Chimica Fisica Sostanze pure e transizioni di fase AA 2013-2014 Antonino Polimeno Dipartimento di Scienze Chimiche Università degli Studi di Padova Capitolo 1 Grandezze termodinamiche standard 1.1 Definizioni ed uso delle tabelle di grandezze standard di formazione In condizioni di pressione costante una trasformazione esotermica implica una diminuzione di entalpia, mentre una trasformazione endotermica comporta un aumento di entalpia. Un’applicazione immediata di questa osservazione si ha nei processi attinenti al campo della termochimica, cioè nella misura del calore prodotto o richiesto in una reazione chimica. Sfruttando la natura di funzione di stato dell’entalpia è infatti possibile riferire la variazione di entalpia (e dunque il calore assorbito o prodotto da un sistema in cui avvenga una reazione chimica) alle entalpie dei reagenti (che rappresentano lo stato iniziale di un sistema che subisca una trasformazione chimica, cioè una reazione) e alle entalpie dei prodotti (che rappresentano lo stato finale). Come abbiamo visto in precedenza, lo stato standard di una sostanza: Lo stato standard o di riferimento di una sostanza è lo stato piú stabile della sostanza stessa alla temperatura data ed alla pressione di 1 bar La temperatura convenzionale a cui si riferisce lo stato standard, se non è specificato altrimenti, è 25 ◦ C. Consideriamo una reazione chimica a pressione standard, che rappresentiamo in tutta generalità come r1 R1 + r2 R2 + . . . → p1 P1 + p2 P2 + . . . (1.1) o piú concisamente come ν i Ci = 0 (1.2) dove nella prima espressione indichiamo separatamente i reagenti e i prodotti, mentre nella seconda li raggruppiamo insieme tenendo conto che i coefficienti stechiometrici νi hanno segno negativo per i reagenti e positivo per i prodotti. Alla reazione, che è una trasformazione, corrisponde una variazione di entalpia standard ∆H ⊖ del sistema, che è anche pari al calore scambiato se la reazione avviene, come d’ora innanzi supporremo, a pressione costante di 1 bar. La reazione può essere pensata come la somma 1 2 CAPITOLO 1. GRANDEZZE TERMODINAMICHE STANDARD algebrica di varie sottoreazioni e non ha importanza che siano reazioni realmente esistenti nel sistema: poiché l’entalpia è una funzione di stato potremo comunque sempre affermare che la somma delle variazioni delle entalpie standard per le singole reazioni è uguale alla variazione di entalpia standard per la reazione stessa questa è la legge di Hess, null’altro che una conseguenza del fatto che H è una funzione di stato. In quali reazioni è conveniente scomporre la reazione in esame per calcolare la variazione di entalpia standard? Possiamo considerare le reazioni di formazione dei componenti chimici a partire dagli elementi, in condizioni standard; chiamiamo entalpie standard di formazione le corrispondenti variazioni ⊖ . Dalla legge entalpiche; per un componente Ci indichiamo l’entalpia standard di formazione con ∆Hi,f di Hess abbiamo che per la reazione generica (1.2) ∆r H ⊖ = X ⊖ νi ∆Hi,f (1.3) i I dati relativi alle entalpie standard di formazione sono disponibili nelle tabelle di proprietà termometriche. Dalla legge di Hess, la variazione con la temperatura dell’entalpia standard di una reazione è Sostanza ⊖ (Kcal/mol) ∆Hi,f Ar Etano Propano CO2 Acqua 0.00 -20.04 -24.89 -94.05 -57.80 Tabella 1.1: Alcune Entalpie standard di formazione a 298.15 K ricollegabile alle variazioni con la temperatura delle entalpie standard di formazione dei singoli componenti, secondo la legge di Kirkhhoff ∆Hr⊖ (Tf ) − ∆Hr⊖ (Ti ) = Z Tf Ti X ⊖ νi Cp,m i (1.4) i conoscendo perciò la dipendenza con la temperatura delle capacità termiche molari a pressione costante dei reagenti e dei prodotti, si ottiene la variazione dell’entalpia standard di reazione con la temperatura. L’entropia standard assoluta di una sostanza è indicata come S ⊖ (T ) è ottenuta nell’ipotesi che S(0) = 0. L’entropia standard della reazione chimica generica (1.2) è calcolabile come l’entalpia standard ∆r S ⊖ = X νi Si⊖ (1.5) i dove Si⊖ è l’entropia standard dell’i-esimo componente. L’energia libera è la grandezza termodinamica piú utile in ambito chimico, dove le trasformazioni avvengono, solitamente, a temperatura costante e a pressione standard. L’energia libera standard della reazione chimica generica (1.2) è calcolabile come l’entalpia standard ∆r G⊖ = X i νi G⊖ i (1.6) 1.1. DEFINIZIONI ED USO DELLE TABELLE DI GRANDEZZE STANDARD DI FORMAZIONE3 ⊖ (Kcal/mol) ∆Hi,f T (K) 200 300 400 500 600 700 800 -57.58 -57.80 -58.04 -58.28 -58.50 -58.71 -58.90 Tabella 1.2: Entalpie standard di formazione dell’acqua a varie temperature dove G⊖ i è l’energia libera standard dell’i-esimo componente; l’energia libera standard di reazione è immediatamente ottenibile dall’entalpia e dall’entropia standard ∆r G⊖ = ∆r H ⊖ − T ∆r S ⊖ (1.7) Conviene inoltre, come con l’entalpia, formulare l’equivalente della legge di Hess, ovvero esprimere l’energia libera standard di reazione in funzione delle energie libere standard di formazione dei componenti a partire dagli elementi nel loro stato standard ∆r G⊖ = X νi ∆f G⊖ i (1.8) i Come vedremo meglio piú avanti, una reazione chimica spontanea è una trasformazione che comporta un cambiamento di composizione a T , p costanti con ∆r G⊖ < 0. Si parla in questo caso di reazione esergonica. Se la variazione di energia libera standard è positiva, la reazione si dice endoergonica, e non può avvenire spontaneamente. 4 CAPITOLO 1. GRANDEZZE TERMODINAMICHE STANDARD Capitolo 2 Relazioni differenziali La termodinamica studia le leggi che governano le trasformazioni di un sistema, prescindendo dalla descrizione molecolare. Queste leggi sono definite in modo rigoroso mediante l’uso di determinati enti matematici, come le derivate parziali, le forme differenziali lineari, gli integrali di linea e di superficie. In questo Capitolo viene presentato un breve e semplice compendio delle nozioni matematiche fondamentali usate in queste dispense. L’approccio è intuitivo piú che deduttivo, e lo studente che desideri (ri)appropriarsi in modo piú rigoroso di nozioni apprese ma già dimenticate può senz’altro fare riferimento ai testi usati nei corsi matematici fondamentali. È importante però, soprattutto per lo studente di chimica, ricordare che la matematica, nelle sue varie sottocategorie (algebra, geometria, analisi etc.) è solo un linguaggio per riassumere in modo compatto concetti che espressi nel vocabolario corrente richiederebbero molto piú tempo. Non vi è nulla di misterioso ed esoterico nelle espressioni formali della matematica, almeno non al livello applicativo e relativamente modesto richiesto dalla termodinamica classica dei sistemi in equilibrio, che richiede perlopiú i fondamenti del calcolo differenziale delle funzioni reali a piú variabili1 . 