Introduzione
L’editore Prentice-Hall presenta questa edizione commemorativa di From
Novice to Expert. Excellence and Power in Clinical Nursing Practice dopo sedici anni, dieci traduzioni e una ricezione del libro che è stata estremamente gratificante. Gli obiettivi di questo lavoro erano di studiare l’apprendimento dall’esperienza nella pratica infermieristica, di esaminare l’acquisizione di abilità basata sull’apprendimento clinico e di articolare la conoscenza racchiusa nell’attività degli infermieri. Le narrazioni riguardanti
l’apprendimento dall’esperienza collegano il discente, il contesto, le relazioni e il tempo. Basate, appunto, su esperienze, esse raccolgono comuni
difficoltà e vulnerabilità umane che si possono presentare diversamente in
altri contesti culturali e organizzativi. I lettori hanno commentato dicendo
che questo lavoro traduce in parole ciò che hanno sempre saputo, ma che
non sono stati capaci di esprimere, sulla pratica infermieristica: si tratta di
un complimento perfetto poiché questo lavoro tenta di dare un linguaggio
pubblico e accessibile a un’attività nascosta o marginalizzata. Il lettore sarà
in grado di confrontare e contrapporre somiglianze e differenze tra queste
narrazioni e il suo contesto culturale e operativo.
Quando questo lavoro è stato pubblicato per la prima volta, gli infermieri stavano cominciando a perseguire una carriera a lungo termine
nell’attività clinica ed erano interessati al modo di procurarsi possibilità
di sviluppo e di avanzamento basate sulla competenza e sulla formazione proprio nell’ambito clinico. Fino ad allora l’avanzamento nella
carriera era stato legato all’abbandono dell’assistenza diretta ai pazienti
per passare all’insegnamento o alla direzione dei servizi. Questo volume
mostrava le ragioni per le quali bisognava che gli infermieri impegnati
nella clinica fossero trattenuti e ricompensati per la competenza clinica
da loro sviluppata nel contesto assistenziale. La ricerca qui esposta dimostra che la pratica clinica costituisce di per sé una modalità di conoscenza. Essa offre infatti una visione alternativa di un know how infermieristico qualificato, di una ricerca clinica costante e dello sviluppo di
XI
INTRODUZIONE
una conoscenza clinica nella pratica infermieristica. In quanto membropartecipante della tradizione rappresentata dalla pratica dell’assistenza
infermieristica, ogni infermiere poggia i propri piedi sulle spalle dei colleghi di ieri e di oggi. La maniera in cui trattiamo il nostro apprendimento
dall’esperienza quotidiana nell’attività clinica determina la misura in cui
la nostra formazione e la nostra ricerca diverranno sia collettive sia cumulative, oltre che collegate in modo vitale a tale attività.
In quanto pratica professionale – una forma di conoscenza e di etica
socialmente organizzata – l’infermieristica, al pari di ogni altra attività
del genere, deve far fronte continuamente alla sfida di svilupparsi o subire una flessione. Una pratica professionale cresce grazie all’apprendimento dall’esperienza e alla trasmissione di quanto appreso nei contesti reali. Essa non può essere completamente oggettivata o formalizzata
perché è sempre necessario elaborarla di nuovo in situazioni particolari
e in tempo reale. Le storie narrate dagli infermieri illustrano questa verità. Le attività professionali condividono le medesime basi sociali, pratiche e storiche. Una pratica clinica eccellente richiede azione e ragionamento in rapporto a situazioni particolari (Taylor, 1993; Benner, Tanner e Chesla, 1996; Benner, Hooper-Kyriakidis e Stannard, 1999).
Le attività di assistenza hanno alla base l’incontro con altre persone particolari e concrete e la risposta a esse. Diventare un membro-partecipante
della pratica infermieristica implica l’intenzione di prestare aiuto e l’impegno nello sviluppo di tali attività. Le narrazioni di infermieri presentate in
questo volume offrono una visione morale per l’affermazione del valore e
del primato di un’assistenza volta a favorire la guarigione e a rendere sicure
ed efficaci cure mediche difficili. Uno degli obiettivi del libro è di rendere visibili le attività assistenziali che sono parte integrante di una pratica infermieristica eccellente. Le storie raccontate dagli infermieri mostrano come
si possono fare connessioni di importanza vitale pur in giornate piene di
impegni e in mezzo a richieste molteplici. Queste lezioni non mutano con
il passare del tempo e mostrano come possiamo ampliare e preservare le
nostre attività assistenziali. Tali attività possono essere migliorate per mezzo
di un linguaggio descrittivo più adeguato, che includa la tempestività, i rapporti umani e i successi e gli insuccessi nella loro comprensione nel corso
del tempo. Al contrario, un linguaggio organizzativo e la preferenza per descrizioni procedurali della conoscenza possono far sì che le attività di assistenza, intesa come prendersi cura (caring) delle persone, vengano trascurate. Nessuno può obbligare qualcun altro a impegnarsi in attività del genere; ma gli infermieri dirigenti e gli infermieri che le esercitano possono
creare un ambiente e un clima lavorativo che ne faciliti lo svolgimento.
Gli infermieri che esercitano l’assistenza, man mano che imparano
dai pazienti e dai loro famigliari, sviluppano sia la conoscenza clinica
XII
INTRODUZIONE
sia la capacità di azione morale. L’apprendimento dall’esperienza in situazioni ad alto rischio richiede coraggio e un ambiente che sostenga
tale apprendimento; le storie narrate dagli infermieri rivelano questo apprendimento esperienziale, incentrato sulla persona che agisce. Ma un
carente riconoscimento pubblico della natura della conoscenza infermieristica fa sì che nei contesti locali in cui si pratica l’assistenza l’apprendimento clinico venga trascurato.
