Venerdì 30 novembre, sabato 1 dicembre 2007 ore 21 Domenica 2 dicembre 2007 ore 15,30 Teatro Valli Teatro dell’Archivolto in collaborazione la Fondazione Giorgio Gaber UN CERTO SIGNOR G dall'opera di Giorgio Gaber e Sandro Luporini con Neri Marcorè al pianoforte Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger elaborazione musicale Paolo Silvestri scene e costumi Guido Fiorato luci Aldo Mantovani regia Giorgio Gallione assistente alla regia Giovanni Badino assistente scene e costumi Lorenza Gioberti direttore di scena Fabrizio De Sanctis fonico Rinaldo Compagnone elettricista Maurizio Macioce Un certo signor G è l’occasione per rileggere, rivisitare, re-interpretare l’opera di Giorgio Gaber. A più di 35 anni di distanza (Il signor G nasce nel 1970), con mano libera e pudica, cercheremo di accostarci ad un personaggio, ad uno stile, ai contenuti e ai linguaggi di un artista geniale ed innovatore, sempre autonomo e fedele a se stesso. Il nostro Signor G sarà un’esplorazione nel beffardo, paradossale, buffonesco mondo di questa maschera di uomo comune che si interroga, comicamente impotente, sul senso della propria vita, sempre sfiorata dal pericolo dell’imbecillità e del qualunquismo. Per questo ci siamo ispirati, riproponendole e rimontandole, alle prime esperienze teatrali di Gaber, quelle del Signor G appunto, ma anche quelle di Dialogo tra un impegnato e un non so, Far finta di essere sani, Anche per oggi non si vola (siamo tra il 1970 e il 1974), rifacendosi anche stilisticamente alle forme del ‘teatro canzone’, invenzione gaberiana continuamente perfezionata nel corso di vari spettacoli, geniale intreccio di monologhi e melologhi, musica e canzoni. Neri Marcorè sarà il signor G trent’anni dopo; solo sul palcoscenico, accompagnato da due pianiste, a riscoprire un’opera, quella di Gaber e Luporini, da considerare un’invenzione senza tempo di scadenza, un classico moderno che tra ironia, malinconia, istanze civili e comico paradosso si interroga sui destini dell’uomo moderno, in bilico tra utopia, impotenza, razzismo, amore, consumismo, paura e sogno. Un individuo che rischia di perdere i pezzi e che soffre, ci dice Gaber, dei mali più comuni e alla moda: nevrosi acuta, condizionamento totale, visione delle cose vicino allo zero: una persona normale insomma. “Due estati fa Dalia Gaberscik, venuta a sapere del mio amore per Gaber, mi ha chiesto di partecipare al festival dedicato a suo padre che si svolge a Viareggio ogni anno. E’ stata una grande emozione per me, soprattutto cantare "Il dilemma" sull’accompagnamento della sua band storica. Forse è stato quest’antefatto a portare all’operazione teatrale che sta nascendo, “Un certo signor G”, nella quale interpreto a modo mio le canzoni e i monologhi dell’impareggiabile artista milanese: qualche mese dopo, infatti, Giorgio Gallione, regista col quale avevamo da poco messo in scena “La lunga notte del dottor Galvan” di Daniel Pennac, con la produzione del Teatro dell’Archivolto di Genova, mi proponeva questa sfida ardua e affascinante, coi favori della stessa Dalia e di Paolo Dal Bon, presidente della fondazione Gaber. Ora siamo già al debutto, qui a Torino, pronti a riportare in scena il mondo di Gaber, la sua musica, le sua ironia, la sua capacità di interrogarsi senza sosta sulle contraddizioni dell’individuo rispetto all’amore, la società, la libertà, la politica, con le sue paure e le sue aspirazioni, urlandole con la potenza dell’invettiva o sussurrandole col tarlo dell’introspezione. Abbiamo provato a realizzare un progetto partendo da una passione autentica e seguendo quel filo che secondo noi lui stesso, insieme al prezioso compagno di scrittura Sandro Luporini, usava per cucire i suoi spettacoli. Sarà un susseguirsi di monologhi e canzoni tratte dal suo immenso repertorio che va dalle prime esperienze teatrali de “Il signor G” agli ultimi dischi in studio. Nella scena realizzata da Guido Fiorato sarò in compagnia di due pianiste, Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger, che eseguiranno gli arrangiamenti originali elaborati da Paolo Silvestri. Tutto il resto è Gaber.” Neri Marcorè […] Sono diverso e certamente solo sono diverso perché non sopporto il buon senso comune ma neanche la retorica del pazzo non ho nessuna voglia di assurde compressioni ma nemmeno di liberarmi a cazzo non voglio velleitarie mescolanze con nessuno nemmeno più con voi ma non sopporto neanche la legge dilagante del "fatti i cazzi tuoi". Sono diverso, sono polemico e violento non ho nessun rispetto per la democrazia e parlo molto