2.1 Funzioni di piú variabili I sistemi termodinamici sono descritti, come abbiamo visto, da un certo numero di variabili o coordinate termodinamiche; la variazione di una o piú coordinate termodinamiche è descrivibile in termini di derivate parziali. Per fissare le idee, consideriamo una funzione z di di due variabili indipendenti x e y. La relazione funzionale z = z(x, y) esprime il fatto che i valori di z sono fissati noti i valori di x e y, vale a dire, nello spazio geometrico consueto, z è una superficie funzione di x e y. Se una delle due variabili indipendenti è costretta a mantenere un valore costante, z è funzione solo della variabile libera, e possiamo definire la variazione di z come il limite di un rapporto incrementale relativo alla sola variabile libera. Le derivate parziali di z sono perciò ∂z ∂x y ≡ z(x + ∆x, y) − z(x, y) ∆x→0 ∆x (2.1) lim 1 E ancora una volta possiamo notare come lo sviluppo del calcolo differenziale avvenga, non a caso, tra la fine del secolo XVII e l’inizio del secolo XIX, in coincidenza con lo sviluppo della termodinamica classica 5 6 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI Figura 2.1: Rappresentazione schematica delle derivate parziali di una funzione z = z(x, y). ∂z ∂y lim ≡ ∆y→0 x z(x, y + ∆y) − z(x, y) ∆y (2.2) (2.3) I suffissi possono essere omessi, poiché è sempre chiaro che la sola variabile libera è quella di derivazione. La derivata parziale ∂z/∂x è interpretabile, geometricamente, come la pendenza della retta tangente alla superficie z in un punto, parallela al piano xz, cfr. Fig. (2.1). Le derivate parziali si calcolano secondo le regole consuete delle derivate ordinarie. Derivate parziali di ordine superiore sono definite come le derivate parziali delle funzioni ottenute da una precedente derivazione. Per esempio, per un gas ideale p = nRT /V ; per un sistema chiuso (n costante), assumendo che p sia la variabile dipendente e V , T le variabili indipendenti ∂p ∂V ∂p ∂T ∂2p ∂V 2 ∂2p ∂T 2 = − = RT V2 R V = 2 = 0 RT V3 (2.4) (2.5) (2.6) (2.7) 7 2.1. FUNZIONI DI PIÚ VARIABILI ∂2p ∂2p = ∂V ∂T ∂T ∂V =− R V2 (2.8) Le derivate miste sono indifferenti all’ordine di derivazione (almeno per funzioni continue). Una identità relativa al prodotto di due derivate parziali è ∂y ∂x ∂y z ∂x =1 (2.9) z dove si suppone di poter sempre invertire la relazione funzionale z = z(x, y) per avere y = y(x, z), x = x(y, z). Data una funzione generica z = z(x, y) il differenziale totale è dato in termini di derivate parziali prime, e rappresenta la variazione infinetesimale totale subita da z in seguita ad un simultaneo cambiamento infinitesimale di x e y dz = ∂z ∂x dx + y ∂z ∂y dy (2.10) x Per una funzione di N variabili, tutte le definizioni precedenti sono facilmente generalizzabili: se z = z(x1 , . . . , xn ) le n derivate parziali si indicano come ∂z/∂x1 , . . . , ∂z/∂xn , mentre il differenziale totale è dz = n X ∂z i=1 ∂xi dxi (2.11) Dalla (2.10) derivano varie relazioni utili; per esempio, indicando con α, β una coppia qualunque delle variabili x, y, z, dalla (2.10) discende ∂z ∂α = β ∂z ∂x y ∂x ∂α + β ∂z ∂y x ∂y ∂α (2.12) β ponendo α = x e β = z troviamo ∂z ∂x y ∂x ∂y z ∂y ∂z = −1 (2.13) x Si noti l’ordine ciclico con cui compaiono le variabili nella (2.13). Nelle precedenti equazioni abbiamo sempre supposto di essere in grado di ottenere espressioni esplicite del tipo z = z(x, y), x = x(y, z), y = y(x, z). Spesso però si dispone solamente di una relazione implicita F (x, y, z) = 0 non facilmente risolvibile rispetto alle coordinate. Possiamo scrivere il funzionale totale della funzione F come dF = ∂F ∂x y,z dx + ∂F ∂y x,z dy + ∂F ∂z dz = 0 (2.14) x,y Se per esempio vogliamo calcolare ∂y/∂x possiamo semplicemente eliminare l’ultimo termine nella precedente espressione (perché dz = 0 ) da cui ∂y ∂x = − z ∂F ∂x ∂F ∂y y,z x,z (2.15) 8 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI Per esempio, per un gas che segua la legge di Dieterici (??), possiamo immediatamente ricavare la derivata del volume molare Vm rispetto alla temperatura definendo 2 F = p(Vm − b)ea/RT Vm − RT (2.16) da cui segue ∂Vm ∂T = − p ∂F ∂T ∂F ∂Vm a T Vm RT a 2 Vm −b − Vm R+ Vm ,p = (2.17) T,p Altre relazioni utili si possono ottenere considerando che la scelta delle coordinate indipendenti può variare. Cosı́ se z = z(x, y) e le variabli x e y sono definite in funzioni di altre variabili u e v, cioè x = x(u, v) e y = y(u, v) possiamo applicare la consueta regola della catena per la derivazione di funzioni di funzioni ∂z ∂u ∂z ∂v = v u = ∂z ∂x ∂z ∂x y y ∂x ∂u ∂x ∂v + v ∂z ∂y + u x ∂z ∂y x ∂y ∂u ∂y ∂v (2.18) v (2.19) u Le seguenti relazioni sono facilmente dimostrabili ∂u ∂x ∂u ∂x y y ∂x ∂u ∂x ∂v + v + u ∂u ∂y ∂u ∂y x x ∂y ∂u ∂y ∂v (2.20) = 0 (2.21) v = 1 u Infine, alle volte può essere utile esprimere z in un modo misto, per esempio z = z(x, u); si trova facilmente che 2.2 ∂z ∂x = u ∂z ∂x − y ∂z ∂y x ∂u ∂x ∂u ∂y y (2.22) x Funzioni omogenee In termodinamica hanno una certa importanza le funzioni omogenee. Una funzione di n variabili f (x1 , . . . , xn ) si dice omogenea di grado m se f (λx1 , . . . , λxn ) = λm f (x1 , . . . , xn ) (2.23) 9 2.3. FORME DIFFERENZIALI con λ arbitrario. Vale il seguente teorema (di Eulero) n X ∂f i=1 ∂xi xi = mf (2.24) che ci sarà utile quando introdurremo le quantità parziali molari. Le proprietà termodinamiche di un sistema composto da varie specie chimiche dipendono dal numero di moli di ogni componente n1 , . . . , nN . Le proprietà omogenee di grado 0 rispetto alle coordinate di composizione ni sono dette intensive: e.g. temperatura, pressione, densità, viscosità, indice di rifrazione. Le proprietà omogenee di grado 1 rispetto alle coordinate di composizione ni sono dette estensive: e.g. massa, volume, energia interna, entalpia, energia di Gibbs, energia di Helmholtz e naturalmente la massa. Il rapporto tra due proprietà estensive è una proprietà intensiva (per esempio la densità, rapporto tra massa e volume). 