Adriano Bompiani LINEAMENTI DI BIOETICA GENERALE I Corso di Formazione in Bioetica Associazione Medici Cattolici Italiani Istituto di Bioetica Università Cattolica del S.Cuore Roma — Università degli Studi di Firenze Sede di Prato 28 maggio 2005 1 Premessa In questa conversazione sulla bioetica, che l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani operanti nella regione Toscana ha voluto affidarmi, vorrei soffermarmi su due aspetti di ordine generale: le fonti ed i contenuti filosofici, le fonti ed i contenuti giuridici della bioetica. L’argomento è — per opportunità espositiva — suddiviso in due capitoli: il primo dedicato al pensiero filosofico, il secondo al pensiero giuridico, ma — owiamente — le integrazioni sono di fatto continue. CAPITOLO I Il pensiero filosofico 1. Definizione ed epistemiologia della Bioetica La comprensione della bioetica come “movimento” sviluppatosi negli ultimi decenni del xx secolo non può prescindere da una valutazione del contesto culturale nel quale il movimento si è sviluppato ed ha trovato una propria linfa ed una appropriata giustificazione. Ritengo che varie componenti disegnano lo scenario e nello stesso tempo intervengono a delimitare il concetto di bioetica, che nella stessa parola composta dalle radici “bios” ed “ethos” fa intravedere il tentativo della cultura contemporanea di saldare due grandi “valori”: la sempre maggiore conoscenza scientifica della vita e il comportamento morale, alla ricerca di una salvifica alleanza Gradatamente si sono delineati i campi e significati della bioetica, che — in termini molto generali — sono così esprimibili: a) rapporto fra vita e valori etici nel panorama più generale della vita (scienza della vita) concetto originario di Van Raessler Potter (1970); b) rapporto fra vita e valori etici nel campo dell’attività medica e sanitaria (identificazione con l’etica medica ed evoluzione della stessa: Helleghers,1971). Le “componenti” da prendere in considerazione per descrivere lo scenario nel quale questa evoluzione si compie, a me sembrano naturalistiche, biotecnologiche e biomediche (1) È interessante confrontare alcune definizioni di “bioetica”. Studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei principi morali (Encyclopedia of Bioethics, 1978). Filosofia morale della ricerca e della prassi biomedica (Sgreccia). Settore dell’etica che studia i problemi inerenti alla tutela della vita fisica e in particolare le implicazioni etiche delle scienze biomediche (Leone). Riflessione razionale ed organica sui vari problemi morali, giuridici, sociali sollevati dallo sviluppo della medicina e dalle altre scienze della vita (Mori). Dunque, pur con qualche differenzia zione, le varie definizioni mostrano un’area abbastanza concordante di interessi speculativi, chiamando le scienze umanistiche, scienze naturalistiche e scienze mediche a confrontarsi con le scienze morali. 2 sul versante scientifico; e le varie tendenze sociologiche, antropologiche ed etiche affermatesi nella società moderna — a fianco della più antica antropologia e dell’etica d’ispirazione personalistica cristiana — sul versante morale. L’apporto di ciascuna disciplina scientifica e l’incontro con la riflessione etica appare diverso nei diversi contesti etici e culturali (ad es. la bioetica negli Stati Uniti ha connotazion non del tutto sovrapponibili a quella europea, e nell’ambito europeo èpossibile scorgere anche discrete differenze fra l’area anglosassone, quella latina e quella germanica). Tuttavia prevalente è la caratteristica metodologica interdisciplinare del discorso bioetico, anche se ormai va aumentando la propensione verso una definizione “disciplinare” specialistica della bioetica stessa. Quali caratteristiche epistemologiche assegnare allora alla bioetica? Formalmente, la maggior parte degli AA. la considera un ramo o sottodisciplina del sapere etico, da cui riceve lo statuto epistemologico di base e con cui mantiene un rapporto di dipendenza che le conferisce giustificazione e orientamento. 2. L’evoluzione sociale e le modificazioni del sentire etico Venendo ad analizzare le singole linee che appartengono al versante culturale, ci sembra di dover richiamare fenomeni di grande rilievo. Elenco come segue: I ) la secolarizzazione spinta (l’Illuminismo ne è l’origine storica), avvenuta con grande rapidità in tutto il mondo, ed anche nel nostro Paese, con la progressiva emancipazione della cultura, del costume e della vita sociale dal’influenza — un tempo determinante — della religione. In pari tempo, si è prodotto quel processo di differenziazione e di moltiplicazione degli orientamenti religiosi, filosofici, politici e culturali, che va sotto il nome di PLURALISMO. Il) La crisi delle ideologie, e cioè la perdita di influenza di quelle visioni del mondo utopistiche o conservatrici, rivoluzionarie o reazionarie, che avevano caratterizzato il primo dopoguerra e le contestazioni del ‘68 (v. oltre). III) Sul piano della ricerca filosofica, c’è da segnalare la CRISI DELLA FILOSOFIA SISTEMATICA “FORTE”. IV) La CRISI DELLA MORALE “FORTE” (dei valori ontici, tradizionali) e del PERSONALISMO KANTIANO= autonomia dell’imperativo categorico, dettato dal soggetto stesso), ancora saldamente rappresentato nella cultura dei primi decenni del 3 secolo. Vari movimenti (storicismo, materialismo, strutturalismo, ecc..) portano tutti — infatti — ad un “relativismo morale”, sino all’avvento deII”etica senza verità”. V) L’UTILITARISMO. Si afferma — nel mondo anglosassone — sostanzialmente l’utilitarismo (che ha origine in Hume), il cui influsso è particolarmente forte sullo sviluppo della filosofia morale italiana di questi ultimi decenni. Nonostante le premesse “altruistiche”, di fatto nella società moderna l’utilitarismo è inteso prevalentemente come soggetivismo: la scoperta dell’esistenza e delle esigenze dell’altro non èconsiderata di per se stessa, ma solo in quanto rientri nel quadro del proprio tornaconto. VI) Anche la CONOSCENZA delle pulsioni profonde (la ricerca di Freud; Jung, ecc..) sulla strutturazione della personalità ha esercitato un ruolo molto incisivo nella definizione dell’etica moderna. VII) Ed ancora l’affermarsi di Movimenti d’opinione. Questo fenomeno, ingigantito negli ultimi decenni, ha portato all’esaltazione: - dei diritti personaIi espressi in modo radicaìe(Ia nostra è la società della continua affermazione di nuovi diritti, cui non può corrispondere — nel sistema giuridico positivo — una immediata e diretta traduzione); - dei diritti di liberazione (ad es. movimento femminile; movimento studentesco, ecc..) VIII) Si affermano altresì i movimenti ecologisti e i movimenti per i “diritti” degli animali. Più ampiamente su alcuni di questi argomenti si tornerà in seguito. IX) L’affermarsi del CONSUMISMO:I’indubbio progresso economico, facilitato dallo sviluppo tecnologico, che ha consentito l’elevata produzione di beni di consumo ha facilitato una corsa al benessere più immediato, senza preoccupazioni di carattere etico, nè immediato, nè in considerazione delle necessità e dei bisogni delle future generazioni. X) Le possibilità offerte dall’innesto di tecnologie nuove nella medicina. Si fa l’esempio di farmaci antinfettivi come gli antibiotici e gli anticoncezionali (la pillola di Pincus è del 1962); le possibilità nuove dell’anestesia e dell’analgesia con le conoscenze sulla immunologia (trapianti d’organo ormai consentiti); le prospettive della inseminazione artificiale (1952) e — poco dopo — della fecondazione in vitro (1967/8); la definizione della molecola del DNA (1953) e l’inizio delle biotecnologie ricombinanti (produzione di vaccini, proteine terapeutiche, ecc..); le macchine di ventilazione artificiale, ecc.. 4 Tutti questi (ed altri) risultati della ricerca offrono un’immagine “positiva” della scienza, che invita a superare le vecchie regole della morale umanistica, a favore di un’etica fondata sul sapere oggettivo e sul pensiero filosifico proprio della scienza (“scientismo”). 3. Le ricadute sui comportamenti Risultati di queste spinte sembrano essere fenomeni non certamente di facile lettura, che mi sembra opportuno richiamare in via schematica come segue: I) in senso assoluto, non la scomparsa del senso religioso, né del senso morale,ma una profonda modificazione di entrambi. I mutamenti sopraccennati hanno avuto infatti come conseguenza la cosidetta crisi delle “evidenze etiche comuni” con la parziale ma fondamentale ricostruzione su altre gerarchie di valori dell’atteggiamento dei singoli, o dei gruppi lì) La positiva evoluzione verso le concezioni dell’indipendenza politica dei popoli (no al colonialismo, ad esempio) ; una maggiore eguaglianza sociale una più reale parità dei sessi, una più assoluta libertà di pensiero e di associazione. III) La richiesta daparte di alcuni settori della società (ad es. gruppi giovanili, ecc..) di una morale vissuta non in senso esclusivamente individuale, ma da coltivare “nel gruppo” (strategia ritenuta necessaria per praticare efficacemente certi valori); il fiorire di iniziative di volontariato ricco di ispirazione etica; IV) Una più matura sensibilità verso il problema ecologico Con la “crisi delle evidenze etiche comuni”, si intende il venir meno della evidenza per tutti di a lcuni grandi valori, o di alcune precise gerarchie di valori, che avevano dominato le epoche precedenti: la religione, la patria, la famiglia, le istutuzioni in genere, l’autorità, il lavoro, lo spirito di sacrificio, ecc.. Queste evidenze in passato erano state fornite prevalentemente dalla religione cristiana, e perciò erano condivise da tutti i credenti; ma ad esse si uniformava anche la cosidetta “morale laica”, cioè fondata sulla sola ragione, la quale, specialmente nell’ottocento, era in genere una trascrizione in termini razionali dell’etica cristiana (Berti, 1989). Si può dire pertanto che oggi manca, anche nella società italiana, un ethos comune, cioè un modo di sentire e di vivere condiviso da tutti, un “costume” generale. I più macroscopici segni rivelatori di questo fenomeno sono stati i referendum su problemi etici quali il divorzio e l’aborot, l’ergastolo e le centrali nucleari, che hanno messo in evidenza l’esistenza di profonde divisioni sociali. Un ethos di tipo tradizionale sussiste ancora ufficialmente alla base delle istituzioni, ma queste non godono più la fiducia della gente, ed esso è certamente praticato da molti a livello privato, ma quasi nessuno si sente più di proclamarlo, difenderlo di diffonderlo pubblicamente”. 