male di prostitute e detenuti da quanto mi fa schifo chi ne fa dei miti Di quelli che diranno che sono qualunquista non me ne frega niente: non sono più compagno né femministaiolo militante, mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari e le altre cazzate; e finalmente non sopporto le vostre donne liberate con cui voi discutete democraticamente sono diverso perché quando è merda è merda non ha importanza la specificazione: autisti di piazza, studenti, barbieri, santoni, artisti, operai, gramsciani, cattolici, nani, datori di luci, baristi, troie, ruffiani, paracadutisti, ufologi... Quando è moda è moda, quando è moda è moda. Bravo Marcorè. L’operazione non semplice di allestire uno spettacolo su Giorgio Gaber interpretando canzoni e monologhi riporta finalmente Gaber a casa. Nella sua casa, il teatro. Se lo stiracchiamento di giacca da parte della politica era iniziato con ancora l’artista in vita, c’era sempre lui sulle tavole di qualsiasi palcoscenico a spiegarci che era anni luce più avanti di qualsiasi schieramento o moda e che solo la pigrizia mentale del pubblico, la pressione bassa poteva rinchiuderlo dentro un qualsivoglia stereotipo. di proletariato (1975) Scrivere di Gaber, mica facile. Scrivere su uno che sosteneva: "il frastuono della cattiva divulgazione affievolisce la cultura. Solo il silenzio ne salva l'intensità." Scrivere su Gaber... Ecco, mi viene da dire subito una cosa: Gaber con Pasolini, Testori e De Andrè contribuiscono a formare quella che si può definire la dignità culturale e civile di un popolo. Cantori civili di anni sempre più tristi che frapponevano la parola, il verso, al brutto, al volgare; hanno eretto barricate contro questa pace terrificante per dirla alla DeAndrè. Una volgarità che avanzava, che si è affermata e che ora ci pervade. Gaber l’aveva capito molto prima, da quando aveva abbandonato la TV per la scomoda strada del Teatro. Lasciando la cultura di massa per dire, per non farsi dire. Giocando e vincendo una scommessa difficile e allora incomprensibile a molti. Eppure quella era Tv da Accademia della Crusca rispetto a quel gaglioffante ciarpame quotiano che ci pervade. è lo stesso di Parlare di Gaber...difficile. E’ facile oggi sprecare frasi fatte e banalità. Gaber non ha modi di dire, frasi così per dire, ma vere parole. giuste, misurate, precise come coltellate. Scorrendo i suoi testi non c'è una parola in più. E' tutto preciso, analizzato, scorticato. Nel cestino le cazzate. Analizzando i suoi testi e quelli di Luporini, c'è un lungo e interminabile filo di continuità e coerenza. La cultura per le masse è un'idiozia. La fila coi panini davanti ai musei Mi fa malinconia. E la tecnologia ci porterà lontano Ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano C'è di buono che la scuola Si aggiorna con urgenza E con tutti i nuovi quiz Ci garantisce l'ignoranza. è lo stesso di al bar Casablanca, la Nikon gli occhiali / seduti parliamo, mangiando un gelato, / di rivoluzione, Mi scusi Presidente ma ho in mente il fanatismo delle camicie nere al tempo del fascismo. Da cui un bel giorno nacque questa democrazia che a farle i complimenti ci vuole fantasia. (Io non mi sento italiano) Si, parlavo di coerenza. Si una coerenza estrema che è quella che nasce dalla scuola della poesia civile, a quella scuola che come dice Leo Ferrè "non si impara, ci si batte". Gaber ci ha sempre detto che non occorre essere in tanti, fondare e rifondare un partito per battersi. Nel 1980 in un paese sotto trauma dalla morte di Aldo Moro, dai quotidiani attentati delle brigate Rosse, scrive "Io se fossi Dio". Si tratta della canzone penso più censurata della storia “democratica” di questo paese. Il disco non era nei negozi ma circolava quasi "clandestinamente". Perché la canzone è così terribile? Perché in anni in cui il terrorismo delle Brigate Rosse rapisce, uccide e commette crimini, Gaber dice che "a dio i martiri non gli hanno fatto mai cambiare giudizio" e lancia un'invettiva feroce contro quelle stesse persone e parti politiche: DC, PCI, PSI, radicali, che spesso erano nel mirino del terrorismo. Trasmettere quel disco che ancora ricordo, ovviamente in vinile, non era un 33 e nemmeno un 45, ma una via di mezzo, in quanto la canzone durava 14 minuti, significava avere i carabinieri alla porta della radio, e le telefonate di insulti delle anime belle. Significava essere schedati. Ci si batteva. E Gaber c’era. Sì lo so fuori c'era la guerra, un mondo freddo e brutto, ma si sapeva di appartenere a quella schiera individualista che ha nell'arte la punta