Questo lavoro ha posto le basi per un movimento volto a rendere pubblico e accessibile l’apprendimento dall’esperienza mediante la riflessione
sulla conoscenza clinica che emerge dalle narrazioni che lo riguardano.
Le comunità professionali locali sviluppano conoscenze e abilità cliniche distinte. Vi sono molti ospedali e servizi di assistenza infermieristica
domiciliare che hanno avviato progetti descrittivi per riuscire a cogliere
questa conoscenza esperienziale locale. Tali progetti raccolgono sistematicamente le narrazioni cliniche di infermieri clinici e riflettono su di
esse. Una raccolta di 50-100 narrazioni di apprendimento dall’esperienza
dà origine a uno studio autodidattico della conoscenza clinica che permette di identificare i punti di forza della pratica professionale, le sfide
principali o i silenzi nei contesti locali. La raccolta e la riflessione interpretativa di queste narrazioni fanno scoprire nuove conoscenze e abilità e fanno identificare sia gli impedimenti a una pratica adeguata sia
le aree di eccellenza. Per esempio, può accadere che qualche storia riveli un’assistenza alla famiglia notevolmente valida sotto tutti gli aspetti,
incluso quello dell’assistenza infermieristica perioperatoria. Oppure, per
fare un altro esempio, le narrazioni possono rivelare un profondo silenzio riguardo all’assistenza al termine della vita. L’obiettivo principale
dei progetti narrativi di cui sopra è stato quello di rendere visibile, collettivo e cumulativo l’apprendimento clinico dall’esperienza.
Nell’elaborare il resoconto narrativo di un apprendimento esperienziale, il narratore impara proprio dal fatto di raccontare una storia. La
riflessione volta all’insegnamento permette al clinico di identificare i
centri di interesse intorno a cui si organizza quella storia; di identificare
le nozioni di bene racchiuse in essa; di riconoscere capacità relazionali,
comunicative e collaborative; di articolare una conoscenza clinica che
sta cominciando a svilupparsi.
Il pubblico racconto di storie tra professionisti rende visibili, oltre che
disponibili per la valutazione, le distinzioni etiche all’interno della pratica clinica. Il formarsi della storia – quali oggetti di interesse la modellano e come essa si conclude – si rivela nel dialogo e nelle percezioni
del narratore. Le narrazioni rivelano il contesto, il processo e il contenuto del ragionamento morale pratico. Accade così che le storie creino
fantasie morali, anche se espongono lacune e paradossi della conoXIII
INTRODUZIONE
scenza. Le storie dei professionisti, inoltre, dimostrano che un atteggiamento compassionevole può essere al tempo stesso saggio e meno costoso di un’assistenza sanitaria prestata con avversione e massificata.
Aristotele rilevò la differenza che passa tra una pratica e la produzione di cose. Questo lavoro permette agli infermieri di distinguere tra la
conoscenza disponibile che proviene dalla scienza, dalla tecnologia e
dalla pratica. Le differenze tra la conoscenza tecnica procedurale e il giudizio clinico sono evidenti negli esempi fatti dagli infermieri, i quali evidenziano il ragionamento clinico che è insito nelle loro relazioni umane.
Tali differenze sono ancora più rilevanti nell’attuale contesto di modelli
ingegneristici e commerciali di assistenza sanitaria. La pratica professionale è un tutto integrato che richiede a chi la esercita di sviluppare carattere, conoscenze e capacità allo scopo di contribuire alla crescita della
pratica stessa. Questa, infatti, è più che un mero accumularsi di tecniche.
Padroneggiare aspetti specializzati di una pratica non qualifica necessariamente l’operatore in modo che sia riconosciuto come esperto. La
scienza e la tecnologia spingono verso lo sviluppo di una pratica come
l’infermieristica, ma senza una coerente tradizione che abbia riconosciuto
socialmente degli standard di pratica e delle nozioni di buona pratica gli
operatori non saprebbero come valutare o perseguire lo sviluppo scientifico e tecnologico. Non è questione di scegliere o la scienza oppure la
saggezza pratica, bensì di come correlare l’una all’altra.
Intervistare e osservare gli infermieri per questa ricerca mi ha trasformato come infermiera e come formatrice. La ricerca è stata condotta
in un periodo di acuta carenza di infermieri e di drastici tagli dei finanziamenti, nel quali gli infermieri insegnanti erano impegnati in un movimento tendente alla formazione basata sulle competenze. Esso si proponeva di prespecificare i risultati dell’apprendimento in obiettivi comportamentali ben definiti. L’assunto era che sia l’apprendimento sia la
pratica infermieristica potevano essere ridotti a un insieme di tecniche.
Nella formazione come nella pratica degli infermieri predominava, infatti, un’interpretazione tecnica dell’infermieristica; l’espressione “interpretazione tecnica” fa riferimento all’assunto secondo il quale ogni
azione può essere determinata tramite teorie e direttive esplicitamente
dichiarate. L’obiettivo originario che stava dietro la ricerca era quello di
affrontare il gap teoria-pratica. Invece essa ha rivelato molti gap tra una
pratica eccellente e le ancora esistenti esposizioni teoriche della pratica
infermieristica, la quale è molto più complessa di quanto prevede la maggior parte delle teorie infermieristiche formalizzate.
L’osservazione e le interviste narrative di infermieri impegnati nella
pratica professionale hanno dimostrato un alto livello di discernimento.
