12/11/2016 Le basi non-economiche dello sviluppo economico regionale Geografia del made in Italy http://www.memotef.uniroma1.it/node/6785 Filippo Celata ([email protected]) 3 ottobre – 21 dicembre 2016 (lunedì, martedì, mercoledì, 16-18, Aula 6A) K. Polanyi, “la grande trasformazione: le origini economiche e politiche del nostro tempo” (1944): - Lo sviluppo dell’economia di mercato (“grande trasformazione”) non è un processo ‘naturale’ e autonomo di “sradicamento” dai condizionamenti non economici e dalle regole che vincolano l’azione individuale nelle società tradizionali - le istituzioni (dello Stato) sono state e sono fondamentali per lo sviluppo e la regolamentazione dell’economia di mercato. - il (libero) mercato è una costruzione sociale e politica, creato per assumere le sembianze di un meccanismo completamente autoregolato, autonomo e sovraordinato alla società e alla politica. - il funzionamento dell’economia è sempre “radicato” in un particolare sistema sociale e politico. - terra, denaro e lavoro sono ‘beni fittizi’ - L’homo oeconomicus non esiste… Le ISTITUZIONI: qualsiasi dispositivo sociale, culturale e collettivo che regola le relazioni tra agenti economici - istituzioni formali: organizzazioni collettive (Stato e istituzioni pubbliche, leggi e regole esplicite; istituzioni ‘intermedie’: associazioni, consorzi, servizi comuni, economia associativa) - istituzioni informali (o ‘morbide’): norme scritte o non scritte, implicite o esplicite, e pratiche che regolano le relazioni all’interno del sistema sociale (consuetudini, sanzioni sociali, fiducia, cooperazione, reciprocità, ‘convenzioni’) Istituzionalismo classico (Veblen, Polanyi), nuova economia istituzionale (Williamson, North, Ostrom), nuova sociologia economica (Granovetter) Istituzionalismo - Il funzionamento ‘naturale’ e autonomo del mercato (livello dei prezzi, razionalità e utilità) non è sufficiente a regolare le relazioni economiche. - Le istituzioni non si sviluppano solo per ovviare a fallimenti del mercato, o per convenienze micro-economiche (costi transazione) - Le istituzioni non sono importanti solo nelle società ‘tradizionali’, e non agiscono soltanto come vincolo all’agire economico individuale. - Lo sviluppo delle economie di mercato non è una progressiva liberazione dai vincoli non-economici tipici delle società preindustriali. Istituzionalismo e globalizzazione: l’estensione geografica delle relazioni economiche richiede istituzioni più efficaci e pervadenti che non in un’economia tradizionale (North) Sviluppo regionale come processo di ‘ispessimento localizzato di istituzioni’ (o di relazioni) (geografia economica istituzionalista) 12/11/2016 Le basi non-economiche dell’economico: il “capitale sociale” (1) Il “capitale sociale” (2) b) dimensione contestuale/collettiva (macro) (J. Coleman, Social capital in the creation of human capital, 1988): l’agire economico richiede un certo livello di capitale sociale (es. fiducia, informazioni, relazioni); il capitale sociale come risorsa collettiva (misurabile) e sempre benefica Un capitale sociale debole favorisce individualismo e ‘cattura della rendita’, scoraggia l’iniziativa economica o compromette l’efficacia delle organizzazioni -> il capitale sociale si può costruire, promuovere.. incentivando l’associazionismo o valorizzando istituzioni intermedie e “società civile” -> capitale sociale = sviluppo (Fukuyama) a) dimensione individuale (micro) (P. Bordieu, La distinzione: critica sociale del gusto, 1979): la qualità delle relazioni interpersonali come strumento di realizzazione sociale degli individui (e di riproduzione del potere e delle disuguaglianze) c) dimensione organizzativa e territoriale (meso) (R. Putnam, Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy, 1993): senso civico, istituzioni formali, gruppi o associazioni (“società civile”) fondamentali per sostenere le relazioni sociali e favorire lo sviluppo economico di regioni e paesi Il “capitale sociale” (3) - partecipazione individuale alla vita collettiva (associazionismo, volontariato, partecipazione al voto, ecc.) - “senso di appartenenza” - densità (e forma) delle relazioni interpersonali (social network analysis ..and drawing) Alcune distinzioni: Bonding vs. bridging social capital Enabling vs. disabling social capital Social network