Mons. Antonio Suetta: Eucaristia e la via del

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Congresso Eucaristico Nazionale (Genova 15-18 settembre 2016)
Catechesi tenuta sabato 17 settembre 2016 nella Basilica di S. Siro da
S. E. Mons. Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia - Sanremo
sul tema
L’Eucaristia e la via del trasfigurare
Il termine trasfigurazione ha una doppia valenza: da una parte ci fa guardare alle
realtà ultime e definitive preparate per noi e dall’altra parte ci chiama a camminare in
questo mondo con uno sguardo diverso.
E’ questo il messaggio essenziale che vorrei approfondire in questa catechesi; mi
pare che il tema della trasfigurazione sia proprio questione di sguardo. Non è una
trasfigurazione che modifica la realtà come noi vorremmo; si tratta piuttosto di cogliere
una presenza e questo ha a che fare profondamente con il mistero dell’Eucaristia. In
questo senso gli occhi della fede credono e scorgono il Signore vivo e risorto presente in
mezzo a noi.
Allora vorrei partire dal brano evangelico dei discepoli di Emmaus.
Il primo riferimento è certamente la via: sono in cammino per la strada e la via è
una bellissima e autentica metafora della nostra vita e della storia dell’umanità; quindi
il volto, che immediatamente non riconoscono: riconoscono il volto di Gesù nel momento
in cui egli si sottrae alla loro vista. Infine il terzo punto, ovvero il ritorno dei discepoli
ad annunciare di aver incontrato il Signore Gesù
Vorrei introdurmi con una riflessione che prendo da uno scritto di Don Giussani
che a me pare particolarmente efficace; “Le cose - scrive - sono ancora grevi e opache,
non possiamo aspettarci dal loro cambiamento la nostra tranquillità, ma dal nostro
cambiamento la loro trasfigurazione secondo il misterioso disegno del Padre nella
pazienza. Se ad un certo punto il nostro sguardo e il nostro cuore cambiano davvero le
cose questo è il miracolo che Dio fa quando vuole. Nella pazienza lo Spirito non ci lascerà
mancare nulla di questa sua testimonianza che pure è necessaria per la ragionevolezza
della fede.”
Metterei al centro di questa mia riflessione un simbolo che ci appartiene e che
costituisce anche l’espressione di ogni autentico cammino cristiano ed è l’immagine del
volto per due ragioni. Anzitutto perché l’immagine del volto è tipica della ricerca di Dio
a partire dalle prime pagine della Bibbia dove si narra che l’uomo è stato creato a
immagine e somiglianza di Dio e - voi sapete - che il Concilio Vaticano II parlando della
missione di Gesù dice che Cristo svela l’uomo all’uomo, concetto che Giovanni Paolo II
ha ripreso nella sua Enciclica.
Pensiamo, ad esempio, alla storia di Mosè; è bello leggerla tutta in questa
prospettiva: “Mostrami il tuo volto, pur sapendo, come dice la parola di Dio, che nessuno
può vedere il volto di Dio e rimanere vivo”. Oppure i Greci che chiedono agli apostoli
“Vogliamo vedere Gesù” , lo stesso Filippo che nell’ultima cena a conclusione di questa
avventura dice a Gesù “Mostraci il Padre e ci basta” sintetizzando mirabilmente questa
ricerca nel salmo “Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto”. La ricerca
del volto di Dio è l’anelito del cuore umano ed è la trama della nostra vita di fede.
Il volto non indica soltanto la nostra ricerca di Dio, ma l’immagine del volto parla
di noi. Il termine “persona” deriva proprio etimologicamente dal termine greco
“prosopon” che era la maschera che veniva usata nel teatro e che serviva per indicare
un’identità, era lo strumento attraverso il quale un’identità poteva parlare e allora
effettivamente cercare il volto, il volto di Dio.
L’altra ragione per cui mi pare bella l’immagine del volto è che spesso il nostro
lavoro, la nostra storia, la nostra vita sono un intreccio di volti. Allora proviamo a
soffermarci attraverso questa immagine sul mistero della nostra esistenza; ecco la
trasfigurazione, in un’altra prospettiva che è quella della nostra verità, la verità nel
senso di quello che siamo. Partiamo proprio ancora da pagine che ho già citato, le prime
pagine della Bibbia che non sono una risposta a “che cosa c’è stato all’inizio”, non è
questa l’attenzione del libro della Genesi, ma piuttosto ad un’altra questione “che cosa
c’è nel profondo della nostra vita”: ogni cuore rintraccia quelle origini di cui la Bibbia ci
parla. In effetti, il termine ebraico con cui si apre la Sacra Scrittura “in principio” non
significa soltanto l’inizio ma significa soprattutto il modello, lo stato in base al quale
tutto è stato fatto e a proposito dell’uomo quella parola ci dice che l’uomo è Adamo, cioè
che l’uomo viene dalla terra.