2.3 Forme differenziali In termodinamica si ritrovano spesso le forme differenziali pfaffiane o forme pfaffiane: dL = n X Xi (x1 , . . . , xn )dxi (2.25) i=1 cioè funzioni lineari omogenee dei differenziali delle n variabili indipendenti x1 , . . . , xn (che indichiamo nel seguito concisamente x). le forme pfaffiane hanno alcune interessanti proprietà. Sia dL il differenziale totale di una funzione R(x): dL = n X Xi (x)dxi = i=1 n X ∂R i=1 ∂xi dxi → Xi = ∂R ∂xi (2.26) Applicando il teorema di Schwarz ∂ ∂xj ∂R ∂xi = ∂ ∂xi ∂R ∂xj (2.27) segue che ∂Xi ∂xj = ∂Xj ∂xi (2.28) che è una condizione necessaria e sufficiente perché dL sia un differenziale totale di funzione. Piú in generale, dL = 0 ha un equivalente algebrico unico R(x) = 0 se esistono due funzioni q(x) e R(x) tali che dL = qdR (2.29) Anche in questo caso possiamo ricavare una condizione necessaria (e sufficiente); per ogni terna ijk: Cijk = Xi (Xj,k − Xk,j ) + Xj (Xk,i − Xi,k ) + Xk (Xi,j − Xj,i ) = 0 (2.30) dove Xi,j = ∂Xi /∂xj . Le forme differenziali lineari e le loro proprietà sono molto importanti per la definizione assiomatica dei principi della termodinamica. 10 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI 2.4 Trasformazione di Legendre Per concludere questo Capitolo, ricordiamo un’utile trasformazione, che è spesso impiegata in termodinamica per modificare le forme differenziali (come vedremo tra poco). Consideriamo il differenziale esatto df = Xdx + Y dy (2.31) dove f , X, Y sono funzioni di x e y. Definiamo la funzione g = f − Xx; il differenziale di g si calcola come dg = df − Xdx − xdX = Xdx + Y dy − Xdx − xdX = Y dy − xdX (2.32) che è il differenziale appropriato per una funzione g = g(X, y). Analogamente, potremmo definire una funzione h = f − Y y, il cui differenziale viene ad essere dh = Xdx − ydY (2.33) oppure, infine, una funzione u = f − Xx − Y y, il cui differenziale è du = −xdX − ydY (2.34) Tutti casi descritti sono detti trasformazioni di Legendre, in cui X sostituisce x, Y sostituisce y etc. 2.5 Differenziale fondamentale della termodinamica A questo punto abbiamo a disposizione tutti gli strumenti formali per definire una serie di relazioni differenziali di grande utilità nelle applicazioni della termodinamica classica. Il nostro punto di partenza, per un sistema chiuso idrostatico monofasico ad un componente, è il differenziale fondamentale dU = T dS − pdV (2.35) insieme alle relazioni tra U , S e tutte le grandezze derivate H = U + pV (2.36) A = U − TS (2.37) G = U + pV − T S = H − T S = A + pV (2.38) Se consideriamo U come funzione di S e V , la prima delle relazioni precedenti non è altro che una trasformata di Legendre che scambia la variabile V con p, permettendoci di esprimere il differenziale di H, come funzione di S e p. Possiamo procedere in modo analogo per A (come funzione di T e V ) e G (come funzione di T e p), da cui seguono le relazioni differenziali derivate dH = T dS + V dp (2.39) dA = −SdT − pdV (2.40) dG = −SdT + V dp (2.41) 2.5. DIFFERENZIALE FONDAMENTALE DELLA TERMODINAMICA 11 le variabili caratteristiche di ciascuna funzione di stato sono la coppia di variabili indipendenti rispetto alle quali la funzione di stato è definita. Poiché i differenziali introdotti sono esatti (essendo ottenuti da un differenziale esatto), valgono le seguenti identità T = ∂U ∂S p = − S = − V = V ∂U ∂G ∂T ∂p = ∂H ∂S S = − ∂V ∂G = − p = T ∂H ∂p (2.42) p (2.43) T (2.44) ∂A ∂V ∂A ∂T V (2.45) S infatti per esempio dH = ∂H ∂S dS + p ∂H ∂p dp (2.46) S da cui seguono la seconda relazione in T e la seconda relazione in V e cosı́ via. Combinando le relazioni precedenti si ottengono le seguenti espressioni ∂A/T ∂T ∂G/T ∂T = − (2.47) V U T2 = − H T2 (2.48) p dette equazioni di Gibbs-Helmholtz, che utilizzeremo in seguito. Finora abbiamo considerato un sistema ad un solo componente chimico. Benché questa prima parte delle dispense sia riservata alle sostanze pure, per le quali non è necessario introdurre variabili di composizione, può essere utile completare l’esposizione delle proprietà differenziali dei sistemi termodinamici estendendole subito a sistemi multi-componenti. Le applicazioni delle definizioni introdotte saranno comunque riprese nella seconda dispensa, dedicata ad applicazioni termochimiche. Supponiamo perciò che il nostro sistema sia omogeneo (una sola fase) ma multicomponente, con n1 , n2 , . . ., nN numero di moli della prima specie, seconda specie, etc. fino alla N −esima specie. Per ciascuna funzione energetica possiamo scrivere una forma funzionale che tenga conto delle variabili caratteristiche e della composizione U = U (S, V, n1 , . . . , nN ) (2.49) H = H(S, p, n1 , . . . , nN ) (2.50) A = A(T, V, n1 , . . . , nN ) (2.51) G = G(T, p, n1 , . . . , nN ) (2.52) 12 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI Figura 2.2: Willard Gibbs è considerato uno dei fondatori della termodinamica moderna. In figura è riportato il frontespizio della suo testo fondamentale sulla termodinamica statistica 2.5. DIFFERENZIALE FONDAMENTALE DELLA TERMODINAMICA 13 e i corrispondenti differenziali esatti dU = T dS − pdV + X i dH = T dS + V dp + X i dA = −SdT − pdV + X i dG = −SdT + V dp + X i ∂U ∂ni ∂H ∂ni ∂A ∂ni ∂G ∂ni (2.53) dni (2.54) S,V,n dni ′ i S,p,n ′ i (2.55) dni (2.56) T,V,n dni ′ i T,p,n′i dove n′i indica tutte le specie meno la ni . Definiamo come potenziale chimico della specie i−esima la grandezza, introdotta da Gibbs µi = ∂G ∂ni (2.57) T,p,n′i che è quindi pari all’aumento della capacità del sistema di compiere un lavoro non di volume in seguito all’aggiunta di una quantità infinitesima della specie, a parità di temperatura, pressione e composizione. La relazione (2.57) coincide con quella già presentata per un sistema monocomponente, per il quale il potenziale chimico non è altro che l’energia libera molare. Non è difficile dimostrare che i termini ∂U/∂ni etc. sono uguali esattamente a µi : se per esempio aggiungiamo alla relazione differenziale in dU il termine d(pV − T S) riotteniamo esattamente la relazione per dG e quindi i termini che moltiplicano i dni devono essere uguali. In definitiva abbiamo le relazioni differenziali dU = T dS − pdV + X µi dni (2.58) X µi dni (2.59) i dH = T dS + V dp + i dA = −SdT − pdV + X µi dni (2.60) X µi dni (2.61) i dG = −SdT + V dp + i dove µi = ∂U ∂ni S,V,n ′ i = ∂H ∂ni S,p,n ′ i = ∂A ∂ni T,V,n ′ i = ∂G ∂ni (2.62) T,p,n ′ i le relazioni (2.58) etc. sono state definite da Gibbs relazioni fondamentali, poiché stabiliscono la dipendenza funzionale fondamentale delle funzioni di stato energetiche. Per sempio, la conoscenza sperimentale di A in funzione di T , V e le varie ni permette di determinare l’entropia, il volume e i potenziali chimici del sistema. Ma la conoscenza sperimentale di A in funzione di T , p ed ni equivale solamente a conoscere ∂A/∂V da cui si può ottenere il volume V solo a meno di una costante di integrazione. 