Per fare qualche esempio: gli infermieri segnalano tempestivamente deXIV
INTRODUZIONE
terminate modificazioni cliniche nei pazienti, in modo da salvare loro la
vita; gli infermieri somministrano terapie preparate al momento a seconda delle risposte dei pazienti; attività assistenziali che includono la
relazione terapeutica e il coaching1 aiutano pazienti e famigliari a far
fronte alla malattia. È ormai evidente che le pratiche assistenziali insite
nei ruoli di insegnante-allenatore e di colui che presta aiuto, esercitati
dagli infermieri, hanno avuto un valore essenziale per il successo di interventi medici altamente tecnici, poiché li hanno resi sicuri e meritevoli di fiducia da parte dei pazienti.
I resoconti narrativi di esperienze che riguardano la pratica infermieristica rivelano aspetti importanti del ruolo dell’infermiere che non possono
essere colti dalle descrizioni formali delle tecniche e delle procedure, né
dagli approcci alla job description basati sull’analisi dei compiti. Gli infermieri hanno spesso descritto una chiarezza percettiva riguardo ai segni e
ai sintomi dei pazienti che si basava sulle loro esperienze precedenti. Questo tipo di certezza e di chiarezza è diverso dalla certezza del ragionamento
che si fonda su criteri e segnala il bisogno di ulteriori accertamenti. Articolare la conoscenza che è insita nelle attività cliniche e assistenziali degli infermieri e di altri operatori sanitari rappresenta un modo di mettere
al centro queste attività competenti, evitando che restino marginali. È necessario che le attività di assistenza, intesa come prendersi cura delle persone, siano articolate e recuperate (cioè rese pubbliche, in modo che possano essere legittimate e valorizzate), poiché sostengono quelle relazioni
degne di fiducia che rendono possibile la promozione della salute, il suo
ripristino e la riabilitazione. Tali attività non si possono sviluppare se si continua a sottovalutarle. Considerare il caring un’attività professionale, anziché un mero sentimento o atteggiamento che non si traduce in pratica,
mette in luce le conoscenze e le capacità che sono richieste da un’assistenza eccellente. Studiare un’attività o pratica professionale socialmente
organizzata permette una riflessione collettiva che può generare conoscenza e mettere all’ordine del giorno nuovi temi di ricerca.
Il Modello Dreyfus dell’acquisizione di abilità (Dreyfus e Dreyfus, 1986)
1
Il termine inglese coach significa alla lettera “allenatore”, “responsabile tecnico”. Per restare al campo che qui interessa, si parla di coaching, cioè dell’esercizio di tale ruolo, con riferimento sia all’assistenza (l’infermiere funge da coach
nei confronti del paziente, come in questo caso), sia alla gestione del personale
da parte di dirigenti e coordinatori. L’infermiere che applica il coaching aiuta
giorno per giorno la persona assistita a riconoscere le possibilità e i modi di migliorare le proprie condizioni. A tale scopo pianifica azioni condivise da entrambe
le parti, crea un clima di sostegno e, quando occorre, utilizza prudentemente la
propria influenza per ottenere cambiamenti di comportamento. (NdC)
XV
INTRODUZIONE
si basa sullo studio di una pratica professionale situazione per situazione
e sulla determinazione del livello di pratica che emerge dalla situazione
analizzata. Esso spiega i punti di forza più che i deficit; inoltre descrive
le capacità operative piuttosto che le caratteristiche o i talenti delle persone. In ogni stadio dell’apprendimento dall’esperienza i professionisti
possono operare al meglio delle loro possibilità. Per esempio, una persona (tipicamente uno studente infermiere del primo anno) può essere il
miglior novizio. Qualcun altro può essere la persona responsabile e impegnata che meglio indaga e apprende dall’esperienza in campo clinico
qualunque sia lo stadio di acquisizione delle abilità in cui si trova. Ciò che
non si può fare è essere oltre l’esperienza, o essere responsabile di qualcosa che non si è ancora incontrato nella pratica. I professionisti possono
essere ritenuti responsabili di una pratica sicura e di una conoscenza aggiornata in campo scientifico e tecnologico. Tuttavia, memorizzare le caratteristiche e i tratti distintivi di una categoria diagnostica da un libro di
testo non equivale a riconoscere quando e come queste caratteristiche
si manifestano nei singoli pazienti, con una serie di variazioni. Questo
discernimento clinico lo si deve apprendere nella pratica.
L’apprendimento dall’esperienza negli ambienti ad alto rischio richiede lo sviluppo della capacità di azione morale e del senso di responsabilità. Tale apprendimento si accresce nelle comunità dedite allo
studio e nei climi organizzativi che danno sostegno. Per esempio, da un
operatore clinico che ha visto un solo paziente riprendersi da un’operazione a cuore aperto non ci si può aspettare che faccia distinzioni o
confronti qualitativi con altri pazienti pure in fase di recupero. La capacità di confrontare in modo complessivo casi clinici concreti risulta nettamente più elevata se deriva dal riconoscimento dei dettagli e delle variazioni cliniche piuttosto che dalle descrizioni che si trovano nei testi o
nei percorsi assistenziali. Questa affermazione è ovvia, ma viene spesso
ignorata a causa di una visione puramente tecnica della pratica professionale, in base alla quale si immagina che i percorsi assistenziali, o critici, possano rendere esplicite le innumerevoli traiettorie e variazioni
dell’assistenza al paziente e del suo recupero. Anche se gli operatori clinici non possono essere ritenuti responsabili di variazioni cliniche sfumate che non hanno potuto vedere nella loro attività, essi possono lavorare in modo collaborativo con i loro colleghi in modo da fare l’uso
migliore della saggezza clinica ottenuta grazie all’esperienza.