analysis ..and drawing Metodi di misura: - grado di fiducia reciproca c) …R. Putnam, Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy, 1993 (2): senso civico (-> propensione all’azione collettiva) –> fiducia e reciprocità -> sviluppo economico / associazionismo vs. individualismo (“bowling alone”) / comunità vs. conflitto Omofilia (relazioni con soggetti simili vs. dissimili in termini di età, genere, classe, occupazione, ecc.). Reciprocità e mutualità. Transitività (A-B, A-C, BC). Propinquità (prossimità geog.); “Distanza” (es. 6 gradi di separazione) Chiusura/apertura. Densità. Coesione. Centralità (importanza o influenza) e posizione. 12/11/2016 La forza dei legami deboli (Granovetter, American Journal of Sociology, 1973) Legami deboli (socialmente) irrilevanti o peggio alienanti? Forza del legame: f(sovrapponibilità relazioni di amicizia di diversi soggetti) “Bridge”: legami esclusivi tra network separati (l’unico percorso che unisce due insieme di relazioni forti) La forza dei legami deboli (2) La diffusione (dell’informazione, dell’innovazione..) su lunghe “distanze sociali” passerà soprattutto attraverso (soggetti che hanno molti) legami deboli (es. ricerca di lavoro, opportunità di mobilità sociale, imprenditorialità..) Il “bridge” non può essere un legame forte (unisce individui che non condividono le stesse reti di amicizie) L’organizzazione/integrazione di gruppi/comunità è facilitata da legami deboli/bridge che uniscono sub-gruppi molto coesi Il “capitale sociale” (4) Critiche: - la trasformazione del concetto in “scatola” nella quale infilare qualsiasi dimensione extra-economica e sociale… - …che può quindi essere trattata come variabile quantitativa (quantità vs. qualità del capitale sociale:) - esiste un capitale sociale buono ma anche uno cattivo (es. mafia) - la problematica individuazione di rapporti di causa-effetto. - la forma delle relazioni sociali non ci dice nulla sul loro contenuto - spiegazioni iper-socializzate e ipo-socializzate e il problema del “radicamento” (-> Granovetter) “Nuova sociologia economica”: radicamento sociale - > radicamento relazionale (embeddedness) (Granovetter M. 1985, Economic action and economic structure: The problem of embeddedness) L’agire economico non è condizionato, vincolato o facilitato dal contesto sociale/istituzionale, ma “radicato” in reti concrete e dinamiche di relazioni sociali inter-personali Prospettiva ‘relazionale’, meso, vs. prospettive ipo-socializzate e atomistiche (anonimato, razionalità e self-interest), e vs. prospettive iper-socializzate (valori e norme come vincolo esterno all’agire economico) -> L’informazione (che) fluisce attraverso reti di relazioni interpersonali (è economica, accurata, affidabile) -> Le relazioni economiche non si svolgono nello spazio astratto del mercato, ma sul territorio materiale della vita di tutti i giorni (micro vs. macro = meso) 12/11/2016 Implicazioni “geografiche”… - Il “radicamento territoriale”: qualsiasi relazione sociale è radicata in specifici luoghi dove l’interazione sociale è fisicamente possibile. Radicamento territoriale? Le tre dimensioni del radicamento - La scala locale come scala della socializzazione, dell’esperienza diretta, dell’osservazione, alla quale si estendono la gran parte delle nostre relazioni sociali/economiche - Sviluppo regionale e “institutional thickness” (Amin e Thrift, 1994): forti istituzioni formali (intermedie), densa interazione sociale, senso di appartenenza. - Il paradosso della globalizzazione: in un sistema economico sempre più globale, il vantaggio competitivo si basa su relazioni sociali localizzate (spatial fixity). - Politiche locali e “istituzionali”: “beni relazionali”, sviluppo locale, nuovo regionalismo, capitale sociale, radicamento, “costruzione delle istituzioni”.. Hess M. (2004), Spatial relationships? Towards a reconceptualization of embeddedness, Progress in Human Geography 28(2). Il “nuovo regionalismo” Il “nuovo regionalismo” (2) La “riscoperta del territorio” e delle basi locali e regionali dello sviluppo e della competitività (vs. globalizzazione) A. Amin (1999), An institutionalist perspective on regional economic development: Traditional approach (“firm-centered, incentive-based, state-driven and standardized”) vs. “New regionalism” (“region specific, bottomup, longer-term