2 5 V) Una crescente domanda di etica nell’economia, intesa come ricerca di una conciliazione fra una produzione sempre crescente di ricchezze e una distribuzione più equa delle medesime (problema della giustizia sociale); VI) Un’evoluzione notevole nella dinamica della famiglia, crocevia delle tensioni personali e sociali, ma anche “luogo in cui coniugare i verbi della vita, mediante la centralità sia etica che antropologica del “prendersi cura” (Spisanti, 1990); VII) Un sempre più grande attenzione della stampa (mass-media) per i problemi dell’etica applicata a problemi concreti della procreazione, della sessualità, della vita di relazione, dell’ambiente, ecc... VIII) Lo sviluppo di un atteggiamento del potere pubblico più disponibile ed offrire servizi per la discussione e la soluzione di problemi esistenziali, con forti implicazioni etiche (quali il sorgere dei consultori familiari). Altre possibili iniziative pubbliche, quali ad esempio la creazione di comitati etici negli ospedali, la redazione di varie carte dei diritti (del bambino, dell’ammalato, ecc..), sono state invece — almeno in Italia — sorpavanzate in un primo momento da iniziative di volontariato che tuttavia negli ultimi anni ha cambiato notevolmente la struttura organizzativa e funzionale. Fanno parte dello stesso quadro di mutamento etico altri fenomeni sociali: ad esempio la proposta di insegnare a scuola i diritti umani in alternativa all’ora di religione (lasciata tuttavia cadere in Italia, ma accolta in Germania), il dibattito sulla pornografia e sulle violenze sessuali (che è sboccato in una legge nazionale), la diffusione dell’AIDS (ben nota) la nascita di nuove professioni come quelle dei “confessori laici” o dei “filosofi consigliatori” (psicologi o non psicologi) e la diffusione degli adepti a religioni esoteriche,ecc.. Tutto ciò è apparso segno di una nuova domanda di etica. “Per cui si può dire che la ‘questione morale’, intesa in tutti i suoi molteplici significati, sta diventando il problema centrale del nostro tempo” (scriveva Berti nel 1989). Questo “ritorno all’etica” (sia pure su basi molto diverse dal passato) è stato sottolineato anche da numerosi altri AA. (ad es. De Rita, 1989; Da Re, 1989; Poppi, 1989; Rigobello,1989; Viano, 1989, ecc..), ma questa constatazione — valida negli anni considerati - sembra oggi molto stemperata da altri fenomeni di diverso significato etico. 6 Principali linee di tendenza filosofica In questo paragrafo vogliamo riassumere alcune linee di sviluppo della filosofia contemporanea che hanno dato vita a correnti diverse della bioetica. Non potremmo comprendere cosa è la bioetica senza conoscere la filosofia morale che la sottenda. a) Riabilitazione della filosofia pratica ed etica deontologica K. llting (1964) in Germania richiama alla prassi. M. Riedel (1972/74) enuncia un programma di ricerca filosofica sui problemi della morale, della società e della politica. K.O. Apel(1973) accenna alla rivalutazione del concetto di virtù, contenuto in Aristotele. In Italia, la Scuola di Padova (Berti, Re ed altri) riprende il concetto aristotelico della “via mediana” delle scelte morali (scelta fra il rigido naturalismo e l’antinaturalismo della filosofia dualistica), sotto forma di un “neoaristotelismo”. Nella sostanza, l’ispirazione è “deontologica”, cioè fondata sull’opinione che sia possibile riconoscere principi assoluti che regolano la morale (cosidetto “cognitivismo morale”). Si basa sull’imperativo categorico kantiano, che impone di trattare tutti gli esseri umani come fini e non come mezzi. Dice Diego Garcia (che in Spagna segue questa linea “se è così, ci sono anche delle’ obbligazioni assolute’, prima di considerare l’autonomia empirica degli individui. Queste obbligazioni assolute — valide ovviamente anche nella biomedicina - sono quelle che derivano dall’imperativo categorico, e possono sintetizzarsi in due principi: quello della non maleficienza” (che per D. Garcia è un principio assoluto, e non la parte negativa del principio di beneficienza), e quello di “giustizia” (che non ha per oggetto di compensare in qualche modo gli errori empirici, ma di adempiere all’obbligo di trattare tutti nello stesso modo). Non maleficienza e giustizia costituiscono il “minimo etico”, dal quale non si può derogare, già messo in evidenza anche da T. Adorno con il libro “Minima moralia” prima della lì Guerra Mondiale. La linea deontologica trapassa nell’ “etica delle virtù e nell’etica della cura”, per evidenti affinità (vedi oltre). b) Etica analitica utilitaristica: di derivazione anglosassone, si ispira a Bentham e Stuart Milì, ed ha avuto larga diffusione nei Paesi anglofoni. Privilegia l’utilitarismo 7 morale, che in realtà è diverso dall’utilitarismo classico, privilegiando piuttosto l’empirismo emotivista (da cui l’importanza che viene data al principio di autonomia) e consequenzialiste (dal quale deriva l’interesse per il principio di beneficienza interpretato in modo soggettivista. Tale corrente viene definita “Neoutilitarismo”. Esponenti vari di questa tendenza — con le loro diversità personali — vanno da Sidgwick, G.Moore, Smart, Marsany, Hare ed in parte anche Von Engelhardt (J.) — molto noti in Italia ed infine P. Singer (il più radicale nelle sue affermazioni). Anche la elaborazione di Beauchamps e Childress del cosidetto “principlismo” parte da queste premesse, e cioè dal criterio utilitarista secondo il quale l’obbligo morale di base consiste nel conseguimento del maggior bene possibile per tutti, o almeno per la maggioranza. Si tratta di un principio chiaramente beneficientista che Beauchamps e Childress denominano “principio di beneficienza”: evitare il male possibile (principio relativo di non maleficienza) e promuovere il bene. Però il bene non è indipendente dall’autonomia degli individui, e ciò che alcuni considerano buono per altri è cattivo, e in definitiva tutti si trovano d’accordo nell’affermare che la realizzazione del bene deve contare sul consenso di colui al quale lo si fa. Pertanto, il principio di beneficienza è inseparabile da un altro: il “principio di autonomia”. Non c è beneficienza senza autonomia. Questa linea non trascura il “principio di giustizia”, ma solo al fine di ridurre le disuguaglianze che generano (o che non evitano) le difficoltà di applicazione dei due principi anteriori. La giustizia dunque ha un carattere solamente compensatorio, mentre la “non maleficienza” è intesa come equilibrio fra rischio e beneficio. L’enfasi sull”’autonomia” del soggetto e il rispetto della sua volontà viene a costituire la caratteristica dell’esperienza bioetica americana ed inglese, che si proietta fortemente anche su paesi come l’Olanda, i Paesi Scandinavi e la Danimarca, che sono strettamente legati al pensiero anglosassone. Il principio dell’utile e della felicità, inteso come benessere, viene necessariamente declinato in senso di “vantaggio” personale, si da richiamare la nota espressione di Bentham “Non sarà mai un dovere fare ciò che non è nel proprio interesse di fare”. Questa radicalità è certamente mitigata, nel pensiero più moderno del neoutilitarismo, della “simpatia per il bene di ciascuno”, e dunque è già più vicina alla valutazione morale classica del bene integrale dell’uomo. Tuttavia, si afferma il netto rifiuto ad ogni referente ontologico o metafisico, e si sottolinea l’impiego di una razionalità strumentale e calcolante i fini strategici da raggiugere. Non a caso la 8 bioetica inglese ha fortemente sviluppato non solamente il criterio del calcolo costi/benefici, ma la preferenza da accordare alla sperimentazione sull’embrione per fini di progresso dell’umanità. Il concetto di”persona” viene riservato agli individui capaci di stati di coscienza e di decisioni morali, mentre la tutela della vita è — in talune espressioni — ampliata agli “esseri sensienti” (siano essi animali o della specie umana), ma negata ai non sensienti (comatosi, feti, embrioni, ecc..). In Italia, questa scuola è seguita da Viano, Scarpelli, Lecaldano, Mori ed altri Autori, che si riconoscono in questa linea di “non cognitivismo” (impossibilità di conoscere la verità). c) Il pensiero marxiano e l’etica Non è molto intenso l’apporto etico di questo pensiero, che si esprime soprattutto nel campo della sociologia e della storia. Tuttavia spunti etici di questa origine si rinvengono in vari Autori, fra cui — in Italia — G. Berlinguer e Sebastiano Maffettone (1983). d) Le correnti “personaliste” La cultura cristiana ha elaborato una compiuta visione dottrinale della “morale” che — in un sistema di norme ben articolate e fondate sull’approccio razionale, informano anche l’etica, considerata riflessione razionale sistematica sull’agire dell’uomo. La particolare dignità che l’uomo riveste fra le specie viventi viene riconosciuta dal concetto di “persona” — solo all’essere umano riservato - che informa fra l’altro le costituzioni moderne di gran parte degli stati nati dall’ “humus” cristiano. In ogni caso si