I costi di transazione e la dimensione dell’impresa L’esecuzione delle operazioni necessarie all’impresa per svolgere il suo compito, cioè combinare fattori di produzione per ottenere un profitto, richiede in generale qualche costo aggiuntivo che può non essere evidente quando si immagina l’impresa come un puro luogo logico di trasformazione dei fattori in prodotti. Altri esempi di questo tipo di costi possono essere la necessità di controllare i flussi interni di beni da una linea all’altra, i flussi di informazione da un reparto all’altro, le operazioni svolte dai dipendenti, e così via. Questi costi interni aggiuntivi esistono in quanto l’impresa è un’organizzazione o, come alcuni dicono, una gerarchia. In un’organizzazione l’attività non è regolata da segnali a cui i soggetti rispondono in modo automatico, come sembra invece accadere quando i consumatori e le imprese reagiscono ai prezzi dei beni attraverso curve di domanda e offerta. Un’organizzazione richiede progettazione, sperimentazione e controllo delle routine interne, cioè richiede una struttura gerarchica che è costosa. La causa principale di questi costi è che molte relazioni interne sono relazioni di lungo periodo, stabilite con contratti per così dire generici, che non prevedono l’intera sequenza delle operazioni che ogni partecipante dovrà eseguire: tali contratti prevedono solo che i partecipanti dovranno eseguire di volta in volta le azioni che qualche superiore richiederà loro, a seconda delle esigenze del momento. Naturalmente, ci deve essere un insieme di garanzie per il dipendente, per evitare che egli si trovi ad eseguire attività irragionevoli o per lui impossibili. Non esistono, quindi, sistemi di segnalazione che automatizzano tutte le attività, se non in una futuribile impresa dove operano solo robot. Si pongono quindi dei problemi di monitoraggio, vale a dire di azione nascosta, delle attività svolte dai partecipanti, e anche il monitoraggio e le attività tese a fare rispettare gli impresi presi contrattualmente, sono costosi. Tutti questi costi interni, sostenuti dall’impresa in quanto organizzazione e non in quanto acquirente di fattori, possono essere chiamati costi di organizzazione. Di fronte a queste osservazioni, ci si potrebbe domandare perché le attività dell’impresa non vengano invece svolte in modo più flessibile, quale era quello descritto implicitamente nella prima parte di questo capitolo: ogni giorno ci si informa sui prezzi dei fattori e dei prodotti, si va al mercato dei fattori e se ne compra la quantità desiderata, si svolge la produzione, e infine si liquida tutto la sera. Ciò potrebbe accadere solo se l’utilizzo continuo dei mercati non fosse esso stesso un’attività costosa. Si considerino, però, i seguenti fatti. Per poter utilizzare in modo continuo i mercati, in alternativa a contratti interni di lungo periodo, occorre in primo luogo trovare i fornitori e i clienti. Occorre poi verificare la qualità dei fattori necessari per la produzione, far rispettare i termini di consegna e più in generale i contratti della loro fornitura, produrre e consegnare i prodotti come concordato con i clienti, avere certezza riguardo ai diritti di proprietà sui beni e servizi scambiati sui mercati, affrontare spese assicurative o legali in caso di mancato o manchevole rispetto dei termini contrattuali. Tutte queste attività collaterali comportano costi, chiamati costi di transazione. Essi sono aggiuntivi rispetto al pagamento dei fattori, e dipendono solo dal fatto che si utilizzano i mercati per svolgere la propria attività. È intuitivo che i costi di transazione diminuiscano all’aumentare dell’internalizzazione. Ma è fallace pensare che allora, per eliminarli, basti internalizzare tutte le attività: al limite, dovrebbe esistere una sola impresa che ricopre tutta l’economia e viene gestita in modo gerarchico, cioè senza mercati. Questa illusione, in un certo senso, è quella che anima chi pensa che si possa progettare, o come si dice, “pianificare” l’economia dal centro, facendola funzionare come una singola macchina. I proibitivi costi organizzativi, e la diffusione dei fenomeni di “comportamento negligente”, fanno fallire questo progetto, come la storia del Novecento pare dimostrare. I costi che abbiamo chiamato organizzativi crescono man mano che cresce l’internalizzazione, cioè la percentuale di attività svolte tramite contratti di lungo periodo anziché tramite l’uso dei mercati. Viceversa, i costi di transazione crescono man mano che aumenta il decentramento produttivo, cioè quando l’impresa si rivolge più intensamente ai mercati per le sue necessità; in altri termini, i costi di transazione diminuiscono quanto aumenta l’internalizzazione. La Fig. 1 può rappresentare queste idee in modo appropriato: si noti che stiamo parlando di costi totali, non marginali. Figura 1 La quota di internalizzazione Costi CTOT CTRA COR 0 Attività internalizzate x Attività decentrate 100% Man mano che l’internalizzazione passa da 0 al 100%, e dunque il decentramento produttivo passa dal 100% a zero, i costi organizzativi, indicati con CORG, aumentano in modo più che proporzionale, mentre i costi di transazione, indicati con CTRA, diminuiscono sempre più lentamente. Si ricordi che i costi qui indicati non sono i costi per l’acquisto dei fattori, ma sono i soli costi collaterali di organizzazione interna oppure di transazione. La posizione ottima per l’impresa è quella in cui i costi totali, CTOT = CORG + CTRA, sono minimi, cioè quella in cui l’internalizzazione è pari a x%. Questa analisi può costituire una spiegazione del fatto stesso che esistano imprese, cioè gerarchie, e non solo sequenze di pure transazioni di mercato. Dal punto di vista non qualitativo, cioè relativamente al problema di quanto decentrare, essa ci insegna che le imprese possono decidere di decentrare semplicemente perché i costi di organizzazione sono elevati, e non solo perché i prezzi del lavoro e delle macchine sono elevati.