
rimane comunque alla base del rapporto con il paziente.
Lo sviluppo di una maggiore armonia nella comune partecipazione della gente alla
applicazione dei diritti veramente fondamentali — tralasciando la rivendicazione e/o
l’imposizione di diritti incerti e proclamati al di fuori di considerazioni realistiche - sembra
l’obiettivo che si deve perseguire, considerando con maggiore apertura antropologica e di
vera coerenza umana la tutela di tutte le fasi della vita, dalla prenatale alla terminale —
anch’essa posta a repentaglio da alcune leggi chiaramente eutanasiche che cominciano ad
affermarsi anche nel contesto europeo — custodendo con maggiore rigore la
soprawivenza delle specie presenti sulla terra; gestendo responsabilmente le ricchezze
non rinnovabili planetarie; operando per la tutela dell’ambiente e la distribuzione più onesta
dei beni prodotti dal lavoro dell’uomo anche facilitando la partecipazione al lavoro
scientifico e al progresso tecnologico dei paesi più svantaggiati; ed infine curando la
salvaguardia e l’impegno per la salute in ogni essere umano a qualsiasi popolo
appartenga.
E con decisione vanno affrontate anche le domande che spesso sentiamo porci
sulla aggressività di una tecnologia che appare autorealizzantesi sulla spinta del profitto
economico e del mercato spesso eludendo norme di elementare compatibilità etica.
Un contenuto di maggiore umanità e di saggezza filosofica dovrebbe ora
caratterizzare, a mio parere, il futuro impegno della bioetica e del corrispondente biodiritto,
alla luce dei progressi stessi della società biotecnologica e con una visione d’insieme più
equilibrata anche alle esigenze spirituali dei singoli temi sui quali sino ad ora si ècimentata
la copiosa produzione del biodiritto internazionale o, se si preferisce, del diritto
internazionale della bioetica.
L’Europa può dire molto, sotto questo aspetto, ma lo sforzo sarà incompleto se non
verranno riscoperte le radici cristiane che hanno consentito la più pura civilizzazione
europea.
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TABELLA. Principali documenti dei Consiglio d’Europa in materia di bioetica.
A. ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA.
Risoluzione n. 613 (1976)
Raccomandazione n. 779 (1976)
Raccomandazione n. 818 (1977)
Raccomandazione n. 934 (1982)
Raccomandazione n. 1046 (1986)
sui diritti dei malato e del morente
sui diritti del malato e del morente
sulla malattia mentale
sull’ingegneria genetica
sull’utilizzazione di embrioni e feti umani a fini
diagnostici, terapeutici, scientifici, industriali
commerciali
Raccomandazione n. 1100 (1989)
sull’uso degli embrioni umani e dei feti nella ricerca
scientifica
Raccomandazione n. 1159 (1991)
Raccomandazione n. 1160 (1991)
Raccomandazione n. 1213 (1993)
sull’armonizzazione delle regole per l’autopsia
sulla preparazione di una Convenzione sulla bioetica
sullo sviluppo della biotecnologia e conseguenze per
l’agricoltura
33
Avis n. 198 (1996)
sul progetto di Convenzione per la protezione dei
diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano nei
confronti delle applicazioni della biologia e della
medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e la
biomedicina
Avis n. 2002 (1997)
sul progetto di protocollo alla Convenzione sui diritti
dell’uomo e la biomedicina, recante interdizione della
clonazione di esseri umani
Raccomandazione n. 1399 (1999)
sugli xenotrapianti
Raccomandazione n. 1418 (1999)
sulla protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dei
malati incurabili e dei morenti
Raccomandazione 1425 (1999)
sulle biotecnologie e la proprietà intellettuale
B. COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA
- Risoluzione (78) 29
sull’armonizzazione della legislazione degli Stati
membri relativa alla rimozione, innesto e trapianto di
sostanze umane
- Raccomandazione R (79) 5
relativa agli scambi internazionali e al trasporto di
sostanze umane
- Raccomandazione R (83) 2
relativa alla protezione giuridica delle persone
sofferenti per malattia mentale istituzionalizzati
contro la volontà
- Raccomandazione R (84) 16
relativa alla notificazione dei lavori che concernono
il DNA ricombinante
- Raccomandazione R (90) 3
relati va alla ricerca scientifica sugli esseri umani
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- Raccomandazione R (90) 13
sullo screening genetico prenatale, la diagnosi
generica prenatale e relativo counseling genetico
- Raccomandazione R (92) 1
sull’uso dell’analisi del DNA nell’ambito del sistema
di giustizia penale
- Raccomandazione R (92) 3
- Raccomandazione R (43) 4
sui test genetici e lo screening per finalità mediche
sui saggi clinici necessitanti l’utilizzazione di
composti e di prodotti derivati dal frazionamento del
sangue e del plasma umano
- Raccomandazione R (94) 1
- Raccomandazione R (97) 5
- Raccomandazione R (97) 15
sulle banche di tessuti umani
sulla protezione dei dati medici
sugli xenotrapianti
Dichiarazione dei Capi di Stato e
di Governo Strasburgo 11 ottobre
1997
Conferenza dei Ministri Europei
sui diritti dell’uomo ed il progresso scientifico nel
sui diritti dell’uomo (Vienna 19-20
campo della biologia, medicina e biochimica
marzo 1985) e Risoluzione n. 3
Conferenza (170) dei Ministri
relative alla bioetica
Europei della Giustizia (Istanbul 5-7
giugno 1990) e Risoluzione n.3
35