perviene — sostanzialmente — ad una morale deontologica, che presenta in talune forme del “personalismo” una certa flessibilità nella assolutezza delle norme (soprattutto nelle situazioni degli “stati di confine”), per essere invece chiaramente rigorosa nella tradizione tomistica, che corrisponde — ufficialmente — alla linea definita “cattolica”. In questo contesto a larga maglia, ci sembra di poter annoverare alcune particolari correnti di pensiero: 1. L’ermeneutica: il personalismo dell’alterità e della comunicazione 9 Dopo l’immanentismo strutturalista e l’individuo fenomenologista esistenzialista di Merleau-Ponty e di J.P Sartre, i filosofi francesi più recenti fra cui P. Ricoeur e E. Levinas valorizzano il “principio di alterità”, che richiama alla dialogicità, all’ascolto, alla tolleranza ed infine al rispetto dell’altro nella collocazione storica e esistenziale degli interlocutori. La relazionalità è l’elemento fondante della bioetica sia nell’accezione personale che sociale (etica sociale, o etica pubblica). Questa linea, peraltro, è seguita anche da alcuni pensatori spagnoli (Lain Entalgo, ad esempio) e di altri Paesi europei (Gadamer, Pareyson, ecc..) 2. Personalismo ontologicamente fondato Rappresenta la derivazione tomistica più diretta della elaborazione “morale” classica. La tradizione cattolica non nega il valore della ragione e la legittimità di un’etica razionale “naturale”, che informa anche la bioetica (concepita soprattutto come riflessione sui problemi posti dal progresso biomedico, nelle ripercussioni sui sistemi dei valori e sulla società), ma sottolinea la necessità di considerare anche una dimensione “metaetica” nell’affermazione diretta dell’esistenza di un Assoluto oppure — in forza di un’etica fondata su valori naturali — sul valore persona, che rinvia come fondazione ultima e trascendentale comunque all’affermazione dell’Assoluto (Sgreccia, 1984). Inoltre, ritiene fruttuoso il confronto fra l’etica razionale e la rivelazione cristiana anche nel settore della bioetica. Pertanto, posizioni come il sociologismo culturale, il pluralismo etico assoluto (che equivale a “l’etica senza verità”), il riduzionismo scientista (che fa coincidere l’etica con la realtà fattuale e scientifica, frutto del “caso e della necessità” anche nell’evoluzione della storia), ecc.. non possono essere ritenute esaustive dalle correnti di pensiero etico cattolicamente informate. Solo etiche “personaliste” sarebbero adeguate a rappresentare tutti i bisogni, e — fra queste — il personalismo ontologicamente fondato è quello che maggiormente si avvicina anche alle esigenze della teologia morale. Da qui scaturiscono i principi del valore fondamentale della vita umana, che fa premio sulla “qualità della vita” (questo principio viene tradotto nella norma di intangibilità della vita, da taluni definito “sacralità”della stessa, estesa anche all’embrione); la validità oggettiva della norma morale (“morale deontologica”); la libertà dell’individuo ma nel contesto dei doveri; la gerarchia dei valori all’interno della realtà corporea e personale 10 dell’individuo che non può contrastare con il dato naturale; il primato della persona rispetto alta società; la “responsabilità” verso gli animali e l’ambiente come ‘‘creature’’ e ‘‘beni’’ affidati alla custodia dell’uomo. Allorché si tratterà di offrire giudizi etici su casi concreti in campo medico e biologico, non ci si rifiuterà di analizzare tutti gli aspetti fattuali e i profili etici, considerando anche le soluzioni proposte (o proponibili) da altre correnti di pensiero; ma non ci si potrà sottrarre al riferimento ad una antropologia informata al rispetto totale della persona e (consensualmente) all’insegnamento del Magistero. Tutela della vita, rispetto della dignità dell’uomo (valorizzazione dei diritti fondamentali della persona), fisionomia strettamente terapeutica degli atti medici sono i capisaldi di questa impostazione. 3. lI personalismo delle “virtù”. Collegato alla ripresa dell’attenzione per l’etica aristotelica, si pone anche una particolare sottolineatura del personalismo che và sotto il nome dell”’etica della virtù”. Secondo Pellegrino e Thomasma (1991), l’etica delle virtù centra l’attenzione sull’esperienza dell’uomo come soggetto morale, sulla struttura motivazinale e sulla disposizione della persona che agisce e che nell’atto manifesta e potenzia le proprie qualità morali. Trattasi, dunque,di “virtù” intesa come qualità morale, riconosciuta dalla millenaria filosofia occidentale e alla quale Aristotele assegnò la definizione di “disposizione del proponimento”, e cioè habitus o qualità stabile dell’anima razionale ad agire secondo il bene e il fine per il raggiungimento della felicità e dell’eccellenza. La virtù consiste per Aristotele “nella medietà rispetto a noi stessi, definita dalla ragione e come l’uomo saggio la determinerebbe”: il criterio interno dunque per valutare l’azione virtuosa è la misura, concetto tipico del pensiero greco. La professione sanitaria, in quanto attività specifica “pratica” è particolarmente adatta all’applicazione dell’etica delle virtù. lì “guarire” e il “curare” è l’attività specifica del medico e dell’infermiere: se il medico e l’infermiere “guariscono” e “curano” sono “buoni” (virtuosi) professionisti in quanto il loro agire realizza il fine specifico intrinseco all’azione. Le virtù sono dunque quei “tratti del carattere” dell’agente che lo rendono “buono”, che lo aiutano a realizzare il fine dell’azione, che lo dispongono ad agire “bene”. 11 Tali “disposizioni abituali” sono la benevolenza, la fedeltà alla fiducia, la compassione, l’empatia, l’onestà intellettuale, la competenza, la prudenza. La scelta stessa della professione di medico e di infermiere implica una “promessa pubblica” di agire per il bene del paziente. Nella relazione medico-paziente, dunque, la bioetica delle virtù privilegia il bene del paziente, anziché l’autonomia del paziente e l’utilità sociale per le quali invece si batte la bioetica dei principi, come si è visto, rispettivamente di orientamento deontologico e utilitarista. 3. Il Personalismo dell’ “etica della cura” Con questa linea di riflessione si vogliono sottolineare alcuni “valori”, come quello della “compassione” e del “prendersi cura”, che sono stati definiti anche “femministi”. L’intreccio con altri aspetti (quali ad esempio la sovranità sul proprio corpo, la difesa dal maschilismo, la decisionalità femminile sulla procreazione e la vita embrionale, ecc..) dà a questa linea di riflessione una consistenza spesso fuggevole, collegata alla singola personalità del proponente; tuttavia si debbono sottolineare gli apporti “positivi” che il concetto di “compassione” e quello del prendersi cura possono apportare alla bioetica clinica. Sembra opportuno concludere questo capitolo sulle linee filosofiche più importanti che nutrono la bioetica con una breve disanima del concetto di laicità, e della frequente contrapposizione “laico/cattolico”che si riviene soprattutto nella letteratura e nei dibattiti italiani. Il pensiero laico assume per coordinate solamente l’uomo, nella sua immanenza e quindi prende a parametri “valori” necessariamente oscillanti nel corso della storia; e — nei tempi più recenti — ha largamente abbandonato anche l’impostazione deontologica non religiosa, cui era pervenuta l’etica con l’opera di Kant, per rifluire su alcune delle correnti di pensiero non cognitivista già in precedenza illustrate. Forte influenza ha avuto — nello sviluppo di questi atteggiamenti — il riduzionismo scientista . Questa linea di pensiero — che informa i concetti di scientismo, sperimentalismo, riduzionismo - trova antiche origini in Claude Bernard che, nella lì metà del secolo scorso, dimostra che la chimica e la fisica governano la vita come la materia e non 12 vi è bisogno di chiamare in causa “forze vitali” e la metafisica per spiegare i fenomeni osservabili: da qui il determinismo. Egli scrive, in un passo che l’omonimo Jean Bernard — primo Presidente del Comitato Francese di Bioetica — circa un secolo dopo ama ricordare: “lì y a un déterminisme absolu de toutes les sciences parce que chaque phénomène étant enchainé d’une manière nécessaire à des conditions physico-chimiques, le savant peut les modifier pour maitriser le phénomène, c’est-à-dire pour favoriser ou empècher sa manifestation. Les manifestations des corps vivants aussi bien que celles des corps bruts sont dominées per un déterminisme nécessaire qui les enchaine à des conditions d’ordre pshyco-chimique ». La ricerca medica e biologica francese fa tesoro di questo insegnamento, che èpenetrato profondamente nel mondo della filosofia della scienza e della medicina. Ma soprattutto i ricercatori dell’Istituto Pasteur: Jean Monod, Francois Jacob, Jean Hamburger, Jean Dausset sviluppano un modello etico — per il laico scienziato fondato sulla “ascesi della conoscenza”: obiettività, lucidità del pensiero, consequenzialismo scevro da ogni altra ipoteca culturale e da ogni “invasione” della trascendenza sono alla base di un discorso di etica rinnovata valido per l’uomo presente e per il futuro, dove certamente la scienza ignora ogni giudizio di valore pre-concetto (che viene considerato eredità storica del costume) ma dove la conoscenza apre nuove possibilità di azione che l’uomo deve sapere “controllare” attraverso una responsabilità matura fondata sui fatti. L’etica basata sull’ “ascesi della conoscenza” è per lo scienziato il “dover essere”, lo stile di vita, che deve saper trasmettere al contesto sociale. Quest’etica basata esclusivamente sull’ “ascesi della conoscenza” — fortemente riduzionista anche se temperata da una prassi ancorata al “senso comune” — non manca di suscitare — ovviamente — reazione in campo cattolico per le conseguenze immenentiste e materialiste alle quali conduce, ma esercita notevole fascino nell’opinione pubblica corrente. Nel campo della cultura “laica”, si è dato grande respiro infatti alla valutazione dei fini e delle conseguenze cui tende l’azione umana, ma sempre nel contesto di concrete situazioni, e al di là di “ancoraggi” a valori universali, offrendo speranze e ottimismo nelle virtù operative dell’uomo. Questo atteggiamento porta alle seguenti caratterizzazioni: 13 1. Il rifiuto di ogni impostazione dogmatica derivante da visioni religiose (“etsi deus non daretur”). Ogni proposizione, avanzata da qualsiasi fonte, ha lo stesso diritto di essere sottoposta (senza privilegi) all’analisi della ragione. In definitiva, la filosofia laica coltiva libertà di critica, indipendenza di giudizio e rifiuto nell’etica di qualsiasi autorità sovrastante la coscienza: è, appunto, l’etica senza verità (Scarpelli, 1987), destinata ad essere inevitabilmente relativista. 