Imparare a incontrare altre persone in varie condizioni di vulnerabilità e di sofferenza richiede apertura e apprendimento dall’esperienza
con il passare del tempo. Fare tesoro dei momenti di relativa efficacia
nell’incontrarsi e nello stabilire un rapporto con un’altra persona può rivelare e ampliare la propria capacità di impegno. In questo libro sono
XVI
INTRODUZIONE
messi in evidenza dei casi paradigmatici, cioè esperienze cliniche che insegnano ai clinici qualcosa di nuovo sulla pratica professionale, affinché
la loro pratica successiva venga in qualche modo cambiata o trasformata.
Io sono solita stimolare gli studenti infermieri o gli infermieri a scrivere,
oppure a registrare i loro casi paradigmatici come forma di autoesame
del proprio apprendimento clinico nel corso del tempo. Questo rappresenta un buon modo di collegare l’apprendimento personale con l’apprendimento professionale. Per esempio, non è facile imparare ad ascoltare attivamente e a rispondere in maniera empatica a una persona che
si trova davanti alla morte. Ognuno arriva a tale situazione, così pesante
dal punto di vista emozionale, con la propria ansia di morte e con le capacità di coinvolgimento che ha appreso dalla famiglia e dalla vita. Mediante la registrazione dei casi paradigmatici in cui c’è stato un buon rapporto oppure, al contrario, un’interruzione della comunicazione, gli infermieri possono ampliare il proprio apprendimento esperienziale e il
proprio sviluppo. Gli infermieri insegnanti possono usare narrazioni in
prima persona e vicine all’esperienza diretta, simili a quelle presentate
in questo libro, per aiutare gli studenti a riflettere sulle loro attività e ad
articolare la loro conoscenza clinica. Dal canto loro, gli studenti possono
scrivere narrazioni in prima persona, basate sull’esperienza, in merito
alle situazioni cliniche che hanno insegnato loro qualcosa di nuovo sulla
pratica professionale, o che spiccano nel loro ricordo per altre ragioni,
come errori commessi, lezioni apprese o esempi degli aspetti migliori
della loro pratica. Bisogna stimolare gli studenti a scrivere in modo chiaro,
vivace e onesto, fornendo al lettore dettagli sufficienti a immaginare la
situazione. Dato che l’obiettivo è di articolare l’apprendimento dall’esperienza, gli studenti possono descrivere in modo vivace situazioni negative e aggiungervi riflessioni e commenti che contribuiscano a estendere le loro intuizioni al riguardo. Per poter insegnare una coraggiosa riflessione su un apprendimento realmente esperienziale è necessario in
pratica un ambiente educativo sicuro e aperto. Le storie di infermieri esposte in questo libro rappresentano una guida.
L’assistenza infermieristica viene praticata in contesti reali, con vincoli, possibilità e risorse concrete. Pertanto l’ambiente di lavoro può vincolare l’attività di un operatore al di là della sua abilità di rispondere in
modo efficace. Infatti, l’infermieristica è un’attività professionale radicata
nella società e detenuta da una collettività. Tutte le narrazioni contenute
in questo volume sono state raccolte in un periodo di acuta carenza di
infermieri, quando le direttive e le procedure emanate dalle organizzazioni sono cresciute fino ad assumere proporzioni allarmanti. Il giudizio clinico necessario per una buona pratica infermieristica era gravemente sottostimato in ognuno degli ospedali presi in esame. Oggi assiXVII
INTRODUZIONE
stiamo a una ripetizione di tali condizioni, poiché l’infermieristica deve
far fronte a un’altra acuta carenza di personale e le imprese che forniscono assistenza sanitaria sono impegnate in strategie di riduzione dei
costi. Le storie raccontate dagli infermieri dimostrano come l’incontro
con i singoli pazienti o famigliari consente a tali operatori di rispondere
adeguatamente in situazioni tutt’altro che ideali. I vincoli alla loro attività balzano in evidenza e meritano un’attenzione che porti dei rimedi.
È paradossale che, proprio nei periodi di maggiori difficoltà dal punto di
vista economico e di organico, sia più grande il bisogno di mantenere
aperta la visione di una pratica infermieristica eccellente se vogliamo
preservare questa attività professionale per la generazione presente e
per quelle future sia di pazienti sia di infermieri. Le storie narrate dagli
infermieri indicano la strada mostrando cos’è l’infermieristica intesa
come attività relazionale integrata.
Poiché le attività assistenziali eccellenti – al pari degli eccellenti interventi diagnostici, di monitoraggio e terapeutici – hanno carattere relazionale e contestuale, il clinico non può essere sicuro che la stessa eccellenza si ottenga in altri contesti, relazioni o circostanze. Da ogni storia narrata dagli infermieri emerge una conoscenza locale e specifica,
così come una conoscenza generale. Ogni storia ha insieme qualcosa
di universale e di particolare. Nelle situazioni cliniche complesse e prive
di limiti definiti gli infermieri clinici che sono bravi nelle indagini cliniche e che hanno beneficiato di un rilevante apprendimento clinico opereranno presumibilmente in maniera migliore dei colleghi con minori
conoscenze cliniche. Tutti coloro che operano in campo clinico sono
aiutati o, invece, vincolati dal livello di collaborazione, dalle risorse, dalle
strutture e dai processi organizzativi disponibili sul momento.
Quando qualcuno di tali operatori non riesce a comprendere lo scopo
o gli obiettivi dell’attività che svolge, un buon giudizio clinico diventa impossibile perché esso dipende dalla capacità di vedere quello che c’è di
buono in ogni situazione clinica e di capire come realizzarlo (Rubin, 1996).