Ho già fatto riferimento al progetto antico della creazione che vorrei specificare
meglio. Diciamo che l’antropologia biblica è molto più completa di quella che, ad
esempio, è la visione filosofica greca dell’uomo che spesso ha condizionato e condiziona
tanto la nostra natura, il nostro modo di ragionare. La mentalità greca dice che l’uomo
è un animale ragionevole quindi composto di due parti essenziali, l’anima e il corpo.
L’antropologia biblica è, a mio avviso, molto più interessante perché parla a strati.
Il primo, quello che fa riferimento ad Adamo cioè ‘all’uomo fatto di terra’, come viene
chiamato nel linguaggio della Bibbia, in ebraico, a indicare la fragilità dell’uomo, ma
non soltanto nella sua dimensione materiale e fisica, ma la sua completa fragilità: siamo
piccoli, siamo limitati in tutto e ci segna l’inconsistenza. Il secondo aspetto che la Sacra
Scrittura dice che forma l’uomo è l’anima, che non traduce però precisamente il concetto
che dicevo prima alla greca, l’anima che nell’ebraico viene indicata con un’immagine
molto bella: una gola spalancata. Immaginate quegli uccellini appena nati, nel nido, che
sono tutto becco aperto verso l’alto e così la parola di Dio dice che è l’uomo, assoluto
desiderio. E infine, racconta la Bibbia, il terzo componente è lo Spirito di Dio, che Dio
soffia nelle narici dell’uomo e a quel punto l’uomo diventa un essere vivente. Ecco il volto
dell’uomo secondo Dio. Ma tutto parte dalla fragilità perché tutto questo che è un tesoro,
che è una bellezza straordinaria del progetto di Dio è impastato di fragilità.
Noi spesso rischiamo di vivere questa difficoltà, questo equivoco, di riconoscerci,
diciamo così, nella periferia della nostra vita mentre invece la parola di Dio ci chiede di
andare al centro - tornando al brano dei discepoli di Emmaus - in cammino. Una
domanda fondamentale che Dio rivolge all’uomo in quella prima situazione iniziale:
“Adamo dove sei?”.
Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità
della propria vita; così si nasconde ogni uomo: nascondendosi e persistendo in questo
nascondimento, l’uomo scivola sempre e sempre più profondamente nella falsità. Si crea
in tal modo una nuova situazione che, di giorno in giorno, di nascondimento in
nascondimento, diventa sempre più problematica ed è proprio in questa situazione che
lo coglie la domanda di Dio, il quale vuole turbare l’uomo, vuole distruggere il suo
congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata. A
questo punto tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda,
Riflettere bene sul mistero dell’Eucaristia sul quale torneremo ci aiuta ad
abbandonare la concezione che Dio possa essere altrove, cosa di cui, spesso, ci
lamentiamo, come è successo ai discepoli di Emmaus, quando le cose non funzionano
secondo il nostro modo di vedere e di desiderare, quando riteniamo che nella nostra vita
ci sia qualcosa riconducibile sempre a quella fragilità di cui parlavamo. Ci viene da dire:
“Ma Dio dov’è? Dio perché non mi ascolta? Perché non interviene?” e qualcuno in
maniera anche più drastica conclude “allora Dio non c’è”; l’Eucaristia ci dice che Dio non
è “altrove”, ma Dio è piuttosto “altrimenti”: cioè, in un modo diverso da come noi
possiamo immaginarcelo e aspettarcelo nella nostra storia e nella nostra vita, così come
Dio è presente nelle nostre situazioni, nelle nostre difficoltà, anche nelle nostre
infedeltà.
Il tema giubilare della misericordia ci richiama notevolmente anche questa
presenza straordinaria di Dio.