2. Il rifiuto a legare qualsiasi divieto (etico) all’ “idea dì natura”. L’appello alla natura sarebbe impraticabile perché non si dà azione umana che non sia governata anche dalla cultura. 3. La filosofia laica si caratterizza, almeno prevalentemente, come analisi o del linguaggio o di nozioni e dell’esperienza, piuttosto che insieme compiuto di proposte sintetiche o dialettiche (Lecaldano, 1987). Pertanto, accetta che i principi etici siano aperti al dibattito pubblico in termini di argomentazioni logiche ed empiriche, e considera il dibattito etico come una ricerca senza fine di soluzioni da considerare sempre più valide, ovvero sempre più giustificate e garantite dalle nuove informazioni scientifiche disponibili e dalle analisi razionali sviluppate. Questo è il “panorama culturale” della bioetica. Vediamo, ora, a quali sviluppi ha portato, nel quadro del panorama legislativo. Rappresentano, comunque, regole “prima facie”, cioè soggette a eccezioni: mettono in gioco in ogni caso la moralità ed il discernimento del singolo operatore. Brevi accenni al rapporto fra concetto di natura e sviluppo tecnologico nell’impatto con la bioetica La trattazione delle tendenze filosofiche — morali che hanno nutrito la bioetica sarebbe gravemente carente se non si accennasse, seppure per sommi capi, all’evoluzione del concetto di natura ed all’effetto che ha prodotto lo sviluppo prodigioso delle biotecnologie negli ultimi decenni. 14 Certamente risale al pensiero greco la potenziale contrapposizione fra la natura incontaminata e “originale”, quasi entità metafisica, “kalo kagathia” imperturbabile, e la “techné” — azione rivulsiva e alterante dell’uomo sulla materia, espressa dal mito di Prometeo come azione sacrilega contro la volontà divina. Ma non v’è dubbio che la conquista scientifica del mondo ha ormai fatto pendere il piatto della bilancia verso la “inesistenza” di una natura che non sia modificata anche dall’intervento antropico; il fatto è che la stupefacente capacità dimostrata dall’uomo in queste modificazioni anche del “bios”, ha ricreato antiche paure, assieme a speranze di miglioramento delle condizioni vitali dell’uomo, in primo luogo quelle della salute. Ed in effetti, la biomedicina — nutrita dalla ricerca genetica da un lato, dalla conoscenza della embriologia dall’altro, hanno promesso molto, anche se il traguardo è ancora molto lontano da raggiungere. La bioetica da un lato si è fatta “difensiva” verso l’invadenza della tecnologia, ma dall’altro si è fatta “mallevatrice” della eticità del progresso. Questa ambivalenza è fonte — tuttora — di aspra contesa fra i bioeticisti, e non si può non riconoscere il merito di Hans Jonas d’aver indicato nella “responsabilità” planetaria non solo verso il tempo presente, ma anche verso le generazioni future, una via di conciliazione razionale. Le condizioni “pragmatiche” di applicazione delle teorie bioetiche ed il valore dei “principi” Non v’è dubbio che — di fronte alla pluralità delle teorie etiche (rapidamente ricordate) — sia apparso necessario alla stessa opinione pubblica la ricerca di una “mediazione” verso un linguaggio comune ed una convergenza su obiettivi minimali condivisi. In particolare, il settore della ricerca sull’uomo condotta all’insaputa degli interessati e con molta spregiudicatezza ha creato forti apprensioni e indotto negli USA il Presidente Carter (1974) ad assicurare trasparenza e regole, a difesa dell’opinione pubblica. La Commissione Belmont fra il 1974 ed il 1978 condusse una vasta inchiesta che — con il metodo empirico sociologico mise in evidenza che principi etici maggiormente condivisi erano tre: a) rispetto delle persone; b) principio di beneficialità nei trattamenti medici; c) principio di giustizia (ripartizione equa di rischi — benefici per i soggetti da includere nei trials cImici). Questi principi, nel lavoro di Beauchamps, Children vennero estesi a tutte le attività biomediche (1979) e articolati meglio, includendo anche il principio di non maleficienza, di antica genesi ippocratica. 15 La teoria dei principi, o “principalismo” si è rapidamente estesa e nonostante le insufficienze e le critiche cui ha dato luogo è tuttora uno strumento unificante per il lavoro bioetico. I principi fanno riferimento alla morale comune e alla tradizione medica in questo sta la loro forza. Inoltre, sono appunto i “principi” e non regole tassative e obbliganti: sono situati a metà strada fra le “teorie etiche” e le “linee guida” applicative delle norme bioetiche applicabili per i giudizi particolari. Questo è il “panorama culturale” della bioetica, sia pure tratteggiato a grandi linee. Vediamo ora a quali sviluppi ha portato, nel quadro del panorama legislativo. CAPITOLO Il Dalla Bioetica al Biodiritto in Europa In questa seconda parte della esposizione, cercherò di riassumere gli sforzi che sono stati compiuti in oltre trent’anni , in Europa, per realizzare una transizione che mano a mano e apparsa sempre più opportuna fra la riflessione filosofica bioetica ed il diritto. Questo processo è ormai sufficientemente avanzato — anche se si muove con molta cautela e lentezza di tempi di marcia — cosicché può parlarsi ormai di una “biogiuridica” o “biodiritto”, ed anche di “biolegislazione” e “biopolitica” a seconda del ruolo e della sottolineatura che vuoI darsi all’incontro fra filosofia morale (bioetica) e filosofia del diritto (diritto) ed alle relative conseguenze sulle “regole” di comportamento. Le cautele operative del diritto Il diritto — secondo il giudizio dato dagli stessi suoi esponenti — ha tardato ad intervenire nel settore che consideriamo, poiché anzitutto si è posto la domanda: quale diritto per il biodiritto? Sono apparse subito alcune correnti di opinione fra loro contrastanti: la prima, astensionista ha sostenuto che le tematiche morali della bioetica non sono suscettibili di essere governate da leggi; il paradigma è libertario radicale, e chiede per la bioetica “uno spazio libero dal diritto”, affidando ogni decisione bioetica alla libertà di coscienza. 16 Una seconda corrente, di natura liberale, chiede invece l’intervento del diritto, ma nella finalità di garantire la libertà individuale, cioè la autodeterminazione nelle questioni bioetiche. In definitiva, la rimozione degli impedimenti al libero esercizio dell’autonomia, riconoscendo peraltro il pluralismo delle opinioni personali ed assicurando solo la regolarità delle procedure che consenta no di esplicitare le diverse sfere etiche private. Eventuali limitazioni delle libertà individuali sono accettate solo quando si presuma che da esse possano derivare conseguenze imprevedibili per le libertà altrui e per la società. Di conseguenza le leggi bioetiche debbono essere miti, aperte, flessibili, secondo la teoria del cosidetto “diritto debole”. Una terza corrente, tradizionale, chiede al diritto di agire per assicurare condizioni di utilità sociale, secondo il calcolo costi/benefici con la minimizzazione dei costi (svantaggi, frustazioni, ecc...) e la massimizzazione dei benefici (preferenze, vantaggi, ecc..), nell’ottica cioè di una concezione utilitarista /economistica. A queste correnti si contrappongono coloro che ritengono che il diritto, proprio per la sua natura di “tutore,, soprattutto dei soggetti deboli di fronte alle prevaricazioni ed agli abusi perpetrabili dai soggetti forti,nonpossa rimanere assente; inoltre granparte delle leggi già esistenti e sviluppate nella storia dell’umanità possono assicurare questi obiettivi anche nelle nuove condizioni in cui si presentano in campo bioetico, ed infine — se nuove norme più specifiche sono necessarie — queste debbono essere coerenti con l’evoluzione storica del diritto, fissata nelle costituzioni. Ma come “realizzare” queste varie aspirazioni? Un modello formalistico (che accompagna gran parte delle correnti) assicura la realizzazione politica della volontà sociale prevalente, mentre un modello procedurale ha la funzione di difendere le “regole del gioco” per assicurare le pari opportunità a tutti di usufruirne sulla base di procedure concordate nella sede politica. Dunque, cornice democratica delle regole ed ampio margine di tolleranza delle scelte sono le coordinate dello sforzo legislativo. Vi sono poi espressioni più particolari del pensiero biogiuridico, come quelle svolte da Corti di giustizia e/o Tribunali, che — soprattutto nel mondo anglosassone — decidono volta a volta e creano elementi di biodiritto legati alle circostanze . In questi casi il giurista/giudice partecipa alla ricerca delle soluzioni assieme a vari altri interessati assicurando il rispetto delle procedure e l’applicazione di regole di minimi morali. La spinta verso queste forme di “diritto debole” è sostenuta dalla espansione di