14 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI 2.6 Relazioni di Maxwell Alcune interessanti relazioni differenziali discendono dalle proprietà dei differenziali esatti. Poiché le derivate miste di una funzione sono indipendenti dall’ordine di integrazione, devono valere una serie di equivalenze tra le derivate di funzioni termodinamiche; per esempio ∂ ∂V ∂U = ∂S ∂ ∂S ∂U ∂V (2.63) ma sappiamo che T = ∂U/∂S e p = −∂U/∂V , da cui ∂T =− ∂V ∂p (2.64) ∂S che è un esempio di relazione di Maxwell. Elenchiamo tutte le relazioni di Maxwell, indicando esplicitamente le variabili costanti in ogni derivazione, per completezza (con n al piede intendendo tutte le variabili di composizione) ∂T ∂V − ∂S ∂p ∂T ∂p ∂S ∂V S,n = − = T,n S,n = T,n = ∂p ∂S ∂V ∂T ∂V ∂S ∂p ∂T (2.65) V,n (2.66) p,n (2.67) p,n (2.68) V,n ed analoghe relazioni per i potenziali chimici, per esempio ∂µi ∂T ∂µi ∂p p,n T,n = − = ∂S ∂ni ∂V ∂ni (2.69) T,p,n ′ i (2.70) T,p,n ′ i e cosı́ via. Esistono molte altre relazioni piú o meno utili e significative. Combinando il differenziale di dU e l’ultima relazione di Maxwell si ottiene ∂U ∂V T,n =T ∂p ∂T −p (2.71) V,n che lega fra loro U , T , p e V . Inoltre esistono tutti i prodotti tra derivate parziali che si ottengono quando si esprimano le varie funzioni di stato in funzione di diverse variabili indipendenti. Per esempio, 15 2.6. RELAZIONI DI MAXWELL data l’energia interna di un sistema monofasico chiuso in funzione di V e T , la derivata rispetto a T a pressione costante si ottiene come ∂U ∂T = p ∂U ∂U + ∂T ∂V V T ∂V ∂T (2.72) p e valgono inoltre le relazioni cicliche; per esempio, per l’energia interna in funzione di T e V ∂U ∂T V ∂V ∂U T ∂T ∂V = −1 (2.73) U Una serie di grandezze fisiche misurabili possono essere messe in relazione fra loro mediante le relazioni differenziali discusse in questo Capitolo. Abbiamo già introdotto il coefficiente di espansione α, il coefficiente di compressibilità κ e le capacità termiche Cp,V , di cui riscriviamo per comodità le definizioni (per un sistema monocomponente) ∂V 1 V ∂T α = κ = − (2.74) p 1 ∂V V ∂p (2.75) T CV = Cp = ∂U ∂T ∂H ∂T =T V =T p ∂S ∂T ∂S ∂T (2.76) V (2.77) p Come possiamo per esempio calcolare il coefficiente di pressione, definito come la derivata della pressione rispetto alla temperatura, divisa per la pressione? Partiamo dalla relazione ciclica ∂p ∂T V ∂V ∂p T ∂T ∂V = −1 (2.78) p e per sostituzione diretta di α e κ otteniamo 1 ∂p α = p ∂T pκ (2.79) V Qual è la relazione tra le capacità termiche? Esprimiamo la derivata dell’entropia rispetto alla temperatura ∂S ∂T = p ∂S ∂T + V ∂S ∂V T ∂V ∂T (2.80) p e sostituendo le espressioni di α e κ troviamo Cp − CV = T V α2 κ Relazioni sistematiche sono ulteriormente discusse nella sezione dedicata agli Approfondimenti. (2.81) 16 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI Approfondimenti 2.7 Metodo sistematico per ricavare relazioni differenziali 2.7.1 Si possono esprimere facilmente tutte le derivate (∂X/∂Y )Z con X, Y, Z pari a p, V, T, S in funzione di α, κ, Cp , CV . Il risultato è riportato nella Tabella (2.1). Consideriamo un sistema idrostatico mono ∂X ∂Y p V Z T p S − V1κ T CV 1 S − Cp V κ α V κ Cp S TV α Cp /CV −1 V Vα 1 − T Vα V T S −V κ − CCVp V κ p T κ α TV α S Cp 1 p Vα 1−Cp /CV S Vα V Vα Vα S 1−Cp /CV TV α p Cp κ T α S V Vα Cp /CV −1 T −V α p T p V V T Cp TV α α κ Cp T CV T T Cp T CV Tabella 2.1: Relazioni differenziali per le grandezze p, V, T, S: ogni riga X incrocia una colonna Y , e la casella contiene le derivate rispetto ad una delle due possibili Z; con la relazione Cp − CV = T V α2 /κ bastano tre grandezze tra Cp , CV , α, κ per descrivere un sistema. fasico chiuso ad un componente; sappiamo che le funzioni termodinamiche che lo descrivono sono p, V, T, S, U, H, A, G. Vogliamo dare una risposta alle seguenti domande 1. Qual è il numero minimo di quantità dXY Z = (∂X/∂Y )Z indipendenti, con X, Y, Z pari ad una terna qualunque delle funzioni di stato? 2. Esiste un metodo ’sistematico’ per ridurre le espressioni differenziali in funzione delle sole derivate indipendenti, una volta che queste siano state scelte? Cominciamo a chiederci quante sono le dXY Z . Poiché le funzioni di stato sono 8 e i simboli in ogni derivata sono 3 abbiamo 8 × 7 × . . . × (8 − 3 + 1) = 336 derivate, pari al numero di terne ordinate senza ripetizioni che si possono estrarre da un gruppo di 8 oggetti. Queste quantità sono ridotte a funzioni di derivate di sole 4 funzioni di stato, che possiamo scegliere per esempio come T, p, V, S (infatti U, H, A, G sono definite in funzione di T, p, V, S). Se consideriamo le sole derivate che coinvolgono T, p, V, S abbiamo 4 × 3 × (4 − 3 + 1) = 24 derivate. Per questo insieme ridotto abbiamo 12 equazioni ”matematiche” ∂X ∂Y Z ∂Y ∂X =1 (2.82) Z 4 equazioni ”matematiche” ∂X ∂Y Z ∂Y ∂Z X ∂Z ∂X = −1 Y (2.83) 17 2.7. APPROFONDIMENTI 4 relazioni ”fisiche” di Maxwell ed 1 relazione ”fisica” di stato. Il totale è di 21 relazioni, da cui segue che bastano 3 derivate in T, p, V, S o grandezze equivalenti, per descrivere tutte le derivate del sistema (per esempio Cp , α, κ). Una procedura sistematica per ricavare una qualunque dXY Z è la seguente 1. scrivere il differenziale di X in funzione di Y e Z 2. sostituire dU , dH, dA, dG con le loro espressioni caratteristiche, se occorre 3. usare le relazioni di Maxwell, facoltativamente, per semplificare il risultato 4. annullare dY e ricavare dXY Z Può essere necessario iterare la procedura piú volte. Per esempio, calcoliamo la derivata di U rispetto a V , a T costante. dU dU T ∂S ∂V dV + T ∂S ∂T dT − pdV V CV dT + T ∂p ∂T dV V dT = ∂U ∂V dV + T ∂U ∂T = T dS − pdV = = ∂U ∂V ∂U ∂V dV + T dV + = 0→ T ∂U ∂V ∂U ∂T ∂U ∂T =T T dT (2.84) V (2.85) dT (2.86) dT (2.87) V V ∂P ∂T −p= Tα −p κ (2.88) 18 CAPITOLO 2. RELAZIONI DIFFERENZIALI Capitolo 3 Proprietà termodinamiche di sostanze pure in precedenza, le proprietà dei gas perfetti sono state discusse partendo dalla sola equazione di stato. Come vedremo nel seguito di questo Capitolo e nel successivo, tutte le proprietà di un sistema possono essere fondate su una sola equazione costitutiva che è di solito scritta in termini di relazione del potenziale chimico (o dei potenziali chimici per sistemi multi-componente) con la temperatura, pressione (e composizione, per sistemi multi-componente). 