and plural-actor”) La critica agli approcci centralistici, ‘top-down’ e tecnocratici (esogeno/endogeno): - ‘Rescaling’ economico e politico (Brenner 2004), devoluzione, sussidiarietà e “Europa delle regioni”… - ‘Rescaling’ + - Governance (Rhodes, 1996, governance: “Governing without governments”): attori locali, non statali e non pubblici (soggetti intermedi, società civile) = governance verticale, orizzontale (e multilivello). Le dimensioni non-economiche dello sviluppo economico regionale: - istituzioni (formali locali/regionali). - relazioni (istituzioni informali o ‘morbide’, capitale sociale, “beni relazionali”, “governo delle interdipendenze”) - cultura: diversità, comunità, identità, senso di appartenenza, territorialismo, localismo… 12/11/2016 - Globalizzazione e squilibri geografici = "morte della distanza", "fine della geografia", "mondo piatto"? Dallo spazio gerarchico allo spazio policentrico La critica all’intervento straordinario nel Mezzogiorno d’Italia: - Finanziamenti a pioggia e degenerazioni politiche - Settori sbagliati - Strumenti sbagliati (incentivi micro-economici). - Scarsa considerazione delle caratteristiche del “contesto”, delle variabili qualitative e non-economiche: spirito imprenditoriale, disponibilità di capitali, forza lavoro qualificata, ambiente innovativo - Logica settoriale e non integrata - Attrazione di imprese esterne grazie a vantaggi di costo - Il problema della (de)responsabilizzazione dei soggetti destinatari/beneficiari -> autonomia Europe of “grapes” (Kunzmann & Wegener 1991) Trigilia C, 1994, “Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno”, Il Mulino. Lo “sviluppo locale” Lo “sviluppo locale” in Italia (2) - Critica del centralismo tecnocratico, es. intervento straordinario 2) La “programmazione negoziata” (1996): Contratto d'area (accordo PA-sindacati-imprese per aree in crisi occupazionale) / Patti Territoriali (accordo PA-parti sociali-altri sogg. pubblici e privati per programma di interventi): approccio “competitivo”. Soggetti promotori / sottoscrittori / responsabili) (20% delle risorse nazionali nel periodo 2000-2006) - Europeizzazione e regionalizzazione politiche di sviluppo regionale - Decentramento amministrativo e “società civile” - Forte influenza studiosi distretti industriali e del “territorialismo” Strategie ‘mirate’, basate sulle specificità regionali (vs. sviluppo esogeno), complessive, olistiche o “integrate”: capitale fisso territoriale e fattori di contesto (vs. incentivi micro-economici e riduzione costi imprese) + autonomia locale + collaborazione Bonomi A and De Rita G (1998) Manifesto per lo sviluppo locale: Dall’azione di comunità ai Patti Territoriali. Torino: Bollati Boringhieri. 1) Esperimenti spontanei all’inizio degli anni ‘90 3) A livello UE: Programma Leader di sviluppo rurale e “Gruppi di Azione locali” (’90). Patti territoriali per l’occupazione (1998) 5) Progetti integrati territoriali nel mezzogiorno (2003) 6) Politiche destinate ai distretti (industriali / L. 317/1991, culturali, ecc.) o a sistemi locali (turistici, produttivi, ecc.). 7) (“Pianificazione strategica” in ambito urbano/metropolitano) 12/11/2016 Lo “sviluppo locale” in Italia (3) Programmazione negoziata / Patti territoriali a) Dimensione locale: individuazione di sistemi locali e “regioni” a prescindere dalle delimitazioni degli enti amministrativi (omogeneità, integrazione funzionale, specializzazione, identità): delimitazione dal basso (Patti territoriali) e dall’alto (Progetti integrati territoriali) Approccio competitivo e “contrattuale” Patti territoriali per l’occupazione (UE, 1998) Progetti integrati territoriali (2003-2006) come modalità di attuazione delle politiche UE di sviluppo regionale 12/11/2016 Sovrapposizione, coordinamento, continuità b) Dimensione progettuale: - importanza delle caratteristiche e delle specificità del “contesto” (vs. strategie standardizzate) Politiche “settoriali” vs. politiche “territoriali” - approccio “mirato” e progetto unitario (“idea forza”) - approccio “integrato” tra settori e canali di finanziamento -incentivi alle imprese + interventi infrastrutturali e “beni collettivi” materiali e immateriali - approccio “contrattuale” vs. approccio normativo - selezione programmi: approccio competitivo e multi-livello - selezione dei