Ai discepoli di Emmaus inizialmente la parola di quel compagno di viaggio aveva
fatto ardere il cuore, aveva incominciato a farli pensare, a farli camminare,
spiritualmente parlando. Quel cammino si chiama conversione che non è propriamente
o principalmente un’istanza di tipo morale cioè modificare la condotta, ma è un frutto
secondario. Il primo passo della conversione è il ritorno, in ebraico la parola è molto
bella, “de shoa”, ritornare è l’invito costante dei profeti: “Ritornate a me e io ritornerò
da voi”.
Analizziamo il secondo punto. Questo primo punto era rivolto a noi stessi, come
nostro cammino, il volto era il nostro, può risplendere trasfigurato soltanto quando si
lascia intercettare dal volto di Dio, quando la sua luce risplende sul nostro. Ma non c’è
soltanto il nostro volto, c’è anche il volto dell’altro, l’Eucaristia è sacramento e vincolo
di unità: quindi, c’è una trasfigurazione che l’Eucaristia può e deve produrre nella vita
a partire da un dato di fatto. San Paolo dice: “Noi che mangiamo un solo pane e beviamo
ad un solo calice formiamo un solo corpo”; abbastanza facile da dire e da credere, ma
spesso faticoso da declinare nella nostra vita.
Ed ora molto brevemente volevo far riferimento anche qui a pagine antiche della
Bibbia per dire il volto dell’altro, con due immagini, due coppie. Quella su cui mi
soffermerò un po’ di più è la coppia Esaù e Giacobbe. Parlando, soprattutto, di Giacobbe
perché è lui misteriosamente il protagonista, ma questa coppia, che è storica, fa
riferimento ad un’altra coppia al di là della storia per quel racconto che sta nel profondo
di noi che è Caino e Abele. Queste due coppie ci chiedono di riflettere sull’alterità. La
storia di Caino e Abele proprio nella sua essenzialità è straordinaria: Dio fa preferenze?
Secondo il nostro criterio di giustizia, ci verrebbe da dire di no, ma la parola di Dio ci
smentisce spesso, Dio fa preferenze.
La Sua preferenza è capace di guardare ognuno di noi con uno sguardo originale
e di avere per noi una parola unica. Si tratta di decifrarla, di andare noi sulla Sua strada
e non pretendere che Lui venga sulla nostra. Se voi andate a leggere il brano di Caino e
Abele vedrete che c’è una chiave di lettura.
Fate la prova, andate a leggerlo, quante volte compare il nome ‘fratello’ nel brano
di Caino e Abele? Sette, è un numero simbolico di perfezione che è come dire: guarda
che stiamo parlando del tuo volto, uomo. Quello che prima abbiamo definito volto di
fragilità, adesso, sta raccontando di un’altra cosa per far capire che tu, uomo, sei in
relazione, che tu, uomo, sei dentro questa relazione. Pensate quanto l’Eucaristia,
pensate al contesto in cui Gesù ha istituito l’eucaristia, la lavanda dei piedi, ho
desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi, non vi chiamo più servi, ma
vi chiamo amici.
Perché Dio preferisce Abele anziché Caino? perché l’uno contadino e l’altro
pastore offrivano a Dio: mentre Abele offriva primizie buone e Dio gradiva, Caino offriva
seconda scelta e Dio non gradiva, ma questa è un’interpretazione nostra. Dio ha
preferito Abele e basta. E forse la chiave per capire questo è nel significato del nome
Abele che vuol dire “soffio”, cioè fragile. Dio posa il suo sguardo su colui che è fragile, su
colui che è secondo. Accetta anche tu e condividi questo sguardo, accetta anche tu che
sei forte, tu che sei il primo, di completarti accogliendo colui che è “soffio”, colui che è
fragilità. La storia di Esaù e Giacobbe sembra rovesciata: su tratta della storia di due
fratelli gemelli dove Esaù è il primogenito perché è il primo che esce dal ventre della
madre. Ma Giacobbe scalciava già nel ventre della madre e, al momento della nascita,
tiene Esaù per il calcagno, per il tallone, ed effettivamente il termine ‘Giacobbe’ ha nella
radice della parola il termine tallone, calcagno non solo per questa storia dello scalciare
ma perché con i piedi si fa lo sgambetto, cioè le astuzie, gli imbrogli, le ingiustizie della
vita. Se noi guardiamo questa genealogia patriarcale Giacobbe che carpisce la
primogenitura al fratello con la complicità della madre; si costruisce una vita e una
storia tutta fondata sulle sue furbizie fino a quando, da parte di Dio, nella sua vita
risuona una bella parola che noi abbiamo già ricordato: “Ritorna da tuo fratello”.