3.1 Gas perfetti Cominciamo a descrivere un sistema chiuso costituito da un gas perfetto. Il potenziale chimico di un gas perfetto è definito dalla relazione p µ = µ⊖ + RT ln ⊖ (3.1) p dove µ⊖ è funzione della sola temperatura ed è il potenziale chimico standard del gas, vale a dire l’energia libera molare di Gibbs a pressione standard p⊖ . I coefficienti variazione del potenziale chimico con la pressione e la temperatura per una gas perfetto si trovano derivando la relazione (3.1). Si trova che ∂µ ∂p ∂µ ∂p = Vm = T = −Sm = T RT → pV = nRT p dµ⊖ dT + R ln (3.2) p p⊖ (3.3) dalla prima relazione discende l’equazione di stato dei gas, dalla seconda una relazione tra l’entropia molare, µ⊖ e p. Dalla relazione (3.3) possiamo ricavare l’entalpia molare H m = µ + T Sm = µ⊖ − T dµ⊖ dT = −T 2 d(µ⊖ /T ) (3.4) dT quindi l’entalpia di un gas perfetto è indipendente dalla temperatura; inoltre l’energia interna è subito ottenuta come Um = Hm − pVm = Hm − RT (3.5) 19 20 CAPITOLO 3. PROPRIETÀ TERMODINAMICHE DI SOSTANZE PURE ed è anch’essa indipendente dalla temperatura. La relazione tra capacità termiche si trova facilmente nel caso dei gas perfetti applicando la relazione generale (2.81), e si trova (per mole) Cp,m − CV,m = R (3.6) La variazione di entropia di un gas perfetto è calcolabile nota la funzione µ⊖ . In Figura (3.1) è riportato un esempio di variazione dell’entropia di un gas perfetto in seguito ad una variazione di volume. 3.2 Gas reali: fugacità I gas reali sono descrivibili dalle equazioni di stato presentate nei Capitoli precedenti, quali l’equazione di van der Waals, l’equazione di Dieterici etc. o piú in generale dall’espansione del viriale, anch’essa introdotta in precedenza. Molte delle caratteristiche dei gas perfetti, come per esempio l’indipendenza di energia interna ed entalpia dalla temperatura, il valore unitario del rapporto di compressibilità la semplice relazione tra capacità termica, sono perdute per i gas reali. D’altro canto, il comportamento del gas perfetto emerge sempre da quello dei gas reali in condizioni di pressione tendente a zero, come si è già accennato durante la descrizione del termometro a gas: un gas perfetto rappresenta il limite ideale di un gas reale, a pressioni tendenti a zero. In pratica la maggioranza dei sistemi gassosi mostra deviazioni apprezzabili dall’idealità solo a pressioni significativamente maggiori della pressione standard. È un procedimento comune della termodinamica1 definire i sistemi reali come dei sistemi ideali con delle correzioni. Tutta la complessità del sistema reale viene racchiusa in coefficienti opportuni, di solito definiti come il rapporto tra una quantità reale ed una quantità ideale, che possono essere misurati o determinati in base a modelli aggiuntivi in modo indipendente (per esempio una equazione di stato). Nel caso dei gas reali, procediamo ancora una volta definendo una relazione generale per l’energia libera molare o potenziale chimico (stiamo sempre considerando un sistema monocomponente) µ = µ⊖ + RT ln f p→0 p lim = 1 f p⊖ (3.7) (3.8) il potenziale chimico è definito in funzione di un potenziale chimico standard e di una nuova quantità complessa, la fugacità f (con le dimensioni di una pressione). Si noti che la fugacità è definita completamente solo dalla relazione aggiuntiva (3.8), che stabilisce il comportamento limite ideale del gas reale: per p → 0, la fugacità tende ad essere indistinguibile dalla pressione. Il potenziale chimico standard è il potenziale del gas a fugacità unitaria (cioè pari alla pressione standard) e dipende solo da T . Per molti gas a p = p⊖ il comportamento è praticamente quello di un gas perfetto, quindi µ⊖ è, a fini pratici, spesso semplicemente determinato come il potenziale chimico del gas a pressione standard. Il coefficiente adimensionale γ = f /p è detto coefficiente di fugacità, ed è una misura della deviazione dall’idealità di un gas reale. La misura del coefficiente di fugacità è effettuata a partire da misure di 1 Anzi, in generale, di tutte le discipline chimico-fisiche che per definizione hanno a che fare con sistemi ’complessi’, difficilmente riconducibili a modelli semplici. 3.2. GAS REALI: FUGACITÀ Figura 3.1: ∆S di un gas perfetto al variare del volume. 21 22 CAPITOLO 3. PROPRIETÀ TERMODINAMICHE DI SOSTANZE PURE pressione e densità del gas. Infatti possiamo scrivere la relazione tra energia libera molare e volume molare come ∂µ ∂p = Vm → dµ = Vm dp T cost. (3.9) T sostituendo a dµ a T costante l’espressione derivata dalla relazione (3.7) si ottiene f RT d ln ⊖ p = Vm dp T cost. (3.10) e sottraendo da ambo i membri il termine RT d ln(p/p⊖ ) otteniamo f d ln p = 1 Vm − dp T cost. RT p (3.11) Possiamo ora integrare la precedente espressione differenziale a temperatura costante da p = 0 a p = pmis , che è la pressione a cui si vuole conoscere la fugacità f f = − ln ln p p=pmis p p=0 Z pmis 0 Vm 1 − dp RT p T cost. (3.12) poiché però il limite del rapporto tra fugacità e pressione per pressione infinitesime è 1, otteniamo ln γ = Z pmis 0 Z −1 dp p T cost. (3.13) dove γ è il cofficiente di fugacità a T e pmis , e l’integrando è stato semplificato introducendo il fattore di compressibilità Z. Una serie di misure di Z a T fissata variando p fino a pmis fornisce il modo per valutare γ. Secondo il principio degli stati corrispondenti, il coefficiente di fugacità è determinabile sperimentalmente come una funzione della temperatura e della pressione ridotte Tr e pr γ ≈ γ(Tr , pr ) (3.14) Tr pr Eq. (3.14) γ misurato 1.145 1.145 1.478 1.478 1.0 2.0 1.0 3.0 0.78 0.60 0.915 0.795 0.79 0.60 0.91 0.79 Tabella 3.1: Coefficienti