È una ristretta visione razionale-tecnica della pratica professionale che
ostacola gli scopi o la realizzazione di ciò che vi è di positivo nell’infermieristica. Tale ristretta visione dà per scontato che il giudizio clinico e
l’azione morale si limitino al calcolo razionale dei costi e dei benefici di
una serie di azioni basate su dati oggettivi. Per un buon giudizio clinico
è necessario invece che gli operatori sappiano prevedere, in ogni incontro con il paziente, scopi rilevanti che valga la pena di perseguire. Ciò richiede che ci si incontri con il paziente visto prima come persona, poi
come una persona che ha particolari risorse e vulnerabilità. Le narrazioni
cliniche di infermieri esposte in questo libro continuano a fornire una
straordinaria visione morale di tale pratica infermieristica eccellente.
XVIII
Prefazione
Questo libro si basa su un dialogo con gli infermieri e con l’infermieristica, su una ricerca descrittiva che ha identificato cinque livelli di competenza nella pratica infermieristica clinica. Tali livelli – novizio, principiante avanzato, competente, abile ed esperto – sono descritti con le parole degli stessi infermieri che sono stati intervistati e osservati sia individualmente sia a piccoli gruppi. Il testo si occupa solo delle situazioni
assistenziali in cui l’intervento dell’infermiere ha determinato una differenza positiva negli esiti ottenuti dai pazienti. Si tratta di situazioni che
costituiscono brillanti esempi di eccellenza nella pratica infermieristica
reale. Va sottolineato che essi non rappresentano ideali astratti, perché
sono emersi dalle imperfezioni e dalle contingenze in mezzo alle quali
gli infermieri si trovano quotidianamente a lavorare.
Una nota per gli scettici
Nel leggere gli esempi qui riportati qualcuno dubiterà che il livello di assistenza infermieristica che essi esprimono sia possibile. Si tratta di un atteggiamento comprensibile, perché questi esempi sono tratti da situazioni
cliniche di particolare rilievo, nelle quali l’infermiere ha appreso qualcosa
sulla sua pratica professionale oppure ha dato un contributo significativo
al benessere di un paziente. Se però lo scetticismo del nostro eventuale
lettore prende origine da una delusione di carattere generale sull’assistenza infermieristica in ospedale e dalla convinzione che agli infermieri
non è consentito in quel contesto di prestare un’assistenza compassionevole e tale da salvare vite umane, allora questo libro contiene un deciso rifiuto dell’atteggiamento suddetto e offre un raggio di speranza.
L’origine percettiva dell’eccellenza
Il libro mette in discussione alcuni degli assunti e delle convinzioni più
cari agli infermieri. In esso si afferma che la consapevolezza percettiva
XIX
PREFAZIONE
è centrale per un adeguato discernimento infermieristico e che questo
incomincia con vaghe intuizioni e valutazioni globali che all’inizio bypassano l’analisi critica; il più delle volte la chiarezza concettuale viene
dopo, non prima. Gli infermieri ricchi di esperienza descrivono le loro
abilità percettive utilizzando frasi quali “sentire visceralmente”, “senso
di disagio” o “sentire che le cose non vanno tanto bene”. Un simile modo
di parlare mette in difficoltà formatori e clinici, perché l’accertamento
deve partire da questi inizi percettivi per andare verso prove conclusive.
Gli infermieri esperti sanno che in tutti i casi la valutazione definitiva
delle condizioni del paziente richiede qualcosa di più che vaghe intuizioni, ma proprio dalla loro esperienza hanno appreso a far sì che siano
le loro percezioni a portare alle prove che le confermeranno.
Può accadere che – protesi nel tentativo di operare su basi scientifiche – infermieri, medici o esperti di counselling finiscano per trascurare
l’importanza delle abilità percettive. Se gli infermieri fossero computer
o apparecchi per il monitoraggio meccanico, dovrebbero aspettare di ricevere segnali chiari ed espliciti prima di identificare una singola caratteristica di un problema. Ma fortunatamente non è così. Gli esseri umani
che, esperti nel campo della salute, sono chiamati a prendere decisioni,
possono avere una visione globale di una situazione e dar seguito a essa
basandosi solo su sottili cambiamenti delle condizioni dei pazienti, aiutati nella ricerca di conferme dall’intera équipe assistenziale. Gli esperti
hanno il coraggio di non limitarsi a vaghe impressioni, ma neppure si
permettono di ignorare le intuizioni che potrebbero condurli a una tempestiva identificazione di problemi e alla ricerca di conferme fondate su
prove.
L’importanza del giudizio discrezionale
Se penso agli inizi della formazione infermieristica in questo paese, mi
viene da temere che il modello di acquisizione delle abilità qui descritto
sia erroneamente interpretato come un sostegno all’apprendimento informale per prove ed errori. Perciò ritengo importante sottolineare che il
Modello Dreyfus di acquisizione delle abilità è stato originariamente sviluppato in una ricerca progettata per analizzare la performance di piloti
in situazioni di emergenza. In quel contesto nessuno si è preoccupato
che si potesse fraintendere il modello e che si volesse suggerire ai piloti
di limitarsi a partire e “arrivare a sentire l’aereo” attraverso prove ed errori; in tal caso i piloti principianti non sarebbero sopravvissuti all’addestramento di base. Per l’infermieristica si deve dire altrettanto. Fornire assistenza infermieristica comporta rischi sia per l’infermiere sia
per il paziente e un’assistenza competente richiede programmi formativi adeguatamente pianificati. L’acquisizione delle abilità che si fonda
XX
PREFAZIONE
sull’esperienza è più sicura e più rapida se può poggiare su una solida
base rappresentata dalla formazione.
