Corte di Cassazione - copia non ufficiale

Civile Sent. Sez. 5 Num. 19480 Anno 2016
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: OLIVIERI STEFANO
SENTENZA
sul ricorso 15334-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI
12,
presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente contro
2015
2779
UNITESSILE SPA;
- intimato Nonché da:
UNITESSILE SPA in persona del legale rappresentante
Presidente del C.d.A., elettivamente domiciliato in
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Data pubblicazione: 30/09/2016
ROMA VIA BARNABA TORTOLINI 13, presso lo studio
dell'avvocato MARIO ETTORE VERINO, che lo rappresenta
e difende unitamente all'avvocato GIORDANO DORIGO
giusta delega a margine;
- controricorrente e ricorrente incidentale
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
-
intimato
-
avverso la sentenza n. 12/2009 della COMM.TRIB.REG.
441 __4C1
e7m9YEIA, depositata il 19/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/09/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO
OLIVIERI;
udito per il ricorrente l'Avvocato CAPOLUPO che ha
chiesto l'accoglimento del ricorso principale,
rigetto ricorso incidentale;
udito per il controricorrente l'Avvocato DORIGO che
ha chiesto il rigetto del ricorso principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale.
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condizionato -
Svolgimento del processo
Nel corso dell'anno 2000 UNITESSILE s.p.a. portava in detrazione l'IVA versata in
rivalsa sui canoni (royalties) corrisposti a TANA s.p.a. per la concessione in uso
esclusivo del marchio "TANA", per l'importo complessivo di lire 40.000.000.
della imposta, ritenendo che nell'atto di conferimento del ramo di azienda stipulato tra le
due società nel 1996 doveva presumersi trasferito anche il diritto esclusivo di uso del
marchio, da ritenersi incluso nel corrispettivo versato dalla conferitaria UNITESSILE
s.p.a. mediante cessione di quote del proprio capitale sociale, con la conseguenza che la
contribuente, avendo già acquistato il diritto di sfruttamento temporaneo del marchio, e
non essendo stato esibito alcun contratto di licenza d'uso per il periodo in questione,
non avrebbe dovuto pagare alcun ulteriore canone a TANA s.p.a..
Il ricorso proposto dalla società avverso l'avviso di accertamento relativo alla
liquidazione della maggiore IVA dovuta per l'anno 2000, era accolto dalla CTP di
Treviso con decisione confermata in grado di appello dalla Commissione tributaria
regionale del Veneto con sentenza 19.3.2009 n. 12 notificata all'Ufficio finanziario
locale il 21.4.2009.
I Giudici di secondo grado, rigettata la eccezione di inammissibilità dell'appello
dell'Ufficio finanziario, alla stregua della documentazione prodotta dalle parti (verbali
delle assemblee delle due società; perizia giurata di stima in cui nell'elenco dei beni
trasferiti con la cessione di azienda non figuravano diritti relativi al marchio;
dichiarazioni esplicative rese dal perito; concordi dichiarazioni dei rapp.ti legali in
ordine alla stipula di un primo contratto di licenza decorrente dall'1.1.1997; altro
contratto registrato in data 15.7.2002 avente ad oggetto la licenza d'uso del marchio
dall'1.7.2002 al 31.12.2006; fatture emesse da TANA per royalties), ritenevano legittima
la detrazione dell'IVA da parte della contribuente, dovendo qualificarsi i canoni per
royalties come costi inerenti all'attività d'impresa.
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Cons.
Stefan
ieri
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L'Ufficio di Treviso della Agenzia delle Entrate disconosceva il diritto alla detrazione
La CTR dichiarava inoltre assorbite le altre eccezioni di rito formulate dalla società
resistente ed anche la questione relativa alla applicabilità delle sanzioni pecuniarie,
dedotta solo in via subordinata dalla società.
Confermava inoltre la decisione di prime cure in ordine alla compensazione delle spese
del primo grado rigettando il relativo appello incidentale proposto dalla società
ricorso per cassazione con il quale vengono dedotti con due mezzi vizi di violazione di
norma di diritto e vizi logici di motivazione.