di attività ottenuto per interpolazione da un diagramma di correlazione basato sulla equazione (3.14) e misurato direttamente per Ar (Tc = 151K e pc = 48atm); dati da R. Newton, Industr. Engng. Chem. 27, 302. Nelle tabelle sono riportati alcuni dati sperimentali che dimostrano la buona approssimazione della relazione (3.14). L’uso di una equazione di stato permette anche un calcolo approssimato del coefficiente di fugacità: per esempio, usando l’equazione di Van der Waals non è difficile risolvere per mezzo di un integrale numerico l’equazione (3.13) in funzione dei parametri a e b; possono anche essere facilmente ricavati dei casi limite 3.3. EFFETTO JOULE-THOMSON Tr pr Eq. (3.14) γ misurato 0.918 0.918 0.986 0.986 0.986 0.05 0.30 0.846 0.05 0.30 0.50 0.972 0.880 0.980 0.881 0.806 0.980 23 0.990 0.948 0.890 Tabella 3.2: Coefficienti di attività ottenuto per interpolazione da un diagramma di correlazione basato sulla equazione (3.14) e misurato direttamente per l’etanolo (Tc = 516.2K e pc = 63.1atm); dati da R. Newton, Industr. Engng. Chem. 27, 302. Figura 3.2: Andamento del coefficiente di fugacità in funzione di pr a varie Tr termine repulsivo dominante, p = RT /(Vm − b) da cui si ottiene subito Z = pVm /RT = 1 + pb/RT che porta a ln f = bp/RT termine attrattivo dominante, p = RT /Vm − a/Vm2 , cioè pVm2 − RT Vm + a = 0; risolvendo si trova p Vm = [RT ± (RT )2 − 4ap]/2p; se p è piccolo (RT )2 ≫ 4ap, da cui Vm = RT /p e Z = 1−ap/(RT )2 che porta a ln f = −ap/(RT )2 . 3.3 Effetto Joule-Thomson Tra i fenomeni piú noti riconducibili ad una deviazione dell’idealità di un gas reale è l’effetto JouleThomson. Consideriamo un setto poroso che separa due zone di un tubo isolato termicamente, e facciamo fluire del gas a velocità costante da sinistra a destra attraverso il setto. Se indichiamo con p1 , T1 , H1,m e p2 , T2 , H2,m la pressione, temperatura ed entalpia molare a monte e a valle del setto, 24 CAPITOLO 3. PROPRIETÀ TERMODINAMICHE DI SOSTANZE PURE abbiamo che H1,m = H2,m (3.15) Il sistema è infatti in flusso stazionario2 , non compie lavoro utile e non assorbe calore. Se il gas non è perfetto, la temperatura varia, cioè T2 6= T1 . Il coefficiente di Joule-Thomson è appunto la variazione di temperatura con la pressione, ad entalpia (molare) costante µJT = ∂T ∂p (3.16) Hm Possiamo calcolare il coefficiente di Joule-Thomson usando la relazione ciclica ∂T ∂p Hm ∂Hm ∂T p ∂p ∂Hm = −1 (3.17) T da cui si ottiene µJT = − 1 Cp,m ∂Hm ∂p (3.18) T che può essere facilmente messo in relazione con altre grandezze come α, κ etc. Applicando lo schema sistematico descritto in precedenza si ottiene per esempio µJT = Vm (αT − 1) Cp,m (3.19) L’effetto di Joule-Thomson non è l’espansione adiabatica di un gas, che avviene sempre con l’esecuzione di un lavoro (spingendo per esempio un pistone) e quindi con un conseguente raffreddamento del gas (ideale o reale). Nell’effetto Joule-Thomson la variazione di temperatura avviene a causa di un’espansione irreversibile ad entalpia costante e può causare un riscaldamento, se µJT è negativo, cioè se αT < 1, un raffreddamento, se µJT è positivo, cioè se αT > 1, o nessuna variazione di temperatura, come avviene per una gas perfetto per il quale µJT = 0. L’andamento generale delle curve isoentalpiche di temperatura contro pressione permette di razionalizzare la variazione di µJT che è la pendenza delle curve. Ad una data pressione µJT ha un valore positivo solo nell’intervallo compreso tra le due temperature di inversione superiore ed inferiore. Al crescere della pressione le due temperature si avvicinano fino a coincidere ad una data pressione massima [punto A in Fig. (3.3)] oltre la quale non è possibile raffreddare un gas facendolo fluire in condizioni stazionarie attraverso un setto od una strozzatura. Esiste anche una temperatura massima [punto B in Fig. (3.3)] oltre la quale non può essere ottenuto il raffreddamento. Per l’idrogeno per esempio la temperatura massima è -78 ◦ C: è quindi necessario raffreddare l’idrogeno sotto questa temperatura (per raffreddamento mediante espansione) prima di poter sfruttare l’effetto Joule-Thomson per raffreddarlo ulteriormente. 2 In condizioni di flusso stazionario la variazione di entalpia è nulla, come è stato verificato in precedenza 3.3. EFFETTO JOULE-THOMSON 25 Figura 3.3: Andamento qualitativo delle curve isoentalpiche e valutazione del coefficiente di JouleThomson per un gas reale. 26 CAPITOLO 3. PROPRIETÀ TERMODINAMICHE DI SOSTANZE PURE 3.4 Proprietà delle fasi condensate Le fasi condensate della materia sono rappresentate dai liquidi e dai solidi. Dal punto di vista microscopicostatistico le fasi condensate sono costituite da molecole con un’energia cinetica media molto minore della fase gassosa, che è caratterizzata da un elevata mobilità molecolare; il ridotto moto termico porta a stati della materia aventi limitate possibilità di moto traslazionale (liquidi) o addirittura stati in cui le molecole sono costrette a vibrare attorno a posizioni di equilibrio (solidi). Dal punto di vista termodinamico le fasi condensate sono stati di un sistema (o parti di un sistema, se sono presenti contemporaneamente piú fasi, come vedremo tra poco) definite da valori omogeneamente definiti delle coordinate termodinamiche, per le quali le grandezza energetiche principali, come l’energia libera di Gibbs, dipendono molto poco dalla pressione. La scelta dell’energia di Gibbs come funzione di riferimento è dovuta al fatto che le condizioni operative normali sono a temperatura e pressione costanti: analoghe considerazioni si potrebbero svolgere usando l’energia di Helmholtz per sistemi a temperatura e volume costanti. Consideriamo, per fissare le idee, una fase qualunque. La dipendenza dell’energia libera di Gibbs dalla temperatura è data dalla relazione di Gibbs-Helmholtz, che abbiamo già incontrato in precedenza ∂(G/T ) ∂T =− p H T2 (3.20) o la sua equivalente relazione molare ∂(µ/T ) ∂T =− p Hm T2 (3.21) L’equazione (3.20) si ottiene ricordando che la derivata di G rispetto a T è pari −S = (G − H)/T , si ha perciò ∂G ∂T − p ∂(G/T ) ∂T G T p = H T = 1 ∂G G − T (3.22) ∂T p T (3.23) sostituendo la seconda identità nella prima si ottiene l’equazione (3.20). La relazione di Gibbs-Helmholtz ci dice perciò che la variazione di energia di Gibbs con la temperatura dipende