Lo scopo di questo libro è di mostrare i limiti delle regole formali e di
richiamare l’attenzione sul giudizio discrezionale che si utilizza nelle situazioni cliniche reali. È bene chiarire che ciò non pone l’esperto in una
posizione speciale e privilegiata al di fuori dei principi della fisiologia,
dell’infermieristica e della medicina. Questo volume non sostiene affatto
una posizione caotica o anarchica – secondo cui non vi sarebbero regole
– la quale, per fare un esempio, autorizzerebbe a ignorare le norme dell’asepsi per la semplice ragione che si è talvolta costretti a trascurare una
tecnica sterile in situazioni di vita o di morte. Attenersi alle contingenze
di una situazione particolare non giustifica la conclusione secondo la
quale si possono sistematicamente ignorare i principi che governano generalmente quel tipo di situazione. Quindi, la mia posizione non consiste in una sconsiderata raccomandazione di abbandonare le regole. Sostengo, invece, che una comprensione più competente e avanzata di una
situazione consente un comportamento ordinato senza doversi attenere
a regole rigide.
Una volta che la situazione sia stata descritta, le azioni che si intraprendono possono essere interpretate come un comportamento ordinato
e ragionevole che risponde alle esigenze della situazione stessa piuttosto che, come già detto, a principi e regole rigide. Si possono produrre
altre regole descrittive, tali da consentire molteplici eccezioni, ma l’esperto opererà in maniera flessibile anche in situazioni nuove che prevedono inevitabilmente altre eccezioni. Questo libro tratta il tema delle
rischiose decisioni, specifiche di ciascuna situazione, che di solito non
vengono rivelate, ma che gli infermieri si trovano ad affrontare nella loro
pratica quotidiana. Secondo Menzies (1960), il nascondersi dietro regole
e politiche costituisce una difesa dall’ansia, una strategia di coping. In
quanto tale, tuttavia, manca di realismo e genera l’ulteriore onere rappresentato dalla mancanza di riconoscimento e di legittimazione delle
prestazioni infermieristiche effettive.
Riflettere la realtà della pratica professionale
I lettori avrebbero probabilmente preferito che scegliessi solo gli esempi
che riflettono comportamenti collaborativi ideali e relazioni con i medici pure ideali. Sta di fatto che infermieri dirigenti e medici mi hanno
ammonito in questo senso, dicendomi che non amano gli esempi che
mettono in cattiva luce le relazioni medico-infermiere. Rispondo affermando che io per prima avrei desiderato, nel condurre la ricerca, di trovare solo relazioni illuminate e collaborative tra le due figure, ma si sarebbe trattato di finzione e non di ricerca descrittiva, di un modello ideale
XXI
PREFAZIONE
invece di un modello testato empiricamente. Se c’è un pregiudizio, è
probabile anzi che sia nella direzione opposta, cioè che gli scambi medico-infermiere difficoltosi siano sottorappresentati, se si considera il
tempo che, durante le interviste, gli infermieri hanno dedicato alla descrizione di interazioni inadeguate.
Nel mondo reale sia gli infermieri sia i medici hanno giornate buone
e meno buone; inoltre, alcuni di loro sono francamente incompetenti.
Quando non c’è un medico immediatamente disponibile in una situazione critica, l’infermiere riempie quel vuoto molto più spesso di quanto
sia formalmente riconosciuto. Possiamo affermare quanto vogliamo che
questa non è assistenza infermieristica, ma in tal caso rischiamo di ignorare ciò che gli infermieri fanno davvero. Perciò le prestazioni competenti di questo tipo sono state considerate eccellenti poiché, pur in circostanze tutt’altro che ottimali (per esempio, assenza di relazioni collaborative o di funzioni infermieristiche formalmente riconosciute), l’infermiere ha procurato o fatto quello che era necessario per il paziente.
Se concentriamo l’attenzione sull’ideale e presentiamo solo ciò che speriamo si realizzi, perderemo molto di quello che è più significativo nella
nostra pratica professionale. Non riconoscere l’essenziale di ciò che
siamo oggi può costituire un grave impedimento a diventare quello che
desideriamo essere in futuro.
Un caleidoscopio di intimità e distanza
Sarebbe perfettamente corretto che i lettori facessero domande sulla
rappresentatività di questo lavoro. La risposta è che lo scopo non è stato
di descrivere un’ora o un giorno tipico, bensì gli aspetti migliori della
conoscenza clinica. Ai partecipanti all’indagine è stato chiesto di presentare situazioni cliniche che erano rimaste loro impresse. Gli infermieri hanno quotidianamente molti contatti con i pazienti. Il più delle
volte non sono consapevoli dell’impatto che i loro interventi hanno sul
ristabilimento del paziente; infatti molti di questi contatti e interventi
sono abituali, per cui gli infermieri non se ne ricordano nemmeno. In
altre parole, la relazione infermiere-paziente non si svolge secondo un
piano uniforme e professionalizzato, ma costituisce un caleidoscopio
di intimità e distanza in alcuni dei momenti più drammatici e sofferti,
ma in gran parte ordinari, della vita. I momenti ordinari non sono stati
rilevati, perché la strategia della ricerca prevedeva di concentrare l’attenzione specificamente sulle situazioni cliniche degne di rilievo. Pertanto vi è stato e rimane un pregiudizio, anche se abbiamo richiesto la
descrizione sia dei giorni tipici sia di quelli insoliti. Inoltre, poiché abbiamo cercato di descrivere le prestazioni effettuate con abilità, le carenze non sono state oggetto di indagine, per cui non vi sono esempi
XXII
PREFAZIONE
di deficit identificati (per un esempio di identificazione di carenze vedi
in Epilogo Fenton, pp. 205-214).