Resiste la società con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a sette
mezzi, depositando anche memoria illustrativa..
Motivi della decisione
Occorre immediatamente rilevare la inammissibilità del secondo motivo di ricorso,
con il quale l'Agenzia delle Entrate deduce il vizio di omessa motivazione ex art.
360co 1 n. 5) c.p.c., in punto di accertamento della stipula di un contratto di concessione
di licenza d'uso del marchio per il periodo decorrente dall'1.1.1997, in quanto sarebbe
stata esibita ai verbalizzanti soltanto una copia della
"bozza di contratto.., del
16.12.1996", atteso che la ricorrente ha omesso di ottemperare al disposto dell'art. 366
bis, seconda parte, c.p.c. non essendo assistito il motivo dalla formulazione della chiara
indicazione del fatto controverso e decisivo sul quale la CTR sarebbe incorsa in errore di
fatto.
E' stato chiarito da questa Corte, infatti, che il complesso normativo costituito dagli
artt. 366, n. 4, 366-bis e 375, n. 5, cod. proc. civ. - nel testo risultante dalla novella recata
dal d.lgs. n. 40 del 2006 - deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i
vizi di cui all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l'illustrazione del motivo deve essere
accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in
maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Con st.
livieri
Stefan
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La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata dalla Agenzia delle Entrate con
della sua ammissibilità, tenuto conto che il requisito di contenuto-forma (consistente nel
ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo)
costituisce un mezzo di esercizio del diritto di accesso al Giudice nell'ambito di un
giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della
legittimità della decisione, sicché il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con
lo scopo e con la funzione del giudizio per il quale è stato imposto come onere a carico
2652 del 04/02/2008).
Ne segue che la illustrazione del motivo di ricorso, non coincide
con la formulazione della indicazione riassuntiva e sintetica del vizio di legittimità, che
costituisce un "quid pluris" rispetto alla specificità del motivo ex art. 366co l n. 4 c.p.c.,
assumendo l'autonoma funzione volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra
la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove
correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (cfr. Corte cass.
Sez. 3, Ordinanza n. 8897 del 07/04/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013; id. Sez. 5,
Sentenza n. 28242 de/ 18/12/2013).
Il primo motivo con il quale l'Agenzia fiscale deduce il vizio di violazione dell'art.
2573co2 c.c. in relazione all'art. 360co l , n. 3), c.p.c. è inammissibile sotto molteplici
profili.
Assume l'Agenzia che in difetto di espressa indicazione contraria nell'atto di cessione
del ramo di azienda, il marchio "TANA" della cedente TANA s.p.a., doveva ritenersi
trasferito alla conferitaria UNITESSILE s.p.a. in base alla presunzione legale di cui
all'art. 2573, comma 2 c.c..
La norma dispone che "Quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una
denominazione di fantasia o da altra ditta derivata, si presume che il diritto all'uso
esclusivo di esso sia trasferito insieme con l'azienda".
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Cons est.
wieri
Stefa
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della parte (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007; id. Sez. 3, Ordinanza n.
