Deperimento del melo: come prevenire la moria delle piante

DAI FRUTTETI PIEMONTESI
Le possibilità d’intervento per limitare il fenomeno
Deperimento del melo:
come prevenire la moria delle piante
L
a moria di numerose piante di melo verificatasi negli ultimi anni in Piemonte è imputabile al cosiddetto “deperimento del melo” (Fig. 1). In primavera, le piante colpite collassano in breve tempo, i rami e
i giovani germogli prima avvizziscono e poi disseccano
(Figg. 2 e 3). Si tratta di un fenomeno che interessa in
modo particolare gli impianti in fase di allevamento ed
è determinato da una serie di fattori dei quali si dà una
breve descrizione. Le osservazioni che seguono sono
frutto della collaborazione tra il Creso e l’Università Politecnica delle Marche (professor Davide Neri).
Caratteristiche del terreno
Terreni sciolti e poveri di nutrienti (sostanza organica < 1,5 %) risultano essere più favorevoli all’insorgenza del fenomeno. In queste situazioni le piante sono
maggiormente soggette a stress idrici, sviluppano vasi
di dimensione maggiore, i tessuti sono teneri e la loro
lignificazione risulta più difficile.
Condizioni climatiche
Le temperature invernali giocano un ruolo decisivo
nel determinare il deperimento del melo e spesso ne
rappresentano il fattore scatenante: valori compresi tra
-15 e -20 °C rappresentano il limite oltre
il quale si osservano
danni. Tali temperature, oltre a danneggiare il tessuto vascolare, determinano la
formazione di ferite
su tronco/rami attraverso le quali possono penetrare diversi
patogeni, in particolare, nelle nostre
realtà, lo Pseudomonas syringae pv. syringae: batterio criofilo per eccellenza. Autunni molto piovosi e
relativamente caldi
mantengono eccessivamente idratati i tessuti, i quali risultano
più sensibili ai primi
freddi invernali e favoriscono l’insorgenza del fenomeno. Va
sottolineato che esiste una forte interaFig. 1 - Pianta di melo in allevamento colpita
zione fra la gestione
da deperimento del melo.
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Fig. 2 - Disseccamento apicale di un ramo.
della concimazione e dell’irrigazione con i danni determinati da condizioni climatiche avverse.
Reimpianto
I problemi maggiori si osservano in quegli appezzamenti nei quali si susseguano più cicli della stessa
specie (melo dopo melo), ma possono essere presenti anche dopo specie diverse (es. melo dopo pesco).
In questi casi il fenomeno della “stanchezza del suolo” gioca un ruolo determinante in quanto le tossine
presenti nel terreno impediscono una corretta crescita degli apparati radicali delle giovani piante. Se si assommano al reimpianto i fattori climatici e/o pedologici ricordati nei punti precedenti, la probabilità di
insuccesso e di moria aumenta in maniera esponenziale.
Le patologie
Dalle analisi condotte dal Settore Fitosanitario
della Regione Piemonte su piante sintomatiche è stato isolato in più campioni il batterio Pseudomonas syringae pv. syringae. Questo batterio, già causa della
moria di interi albicoccheti, è risultato in questi ultimi anni aggressivo anche su melo. Si tratta di un batterio criofilo che predilige tessuti teneri molto idratati e trova l’ottimo per insediarsi con temperature minime al di sotto dei -10°C. La sintomatologia osservata in campo consiste nella presenza di necrosi superficiali con distacco dell’epidermide e presenza di
corteccia spugnosa (Fig. 4). Dall’esperienza maturata
in questi anni si pensa che il batterio in questione
non sia la causa principale del fenomeno del deperimento, bensì una delle diverse componenti che concorrono a originare il fenomeno. Tuttavia nelle sinto-
Come affrontare il fenomeno
del deperimento del melo
Fig. 3 - Germoglio avvizito.
matologie rappresentate dalla presenza dei tipici cancri sul tronco lo Pseudomonas syringae pv. syringae è
sempre stato isolato. Si esclude invece che funghi
(nectria) e insetti (scolitidi), riscontrati in diversi meleti colpiti, rappresentino la causa primaria del deperimento.
Progettazione dell’impianto
La progettazione dell’impianto, la preparazione
del terreno e la conduzione delle piante in fase di allevamento sono determinanti per favorire o meno il
Questo fenomeno, molto complesso, non trova rimedi curativi, bensì preventivi. Vi sono infatti una serie di accorgimenti che possono limitare/evitare
il deperimento se adottati già prima di mettere a dimora le piante: unʼanalisi
accurata delle condizioni pedologiche, dellʼeventualità che si tratti di un reimpianto, unʼattenta scelta del portainnesto, del sesto dʼimpianto e della gestione agronomica post-impianto.