nuovi diritti o dalla stessa inflazione dei diritti soggettivi, così apertamente premente nel contesto 17 occidentale, e sostenuta dal principio della separazione del diritto dalla morale e dal riferimento, ancorché non cogente, alla natura, in nome della neutralità del diritto . Le espressioni più marcate di tale tendenza si hanno nei modelli biogiuridici noncognitivistici, che si appaiano ai modelli filosofici non cognitivisti che sono stati in precedenza illustrati; in questi la nozione di soggettività giuridica (che è in fin dei conti il fondamento dell’azione propria del diritto) non è “riconosciuta”, ma è “attribuita” dalla volontà dell’interessato, cosicché mentre si moltiplicano i diritti delle “persone” classificate tali, si creano “esseri umani” non persone, e dunque prive di diritti, e persone non esseri umani (animali superiori sensienti) portatori di diritti. In queste condizioni rapidamente descritte non poteva non destarsi una preoccupazione forte nell’opinione pubblica, negli stessi cultori del diritto e nei responsabili politici: la “necessità” dell’intervento della legge nelle questioni bioetiche è apparsa come necessaria per il corretto svolgersi della stessa vita sociale. Ma si è subito compreso che la “dimensione del diritto nazionale” — pur opportuna e insostituibile per certe fattispecie — non sarebbe stata sufficiente in un mondo avviato sempre più verso la globalizzazione. Da qui, lo sforzo per realizzare una dimensione giuridica almeno “regionale” del pianeta, ove esistessero condizioni di sufficiente omogeneità culturale. L’area degli USA—CANADA in America e l’area Europea (dapprima Europa Occidentale poi l’insieme dei Paesi europei) sono le aree nelle quali si è messo in atto, e si svolge, questo grandioso tentativo della biogiuridica internazionale. I diritti dell’uomo Il tentativo di dare unità alle soluzioni che le varie correnti bioetiche prospettano è stato assunto dunque dal cosiddetto “biodiritto”, che nell’area europea si identifica con la tematica unificante dei diritti fondamentale dell’uomo3. La genesi di questo tentativo risale all’immediato dopoguerra, allorché la reazione agli insulti perpetrati contro la dignità dell’uomo e contro la vita umana nel corso della lì guerra mondiale determinarono un robusto movimento politico ed organizzativo internazionale per scongiurare — in avvenire — il ripetersi di simili atrocità. (3 ) Per una trattazione più esauriente, mi permetto di rinviare alla monografia: BOMPIANI A; LORETI BEGFIE’ A; MARINI L. “Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario” Giappichelli G. Ed., Torino, 2001, nonché all’ottima “Introduzione alla biogiuridica”, di L.PALLAZZANI (G.Giappichelli Ed., Torino, 2002) 18 Questo impegno non fu unicamente europeo, ma internazionale nella rinnovata speranza che una sede di confronto e di mediazione come l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), potesse guidare Io sviluppo pacifico dell’umanità sulla base di principi democratici. La fondazione di Organizzazioni satelliti specializzate, come ad esempio la Organizzazione mondiale della Sanità (WHO), l’UNESCO (per lo sviluppo della cultura), la FAO (per lo sviluppo della agricoltura) per citarne solo alcune, accompagnava la competenza tecnicoamministrativa il tentativo politico unificante dello sviluppo umano, purtroppo subito vanificato in sede non solo europea — ma mondiale — dal prodursi di due blocchi militari e ideologici contrapposti e marcianti in strade diverse. Di questa prima fase unitaria rimane — comunque paradigmatica — la celeberrima Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 con risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazione Unite, il cui merito principale è quello di aver trasferito in un elemento internazionale, per la prima volta, la considerazione e la salvaguardia di valori naturali universali, indivisibili e irrinunciabili se non a costo di offendere la coscienza dell’umanità intera. Redatta in forma chiaramente declaratoria e priva di efficacia vincolante, la Dichiarazione universale si pone quindi come atto a carattere programmatico, che si propone, per un verso, di costituire un vero e proprio “BilI of Rights” internazionale e, per l’altro, di fornire un ideale verso il quale debbono tendere i singoli Stati partecipanti, a dispetto delle reciproche diversità di ordine politico, culturale, sociale, economico e finanche religioso. Ad essa hanno fatto seguito vari strumenti operativi: i due Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e sui diritti economici sociali e culturali, approvati il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale dell’ONU, la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948, la Convenzione sui rifugiati del 1951, la Convenzione sui diritti politici della donna del 1952, la Convenzione sugli apolidi del 1954, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1979, la Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 e la Convenzione sui diritti del fanciullo deI 1989. Nella Regione Europea, nasceva nel 1949 il Consiglio d’Europa ed era fondata la Comunità Europea, e ben presto veniva emanato il primo fondamentale atto internazionale europeo, cioè la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (CEDU) approvata con il trattato di Roma del 1950: essa rappresenta il primo tentativo organico di tutela giurisdizionale dei diritti dell’uomo, in grado di trasformare gli ideali enunciati dalla 19 Dichiarazione universale del 1948 in forme di protezione adeguate ed effettive a presidio dei diritti così riconosciuti, istituendo organi ad hoc incaricati di vegliare sull’osservanza dei diritti in essa elencati, tra i quali si colloca, segnatamente, la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Le varie Costituzioni nazionali, emanate nel 110 dopoguerra nell’area dell’Europa occidentale portano chiaramente l’impronta dei diritti dell’uomo, ispirandosi tutte a modelli sia pure non uniformi, ma comunque di matrice personalistica, ove il bene della persona umana prevale sul bene dello Stato. Innumerevoli volte è stata riconosciuta la matrice sostanzialmente cristiana di questa impostazione, che deriva da quel retaggio profondo che anche in campo laico la civilizzazione cristiana dell’Europa ha determinato nei secoli. Ma ragioni economiche hanno portato a sostenere — nell’interesse della pace — il tentativo di dare maggiore unità alle norme di diritto che tutelano la persona umana fra i vari Paesi dell’Europa Occidentale — persistendo per altro la separazione politico-militare imposta dai blocchi di potenza fra i Paesi dell’Europa Occidentale da quelli dell’Europa Orientale. L’elaborazione dottrinale dei diritti da considerarsi esigibili da parte di ogni uomo — indipendentemente dal Paese di appartenenza sulla base della teoretica dei diritti dell’uomo — è andata di pari passo con l’organizzazione di sedi in comune ove questo processo potesse essere condotto, valutato, ratificato e dunque proposto ai singoli Governi e Parlamenti nazionali per la libera adesione. Questi organi, in Europa, sono stati sostanzialmente due: il Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo e la Comunità Europea (ora Unione Europea), con sede a Bruxelles; ad essi ben presto si sono affiancate altre sedi di elaborazione dottrinale e di riflessione bioetica. Così nasce gradualmente il biodiritto. Lo sviluppo del Biodiritto in Europa L’impetuoso sviluppo della ricerca scientifica con nuove applicazioni tecnologiche alla vita e alla salute dell’uomo, verificatosi con la ripresa della sperimentazione clinica negli anni 60-70 deI secolo XX, focalizzava necessariamente l’attenzione delle organizzazioni internazionali, americane ed europee, preposte alla tutela e alla promozione dei diritti dell’uomo su questo terreno, anche a ragione da un lato della insufficiente normativa (affidata solamente a codici professionali, come ad es. il codice di 20 Helsinki), dall’altro al presentarsi di nuovi abusi che si pensava avrebbero dovuto ormai essere prevenuti dalla Dichiarazione Internazionale dei diritti dell’uomo del 1948 e dalla analoga Convenzione europea del 1950. Un richiamo a quanto è avvenuto nell’Europa Occidentale mi sembra opportuno. 1- Consiglio d’Europa Allorché nel 1949 fu fondato il Consiglio d’Europa con lo scopo di favorire il riavvicinamento culturale dei vari Paesi Europei i fondatori non potevano prevedere che molta parte dell’attività del nuovo organismo sarebbe stata dedicata alla definizione di un “biodiritto”, sostenuto a partire dal decennio 1960/1970 dal sempre più attivo movimento culturale denominato “bioetica”. La già richiamata Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU), nata con il trattato di Roma del 4 novembre 1950, rappresenta ancora oggi il punto di partenza di questa lunga marcia, che si è espressa nel solo settore del biodiritto in 14 Raccomandazioni dell’Assemblea parlamentare, 13 Raccomandazioni del Comitato dei Ministri, 2 Conferenze generali sui diritti dell’uomo (Vienna , 1955 e Istanbul, 1990) (vedi tabella 1). lì “crollo del muro di Berlino” (1990) ha portato, gradualmente, all’ingresso dei paesi dell’Europa dell’Est nel Consiglio d’Europa che — a seguito delle modificazioni geopolitiche intervenute — oggi comprende 45 Stati, esprimenti ognuno un unico voto paritario. lì lavoro del Comitato Direttivo di bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI), che rappresenta l’organo redigente in materia di biodiritto, è culminato nel 1997 con la redazione della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, accolta dal Comitato dei Ministri (trattato europeo n. 164) cui hanno fatto seguito i relativi protocolli sul divieto della donazione umana (1998); sui. trapianti d’organo (2000), sulla ricerca biomedica sull’essere umano (2002), nonché la raccomandazione relativa agli xenotrapianti (2002) e la la Raccomandazione relativa alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali delle persone affette da disturbi mentali. Sono ancora allo studio presso il Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI) il Protocollo alla Convenzione sulla genetica umana, la Raccomandazione sulla ricerca condotta con materiale biologico conservato (che è complementare ai protocolli sulla genetica e la ricerca biomedica). 