Aggiunge la ricorrente che la presunzione legale risulterebbe corroborata anche dagli
atti e documenti prodotti in giudizio in quanto: 1) nella delibera di aumento di capitale
mediante conferimento di ramo di azienda da parte di TANA s.p.a, ai sensi dell'art. 2440
c.c., la assemblea di UNITESSILE s.p.a. aveva puntualizzato che il ramo di azienda
ceduto "è analiticamente descritto in tutte le sue componenti nella relazione giurata
redatta ai sensi dell'art. 2343 e 2440 c.c. dall'esperto dott.ssa Paola Manzon";2) nella
conferimento del ramo di azienda era "comprensivo del marchio IANA"
e 3) nella
perizia giurata di stima (pag. 31 relazione) era affermato che "la operazione ....comporta
anche il trasferimento del diritto esclusivo di uso del marchio ex art. 2573 c.c
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E' appena il caso di rilevare come del tutto infondata sia la tesi sostenuta dalla
resistente secondo cui la presunzione opererebbe soltanto nel caso del cessione della
azienda e non di anche di un ramo della stessa: premesso che non viene neppure
esplicata la "ratio" sottesa alla indicata distinzione, appare del tutto evidente come il
"ramo di azienda" integri una struttura organizzativa complessa, autonomamente idonea
a produrre beni o servizi, o comunque idonea ad essere funzionalmente inserita in una
più complessa organizzazione produttiva o commerciale e suscettibile, pertanto, di
essere scorporata dagli altri rami aziendali, senza che ciò comporti la cessazione
dell'attività svolta dalla originaria impresa (cfr. Corte eass. Sez.. 1, Sentenza n. 21481 del
09/10/2009, in motivazione; id. Sez. 5, Sentenza n. 10740 del 08/05/2013; id. Sez. L, Sentenza n.
8757 del 15/04/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 9361 del 28/04/2014 secondo cui per "ramo
d'azienda", come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per
la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la
quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e (come affermato anche dalla Corte
di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, in C-51/00) consenta l'esercizio di una attività economica
finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo). Non può, peraltro, escludersi che il
trasferimento di un ramo aziendale possa comprendere l'apparato di beni e personale
destinati alla realizzazione od alla commercializzazione di uno specifico prodotto
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Con est.
Stefano cjlivieri
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relazione sulla gestione del bilancio dell'anno 1996 di TANA s.p.a. si riferiva che il
contraddistinto da un marchio distinto rispetto a quello degli altri prodotti che la impresa
cedente continua a produrre o commercializzare.
Se dunque la presunzione legale trova applicazione anche nel caso di cessione di ramo
di azienda osserva il Collegio che la presunzione legale invocata dalla Agenzia fiscale ha
per oggetto non qualsiasi tipo di marchio, ma esclusivamente quei marchi non
ramo di azienda, tali essendo la ragione sociale delle società di persone, e la
denominazione delle società di capitali.
La distinzione è immediatamente apprezzabile laddove la disposizione richiamata fa
riferimento a marchi figurativi o di fantasia, ma la "ratio legis" appare altresì evidente
nel caso di "ditta derivata": la nozione di ditta ("derivata" in quanto trasferita, per atto inter
vivos, unitamente alla azienda, con lo specifico consenso dell'alienante, ovvero per atto mortis
causa, in difetto di diversa disposizione testamentaria : art. 2565, comma 2 e 3 c.c.), quale segno
distintivo della impresa non può, infatti, essere confusa con la ragione sociale delle
società di persone o con la denominazione sociale delle società di capitali, in quanto
elementi identificativi dell'ente collettivo, quale persona giuridica, e sottoposti pertanto
ad una disciplina propria, diversa da quella dei detti segni distintivi della impresa, del
luogo di esercizio della'attività e dei prodotti -art. 2567 c.c.-, fatta salva la esigenza di
evitare fenomeni confusori in relazione all'oggetto ed al luogo di esercizio della impresa
art. 2564 c.c.- : questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1078 del 10/04/1968; id. Sez.
1, Sentenza n. 5931 del 13/03/2014 in motivazione), ed anche parte della dottrina, hanno
infatti ritenuto che i segni identificativi della personalità giuridica degli enti collettivi,
non possono costituire un valore patrimoniale trasmissibile in quanto beni immateriali
indisponibili (alla stessa stregua del nome delle persone fisiche: cfr., con riferimento alla
necessità che la ditta non corrisponda al solo nome od al patronimico dell'imprenditore in quanto
da soli "non possono svolgere una funzione caratterizzante, ma devono essere inseriti nel contesto
di ulteriori indicazioni idonee a prevenire il rischio di confusione": Corte cass. Sez. 1, Sentenza n.
16283 del 10/07/2009).
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Cof est.