progetti/interventi in fase di programmazione piuttosto che in fase di attuazione (+ ruolo banche) - approccio sperimentale Approccio settoriale: le TransEuropean Networks 12/11/2016 c) Dimensione collaborativa: coinvolgimento attivo di un’ampia platea di “attori locali” e soggetti “rappresentativi” (stakeholder) in “partenariati” (orizzontali e verticali) fin dalla fase di programmazione/concertazione e come soggetti gestori/responsabili Lo “sviluppo locale” / critiche e questioni aperte (1) - Sottovalutazione dell’importanza di attori e processi che agiscono ad altre scale nazionali e globali, dal punto di vista politico (governance multi-livello) e strategico (sviluppo locale e competitività globale) - “Trappola locale” (Purcell): l’associazione di valori necessariamente “positivi” alla scala locale (territorialismo progressista vs. conservativo/identitario). - Ossessione per autonomia e “competizione tra territori” (vs. solidarietà, complementarità, sinergie) - Eccessiva frammentazione delle strategie e delle risorse. Scarso coordinamento tra luoghi e tra scale di intervento. - Procedure complesse, mancanza di competenze locali, ruolo sostitutivo dei tecnici, scarsa assistenza tecnica e incapacità di spesa. Lo “sviluppo locale” / critiche e questioni aperte (2) - “Concertazione vuota” e scollamento tra programmazione e attuazione. - Replicazione acritica di strategie e narrative standardizzate (vs. differenziazione e sperimentalismo), e “iso-morfismo istituzionale” (“institutional mono-cropping”) - Il problema della rappresentatività della società civile e i limiti della partecipazione (la “struttura delle opportunità partecipative”) -I paradossi del capitale sociale: amplificazione o trasformazione delle condizioni di partenza? - Il rischio di “policy-capture” da parte delle elite locali (“coalizioni collusive”), opportunismo e rent-seeking (vs. accountability) - Inadeguatezza degli strumenti di intervento (settoriali, firmcentered e project-based) Approccio place-based nelle politiche EU di sviluppo regionale - Concentrazione risorse nelle regioni in ritardo (vs. spatially-blind) - Regionalismo e autonomia locale/regionale (vs. ricentralizzazione) - Conoscenza locale, aggregazione preferenze, istituzioni “morbide” - Differenziazione e sperimentalismo Problemi: “investimenti inappropriati (…) elusione del ruolo di guida e monitoraggio in nome della sussidiarietà, rafforzando élite esistenti e istituzioni inefficienti, creando rendite (…); scarso coordinamento” Soluzioni: governance multi-livello, linee guida, controlli e valutazioni più efficaci e dall’alto + dibattito pubblico e alzare il “costo morale” di comportamenti opportunistici + concentrazione Barca F. (2009), An Agenda for A Reformed Cohesion Policy: A Place-Based Approach to Meeting European Union Challenges and Expectations. Independent Report, European Commissioner for Regional Policy, Brussels. 12/11/2016 L’approccio place-based nelle politiche regionali UE, periodo di programmazione 2014-2020 - integrated territorial investments (ITI): integrazione di fondi da diversi assi prioritari /PO per strategie multi-dimensionali in specifici territori (da quartieri ad aree inter-regionali e trans-frontaliere) - community-led local development (CLLD): aree sub-regionali + approccio “dal basso” / gruppi di azione locali con privati e società civile (con potere decisionale > 50%) + networking e cooperazione “Transaction costs” theory Pro Make -> Gerarchia -> migliore controllo, economie di scala interne, efficacia O Buy -> Mercato -> Prezzi minori, adattabilità, specializzazione, efficienza Contro -> Burocratizzazione, rigidità, diseconomie di scala -> Incertezza, costi di coordinamento, rischi di comportamenti opportunisitci Williamson, Oliver E. (1981). The Economics of Organization: The Transaction Cost Approach. The American Journal of Sociology, 87(3), pp. 548-577. Reti d’impresa, out-sourcing, prossimità e “costi di transazione” Se è vero che la transazione di mercato (anonima e standardizzata) è la modalità più efficace ed efficiente di scambio economico, per quale motivo esistono organizzazioni come le imprese? ? Transaction cost theory (Coase 1937, Williamson 1981): l’impresa come dispositivo organizzativo per ridurre i costi (non-economici) delle transazioni di mercato attraverso