21 2- Unione Europea In seno alla Comunità europea l’interesse specifico per i problemi della bioetica sorge più tardi con la nascita dell’Unione Europea, sancita dal Trattato di Maastricht (1992), sebbene anche in precedenza la . Corte dì Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo abbia in quest’area diii Stati (e poi 25) assicurato il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, riconducendo nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento comunitario le tradizioni costituzionali comuni negli Stati membri alla luce dei trattati internazionali da essi sottoscritti al riguardo (tra cui la CEDU). lì Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, in vigore dal I novembre 1993, ha effettuato una vera e propria codificazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza evocata, introducendo inoltre come punto di incontro con il Consiglio d’Europa un rinvio esplicito dell’ Unione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Sebbene molti aspetti della tutela dei diritti fondamentali non siano stati chiariti, il successivo Trattato firmato ad Amsterdam. il 2 ottobre 1997 mostra in modo inequivocabile la volontà dell’Unione europea di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali e di avviare la costruzione di un sistema autonomo di protezione, coerente tuttavia con lo sviluppo economico, sociale ed il benessere dei cittadini europei, che forma oggetto dello Statuto dell’Unione stessa. A questo obiettivo risponde anche l’istituzione, avvenuta nel 1991, del Gruppo dei Consiglieri della Commissione europea per l’etica delle bìotecnologie (GCEB), composto originariamente di 6 membri, e trasformato nel 1997 in Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie (GEE), composto di 12 membri, cui oggi, tenuto anche conto delle novità introdotte dai trattati firmati a Amsterdam e a Nizza (2000), sono attribuiti una più ampia rappresentanza ed accresciuti poteri, lì lavoro svolto da questo organismo è notevole, e consiste attualmente in 18 Avis, alcuni dei quali adottati nella prospettiva di fondamentali Direttive, come ad esempio la Direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (1998), mentre altri Avis riguardano problemi che attendono più compiuta normazione comunitaria, come le ricerche sulle cellule staminali, le banche tissutali umani, la diagnosi prenatale, l’etichettatura degli alimenti geneticamente modificati, l’utilizzazione dei dati personali di salute nella società dell’informazione e, finalmente i contenuti bioetici della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata a Nizza nel dicembre 2000. 22 3- Comitati etici nazionali Un graduale movimento di opinione nei singoli Stati europei, dapprima in occidente e poi anche nell’Europa dell’Est — dopo l’abbattimento dei muri (1990) — portava alla nascita di Comitati Etici nazionali, o dì strutture rappresentative equivalenti — avendo a capofila il Comitato francese — la elaborazione dottrinale e l’attività di promozione dei quali ècresciuta nel tempo. Attualmente, circa due terzi dei 45 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa è dotato ditali strumenti, che hanno trovato anche una forma di coordinamento sotto la sigla COMET nella riunione periodica patrocinata dal Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa. Questa attività va ulteriormente promossa, perché già le otto occasioni di incontro che vi sono state nello spazio di circa dodici anni hanno dimostrato una grande utilità per la conoscenza delle rispettive attività, per l’esame dei temi preferenzialmente discussi in ogni Paese e per le soluzioni proposte o attuate in sede nazionale. Nella direzione della reciproca cooperazione tra Comitati nazionali di etica va salutata anche la recente prassi awiata nell’ambito dell’Unione europea, che ha condotto ad una prima riunione informale, tenutasi a Bruxelles nel dicembre 2002, e poi ad un vero e proprio Forum dei Presidenti dei Comitati di etica degli Stati membri, tenutosi ad Atene nella primavera scorsa e all’incontro di Roma (18 e 19 dicembre 2003). 4- L’apporto dell’UNESCO Con grande autorevolezza l’UNESCO si è presentata anch’essa sulla scena della elaborazione bioetica e del biodiritto a seguito dell’invito rivolto dalla Conferenza Generale del 1987 al Direttore Generale Federico Mayor, di promuovere lo studio dell’esercizio effettivo dei diritti dell’uomo, con l’ausilio delle istituzioni delle scienze sociali ed umane, per chiarire l’incidenza che i continui progressi scientifici e tecnici esercitano sulla protezione concreta dei diritti umani. A questo scopo nel 1993 veniva attivato il Comitato Internazionale di Bioetica dell’UNESCO (CIB), che -attraverso un intenso lavoro giuridico e scientifico - era in grado di presentare e far approvare dalla Conferenza Generale dell’i 1 novembre 1997 la “Dichiarazione Universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo”. divenuta fondamentale punto di orientamento per le elaborazioni del diritto internazionale in materia di genetica. 23 Affiancato dal Comitato dei rappresentanti dei governi, il CIB ha in queste ultime settimane presentato all’Assemblea Generale dell’UNESCO la Dichiarazione internazionale sui test genetici ed i diritti_dell’uomo, prima evoluzione in senso applicativo della Dichiarazione Universale del 1997, approvata anch’essa all’unanimità e si appresta ad elaborare — non senza riserve di alcuni Paesi e del Rappresentante (Osservatore) della Santa Sede— uno “Strumento universale sulla bioetica”. La collaborazione con le Istituzioni europee è notevole, e la stessa ispirazione dei Documenti prodotti dall’UNESCO è — in pratica — quella dei documenti europei: a questa ispirazione si rifanno mano a mano i Paesi in via di sviluppo più avanzati, che sempre di più (almeno sino a questo momento) hanno accolto con favore la linea bioetica europea. Caratteristiche degli elaborati del “Biodiritto europeo” Mi sembra, ora opportuno fornire qualche indicazione sulle caratteristiche di questi ormai numerosi documenti europei. Gli elaborati del Consiglio d’Europa, quelli della Unione Europea e dell’UNESCO in materie corrispondenti presentano notevoli affinità anche di forma, oltre che di contenuto. Il riferimento primario per i documenti europei è quello della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (1950), dalle enunciazioni della quale discendono vari “principi” e “criteri” che sono presentati per lo più in forma esortativa alle parti contraenti per un recepimento nel diritto nazionale, così da renderli giuridicamente operativi; per l’UNESCO il riferimento è la Dichiarazione del 1948 e gli atti che ne sono seguiti. Volendo specificare, diremo: 1) I Criteri generali adottati nella redazione della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Oviedo, 1997) sono stati i seguenti: 1-Affermazione della preminenza del diritto e riconoscimento di nuovi diritti per i cittadini. Incoraggiamento dell’istituzione (formazione) di Comitati Etici nazionali aperti alle istanze anche dirette dei cittadini, per offrire risposte adeguate al riguardo. 2- Rispetto del corpo umano e dell’inviolabilità della persona umana; interdizione a stabilire un diritto esclusivo per ciò che concerne il corpo umano e i suoi organi. 3- Rispetto della vita privata e familiare con la precisazione delle condizioni che consentano l’utilizzazione di dati personali risultanti dallo sviluppo dei test genetici. Sarà 24 affermato il diritto del neonato a godere di uno statuto giuridico dal momento della nascita, indipendentemente dalle modalità con le quali sarà stato procreato. 4- Adozione dell’espressione “essere umano”, intesa nel senso più largo ma senza la necessità di includere - nel testo — una precisa definizione di “essere umano”, evitando peraltro di precisare se la Convenzione-quadro si applicasse all’essere umano solamente dopo la nascita, o anche prima. Questa decisione derivava dall’opportunità di non entrare nella polemica dell’attribuzione del concetto di “persona” all’embrione, sulla quale già in partenza risultava evidente che non sarebbe stato possibile raggiungere un accordo fra le varie delegazioni. I principi fondamentali etici ispiratori del testo accolti da tutti i membri del Comitato redigente (CDBI) furono: - rispetto della dignità umana; - protezione dell’integrità dell’individuo; - affermazione delle responsabilità pubbliche nei confronti dell’applicazione delle scienze biomediche; - divieto di ogni commerciabilità del corpo umano e dei suoi organi; - divieto di ogni forma di discriminazione. Questi principi, ovviamente, sono alla base anche dei “protocolli” addizionali che — sino a questo momento — hanno fatto seguito alla Convenzione d’Oviedo, con ulteriori “principi” derivati, fra i quali: - nel protocollo sulla Clonazione, il divieto di donazione dell’essere umano. Ciò si applica sicuramente ad ogni donazione “riproduttiva”, ma è prevista nelle interpretazioni al “protocollo” la facoltà riservata ai singoli Stati di regolarsi in merito alla donazione cosiddetta “terapeutica”. - nel protocollo sui trapianti d’organo, il principio della “donazione”, sia da vivente che da cadavere regolata comunque dagli Stati in merito alla disciplina effettiva (modalità di consenso etc.) - nel protocollo sulla ricerca, il principio che la tutela ed il benessere dell’essere umano hanno la prevalenza su Qualsiasi altro interesse della scienza e della società. 