Non la fine ma un inizio
Confesso di essere preoccupata per i frettolosi costruttori di sistemi che
vorranno idealizzare le 31 competenze qui descritte o che potrebbero
pensare di completarne l’elenco, come se vi fosse un elenco finito di
competenze di cui impadronirsi una volta per tutte. Poiché concludere
con le 31 competenze sarebbe un po’ bizzarro, voglio precisare che l’intento di questo lavoro è di stimolare gli infermieri a raccogliere i loro
esempi e a portare avanti le linee di indagine e i quesiti di ricerca che
nascono dal loro sapere clinico. Il lavoro qui presentato espone nuovi
modi di vedere la pratica infermieristica, affinché non continuiamo a descriverla unicamente come un processo di soluzione dei problemi semplice e lineare. Tale visione uniforme e ristretta limiterebbe la nostra
comprensione della complessità e della rilevanza della nostra stessa attività professionale. Come un’infermiera ha detto, con un accento di
profonda comprensione, nel corso di una discussione di gruppo: “Sapete, oggi sono intervenuta con grande rapidità e ho salvato la vita di
un bambino. Non è cosa da poco!” Sembrava che non avesse dato conto
dell’importanza delle proprie azioni nella sua precedente relazione analitica.
Per concludere, sono grata ai colleghi che hanno arricchito questo
lavoro fornendo descrizioni – una prima mappa, possiamo dire – delle
sue applicazioni pratiche (vedi Epilogo).
Patricia Benner
Questo lavoro è stato reso possibile da una borsa di studio, con finanziamento federale, finalizzata allo sviluppo di metodi di valutazione per i partecipanti, rappresentati da sette scuole per infermieri e cinque ospedali della
San Francisco Bay Area. Il titolo del progetto era Conseguire metodi di consenso, accertamento e valutazione intraprofessionale (Achieving Methods
of Intra-professional Consensus, Assessment, and Evaluation), d’ora in
poi indicato con l’acronimo AMICAE. Il sostegno al progetto è stato garantito da una borsa di studio del Department of Health and Human Services,
Public Health Service, Division of Nursing, Grant No. 7 D10 NU 29104-01.
XXIII
Presentazione
dell’edizione italiana
Questo volume – scritto nel 1984 negli Usa, tradotto in diverse lingue e
citato nel corso degli anni in un gran numero di libri e di articoli – costituisce un classico della letteratura professionale internazionale: per
tale ragione nel 2001 è stato ripubblicato senza modifiche, fatta eccezione per l’introduzione, in edizione commemorativa. È di quest’ultima
che L’eccellenza nella pratica clinica dell’infermiere. L’apprendimento basato sull’esperienza rappresenta la traduzione italiana.
Alla base del libro e dei concetti che contiene vi è una ricerca descrittiva avente per oggetto la pratica infermieristica, con particolare riguardo ai suoi “eventi critici”. Patricia Benner riteneva – certamente a ragione – che gli infermieri non avessero l’abitudine di documentare adeguatamente ciò che apprendevano dalla loro attività clinica, privando
così la teoria infermieristica dell’unicità e della ricchezza delle conoscenze che, come in ogni campo, possono derivare solo dai dettagli e
dalle situazioni di una pratica esperta. La ricerca si proponeva di mettere
in evidenza quelle conoscenze, sia per contribuire a una formazione degli infermieri in cui avesse un peso maggiore l’esperienza clinica, sia per
arrivare a una pubblicazione sulla natura di questa attività professionale.
La ricerca in oggetto ha preso spunto dal modello di acquisizione
delle abilità di Hubert L. e Stuart E. Dreyfus (due docenti universitari,
l’uno matematico e l’altro filosofo), inizialmente utilizzato per studi in
altri campi. Una caratteristica importante di tale modello è che non basa
le prestazioni professionali esperte su una osservazione “a distanza” dei
fenomeni, in questo caso le condizioni di salute del paziente e i suoi bisogni che richiedono interventi infermieristici; al contrario, prevede un
alto livello di dedizione e di coinvolgimento da parte del professionista,
il quale non potrebbe altrimenti “catturare” le modificazioni sottili, ma
a volte rilevanti, dei fenomeni di cui si interessa.
XXVII
PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE ITALIANA
Coerentemente alle finalità sopra esposte, il volume non illustra ideali
o principi astratti, ma esempi significativi di realtà quotidiane, nelle quali
gli infermieri hanno mostrato una pratica professionale eccellente, pur in
un contesto che presentava difficoltà e ostacoli. Tali esempi sono descritti con le parole degli stessi infermieri che li hanno vissuti o con quelle
dei ricercatori che li hanno osservati e intervistati.
Rinforza questa attenzione per gli aspetti e gli esiti positivi del lavoro degli infermieri la parte dell’Epilogo intitolata Focus sull’eccellenza.
In essa si riferisce di un incontro, accuratamente pianificato e coordinato, nel quale infermieri clinici di vari ambiti dell’assistenza hanno descritto ai colleghi situazioni reali in cui avevano imparato qualcosa di
nuovo o avevano attuato interventi grazie ai quali le condizioni dei pazienti erano migliorate. Crediamo che iniziative analoghe possano rappresentare tuttora importanti occasioni di apprendimento e di ulteriore
motivazione a un lavoro di qualità.
Entrando maggiormente nel dettaglio, tra i contenuti salienti del lavoro di Patricia Benner riteniamo opportuno mettere in risalto i seguenti.
1. I cinque livelli di competenza nell’attività infermieristica clinica individuati dalla ricerca: novizio, principiante avanzato, competente,
abile ed esperto. A ciascuno di essi corrispondono tipicamente una
determinata performance e specifici bisogni di apprendimento: per
esempio, l’infermiere novizio ha uno stretto bisogno di regole e procedure, mentre l’esperto può fare affidamento sull’intuizione e sulla
percezione immediata di determinati problemi, capacità che ha acquisito con l’esperienza clinica.