Contro temperature “polari” non vi sono rimedi pratici se non favorire la
lignificazione dei tessuti con una conduzione agronomica attenta e razionale.
Nei meleti colpiti si consiglia di realizzare 1 intervento con induttori di resistenza (fosfiti o fosetyl-aluminium) prima e dopo la fioritura. Si sconsiglia
invece di effettuare concimazioni azotate in quanto gli apparati radicali di
queste piante già in difficoltà potrebbero essere stressati ulteriormente e collassare in breve tempo; in questo caso sono quindi da preferire apporti di nutrimenti (alghe, acidi umici, ecc.) per via fogliare nel corso della stagione vegetativa.
Si sconsiglia inoltre di eseguire potature drastiche in verde in quanto
potrebbero essere letali. Inoltre, al fine di ridurre lʼincidenza negativa delle
temperature invernali risulta necessario preparare adeguatamente la pianta prima dellʼarrivo della stagione fredda, favorendo la lignificazione dei
tessuti.
Occorre ridurre la frazione azotata nel corso della stagione vegetativa,
eseguire un ciclo di 3 trattamenti a base di prodotti rameici dopo il periodo di
raccolta fino alla completa caduta foglie e realizzare lʼimbiancatura del tronco prima dellʼarrivo delle temperature fredde.
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In ricordo di Giorgio Bargioni
Ci eravamo sentiti non più di due settimane prima della sua morte per un viaggio di studio che stava organizzando per un gruppo di tecnici cileni in visita in Italia la prossima estate. Il prof. Giorgio Bargioni aveva
86 anni, ma era impossibile pensare a lui come ad un anziano pensionato, preso comʼera da tante iniziative, soprattutto di divulgazione di quella scienza frutticola che ha coltivato per tutta la sua lunga vita. Da
buon fiorentino, il prof. Bargioni aveva una perfetta padronanza della lingua italiana che gli consentiva di
comunicare anche i concetti più complicati con chiarezza e semplicità. Egli apparteneva a quello straordinario gruppo di allievi del prof. Morettini che, negli anni dʼoro della frutticoltura italiana del secondo dopoguerra, hanno saputo guidare e far crescere la ricerca frutticola italiana portandola ai massimi livelli internazionali.
Chiamato nel 1955 alla direzione dellʼIstituto Sperimentale di Frutticoltura della Provincia di Verona, Giorgio
Bargioni ha saputo inserire quella struttura in un circuito di ricerca nazionale e, attraverso il Comitato Ortofrutticolo della Camera di Commercio veronese, di cui è stato uno degli instancabili animatori insieme con
Severino Fraccaroli e Attilio Febi, aprirlo alla frutticoltura internazionale.
La sua ricca attività di ricerca ha riguardato molti aspetti e molte specie da frutto (fisiologia, biologia fiorale,
forme di allevamento, conduzione del suolo, studi varietali, miglioramento genetico di ciliegio, fragola, pesco, melo, pero, olivo) ma sono soprattutto due le ricerche nelle quali è stato pioniere: il miglioramento genetico del ciliegio iniziato alla fine degli anni ʼ50 e la coltura della fragola allʼinizio degli anni ʼ60. Come “breeder” del ciliegio Bargioni, oltre a costituire cultivar tradizionali di grande successo come Giorgia e Adriana, è stato il primo ad intuire la potenzialità delle varietà di ciliegio da raccogliere per scuotimento senza peduncolo e a costituire una serie di cultivar portatrici di questo carattere, purtroppo trascurato dai produttori italiani e, di recente, sfruttato commercialmente dagli spagnoli. Il materiale genetico che ha lasciato sarà ancora, per molto tempo, una preziosa fonte di caratteri per il miglioramento varietale del futuro. Nel settore della fragolicoltura, Bargioni e il collaboratore Tiziano Tosi, insieme a Filippo Lalatta a Roma e lʼUniversità di Bologna, sono stati i fautori del completo rinnovamento della fragolicoltura nei primi anni ʼ60 (adozione della coltura annuale, frigoconservazione delle piantine, vivaismo specializzato basato su materiale certificato virus-esente).
Nel salutare Giorgio Bargioni non si può non ricordare la sua innata signorilità, il tratto più caratterizzante la personalità di questo grande
studioso della frutticoltura italiana, stimato e benvoluto da tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di collaborare con lui.
Carlo Fideghelli
CRA, Unità di Ricerca per la Frutticoltura - Roma
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debbano sistemare terreni con importanti dislivelli si
dovrà comunque riportare la cotica naturale, precedentemente asportata e accumulata, nello strato superficiale.