2) I “criteri” adottati dal Gruppo di Consiglieri per l’etica della scienza e delle nuove tecnologie della Comunità Europea sono stati quelli di fornire principi etici in rapporto alle finalità ispiratrici dei Trattati istitutivi dell’Unione e delle Comunità Europee, e cioè norme di 25 salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo contenute nell’Atto Unico Europeo, in vigore dal 1987, e nel Trattato sull’Unione Europea, in vigore dal 1993, nonché di quelle disposizioni contenute nel Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea che, pur non ispirandosi direttamente alla tutela dei diritti fondamentali, hanno su di essi importanti “ricadute” (art. 152 in materia di sanità pubblica, art. 153 sulla protezione dei consumatori, art. 163 sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, artt. 174 sulla protezione dell’ambiente). I “principi” generali, applicabili in queste circostanze, sono i seguenti: - principio di autonomia dell’individuo (che comporta l’acquisizione del consenso informato, il rispetto della vita privata, la tutela dei dati personali); - principio del rispetto della dignità della persona; - principio di non discriminazione (in particolare nei confronti delle persone suscettibili di far parte della ricerca); - principio di proporzionalità (in particolare fra rischio e beneficio); - il principio di non coercizione (evitare pressioni di ogni genere, anche economiche); - principio di protezione dei gruppi di persone vulnerabili (in particolare nella raccolta del consenso). Altri interessanti principi etici si ritrovano nell’AVIS n. 11 del 21luglio 1998 sulle banche di tessuti umani, ove si ribadisce che il prelievo di tessuti umani richiede l’informazione ed il consenso della persona interessata, l’anonimato del dono, il divieto di divulgazione di informazioni permettenti l’identificazione sia del donatore che - se ne è il caso - del ricevente. lì dono è gratuito, le attività di conservazione (banche) sono sottoposte a controllo pubblico. Ancora nell’AVIS n. 13 del 30 luglio 1999, sugli aspetti etici relativi all’utilizzazione dei dati personali di salute nella società dell’informazione, si afferma che tali dati debbono essere considerati “sensibili”,in funzione del rispetto della vita privata. lì principio di autodeterminazione del paziente dà la facoltà all’interessato di conoscere i dati e stabilire in quale forma renderli utilizzabili (a scopo di ricerca, ecc.). Inoltre, la responsabilità di conservazione e la riservatezza dei dati personali sì estende oltre al personale sanitario, a tutti coloro che ne hanno l’incarico di custodia e trattamento. Circa l’impatto delle biotecnologie e della genetica molecolare, il CGE pone l’accento su tre rischi particolarmente gravi: - la commercializzazione del corpo umano, dei suoi componenti e prodotti; 26 -le nuove forme di discriminazione risultanti dalla conoscenza di caratteri genetici sugli esseri umani; - la strumentalizzazione degli esseri umani attraverso manipolazioni genetiche. 3) Nella Carta del Cittadino Europeo (Nizza 2000) che prende in considerazione le relazioni intercorrenti fra diritti dei cittadini e le nuove tecnologie - i principi bioetici particolarmente sottolineati sono i seguenti: - la dignità e la libertà di ciascuno deve essere rispettata; - ogni persona ha diritto alla vita; nessuno può essere condannato alla pena di morte, né all’esecuzione della stessa; - deve essere assicurato il consenso informato della persona nell’ambito del diritto all’integrità della persona, di fronte a possibili interventi modificanti tale integrità; - lì corpo umano e le sue parti non possono essere commercializzate; - ogni discriminazione basata sulle caratteristiche genetiche o lo stato di salute dell’individuo deve essere proibita; - le pratiche eugeniche dirette ad organizzare la selezione e la strumentalizzazione delle persone sono proibite; - ogni persona ha il diritto di beneficiare della scienza e della tecnologia; - ogni persona ha diritto alla protezione dei dati a carattere personale. In tale ambito, debbono rispettarsi i seguenti principi: rispetto della confidenzialità dei dati individuali a carattere personale, definizione da parte dell’interessato di quali dati possano essere trattati ed a quali fini; diritto di accesso ai propri dati, diritto di correggerli e di sopprimerli. Infine, è proibita la “donazione riproduttiva”, ma non ci si esprime sulla “donazione terapeutica” (uso di cellule staminali embrionali). 4) Direttiva n. 98144 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche Questa complessa direttiva, la cui elaborazione è passata attraverso diverse formulazioni nello spazio di 10 anni, tenta di armonizzare i principi della libertà di impresa e di sviluppo sociale ed economico della Comunità europea con i principi del rispetto della dignità e dei diritti umani. Già alla lettura del corposo “Preambolo” (ben 56 “Considerando”) si enucleano questi contenuti: 27 - Il diritto dei brevetti deve essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo (Considerando n. 16). - Il corpo umano in ogni stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le cellule germinali, la semplice scoperta di uno dei suoi elementi o di uno dei suoi prodotti, nonché la sequenza o sequenza parziale di un gene umano non sono brevettabili (Considerando n. 16). - Un’invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, non è escluso dalla brevettabilità se deriva da procedimenti tecnici che soltanto l’uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per se stessa non è in grado di compiere (Considerando n. 2 1). Questi “principi” (enunciati nel “Preambolo”) si trovano sviluppati in vari articoli del dispositivo normativo. 5) Anche i criteri ed i principi accolti dal Comitato di bioetica dell’UNESCO e poi inseriti nella Dichiarazione Universale sul Genoma umano, vanno ricordati, perché — come già ricordato — appaiono ampiamente corrispondenti al sentire bioetico “occidentale”, particolarmente europeo. I criteri possono così elencarsi: l’analisi della struttura del genoma umano e le ricerche sulle funzioni vanno considerate secondo quattro fondamentali aspetti: - lo statuto della conoscenza; - la protezione della persona umana; - la salvaguardia della specie umana; - l’educazione, la formazione e l’informazione del pubblico. I principi cui riferirsi sono i seguenti: A - Circa lo statuto della conoscenza - la libertà della ricerca costituisce un diritto fondamentale; - l’imperativo della sicurezza delle ricerche dal punto di vista della salute umana e dell’ambiente può giustificare talune restrizioni; - l’etica fa appello alla responsabilità dei ricercatori per ciò che concerne la finalità delle ricerche e le pratiche di laboratorio. B - Circa la protezione della persona umana a) l’identità umana: - la genetica non rimette in alcun modo in causa il principio di eguale dignità degli individui nell’ambito della specie umana; 28 - nessuna modificazione del genoma umano si giustifica, se non è per venire in soccorso di coloro che soffrono (o sono a rischio grave) in uno sforzo terapeutico. b) La protezione della vita familiare - il diritto di accesso degli individui ai dati genetici che li riguardano deve essere garantito, nella misura del possibile; - deve essere protetta, nei confronti dei terzi, la confidenzialità dei dati a meno di eccezioni giustificate; - merita riflessione nella sua portata e giustificazione il diritto “ a non sapere” in caso di dépistage genetico positivo (per malattia. anomalia, ecc.), c) L’autonomia della volontà - il principio del rispetto del consenso alle ricerche diagnostiche e alle cure èespressione della libertà individuale; d) La solidarietà - la libertà degli individui si deve sempre confrontare con l’idea di solidarietà nel seno della famiglia, dei gruppi, delle nazioni e nel seno della comunità internazionale; C — Circa la salvaguardia della specie umana: - la decodificazione del genoma umano conferma l’unicità della specie umana e non offre basi scientifiche per una suddivisione eugenistica di essa; - le civilizzazioni umane sono determinate culturalmente, e non geneticamente. - la relazione fra la genetica delle popolazioni e le diverse culture esige una riflessione specifica sul piano internazionale. D — Circa l’educazione, la formazione e l’informazione - in rapporto alle caratteristiche Proprie dell’UNESCO, il Programma dovrà estendersi (oltre la semplice riflessione) ad un’azione che comporti: - la formazione “bioetica” in ambienti specializzati (medici, ricercatori, giuristi, filosofi ecc,) e dei decisori pubblici, allo scopo di omologare i vari linguaggi; - la sensibilizzazione del pubblico, in particolare dei giovani dei vari paesi; - il miglioramento del dialogo con i mezzi di comunicazione di massa; - la presa di coscienza delle responsabilità degli uomini di oggi verso le generazioni future. 