L’esperienza – che costituisce il concetto forse più importante e maggiormente approfondito nel corso del volume – è legata in parte al
tempo passato in una determinata posizione lavorativa, ma molto
di più a un processo attivo di revisione e affinamento delle nozioni
teoriche nel confronto con la realtà operativa. È significativa la descrizione del termine esperienza che la Benner fornisce citando un
altro autore: “Una conoscenza ottenuta non con le parole, ma con il
tatto, la vista, l’udito, le vittorie, le sconfitte, l’insonnia, la devozione,
l’amore – le esperienze e le emozioni umane di questa terra, le proprie e quelle degli altri uomini” (vedi p. 149).
Poiché nessuno può avere acquisito un’esperienza altrettanto significativa in tante situazioni diverse, può capitare che lo stesso infermiere, per esempio, si riveli esperto in un ambito di assistenza e principiante avanzato in un altro.
2. Le trentuno competenze professionali descritte dagli infermieri intervistati, poi classificate in sette aree di pratica infermieristica:
XXVIII
PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE ITALIANA
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ruolo di aiuto;
funzione di insegnamento-coaching (attività dell’allenatore);
funzione diagnostica e di monitoraggio del paziente;
gestione efficace di situazioni soggette a rapidi cambiamenti;
somministrazione e monitoraggio di interventi e regimi terapeutici;
monitoraggio e assicurazione della qualità delle attività di assistenza sanitaria;
– competenze organizzative e relative al ruolo lavorativo.
Tra le funzioni e le attività che rientrano in queste aree, rileva l’autrice, ce ne sono alcune che non hanno un riconoscimento formale:
è il caso, per esempio, della gestione, in attesa del medico, di emergenze che mettono a rischio la vita dei pazienti. Formalizzata o
meno, pianificata o meno, tale funzione viene esercitata frequentemente: una sua migliore comunicazione potrebbe portare gli infermieri a ottenerne un maggiore riconoscimento e, quindi, a svolgerla ancora meglio.
L’impegno degli infermieri nel monitoraggio e nell’assicurazione della
qualità dell’assistenza complessiva e le loro capacità non solo assistenziali ma anche organizzative, unitamente alla loro presenza continuativa nei servizi, fanno di questi professionisti la colla, invisibile
ma reale, che tiene assieme il complesso e complicato sistema dell’assistenza ospedaliera. Questa azione unificante è legata solo in
parte al ruolo e ai modelli formali; assai di più deriva dalla costante
attenzione che gli infermieri esperti pongono affinché i principi e le
regole si adattino al contesto specifico e alla situazione singola.
3. L’importanza di quella fonte di apprendimento che è rappresentata
dalle situazioni cliniche reali, le quali – come si è già detto - sono di
gran lunga più complesse e ricche di sfaccettature e di eccezioni rispetto alle teorie e ai modelli formali che si trovano nei libri. La teoria ha un ruolo significativo perché indica dove cercare i problemi
assistenziali e come prevederli e individuarli, ma è poi la pratica che
rende concrete le conoscenze e cambia il grado di competenza dell’operatore.
Una considerazione interessante che troviamo nel libro è che la promozione dello sviluppo della conoscenza clinica non dovrebbe riguardare solo i principianti, ma anche coloro che, nel pieno della
carriera, potrebbero passare, per esempio, dal livello di competente
a quello di abile o esperto in un certo campo, senza desiderare necessariamente di uscire dall’ambito clinico per sentirsi gratificati e
valorizzati. Si rileva frequentemente un problema che può essere
formulato in questi termini: come “trattenere” nell’attività clinica gli
infermieri a metà carriera, quindi in possesso di una rilevante comXXIX
PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE ITALIANA
petenza, evitando che vedano come unica promozione il passaggio
all’insegnamento o alla gestione dei servizi? Tra le proposte di soluzione contenute nel libro troviamo maggiori possibilità di insegnamento nelle unità operative, lo sviluppo della consulenza infermieristica, la condivisione delle proprie competenze partecipando a commissioni di vario tipo e altre ancora.
4. La centralità del prendersi cura (caring) della persona nella sua interezza, rifiutando una visione prevalentemente tecnica della pratica infermieristica. Tra gli esempi al riguardo c’è una situazione nella
quale la sostituzione di una medicazione effettuata con grande competenza non solo tecnica, ma anche e soprattutto relazionale, ha
cambiato il rapporto di una paziente con la propria ferita chirurgica
e le sue aspettative in merito a essa.
Con l’abituale presentazione di casi in cui gli interventi di alcuni infermieri hanno fatto la differenza, il libro tratta temi quali la relazione terapeutica, il mantenimento dell’individualità del paziente di
fronte al dolore e a un esaurimento estremo, la comunicazione attraverso il tocco terapeutico, il sostegno emozionale non solo della
persona assistita ma anche dei suoi famigliari.
Questa esposizione delle principali caratteristiche del volume spiega
perché abbiamo convenuto con l’editore sull’opportunità della sua traduzione. Ritenendo di avere una conoscenza abbastanza approfondita
del sistema sanitario italiano e, al suo interno, della condizione degli infermieri, non esitiamo ad affermare che le tematiche trattate in quest’opera sono qui da noi pertinenti e attuali. Negli ultimi anni la formazione universitaria, il profilo professionale, la possibilità di istituire servizi infermieristici dotati di un buon grado di autonomia e altri cambiamenti di varia natura – pur non privi di aspetti discutibili – hanno segnato una grande evoluzione, indice di un riconoscimento sociale della
professione e della sua rilevanza che non ha precedenti. È nostra convinzione che proprio in un momento come questo sia opportuno sottolineare la centralità dell’esperienza e della conoscenza clinica per la formazione di base, post-base e continua degli infermieri e per uno sviluppo della loro carriera clinica meglio definito e incentrato sull’eccellenza.
Carlo Calamandrei
Laura Rasero
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