il CONTROLLO GERARCHICO. I “costi di trasnazione” emergono quando ci sono: incertezza, informazione imperfetta (o complessa, o “proprietaria”), potere di contrattazione squilibrato, azzardo morale e rischio di opportunismo, mancanza di fiducia e lealtà (contratti incompleti) Costi di transazione: 1) search and information costs, 2) bargaining costs, 3) policing and enforcement costs. La teoria dei costi di transazione Le economie avanzate hanno sviluppato dispositivi tecnologici e istituzionali che consentono di ridurre i costi di transazione, aumentare la fiducia e l’affidabilità del mercato, migliorare le capacità di coordinamento (esterno), ridurre il grado di specificità, complessità e ‘proprietà’ delle conoscenze necessarie a produrre la fornitura richiesta, …in un quadro nel quale i fornitori adeguati e specializzati sono sempre più disponibili Soluzioni legali: contrattualizzazione, tutela dei contratti, standardizzazione dei contratti, tutela legale. Soluzioni tecniche: standardizzazione dei prodotti, codificazione delle informazioni, produzione modulare. 12/11/2016 La teoria dei costi di transazione Costi di transazione: implicazioni geografiche Soluzioni organizzative: standard di produzione (globali); frequenza, stabilità e esclusività delle relazioni cliente-fornitore, per ridurre l’incertezza, le asimmetrie informative, scoraggiare I comportamenti opportunistici e migliorare la fiducia. 1) nei paesi più ricchi più sviluppati i costi di transazione sono più bassi, per ampia presenza di fornitori, efficacia sistemi di regolazione dell’economia. Nei paesi più arretrati mancano fornitori, i contratti sono scarsamente tutelati, l'affidabilità della transazione è sottoposta a rischi di natura esterna (es. multinazionali) Corollario: se i costi di transazione dipendono da specificità, complessità e innovatività della fornitura, le imprese esternalizzeranno componenti standardizzate del prodotto (dove conta solo il prezzo) Implicazioni: il mercato, da solo, non basta Costi di transazione: implicazioni geografiche La “California School of external economies” (Scott, Storper) Distretti industriali e cluster come “terza via” tra mercato e gerarchia: - prossimità geografica, senso di appartenenza, condivisioni di valori, conoscenze, informazioni e linguaggi (“convenzioni”), facilitano il coordinamento, aumentano la fiducia, scoraggiano l’opportunismo - concentrazione e prossimità favoriscono lo sviluppo di reti di relazioni tra imprese più intense ed estese rispetto a quanto previsto dalla teoria dei costi di transazione e che non implicano semplici (e anonimi) “scambi di mercato” (fare o comprare? Fare insieme”, Becattini 1998) Scott A.J. (1988), New industrial spaces: flexible production organization and regional development in North America and Western Europe, Pion. 2) I costi di transazione saranno influenzati anche dalla distanza geografica tra cliente e fornitore: la prossimità facilita il coordinamento (es. distretti, just in time). 3) I costi di transazione hanno una notevole variabilità regionale (perché dipendono da elementi socio-culturali, es. distretti) Scott A.J. (1988), New industrial spaces: flexible production organization and regional development in North America and Western Europe, Pion. (Critiche alla teoria dei costi di transazione..) (Nuova sociologia economica) Granovetter e la “teoria del radicamento”: le istituzioni (sociali e politiche) non nascono solo per ovviare a imperfezioni o fallimenti del mercato o come risultato di comportamenti economici razionali: gli scambi di mercato sono sempre “radicati” in reti di relazioni, istituzioni e luoghi (vs. prospettive ipo-socializzate) La teoria “resource-based” dell’impresa (Penrose): le esternalizzazioni (non solo nei cluster) non riguardano solo componenti standardizzate e relazioni asimmetriche, ma anche componenti avanzate per le quali le imprese non hanno possibilità o convenienza a sviluppare conoscenze specifiche. Geografia economica: la prossimità tra imprese simili non facilita soltanto il coordinamento della produzione e le relazioni input-output, ma soprattutto forme di “interdipendenze non-di-mercato” (es. Spillover di conoscenza) + distretti/cluster -> reti di imprese (territoriale -> relazionale): i cluster come nodi locali di reti di produzione globali