Durante la notte Giacobbe incontra un personaggio misterioso che lotta con lui.
Lo scaltro Giacobbe nell’oscurità finalmente deve incontrare se stesso, per scoprie che
quel tale che lotta con lui è Dio. Quel personaggio misterioso che lotta con lui nella notte
lo lascia sciancato e zoppicante. Bellissimo insegnamento questo! Con Dio si vince
soltanto arrendendosi.
Non è possibile stabilire un’autentica comunione con Dio, con noi stessi, con gli
altri, dove c’è desiderio di essere irresistibili, di dominare, di vincere, di sottomettere, il
mito del superuomo, il mito che oggi tanto governa il mondo, e l’Eucaristia in questo
senso è lievito di vita nuova: è scoprire che l’altro, in questo senso, ci appartiene, ci
accoglie. Questa lotta con Dio è molto bella, non pensiamo soltanto a Giacobbe, mi
richiamo, anche volentieri, ad esempio, come storia spirituale a Geremia: “Mi hai
sedotto Signore, io mi sono lasciato sedurre”. L’uomo con Dio deve imparare a perdere
per vincere ed è a questo punto, solo a questo punto, che la sua storia viene trasformata,
trasfigurata e diventa una storia benedetta. Quando l’uomo si lascia vincere da Dio,
allora è davvero grande ecco perché l’atteggiamento che noi riconosciamo davanti
all’Eucaristia è quello dell’Adorazione, è quello di stare in ginocchio perché questa è la
posizione che ci fa grandi e che ci fa veri davanti a Dio.
Volevo dire a me, in quest’occasione, e ricordare anche a voi che l’Eucaristia è
questo incontro di luce velato, è un mistero che, come è accaduto ai discepoli di Emmaus
proprio nel gesto di spezzare il pane, con tutto quello che questo vuol dire, può aprire gli
occhi della nostra fede e riconoscere: “Chi sono io?” “Di chi sono io?” e “chi è l’altro per
me?”
Volevo concludere leggendovi un ultimo brano di un testo di spiritualità classico,
Imitazione di Cristo, per dire del nostro camminare in compagnia dell’Eucaristia.
“Corrono molti fino a luoghi lontani per vedere le reliquie dei santi e stanno a
bocca aperta nel sentire le cose straordinarie compiute dai santi stessi; ammirano le
grandi chiede, osservano e baciano le sacre ossa avvolte in sete in tessuto duro, mentre
qui accanto a me sull’altare ci sei tu, mio Dio, Santo dei santi, il creatore degli uomini,
il signore degli angeli. Spesso è la curiosità umana che spinge a quelle visite, un
desiderio di cose nuove non mai viste, ma se ne riporta scarso frutto di miglioramento
interiore, specialmente quando il peregrinare è così superficiale, privo di una vera
contrizione, mentre qui nel sacramento dell’altare, sei veramente presente tu, mio Dio
nuovo Cristo Gesù. Qui si riceve il frutto abbondante di salvezza eterna ogni volta che
ti accoglie degnamente e con devozione, non una qualunque superficialità, né la smania
curiosa di vedere con i propri occhi ci porta a questo sacramento, ma una fede sicura,
una pia speranza, un sincero amore. O Dio, invisibile creatore del mondo, come è
mirabile quello che Tu fai con noi, come è soave e misericordioso quello che concedi ai
Tuoi eletti ai quali offri te stesso come cibo nel sacramento, sacramento che oltrepassa
ogni nostra comprensione, trascina in modo del tutto particolare il cuore delle persone
devote e infiamma il loro amore, anche coloro che ti seguono con pia fedeltà, coloro che
regolano tutta la loro vita. Al fine del perfezionamento spirituale ricevono spesso da
questo eccelso sacramento aumento di grazia nella devozione e nell’amore della virtù.
Mirabile e nascosta questa grazia del sacramento, che soltanto i seguaci di Cristo
conoscono, mentre non la sentono coloro che non hanno la fede e sono asserviti al
peccato, in questo sacramento è data la grazia spirituale, è restaurata nell’animo la
virtù perduta e torna l’innocenza che era stata deturpata dal peccato. Tanto grande è
talora questa grazia che per la pienezza della devozione conferita, non soltanto lo spirito
ma anche il fragile corpo sente che vi sono state date forze maggiori.”
(Il testo della catechesi è tratto da una registrazione e non è stato rivisto dall'autore)
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