dal contenuto entalpico del sistema. Come vedremo nel Capitolo successivo, la relazione di Gibbs-Helmholtz è di grande utilità per calcolare la variazione con la temperatura di energie libere coinvolte in transizioni di fase. La variazione di G con la pressione è invece data semplicemente dall’espressione ∂G ∂p =V (3.24) T o dal suo equivalente molare ∂µ ∂p = Vm T (3.25) 3.4. PROPRIETÀ DELLE FASI CONDENSATE Figura 3.4: Schema dell’energia libera per la razionalizzazione di una transizione di fase. 27 28 CAPITOLO 3. PROPRIETÀ TERMODINAMICHE DI SOSTANZE PURE che in forma integrata è semplicemente µ(pf ) = µ(pi ) + Z pf pi dpVm (p), T cost. (3.26) La dipendenza del potenziale chimico di una fase pura dalla pressione dipende dal volume molare della fase. Per una gas, il volume molare è relativamente grande; per esempio, considerando un gas ideale che passi da 1 bar a 2 bar a 298 K, stimando Vm = RT /p otteniamo una variazione di potenziale chimico di 1.7 Kjmol−1 ; per una mole di acqua, in cui il volume molare è stimabile intorno a 18 cm3 mol−1 e può essere ritenuto costante (fluido incomprimibile), il passaggio della pressione da 1 bar a 2 bar aumenta il potenziale chimico di soli 1.8 j, cioè mille volte di meno del gas ideale. È evidente come nella stragande maggioranza delle applicazioni la variazione di G con la pressione per una fase liquida o solida possa essere del tutto trascurata. Capitolo 4 Equilibri di fase delle sostanze pure In questo Capitolo discuteremo le trasformazioni di fase in sostanze pure: saranno perciò oggetto della nostra analisi i sistemi monocomponente multi-fasici chiusi. Il nostro scopo principale sarà descrivere le condizioni di coesistenza di fasi diverse in un sistema, in condizioni variabili di temperatura pressione etc. 4.1 Diagrammi di stato e punto critico Una fase è una porzione di un sistema le cui proprietà termodinamiche sono uniformi o al massimo cambiano in modo continuo. Abbiamo fasi gassose, liquide, e varie forme di fasi solide (per esempio il ghiaccio I, II, III, IV, V e VI, lo zolfo monoclino e rombico, il fosforo bianco e nero). Una transizione di fase è la conversione spontanea di una fase in un’altra fase, che avviene ad una temperatura e pressione; la temperatura di transizione è caratteristica del passaggio di fase, e si parla di temperatura di fusione (liquido-solido), evaporazione od ebollizione (liquido-vapore), sublimazione (solido-vapore). Un diagramma di stato rappresenta le regioni di pressioni e temperatura in cui le varie sono termodinamicamente stabili; le linee che separano due regioni relative a due fasi diverse sono dette curve di transizione, e rappresentano valori di pressione e temperatura in cui le due fasi coesistono in equilibrio; esistono anche punti tripli in cui coesistono tre fasi distinte (la motivazione relativa a quante fasi in equilibrio possono coesistere, per una sostanza pure od una soluzione, può essere razionalizzata in base alla regola delle fasi e sarà discussa più avanti). Consideriamo per fissare le idee un una sequenza di transizioni di fase per un solido (p.es. ghiaccio) che venga riscaldato, fuso, ed infine vaporizzato: solido → liquido → vapore. Questi passaggi avvengono con assorbimento di calore, che serve sostanzialmente a vincere l’attrazione dei componenti molecolari e a fornire loro sufficiente energia cinetica. Da un punto di vista intuitivo è chiaro che l’entalpia molare di una sostanza aumenti ad ogni passaggio di fase Hs,m < Hl,m < Hg,m (4.1) e che aumenti anche il grado di disordine molecolare, cioè il contenuto entropico molare, Ss,m < Sl,m < Sg,m (4.2) 29 30 CAPITOLO 4. EQUILIBRI DI FASE DELLE SOSTANZE PURE Ad una data temperatura T e pressione p, il sistema si porrà nello stato di equilibrio caratterizzato dalla minima energia libera di Gibbs. Se per esempio la fase solida è piú stabile ad una pressione e temperatura, l’energia libera molare, vale a dire il potenziale chimico, sarà minore nel solido, che, poniamo, nel liquido µs (T ) < µl (T ) ⇒ (Hs,m − T Ss,m) < (Hl,m − T Sl,m) (4.3) Se per esempio manteniamo costante la pressione, al crescere della temperatura la crescita delle varie entalpie ed entropie molari del solido e del liquido avverrà in modo diverso, sino a raggiungere la temperatura di transizione (in questo caso di fusione) a cui, alla pressione data, i potenziali chimici di solido e liquido si equivalgono ed avviene la transizione di fase fus fus fus fus ) < (Hl,m − T Sl,m ) µs (Tfus ) = µl (Trmf us ) ⇒ (Hs,m − Tfus Ss,m (4.4) La transizione di fase è quindi la conseguenza del fatto che i potenziali chimici delle due fasi crescono in modo diverso con la temperatura, fino ad intersecarsi alla temperatura di transizione, cfr. Fig. (3.4). Possiamo illustrare molte delle proprietà generali dei diagrammi di stato commentando alcuni diagrammi relativi a sostanze specifiche. In Fig. (4.1) abbiamo il diagramma di stato dell’anidride carbonica. Notiamo la presenza di tre zone ben definite, solido, liquido e gas; la separazione tra solido e gs è data dalla curva inferiore a sinistra, mentre solido e liquido e liquido e gas sono separati dalle due curve superiore, a sinistra e a destra rispettivamente. Il punto triplo si trova a 5.11 atm e 216.8 K: si noti che alla pressione di 1 atm la curva di transizione separa il solido dal gas, da cui segue che a pressione atmosferica un aumento di temperatura comporta una sublimazione (non una fusione) della CO2 solida (ghiaccio secco). Sopra la temperatura critica, pari a 304.2 K, la distinzione tra gas e liquido non ha piú ragione di esistere, ed esiste un unico stato detto ’fluido supercritico’; il punto critico è individuato dalla pressione e dalla temperatura critica. Il diagramma di stato dell’acqua, Fig. (4.2) ha un aspetto abbastanza simile all’anidride carbonica, almeno a pressione dell’ordine di 1-2 atm. A pressioni elevate compaiono fasi solide (ghiaccio) diverse. Il punto triplo dell’acqua è a 0.006 atm e 273.16 K; a pressione atmosferica la transizione possibile è tra solido (ghiaccio I) e liquido. La pendenza della curva di transizione solido-liquido per l’acqua è negativa, mentre è positiva per la CO2 e la maggior parte delle altre sostanze: come vedremo tra breve, questo fatto ha delle conseguenze importanti sulla dipendenza dalla pressione della temperatura di fusione dell’acqua. Infine, con il diagramma di stato dell’ossido di silicio abbiamo un esempio di coesistenza di numerose fasi solide cristalline; della stessa sostanza. Sono presenti tre punti tripli: liquido-cristobalite-quarzo II, cristobalite-tridimite-quarzo II, quarzo II-quarzo I-coesite. 