Stefan Olivieri
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riconducibili agli elementi identificativi della persona giuridica cedente l'azienda o il
I
Nè può darsi, in caso di mancato contestuale trasferimento, unitamente alla azienda,
dei diritti sul marchio una violazione del principio di unitarietà dei segni distintivi (art.
13 legge marchi r.d n. 929/1942, ed ora art. 22 codice della proprietà industriale, volto ad
evitare pericoli di confusione tra i consumatori: la disposizione prevede, in particolare, il divieto di
adottare come ditta, denominazione o ragione sociale o insegna un segno uguale o simile ad un
servizi è possibile che si determini un rischio di confusione tra il pubblico), tenuto conto che la
cessione di un ramo di azienda non determina la estinzione della società cedente, come
soggetto di diritto, nè comporta automaticamente la cessazione dell'attività economica
da parte di quest'ultima (indipendentemente dalla attualità dell'esercizio d'impresa , ove in
ipotesi limitato dall'obbligo di non concorrenza ex art. 2557co l c.c. stabilito per un periodo
determinato), e dunque bene può giustificare il mantenimento in capo alla cedente della
titolarità del diritto di esclusiva sul segno distintivo dei prodotti relativi alla azienda
ceduta e commercializzati da UNITESSILE s.p.a., per l'appunto soltanto licenziataria
del diritto d'uso temporaneo
La questione controversa si palesa dunque di mero fatto, in quanto involge non la
violazione della norma di cui all'art. 2573co2 c.c., che introduce una presunzione "juris
tantum", quanto piuttosto la valutazione degli elementi addotti per fornire la prova
contraria: la CTR non ha affatto affermato, in violazione del contenuto prescrittivo della
norma di diritto, che anche in assenza di espressa riserva dei diritti sul marchio, pattuita
tra le parti, la cessionaria del ramo di azienda non avrebbe acquistato anche il diritto
all'uso esclusivo sul marchio; piuttosto ha affermato che, alla stregua dei documenti
prodotti, risultava provato che le parti avevano inteso escludere la cessione del diritto di
esclusiva, sicchè -attesa la prova contraria- la presunzione legale non operava nel caso di
specie.
Trattasi quindi di giudizio di fatto, relativo alla interpretazione del contenuto dei
documenti, che doveva essere censurato in relazione al vizio logico di motivazione,
indicando specificamente le prove decisive che la CTR aveva omesso di considerare e
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Con st.
Stefano livieri
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precedente marchio se in ragione dell'affinità dell'attività delle due imprese e dei loro prodotti o
che se correttamente rilevate e valutate avrebbero condotto con certezza ad un esito
diverso della decisione.
Ne segue la palese inammissibilità del motivo di ricorso:
per inidoneità del quesito di diritto 366 bis c.p.c., atteso che il vizio denunciato
(error juris) viene ad essere individuato in un presupposto di fatto (mancata
l'oggetto della dimostrazione probatoria, costituendo la asserita violazione della
norma di diritto (art. 2573co2 c.c.) un posterius rispetto all'accertamento di fatto
compiuto dalla CTR (che dal complesso degli elementi indiziari ha tratto il
convincimento che le parti contraenti abbiano inteso escludere il contestuale trasferimento
del marchio) e rispetto al quale la parte ricorrente prospetta la propria diversa
valutazione degli elementi istruttori: in sostanza la ricorrente, attraverso il quesito
di diritto, non fornisce -come richiesto dallo specifico vizio di legittimità
denunciato- la indicazione della diversa "regula juris" che il Giudice di merito
avrebbe dovuto applicare alla controversia, ma intende fornire una diversa
ricostruzione della fattispecie per farne conseguire l'applicazione di quella stessa
norma di diritto
per erronea individuazione del parametro normativo del sindacato di legittimità:
tutto il motivo si incentra sulla critica del giudizio di fatto compiuto dalla CTR
nella selezione e valutazione degli elementi probatori utilizzati, sostenendo
l'Agenzia fiscale che i documenti prodotti in giudizio escluderebbero una diversa
pattuizione delle parti: ne segue che la censura, in quanto involgente un errore di
fatto avrebbe dovuto essere proposta in relazione al vizio motivazionale
contemplato dall'art. 360co l n. 5 c.p.c. e non invece al vizio di legittimità
prospettato come errore di diritto.