In caso di terreni poveri (Sostanza Organica < del
1,5 %) a tessitura grossolana, soprattutto nel caso dei
reimpianti, è necessario apportare un’adeguata quantità di sostanza organica, in quanto vi è la necessità di
migliorare le proprietà chimico-fisiche del terreno
che verrà a contatto con i giovani apparati radicali.
Risulta quindi fondamentale mettere a disposizione
delle piante, prima dell’impianto, una quantità adeguata di sostanza organica (letame, compost) senza
eccesso di N. Le concimazioni azotate sono da limitarsi al minimo alla 1°-2° foglia (10-15 unità N/ha) e
dovranno essere eseguite con opportuna attenzione e
ripartizione durante il ciclo vegetativo nella successiva fase di produzione.
Gestione delle piante
nella fase di allevamento
Gli astoni/astoncini appena messi a dimora dovranno essere gestiti considerando il tipo di terreno e
il ristoppio.
Fig. 4 - Necrosi e sfogliature a livello del punto d’innesto.
fenomeno del “deperimento del melo”. Molto sovente queste variabili sono sottovalutate e la causa dei
danni nasce proprio da scelte errate al momento della realizzazione dell’impianto e da una gestione
agronomica poco razionale nei primi anni di vita delle piante.
Dopo aver operato la scelta della varietà e la corretta combinazione varietà-portainnesto, si dovrà determinare una distanza d’impianto appropriata. La
tendenza odierna è quella di ridurre al minimo lo
spazio tra una pianta e l’altra al fine di avere un numero maggiore di piante produttive. In molti casi si
scende al di sotto del metro (80-90 cm). Con piante
troppo ravvicinate la competizione naturale e la mancanza di luce possono favorire un indebolimento generale delle stesse, rendendole più sensibili a deperimenti e/o parassiti.
Preparazione del suolo prima dell’impianto
La lavorazione superficiale del terreno, come peraltro, in caso di reimpianto, l’eliminazione delle radici presenti, sono basilari prima di mettere a dimora
i giovani astoni. Suoli a tessitura fine risultano spesso
compattati e vi è la necessità di “ristrutturare” il terreno. Si consigliano, di conseguenza, rippature in condizioni di tempera per ridurre la compattazione del
topsoil e lavorazioni leggere in superficie come un’aratura poco profonda (20-30 cm) e l’erpicatura. È invece da sconsigliare la pratica del “livellamento di
precisione” (laser) quando la sua applicazione comporta il trasporto in superficie degli orizzonti più
profondi (oltre 20 cm), ancora in fase di alterazione
fisico/chimica, e che quindi comprometterebbe la
fertilità di dotazione dell’appezzamento. Nel caso si
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Tipo di terreno:
• In presenza di terreni con una buona disponibilità di nutrienti a tessitura franca è consigliabile evitare concimazioni nelle prime fasi di allevamento, eccezion fatta per un adeguato apporto di s.o. Risulta invece necessario eseguire una
“potatura all’impianto” eliminando le branche
più grosse, mentre le piegature dovranno essere
eseguite solamente sulle branche di lunghezza
superiore ai 60 cm.
• In presenza di terreni sciolti e poveri di nutrienti si consiglia di apportare un’adeguata
quantità di s.o., eliminare da subito le branche
più grosse e proporzionare il numero di rami
con il volume dell’apparato radicale. Si consiglia inoltre di irrigare con una frequenza maggiore rispetto al caso precedente.
Ristoppio: nel caso dei rimpianti, allo scopo di ridurre la massa vegetativa e di equilibrare la pianta già
dalle prime fasi di allevamento, è necessario procedere alla rimozione dei rami con calibro superiore ad
1
/3 di quello del fusto e la successiva spuntatura dei
rami mantenuti: si consiglia di eliminare un 30% dei
rami presenti. Sono invece sconsigliabili interventi di
potatura verde che potrebbero indebolire la pianta.
Particolare attenzione va riservata agli apporti nutrizionali, cercando di evitare squilibri ed eccessi di salinità dovuti alla concimazione.
Nella maggior parte dei casi un impianto di melo
viene realizzato nei mesi di marzo e aprile, trascorsa
la fase invernale. La fioritura delle giovani piante appena messe a dimora costituisce un dispendio non indifferente di energia che potrebbe inficiare la buona
riuscita dell’impianto. Si consiglia quindi di eliminare i fiori presenti o i frutticini appena allegati. Il carico produttivo alla 1ª foglia dovrà essere nullo e alla
2ª foglia attentamente valutato: in presenza di piante
che al 2° anno manifestino problemi sarà necessario
azzerare nuovamente la produzione.
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