4.2 Equazione di Clapeyron e sue applicazioni In un sistema chiuso, la contemporanea presenza di un liquido e del suo vapore corresponde a punti della curva di transizione liquido-vapore. La pressione di vapore in equilibrio con il liquido si dice tensione di vapore. In presenza di una pressione esterna diversa da zero, dovuta per esempio ad una compressione meccanica oppure ad un gas aggiuntivo, si parla di tensione di vapore parziale. La dipendenza delle condizioni di transizione dalla temperatura e dalla pressione possono essere razionalizzate impiegando le 4.2. EQUAZIONE DI CLAPEYRON E SUE APPLICAZIONI Figura 4.1: Diagramma di stato dell’anidride carbonica. Figura 4.2: Diagramma di stato semplificato dell’acqua 31 32 CAPITOLO 4. EQUILIBRI DI FASE DELLE SOSTANZE PURE Figura 4.3: Diagramma di stato semplificato dell’ossido di silicio 4.2. EQUAZIONE DI CLAPEYRON E SUE APPLICAZIONI 33 Figura 4.4: Tensione di vapore di alcuni liquidi varie relazioni differenziali che determinano la variazione del potenziale chimico che sono state illustrate nei Capitoli precedenti. Iniziamo ricavando la dipendenza delle condizioni di transizione tra due fasi dalla temperatura. In un sistema monocomponente sono definite fasi 1 e 2. I loro potenziali chimici sono rispettivamente µ1 (T, p) e µ2 (T, p). I possibili stati di equilibrio corrispondono alla curva di intersezione delle due superficie µi . Lungo questa curva, in ogni punto Peq eq µeq 1 = µ2 (4.5) e per un punto della curva infinitesimalmente vicino al punto Peq si ha eq µeq 1 + dµ1 = µ2 + dµ2 (4.6) da cui segue che dµ1 = dµ2 (4.7) Poiché le due fasi sono in equilibrio termodinamico, la temperatura e pressione sono le stesse in 1 e 2; possiamo esprimere la (4.7) come eequivalenza di due differenziali totali ∂µ1 ∂T dT + p ∂µ1 ∂p dp = T ∂µ2 ∂T dT + p ∂µ2 ∂p dp T (4.8) 34 CAPITOLO 4. EQUILIBRI DI FASE DELLE SOSTANZE PURE tenendo conto delle relazioni ∂µi ∂T = −Sm,i , p ∂µi ∂p = Vm,i (4.9) p otteniamo dp Sm,1 − Sm,2 ∆Sm,trans = Vm,1 − Vm,2 ∆Vm,trans = dT (4.10) questa è l’equazione di Clapeyron, nella sua forma piú generale che esprime la pendenza della curva di transizione tra le fasi 1 e 2 in funzione di parametri termodinamici di transizione. Poiché una transizione di fase è reversibile, possiamo esprimere la differenza di entropia in funzione della differenza di entalpia, ovvero del calore latente di transizione, ∆Sm,trans = T ∆Hm,trans , da cui segue dp ∆Hm,trans T ∆Vm,trans = dT (4.11) che permette di esprimere la pendenza in funzione di grandezze misurabili immediatamente come il calore di transizione e la variazione di volume per mole. Le applicazioni dell’equazione di Clapeyron variano se si considerano transizioni tra fasi condensate (liquido-solido) o tra fasi condensate e gas (liquido-gas). Consideriamo dapprima una transizione tra fasi condensate, liquido-solido (fusione). L’equazione di Clapeyron diventa dp ∆Hm,fus T ∆Vm,fus = dT (4.12) In prima approssimazione possiamo assumere che il calore di fusione e la variazione di volume siano indipendenti dalla temperatura; integrando otteniamo Z p ∆Hm,fus ∆Vm,fus dp = p∗ Z T T∗ dT T (4.13) e quindi p = p∗ + ∆Hm,fus T − T ∗ ∆Hm,fus T ln ∗ ≈ p∗ + ∆Vm,fus T ∆Vm,fus T ∗ (4.14) dove per piccole variazioni di T si può approssimare il logaritmo alla variazione relativa. La pendenza prevista per la curva solido-liquido è ripida: all’aumentare della pressione la temperatura di fusione varia notevolmente. La maggior parte delle sostanze ha una pendenza positiva della curva di fusione (all’aumentare della pressione la temperatura di fusione aumenta); l’acqua è una nota eccezione, poiché ∆Vm < 0 (il ghiaccio I è meno denso dell’acqua liquida). Per una transizione fase condensata-gas, per esempio liquido-gas (evaporazione), possiamo in prima approssimazione trascurare il volume molare della fase condensata rispetto al vapore, ed usare la legge dei gas perfetti per stimare il volume molare del vapore; otteniamo cosı́ dp/dT = ∆Hm,vap /T (RT /p) = p∆Hm,vap /RT 2 che opportunamente riarrangiata è l’equazione di Clausius-Clapeyron: dln p dT = ∆Hm,vap RT 2 (4.15) 4.2. EQUAZIONE DI CLAPEYRON E SUE APPLICAZIONI Figura 4.5: Confronto tra i diagrammi di stato dell’anidride carbonica e dell’acqua 35 36 CAPITOLO 4. EQUILIBRI DI FASE DELLE SOSTANZE PURE Possiamo calcolare esplicitamente almeno la dipendenza della variazione di entalpia, usando le relazioni differenziali precedentemente introdotte. Dall’espressione del differenziale totale dell’entalpia espressa in funzione di p e T otteniamo d∆Hm,trans = ∂(Hm,1 − Hm,2 ) ∂T dT + ∂(Hm,1 − Hm,2 ) ∂p p dp (4.16) T ma sappiamo che ∂Hm,i ∂T = cp,i (4.17) p dove con cp indichiamo per brevità la capacità termica molare precedentemente chiamata Cp,m . Usando le relazioni Maxwell invece otteniamo ∂Hm,i ∂p = −T T ∂Vm,i ∂T + Vm,i (4.18) p sostituendo nella (4.16) si trova d∆Hm,trans = ∆cp dT + ∆Vm − T ∂∆Vm ∂T dp (4.19) Poiché dp e dT sono legate dall’equazione di Clapeyron, possiamo eliminare uno dei due differenziali (ricordiamo che queste espressioni sono valide solo lungo la curva di transizione), fino ad ottenere l’equazione di Planck: d∆Hm,trans dT ∂∆Vm ∆Hm,trans = ∆cp + − ∆Hm,trans T ∂T (4.20) p Per una transizione liquido-vapore l’ultimo termine dell’equazione di Planck è uguale ed opposto al secondo, se si trascura il volume molare del liquido e si assume la legge dei gas perfetti per il vapore, consentendo perciò di scrivere semplicemente d∆Hm,vap dT = ∆cp (4.21) Se assumiamo che la variazione di capacità termica molare nel liquido e nel vapore sia nulla, la variazione di entalpia è costante rispetto alla temperatura. La forma integrata dell’equazione di Clausius-Clapeyron diviene percioò ∆Hm,vap p = p exp − R ∗ 1 1 − ∗ T T (4.22) Piú in generale possiamo integrare l’equazione di Clausius-Clapeyron assumendo che ∆cp sia costante e diverso da zero, od anche assumere una forma funzionale (ottenuta da dati sperimentali) per ∆cp (di solito espresso in funzione di potenze della temperatura).