In ogni caso, qualora si intenda qualificare il vizio denunciato come vizio
motivazionale, attribuendo prevalenza al contenuto espositivo del motivo piuttosto che
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
C
Stefa
est.
livieri
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espressa pattuizione di esclusione del trasferimento del marchio) che è invece
alle indicazioni della rubrica, la censura deve ritenersi egualmente inammissibile, atteso
che, da un lato, la ricorrente non ha assolto all'onere di autosufficienza ex art. 366co 1 n.
6 c.p.c. e, dall'altro, gli elementi probatori indicati dalla Agenzia fiscale non evidenziano
il requisito di "decisività" previsto dall'art. 360co 1 n. 5 c.p.c., atteso che :
- non viene trascritto il contenuto dell'atto di cessione di azienda, e sono riportate
solo alcune proposizioni della relazione giurata di stima redatta ai sensi dell'art.
consentito quindi alla Corte di verificare se -come afferma la ricorrente- vi sia
stata una effettiva valutazione dell'esperto anche del valore di cessione del diritto
o della licenza d'uso temporanea del marchio, tanto più considerato che la
cessione del ramo di azienda aveva ad oggetto il complesso dei beni elencati in
allegato alla relazione di stima (verbale assemblea straordinario di aumento di capitale,
in data 27.12.1996, UNITESSILE s.p.a.), e tra detti beni non era compreso nè il diritto
sul marchio, nè la licenza di uso del marchio in questione
il verbale, in data 23.11.1996, della assemblea totalitaria di IANA s.p.a. , secondo
il testo riprodotto dalla stessa Agenzia ricorrente (ricorso pag. 13 in nota), riporta
che la perizia giurata aveva determinato un
"valore complessivo
dell'apporto compresi il trasferimento del diritto esclusivo all'utilizzo del
marchio ex art. 2573 c. c. che sarà oggetto di successiva precisa
formalizzazione....":
la ricorrente non fornisce alcuna pertinente critica
all'elemento valorizzato, invece, dalla CTR, secondo cui la cessione del marchio
sarebbe stata formalizzata in tempo successivo alla cessione del ramo aziendale, e
si limita sostanzialmente a contrapporre, inammissibilmente, la propria diversa
prospettazione dei fatti rispetto alla ricostruzione della fattispecie concreta
compiuta dai Giudici di appello (il richiamo alla relazione di gestione di bilancio
dell'anno 1996 di IANA s.p.a., della quale viene trascritta esclusivamente la proposizione
"comprensivo del marchio IANA nella società Unitessile", oltre a non consentire alcuna
verifica del contesto in cui la proposizione è inserita, non fornisce alcuna indicazione circa il
momento e l'atto con il quale sarebbe stato trasferito il diritto di esclusiva sul marchio,
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RG n. 15334/2009
ric. Ag.Entrate c/UNITESSILE s.p.a.
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
2343 c.c. (testo anteriore alla riforma del diritto societario Dlgs n. 6/2003), non essendo
atteso che la "bozza di contratto di licenza d'uso del marchio" è datata 16.12.1996 ricorso
—
pag. 16-)
del tutto neutra, e dunque irrilevante ai fini della "decisività", appare poi la
riduzione della entità delle royalties tra il primo periodo (oggetto della
controversia tributaria) ed il secondo periodo (per il quale vi è contratto di licenza
In conclusione il ricorso principale dell'Agenzia fiscale deve essere dichiarato
inammissibile, con conseguente dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale
condizionato proposto dalla società resistente.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte :
- dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale
condizionato;
- condanna l'Agenzia fiscale alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità
liquidate in € 8.000,00 per commi, € 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio 23.9.2015
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d'uso registrato).