dello stiletto, nell'ironia le bombe a mano, nel sarcasmo la pistola e nella poesia i mezzi pesanti di un esercito di singoli individui che non la smettono mai di arrendersi al primo "va tutto bene, madama la marchesa". Presentare Gaber – dicevamo – è scomodo, così come è facile cadere nel becero "a dunque, una volta era di sinistra, poi quella là, la Ombretta, lo ha fatto diventare di destra". Ma noi tutti lo sappiamo che "Una bella minestrina è di destra il minestrone è sempre di sinistra, quasi tutte le canzoni son di destra se annoiano son di sinistra." La meraviglia Gaber è sempre stata che quando credevi di averlo inquadrato era da tempo da un’altra parte. Gaber come tutti i grandi Maestri non si sciupa, non è a chili. E chiunque pensi di poterselo annettere ne trarrà giovamento alla pelle. Il saluto vigoroso a pugno chiuso è un antico gesto di sinistra, quello un po' degli anni '20, un po' romano è da stronzi oltre che di destra. Presentare Gaber dicevo, non è mica facile e credo nemmeno sia facile interpretarlo. Ci vuole coraggio, bravura e fantasia, ingredienti che Marcorè possiede. Per chiudere mi piace pensare che abbiamo un po' bisogno ancora di quel menestrello che ci canterà per sempre: C'è solo la strada su cui puoi contare la strada è l'unica salvezza, c'è solo la voglia e il bisogno di uscire di esporsi nella strada e nella piazza: perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo, bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo. Buona serata e buona fortuna. mario vighi Neri Marcorè ha iniziato a fare teatro negli anni '90 contemporaneamente alle sue prime apparizioni televisive. Noto al grande pubblico per le sua partecipazione a trasmissioni come "L’Ottavo Nano", "Mai dire domenica", "Parla con lei" e per la conduzione, giunta al sesto anno, di "Per un pugno di libri", Marcoré non ha mai smesso di recitare in teatro: nel 2002 è stato co-protagonista insieme a Lunetta Savino di "California Suite" di Neil Simon e "L’Apparenza Inganna" Ugo Dighero il fortunato. Ha esordito al cinema con "Ladri di cinema" presentato alla Mostra di Venezia nel 1994 e nel 2003 l'ottima prova ne "Il cuore altrove" di Pupi Avati gli è valsa la candidatura al David di Donatello così come per " La Seconda notte di nozze" sempre con Avati. Nell’autunno 2006 veste i panni di Papa Luciani nell’omonima fiction programmata su Rai Uno. Con il Teatro dell’Archivolto interpreta per due fortunate stagioni teatrali lo spettacolo “La lunga notte del Dottor Galvan” di Daniel Pennac per la regia di Giorgio Gallione Giorgio Gaber (Milano 1939-2003) debutta al Santa Tecla, locale milanese dove si esibisce con Adriano Celentano, i Rocky Mountains ed Enzo Jannacci. La sua prima canzone è “Ciao ti dirò'98”, scritta nel 1958 con Luigi Tenco. Dopo il successo in televisione e molti Festival di Sanremo, nel 1970 debutta al Piccolo Teatro di Milano con “Il signor G”, cui seguiranno molti altri spettacoli, scritti con Sandro Luporini. Negli anni Settanta rinuncia alla Tv, diventando, con il suo teatro-canzone, il più singolare fenomeno teatrale degli ultimi trent’anni. Con “La mia generazione ha perso” (2001) torna al mercato discografico ufficiale, dopo molti album esclusivamente dedicati alla registrazione integrale dei suoi spettacoli. Nel 2003 esce postumo il suo ultimo disco, “lo non mi sento italiano”. Giorgio Gallione, regista e drammaturgo, dal 1986 è anche il direttore artistico del Teatro dell’Archivolto di Genova. Collabora con scrittori e drammaturghi come Stefano Benni, Daniel Pennac, Francesco Tullio Altan Michele Serra e Luis Sepulveda. Ha diretto attori come Claudio Bisio, Giuseppe Cederna, Lella Costa, Fabio De Luigi, Gioele Dix, Angela Finocchiaro, Sabina Guzzanti, Alessandro Haber, Neri Marcoré, Milva, Elisabetta Pozzi, David Riondino, Lina Sastri, i Broncoviz (Maurizio Crozza, Carla Signoris, Ugo Dighero, Marcello Cesena e Mauro Pirovano). Tra le sue regie più recenti si segnalano "Bukowski" con Alessandro Haber, "Vita", una partitura inedita di Marco Tutino per il Teatro alla Scala e "I bambini sono di sinistra" con Claudio Bisio (2003). Nel 2005 ha firmato “Il bar sotto il mare” di Stefano Benni con Fabio De Luigi e “La lunga notte del dottor Galvan” di Daniel Pennac con Neri Marcoré. Ha firmato la regia degli ultimi due spettacoli di Lella Costa. Nel marzo 2007 ha diretto Claudio Bisio nella riduzione teatrale di Seta di Alessandro Baricco. PROSSIMO SPETTACOLO 10, 11, 12 dicembre ore 21 TEATRO ARIOSTO Teatro del Carretto PINOCCHIO Da Collodi Regia di Maria Grazia Cipriani