29 Qualche commento Concludendo questa rassegna, è fuor di dubbio che le linee organizzative ricordate, su cui si è sviluppata la bioetica e va strutturandosi il biodiritto particolarmente in Europa —tenendo conto anche del fatto che in sede di UNESCO (che ha vocazione universale) èstata fortemente sostenuta e valorizzata la proposta europea della promozione dei diritti dell’uomo — hanno prodotto un insieme di documenti che può apparire rassicurante sotto l’aspetto di una coerenza interna delle linee di riflessione, ma che non manca di suscitare apprensioni in seno ad una antropologia pienamente cristiana, Infatti — in tutti i documenti si nota una grande sottolineatura della libertà e dell’autonomia della persona umana — a tutela della quale viene costruito un imponente corpus dottrinario che fornisce l’autodeterminazione, mentre molto scarsi sono i richiami ai “doveri cui la persona umana è tenuta nella struttura sociale e anzitutto verso se stessa, nè viene prospettata in alcun modo l’origine del concetto di “dignità umana”. Molti documenti nascono e ruotano attorno ai problemi della salute. Viene, in pratica, registrata l’evoluzione che nei fatti è già compiuta nei rapporti fra medico e cittadino nei riguardi dell’assistenza sanitaria, che però sotto l’aspetto organizzativo rimane responsabilità attribuita ai singoli Stati; invece è fortemente esaminata la posizione che il cittadino assume nei confronti della ricerca biomedica e dell’incessante sviluppo tecnologico. La protezione attiva, che viene assicurata all’essere umano già nato, non viene attribuita all’embrione ed al feto, poiché a questa fase prenatale della vita è attribuita una tutela oggettiva di minore intensità, affidata in gran parte ad una iniziativa autonoma dei singoli Stati. In questi documenti internazionali appare chiara a questo livello la distinzione fra bioetica — almeno nell’accezione cristiano/cattolica integralmente “personalista” — e biodiritto. L’evoluzione del biodiritto in sede internazionale — punto d’incontro anche delle “sensibilità” dei diversi Paesi nella normazione costituzionale e pratica (diritto positivo) dei fenomeni biomedici della vita concreta — ha tenuto conto di una posizione pressoché ubiquitaria nei vari sistemi giuridici ereditata dal passato: il concetto giuridico di persona umana si applica dal momento della nascita. La protezione che viene proposta dal biodiritto all’embrione e al feto non è quella della persona umana, ma quella che il legislatore nazionale riterrà opportuno dare, 30 all’infuori del solo divieto di produrre espressamente embrioni al solo scopo di ricerca (art. 18 della convenzione di Oviedo, 1997). Ma anche questo divieto è inficiato come è ben noto, là dove i Paesi non notificano la Convenzione. Ciò non toglie che, sul piano della pluralità e libertà delle concezioni etiche e di pensiero, i singoli e/o gruppi di cittadini possono applicare volontariamente posizioni di maggiore rispetto verso la vita prenatale sino a considerare il concepito — in ogni stadio di sviluppo — come persona umana. Tutto ciò, ovviamente, vale per un cristiano autentico sotto il profilo della stessa elaborazione bioetica. In generale, anche per quanto si riferisce all’essere umano già nato, i Documenti che costituiscono il biodiritto sono “imperfetti”, ma ve ngono considerati ai sensi della stessa Enciclica “Evangelium vitae” (N° 73) come il “bene minimo” concretamente attuabile nelle circostanze storiche correnti in sede internazionale. Rimane possibile in sede politica, ottenuto il consenso di maggioranza, tutelare con norme più favorevoli anche l’embrione e il feto. Parimenti rimane pur sempre possibile — in uno Stato veramente democratico — l’esercizio per i singoli di autentiche “obiezioni di coscienza”. Questo principio, tuttavia, non figura espressamente nei documenti citati. Concludendo, la tematica della utilizzazione di embrioni a scopo di produzione di cellule staminali, della diagnosi preimplantatoria con finalità eugenetiche e della “brevettazione” è — oggi — quella che maggiormente caratterizza il distacco fra una visione antropologica “laica” predominante nelle organizzazioni europee ed una concezione antropologica integrale di difesa dell’uomo, come proposta dal cristianesimo (particolarmente cattolico). Uno sguardo rivolto al futuro Molti argomenti nuovi si affacciano alla considerazioni degli organismi internazionali e sopranazionali richiamati, ormai preparati ad affrontarli anche per la crescente presenza di giovani giuristi formati da un insegnamento della bioetica realizzato in numerosi Centri Universitari e da esperienze progressivamente affinate sul campo. Se l’ispirazione del biodiritto fondato sui diritti dell’uomo appare laicamente unitaria nelle sedi richiamate, le soluzioni escogitate non rispecchiano ancora la vera ricchezza 31 delle opzioni filosofiche, religiose e del sentire comune che si rinvengono nella società, plurietnica e pluralista, di oggi. Nè sempre appaiono pacificati i rapporti fra legislatori, giuristi e medici, i quali ultimi in gran parte hanno compreso il valore dell’autonomia del paziente e del “consenso informato”, ma non sono propensi a seguire tutte le minuziose regole che taluni elaborati hanno dettato, regole che ritengono capaci di mettere a rischio l’elemento fiduciario che rimane comunque alla base del rapporto con il paziente. Lo sviluppo di una maggiore armonia nella comune partecipazione della gente alla applicazione dei diritti veramente fondamentali — tralasciando la rivendicazione e/o l’imposizione di diritti incerti e proclamati al di fuori di considerazioni realistiche - sembra l’obiettivo che si deve perseguire, considerando con maggiore apertura antropologica e di vera coerenza umana la tutela di tutte le fasi della vita, dalla prenatale alla terminale — anch’essa posta a repentaglio da alcune leggi chiaramente eutanasiche che cominciano ad affermarsi anche nel contesto europeo — custodendo con maggiore rigore la soprawivenza delle specie presenti sulla terra; gestendo responsabilmente le ricchezze non rinnovabili planetarie; operando per la tutela dell’ambiente e la distribuzione più onesta dei beni prodotti dal lavoro dell’uomo anche facilitando la partecipazione al lavoro scientifico e al progresso tecnologico dei paesi più svantaggiati; ed infine curando la salvaguardia e l’impegno per la salute in ogni essere umano a qualsiasi popolo appartenga. E con decisione vanno affrontate anche le domande che spesso sentiamo porci sulla aggressività di una tecnologia che appare autorealizzantesi sulla spinta del profitto economico e del mercato spesso eludendo norme di elementare compatibilità etica. Un contenuto di maggiore umanità e di saggezza filosofica dovrebbe ora caratterizzare, a mio parere, il futuro impegno della bioetica e del corrispondente biodiritto, alla luce dei progressi stessi della società biotecnologica e con una visione d’insieme più equilibrata anche alle esigenze spirituali dei singoli temi sui quali sino ad ora si ècimentata la copiosa produzione del biodiritto internazionale o, se si preferisce, del diritto internazionale della bioetica. L’Europa può dire molto, sotto questo aspetto, ma lo sforzo sarà incompleto se non verranno riscoperte le radici cristiane che hanno consentito la più pura civilizzazione europea. 32 TABELLA. Principali documenti dei Consiglio d’Europa in materia di bioetica. A. ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA. Risoluzione n. 613 (1976) Raccomandazione n. 779 (1976) Raccomandazione n. 818 (1977) Raccomandazione n. 934 (1982) Raccomandazione n. 1046 (1986) sui diritti dei malato e del morente sui diritti del malato e del morente sulla malattia mentale sull’ingegneria genetica sull’utilizzazione di embrioni e feti umani a fini diagnostici, terapeutici, scientifici, industriali commerciali Raccomandazione n. 1100 (1989) sull’uso degli embrioni umani e dei feti nella ricerca scientifica Raccomandazione n. 1159 (1991) Raccomandazione n. 1160 (1991) Raccomandazione n. 1213 (1993) sull’armonizzazione delle regole per l’autopsia sulla preparazione di una Convenzione sulla bioetica sullo sviluppo della biotecnologia e conseguenze per l’agricoltura 33 Avis n. 198 (1996) sul progetto di Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina Avis n. 2002 (1997) sul progetto di protocollo alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, recante interdizione della clonazione di esseri umani Raccomandazione n. 1399 (1999) sugli xenotrapianti Raccomandazione n. 1418 (1999) sulla protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dei malati incurabili e dei morenti Raccomandazione 1425 (1999) sulle biotecnologie e la proprietà intellettuale B. COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D’EUROPA - Risoluzione (78) 29 sull’armonizzazione della legislazione degli Stati membri relativa alla rimozione, innesto e trapianto di sostanze umane - Raccomandazione R (79) 5 relativa agli scambi internazionali e al trasporto di sostanze umane - Raccomandazione R (83) 2 relativa alla protezione giuridica delle persone sofferenti per malattia mentale istituzionalizzati contro la volontà - Raccomandazione R (84) 16 relativa alla notificazione dei lavori che concernono il DNA ricombinante - Raccomandazione R (90) 3 relati va alla ricerca scientifica sugli esseri umani 34 - Raccomandazione R (90) 13 sullo screening genetico prenatale, la diagnosi generica prenatale e relativo counseling genetico - Raccomandazione R (92) 1 sull’uso dell’analisi del DNA nell’ambito del sistema di giustizia penale - Raccomandazione R (92) 3 - Raccomandazione R (43) 4 sui test genetici e lo screening per finalità mediche sui saggi clinici necessitanti l’utilizzazione di composti e di prodotti derivati dal frazionamento del sangue e del plasma umano - Raccomandazione R (94) 1 - Raccomandazione R (97) 5 - Raccomandazione R (97) 15 sulle banche di tessuti umani sulla protezione dei dati medici sugli xenotrapianti Dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo Strasburgo 11 ottobre 1997 Conferenza dei Ministri Europei sui diritti dell’uomo ed il progresso scientifico nel sui diritti dell’uomo (Vienna 19-20 campo della biologia, medicina e biochimica marzo 1985) e Risoluzione n. 3 Conferenza (170) dei Ministri relative alla bioetica Europei della Giustizia (Istanbul 5-7 giugno 1990) e Risoluzione n.3 35